mercoledì 8 giugno 2011

Nella rassegna stampa di oggi:

  1. Gli Usa contro i cristiani? Di Lorenzo Albacete, mercoledì 8 giugno 2011, il sussidiario.it
  2. Vero amore e convivenza, due scelte inconciliabili di Costanza Miriano, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
  3. «Batteri killer», figli di un disordine culturale di Paolo Gulisano, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
  4. CENSIS/ Meluzzi: la morale della solitudine ha ucciso la famiglia e la persona - INT. Alessandro Meluzzi - mercoledì 8 giugno 2011, il sussidiario.net
  5. Cristiani uccisi, uno ogni 5 minuti di Massimo Introvigne, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
  6. Punjab: un cristiano non può fare il ministro delle Finanze di Jibran Khan, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/


 

BENEDETTO XVI SUL SUO RECENTE VIAGGIO APOSTOLICO IN CROAZIA - All'Udienza generale del mercoledì in piazza San Pietro - ROMA, mercoledì, 8 giugno 2011 (ZENIT.org)


 

ROMA, mercoledì, 8 giugno 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della catechesi che Benedetto XVI ha pronunciato questo mercoledì in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sul suo recente viaggio apostolico in Croazia.


 

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Oggi vorrei parlarvi della Visita pastorale in Croazia, che ho compiuto sabato e domenica scorsi. Un viaggio apostolico breve, svoltosi interamente nella capitale Zagabria, eppure ricco di incontri e soprattutto di intenso spirito di fede, dal momento che i Croati sono un popolo profondamente cattolico. Rinnovo il mio più vivo ringraziamento al Cardinale Bozanić, Arcivescovo di Zagabria, a Mons. Srakić, Presidente della Conferenza Episcopale, e agli altri Vescovi della Croazia, come pure al Presidente della Repubblica, per la calorosa accoglienza che mi hanno riservato. La mia riconoscenza va a tutte le Autorità civili e a quanti hanno collaborato in diversi modi a tale evento, in modo speciale alle persone che hanno offerto per questa intenzione preghiere e sacrifici.

"Insieme in Cristo": questo è stato il motto della mia visita. Esso esprime innanzitutto l'esperienza di ritrovarsi tutti uniti nel nome di Cristo, l'esperienza dell'essere Chiesa, manifestata dal radunarsi del Popolo di Dio intorno al Successore di Pietro. Ma "Insieme in Cristo" aveva, in questo caso, un particolare riferimento alla famiglia: infatti, l'occasione principale della mia Visita era la Iª Giornata Nazionale delle famiglie cattoliche croate, culminata nella Concelebrazione eucaristica di domenica mattina, che ha visto la partecipazione, nell'area dell'Ippodromo di Zagabria, di un grande moltitudine di fedeli. E' stato per me molto importante confermare nella fede soprattutto le famiglie, che il Concilio Vaticano II ha chiamato "chiese domestiche" (cfr Lumen gentium, 11). Il beato Giovanni Paolo II, il quale ha visitato ben tre volte la Croazia, ha dato grande risalto al ruolo della famiglia nella Chiesa; così, con questo viaggio, ho voluto dare continuità a questo aspetto del suo Magistero. Nell'Europa di oggi, le Nazioni di solida tradizione cristiana hanno una speciale responsabilità nel difendere e promuovere il valore della famiglia fondata sul matrimonio, che rimane comunque decisiva sia nel campo educativo sia in quello sociale. Questo messaggio aveva dunque una particolare rilevanza per la Croazia, che, ricca del suo patrimonio spirituale, etico e culturale, si appresta ad entrare nell'Unione Europea.

La Santa Messa è stata celebrata nel peculiare clima spirituale della novena di Pentecoste. Come in un grande "cenacolo" a cielo aperto, le famiglie croate si sono radunate in preghiera, invocando insieme il dono dello Spirito Santo. Questo mi ha dato modo di sottolineare il dono e l'impegno della comunione nella Chiesa, come pure di incoraggiare i coniugi nella loro missione. Ai nostri giorni, mentre purtroppo si constata il moltiplicarsi delle separazioni e dei divorzi, la fedeltà dei coniugi è diventata di per se stessa una testimonianza significativa dell'amore di Cristo, che permette di vivere il Matrimonio per quello che è, cioè l'unione di un uomo e di una donna che, con la grazia di Cristo, si amano e si aiutano per tutta la vita, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. La prima educazione alla fede consiste proprio nella testimonianza di questa fedeltà al patto coniugale: da essa i figli apprendono senza parole che Dio è amore fedele, paziente, rispettoso e generoso. La fede nel Dio che è Amore si trasmette prima di tutto con la testimonianza di una fedeltà all'amore coniugale, che si traduce naturalmente in amore per i figli, frutto di questa unione. Ma questa fedeltà non è possibile senza la grazia di Dio, senza il sostegno della fede e dello Spirito Santo. Ecco perché la Vergine Maria non cessa di intercedere presso il suo Figlio affinché – come alle nozze di Cana – rinnovi continuamente ai coniugi il dono del "vino buono", cioè della sua Grazia, che permette di vivere in "una sola carne" nelle diverse età e situazioni della vita.

In questo contesto di grande attenzione alla famiglia, si è collocata molto bene la Veglia con i giovani, avvenuta la sera di sabato nella Piazza Jelačić, cuore della città di Zagabria. Là ho potuto incontrare la nuova generazione croata, e ho percepito tutta la forza della sua fede giovane, animata da un grande slancio verso la vita e il suo significato, verso il bene, verso la libertà, vale a dire verso Dio. E' stato bello e commovente sentire questi giovani cantare con gioia ed entusiasmo, e poi, nel momento dell'ascolto e della preghiera, raccogliersi in profondo silenzio! A loro ho ripetuto la domanda che Gesù fece ai suoi primi discepoli: "Che cosa cercate?" (Gv 1,38), ma ho detto loro che Dio li cerca prima e più di quanto essi stessi cerchino Lui. E' questa la gioia della fede: scoprire che Dio ci ama per primo! E' una scoperta che ci mantiene sempre discepoli, e quindi sempre giovani nello spirito! Questo mistero, durante la Veglia, è stato vissuto nella preghiera di adorazione eucaristica: nel silenzio, il nostro essere "insieme in Cristo" ha trovato la sua pienezza. Così il mio invito a seguire Gesù è stato un'eco della Parola che Lui stesso rivolgeva al cuore dei giovani.

Un altro momento che possiamo dire di "cenacolo" è stata la Celebrazione dei Vespri nella Cattedrale, con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i giovani in formazione nei Seminari e nei Noviziati. Anche qui, in modo particolare, abbiamo sperimentato il nostro essere "famiglia" come comunità ecclesiale. Nella Cattedrale di Zagabria si trova la monumentale tomba del beato Cardinale Alojzije Stepinac, Vescovo e Martire. Egli, in nome di Cristo, si oppose con coraggio prima ai soprusi del nazismo e del fascismo e, dopo, a quelli del regime comunista. Fu imprigionato e confinato nel villaggio natio. Creato Cardinale dal Papa Pio XII, morì nel 1960 per una malattia contratta in carcere. Alla luce della sua testimonianza, ho incoraggiato i Vescovi e i presbiteri nel loro ministero, esortandoli alla comunione e allo slancio apostolico; ho riproposto ai consacrati la bellezza e la radicalità della loro forma di vita; ho invitato i seminaristi, i novizi e le novizie a seguire con gioia Cristo che li ha chiamati per nome. Questo momento di preghiera, arricchito dalla presenza di tanti fratelli e sorelle che hanno dedicato la vita al Signore, è stato per me di grande conforto, e prego perché le famiglie croate siano sempre terreno fertile per la nascita di numerose e sante vocazioni al servizio del Regno di Dio.

Molto significativo è stato anche l'incontro con esponenti della società civile, del mondo politico, accademico, culturale ed imprenditoriale, con il Corpo Diplomatico e con i Leaders religiosi, radunati nel Teatro Nazionale di Zagabria. In quel contesto, ho avuto la gioia di rendere omaggio alla grande tradizione culturale croata, inseparabile dalla sua storia di fede e dalla presenza viva della Chiesa, promotrice lungo i secoli di molteplici istituzioni e soprattutto formatrice di illustri ricercatori della verità e del bene comune. Tra questi ho ricordato in particolare il gesuita Padre Ruđer Bošković, grande scienziato di cui ricorre quest'anno il terzo centenario della nascita. Ancora una volta è apparsa evidente a tutti noi la più profonda vocazione dell'Europa, che è quella di custodire e rinnovare un umanesimo che ha radici cristiane e che si può definire "cattolico", cioè universale ed integrale. Un umanesimo che pone al centro la coscienza dell'uomo, la sua apertura trascendente e al tempo stesso la sua realtà storica, capace di ispirare progetti politici diversificati ma convergenti alla costruzione di una democrazia sostanziale, fondata sui valori etici radicati nella stessa natura umana. Guardare all'Europa dal punto di vista di una Nazione di antica e solida tradizione cristiana, che della civiltà europea è parte integrante, mentre si appresta ad entrare nell'Unione politica, ha fatto sentire nuovamente l'urgenza della sfida che interpella oggi i popoli di questo Continente: quella, cioè – di non avere paura di Dio, del Dio di Gesù Cristo, che è Amore e Verità, e non toglie nulla alla libertà ma la restituisce a se stessa e le dona l'orizzonte di una speranza affidabile.

Cari amici, ogni volta che il Successore di Pietro compie un viaggio apostolico, tutto il corpo ecclesiale partecipa in qualche modo del dinamismo di comunione e di missione proprio del suo ministero. Ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnato e sostenuto con la preghiera, ottenendo che la mia visita pastorale si svolgesse ottimamente. Ora, mentre ringraziamo il Signore per questo grande dono, chiediamo a Lui, per intercessione della Vergine Maria, Regina dei Croati, che quanto ho potuto seminare porti frutti abbondanti, per le famiglie croate, per l'intera Nazione e per tutta l'Europa.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Famiglie religiose che stanno celebrando in questi giorni i rispettivi Capitoli Generali. Saluto voi, Suore di Maria Bambina, e mi unisco con gioia alla vostra gratitudine a Dio per i doni ricevuti in questo tempo durante il quale avete riflettuto insieme sul presente e il futuro del vostro Istituto; le Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa vi ottengano il dono di una sempre più feconda e lieta adesione ai consigli evangelici. Saluto voi, Clarisse Francescane Missionarie del Santissimo Sacramento, e vi esorto a trasmettere sempre con la vita la gioia della corrispondenza generosa e fedele alla divina chiamata. Saluto voi, Suore Scolastiche Francescane di Cristo Re, e vi assicuro il mio orante ricordo perché possiate proseguire con entusiasmo la vostra testimonianza e il vostro apostolato.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli presenti. Domenica prossima celebreremo la solennità di Pentecoste. Vi esorto, cari giovani, ad invocare frequentemente lo Spirito Santo, che vi rende intrepidi testimoni di Cristo. Lo Spirito Consolatore aiuti voi, cari malati, ad accogliere con fede il mistero del dolore e ad offrirlo per la salvezza di tutti gli uomini; e sostenga voi, cari sposi novelli, nel costruire la vostra famiglia sul solido fondamento del Vangelo.

[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]


 


 

Il Papa: «L'Europa non abbia paura di Dio» di Massimo Introvigne, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

Nell'udienza generale dell'8 giugno 2011 Benedetto XVI è tornato sul suo viaggio del 4 e 5 giugno in Croazia, un momento ricco – ha detto – «di intenso spirito di fede, dal momento che i Croati sono un popolo profondamente cattolico». Come ha fatto per altri viaggi il Papa – sulla base della considerazione secondo cui «ogni volta che il Successore di Pietro compie un viaggio apostolico, tutto il corpo ecclesiale partecipa in qualche modo del dinamismo di comunione e di missione proprio del suo ministero» – è voluto tornare sul significato essenziale del viaggio, di cui La Bussola Quotidiana ha dato un ampio resoconto: ritornare sulla vera nozione della coscienza e della legge morale, applicandola soprattutto al matrimonio, in un «contesto di grande attenzione alla famiglia».


 

Il motto della visita, «Insieme in Cristo», ha detto il Papa, «aveva, in questo caso, un particolare riferimento alla famiglia: infatti, l'occasione principale della mia Visita era la Iª Giornata Nazionale delle famiglie cattoliche croate, culminata nella Concelebrazione eucaristica di domenica mattina, che ha visto la partecipazione, nell'area dell'Ippodromo di Zagabria, di un grande moltitudine di fedeli». Il Pontefice ha voluto sottolineare la centralità del tema della famiglia: «È stato per me molto importante – ha detto – confermare nella fede soprattutto le famiglie, che il Concilio Vaticano II ha chiamato "chiese domestiche" (cfr Lumen gentium, 11). Il beato Giovanni Paolo II [1920-2005], il quale ha visitato ben tre volte la Croazia, ha dato grande risalto al ruolo della famiglia nella Chiesa; così, con questo viaggio, ho voluto dare continuità a questo aspetto del suo Magistero».


 

È un problema di sempre, ha spiegato il Papa, ma è soprattutto un problema di oggi. La famiglia fondata sul matrimonio indissolubile di un uomo e di una donna – «l'unione di un uomo e di una donna che, con la grazia di Cristo, si amano e si aiutano per tutta la vita, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia» – è infatti sottoposta a molteplici attacchi. L'esempio di Malta, Paese dove non esisteva una legge sul divorzio e dove dopo l'ingresso nell'Unione Europea un referendum si è espresso lo scorso 28 maggio in senso divorzista, è ben presente ai croati che stanno per entrare nell'Europa di Bruxelles. «Nell'Europa di oggi – ha detto il Papa – le Nazioni di solida tradizione cristiana hanno una speciale responsabilità nel difendere e promuovere il valore della famiglia fondata sul matrimonio, che rimane comunque decisiva sia nel campo educativo sia in quello sociale. Questo messaggio aveva dunque una particolare rilevanza per la Croazia, che, ricca del suo patrimonio spirituale, etico e culturale, si appresta ad entrare nell'Unione Europea».


 

Durante la Messa per le famiglie a Zagabria, «come in un grande "cenacolo" a cielo aperto, le famiglie croate si sono radunate in preghiera, invocando insieme il dono dello Spirito Santo». Un gesto, ha sottolineato il Pontefice, che voleva in particolare «incoraggiare i coniugi nella loro missione. Ai nostri giorni, mentre purtroppo si constata il moltiplicarsi delle separazioni e dei divorzi, la fedeltà dei coniugi è diventata di per se stessa una testimonianza significativa dell'amore di Cristo, che permette di vivere il Matrimonio per quello che è, cioè». Il Papa – ancora, dopo la vicenda di Malta – è tornato sul tema dell'indissolubilità: «la prima educazione alla fede – ha detto – consiste proprio nella testimonianza di questa fedeltà al patto coniugale: da essa i figli apprendono senza parole che Dio è amore fedele, paziente, rispettoso e generoso. La fede nel Dio che è Amore si trasmette prima di tutto con la testimonianza di una fedeltà all'amore coniugale, che si traduce naturalmente in amore per i figli, frutto di questa unione».


 

Se la permanenza del matrimonio è un valore naturale, dall'altra parte non ci si può nascondere che in pratica oggi in molte situazioni «questa fedeltà non è possibile senza la grazia di Dio, senza il sostegno della fede e dello Spirito Santo. Ecco perché la Vergine Maria non cessa di intercedere presso il suo Figlio affinché – come alle nozze di Cana – rinnovi continuamente ai coniugi il dono del "vino buono", cioè della sua Grazia, che permette di vivere in "una sola carne" nelle diverse età e situazioni della vita». La fedeltà alla morale naturale e cristiana sul matrimonio e la famiglia presuppone tutta la riflessione che il Papa ha proposto in Croazia – anche ai giovani – sulla coscienza come orientamento al bene e a Dio: «un grande slancio verso la vita e il suo significato, verso il bene, verso la libertà, vale a dire verso Dio ». Seguire la coscienza non vuol dire fare quello che si vuole, ma quello che si deve.


 

Il Pontefice ha voluto ricordare anche la sua visita – preceduta da ingiuste polemiche sulla grande figura del porporato – alla «monumentale tomba del beato Cardinale Alojzije Stepinac (1898-1960), Vescovo e Martire. Egli, in nome di Cristo, si oppose con coraggio prima ai soprusi del nazismo e del fascismo e, dopo, a quelli del regime comunista. Fu imprigionato e confinato nel villaggio natio. Creato Cardinale dal Papa Pio XII [1876-1958], morì nel 1960 per una malattia contratta in carcere».


 

Benedetto XVI ha parlato anche del suo richiamo, a proposito della Croazia, alle radici cristiane: alla «sua storia di fede» e alla «presenza viva della Chiesa, promotrice lungo i secoli di molteplici istituzioni e soprattutto formatrice di illustri ricercatori della verità e del bene comune. Tra questi ho ricordato in particolare il gesuita Padre Ru?er Boškovi? [Ruggero Giuseppe Boscovich, 1711-1787], grande scienziato di cui ricorre quest'anno il terzo centenario della nascita. Ancora una volta è apparsa evidente a tutti noi la più profonda vocazione dell'Europa, che è quella di custodire e rinnovare un umanesimo che ha radici cristiane e che si può definire "cattolico", cioè universale ed integrale».


 

Ma questo umanesimo richiama al tema centrale della visita in Croazia, quello della coscienza: «pone al centro la coscienza dell'uomo, la sua apertura trascendente e al tempo stesso la sua realtà storica». Questo tema, ha insistito il Papa, ha anche una valenza direttamente politica: oggi può «ispirare progetti politici diversificati ma convergenti alla costruzione di una democrazia sostanziale, fondata sui valori etici radicati nella stessa natura umana. Guardare all'Europa dal punto di vista di una Nazione di antica e solida tradizione cristiana, che della civiltà europea è parte integrante, mentre si appresta ad entrare nell'Unione politica, ha fatto sentire nuovamente l'urgenza della sfida che interpella oggi i popoli di questo Continente: quella, cioè – di non avere paura di Dio, del Dio di Gesù Cristo, che è Amore e Verità, e non toglie nulla alla libertà ma la restituisce a se stessa e le dona l'orizzonte di una speranza affidabile».


 


 

Gli Usa contro i cristiani? Di Lorenzo Albacete, mercoledì 8 giugno 2011, il sussidiario.it


 

Ho avuto occasione di incontrare, più di trent'anni fa, Pat Buchanan, guru, giornalista e voce controversa del conservatorismo americano, nella parrocchia a Washington, DC, in cui ero stato incaricato di celebrare la Messa Tridentina. Non fui sorpreso nel vedere che Buchanan preferiva assistere alla messa secondo il rito antecedente al Concilio Vaticano II. In più, ero contento di avere l'opportunità, durante l'incontro "caffè e brioche" dopo messa, di sottoporgli una questione che mi lasciava perplesso, cioè la posizione apparentemente anti-ispanica di molti conservatori cattolici americani, così come risultava dal dibattito sull'immigrazione illegale.

Mi chiedevo, cioè, perché come cattolici tradizionalisti (cosa evidente dal loro amore per la Messa Tridentina) non riuscissero a vedere la crescente presenza ispanica nella Chiesa come qualcosa di positivo che, se gestito in modo adeguato e corretto, avrebbe potuto rafforzare la risposta della Chiesa all'agnosticismo laicista di tanta cultura dominante.

La questione mi è tornata alla mente questa settimana leggendo l'editoriale di Buchanan sull'ultimo numero di The American Conservative (luglio 2011). Nell'articolo, intitolato "Gettati ai leoni", Buchanan descrive le persecuzioni contro i cristiani nei Paesi del Medio Oriente dove gli Stati Uniti, in nome dell'esportazione della democrazia, hanno rimosso, o stanno tentando di rimuovere, dittature sotto le quali i cristiani potevano praticare liberamente la loro fede.

Buchanan cita le parole di un vescovo anglicano, un palestinese, a Tony Blair: se gli "alleati" avessero invaso l'Iraq e deposto Saddam Hussein, "sarebbero stati responsabili di svuotare l'Iraq, la patria di Abramo, della presenza dei cristiani". In effetti, come nota il Financial Times, "dopo quasi 2000 anni, i cristiani in Iraq ora si trovano a prendere apertamente in considerazione la loro sparizione. Perfino alcuni dei loro sacerdoti consigliano la fuga". La "liberazione" dell'Iraq, guidata dagli Stati Uniti, ha prodotto per i cristiani iracheni la più grande catastrofe dai tempi di Cristo.

Un pericolo simile minaccia ora i cristiani in Siria. In Egitto, i cristiani copti sono perseguitati. Buchanan invita il presidente Obama a prendere in considerazione "come invece non fece il presidente George W. Bush, cosa accade agli arabi cristiani quando una maggioranza musulmana a lungo repressa arriva al potere".

Buchanan menziona il libro, pubblicato cinquant'anni fa, di D.W. Brogan (The Price of Revolution) ed elenca i periodi di orrore che sono seguiti a molte delle rivoluzioni fatte "dall'uomo occidentale così spesso intossicato dal laicismo", dalla Rivoluzione Francese a quella di Cuba, a Pol Pot. L'editoriale si conclude con una domanda: "Quando questo idolo della modernità chiamato democrazia, in cui nessuno dei nostri padri credeva, è diventato un 'vitello d'oro' davanti al quale tutti dobbiamo inginocchiarci in adorazione?".

Si può essere più o meno d'accordo, in tutto o in parte, con il discorso di Buchanan, ma penso che sollevi un punto molto importante oggi per i cattolici americani, specialmente per quelli che si definiscono conservatori. A mio parere, la questione dell'immigrazione ispanica pone domande simili ai conservatori cattolici: ha importanza che questi immigrati siano, almeno finora, cattolici e che potrebbero rafforzare la presenza della Chiesa cattolica nella società americana, se correttamente istruiti e trattati con rispetto, amicizia e dignità?

Questo è quello che ho domandato a Buchanan trent'anni fa dopo la Messa Tridentina. Sfortunatamente non ho ottenuto risposta, perché qualcuno gli ha portato un caffè caldo con una ciambella e se lo è trascinato via.

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Vero amore e convivenza, due scelte inconciliabili di Costanza Miriano, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

"Il guaio dell'amore è che molti lo confondono con la gastrite". Questo di Groucho Marx è il primo pensiero che mi viene in mente quando penso a matrimonio e convivenza.


 

Circolano un sacco di idee squinternate sull'amore tra un uomo e una donna, e quando ci si scontra con la realtà si danno delle poderose craniate.


 

Personalmente sull'argomento avrei un miliardo di cose da dire, ne ho riempito un libro, un blog e me ne sono avanzate anche alcune (non è escluso che ne scriva un secondo). Ero stanca, infatti, di telefonare alle mie amiche per cercare di convincerle a sposarsi: troppi soldi in bollette telefoniche, e scarsissimi risultati pratici. Io a parlare non sono brava, così mi sono messa a scrivere. Adesso vanto al mio attivo qualche crisi rattoppata, e due onorificenze speciali: testimone di nozze a un'amica e a una sorella (purtroppo no, il mio vestito non è bello come quello di Pippa Middleton, lo ammetto).


 

La gastrite di cui parla Groucho Marx ci rimanda all'amore adolescenziale, quello tutto mal di pancia, farfalle nello stomaco, gratificazione di ego malsicuri. E' ovvio che alla ricerca di questo stato d'animo di perenne eccitazione sia prudente e ragionevole non sposarsi, vedere piuttosto come va, lasciarsi comunque la possibilità di tirarsi fuori dalla situazione senza troppe complicazioni.


 

Ma se l'amore è darsi, come si può pensare di non dare tutto, almeno di non provarci? Il desiderio di assoluto che c'è in ognuno di noi esige dal nostro amato, e lui da noi, un impegno totale, esclusivo, definitivo. Il matrimonio è questo, un salto, uno slancio di dono assoluto. E il matrimonio stesso, con la sua definitività, ci custodirà negli anni, nei momenti di fatica, di dubbio. Alzi la mano chi non ha mai pensato, nemmeno per un istante, di avere fatto la scelta sbagliata. Il dubbio viene, è normale, guardando a tutto quello che si è lasciato per prendere una strada, che anche se è la più bella, vera e giusta per noi, è pur sempre una sola, e il piccolo fugace sguardo a tutte le altre è la garanzia che la nostra è una vera scelta. Prendere qualcosa, scartare qualcos'altro (e ne so qualcosa io di quanto scartare sia doloroso, basta vedere il mio bagaglio medio per due giorni fuori, c'è almeno una carovana di cammelli che mi segue).


 

Tra matrimonio e convivenza la differenza non è affatto nella durata. Conosco convivenze decennali e matrimoni, purtroppo, durati mesi. La differenza è una vera e propria rivoluzione copernicana. Chi sta al centro.


 

Nella convivenza io, noi due nella migliore delle ipotesi, siamo il metro di noi stessi. Cerchiamo, spesso con impegno, serietà, onestà e lealtà di far andare le cose, ma se non vanno niente ci obbliga.


 

Il matrimonio è un trascendere se stessi, è affidare a un vincolo la propria vita, decidendo di spenderla tutta senza calcolare, senza risparmiare. In modo imprudente anche.

Infatti, ho appena scritto vincolo, ma avrei dovuto dire sacramento perché per come la vedo io senza la grazia di Dio sposarsi è davvero un grosso, grossissimo azzardo. Il giogo può anche in certi casi diventare davvero pesante da trascinare fino alla fine dei propri giorni. Impensabile farcela senza l'aiuto di Dio.


 

Il matrimonio cristiano, per me, è l'unico che abbia un senso. A meno che non vogliamo credere che quando ha detto "senza di me non potete far nulla" Gesù stesse scherzando. Io penso che parlasse sul serio, e che nulla voglia dire proprio nulla.


 

Senza l'aiuto di Dio non siamo capaci di un'impresa come imparare ad amare un altra persona, diversa da noi, e per di più dell'altro sesso. No, dico, un uomo, in casa, per sempre, per tutta la vita. Uno che cambierà canale e aprirà le finestre nei momenti più inconsulti, che si annoierà agli appassionanti resoconti delle peripezie sentimentali di nostra cugina, che ogni volta che vogliamo parlare, caro, della nostra relazione verrà colto da un attacco di letargismo, che sbaglierà i nomi delle maestre e confonderà gli amichetti dei figli, che sbiancherà alla sola idea di organizzare una rete di telefonate per il regalo di fine anno alla catechista (lui lo sa, lo sa bene che avete quattro figli insieme, ma non è che pretenderai che conosca anche i nomi delle catechiste?).


 

Va bene, lo ammetto,anche stare con una donna, sempre la stessa, non è facilissimo. Una che quando dice "sono pronta tra cinque minuti" è bene che lui si sieda sul divano e tiri fuori il cofanetto di Stanley Kubrick, giusto voleva rivedere la versione integrale di Barry Lindon; una che non fa mai meno di tre cose insieme, e una delle tre è quasi sempre bruciare i bastoncini Findus; una che per strada si ferma a parlare anche con i lampioni, che esce a comprare una cosuccia e torna con due buste; una che dice di voler schiacciare la propria lingua sotto i piedi come l'Immacolata fa col serpente, ma è molto, molto lontana dall'obiettivo.


 

Amare davvero è difficilissimo: sostenersi, accogliersi, perdonarsi, capirsi e aiutarsi. E farlo nel modo in cui l'altro desidera, più o meno consapevolmente. A volte bisogna capire dell'altro quello che nemmeno lui sa, e ci vuole tutta la nostra creatività, l'intuito, la dedizione. Neanche i figli a volte siamo capaci di amare senza egoismo, senza proiezioni, dando loro quello di cui hanno bisogno davvero.


 

In questo la grazia di Dio agisce abbondante, copiosa, fluisce come un fiume a chi la chiede, perché questa è la Sua specialità: amare. Come si possa fare un progetto di amore senza metter Dio al centro, è incomprensibile.


 

Quanto alla convivenza, non vorrei entrare nelle polemiche sulle coppie di fatto che ci vorrebbe un altro libro: è chiaro infatti che la richiesta di riconoscimento vuole aprire la strada alle coppie omosessuali e magari alla fine anche alle adozioni, ma andiamo fuori tema. Vorrei solo ricordare che attualmente le coppie di fatto dallo Stato sono molto più tutelate delle famiglie: assegni familiari, assistenza sanitaria, posti negli asili e sgravi fiscali rendono infinitamente più conveniente non essere sposati e quindi non sommare i propri redditi, tanto che molte coppie si separano in modo fittizio.


 

Ma mi interessa di più l'aspetto spirituale, umano. Una volta di più mi rendo conto quanto la Chiesa sia nostra madre quando ci mette in guardia dal sesso fuori dal matrimonio. Possiamo fare, ovviamente, anche di testa nostra, come i bambini che vogliono saggiare con la propria zucca la durezza del termosifone. Sono circondata da persone che vivono la loro sessualità con la massima libertà, e la massima infelicità. Avere separato il sesso dalla possibilità di generare figli, dall'impegnarsi in una relazione definitiva, averlo ridotto a banale modo per conoscersi ci ha precipitati in una menzogna dolorosa che ha effetti devastanti su tante vite.


 

Il sesso non è un modo per conoscersi ma la donazione totale e massima. Farlo al di fuori di questa prospettiva è una bugia, ingenera confusione, disordine. Soprattutto tanta solitudine, e soprattutto nelle donne, che hanno tradito la loro vocazione più alta, quella di accogliere la vita (e non so se ci sia convenuto, a parte qualche posto in qualche consiglio di amministrazione, che ci è rimasto in mano?).


 

"Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce", dice il profeta Geremia, e noi questo cuore lo dobbiamo affidare a Dio; affidare a Lui, che ci parla attraverso la Chiesa, anche l'amore e il sesso, non alle nostre emozioni, alla nostra "animula vagula blandula" che va dietro alle emozioni e si perde.


 


 

«Batteri killer», figli di un disordine culturale di Paolo Gulisano, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

L'hanno soprannominato il "batterio killer"; da giorni tiene banco da protagonista sui media europei: è l'Escherichia Coli, ovvero una delle specie principali di batteri che vivono nell'intestino dell'uomo e degli animali a sangue caldo. Non è un microrganismo esotico, non è il risultato di chissà quale esperimento di guerra batteriologica, non è il prodotto di una mutazione dovuta a radiazioni nucleari o ad inquinamento. E' una vecchia conoscenza dell'organismo umano, ed è perfino necessario per la digestione corretta del cibo.


 

Tuttavia questo comune abitante dell'intestino in alcune situazioni può determinare malattie intestinali ed extra-intestinali come infezioni del tratto urinario, meningite, peritonite, setticemia e polmonite. L'epidemia in corso in Germania è una di queste, una sindrome emolitico uremica.

Le infezioni da Escherichia Coli non sono certo una novità, anzi: ogni anno si verificano nel mondo decine di migliaia di casi, e solo negli Stati Uniti i morti ogni anno sono circa 600. In gran parte persone anziane, defecate, immunodepresse.


 

L'infezione è trasmessa da alimenti, spesso associata al consumo di carne di manzo non ben cotta, di latte non pastorizzato, di succhi di frutta contaminati,e di verdura cruda. Questa- come altre tossinfezioni alimentari- è una patologia facilmente prevenibile con una maggiore igiene nel manipolare gli alimenti, lavandosi bene le mani prima della preparazione o del consumo di cibi, e dopo l'uso della toilette; i buoni consigli che già davano mamme e nonne.


 

Perché allora il terrore del batterio killer corre per l'Europa?

Nell'Occidente contemporaneo la mortalità dovuta a malattie infettive, ossia trasmissibili, è in realtà in percentuale meno dell'uno per cento. Di fatto si muore per malattie cronico-degenerative, come i disturbi cardiocircolatori, le malattie respiratorie, i tumori. Una importante causa di morte è rappresentata anche dagli incidenti, che costituiscono la prima causa di morte nei giovani al di sotto dei venticinque anni, seguita al secondo posto - è triste dirlo - dai suicidi. Questo è ciò per cui si muore oggi in Italia, in Europa e nel mondo occidentale. Eppure nessun dato sulla mortalità da tumori, da infarti, da ischemie cerebrali o da incidenti del traffico è in grado di determinare il panico collettivo suscitato dalla sola possibilità che ci si possa ammalare di una malattia trasmissibile: si pensi alle psicosi collettive degli ultimi anni per l' influenza aviaria o l'influenza suina.


 

Perché l'uomo teme tanto le malattie trasmesse da virus o da microrganismi? Perché nel 2000 le malattie trasmissibili rappresentano ancora una minaccia così sconvolgente?


 

In parte si tratta certamente di una memoria storica profonda: nella storia si sono verificate numerose pandemie, dagli esiti terrificanti, e non si parla solo delle memorabili pestilenze dell'antichità, ma anche di eventi molto vicini a noi, fra cui la citata spagnola, e di minacce recentissime se non addirittura ancora incombenti, come l'AIDS, la tubercolosi, i virus africani.

Nel corso della sua storia, l'umanità ha dovuto affrontare più volte la minaccia delle infezioni, delle stragi causate da un responsabile microscopico e sconosciuto, e la nostra memoria ancestrale conserva forse ancora tracce del terrore antico delle pestilenze. Dalle citazioni della Bibbia alle descrizioni di Tucidide e Lucrezio, dalla "Morte nera" medievale fino alla peste del '600, per giungere infine al '900 con le speranze suscitate da una scienza medica che sembrava destinata a trionfare su virus e batteri grazie a farmaci e vaccini, ma che si ritrova oggi ad affrontare nuovi ed inquietanti pericoli, la storia delle pandemie ci racconta della difficile coesistenza tra l'uomo e i virus.


 

Le pandemie sono un problema reale, anzitutto. Nel passato si sono verificate in misura molto maggiore di quanto non si pensi, e nella maggior parte dei casi si trattava di zoonosi, ossia malattie originate dal contatto degli esseri umani con animali, dai topi che un tempo convivevano nelle abitazioni di villaggi e città con gli uomini fino agli animali da allevamento. Ancora oggi forme di allevamento con pollame o suini in troppo stretta "coabitazione", come avviene in Cina o nel Sudest asiatico, sono all'origine dell'evoluzione e della diffusione di ceppi virali come quello dell'influenza.


 

Le malattie infettive, o trasmissibili, sono presenti nella storia umana, pur con scarsa documentazione, almeno fin da quando gli uomini si costituirono in comunità. La nascita dell'agricoltura, una vita più stanziale, l'aggregazione in nuclei relativamente numerosi e, soprattutto, l'addomesticamento degli animali crearono le condizioni necessarie alla diffusione delle malattie infettive e alla nascita delle epidemie.


 

Ma le antiche pandemie e i loro esiti terribili possono giustificare tanta attenzione da parte dell'informazione e dei governanti di molti paesi per possibili pandemie future, trascurando - spesso - quelle già esistenti? È solo un ingegnoso esperimento propagandistico, come ipotizza qualcuno, finalizzato a profitti economici di vari soggetti interessati, dai media alle organizzazioni sanitarie, oppure uno strumento psicologico con cui esercitare un forte condizionamento sulla società, magari spaventando la gente con lo spettro di malattie terribili? Potrebbe essere la minaccia della pandemia un pretesto perché l'opinione pubblica accetti misure di restrizioni, magari nei trasporti o in certi tipi di consumi? Siamo di fronte a problemi reali o alla manipolazione di incubi che da sempre si annidano nell'inconscio umano?


 

Dietro i vari interrogativi resta una conferma: quella della tesi sostenuta da un grande patologo tedesco dell'800, Virchow, che affermava: "La storia delle epidemie è la storia dei disordini della cultura umana".


 

Questa affermazione è veramente la chiave interpretativa per comprendere ciò che è accaduto nel passato e che accade anche ora: prima dei batteri e dei virus, prima di ogni altra valutazione, all'origine del problema pandemico c'è un disordine della cultura umana. Quello che ci insegnano le grandi pestilenze del passato così come le tragedie degli anni più recenti è che indubbiamente ci sono dei disordini della cultura che agevolano e favoriscono l'insorgenza delle epidemie, o non le combattono a sufficienza.


 


 

CENSIS/ Meluzzi: la morale della solitudine ha ucciso la famiglia e la persona - INT. Alessandro Meluzzi - mercoledì 8 giugno 2011, il sussidiario.net


 

Presentato a Roma un rapporto a cura del Censis dal titolo di "La crescente sregolazione delle pulsioni". Il quadro che ne emerge, nel ritrarre come gli italiani affrontano la realtà quotidiana, è allarmante e tragico. La società italiana, dice il Censis, "ha sempre meno valori e ideali comuni a cui appartenere. I legami e le relazioni sociali sono sempre più fragili e inconsistenti". Non solo: cresce il tasso di violenza e aggressività nel condurre le relazioni stesse, il compromesso per raggiungere i propri scopi viene definito indispensabile, l'individualismo è assunto come unico modo di porsi. Faccio quello che mi pare come mi pare è l'istantanea dell'italiano del Terzo Millennio. Allo stesso tempo cresce il consumo di droghe, di alcolici e di pillole antidepressive, segno di un fallimento e di una fragilità psicologica dato proprio dall'individualismo spinto dell'italiano di oggi. Il criterio base, anche per quanto riguarda la vita sessuale (l'80% dei giovani ritiene che per essere buoni cattolici non serva seguire le indicazioni della Chiesa) nell'agire è: ognuno è arbitro dei propri comportamenti. IlSussidiario.net ha chiesto al professor Alessandro Meluzzi il suo parere davanti a questo quadro.


 

C'è secondo lei un momento storico preciso in cui lei identifica la fine dei valori e degli ideali comuni e il nascere di relazioni sempre più fragili che il rapporto Censis segnala come realtà di oggi?


 

Sicuramente il momento in cui comincia la crisi della famiglia. Quando viene meno la famiglia intesa come luogo di stabilità degli affetti, viene meno anche il luogo di educazione ai valori e alla stabilità emotiva. Se non c'è famiglia non c'è comunità, se non c'è comunità non ci sono valori condivisi. All'origine della disgregazione della nostra società come la descrive il rapporto Censis c'è la crisi della famiglia.


 

L'85 per cento degli italiani ritiene di essere arbitro unico dei propri comportamenti. In questo senso, i compromessi pur di raggiungere il proprio fine sono accettabili, così come la violenza.


 

E' una morale totalmente autoreferenziale e autonomica, ma è una morale della solitudine, tale da generare una assoluta incapacità di riferirsi all'interno di una relazione di comunità, di gruppo. Succede così che quando si scatenano dinamiche dolorose riferendosi la persona unicamente a un io autopercepitosi come onnipotente o impotente a seconda del livello di narcisismo del momento, questa morale ha come unico risultato la produzione di una situazione di difficoltà. Essendo che - ahimè - le circostanze della vita producono maggiormente frustrazione che momenti di pura felicità, di soddisfazione, si cerca di ovviare a queste dinamiche dolorose con droghe autostimolanti, droghe di performance come quelle che usano i giovani in discoteca o stimolanti anti depressivi.


 

Il 48,6% degli italiani, quota che sale al 61,3% nelle grandi città, ritiene che bisogna difendersi e farsi giustizia da soli anche usando metodi violenti e aggressivi.


 

Un uomo che, come abbiamo visto prima, ritiene di poter definirsi da solo, fa diventare ciò che è bene e ciò che è male ciò che ha valore per lui soltanto. E' il peccato di Lucifero, quello di Adamo ed Eva, quello cioè di definire da sé cosa è bene e cosa è male. In questa dimensione di morale solipsistica la dimensione dell'aggressività va a rinforzare le funzioni dell'io e dell'autodifesa, per cui farsi giustizia da sé diventa unica forma di giustizia possibile.


 

L'80% dei giovani e il 63,5% delle persone adulte ritiene che è possibile essere buoni cattolici anche senza seguire le indicazioni della Chiesa in fatto di moralità sessuale.


 

Anche in questo caso succede quello che dicevamo prima. Incapacità a definirsi all'interno di una comunità Se pensiamo che chiesa, ecclesia, significa comunità, il motivo di ciò che dice il rapporto Censis è ancora una volta evidente. Parlando in modo esplicito: se ognuno pensa di cantarsele da sé, non si segue la logica del bene, ma quello dei grandi ideali integrati nei propri comodi.


 

Il rapporto Censis segnala una crescita degli utenti di social network come Facebook negli ultimi tre anni da 1,3 milioni a 19,2. Come si spiega una crescita così travolgente?


 

I rapporti virtuali come quelli generati da Internet implicano una incapacità a stabilire relazioni con l'altro, quello reale. In questo tipo di rapporti si cerca la realizzazione esclusiva dei nostri bisogni ignorando quelli altrui. E' l'esatto contrario di una relazione intesa come dono di sé, è la caricatura di una relazione di autentico amore.


 

La crescita dell'uso di anti depressivi si può spiegare con il fatto che decenni fa era un tipo di malattia non diagnosticata?


 

Non direi. Bisogna piuttosto vedere a che punto mettiamo l'asticella del concetto di normalità. Se consideriamo la depressione del livello del tono dell'umore una malattia, allora l'asticella viene messa molto in basso. Ci sono grandi industrie pronte a curare i sani inventando la pillola della normalità per ogni giorno della nostra esistenza. Se invece consideriamo la depressione un fatto vitale come lo è la dimensione del dolore, se questa dimensione non viene interiorizzata, se non siamo capaci di contemplare la croce, non siamo allora neanche capaci di vivere la resurrezione. Allora ci sarà sempre una pillola che ci viene spacciata come la soluzione della nostra tristezza.

(Paolo Vites)

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Cristiani uccisi, uno ogni 5 minuti di Massimo Introvigne, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

La scorsa settimana, nella mia qualità di Rappresentante dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta al razzismo, alla xenofobia e all'intolleranza e discriminazione contro i cristiani, sono stato relatore a un grande evento organizzato dalla Presidenza ungherese dell'Unione Europea al Castello Reale di Gödöllo?, presso Budapest, sul tema del dialogo interreligioso fra cristiani, ebrei e musulmani. Vi hanno partecipato, fra l'altro, il cardinale Péter Erdö, presidente dei vescovi europei, il custode di Terrasanta padre Pierbattista Pizzaballa, l'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti, l'arcivescovo maronita di Beirut Paul Matar, il metropolita Hilarion, "ministro degli esteri" della Chiesa Ortodossa Russa, il rappresentante del Congresso Ebraico Europeo Gusztáv Zoltai, quello dell'Organizzazione della Conferenza Islamica Ömür Orhun, il segretario generale del Comitato per il dialogo islamo-cristiano in Libano, Hares Chakib Chehab.


 

Dal mio intervento e dalla discussione che ne è seguita i giornalisti presenti hanno ricavato soprattutto la mia affermazione secondo cui ogni anno i cristiani uccisi nel mondo per la loro fede sono 105.000, uno ogni cinque minuti. Come avviene nell'epoca di Internet, dalle auree volte del Castello Reale di Gödöllo? la citazione è rimbalzata su quotidiani e siti di tutti i continenti. È certamente servita a risvegliare le coscienze sul tema dei cristiani perseguitati. Di questo sono molto contento: sono all'OSCE per questo.


 

Ma – com'è naturale – una minoranza di coloro che hanno riferito la notizia ha sollevato dubbi su una cifra che a prima vista può sembrare eccessiva. In Italia si è distinta per un'ironia fuori luogo quando si parla di morti la solita UAAR, l'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. In queste reazioni c'è già di per sé una lezione: si sottovaluta talmente il problema dei cristiani perseguitati che le cifre – quando sono citate – sembrano a prima vista incredibili. Da dove vengono, dunque, le statistiche che ho citato in Ungheria? La base è costituita dai lavori del principale centro mondiale di statistica religiosa, l'americano Center for Study of Global Christianity, diretto da David B. Barrett, che pubblica periodicamente la notissima World Christian Encyclopedia e l'Atlas of Global Christianity. I lavori di Barrett e del suo centro sono i più citati nel mondo accademico, e non solo, per le statistiche internazionali sui membri delle diverse religioni.


 

Nel 2001 Barrett e il suo collaboratore Todd M. Johnson iniziarono a raccogliere statistiche anche sui martiri cristiani. Nella loro importante opera World Christian Trends AD 30 – AD 2200 (William Carey Library, Pasadena 2001) cercarono di calcolare il numero totale di martiri cristiani – e per la verità anche di altre religioni – nei primi due millenni cristiani, fino all'anno 2000. Naturalmente, Barrett e Johnson avevano anzitutto bisogno di una definizione di martiri cristiani. Sceslero "credenti in Cristo che hanno perso la loro vita prematuramente, nella situazione di testimoni, come risultato dell'ostilità umana". Avvertivano che perdere la propria vita "nella situazione di testimoni" non implica alcun giudizio sulla santità personale del martire ma comporta che sia stato ucciso perché cristiano, non come vittima di una guerra o di un genocidio con motivazioni prevalentemente politiche o etniche e non religiose.


 

Il volume del 2001 concludeva che i martiri cristiani nei primi due millenni erano stati circa settanta milioni, di cui quarantacinque milioni concentrati nel solo secolo XX. Una robusta parte metodologica, che – aggiungo – è uscita semmai rafforzata da dieci anni di discussione sul volume, spiegava i criteri di calcolo adottati. Da allora, Barrett e Johnson hanno aggiornato annualmente i loro calcoli, senza modificare criteri e definizioni. Negli anni 2000 il numero di martiri è cresciuto fino a raggiungere verso la metà del decennio il tasso allarmante di 160.000 nuovi martiri all'anno. Nel 2010 – come spiegano in un articolo intitolato "Christianity 2011: Martyrs and the Resurgence of Religion" pubblicato sul numero di gennaio 2011 (vol. 35, n. 1) della rivista del loro centro, l'"International Bulletin of Missionary Research" – il numero di martiri è diminuito rispetto alla metà del decennio precedente, principalmente perché "la persecuzione dei cristiani nel Sud del Sudan si sta placando come effetto degli effetti degli accordi di pace nel 2005". Tuttavia rimangono, o si aggravano, altri focolai di martirio, in particolare la Repubblica Democratica del Congo e la Corea del Nord.


 

Considerati questi fattori una stima prudenziale per il 2011, che Barrett e Johnson propongono "con fiducia", è di circa "centomila martiri in un anno". Questa cifra è considerata eccessivamente prudente in un volume importante che mi propongo di recensire in altra occasione per i lettori della Bussola Quotidiana, The Price of Freedom Denied dei sociologi statunitensi Brian J. Grim e Roger Finke (Cambridge University Press, Cambridge 2011), dove la teoria sociologica detta dell'economia religiosa è applicata allo studio statistico delle persecuzioni religiose e delle loro conseguenze sociali. Grim e Finke citano altri dati secondo cui il numero di martiri cristiani che perdono la vita ogni anno potrebbe essere più alto, fra 130.000 e 170.000. Nel mio intervento di Budapest ho voluto adottare una revisione minima della stima di Barrett e Johnson, supponendo che dalle 100.000 vittime circa del 2010 si passi a 105.000 nel 2011: una cifra molto minore di quella proposta da Grim e Finke.


 

105.000 morti all'anno significano fra 287 e 288 morti al giorno e dodici all'ora, cioè uno ogni cinque minuti. Può darsi che si debba seguire la stima più bassa di Barrett e Johnson e che i minuti siano cinque e mezzo anziché cinque. O che abbiano ragione invece Grim e Finke e muoia un cristiano ogni quattro minuti, non ogni cinque. La linea di tendenza rimane comunque spaventosa. Se non si gridano al mondo le cifre della persecuzione dei cristiani, se non si ferma la strage, se non si riconosce che la persecuzione dei cristiani è la prima emergenza mondiale in materia di violenza e discriminazione religiosa, il dialogo tra le religioni e le culture produrrà solo bellissimi convegni, ma nessun risultato concreto. Chi nasconde le cifre forse semplicemente preferisce non fare nulla per fermare il massacro.


 


 

Punjab: un cristiano non può fare il ministro delle Finanze di Jibran Khan, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/


 

Islamabad (AsiaNews) - Mian Mujtaba Shujaur Rehman, esponente del partito filo-musulmano Pakistan Muslim League-Nawaz (PML-N), è il nuovo ministro delle Finanze della provincia del Punjab. Egli detiene già il portafoglio dell'Istruzione e della Sanità e sarà chiamato nei prossimi giorni a presentare il bilancio annuale, davanti ai membri dell'Assemblea provinciale. Nei giorni scorsi il ministero è stato al centro di una feroce polemica: in un primo tempo, infatti, sembrava che il portafoglio delle Finanze venisse assegnato al cristiano Kamran Micheal (PML-N) [nella foto], già titolare del ministero per i Diritti umani e le minoranze. Tuttavia, l'opposizione dell'ala radicale del partito ha fatto decadere la nomina.


 

Oggi è giunta la nomina di Mian Mujtaba Shujaur Rehman, uomo di affari di 44 anni laureato all'Università di Lahore, membro della Pakistan Muslim league – Nawaz, partito liberale in campo economico, ma conservatore nell'ambito sociale. In qualità di nuovo ministro provinciale delle Finanze, egli sarà chiamato entro il 10 giugno a presentare il bilancio annuale. Si tratta del terzo portafoglio che viene assegnato al politico musulmano, figlio di un noto politico locale e imparentato con due membri del Parlamento nazionale.


 

Il governo provinciale del Punjab ha voluto chiudere la polemica sollevata nei giorni scorsi, quando il portafoglio delle Finanze era stato assegnato - in un primo tempo - al politico cristiano Kamran Micheal (nella foto), esponente della PML-N e già titolare del ministero per i Diritti umani e le minoranze. La nomina seguiva la rottura della coalizione fra la PML-N e il Partito popolare pakistano (Ppp), determinando un rimpasto nelle poltrone del governo provinciale. Con la carica di ministro, il politico cristiano avrebbe dovuto presentare il piano annuale delle finanze.


 

Tuttavia, una frangia consistente del suo partito si è scagliata contro l'ipotesi che fosse un cristiano - e non un musulmano - ad adempiere all'incarico. Micheal, inoltre, non ha potuto partecipare alla riunione del governo provinciale - sul tavolo temi legati all'economia - proprio per la sua fede cristiana.


 

Interpellato da AsiaNews sul nuovo caso di discriminazione contro le minoranze, il vescovo di Islamabad invita il partito PML-N "a decidere quale tipo di messaggio vuole inviare alla comunità mondiale". Tollerare questo tipo di bigottismo e intolleranza, sottolinea mons. Rufin Anthony, "confermerà solo le peggiori impressioni sul Pakistan e la PML-N nello specifico". E aggiunge che il politico cristiano è un cittadino del Pakistan come tutti gli altri, e deve godere di pari diritti.


 

Dure condanne giungono anche da Haroon Barkat Masih, presidente della Masihi Foundation, che accusa il partito di lasciare spazio alla frangia estremista e dal vescovo anglicano di Lahore Alexander John Malik che parla di «ipocrisia vergognosa». Rizwan Paul, di Life for All, sottolinea che le minoranze «contribuiscono tutte alla crescita del Prodotto interno lordo» e Raja Riaz, figura di punta del Ppp, equipara il Ministro capo del Punjab ai talebani, per le «visioni estremiste». Una dura condanna giunge infine da Mehfooz Ahmed Khan, leader musulmano, contrario a questo episodio di «discriminazione», che invita il tribunale della città a «prendere provvedimenti».


 

AsiaNews dell'8 giugno