rassegna stampa di oggi:
1) 19/10/2008 12:40 – VATICANO - Papa: a Pompei per affidare alla Madonna il Sinodo e i missionari - In pellegrinaggio al santuario dedicato alla Vergine del Rosario, Benedetto XVI parla del “ruolo di Maria”, che “impersona il popolo che lui si è scelto per irradiare la sua benedizione su tutta la famiglia umana”. Ricordando la vita del beato Bartolo Longo, il Papa rileva che anticlericalismo e superstizioni non mancano ai nostri giorni
2) Il testo dell'intervento pronunciato martedì da Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi - Esegesi non solo storica ma teologica - per il futuro della fede - Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI nell'Aula del Sinodo martedì mattina, 14 ottobre, durante la quattordicesima congregazione generale. – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
3) LA CRISI DELLE BORSE E I CRISTIANI… 18.10.2008, Antonio Socci
4) in un documentario le memorie del Cardinale polacco Dziwisz - «Wojtyla subì un secondo attentato» - Rivelazione choc dell'ex segretario personale: nel 1982 fu ferito con un pugnale da un prete spagnolo a Fatima
5) Nella basilica di Lisieux la beatificazione dei genitori di santa Teresa - L'orologiaio e la merlettaia, sposi 150 anni fa - Lui orologiaio, lei merlettaia: borghesi di estrazione, santi di elezione. Sono Luigi Martin (1823-1894) e Zelia Guérin (1831-1877) - i genitori di Teresa del Bambino Gesù - che domenica 19 ottobre vengono proclamati beati nel corso di una celebrazione presieduta nella basilica di Lisieux dal cardinale José Saraiva Martins. È la seconda coppia di sposi - dopo i coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi beatificati nel 2001 da Giovanni Paolo II - a essere elevata agli onori degli altari. – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
6) La ricerca asservita agli interessi economici - Quando la scienza - si allontana da se stessa - di Giorgio Israel – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
7) NON SI SVOLGE NEI CONVEGNI LA SFIDA DECISIVA - Le filosofie del nulla vincono tra i giovani spesso ubriachi - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 18 ottobre 2008
8) 19/10/2008 10:50 - VATICANO-ORTODOSSIA - Bartolomeo: parlare al Sinodo, “un evento unico e di straordinaria importanza” - Soddisfazione del Patriarca ecumenico che ieri ha ribadito l’importanza delle conclusioni dell’incontro di Ravenna tra catttolici ed ortodossi, nel quale si è affermato che l’interdipendenza tra primato e collegialità caratterizza tutti i livelli della vita nella Chiesa, locale, regionale e universale.
19/10/2008 12:40 – VATICANO - Papa: a Pompei per affidare alla Madonna il Sinodo e i missionari - In pellegrinaggio al santuario dedicato alla Vergine del Rosario, Benedetto XVI parla del “ruolo di Maria”, che “impersona il popolo che lui si è scelto per irradiare la sua benedizione su tutta la famiglia umana”. Ricordando la vita del beato Bartolo Longo, il Papa rileva che anticlericalismo e superstizioni non mancano ai nostri giorni.
Pompei (AsiaNews) – Affidare il Sinodo sulla Parola di Dio a Maria, “nel cui grembo il Verbo si è fatto carne”, “perché possa portare frutti di autentico rinnovamento in ogni comunità cristiana” e raccomandare la preghiera per quanti “spendono le loro energie a servizio dell’annuncio del Vangelo a tutte le nazioni”. Sono le ragioni del pellegrinaggio che Benedetto XVI ha compiuto oggi a Pompei, la cittadina vicino Napoli rinata nel secolo scorso intorno al santuario qui voluto dal beato Bartolo Longo e dedicato in modo particolare al Rosario, che oggi il Papa ha definito “dono singolare di Maria”. Una preghiera alla quale è dedicato il santuario voluto da un uomo che in gioventù fu “un militante anticlericale” e si dette anche “a pratiche spiritistiche e superstiziose”, “tendenze che non mancano nei nostri giorni”.
Decine di migliaia di persone dalle prime ore della giornata si sono riunite nella grande pazza che fronteggia il santuario, per prendere parte alla messa celebrata da Benedetto XVI, venuto, “sulle orme” di Giovanni Paolo II, “in particolare, per affidare alla Madre di Dio, nel cui grembo il Verbo si è fatto carne, l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi in corso in Vaticano sul tema della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”.
“La mia visita – ha detto subito dopo - coincide anche con la Giornata missionaria mondiale: contemplando in Maria Colei che ha accolto in sé il Verbo di Dio e lo ha donato al mondo, pregheremo in questa Messa per quanti nella Chiesa spendono le loro energie a servizio dell’annuncio del Vangelo a tutte le nazioni”. “In questo mese di ottobre, mese missionario e del Rosario – ha aggiunto al termiine della messa, prima della recita del’Angelus - quanti fedeli e quante comunità offrono il santo Rosario per i missionari e per l’evangelizzazione! Sono pertanto lieto di trovarmi proprio oggi, in questa ricorrenza, qui a Pompei, nel più importante Santuario dedicato alla Beata Vergine del Santo Rosario. Ciò infatti mi dà modo di sottolineare con maggior forza che il primo impegno missionario di ciascuno di noi è proprio la preghiera. E’ innanzitutto pregando che si prepara la via al Vangelo; è pregando che si aprono i cuori al mistero di Dio e si dispongono gli animi ad accogliere la sua Parola di salvezza”.
Durante la messa, illustrando l’episodio evangelico delle nozze di Cana, il Papa ha evidenziato il “ruolo di Maria, che viene detta all’inizio ‘la madre di Gesù’, ma che poi il Figlio stesso chiama ‘donna’, anteponendo alla parentela il legame spirituale, secondo il quale Maria impersona appunto la sposa amata del Signore, cioè il popolo che lui si è scelto per irradiare la sua benedizione su tutta la famiglia umana”.
Il fondatore della “nuova Pompei”, Bartolo Longo, è sttao ricordato dal Papa anche perché “la vicenda della sua crisi spirituale e della sua conversione appare oggi di grande attualità. Egli infatti, nel periodo degli studi universitari a Napoli, influenzato da filosofi immanentisti e positivisti, si era allontanato dalla fede cristiana diventando un militante anticlericale e dandosi anche a pratiche spiritistiche e superstiziose. La sua conversione, con la scoperta del vero volto di Dio, contiene un messaggio molto eloquente per noi, perché purtroppo simili tendenze non mancano nei nostri giorni. In questo Anno Paolino mi piace sottolineare che anche Bartolo Longo, come san Paolo, fu trasformato da persecutore in apostolo: apostolo della fede cristiana, del culto mariano e, in particolare, del Rosario, in cui egli trovò una sintesi di tutto il Vangelo”. Ma proprio la sua conversione rappresenta “una dimostrazione storica di come Dio trasforma il mondo: ricolmando di carità il cuore dell’uomo e facendone un ‘motore’ di rinnovamento religioso e sociale. Pompei è un esempio di come la fede può operare nella città dell’uomo, suscitando apostoli di carità che si pongono al servizio dei piccoli e dei poveri, ed agiscono perché anche gli ultimi siano rispettati nella loro dignità e trovino accoglienza e promozione”.
Al termine della messa, prima dell’Angelus, il Papa ha recitato la Supplica alla Madonna di Pompei, che si conclude con l’offerta della “Rosa d’oro” alla Madonna.
Un pensiero, infine, prima dell’Angelus, il Papa ha dedicato alla beatificazione, proprio oggi, a Lisieux, di Louis Martin e Zélie Guérin, genitori di santa Teresa di Gesù Bambino, dichiarata da Pio XI patrona delle missioni. “Pensando alla beatificazione dei coniugi Martin, mi è caro richiamare un’altra intenzione, che mi sta tanto a cuore: la famiglia, il cui ruolo è fondamentale nell’educazione dei figli ad uno spirito universale, aperto e responsabile verso il mondo e i suoi problemi, come pure nella formazione delle vocazioni alla vita missionaria”.
Il testo dell'intervento pronunciato martedì da Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi - Esegesi non solo storica ma teologica - per il futuro della fede - Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI nell'Aula del Sinodo martedì mattina, 14 ottobre, durante la quattordicesima congregazione generale. – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
Cari fratelli e sorelle, il lavoro per il mio libro su Gesù offre ampiamente l'occasione per vedere tutto il bene che ci viene dall'esegesi moderna, ma anche per riconoscerne i problemi e i rischi. La Dei Verbum 12 offre due indicazioni metodologiche per un adeguato lavoro esegetico. In primo luogo, conferma la necessità dell'uso del metodo storico-critico, di cui descrive brevemente gli elementi essenziali. Questa necessità è la conseguenza del principio cristiano formulato in Gv 1, 14 Verbum caro factum est. Il fatto storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica.
Tuttavia, questa storia ha un'altra dimensione, quella dell'azione divina. Di conseguenza la Dei Verbum parla di un secondo livello metodologico necessario per una interpretazione giusta delle parole, che sono nello stesso tempo parole umane e Parola divina. Il Concilio dice, seguendo una regola fondamentale di ogni interpretazione di un testo letterario, che la Scrittura è da interpretare nello stesso spirito nel quale è stata scritta ed indica di conseguenza tre elementi metodologici fondamentali al fine di tener conto della dimensione divina, pneumatologica della Bibbia: si deve cioè 1) interpretare il testo tenendo presente l'unità di tutta la Scrittura; questo oggi si chiama esegesi canonica; al tempo del Concilio questo termine non era stato ancora creato, ma il Concilio dice la stessa cosa: occorre tener presente l'unità di tutta la Scrittura; 2) si deve poi tener presente la viva tradizione di tutta la Chiesa, e finalmente 3) bisogna osservare l'analogia della fede. Solo dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di una esegesi teologica - di una esegesi adeguata a questo Libro. Mentre circa il primo livello l'attuale esegesi accademica lavora ad un altissimo livello e ci dona realmente aiuto, la stessa cosa non si può dire circa l'altro livello. Spesso questo secondo livello, il livello costituito dai tre elementi teologici indicati dalla Dei Verbum, appare quasi assente. E questo ha conseguenze piuttosto gravi.
La prima conseguenza dell'assenza di questo secondo livello metodologico è che la Bibbia diventa un libro solo del passato. Si possono trarre da esso conseguenze morali, si può imparare la storia, ma il Libro come tale parla solo del passato e l'esegesi non è più realmente teologica, ma diventa pura storiografia, storia della letteratura. Questa è la prima conseguenza: la Bibbia resta nel passato, parla solo del passato. C'è anche una seconda conseguenza ancora più grave: dove scompare l'ermeneutica della fede indicata dalla Dei Verbum, appare necessariamente un altro tipo di ermeneutica, un'ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana. Secondo tale ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, si deve spiegare da dove viene tale impressione e ridurre tutto all'elemento umano. Di conseguenza, si propongono interpretazioni che negano la storicità degli elementi divini. Oggi il cosiddetto mainstream dell'esegesi in Germania nega, per esempio, che il Signore abbia istituito la Santa Eucaristia e dice che la salma di Gesù sarebbe rimasta nella tomba. La Resurrezione non sarebbe un avvenimento storico, ma una visione teologica. Questo avviene perché manca un'ermeneutica della fede: si afferma allora un'ermeneutica filosofica profana, che nega la possibilità dell'ingresso e della presenza reale del Divino nella storia. La conseguenza dell'assenza del secondo livello metodologico è che si è creato un profondo fossato tra esegesi scientifica e Lectio divina. Proprio di qui scaturisce a volte una forma di perplessità anche nella preparazione delle omelie. Dove l'esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l'anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento.
Perciò per la vita e per la missione della Chiesa, per il futuro della fede, è assolutamente necessario superare questo dualismo tra esegesi e teologia. La teologia biblica e la teologia sistematica sono due dimensioni di un'unica realtà, che chiamiamo teologia. Di conseguenza, mi sembra auspicabile che in una delle proposizioni si parli della necessità di tener presenti nell'esegesi i due livelli metodologici indicati dalla Dei Verbum 12, dove si parla della necessità di sviluppare una esegesi non solo storica, ma anche teologica. Sarà quindi necessario allargare la formazione dei futuri esegeti in questo senso, per aprire realmente i tesori della Scrittura al mondo di oggi e a tutti noi.
(©L'Osservatore Romano - 19 ottobre 2008)
LA CRISI DELLE BORSE E I CRISTIANI… 18.10.2008
Robert Hughes definì “cultura del piagnisteo” quella della sinistra politically correct. Ma anche la destra reazionaria vive di geremiadi. Il piagnone sommo, Oswald Spengler, le unisce. Da questi acquitrini di lacrime, nel XX secolo, sono nati frutti avvelenati. Oggi col crollo delle Borse tornano gli apocalittici. Stanno col culo al caldo, ma annunciano il tramonto dell’Occidente. Se si voltassero (“metanoia”, convertire lo sguardo) vedrebbero l’alba di un tempo nuovo. E gente non disperata: i cristiani. Certo, c’è il partito dei distruttori, dei pescecani che hanno prodotto lo sfacelo dell’economia. Ma c’è anche il “partito dell’aratro”, di quelli che sembrano meno forti, come dice Péguy, ma che fanno la storia. Quando irruppero i barbari crollò l’impero romano e una civiltà millenaria fu travolta. L’economia crolla fino alla sussistenza, le campagne si spopolano, il continente si copre di foreste selvagge piene di lupi e briganti. Tutto sembra perduto per sempre e l’Europa regredisce all’età primitiva.
Eppure rinacque una civiltà più grande, bella e luminosa. Da alcuni uomini che cercavano Dio. L’unico che non passa, che non tramonta, l’eterna giovinezza. Lo ha spiegato il Papa, nel suo splendido discorso parigino: “non era intenzione dei monaci di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato”. Volevano semplicemente conoscere Gesù Cristo. Gustare la sua presenza che non abbandona e non delude mai: “Jesu dulcis memoria/ dans vera cordis gaudia/ sed super mele et omnia/ Ejus dulcis praesentia…”.
Era la loro unica, struggente passione. Da cui venne tutto. Per questo salvarono la cultura antica. E “inventarono” il lavoro. Gesù lavoratore aveva nobilitato il lavoro manuale, un tempo ritenuto prerogativa degli schiavi, al livello divino della preghiera. Col lavoro i monaci trasformarono l’Europa devastata e selvaggia in un giardino fertile e rigoglioso. Uno storico scrive: “Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa”, con tutto ciò che comportò in termini di alimentazione, benessere, esplosione demografica. “Educatori economici”, li definì Henri Pirenne.
Il cristianesimo spazzò via la schiavitù e svegliò l’ingegno cosicché si inventarono macchine per sfruttare l’energia idraulica che “i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni e per la conciatura”. I monaci insegnarono ai contadini a dissodare, bonificare, coltivare e irrigare, introdussero l’allevamento del bestiame e dei cavalli, l’apicoltura, la frutticoltura, i vivai di salmone in Irlanda, la fabbricazione della birra, l’invenzione del prosciutto, del formaggio e perfino dello champagne.
I cristiani inventarono gli ospedali, le università, la musica, coprirono l’Europa di cattedrali e di bellezza, inventarono la tecnologia, la scienza, la stessa libertà, l’economia moderna e la democrazia. I monaci avevano cercato solo il regno di Dio: il resto – secondo la promessa di Gesù – arrivò in sovrappiù. Fu il frutto di una liberazione dell’umano.
Il loro pensiero quotidiano era alla Gerusalemme celeste, l’incontro definitivo con Gesù. Ecco le travolgenti parole di un autore monastico del XII secolo: “Egli è il bellissimo d’aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che gli angeli desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto tutta la terra desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l’amico dei miseri, il consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il maestro dei semplici, la guida dei pellegrini, il redentore dei morti, forte ausilio di chi combatte, pio remuneratore di chi vince”.
E oggi? Oggi il mondo è pieno di nuovi monaci. I mass media non se ne accorgono, perché un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce. Potrei riempire questo giornale con i loro nomi e le loro bellissime storie. Andate in Lombardia a conoscere Lorenzo Crosta che ha creato cooperative dove lavorano un centinaio di ragazzi, con handicap fisici e mentali, pieni di umanità, sorrisi e dedizione. Andate a Teramo a vedere cosa hanno messo in piedi Ercole D’Annunzio e sua moglie, Enza Piccolroaz, partendo dal dramma di una figlia nata con una grave malattia: una delle più straordinarie strutture di riabilitazione del meridione, con un pullulare di altre opere anche di ricerca medico-scientifica. Ma penso anche ai detenuti del carcere di Padova che stanno diventando uomini nuovi e all’ultimo Meeting di Rimini hanno stupito e commosso tutti (ci hanno pure deliziato con i prodotti di pasticceria della loro Cooperativa Giotto).
Penso all’immensa opera del Banco alimentare che – nato dallo sguardo di carità di don Giussani - oggi letteralmente coinvolge milioni di italiani e dà da mangiare a un oceano di persone. E a quella stupenda cattedrale della speranza e della preghiera che è Radio Maria. E gli studenti che, invece di okkupare scuole e università dove svaccarsi, portano in giro per le strade i “cento canti” di Dante. E poi i tanti padri e madri di famiglia che sono veri eroi della speranza. E insegnanti come Mariella o Gianni che fanno scoprire ai giovani la Bellezza. E artisti pieni di fede, simpatia e talento come Francesco che ha dipinto il rosone duccesco del Duomo di Siena e si prepara a fare le vetrate della splendida cattedrale barocca di Noto. E lo scultore giapponese Etsuro Sotoo che continua l’opera di Gaudì alla “Sagrada Familia”. Guardate i silenziosi volontari che lavorano nei Centri di Aiuto alla vita. E quel fiume di straordinarie donne e uomini di Dio su ognuno dei quali si potrebbe scrivere un libro, dalle clarisse di suor Milena, a Trevi, a quelle di suor Beatrice a Perugia, alle francescane di suor Chiara ad Assisi? Penso alle suore che assistono da anni Eluana Englaro e che supplicano: “lasciatela qui, ce ne prendiamo cura noi”. E i tanti religiosi che donano tutta la loro esistenza a sostenere la speranza dei disperati.
Penso a Stefano Borgonovo, l’ex calciatore del Milan e della Fiorentina ora malato di Sla: lui, la sua bellissima famiglia, i suoi amici. Leggete su “Tracce” che umanità e che forza! E i tanti malati che offrono la loro sofferenza e così letteralmente tengono in piedi il mondo. Andate a visitare la Casa di accoglienza “Don Dante Savini”, a Perugia, che accoglie e assiste professionalmente malati terminali di Aids o di altre gravi patologie. Guardate i volti, gli occhi, dei giovani seminaristi che vivono alla Fraternità San Carlo e si preparano ad andare fino ai quattro angoli della Terra a portare il senso della vita a popoli assetati di Cristo. Non sono afflitti dal futuro dell’Occidente, perché hanno e gustano l’Eterno nel presente.
Così dissodare, irrigare, coltivare, amare, anche inventare, ingegnarsi diventano come la preghiera. Scoprite l’incredibile storia di Giuseppe Ranalli e della sua Tecnomatic che, nelle sperdute campagne dell’Abruzzo, oggi con un fatturato di 40 milioni di euro ( +32 per cento nel 2008), lavora per le maggiori case automobilistiche del mondo grazie a brevetti rivoluzionari.
E Pippo Angelico, imprenditore brianzolo della Ceccato spa (settore manifatture di precisione) che – per un’amicizia nata al Meeting del 2005 - ha deciso di andare a investire a Napoli grazie al Centro di solidarietà che lavora nel Rione Sanità e che si fa carico di tanti problemi della povera gente . O scoprite “il circolino di Crescenzago”, come lo chiama Giorgio Vittadini.
Mi fermo per mancanza di spazio (se Scalfari conoscesse tutte queste cose non avrebbe scritto ciò che ha scritto della Compagnia delle opere). Ma poi c’è il mondo. La stupefacente storia brasiliana di Cleuza e Marcos Zerbini e dei “Senza Terra”, 50 mila persone spesso nipoti di schiavi, che hanno “scoperto” Comunione e liberazione. E i missionari che in India – come spiega padre Gheddo – stanno letteralmente capovolgendo le millenarie caste, restituendo dignità a milioni di Dalit? E donne straordinarie come l’infermiera Rose che in Uganda cura i malati di Aids? E la “resurrezione” della sua amica Vicky che è stata raccontata in un film premiato al Festival di Cannes da Spike Lee? Certo, molte cose tramontano. Ma se voltate lo sguardo vedrete l’alba di un giorno che non finisce.
Antonio Socci
Da “Libero”, 17.10.2008
Da Charles Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco
“Non occorre che un acciarino per bruciare una fattoria. Occorrono degli anni per costruirla. Ci vogliono mesi e mesi, c’è voluto lavoro e ancora lavoro per far crescere una messe. E non ci vuole che un acciarino per dar fuoco a una messe. Ci vogliono anni e anni per far crescere un uomo, c’è voluto pane e ancora pane per nutrirlo, e lavoro e lavori di ogni genere. E basta un colpo per uccidere un uomo. Un colpo di sciabola e la cosa è fatta. Per fare un buon cristiano occorre che l’aratro abbia lavorato venti anni. Per disfare un cristiano occorre che la sciabola lavori un minuto.
E’ nel genere dell’aratro lavorare vent’anni. E’ nel genere della sciabola lavorare un minuto; e di fare di più: di essere la più forte. Di farla finita. Allora noi altri saremo sempre i meno forti. Andremo sempre meno veloci. Noi siamo il partito di quelli che costruiscono. Loro sono il partito di quelli che demoliscono. Noi siamo il partito dell’aratro. Loro sono il partito della sciabola”.
in un documentario le memorie del Cardinale polacco Dziwisz - «Wojtyla subì un secondo attentato» - Rivelazione choc dell'ex segretario personale: nel 1982 fu ferito con un pugnale da un prete spagnolo a Fatima
Ad appena un anno dall'attentato di Ali Agca in Piazza San Pietro, Papa Giovanni Paolo II fu vittima di una seconda aggressione. Lo rivela il cardinale polacco Stanislaw Dziwisz, per 39 anni fedele segretario personale di Karol Wojtyla, in un documentario inglese intitolato «Testimony» che racconta la vita e le opere del Papa scomparso tre anni fa. Secondo il racconto del cardinale, il prete spagnolo ultraconservatore Juan Fernandez Krohn il 12 maggio del 1982, durante la visita di Wojtila a Fatima, tentò di assassinarlo con un pugnale ferendolo leggermente. Il prete fu velocemente immobilizzato dalla polizia e arrestato. La notizia non fu mai fatta conoscere alla stampa e il Papa continuò il suo viaggio in Portogallo.
A FATIMA - Giovanni Paolo II si era recato in quei giorni al sacrario di Fatima per ringraziare la Madonna di avergli salvato la vita dopo l'attentato subito il 13 maggio dell' anno prima. «Adesso posso rivelare che il Santo Padre fu ferito» afferma nel documentario il cardinale Dziwisz. «Ricordo che quando tornammo nella stanza c'era del sangue». Il prete spagnolo passò diversi anni in una prigione portoghese e dopo aver scontato la sua pena fu espulso dal paese lusitano. Nel documentario, basato parzialmente sul libro di memorie del cardinale Dsiwisz, intitolato «Una vita con Karol» e narrato dalla voce dell'attore inglese Michael York, sono presenti anche le immagini dell’ultima apparizione pubblica di Wojtyla dallo studio che affaccia su piazza San Pietro. A causa della sua malattia Wojtyla non riuscì a parlare ai fedeli. Facendo riferimento a quest'ultimo episodio Dsiwisz afferma che Giovanni Paolo II, più tardi nella sua stanza, confessò al suo fedele segretario: «Se non posso parlare più, allora è arrivato il momento di passare a miglior vita».
PROIEZIONE - Il documentario, che sarà proiettato per la prima volta giovedi sera in Vaticano, è stato girato a Roma e in alcune città della Polonia dove Giovanni Paolo II visse durante la sua adolescente e gli anni precedenti al suo Pontificato. Il cardinale Dziwisz ha sottolineato che quest'opera su Karol Wojtyla dimostrerà «che Giovanni Paolo II non è stato dimenticato» e si dichiara orgoglioso di essere stato l'assistente di una personaggio così grande. «Karol è stato quasi un padre per me» ha concluso il cardinale polacco.
Francesco Tortora
16 ottobre 2008
Nella basilica di Lisieux la beatificazione dei genitori di santa Teresa - L'orologiaio e la merlettaia, sposi 150 anni fa - Lui orologiaio, lei merlettaia: borghesi di estrazione, santi di elezione. Sono Luigi Martin (1823-1894) e Zelia Guérin (1831-1877) - i genitori di Teresa del Bambino Gesù - che domenica 19 ottobre vengono proclamati beati nel corso di una celebrazione presieduta nella basilica di Lisieux dal cardinale José Saraiva Martins. È la seconda coppia di sposi - dopo i coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi beatificati nel 2001 da Giovanni Paolo II - a essere elevata agli onori degli altari. – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
Entrambi figli di militari, vengono educati in un ambiente disciplinato, severo, molto rigoroso e segnato da un certo giansenismo ancora strisciante nella Francia dell'epoca. Tutti e due ricevono un'educazione di impronta religiosa: presso i Fratelli delle scuole cristiane, Luigi, dalle suore dell'adorazione perpetua, Zelia. Al termine degli studi, nel momento di scegliere il suo futuro, Luigi si orienta verso l'apprendimento del mestiere di orologiaio, nonostante l'esempio del padre, noto ufficiale dell'esercito napoleonico. Zelia, invece, inizialmente aiuta la madre nella gestione del locale di famiglia. Poi si specializza nel "punto d'Alençon" presso la scuola di merletto. Nel giro di qualche anno, i suoi sforzi sono premiati: apre una modesta azienda per la produzione del merletto e ottiene un discreto successo.
Ambedue nutrono fin dall'adolescenza il desiderio di entrare in una comunità religiosa. Ci prova lui chiedendo di essere ammesso tra i canonici regolari di sant'Agostino dell'ospizio del Gran San Bernardo sulle Alpi svizzere, ma non viene accolto perché non conosce il latino. Tenta anche lei di entrare tra le Figlie della carità di san Vincenzo de' Paoli, ma comprende che non è la sua strada.
Per tre anni Luigi soggiorna a Parigi, ospite di parenti, per perfezionare la sua formazione di orologiaio. In quel periodo è sottoposto a molte sollecitazioni da parte dell'ambiente parigino percorso da spinte rivoluzionarie. Si avvicina perfino a un'associazione segreta, ma se ne allontana immediatamente. Insoddisfatto del clima che si respira nella capitale, si trasferisce ad Alençon, dove intraprende la sua attività, conducendo fino all'età di trentadue anni uno stile di vita quasi ascetico. Zelia, intanto, con gli introiti della sua azienda, mantiene tutta la famiglia vendendo merletti all'alta società parigina. L'incontro tra i due avviene nel 1858 sul ponte di san Leonardo di Alençon. Alla vista di Luigi, Zelia avverte distintamente che quello sarà l'uomo della sua vita.
Dopo pochi mesi di fidanzamento si sposano. Conducono una vita coniugale all'insegna del Vangelo, scandita dalla messa quotidiana, dalla preghiera personale e comunitaria, dalla confessione frequente, dalla partecipazione alla vita parrocchiale. Dalla loro unione nascono nove figli, quattro dei quali muoiono prematuramente. Tra le cinque figlie che sopravvivono, Teresa, la futura santa, nata nel 1873. I ricordi della carmelitana sui suoi genitori sono una fonte preziosa per comprendere la loro santità. I Martin educano le loro figlie a divenire non solo buone cristiane ma anche oneste cittadine. A 45 anni Zelia riceve la terribile notizia di avere un tumore al seno. Vive la malattia con ferma speranza cristiana fino alla morte avvenuta nell'agosto 1877.
A 54 anni Luigi si trova da solo a portare avanti la famiglia. La primogenita ha 17 anni, l'ultima, Teresa, appena quattro e mezzo. Si trasferisce allora a Lisieux, dove risiede il fratello di Zelia. In questo modo, le figlie ricevono le cure della loro zia Celina. Tra il 1882 e il 1887 Luigi accompagna tre delle sue figlie al Carmelo. Il sacrificio più grande per lui sarà di allontanarsi da Teresa che entra tra le carmelitane a soli 15 anni. Luigi viene colpito da una malattia invalidante che lo conduce alla perdita delle facoltà mentali. Viene internato nel sanatorio di Caen. Muore nel luglio 1894.
(©L'Osservatore Romano - 19 ottobre 2008)
La ricerca asservita agli interessi economici - Quando la scienza - si allontana da se stessa - di Giorgio Israel – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
"Vediam bene che "la Scienza per la Scienza" è formula vuota di contenuto sociale. E d'altra parte che il sapere può porgere alla volontà soltanto i mezzi dell'operare non i fini; che è assurdo cercare nella Scienza le norme della vita. Ma riteniamo che la volontà scientifica, all'infuori dello scopo utilitario, ponga essa stessa una norma significativa, quando riconosce, ed afferma il vero come indipendente dal timore o dal desiderio e promuove così lo sviluppo pieno della persona umana, la coscienza, oltreché la potenza, di un volere capace di riguardare al di là dei fini transitorii del presente, verso un più alto progresso futuro".
Così scriveva nel 1906 il matematico italiano Federigo Enriques nel suo più celebre libro, I problemi della scienza, declinando nel suo linguaggio di scienziato alcuni dei temi al centro del discorso di Benedetto XVI che ha suscitato polemiche in questi giorni. Dire che "è assurdo cercare nella Scienza le norme della vita" è solo un modo più forte di dire che "la scienza non è in grado di elaborare principi etici". Non è nella scienza che possiamo trovare il senso del mondo e dell'esistenza. Ma c'è un punto in cui la scienza tocca la sfera normativa, ed è quando, ponendosi "all'infuori dello scopo utilitario", si dà come obbiettivo primario la conquista della verità, e in tal modo promuove lo sviluppo della coscienza e un progresso che trascende i "fini transitorii del presente". È una dichiarazione forte contro il relativismo. Non contro l'inevitabile provvisorietà delle acquisizioni nel processo della conoscenza, che non possono ovviamente mai attingere una verità definitiva; bensì il relativismo assoluto che predica radicalmente l'inesistenza della verità - e quindi anche di un termine verso cui la scienza si proponga di tendere - e la perfetta equivalenza di tutti gli asserti, nella loro assenza di senso e nella loro totale caducità.
Certo, le cose sono cambiate da quando la scienza come attività conoscitiva ha progressivamente perduto il suo primato nei confronti degli scopi utilitari, quando le sue "applicazioni" hanno iniziato a rendersi quasi autonome, e la tecnologia - la tecnica moderna che si basa sulla scienza e ne condivide il metodo - ha lasciato il posto a quell'ibrido detto "tecnoscienza", in cui la conoscenza è talora persino di ostacolo allo sviluppo delle attività pratiche e delle realizzazioni industriali. Da quando si è profilato questo stato di cose sono iniziate le riflessioni e le polemiche sul difficile rapporto tra conoscenza e potenza pratica, sui rischi dell'asservimento della ricerca speculativa ai "fini transitorii del presente".
È ben noto il travaglio del mondo scientifico attorno al problema del rapporto con la sfera militare, che non riguardava soltanto la dimensione etica - il dibattito sulla bomba atomica - ma anche le implicazioni dell'uso militare della scienza sulle decisioni politiche e sulla vita democratica di un paese. Del resto, l'osservazione più distratta mostra come gran parte degli oggetti tecnologici che ci circondano siano derivati della tecnoscienza militare. D'altra parte, la straordinaria quantità di beni di cui sono invase le nostre società è frutto di uno sviluppo incredibilmente veloce della produzione industriale di cui la scienza e la tecnologia sono il fattore fondamentale.
Un simile sviluppo porta con sé ricchezza e l'inevitabile tentazione del guadagno e dell'interesse materiale. È ridicolo che si sia polemizzato contro il richiamo del Papa interpretandolo come un'offesa ai ricercatori universitari che guadagnano poco. Non di questo ovviamente si tratta. Sono tante le voci nel mondo scientifico (e non) che si sono levate per denunziare gli enormi interessi che gravitano attorno all'ingegneria genetica e al traffico dei brevetti: si tratta di somme vertiginose che hanno fatto della biologia la nuova big science al posto della fisica e che possono corrompere la "volontà scientifica" che pone al di sopra di tutto il fine della conoscenza disinteressata e accantonare la questione del valore morale della scelta dei fini verso cui indirizzare la ricerca.
È di pochi mesi fa un'aspra polemica scoppiata negli ambienti scientifici statunitensi a proposito di venti anni di sperperi (al ritmo di cinquecento milioni di dollari annui) nella ricerca di un vaccino contro l'Aids priva di seri fondamenti teorici. Vanno ricordate le polemiche - sempre sviluppatesi in ambito scientifico - circa gli autentici moventi delle ricerche sugli ogm (organismi geneticamente modificati), che costituirebbero, secondo alcuni, un enorme affare economico che non porta vantaggi alle popolazioni affamate del Terzo mondo.
Si potrebbe continuare con gli esempi. Si tratta di questioni note e di cui è lecito dibattere senza preconcetti, partendo dall'assunto che il problema esiste e che il rischio di una corruzione del carattere disinteressatamente speculativo della ricerca è concreto. Pare tuttavia che sia lecito parlarne soltanto da parte di chi ha una militanza scientifica ateistica e antireligiosa. Se invece un religioso si limita a sottolineare il rischio di un prevalere degli interessi materiali su quelli della conoscenza disinteressata si tratta di un nemico della scienza.
Siamo così di fronte alla più evidente conferma che è in atto da parte di taluni uno sforzo accanito per erigere un muro tra scienza e religione, nell'intento di negare a quest'ultima qualsiasi funzione nelle scelte umane e sociali. Alla scienza soltanto viene riservato il diritto di giudicare e giudicarsi e di dettare norme peraltro di carattere assolutamente relativo. Rileggendo il brano di Enriques con cui abbiamo iniziato questo articolo è facile misurare quanto questa scienza si sia allontanata da se stessa.
(©L'Osservatore Romano - 19 ottobre 2008)
NON SI SVOLGE NEI CONVEGNI LA SFIDA DECISIVA - Le filosofie del nulla vincono tra i giovani spesso ubriachi - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 18 ottobre 2008
L i abbiamo sotto gli occhi. Li vediamo storditi, eccitati e un po’ rimbambiti, per strada quasi tutte le sere, o nelle idiote notti bianche o di qualche altro colore inventate da sindaci e assessori. O nei concerti, nei bar, nei locali pulsanti di musica. Li vediamo, o non li vediamo ma li 'sappiamo', nelle feste, in quelle cose che, dài, sono cose tra ragazzi, le feste, i viaggi, le notti... Quasi il venti per cento dei nostri under 18 usa normalmente alcool e superalcolici. In Europa un giovane su quattro muore per violenze (o suicidi) legati all’alcool. Sono cresciuti fino a 61.000 gli alcool-dipendenti assistiti dai servizi sociali, il 19% per cento di più in un anno. E di questi il 15% è fatto di giovani. I nostri ragazzi bevono. Iniziano presto. E poi bevono molto, e male. Non buon vino ai pasti. O magari qualche alzata di gomito in allegria. No, un abbeverarsi di bassa lega, robetta carica di alcool, mix strani stravenduti in ogni supermercato o autogrill. E si beve solo per un motivo, in fondo, come diceva un vecchio adagio: per dimenticare. Ma cosa deve dimenticare un diciassettenne? Un sedicenne? Che spavento di vita, se c’è da doverla dimenticare così presto. Si beve per cercare l’oblìo. La parola sballo, che di solito viene usata, è inesatta. È, per così dire, troppo allegra. In questo bere tanto e bere male dei ragazzi non c’è nulla di allegro.
Girano in branco e dunque l’alcool – o altre cosette più 'forti' – serve a dare la dose di eccitazione per divertirsi. Appunto: per dimenticare che in realtà non si sta facendo quasi mai nulla di veramente divertente, gioioso. Serve un po’ di eccitazione alcolica per dimenticare non solo il passato, ma il presente un po’ idiota e ripetitivo. Bevono per dimenticare il presente. Oblìo invece di presenza. Nebbia invece di sguardo. Le filosofie del nulla non vincono nei convegni o sulle pagine patinate delle riviste glamour che grondano cinismo: le filosofie del nulla vincono nei bar, nei ritrovi dei ragazzi.
Colpiscono, come sempre, i più fragili. Lo sguardo velato di cinismo dei grandi cosiddetti maestri del pensiero della nostra epoca –quelli per cui la vita è in fondo una fregatura, da dimenticare o da impugnare contro qualcuno o qualcosa – è diventato lo sguardo annebbiato di tutti questi ragazzi. I maestri e i ragazzi pensano la stessa cosa: che la vita sia da dimenticare. Solo che i primi fanno carriere e conferenze, festival e pubblicazioni. I ragazzi invece bevono, cercano l’oblìo. Hanno tolto da davanti agli occhi dei ragazzi l’abisso di Dio e del cuore umano, l’ebbrezza dell’anima e la possibilità di perdizione. Hanno celato ciò che davvero può inebriare di vita la vita.
Hanno irriso la grandezza dell’uomo e del suo cuore. E del destino. Li hanno lasciati con ubriachezze di bassa qualità, con oblii da venerdì sera. Vedete forse qualcuno di queste grandi firme di giornali e tv, qualcuno di questi intellettuali inquieto per i nostri ragazzi? Fare ammenda? O interrogarsi con le loro firme dorate (e ben pagate)? C’è una emergenza educativa. E lo ripete l’onorevole Roccella, presentando questi dati, in vista della Conferenza nazionale dell’alcool di domani e martedì a Roma. Ma si deve pure dire che l’emergenza educativa non si può affrontare senza accusare e combattere i cosiddetti maestri del pensiero propagandati come tali da libri e tv e giornali. L’emergenza educativa comporta anche una lotta. Si tratta di criticare culturalmente e socialmente i maestri che, coi loro occhi velati di cinismo, si sporgono da ogni pulpito, on line, radiofonico, televisivo, libresco e scolastico, ad affermare che la vita va dimenticata. E che nulla della vita rende 'ebbri', cioè allegri: né Dio, né l’amore, né l’arte. Ubriacatevi sempre, diceva invece Baudelaire. E intendeva di vita intensa, sentita nelle sue grandi e rischiose dimensioni. Occorrono luoghi dove i ragazzi scoprano la vita piena, come rischio e avventura. Dove avvertano come odiosa la ricerca dell’oblio, e dell’allegria finta e velenosa.
19/10/2008 10:50 - VATICANO-ORTODOSSIA - Bartolomeo: parlare al Sinodo, “un evento unico e di straordinaria importanza” - Soddisfazione del Patriarca ecumenico che ieri ha ribadito l’importanza delle conclusioni dell’incontro di Ravenna tra catttolici ed ortodossi, nel quale si è affermato che l’interdipendenza tra primato e collegialità caratterizza tutti i livelli della vita nella Chiesa, locale, regionale e universale.
Roma (AsiaNews) - “Soddisfazione” per aver partecipato al sinodo dei vescovi cattolici su invito dil Papa Benedetto XVI è stata espressa oggi dal patriarca ecumenico Bartolomeo poco prima della sua partenza per Costantinopoli. “Un evento unico e di straordinaria importanza” che s è svolto nella suggestiva cornice della Cappella Sistina sotto l’affresco michelangelesco del Giudizio universale, proprio in un momento in cui imperversa sul mondo una crisi politico, economica, sociale e morale assai grave.
La rifelssione del Patriarca, dedicata alla parola di Dio nella vita e la missione la Chiesa era sudivisa in due parti .La prima era impostata sullo spirito di Ravenna, punto focale del dialogo nel cammino per l’unità tra cattolici ed ortodossi, mentre la seconda era dedicata ad alcune considerazioni di interdipendenza tra la parola Dio ed alcuni aspetti di vita sociale, Ambedue le parti hanno tratto spunto ed erano ispirate ai grandi padri della Chiesa universale unita.
Bartolomeo ha iniziato ringraziando il Papa per aver dato per la prima volta l’opportunità ad un Patriarca Ecumenico di partecipare a questi lavori e di considerarsi quindi parte nella vita della Chiesa sorella, per parlare dell’importanza della collegialità e il ruolo del primato in questo contesto. E’ ben conosciuto, ha iniziato Bartolomeo che nella Chiesa ortodossa il concetto di collegialità è di fondamentale importanzan dal punto di vista ecclessiologico. Il primato nel contesto sinodale costituisce la pietra miliare del governo e della organizzazione della Chiesa .Secondo il documento di Ravenna l’interdipendenza tra primato e collegialità caratterizza tutti i livelli della vita nella Chiesa, locale, regionale e universale.
“Il fatto stesso di aver il privilegio di rivolgersi nel vostro sinodo – ha sottolineato - significa che verrà quel giorno nel quale le due nostre Chiese convergeranno nel contesto del primato nella collegialità, oggetto di discussione della nostra commissione mista per il dialogo. Il compito della missione e dell’evangelizzazione, caratteristica della Chiesa apostolica in tutti i tempi, sarebbe naturalmente rinforzato se fosse attuato da una Chiesa cristiana pienamente unita e con una sola voce.
La seconda parte della riflessione di Bartolomeo è stata centrata sull’ascolto e lo studio della parola di Dio attraverso le scritture, sull’importanza dell’iconografia e della vita sacramentale. San Giovanni Crisostomo spiega, ha detto Bartolomeo, che la Parola divina dimostra profondo rispetto e comprensione per la diversità culturale ed umana, per ascoltarla e riceverla. Adattare la Parola di Dio al particolare contesto culturale è quello che ha sempre caratterizzato la dimensione missionaria della Chiesa, che viene chiamata a trasformare il mondo tramite la Parola di Dio.Di conseguenza, ha continuato Bartolomeo, come discepoli della parola di Dio, diventa oggi più che mai imperativo combattere il razzismo e i fondamentalismi, sradicare la povertà e sviluppare la tolleranza per ristabilire l’equità. Passando poi ad illustrare l’importanza e il significato delle icone, il Patriarca Ecumenico ha detto che esse hanno una importante dimensione antropologica ed ecologica .Perchè con esse si vuol ricordare alla missione della Chiesa che tutto il creato ha lo scopo finale di raggiungere la perfezione. Di conseguenza qualsiasi nostra presa presa di posizione negativa nei confronti dell’iconografia avrà delle ripercussione negative anche nella valutazione e considerazione del rapporto tra uomo e ambiente.
Parlando infine della vita sacramentale, Bartolomeo ha detto che l’Eucaristia non rappresenta soltanto un aspetto escatologico, ma ha in sé anche una dimensione sociale. L’Eucaristia non può essere isolata, staccata dalla realtà sociale e il suo divenire. L’uomo deve applicarsi nella sua vita quotidiana la parola di Dio, combattendo così contro le ingiustizie sociali, la povertà, le guerre, l’abuso e il cattivo uso delle risorse naturali, causa della distruzione ambientale. E ha concluso che la vittoria è gia presente nel profondo della Chiesa ogni volta che proviamo la grazia della riconciliazione e della comunione. “Quando lottiamo con la potenza della croce si comincia allora di apprezzare i frutti della giustizia e della bellezza”.
1) 19/10/2008 12:40 – VATICANO - Papa: a Pompei per affidare alla Madonna il Sinodo e i missionari - In pellegrinaggio al santuario dedicato alla Vergine del Rosario, Benedetto XVI parla del “ruolo di Maria”, che “impersona il popolo che lui si è scelto per irradiare la sua benedizione su tutta la famiglia umana”. Ricordando la vita del beato Bartolo Longo, il Papa rileva che anticlericalismo e superstizioni non mancano ai nostri giorni
2) Il testo dell'intervento pronunciato martedì da Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi - Esegesi non solo storica ma teologica - per il futuro della fede - Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI nell'Aula del Sinodo martedì mattina, 14 ottobre, durante la quattordicesima congregazione generale. – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
3) LA CRISI DELLE BORSE E I CRISTIANI… 18.10.2008, Antonio Socci
4) in un documentario le memorie del Cardinale polacco Dziwisz - «Wojtyla subì un secondo attentato» - Rivelazione choc dell'ex segretario personale: nel 1982 fu ferito con un pugnale da un prete spagnolo a Fatima
5) Nella basilica di Lisieux la beatificazione dei genitori di santa Teresa - L'orologiaio e la merlettaia, sposi 150 anni fa - Lui orologiaio, lei merlettaia: borghesi di estrazione, santi di elezione. Sono Luigi Martin (1823-1894) e Zelia Guérin (1831-1877) - i genitori di Teresa del Bambino Gesù - che domenica 19 ottobre vengono proclamati beati nel corso di una celebrazione presieduta nella basilica di Lisieux dal cardinale José Saraiva Martins. È la seconda coppia di sposi - dopo i coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi beatificati nel 2001 da Giovanni Paolo II - a essere elevata agli onori degli altari. – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
6) La ricerca asservita agli interessi economici - Quando la scienza - si allontana da se stessa - di Giorgio Israel – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
7) NON SI SVOLGE NEI CONVEGNI LA SFIDA DECISIVA - Le filosofie del nulla vincono tra i giovani spesso ubriachi - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 18 ottobre 2008
8) 19/10/2008 10:50 - VATICANO-ORTODOSSIA - Bartolomeo: parlare al Sinodo, “un evento unico e di straordinaria importanza” - Soddisfazione del Patriarca ecumenico che ieri ha ribadito l’importanza delle conclusioni dell’incontro di Ravenna tra catttolici ed ortodossi, nel quale si è affermato che l’interdipendenza tra primato e collegialità caratterizza tutti i livelli della vita nella Chiesa, locale, regionale e universale.
19/10/2008 12:40 – VATICANO - Papa: a Pompei per affidare alla Madonna il Sinodo e i missionari - In pellegrinaggio al santuario dedicato alla Vergine del Rosario, Benedetto XVI parla del “ruolo di Maria”, che “impersona il popolo che lui si è scelto per irradiare la sua benedizione su tutta la famiglia umana”. Ricordando la vita del beato Bartolo Longo, il Papa rileva che anticlericalismo e superstizioni non mancano ai nostri giorni.
Pompei (AsiaNews) – Affidare il Sinodo sulla Parola di Dio a Maria, “nel cui grembo il Verbo si è fatto carne”, “perché possa portare frutti di autentico rinnovamento in ogni comunità cristiana” e raccomandare la preghiera per quanti “spendono le loro energie a servizio dell’annuncio del Vangelo a tutte le nazioni”. Sono le ragioni del pellegrinaggio che Benedetto XVI ha compiuto oggi a Pompei, la cittadina vicino Napoli rinata nel secolo scorso intorno al santuario qui voluto dal beato Bartolo Longo e dedicato in modo particolare al Rosario, che oggi il Papa ha definito “dono singolare di Maria”. Una preghiera alla quale è dedicato il santuario voluto da un uomo che in gioventù fu “un militante anticlericale” e si dette anche “a pratiche spiritistiche e superstiziose”, “tendenze che non mancano nei nostri giorni”.
Decine di migliaia di persone dalle prime ore della giornata si sono riunite nella grande pazza che fronteggia il santuario, per prendere parte alla messa celebrata da Benedetto XVI, venuto, “sulle orme” di Giovanni Paolo II, “in particolare, per affidare alla Madre di Dio, nel cui grembo il Verbo si è fatto carne, l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi in corso in Vaticano sul tema della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”.
“La mia visita – ha detto subito dopo - coincide anche con la Giornata missionaria mondiale: contemplando in Maria Colei che ha accolto in sé il Verbo di Dio e lo ha donato al mondo, pregheremo in questa Messa per quanti nella Chiesa spendono le loro energie a servizio dell’annuncio del Vangelo a tutte le nazioni”. “In questo mese di ottobre, mese missionario e del Rosario – ha aggiunto al termiine della messa, prima della recita del’Angelus - quanti fedeli e quante comunità offrono il santo Rosario per i missionari e per l’evangelizzazione! Sono pertanto lieto di trovarmi proprio oggi, in questa ricorrenza, qui a Pompei, nel più importante Santuario dedicato alla Beata Vergine del Santo Rosario. Ciò infatti mi dà modo di sottolineare con maggior forza che il primo impegno missionario di ciascuno di noi è proprio la preghiera. E’ innanzitutto pregando che si prepara la via al Vangelo; è pregando che si aprono i cuori al mistero di Dio e si dispongono gli animi ad accogliere la sua Parola di salvezza”.
Durante la messa, illustrando l’episodio evangelico delle nozze di Cana, il Papa ha evidenziato il “ruolo di Maria, che viene detta all’inizio ‘la madre di Gesù’, ma che poi il Figlio stesso chiama ‘donna’, anteponendo alla parentela il legame spirituale, secondo il quale Maria impersona appunto la sposa amata del Signore, cioè il popolo che lui si è scelto per irradiare la sua benedizione su tutta la famiglia umana”.
Il fondatore della “nuova Pompei”, Bartolo Longo, è sttao ricordato dal Papa anche perché “la vicenda della sua crisi spirituale e della sua conversione appare oggi di grande attualità. Egli infatti, nel periodo degli studi universitari a Napoli, influenzato da filosofi immanentisti e positivisti, si era allontanato dalla fede cristiana diventando un militante anticlericale e dandosi anche a pratiche spiritistiche e superstiziose. La sua conversione, con la scoperta del vero volto di Dio, contiene un messaggio molto eloquente per noi, perché purtroppo simili tendenze non mancano nei nostri giorni. In questo Anno Paolino mi piace sottolineare che anche Bartolo Longo, come san Paolo, fu trasformato da persecutore in apostolo: apostolo della fede cristiana, del culto mariano e, in particolare, del Rosario, in cui egli trovò una sintesi di tutto il Vangelo”. Ma proprio la sua conversione rappresenta “una dimostrazione storica di come Dio trasforma il mondo: ricolmando di carità il cuore dell’uomo e facendone un ‘motore’ di rinnovamento religioso e sociale. Pompei è un esempio di come la fede può operare nella città dell’uomo, suscitando apostoli di carità che si pongono al servizio dei piccoli e dei poveri, ed agiscono perché anche gli ultimi siano rispettati nella loro dignità e trovino accoglienza e promozione”.
Al termine della messa, prima dell’Angelus, il Papa ha recitato la Supplica alla Madonna di Pompei, che si conclude con l’offerta della “Rosa d’oro” alla Madonna.
Un pensiero, infine, prima dell’Angelus, il Papa ha dedicato alla beatificazione, proprio oggi, a Lisieux, di Louis Martin e Zélie Guérin, genitori di santa Teresa di Gesù Bambino, dichiarata da Pio XI patrona delle missioni. “Pensando alla beatificazione dei coniugi Martin, mi è caro richiamare un’altra intenzione, che mi sta tanto a cuore: la famiglia, il cui ruolo è fondamentale nell’educazione dei figli ad uno spirito universale, aperto e responsabile verso il mondo e i suoi problemi, come pure nella formazione delle vocazioni alla vita missionaria”.
Il testo dell'intervento pronunciato martedì da Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi - Esegesi non solo storica ma teologica - per il futuro della fede - Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI nell'Aula del Sinodo martedì mattina, 14 ottobre, durante la quattordicesima congregazione generale. – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
Cari fratelli e sorelle, il lavoro per il mio libro su Gesù offre ampiamente l'occasione per vedere tutto il bene che ci viene dall'esegesi moderna, ma anche per riconoscerne i problemi e i rischi. La Dei Verbum 12 offre due indicazioni metodologiche per un adeguato lavoro esegetico. In primo luogo, conferma la necessità dell'uso del metodo storico-critico, di cui descrive brevemente gli elementi essenziali. Questa necessità è la conseguenza del principio cristiano formulato in Gv 1, 14 Verbum caro factum est. Il fatto storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica.
Tuttavia, questa storia ha un'altra dimensione, quella dell'azione divina. Di conseguenza la Dei Verbum parla di un secondo livello metodologico necessario per una interpretazione giusta delle parole, che sono nello stesso tempo parole umane e Parola divina. Il Concilio dice, seguendo una regola fondamentale di ogni interpretazione di un testo letterario, che la Scrittura è da interpretare nello stesso spirito nel quale è stata scritta ed indica di conseguenza tre elementi metodologici fondamentali al fine di tener conto della dimensione divina, pneumatologica della Bibbia: si deve cioè 1) interpretare il testo tenendo presente l'unità di tutta la Scrittura; questo oggi si chiama esegesi canonica; al tempo del Concilio questo termine non era stato ancora creato, ma il Concilio dice la stessa cosa: occorre tener presente l'unità di tutta la Scrittura; 2) si deve poi tener presente la viva tradizione di tutta la Chiesa, e finalmente 3) bisogna osservare l'analogia della fede. Solo dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di una esegesi teologica - di una esegesi adeguata a questo Libro. Mentre circa il primo livello l'attuale esegesi accademica lavora ad un altissimo livello e ci dona realmente aiuto, la stessa cosa non si può dire circa l'altro livello. Spesso questo secondo livello, il livello costituito dai tre elementi teologici indicati dalla Dei Verbum, appare quasi assente. E questo ha conseguenze piuttosto gravi.
La prima conseguenza dell'assenza di questo secondo livello metodologico è che la Bibbia diventa un libro solo del passato. Si possono trarre da esso conseguenze morali, si può imparare la storia, ma il Libro come tale parla solo del passato e l'esegesi non è più realmente teologica, ma diventa pura storiografia, storia della letteratura. Questa è la prima conseguenza: la Bibbia resta nel passato, parla solo del passato. C'è anche una seconda conseguenza ancora più grave: dove scompare l'ermeneutica della fede indicata dalla Dei Verbum, appare necessariamente un altro tipo di ermeneutica, un'ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana. Secondo tale ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, si deve spiegare da dove viene tale impressione e ridurre tutto all'elemento umano. Di conseguenza, si propongono interpretazioni che negano la storicità degli elementi divini. Oggi il cosiddetto mainstream dell'esegesi in Germania nega, per esempio, che il Signore abbia istituito la Santa Eucaristia e dice che la salma di Gesù sarebbe rimasta nella tomba. La Resurrezione non sarebbe un avvenimento storico, ma una visione teologica. Questo avviene perché manca un'ermeneutica della fede: si afferma allora un'ermeneutica filosofica profana, che nega la possibilità dell'ingresso e della presenza reale del Divino nella storia. La conseguenza dell'assenza del secondo livello metodologico è che si è creato un profondo fossato tra esegesi scientifica e Lectio divina. Proprio di qui scaturisce a volte una forma di perplessità anche nella preparazione delle omelie. Dove l'esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l'anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento.
Perciò per la vita e per la missione della Chiesa, per il futuro della fede, è assolutamente necessario superare questo dualismo tra esegesi e teologia. La teologia biblica e la teologia sistematica sono due dimensioni di un'unica realtà, che chiamiamo teologia. Di conseguenza, mi sembra auspicabile che in una delle proposizioni si parli della necessità di tener presenti nell'esegesi i due livelli metodologici indicati dalla Dei Verbum 12, dove si parla della necessità di sviluppare una esegesi non solo storica, ma anche teologica. Sarà quindi necessario allargare la formazione dei futuri esegeti in questo senso, per aprire realmente i tesori della Scrittura al mondo di oggi e a tutti noi.
(©L'Osservatore Romano - 19 ottobre 2008)
LA CRISI DELLE BORSE E I CRISTIANI… 18.10.2008
Robert Hughes definì “cultura del piagnisteo” quella della sinistra politically correct. Ma anche la destra reazionaria vive di geremiadi. Il piagnone sommo, Oswald Spengler, le unisce. Da questi acquitrini di lacrime, nel XX secolo, sono nati frutti avvelenati. Oggi col crollo delle Borse tornano gli apocalittici. Stanno col culo al caldo, ma annunciano il tramonto dell’Occidente. Se si voltassero (“metanoia”, convertire lo sguardo) vedrebbero l’alba di un tempo nuovo. E gente non disperata: i cristiani. Certo, c’è il partito dei distruttori, dei pescecani che hanno prodotto lo sfacelo dell’economia. Ma c’è anche il “partito dell’aratro”, di quelli che sembrano meno forti, come dice Péguy, ma che fanno la storia. Quando irruppero i barbari crollò l’impero romano e una civiltà millenaria fu travolta. L’economia crolla fino alla sussistenza, le campagne si spopolano, il continente si copre di foreste selvagge piene di lupi e briganti. Tutto sembra perduto per sempre e l’Europa regredisce all’età primitiva.
Eppure rinacque una civiltà più grande, bella e luminosa. Da alcuni uomini che cercavano Dio. L’unico che non passa, che non tramonta, l’eterna giovinezza. Lo ha spiegato il Papa, nel suo splendido discorso parigino: “non era intenzione dei monaci di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato”. Volevano semplicemente conoscere Gesù Cristo. Gustare la sua presenza che non abbandona e non delude mai: “Jesu dulcis memoria/ dans vera cordis gaudia/ sed super mele et omnia/ Ejus dulcis praesentia…”.
Era la loro unica, struggente passione. Da cui venne tutto. Per questo salvarono la cultura antica. E “inventarono” il lavoro. Gesù lavoratore aveva nobilitato il lavoro manuale, un tempo ritenuto prerogativa degli schiavi, al livello divino della preghiera. Col lavoro i monaci trasformarono l’Europa devastata e selvaggia in un giardino fertile e rigoglioso. Uno storico scrive: “Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa”, con tutto ciò che comportò in termini di alimentazione, benessere, esplosione demografica. “Educatori economici”, li definì Henri Pirenne.
Il cristianesimo spazzò via la schiavitù e svegliò l’ingegno cosicché si inventarono macchine per sfruttare l’energia idraulica che “i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni e per la conciatura”. I monaci insegnarono ai contadini a dissodare, bonificare, coltivare e irrigare, introdussero l’allevamento del bestiame e dei cavalli, l’apicoltura, la frutticoltura, i vivai di salmone in Irlanda, la fabbricazione della birra, l’invenzione del prosciutto, del formaggio e perfino dello champagne.
I cristiani inventarono gli ospedali, le università, la musica, coprirono l’Europa di cattedrali e di bellezza, inventarono la tecnologia, la scienza, la stessa libertà, l’economia moderna e la democrazia. I monaci avevano cercato solo il regno di Dio: il resto – secondo la promessa di Gesù – arrivò in sovrappiù. Fu il frutto di una liberazione dell’umano.
Il loro pensiero quotidiano era alla Gerusalemme celeste, l’incontro definitivo con Gesù. Ecco le travolgenti parole di un autore monastico del XII secolo: “Egli è il bellissimo d’aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che gli angeli desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto tutta la terra desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l’amico dei miseri, il consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il maestro dei semplici, la guida dei pellegrini, il redentore dei morti, forte ausilio di chi combatte, pio remuneratore di chi vince”.
E oggi? Oggi il mondo è pieno di nuovi monaci. I mass media non se ne accorgono, perché un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce. Potrei riempire questo giornale con i loro nomi e le loro bellissime storie. Andate in Lombardia a conoscere Lorenzo Crosta che ha creato cooperative dove lavorano un centinaio di ragazzi, con handicap fisici e mentali, pieni di umanità, sorrisi e dedizione. Andate a Teramo a vedere cosa hanno messo in piedi Ercole D’Annunzio e sua moglie, Enza Piccolroaz, partendo dal dramma di una figlia nata con una grave malattia: una delle più straordinarie strutture di riabilitazione del meridione, con un pullulare di altre opere anche di ricerca medico-scientifica. Ma penso anche ai detenuti del carcere di Padova che stanno diventando uomini nuovi e all’ultimo Meeting di Rimini hanno stupito e commosso tutti (ci hanno pure deliziato con i prodotti di pasticceria della loro Cooperativa Giotto).
Penso all’immensa opera del Banco alimentare che – nato dallo sguardo di carità di don Giussani - oggi letteralmente coinvolge milioni di italiani e dà da mangiare a un oceano di persone. E a quella stupenda cattedrale della speranza e della preghiera che è Radio Maria. E gli studenti che, invece di okkupare scuole e università dove svaccarsi, portano in giro per le strade i “cento canti” di Dante. E poi i tanti padri e madri di famiglia che sono veri eroi della speranza. E insegnanti come Mariella o Gianni che fanno scoprire ai giovani la Bellezza. E artisti pieni di fede, simpatia e talento come Francesco che ha dipinto il rosone duccesco del Duomo di Siena e si prepara a fare le vetrate della splendida cattedrale barocca di Noto. E lo scultore giapponese Etsuro Sotoo che continua l’opera di Gaudì alla “Sagrada Familia”. Guardate i silenziosi volontari che lavorano nei Centri di Aiuto alla vita. E quel fiume di straordinarie donne e uomini di Dio su ognuno dei quali si potrebbe scrivere un libro, dalle clarisse di suor Milena, a Trevi, a quelle di suor Beatrice a Perugia, alle francescane di suor Chiara ad Assisi? Penso alle suore che assistono da anni Eluana Englaro e che supplicano: “lasciatela qui, ce ne prendiamo cura noi”. E i tanti religiosi che donano tutta la loro esistenza a sostenere la speranza dei disperati.
Penso a Stefano Borgonovo, l’ex calciatore del Milan e della Fiorentina ora malato di Sla: lui, la sua bellissima famiglia, i suoi amici. Leggete su “Tracce” che umanità e che forza! E i tanti malati che offrono la loro sofferenza e così letteralmente tengono in piedi il mondo. Andate a visitare la Casa di accoglienza “Don Dante Savini”, a Perugia, che accoglie e assiste professionalmente malati terminali di Aids o di altre gravi patologie. Guardate i volti, gli occhi, dei giovani seminaristi che vivono alla Fraternità San Carlo e si preparano ad andare fino ai quattro angoli della Terra a portare il senso della vita a popoli assetati di Cristo. Non sono afflitti dal futuro dell’Occidente, perché hanno e gustano l’Eterno nel presente.
Così dissodare, irrigare, coltivare, amare, anche inventare, ingegnarsi diventano come la preghiera. Scoprite l’incredibile storia di Giuseppe Ranalli e della sua Tecnomatic che, nelle sperdute campagne dell’Abruzzo, oggi con un fatturato di 40 milioni di euro ( +32 per cento nel 2008), lavora per le maggiori case automobilistiche del mondo grazie a brevetti rivoluzionari.
E Pippo Angelico, imprenditore brianzolo della Ceccato spa (settore manifatture di precisione) che – per un’amicizia nata al Meeting del 2005 - ha deciso di andare a investire a Napoli grazie al Centro di solidarietà che lavora nel Rione Sanità e che si fa carico di tanti problemi della povera gente . O scoprite “il circolino di Crescenzago”, come lo chiama Giorgio Vittadini.
Mi fermo per mancanza di spazio (se Scalfari conoscesse tutte queste cose non avrebbe scritto ciò che ha scritto della Compagnia delle opere). Ma poi c’è il mondo. La stupefacente storia brasiliana di Cleuza e Marcos Zerbini e dei “Senza Terra”, 50 mila persone spesso nipoti di schiavi, che hanno “scoperto” Comunione e liberazione. E i missionari che in India – come spiega padre Gheddo – stanno letteralmente capovolgendo le millenarie caste, restituendo dignità a milioni di Dalit? E donne straordinarie come l’infermiera Rose che in Uganda cura i malati di Aids? E la “resurrezione” della sua amica Vicky che è stata raccontata in un film premiato al Festival di Cannes da Spike Lee? Certo, molte cose tramontano. Ma se voltate lo sguardo vedrete l’alba di un giorno che non finisce.
Antonio Socci
Da “Libero”, 17.10.2008
Da Charles Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco
“Non occorre che un acciarino per bruciare una fattoria. Occorrono degli anni per costruirla. Ci vogliono mesi e mesi, c’è voluto lavoro e ancora lavoro per far crescere una messe. E non ci vuole che un acciarino per dar fuoco a una messe. Ci vogliono anni e anni per far crescere un uomo, c’è voluto pane e ancora pane per nutrirlo, e lavoro e lavori di ogni genere. E basta un colpo per uccidere un uomo. Un colpo di sciabola e la cosa è fatta. Per fare un buon cristiano occorre che l’aratro abbia lavorato venti anni. Per disfare un cristiano occorre che la sciabola lavori un minuto.
E’ nel genere dell’aratro lavorare vent’anni. E’ nel genere della sciabola lavorare un minuto; e di fare di più: di essere la più forte. Di farla finita. Allora noi altri saremo sempre i meno forti. Andremo sempre meno veloci. Noi siamo il partito di quelli che costruiscono. Loro sono il partito di quelli che demoliscono. Noi siamo il partito dell’aratro. Loro sono il partito della sciabola”.
in un documentario le memorie del Cardinale polacco Dziwisz - «Wojtyla subì un secondo attentato» - Rivelazione choc dell'ex segretario personale: nel 1982 fu ferito con un pugnale da un prete spagnolo a Fatima
Ad appena un anno dall'attentato di Ali Agca in Piazza San Pietro, Papa Giovanni Paolo II fu vittima di una seconda aggressione. Lo rivela il cardinale polacco Stanislaw Dziwisz, per 39 anni fedele segretario personale di Karol Wojtyla, in un documentario inglese intitolato «Testimony» che racconta la vita e le opere del Papa scomparso tre anni fa. Secondo il racconto del cardinale, il prete spagnolo ultraconservatore Juan Fernandez Krohn il 12 maggio del 1982, durante la visita di Wojtila a Fatima, tentò di assassinarlo con un pugnale ferendolo leggermente. Il prete fu velocemente immobilizzato dalla polizia e arrestato. La notizia non fu mai fatta conoscere alla stampa e il Papa continuò il suo viaggio in Portogallo.
A FATIMA - Giovanni Paolo II si era recato in quei giorni al sacrario di Fatima per ringraziare la Madonna di avergli salvato la vita dopo l'attentato subito il 13 maggio dell' anno prima. «Adesso posso rivelare che il Santo Padre fu ferito» afferma nel documentario il cardinale Dziwisz. «Ricordo che quando tornammo nella stanza c'era del sangue». Il prete spagnolo passò diversi anni in una prigione portoghese e dopo aver scontato la sua pena fu espulso dal paese lusitano. Nel documentario, basato parzialmente sul libro di memorie del cardinale Dsiwisz, intitolato «Una vita con Karol» e narrato dalla voce dell'attore inglese Michael York, sono presenti anche le immagini dell’ultima apparizione pubblica di Wojtyla dallo studio che affaccia su piazza San Pietro. A causa della sua malattia Wojtyla non riuscì a parlare ai fedeli. Facendo riferimento a quest'ultimo episodio Dsiwisz afferma che Giovanni Paolo II, più tardi nella sua stanza, confessò al suo fedele segretario: «Se non posso parlare più, allora è arrivato il momento di passare a miglior vita».
PROIEZIONE - Il documentario, che sarà proiettato per la prima volta giovedi sera in Vaticano, è stato girato a Roma e in alcune città della Polonia dove Giovanni Paolo II visse durante la sua adolescente e gli anni precedenti al suo Pontificato. Il cardinale Dziwisz ha sottolineato che quest'opera su Karol Wojtyla dimostrerà «che Giovanni Paolo II non è stato dimenticato» e si dichiara orgoglioso di essere stato l'assistente di una personaggio così grande. «Karol è stato quasi un padre per me» ha concluso il cardinale polacco.
Francesco Tortora
16 ottobre 2008
Nella basilica di Lisieux la beatificazione dei genitori di santa Teresa - L'orologiaio e la merlettaia, sposi 150 anni fa - Lui orologiaio, lei merlettaia: borghesi di estrazione, santi di elezione. Sono Luigi Martin (1823-1894) e Zelia Guérin (1831-1877) - i genitori di Teresa del Bambino Gesù - che domenica 19 ottobre vengono proclamati beati nel corso di una celebrazione presieduta nella basilica di Lisieux dal cardinale José Saraiva Martins. È la seconda coppia di sposi - dopo i coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi beatificati nel 2001 da Giovanni Paolo II - a essere elevata agli onori degli altari. – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
Entrambi figli di militari, vengono educati in un ambiente disciplinato, severo, molto rigoroso e segnato da un certo giansenismo ancora strisciante nella Francia dell'epoca. Tutti e due ricevono un'educazione di impronta religiosa: presso i Fratelli delle scuole cristiane, Luigi, dalle suore dell'adorazione perpetua, Zelia. Al termine degli studi, nel momento di scegliere il suo futuro, Luigi si orienta verso l'apprendimento del mestiere di orologiaio, nonostante l'esempio del padre, noto ufficiale dell'esercito napoleonico. Zelia, invece, inizialmente aiuta la madre nella gestione del locale di famiglia. Poi si specializza nel "punto d'Alençon" presso la scuola di merletto. Nel giro di qualche anno, i suoi sforzi sono premiati: apre una modesta azienda per la produzione del merletto e ottiene un discreto successo.
Ambedue nutrono fin dall'adolescenza il desiderio di entrare in una comunità religiosa. Ci prova lui chiedendo di essere ammesso tra i canonici regolari di sant'Agostino dell'ospizio del Gran San Bernardo sulle Alpi svizzere, ma non viene accolto perché non conosce il latino. Tenta anche lei di entrare tra le Figlie della carità di san Vincenzo de' Paoli, ma comprende che non è la sua strada.
Per tre anni Luigi soggiorna a Parigi, ospite di parenti, per perfezionare la sua formazione di orologiaio. In quel periodo è sottoposto a molte sollecitazioni da parte dell'ambiente parigino percorso da spinte rivoluzionarie. Si avvicina perfino a un'associazione segreta, ma se ne allontana immediatamente. Insoddisfatto del clima che si respira nella capitale, si trasferisce ad Alençon, dove intraprende la sua attività, conducendo fino all'età di trentadue anni uno stile di vita quasi ascetico. Zelia, intanto, con gli introiti della sua azienda, mantiene tutta la famiglia vendendo merletti all'alta società parigina. L'incontro tra i due avviene nel 1858 sul ponte di san Leonardo di Alençon. Alla vista di Luigi, Zelia avverte distintamente che quello sarà l'uomo della sua vita.
Dopo pochi mesi di fidanzamento si sposano. Conducono una vita coniugale all'insegna del Vangelo, scandita dalla messa quotidiana, dalla preghiera personale e comunitaria, dalla confessione frequente, dalla partecipazione alla vita parrocchiale. Dalla loro unione nascono nove figli, quattro dei quali muoiono prematuramente. Tra le cinque figlie che sopravvivono, Teresa, la futura santa, nata nel 1873. I ricordi della carmelitana sui suoi genitori sono una fonte preziosa per comprendere la loro santità. I Martin educano le loro figlie a divenire non solo buone cristiane ma anche oneste cittadine. A 45 anni Zelia riceve la terribile notizia di avere un tumore al seno. Vive la malattia con ferma speranza cristiana fino alla morte avvenuta nell'agosto 1877.
A 54 anni Luigi si trova da solo a portare avanti la famiglia. La primogenita ha 17 anni, l'ultima, Teresa, appena quattro e mezzo. Si trasferisce allora a Lisieux, dove risiede il fratello di Zelia. In questo modo, le figlie ricevono le cure della loro zia Celina. Tra il 1882 e il 1887 Luigi accompagna tre delle sue figlie al Carmelo. Il sacrificio più grande per lui sarà di allontanarsi da Teresa che entra tra le carmelitane a soli 15 anni. Luigi viene colpito da una malattia invalidante che lo conduce alla perdita delle facoltà mentali. Viene internato nel sanatorio di Caen. Muore nel luglio 1894.
(©L'Osservatore Romano - 19 ottobre 2008)
La ricerca asservita agli interessi economici - Quando la scienza - si allontana da se stessa - di Giorgio Israel – L’Osservatore Romano, 19 ottobre 2008
"Vediam bene che "la Scienza per la Scienza" è formula vuota di contenuto sociale. E d'altra parte che il sapere può porgere alla volontà soltanto i mezzi dell'operare non i fini; che è assurdo cercare nella Scienza le norme della vita. Ma riteniamo che la volontà scientifica, all'infuori dello scopo utilitario, ponga essa stessa una norma significativa, quando riconosce, ed afferma il vero come indipendente dal timore o dal desiderio e promuove così lo sviluppo pieno della persona umana, la coscienza, oltreché la potenza, di un volere capace di riguardare al di là dei fini transitorii del presente, verso un più alto progresso futuro".
Così scriveva nel 1906 il matematico italiano Federigo Enriques nel suo più celebre libro, I problemi della scienza, declinando nel suo linguaggio di scienziato alcuni dei temi al centro del discorso di Benedetto XVI che ha suscitato polemiche in questi giorni. Dire che "è assurdo cercare nella Scienza le norme della vita" è solo un modo più forte di dire che "la scienza non è in grado di elaborare principi etici". Non è nella scienza che possiamo trovare il senso del mondo e dell'esistenza. Ma c'è un punto in cui la scienza tocca la sfera normativa, ed è quando, ponendosi "all'infuori dello scopo utilitario", si dà come obbiettivo primario la conquista della verità, e in tal modo promuove lo sviluppo della coscienza e un progresso che trascende i "fini transitorii del presente". È una dichiarazione forte contro il relativismo. Non contro l'inevitabile provvisorietà delle acquisizioni nel processo della conoscenza, che non possono ovviamente mai attingere una verità definitiva; bensì il relativismo assoluto che predica radicalmente l'inesistenza della verità - e quindi anche di un termine verso cui la scienza si proponga di tendere - e la perfetta equivalenza di tutti gli asserti, nella loro assenza di senso e nella loro totale caducità.
Certo, le cose sono cambiate da quando la scienza come attività conoscitiva ha progressivamente perduto il suo primato nei confronti degli scopi utilitari, quando le sue "applicazioni" hanno iniziato a rendersi quasi autonome, e la tecnologia - la tecnica moderna che si basa sulla scienza e ne condivide il metodo - ha lasciato il posto a quell'ibrido detto "tecnoscienza", in cui la conoscenza è talora persino di ostacolo allo sviluppo delle attività pratiche e delle realizzazioni industriali. Da quando si è profilato questo stato di cose sono iniziate le riflessioni e le polemiche sul difficile rapporto tra conoscenza e potenza pratica, sui rischi dell'asservimento della ricerca speculativa ai "fini transitorii del presente".
È ben noto il travaglio del mondo scientifico attorno al problema del rapporto con la sfera militare, che non riguardava soltanto la dimensione etica - il dibattito sulla bomba atomica - ma anche le implicazioni dell'uso militare della scienza sulle decisioni politiche e sulla vita democratica di un paese. Del resto, l'osservazione più distratta mostra come gran parte degli oggetti tecnologici che ci circondano siano derivati della tecnoscienza militare. D'altra parte, la straordinaria quantità di beni di cui sono invase le nostre società è frutto di uno sviluppo incredibilmente veloce della produzione industriale di cui la scienza e la tecnologia sono il fattore fondamentale.
Un simile sviluppo porta con sé ricchezza e l'inevitabile tentazione del guadagno e dell'interesse materiale. È ridicolo che si sia polemizzato contro il richiamo del Papa interpretandolo come un'offesa ai ricercatori universitari che guadagnano poco. Non di questo ovviamente si tratta. Sono tante le voci nel mondo scientifico (e non) che si sono levate per denunziare gli enormi interessi che gravitano attorno all'ingegneria genetica e al traffico dei brevetti: si tratta di somme vertiginose che hanno fatto della biologia la nuova big science al posto della fisica e che possono corrompere la "volontà scientifica" che pone al di sopra di tutto il fine della conoscenza disinteressata e accantonare la questione del valore morale della scelta dei fini verso cui indirizzare la ricerca.
È di pochi mesi fa un'aspra polemica scoppiata negli ambienti scientifici statunitensi a proposito di venti anni di sperperi (al ritmo di cinquecento milioni di dollari annui) nella ricerca di un vaccino contro l'Aids priva di seri fondamenti teorici. Vanno ricordate le polemiche - sempre sviluppatesi in ambito scientifico - circa gli autentici moventi delle ricerche sugli ogm (organismi geneticamente modificati), che costituirebbero, secondo alcuni, un enorme affare economico che non porta vantaggi alle popolazioni affamate del Terzo mondo.
Si potrebbe continuare con gli esempi. Si tratta di questioni note e di cui è lecito dibattere senza preconcetti, partendo dall'assunto che il problema esiste e che il rischio di una corruzione del carattere disinteressatamente speculativo della ricerca è concreto. Pare tuttavia che sia lecito parlarne soltanto da parte di chi ha una militanza scientifica ateistica e antireligiosa. Se invece un religioso si limita a sottolineare il rischio di un prevalere degli interessi materiali su quelli della conoscenza disinteressata si tratta di un nemico della scienza.
Siamo così di fronte alla più evidente conferma che è in atto da parte di taluni uno sforzo accanito per erigere un muro tra scienza e religione, nell'intento di negare a quest'ultima qualsiasi funzione nelle scelte umane e sociali. Alla scienza soltanto viene riservato il diritto di giudicare e giudicarsi e di dettare norme peraltro di carattere assolutamente relativo. Rileggendo il brano di Enriques con cui abbiamo iniziato questo articolo è facile misurare quanto questa scienza si sia allontanata da se stessa.
(©L'Osservatore Romano - 19 ottobre 2008)
NON SI SVOLGE NEI CONVEGNI LA SFIDA DECISIVA - Le filosofie del nulla vincono tra i giovani spesso ubriachi - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 18 ottobre 2008
L i abbiamo sotto gli occhi. Li vediamo storditi, eccitati e un po’ rimbambiti, per strada quasi tutte le sere, o nelle idiote notti bianche o di qualche altro colore inventate da sindaci e assessori. O nei concerti, nei bar, nei locali pulsanti di musica. Li vediamo, o non li vediamo ma li 'sappiamo', nelle feste, in quelle cose che, dài, sono cose tra ragazzi, le feste, i viaggi, le notti... Quasi il venti per cento dei nostri under 18 usa normalmente alcool e superalcolici. In Europa un giovane su quattro muore per violenze (o suicidi) legati all’alcool. Sono cresciuti fino a 61.000 gli alcool-dipendenti assistiti dai servizi sociali, il 19% per cento di più in un anno. E di questi il 15% è fatto di giovani. I nostri ragazzi bevono. Iniziano presto. E poi bevono molto, e male. Non buon vino ai pasti. O magari qualche alzata di gomito in allegria. No, un abbeverarsi di bassa lega, robetta carica di alcool, mix strani stravenduti in ogni supermercato o autogrill. E si beve solo per un motivo, in fondo, come diceva un vecchio adagio: per dimenticare. Ma cosa deve dimenticare un diciassettenne? Un sedicenne? Che spavento di vita, se c’è da doverla dimenticare così presto. Si beve per cercare l’oblìo. La parola sballo, che di solito viene usata, è inesatta. È, per così dire, troppo allegra. In questo bere tanto e bere male dei ragazzi non c’è nulla di allegro.
Girano in branco e dunque l’alcool – o altre cosette più 'forti' – serve a dare la dose di eccitazione per divertirsi. Appunto: per dimenticare che in realtà non si sta facendo quasi mai nulla di veramente divertente, gioioso. Serve un po’ di eccitazione alcolica per dimenticare non solo il passato, ma il presente un po’ idiota e ripetitivo. Bevono per dimenticare il presente. Oblìo invece di presenza. Nebbia invece di sguardo. Le filosofie del nulla non vincono nei convegni o sulle pagine patinate delle riviste glamour che grondano cinismo: le filosofie del nulla vincono nei bar, nei ritrovi dei ragazzi.
Colpiscono, come sempre, i più fragili. Lo sguardo velato di cinismo dei grandi cosiddetti maestri del pensiero della nostra epoca –quelli per cui la vita è in fondo una fregatura, da dimenticare o da impugnare contro qualcuno o qualcosa – è diventato lo sguardo annebbiato di tutti questi ragazzi. I maestri e i ragazzi pensano la stessa cosa: che la vita sia da dimenticare. Solo che i primi fanno carriere e conferenze, festival e pubblicazioni. I ragazzi invece bevono, cercano l’oblìo. Hanno tolto da davanti agli occhi dei ragazzi l’abisso di Dio e del cuore umano, l’ebbrezza dell’anima e la possibilità di perdizione. Hanno celato ciò che davvero può inebriare di vita la vita.
Hanno irriso la grandezza dell’uomo e del suo cuore. E del destino. Li hanno lasciati con ubriachezze di bassa qualità, con oblii da venerdì sera. Vedete forse qualcuno di queste grandi firme di giornali e tv, qualcuno di questi intellettuali inquieto per i nostri ragazzi? Fare ammenda? O interrogarsi con le loro firme dorate (e ben pagate)? C’è una emergenza educativa. E lo ripete l’onorevole Roccella, presentando questi dati, in vista della Conferenza nazionale dell’alcool di domani e martedì a Roma. Ma si deve pure dire che l’emergenza educativa non si può affrontare senza accusare e combattere i cosiddetti maestri del pensiero propagandati come tali da libri e tv e giornali. L’emergenza educativa comporta anche una lotta. Si tratta di criticare culturalmente e socialmente i maestri che, coi loro occhi velati di cinismo, si sporgono da ogni pulpito, on line, radiofonico, televisivo, libresco e scolastico, ad affermare che la vita va dimenticata. E che nulla della vita rende 'ebbri', cioè allegri: né Dio, né l’amore, né l’arte. Ubriacatevi sempre, diceva invece Baudelaire. E intendeva di vita intensa, sentita nelle sue grandi e rischiose dimensioni. Occorrono luoghi dove i ragazzi scoprano la vita piena, come rischio e avventura. Dove avvertano come odiosa la ricerca dell’oblio, e dell’allegria finta e velenosa.
19/10/2008 10:50 - VATICANO-ORTODOSSIA - Bartolomeo: parlare al Sinodo, “un evento unico e di straordinaria importanza” - Soddisfazione del Patriarca ecumenico che ieri ha ribadito l’importanza delle conclusioni dell’incontro di Ravenna tra catttolici ed ortodossi, nel quale si è affermato che l’interdipendenza tra primato e collegialità caratterizza tutti i livelli della vita nella Chiesa, locale, regionale e universale.
Roma (AsiaNews) - “Soddisfazione” per aver partecipato al sinodo dei vescovi cattolici su invito dil Papa Benedetto XVI è stata espressa oggi dal patriarca ecumenico Bartolomeo poco prima della sua partenza per Costantinopoli. “Un evento unico e di straordinaria importanza” che s è svolto nella suggestiva cornice della Cappella Sistina sotto l’affresco michelangelesco del Giudizio universale, proprio in un momento in cui imperversa sul mondo una crisi politico, economica, sociale e morale assai grave.
La rifelssione del Patriarca, dedicata alla parola di Dio nella vita e la missione la Chiesa era sudivisa in due parti .La prima era impostata sullo spirito di Ravenna, punto focale del dialogo nel cammino per l’unità tra cattolici ed ortodossi, mentre la seconda era dedicata ad alcune considerazioni di interdipendenza tra la parola Dio ed alcuni aspetti di vita sociale, Ambedue le parti hanno tratto spunto ed erano ispirate ai grandi padri della Chiesa universale unita.
Bartolomeo ha iniziato ringraziando il Papa per aver dato per la prima volta l’opportunità ad un Patriarca Ecumenico di partecipare a questi lavori e di considerarsi quindi parte nella vita della Chiesa sorella, per parlare dell’importanza della collegialità e il ruolo del primato in questo contesto. E’ ben conosciuto, ha iniziato Bartolomeo che nella Chiesa ortodossa il concetto di collegialità è di fondamentale importanzan dal punto di vista ecclessiologico. Il primato nel contesto sinodale costituisce la pietra miliare del governo e della organizzazione della Chiesa .Secondo il documento di Ravenna l’interdipendenza tra primato e collegialità caratterizza tutti i livelli della vita nella Chiesa, locale, regionale e universale.
“Il fatto stesso di aver il privilegio di rivolgersi nel vostro sinodo – ha sottolineato - significa che verrà quel giorno nel quale le due nostre Chiese convergeranno nel contesto del primato nella collegialità, oggetto di discussione della nostra commissione mista per il dialogo. Il compito della missione e dell’evangelizzazione, caratteristica della Chiesa apostolica in tutti i tempi, sarebbe naturalmente rinforzato se fosse attuato da una Chiesa cristiana pienamente unita e con una sola voce.
La seconda parte della riflessione di Bartolomeo è stata centrata sull’ascolto e lo studio della parola di Dio attraverso le scritture, sull’importanza dell’iconografia e della vita sacramentale. San Giovanni Crisostomo spiega, ha detto Bartolomeo, che la Parola divina dimostra profondo rispetto e comprensione per la diversità culturale ed umana, per ascoltarla e riceverla. Adattare la Parola di Dio al particolare contesto culturale è quello che ha sempre caratterizzato la dimensione missionaria della Chiesa, che viene chiamata a trasformare il mondo tramite la Parola di Dio.Di conseguenza, ha continuato Bartolomeo, come discepoli della parola di Dio, diventa oggi più che mai imperativo combattere il razzismo e i fondamentalismi, sradicare la povertà e sviluppare la tolleranza per ristabilire l’equità. Passando poi ad illustrare l’importanza e il significato delle icone, il Patriarca Ecumenico ha detto che esse hanno una importante dimensione antropologica ed ecologica .Perchè con esse si vuol ricordare alla missione della Chiesa che tutto il creato ha lo scopo finale di raggiungere la perfezione. Di conseguenza qualsiasi nostra presa presa di posizione negativa nei confronti dell’iconografia avrà delle ripercussione negative anche nella valutazione e considerazione del rapporto tra uomo e ambiente.
Parlando infine della vita sacramentale, Bartolomeo ha detto che l’Eucaristia non rappresenta soltanto un aspetto escatologico, ma ha in sé anche una dimensione sociale. L’Eucaristia non può essere isolata, staccata dalla realtà sociale e il suo divenire. L’uomo deve applicarsi nella sua vita quotidiana la parola di Dio, combattendo così contro le ingiustizie sociali, la povertà, le guerre, l’abuso e il cattivo uso delle risorse naturali, causa della distruzione ambientale. E ha concluso che la vittoria è gia presente nel profondo della Chiesa ogni volta che proviamo la grazia della riconciliazione e della comunione. “Quando lottiamo con la potenza della croce si comincia allora di apprezzare i frutti della giustizia e della bellezza”.