domenica 5 giugno 2011

Nella rassegna stampa di oggi:

  1. Louis de Wohl, il gigante dimenticato di Antonio Giuliano, 02-06-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
  2. MEDITAZIONE DEL PAPA A CONCLUSIONE DEL MESE MARIANO - Nei Giardini Vaticani
  3. L'incredibile gaffe scientifica del biologo ateo PZ Myers - 1 giugno, 2011, http://www.uccronline.it
  4. Padovese, un martire sulle orme di Francesco di Antonio Giuliano, 03-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
  5. Toh, i ribelli sono come Gheddafi di Marco Respinti, 03-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/
  6. Padovese e il sacrificio dei cristiani di Robi Ronza, venerdì 3 giugno 2011, il sussidiario.it
  7. OGNI CINQUE MINUTI UN CRISTIANO È UCCISO PER LA SUA FEDE di Massimo Introvigne alla Conferenza sul dialogo interreligioso a Budapest - ROMA, venerdì, 3 giugno 2011 (ZENIT.org).
  8. FRANCIA: SECONDO SÌ DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE ALLA REVISIONE DELLA LEGGE SULLA BIOETICA - Il testo dei deputati ristabilisce il divieto con deroghe alla ricerca sugli embrioni di Paul De Maeyer
  9. 03/06/2011 - VATICANO – CINA - Mons. Savio Hon: Vescovi cinesi, non abbiate paura di dire no alle pretese di Pechino di Bernardo Cervellera
  10. «Guerra alla droga persa», rapporto shock dell'ONU di Danilo Quinto, 03-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
  11. Come rispondere a certe domande fatue di Giacomo Samek Lodovici, 04-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
  12. Neuroscienze e libertà: «l'uomo non è il suo cervello» - 4 giugno, 2011, http://www.uccronline.it
  13. Stati vegetativi: bisogna creare una rete omogenea di assistenza http://www.portaledibioetica.it/index.html
  14. STORIA DI STEFANO, MORTO IN UNA CASA PROTETTA di Privitera Chiara Riformista di domenica 5 giugno 2011
  15. Neuroteologia: una nuova disciplina teologica o una nuova forma di manipolazione del linguaggio? di Alberto Carrara


 

RECITA DEL REGINA CÆLI NELL'IPPODROMO DI ZAGREB - PAROLE DEL SANTO PADRE


 


 

Al termine della Celebrazione Eucaristica nell'area dell'Ippodromo di Zagreb, il Presidente della Commissione Episcopale per la Pastorale delle Famiglie, S.E. Mons. Valter Župan, Vescovo di Krk, pronuncia un indirizzo di omaggio e di ringraziamento al Papa.

Quindi il Santo Padre, introducendo la preghiera mariana del Regina Cæli, rivolge ai fedeli presenti le seguenti parole:


 

PAROLE DEL SANTO PADRE


 

Cari fratelli e sorelle!


 

Prima di concludere questa solenne celebrazione, desidero ringraziarvi per la vostra intensa e devota partecipazione, con la quale avete voluto esprimere anche il vostro amore per la famiglia e il vostro impegno in favore di essa – come ha ricordato poc'anzi Mons. Župan, che pure ringrazio di cuore.


 

Oggi io sono qui per confermarvi nella fede; è questo il dono che vi porto: la fede di Pietro, la fede della Chiesa! Ma, al tempo stesso, voi donate a me questa stessa fede, arricchita dalla vostra esperienza, dalle gioie e dalle sofferenze.


 

In particolare, voi mi donate la vostra fede vissuta in famiglia, perché io la conservi nel patrimonio di tutta la Chiesa.

Io so che voi trovate grande forza in Maria, Madre di Cristo e Madre nostra. Perciò, in questo momento ci rivolgiamo a lei, spiritualmente rivolti al suo Santuario di Marija Bistrica, e le affidiamo tutte le famiglie croate: i genitori, i figli, i nonni; il cammino dei coniugi, l'impegno educativo, il lavoro professionale e casalingo.


 

E invochiamo la sua intercessione perché le pubbliche istituzioni sostengano sempre la famiglia, cellula dell'organismo sociale. Cari fratelli e sorelle, proprio tra un anno, celebreremo il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, a Milano. Affidiamo a Maria la preparazione di questo importante evento ecclesiale.


 

En este momento, nos unimos en la oración también con todos aquellos que, en la Catedral de Burgo de Osma, en España, celebran la beatificación de Juan de Palafox y Mendoza, luminosa figura de obispo del siglo diecisiete en México y España; fue un hombre de vasta cultura y profunda espiritualidad, gran reformador, Pastor incansable y defensor de los indios. El Señor conceda numerosos y santos pastores a su Iglesia como el beato Juan.


 

[sloveno]


 

Z veseljem pozdravljam slovenske vernike. Hvala za vašo navzočnost. Bog vas blagoslovi!


 

[Saluto con affetto i fedeli di lingua slovena. Vi ringrazio per la vostra presenza. Il Signore vi benedica!]


 

[serbo]


 

Поздрављам вернике српског језика. Хвала на вашој присутности. Бог вас благословио!


 

[Saluto con affetto i fedeli di lingua serba. Vi ringrazio per la vostra presenza.

Il Signore vi benedica!]


 

[macedone]


 

Ги поздравувам со љубов верниците од македонски јазик. Ви благодарам за вашето присуство. Господ да ве благослови!


 

[Saluto con affetto i fedeli di lingua macedone. Vi ringrazio per la vostra presenza. Il Signore vi benedica!]


 

[ungherese]


 

Szeretettel köszöntöm a magyar híveket. Köszönöm, hogy eljöttetek. Az Úr áldását kérem Rátok!


 

[Saluto con affetto i fedeli di lingua ungherese. Vi ringrazio per la vostra presenza. Il Signore vi benedica!]


 

[albanese] Përshëndes nga zemra besimtarët shqiptarë. Ju falënderoj për praninë tuaj. Zoti ju bekoftë!


 

[Saluto con affetto i fedeli di lingua albanese. Vi ringrazio per la vostra presenza. Il Signore vi benedica!]


 

Ein herzliches "Grüß Gott" sage ich den Gläubigen deutscher Sprache. Ich danke euch für eure Teilnahme. Der Herr segne euch alle!


 

[Saluto con affetto i fedeli di lingua tedesca. Vi ringrazio per la vostra presenza. Il Signore vi benedica!]


 

Drage obitelji, ne bojte se! Gospodin ljubi obitelj i blizu vam je!


 

[Care famiglie, non temete! Il Signore ama la famiglia e vi è vicino!]


 

Regina Cæli…


 

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana


 


 

OMELIA DI BENEDETTO XVI NELLA MESSA ALL'IPPODROMO DI ZAGABRIA - Per la prima Giornata nazionale delle famiglie cattoliche croate - ZAGABRIA, domenica, 5 giugno 2011 (ZENIT.org)


 

ZAGABRIA, domenica, 5 giugno 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica da Benedetto XVI nel presiedere nell'Ippodromo di Zagabria la Santa Messa per la prima Giornata nazionale delle famiglie cattoliche croate.


 


 

* * *

Cari fratelli e sorelle! In questa Santa Messa che ho la gioia di presiedere, concelebrando con numerosi Fratelli nell'episcopato e con un gran numero di sacerdoti, ringrazio il Signore per tutte le amate famiglie qui riunite, e per tante altre che sono collegate con noi attraverso la radio e la televisione. Un particolare ringraziamento al Cardinale Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagabria, per le sentite parole all'inizio della Santa Messa. A tutti rivolgo il mio saluto ed esprimo il mio grande affetto con un abbraccio di pace!

Abbiamo da poco celebrato l'Ascensione del Signore e ci prepariamo a ricevere il grande dono dello Spirito Santo. Nella prima lettura, abbiamo visto come la comunità apostolica era riunita in preghiera nel Cenacolo con Maria, la madre di Gesù (cfr At 1,12-14). E' questo un ritratto della Chiesa che affonda le sue radici nell'evento pasquale: il Cenacolo, infatti, è il luogo in cui Gesù istituì l'Eucaristia e il Sacerdozio, nell'Ultima Cena, e dove, risorto dai morti, effuse lo Spirito Santo sugli Apostoli la sera di Pasqua (cfr Gv 20,19-23). Ai suoi discepoli, il Signore aveva ordinato di "non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l'adempimento della promessa del Padre" (At 1,4); aveva chiesto cioè che restassero insieme per prepararsi a ricevere il dono dello Spirito Santo. Ed essi si riunirono in preghiera con Maria nel Cenacolo in attesa dell'evento promesso (cfr At 1,14). Restare insieme fu la condizione posta da Gesù per accogliere la venuta del Paraclito, e la prolungata preghiera fu il presupposto della loro concordia. Troviamo qui una formidabile lezione per ogni comunità cristiana. Talora si pensa che l'efficacia missionaria dipenda principalmente da un'attenta programmazione e dalla sua intelligente messa in opera mediante un impegno concreto. Certo, il Signore chiede la nostra collaborazione, ma prima di qualsiasi nostra risposta è necessaria la sua iniziativa: è il suo Spirito il vero protagonista della Chiesa, da invocare e accogliere.

Nel Vangelo, abbiamo ascoltato la prima parte della cosiddetta "preghiera sacerdotale" di Gesù (cfr Gv 17,1-11a) - a conclusione dei discorsi di addio - piena di confidenza, di dolcezza e di amore. Viene chiamata "preghiera sacerdotale", perché in essa Gesù si presenta in atteggiamento di sacerdote che intercede per i suoi, nel momento in cui sta per lasciare questo mondo. Il brano è dominato dal duplice tema dell'ora e della gloria. Si tratta dell'ora della morte (cfr Gv 2,4; 7,30; 8,20), l'ora nella quale il Cristo deve passare da questo mondo al Padre (13,1). Ma essa è, allo stesso tempo, anche l'ora della sua glorificazione che si compie attraverso la croce, chiamata dall'evangelista Giovanni "esaltazione", cioè innalzamento, elevazione alla gloria: l'ora della morte di Gesù, l'ora dell'amore supremo, è l'ora della sua gloria più alta. Anche per la Chiesa, per ogni cristiano, la gloria più alta è quella Croce, è vivere la carità, dono totale a Dio e agli altri.

Cari fratelli e sorelle! Ho accolto molto volentieri l'invito rivoltomi dai Vescovi della Croazia a visitare questo Paese in occasione del primo Incontro Nazionale delle Famiglie Cattoliche Croate. Desidero esprimere il mio vivo apprezzamento per l'attenzione e l'impegno verso la famiglia, non solo perché questa fondamentale realtà umana oggi, nel vostro Paese come altrove, deve affrontare difficoltà e minacce, e quindi ha particolare bisogno di essere evangelizzata e sostenuta, ma anche perché le famiglie cristiane sono una risorsa decisiva per l'educazione alla fede, per l'edificazione della Chiesa come comunione e per la sua presenza missionaria nelle più diverse situazioni di vita. Conosco la generosità e la dedizione con cui voi, cari Pastori, servite il Signore e la Chiesa. Il vostro lavoro quotidiano per la formazione alla fede delle nuove generazioni, come anche per la preparazione al matrimonio e per l'accompagnamento delle famiglie, è la strada fondamentale per rigenerare sempre di nuovo la Chiesa e anche per vivificare il tessuto sociale del Paese. Continuate con disponibilità questo vostro prezioso impegno pastorale!

È ben noto a ciascuno come la famiglia cristiana sia segno speciale della presenza e dell'amore di Cristo e come essa sia chiamata a dare un contributo specifico ed insostituibile all'evangelizzazione. Il beato Giovanni Paolo II, che per ben tre volte visitò questo nobile Paese, affermava che "la famiglia cristiana è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio e originale, ponendo cioè al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suo essere ed agire, in quanto intima comunità di vita e d'amore" (Familiaris consortio, 50). La famiglia cristiana è sempre stata la prima via di trasmissione della fede e anche oggi conserva grandi possibilità per l'evangelizzazione in molteplici ambiti.

Cari genitori, impegnatevi sempre ad insegnare ai vostri figli a pregare, e pregate con essi; avvicinateli ai Sacramenti, specie all'Eucaristia – quest'anno celebrate i 600 anni del "miracolo eucaristico di Ludbreg"; introduceteli nella vita della Chiesa; nell'intimità domestica non abbiate paura di leggere la Sacra Scrittura, illuminando la vita familiare con la luce della fede e lodando Dio come Padre. Siate quasi un piccolo cenacolo, come quello di Maria e dei discepoli, in cui si vive l'unità, la comunione, la preghiera!

Oggi, grazie a Dio, molte famiglie cristiane acquistano sempre più la consapevolezza della loro vocazione missionaria, e si impegnano seriamente nella testimonianza a Cristo Signore. Il beato Giovanni Paolo II ebbe a dire: "Un'autentica famiglia, fondata sul matrimonio, è in se stessa una buona notizia per il mondo". E aggiunse: "Nel nostro tempo sono sempre più numerose le famiglie che collaborano attivamente all'evangelizzazione… È maturata nella Chiesa l'ora della famiglia, che è anche l'ora della famiglia missionaria" (Angelus, 21 ottobre 2001).

Nella società odierna è più che mai necessaria e urgente la presenza di famiglie cristiane esemplari. Purtroppo dobbiamo constatare, specialmente in Europa, il diffondersi di una secolarizzazione che porta all'emarginazione di Dio dalla vita e ad una crescente disgregazione della famiglia. Si assolutizza una libertà senza impegno per la verità, e si coltiva come ideale il benessere individuale attraverso il consumo di beni materiali ed esperienze effimere, trascurando la qualità delle relazioni con le persone e i valori umani più profondi; si riduce l'amore a emozione sentimentale e a soddisfazione di pulsioni istintive, senza impegnarsi a costruire legami duraturi di appartenenza reciproca e senza apertura alla vita. Siamo chiamati a contrastare tale mentalità! Accanto alla parola della Chiesa, è molto importante la testimonianza e l'impegno delle famiglie cristiane, la vostra testimonianza concreta, specie per affermare l'intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale, il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli.

Care famiglie, siate coraggiose! Non cedete a quella mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio! Mostrate con la vostra testimonianza di vita che è possibile amare, come Cristo, senza riserve, che non bisogna aver timore di impegnarsi per un'altra persona! Care famiglie, gioite per la paternità e la maternità! L'apertura alla vita è segno di apertura al futuro, di fiducia nel futuro, così come il rispetto della morale naturale libera la persona, anziché mortificarla! Il bene della famiglia è anche il bene della Chiesa. Vorrei ribadire quanto ho affermato in passato: "L'edificazione di ogni singola famiglia cristiana si colloca nel contesto della più grande famiglia della Chiesa, che la sostiene e la porta con sé … E reciprocamente, la Chiesa viene edificata dalle famiglie, piccole chiese domestiche" (Discorso di apertura del Convegno ecclesiale diocesano di Roma, 6 giugno 2005: Insegnamenti di Benedetto XVI, I, 2005, p. 205). Preghiamo il Signore affinché le famiglie siano sempre più piccole Chiese e le comunità ecclesiali siano sempre più famiglia!

Care famiglie croate, vivendo la comunione di fede e di carità, siate testimoni in modo sempre più trasparente della promessa che il Signore asceso al cielo fa a ciascuno di noi: "…io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Cari cristiani croati, sentitevi chiamati ad evangelizzare con tutta la vostra vita; sentite con forza la parola del Signore: "Andate e fate discepoli tutti i popoli" (Mt 28,19). La Vergine Maria, Regina dei croati, accompagni sempre questo vostro cammino. Amen! Siano lodati Gesù e Maria!

[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]


 


 

01/06/2011 – CINA - Aborti forzati in Cina: li sostieni anche tu (insieme all'Onu) di Reggie Littlejohn* - Un appello del presidente della Women's rights without frontiers per bloccare i finanziamenti agli organismi internazionali che sostengono gli aborti e le sterilizzazioni forzate in Cina.


 

Roma (AsiaNews) - Aborti e sterilizzazioni forzate, aborti selettivi su feti femminili e infanticidi continuano ad essere praticati in Cina da impiegati responsabili del controllo sulla popolazione. Il fatto è che queste operazioni sono finanziate dall'Onu, e da altri organismi internazionali. In questo modo, tutti i Paesi sono implicati in questa enorme ecatombe, definita "cento volte superiore al massacro di Tiananmen, che accade alla luce del giorno, ripetuto ogni singola giornata" (Chai Ling, ex leader di Tiananmen). AsiaNews propone l'appello di Reggie Littlejohn, presidente del Women's Rights Without Frontiers, che combatte gli aborti forzati e la schiavitù sessuale in Cina (www.womensrightswithoutfrontiers.org).


 

Tu stai finanziando gli aborti forzati in Cina. E anch'io. Non solo la scelta dell'aborto, ma gli aborti forzati. Non ha importanza che tu sia pro-life o pro-choice. Nessuno può sostenere gli aborti forzati perché questa non è una scelta.


 

Cosa voglio dire con "aborti forzati"? Eco un video riguardo a una giovane donna cinese che è stata trascinata dalla strada, legata a un tavolo e forzata ad abortire al settimo mese: http://www.youtube.com/watch?v=JjtuBcJUsjY. Puoi leggere ancora più resoconti sull'aborto forzato, le sterilizzazioni forzate e l'infanticidio praticate sotto la brutale legge del figlio unico cliccando qui: http://www.womensrightswithoutfrontiers.org/index.php?nav=congressional


 

Secondo il rapporto sulla Cina della Commissione esecutiva del Congresso, pubblicato il 10 ottobre 2010, chi viola la legge del figlio unico continua ad essere vittima di "sterilizzazioni forzate, aborti forzati, detenzione arbitraria e altri abusi".


 

La politica del figlio unico ha portato anche a molte altre violazioni di diritti umani. Ne nomino almeno tre:


 

1. Genocidio del genere. A causa della tradizionale preferenza per I figli maschi, le bambine sono soggette in modo sproporzionato all'aborto, l'abbandono, l'infanticidio.

2. Schiavitù sessuale. A causa dell'eliminazione selettiva delle bambine, al presente in Cina vi sono circa 37 milioni di maschi in più rispetto alle femmine. Questo enorme squilibrio è una forza potente che alimenta il traffico di donne e lo schiavismo sessuale da nazioni vicine alla Cina.


 

3. Suicidio femminile. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, la Cina ha il più alto tasso di suicidi femminili al mondo. Circa 500 donne cinesi si uccidono ogni giorno. Questo tasso straordinario di suicidi non è forse legato al trauma dell'essere stati vittime di aborti forzati o sterilizzazioni forzate?


 

Tutto questo cosa centra con noi? Noi aiutiamo a finanziare le infrastrutture che si usano per il family planning forzati in Cina. La comunità internazionale finanzia l'Unfpa (United Nations Family Planning Fund, il Programma Onu sulla popolazione), come pure l'Ippf (International Planned Parenthood Federation) e la Marie Stopes International. Queste organizzazioni operano in Cina come "servizi di aborto". Nel 2001 gli Usa hanno tagliato i fondi all'Unfpa dopo un'inchiesta dell'allora segretario di Stato Colin Powell, che ha scoperto la complicità dell'Unfpa nell'attuazione coercitiva della politica del figlio unico in Cina. Nel 2008, il Dipartimento di Stato Usa ha riaffermato la scoperta, ma nel 2009 ha rimesso in atto i finanziamenti. L'Unfpa è finanziata anche da molte altre nazioni.


 

In più, l'Ippf e la Marie Stopes lavorano mano nella mano con la macchina per il controllo sulla popolazione del governo comunista cinese, tristemente famosa per i suoi eccessi. Il sito internet dell'Ippf dichiara in modo aperto: "L'associazione del Family Planning in Cina (CFPA) gioca un ruolo molto importante nel programma di family planning in Cina…" Il sito internet dela Marie Stopes International elenca come "partner più importanti" la Commissione per il Family planning di diverse provincie della Cina.


 

La scorsa settimana i cittadini Usa hanno votato per tagliare i fondi all'Unfpa, all'interno del nuovo programma YouCut (http://majorityleader.gov/YouCut/P2_W1.htm). A causa di questo voto, il repubblicano Renee Ellmers introdurrà una legge per tagliare [i fondi alla] Unfpa, risparmiando 400 milioni di dollari nei prossimi 10 anni. La legge deve ancora passare attraverso il comitato e poi dal parlamento per essere effettiva. Avete ancora il tempo di contattare il vostro rappresentante per questo.


 

Una volta, un ammiratore della democrazia americana ha notato: "L'America è grande perché è buona; se l'America cessa di essere buona, cesserà anche di essere grande". Speriamo di non perdere la nostra bontà e perciò la nostra grandezza, sostenendo gli aborti forzati in Cina.


 

Per firmare l'appello internazionale di Women's Rights Without Frontiers contro gli aborti forzati e la schiavitù sessuale in Cina, clicca qui: http://www.womensrightswithoutfrontiers.org/index.php?nav=sign_our_petition


 

Per guardare il video di 4 minuti su "Fermate gli aborti forzati in Cina!", clicca qui:

http://www.youtube.com/watch?v=JjtuBcJUsjY.


 


 

* Reggie Littlejohn, presidente della Women's rights without frontiers. Come esperta sulla politica cinese del figlio unico ha esposto discorsi al parlamento europeo, a quello britannico, informato la Casa Bianca e testimoniato davanti al Congresso. Ha parlato anche alla Harvard Law School, la Stanford Law School, la George Washington University, e a The Heritage Foundation.

Laureata in legge alla Yale Law School, la sig.ra Littlejohn ha rappresentato diversi profughi cinesi nella richiesta di asilo per gli Stati Uniti.


 


 

«Ecologisti, nemici dell'uomo» di Riccardo Cascioli, 02-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

"L'idea che la natura sia buona e l'uomo cattivo è davvero stupida. Se davvero pensassimo che la natura sarebbe meglio senza l'uomo allora tanto varrebbe suicidarsi". Può sembrare incredibile ma a parlare così è Patrick Moore, uno dei fondatori – nel 1971 – di Greenpeace, l'organizzazione ambientalista radicale forse più famosa al mondo. Solo che le strade di Greenpeace e di Moore nel 1986 si sono separate e quest'ultimo, come dice lui stesso, è diventato un "ambientalista ragionevole", come dice il titolo italiano della sua autobiografia, appena uscita per i tipi di Dalai editore ("Confessioni di un fuoriuscito da Greenpeace", aggiunge il sottotitolo). Lo abbiamo incontrato a Milano, tappa di un breve tour italiano, nella sede del Politecnico dove ha incontrato un piccolo gruppo di esperti di economia e politiche energetiche, per spiegare cosa sia e quanto sia conveniente un ambientalismo ragionevole e quanto sia invece pericoloso quell'ambientalismo incarnato da Greenpeace.


 

Patrick Moore, canadese di Vancouver, è stato per nove anni presidente di Greenpeace Canada e poi per altri sette anni direttore di Greenpeace International, quando all'inizio degli anni '80 da associazione nazionale che lottava contro i test nucleari e la corsa al riarmo, è esplosa come organizzazione internazionale ecologista. Poi la rottura, e Patrick Moore fonda un'altra associazione, Greenspirit, che fa soprattutto informazione e consulenza sui temi ambientali.


 

Cosa ha spinto Moore a lasciare Greenpeace? "Si è trasformata in una associazione antiscientifica, antitecnologica, antiglobalizzazione e anticapitalista. In una parola Greenpeace è diventata antiumana". Era così diversa all'inizio? "C'è sempre stata anche una componente anarchica e radicale – dice Moore – ma era minoritaria, e comunque non ci voleva certo un dottorato per rendersi conto dei pericoli dell'uso delle armi nucleari e della corsa al riarmo. La questione ecologica è venuta successivamente, quando ci mettemmo in testa di salvare le balene dalla caccia spietata che facevano soprattutto sovietici e giapponesi: anche qui non ci voleva certo una laurea per rendersi conto che evitare l'estinzione delle balene era una cosa buona. Una parte dei pacifisti e antinuclearisti più convinti rimase sconcertata per la scelta, eppure fu proprio grazie a un incidente con le baleniere sovietiche che Greenpeace divenne famosa in tutto il mondo e vide moltiplicarsi in pochissimo tempo associazioni nazionali e fondi a disposizione. Nel giugno 1975 intercettammo delle baleniere sovietiche a non più di 30 chilometri dalle coste della California e riuscimmo a filmare il momento in cui un arpione veniva lanciato sfiorando le nostre teste per andare a colpire sul dorso una femmina di capodoglio. Quelle immagini fecero rapidamente il giro del mondo e diedero una enorme notorietà a Greenpeace; inoltre per la maggior parte degli americani fu uno choc scoprire che i sovietici cacciavano regolarmente balene a pochi chilometri dalle loro coste. Ad ogni modo la crescita tumultuosa di Greenpeace International negli anni successivi ha spinto sempre più l'associazione su posizioni radicali e irrazionali, antiumane".


 

Moore, cresciuto nella foresta intorno Vancouver , grande amante degli alberi che considera "la più grande fonte rinnovabile di energia e la risposta a tantissime esigenze dell'umanità, dall'energia alla costruzione", non sopporta un ecologismo diventato superstizione, senza alcuna base scientifica se non l'odio verso l'umanità, parla del rischio che i verdi ci facciano piombare in "secoli bui dal punto di vista intellettuale". E addirittura parla di "crimine contro l'umanità" il tentativo di impedire l'uso degli organismi geneticamente modificati in agricoltura: "Ogni anno 500mila bambini nel mondo perdono la vista per carenza di vitamina A e il 70% muore: una strage che potrebbe essere evitata con le coltivazioni Ogm, che invece vengono ostacolate".


 

Su energia e sviluppo ("l'elettricità è un punto chiave per lo sviluppo") Moore avverte del pericolo che ogni cosa venga fatta dipendere dalle politiche del clima. E' qui che l'approccio anti-umano del movimento ecologista trova il suo culmine: "Gli esseri umani sono parte della natura, sono una parte bella e positiva della natura. Non c'è nulla di più lontano dalla realtà che credere che l'aumento della popolazione faccia morire la natura. Così come è totalmente sbagliata l'idea che l'aumento del consumo pro-capite di energia si risolva in un danno per l'ambiente. E' invece la povertà ad avere un impatto ambientale enorme. Per questo è importante favorire lo sviluppo dei paesi poveri attraverso un grande cambiamento tecnologico".


 

A cominciare dall'agricoltura, dove la meccanizzazione è la chiave per lo sviluppo: "Nelle società arretrate, l'80% delle persone è impegnata in agricoltura, impegnata a procurarsi il necessario per sopravvivere giorno dopo giorno. Senza che mai nessuno possa dedicarsi ad altro e senza mai riuscire a superare il livello di sussistenza. Solo la meccanizzazione permette di aumentare la produttività liberando al contempo moltissime energie per altri lavori. Così i popoli migliorano le loro condizioni. Ma gli ecologisti pretendono di imporre soltanto l'agricoltura biologica, impedendo lo sviluppo".


 

E non ha paura Patrick Moore del riscaldamento globale? Sorride: "E' vero, c'è un aumento della temperatura negli ultimi 130 anni, ma soprattutto perché si usciva da una fase di secoli molto freddi. In ogni caso siamo in un'era interglaciale, quindi la Terra andrà ineluttabilmente verso una nuova glaciazione: tra mille anni, duemila, non lo sappiamo. Comunque, da un punto di vista scientifico non c'è alcuna prova che l'uomo sia responsabile di questo riscaldamento. Poi francamente non capisco questa paura di un aumento delle temperature: l'uomo è una specie tropicale, non polare. Non siamo pinguini, i nostri progenitori venivano dall'equatore, siamo fatti per il caldo. E' dimostrato che se non fossimo vestiti, a una temperatura di 20°C, all'ombra, non potremmo sopravvivere. Dunque, perché avere paura del riscaldamento?".


 

Senza considerare che il ruolo dell'anidride carbonica, CO2, nell'aumento delle temperature è tutto da dimostrare: "E' chiaro che se aumentasse la concentrazione di CO2 restando ferme tutte le altre variabili che contribuiscono a formare il clima, questo comporterebbe un aumento delle temperature. Ma possiamo affermare che tutti gli altri elementi sono fissi? No". Eppure ormai nell'immaginario collettivo la CO2 è diventata il mostro, il nemico numero uno, considerato un inquinante quando è invece l'elemento fondamentale della vita: "Su questo punto si gioca sulle parole: anche se la gente pensa diversamente, inquinamento non è un termine scientifico, è un giudizio. Infatti dicono che la CO2 è inquinante, non dicono che è tossica. Un elemento o un oggetto inquinante è semplicemente qualcosa che, per diversi motivi, non dovrebbe esserci, è qualcosa che crea un problema. E siccome la CO2 è considerata un problema per il clima, viene definita inquinante, ma la percezione dell'opinione pubblica è ovviamente diversa. E' una terminologia fuorviante, ma non è casuale".


 

Mentre invece non si agisce su ciò che inquina veramente: "I verdi sono il più grosso ostacolo alla riduzione dei combustibili fossili, perché si oppongono a qualsiasi alternativa: dal nucleare alle pompe geotermiche fino alle vere fonti rinnovabili, legno e acqua che insieme costituiscono il 90% delle rinnovabili. Le fonti rinnovabili migliori sono infatti quelle che è possibile immagazzinare, che possono essere disponibili a richiesta. L'idroelettrico per esempio è fondamentale, ma i verdi non vogliono far costruire le dighe. E' un'assurdità, dicono che rovina l'ecosistema ma è vero il contrario: si creano dei laghi artificiali che diventano un paradiso di biodiversità oltre a rispondere ai bisogni dell'uomo. Prendiamo il caso della Diga delle Tre Gole in Cina, la più grossa centrale idroelettrica costruita: gli ecologisti hanno creato ostacoli di ogni tipo per impedirne la costruzione. Oggi c'è un bel lago e produce tanta energia pari a quella per cui sarebbero necessarie 40 centrali a carbone. Inoltre prima, per le alluvioni morivano ogni anno migliaia di persone, ora non più. Si fa bene all'uomo e si fa bene all'ambiente, questa è la realtà".


 

Sole e vento? "Non è possibile immagazzinarli, e sono terribilmente costosi rispetto alle altre fonti. Per questo, chi sostiene che l'alternativa siano eolico e fotovoltaico in realtà sta spingendo per l'uso dei combustibili fossili".


 


 

Louis de Wohl, il gigante dimenticato di Antonio Giuliano, 02-06-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it


 

Sembra incredibile, ma oggi viene ricordato soltanto come discusso astrologo reclutato dall'esercito britannico per combattere Hitler. Eppure Louis de Wohl è entrato a tutti gli effetti nel firmamento degli scrittori più ispirati. Basta leggere L'ultimo crociato, La liberazione del gigante o L'albero della vita per capire perché sia diventato un narratore cattolico di culto: i suoi romanzi sono stati tradotti in dodici lingue e diffusi in oltre un milione di copie. E tuttavia si fa tanta fatica a reperire notizie sul conto di questo autore nato a Berlino nel 1903 e morto esattamente il 2 giugno di cinquant'anni fa.


 

Una ricorrenza che sembra destinata a passare inosservata nel panorama culturale al punto che è lecito chiedersi se non sia frutto di un deliberato ostracismo. Scarne sono le notizie biografiche e avvolte anche nella leggenda. Complice lo stesso de Wohl che non mancava certo di estro nel fronteggiare le situazioni più imprevedibili. Sappiamo che era nato in una famiglia povera, cattolica, da padre ebreo-ungherese e madre austriaca, e che nel 1935 fu costretto a fuggire dalla Germania nazista per trovar riparo in Inghilterra. Qui, ostentando le sue competenze astronomiche (aveva scritto anche dei libri), riuscì a farsi assumere dai responsabili dell'Intelligence britannica (MI5). Il sistema di spionaggio inglese era convinto che Hitler seguisse i consigli di un astrologo prima di intraprendere le sue battaglie.


 

Louis de Wohl cambiando anche nome (all'anagrafe si chiamava Ludwig von Wohl), si palesò come l'uomo in grado di interpretare i momenti in cui gli astri erano più sfavorevoli al Führer così da attaccare nelle fasi in cui Hitler si sentiva più sfiduciato dalle stelle. L'intelligence creò per lui un Dipartimento di Guerra psicologica assegnandogli anche una suite in una delle zone più eleganti di Londra e lui diventò persino capitano dell'esercito. Nel 1941 Churchill (che pure non credeva nell'astrologia) lo mandò addirittura negli Stati Uniti per convincerli a suon di oroscopi che Hitler sarebbe stato sconfitto in pochi mesi se fossero entrati in guerra.


 

Il nome di de Wohl è ricomparso curiosamente dagli archivi nazionali inglesi di MI5 nel 2008. Son venute fuori testimonianze discordi sul suo operato. Da alcuni fu lodato come uomo «straordinariamente intelligente e astuto» e come «propagandista brillante». Secondo il Maggiore Lennon «fece di più lui per la causa alleata che un gran numero di fratelli stranieri». Ma ci fu chi denunciò l'inattendibilità dei suoi pronostici e l'inutilità del suo ruolo, oltre a imputargli una buona dose di vanità e di comportamenti licenziosi. Ci fu persino chi l'accusava di essere uomo abile nei travestimenti, uno che al suo arrivo in Inghilterra si era presentato all'occorrenza come nobile ungherese, nipote di direttore d'orchestra austriaco, nipote di un magnate bancario britannico e addirittura parente del sindaco di Londra. Tacciato di essere «ciarlatano e impostore», de Wohl avrebbe rischiato anche l'internamento. Al termine della guerra lasciò comunque l'Inghilterra. Dopo aver sposato nel 1953 Ruth Maddalena Lorch (entrambi entrarono a far parte dell'Ordine del Santo Sepolcro) ripiegò a Lucerna, in Svizzera, dove morì nel 1961.


 

Una vita che sembra uscita dalla fantasia di un regista. In realtà lui stesso confidò che non fu affatto facile ripartire dalla Gran Bretagna. In Germania si era già fatto notare come scrittore di romanzetti, gialli e storie di avventura. E molte delle sue trame erano approdate anche al cinema. Del resto già a 7 anni gli insegnanti lodavano la sua penna brillante. E all'età di 8 anni, firmò la sua prima commedia, Gesù di Nazaret, perché non gli piaceva come Gesù era stato descritto da alcuni libri che aveva letto. Oltre Manica fu costretto a ripartire da zero e per imparare presto lingua e costumi lesse avidamente di tutto, pure i libri di filastrocche per bambini. Sotto le bombe che piovevano su Londra cominciò a maturare anche una profonda conversione.


 

Cattolico per tradizione familiare, ma imborghesito dal successo, riscoprì la sua vocazione e la sua fede proprio in un momento cruciale: «Se muoio stanotte – pensava – che cosa avrò fatto dei talenti che Dio mi ha dato?». E provando a fare un bilancio ragionò tra sé: «In fondo ho già scritto diversi libri di successo, ma erano tutte pubblicazioni che la gente leggeva sui treni o quando erano troppo stanchi per leggere qualcosa di veramente buono. Per questo erano state scritte e non per la gloria di Dio». Lo scossone decisivo glielo diede il cardinale di Milano Ildefonso Schuster che gli disse: «Fa' in modo che i tuoi scritti siano buoni. Sarà per i tuoi scritti che un giorno verrai giudicato». Si appassionò allora alle storie dei santi ma rimase deluso per il fatto che fossero scritte tutte da persone devote. Le trovò per nulla adatte a chi non era credente o tiepido nella fede. Eppure quegli uomini che avevano raggiunto la santità non erano dei fanatici ormai fuori dalla storia. Al contrario, coloro che avevano abbracciato Cristo erano dei coraggiosi capaci di affascinare l'uomo di ogni tempo.


 

Bisognava raccontarne le gesta non in modo bigotto, ma cercando di entrare nel loro animo, per rendere appieno tutta la loro natura di uomini. Fu così che nacquero i suoi romanzi storici più famosi in cui gli eroi non sono santini, magari un po' depressi come spesso l'iconografia tende a dipingerli. Ma gente in carne e ossa che ti conquista per l'ardore con il quale trovò la felicità nel Vangelo. Dal primo romanzo The Spear (su Longino, il soldato romano che trafisse il costato di Cristo), Louis de Wohl inanellò una serie di capolavori avvincenti in cui emerge la sua verve di coinvolgente cantastorie.


 

Diversi libri sono stati tradotti con successo in Italia grazie alla Bur: L'albero della vita (su sant'Elena madre dell'imperatore Costantino) La liberazione del gigante (su Tommaso d'Aquino), L'ultimo crociato (su Giovanni d'Austria, giovane comandante delle truppe cristiane che sconfissero i musulmani a Lepanto), La mia natura è il fuoco (sul carisma "incendiario" di Caterina da Siena), fino all'ultimo pubblicato, Attila – La tempesta dall'Oriente (su come Papa Leone I convinse il re degli Unni a risparmiare Roma). Ma mancano in italiano ancora altre opere su Francesco d'Assisi, Giovanna d'Arco, Benedetto da Norcia…


 

La morte lo colse quando aveva appena terminato Founded on a Rock, una poderosa storia della Chiesa cattolica "fondata sulla roccia". Lo spunto gliel'aveva dato addirittura papa Pio XII che ricevendolo in udienza lo esortò a «scrivere la storia e la missione della Chiesa nel mondo». Puntò insomma molto in alto, troppo per la critica letteraria. Ed è rimasto l'astrologo. Ma scrisse mirando un cielo più grande.


 


 

MEDITAZIONE DEL PAPA A CONCLUSIONE DEL MESE MARIANO - Nei Giardini Vaticani


 

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 1° giugno 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso che Papa Benedetto XVI ha pronunciato a conclusione del mese mariano durante una celebrazione svoltasi questo martedì pomeriggio nei Giardini Vaticani.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di unirmi a voi in preghiera, ai piedi della Vergine Santa, che oggi contempliamo nella Festa della Visitazione. Saluto e ringrazio il Signor Cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Basilica di San Pietro, i Cardinali e i Vescovi presenti, e tutti voi che siete qui convenuti questa sera. A conclusione del mese di Maggio, vogliamo unire la nostra voce a quella di Maria, nel suo stesso cantico di lode; con Lei vogliamo magnificare il Signore per le meraviglie che continua ad operare nella vita della Chiesa e di ciascuno di noi. In particolare, è stato e rimane per tutti motivo di grande gioia e gratitudine l'avere iniziato questo mese mariano con la memorabile Beatificazione di Giovanni Paolo II. Quale grande dono di grazia è stata, per la Chiesa intera, la vita di questo grande Papa! La sua testimonianza continua ad illuminare le nostre esistenze e ci è di sprone ad essere veri discepoli del Signore, a seguirLo con il coraggio della fede, ad amarLo con lo stesso entusiasmo con cui egli ha donato a Lui la propria vita.

Meditando oggi la Visitazione di Maria, siamo portati a riflettere proprio su questo coraggio della fede. Colei che Elisabetta accoglie nella sua casa è la Vergine che "ha creduto" all'annuncio dell'Angelo e ha risposto con fede, accettando con coraggio il progetto di Dio per la sua vita e accogliendo così in sé la Parola eterna dell'Altissimo. Come sottolineava il mio beato Predecessore nell'Enciclica Redemptoris Mater, è mediante la fede che Maria ha pronunciato il suo fiat, «si è abbandonata a Dio senza riserve ed "ha consacrato totalmente se stessa, quale ancella del Signore, alla persona e all'opera del Figlio suo"» (n. 13; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 56). Per questo Elisabetta, nel salutarla, esclama: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto" (Lc 1,45). Maria ha davvero creduto che "nulla è impossibile a Dio" (v. 37) e, forte di questa fiducia, si è lasciata guidare dallo Spirito Santo nell'obbedienza quotidiana ai suoi disegni. Come non desiderare, per la nostra vita, lo stesso abbandono fiducioso? Come potremmo precluderci quella beatitudine che nasce da una così intima e profonda consuetudine con Gesù? Perciò, rivolgendoci oggi alla "piena di grazia", le chiediamo di ottenere anche a noi, dalla Provvidenza divina, di poter pronunciare ogni giorno il nostro "sì" ai disegni di Dio con la stessa fede umile e schietta con cui Lei ha pronunciato il suo. Ella che, accogliendo in sé la Parola di Dio, si è abbandonata a Lui senza riserve, ci guidi ad una risposta sempre più generosa e incondizionata ai suoi progetti, anche quando in essi siamo chiamati ad abbracciare la croce.

In questo tempo pasquale, mentre invochiamo dal Risorto il dono del suo Spirito, affidiamo alla materna intercessione della Madonna la Chiesa e il mondo intero. Maria Santissima che nel Cenacolo ha invocato con gli Apostoli il Consolatore, ottenga ad ogni battezzato la grazia di una vita illuminata dal mistero del Dio crocifisso e risorto, il dono di saper accogliere sempre più nella propria esistenza la signoria di Colui che con la sua risurrezione ha sconfitto la morte. Cari amici, su ciascuno di voi, sui vostri cari, in particolare su quanti soffrono, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]


 


 

L'incredibile gaffe scientifica del biologo ateo PZ Myers - 1 giugno, 2011, http://www.uccronline.it


 

La guerra tra creazionisti, fautori del Disegno Intelligente ed evoluzionisti radicali è vista con molto sospetto e distacco dalla maggioranza dei cattolici, che non approvano nessuna delle tre posizioni filosofiche. Tuttavia è divertente osservare come più l'ateismo estremista si affanna nel promuovere il dogma neo-darwinista e più aumentino i sostenitori di altrettanti ed opposti fondamentalismi. Sicuramente negli ultimi tempi il movimento dell'Intelligent Design , che riconosce l'evoluzione ma vede nella complessità del fenomeno l'intervento diretto di Dio, si è rafforzato grazie a preparati ed abili scienziati, sempre più scettici verso l'ormai superato insoddisfacente darwinismo estremista. Di conseguenza l'attenzione degli scienziati ateo-militanti si è particolarmente orientata verso di loro.


 

L'Algemeiner Journal ha infatti riportato un intervento del biologo PZ Myers (qui in foto vicino al suo maestro Richard Dawkins) durante un raduno dell'Atheist International Alliance, intenzionato a criticare l'argomento portante dell'Intelligent Design, cioè la complessità della cellula umana.


 

Lo scienziato ha però avanzato ragionamenti a dir poco imbarazzanti, come appunto si capisce dal titolo dell'articolo: "Seriamente, gli atei non sono imbarazzati di P.Z. Myers?". Attraverso Power Point ha inizialmente sintetizzato la teoria del Disegno Intelligente: «Il nucleo del ragionamento è questo: (A) Complessità può essere creata solo da un Designer. (B) La biologia è veramente complessa. (C) La biologia è stato creata da un Designer». Per confutarla ha voluto sostenere che in realtà anche la casualità può far emergere la complessità: «ci sono un sacco di cose che sono molto complicate e non sono il risultato di un creatore intelligente. Vi faccio vedere un esempio qui». Ha quindi mostrato al pubblico una fotografia con un grande mucchio di tronchi d'albero, lungo una linea costiera della Rialto Beach (Washington). Ha poi commentato: «Questa è una cosa molto comune lungo le spiagge … legna! Potete trovare questi muri di legna anche voi, vere e proprie pareti, muri molto complicati. Essi sono stati costruiti, ma chi è stato? Sappiamo che la risposta è: i processi naturali! Non abbiamo bisogno di un designer per costruire questo tipo di muro. Eppure sono muri complessi, non è possibile negarlo. Se io spegnessi il proiettore sareste in grado di disegnarli? No».


 

Il livello dell'argomentazione di Myers è oggettivamente assurdo e ridicolo, indipendentemente della correttezza delle sue intenzioni. «Per essere onesto», commenta basito l'autore dell'articolo, «la prima volta ho pensato che Myers stesse scherzando. Un mucchio di legna usato come analogia alla "complessità" di una cellula vivente?! Myers sta sostenendo che un mucchio di legna creato in modo naturale e non guidato è "complesso" allora lo è anche la "complessità" di una cellula vivente». Questo biologo paragona quindi la "complessità" al "caos", come può esserlo anche un mucchio di spazzatura. In realtà è ovvio che si debba parlare di "complessità funzionale", cioè la capacità di raggiungere un (pre)determinato obiettivo, come appunto la cellula fa. Ma Myers, impazzito completamente, insiste e mostra una fotografia in cui appare un muro di mattoni sapientemente costruito in un giardino. E commenta: «Siamo abituati a vedere questo tipo di parete. Anche questo è un muro, è possiamo riconoscere che ha una finalità specifica , che è stato costruito da agenti umani. Ma è più semplice questo o quello costruito con muri di legna? Ovviamente quello costruito dall'uomo. Le cose naturali dunque sono costruite per caso e necessità e tendono ad essere complesse, al contrario di quelle artificiali». La logica di Myers è pari solo a quella di Odifreddi…sostanzialmente dice che la cellula umana è complessa, ma ciò che è costruito da una mente intelligente in realtà è una cosa semplice, come un muro di mattoni. Si conferma dunque la terribile ignoranza circa l'utilizzo del termine "complessità" usato in biologia. Ad esempio, il microbiologo Michael Denton dice della cellula: «è una vera e propria micro-fabbrica in miniatura, contenente migliaia di pezzi intricati con eleganza nel macchinario molecolare, composta da centomila milioni di atomi, molto più complicata di qualsiasi macchina costruita dall'uomo e senza parallelo nel mondo non-vivente». E parla solo di una cellula tra le oltre 100 mila miliardi presenti nell'essere umano, tutte con un funzionamento molto specifico, uno scopo, un obiettivo. Come si può paragonare questo tipo di complessità a quello di una catasta di legna?


 

Se questi sono gli argomenti che coloro che si fanno chiamare "razionalisti" utilizzano per criticare altrettanti discutibili ragionamenti, allora anche noi ci domandiamo: «Myers è pazzo? Quest'uomo ha completamente abbandonato qualsiasi parvenza di razionalità? Come è possibile che il suo pubblico continui a stare seduto davanti a tutte queste sciocchezze, muovendo la testa su e giù in segno di approvazione, come fa il cane giocattolo dal lunotto della macchina?». Non è un caso che a marzo di quest'anno il sito degli atei americani abbia proclamato il biologo ateo PZ Myers "l'idiota della settimana" (cfr. Ultimissima 15/3/11).


 


 

Padovese, un martire sulle orme di Francesco di Antonio Giuliano, 03-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

«Ho visto il corpo senza vita di monsignor Padovese all'aeroporto. Era il corpo di un martire». A un anno di distanza, padre Raffaele Della Torre, ministro provinciale dei frati minori cappuccini della Lombardia, è ancora sgomento.


 

Il 3 giugno 2010 a Iskenderun in Turchia, Luigi Padovese, vicario apostolico dell'Anatolia, veniva accoltellato in casa dal suo autista, Murat Altun, un giovane turco di 28 anni. Nato a Milano nel 1947, Padovese, era approdato in Turchia nel 2004 dopo anni di appassionato insegnamento e una vocazione maturata nell'ordine dei francescani cappuccini. «È stato il mio confessore e direttore spirituale – racconta padre Della Torre – nonché mio caro amico. L'avevo rivisto poche settimane prima che venisse ucciso. Era consapevole delle difficoltà del dialogo con l'islam. Ma nella sua generosità era preoccupato più per la sua comunità che per se stesso».


 

Sembra ormai che anche la giustizia turca si sia convinta della sanità mentale dell'assassino. Nonostante il tentativo subdolo di farlo passare come uno squilibrato, come ha denunciato più volte nei mesi scorsi Ruggero Franceschini, l'arcivescovo di Smirne, secondo cui i mandanti dell'omicidio si nascondono tra gli ultranazionalisti e i fanatici religiosi. Padovese aveva affermato apertamente che la chiesa cattolica in Turchia (40 mila fedeli su circa 80 milioni di abitanti) non esiste perché non è riconosciuta come minoranza. Uno dei problemi più grandi per lui era l'impossibilità di aprire seminari e dare vita a un cristianesimo turco. Secondo Padovese l'islam intende la libertà religiosa come la possibilità che un cristiano diventi musulmano, ma non viceversa.


 

«Era preoccupato dalle conversioni forzate all'islam – ammette padre Della Torre -. Lui aveva capito che con i musulmani non ci sono troppe categorie: bisogna testimoniare, mettendoci la faccia, sapendo di rischiare. Anche san Francesco andò a incontrare il Sultano, ma non era certo un pacifista ante litteram: voleva annunciare Cristo, che è la risposta attesa dal cuore di ogni uomo. Padovese era innamorato di Gesù, sentiva dentro una fiducia che l'accompagnava, per questo aveva una grande capacità di relazionarsi. Era uno che amava stare con gli altri, si dilettava nel canto, cercava in tutti i modi di testimoniare a la bellezza di essere cristiani».


 

E le doti liriche di monsignor Padovese (non a caso accostato a Pavarotti dai suoi confratelli…) spiccano anche nel prezioso dvd con le ultime immagini, allegato al libricino Come chicco di grano (Edizioni Terra Santa, pp. 48, euro 8) con le testimonianze a cura di Giuseppe Caffulli che illustrano in modo chiaro anche la difficile situazione della Chiesa in Turchia, segnata dal 2006 in poi dal martirio di don Andrea Santoro e da altre aggressioni ai cristiani.


 

L'introduzione del libro è firmata da fra Alessandro Ferrari, ministro provinciale al tempo dell'omicidio di Padovese: «Per me era un fratello maggiore – spiega oggi fra Alessandro – nonostante sia stato mio docente di teologia patristica. Padre Luigi, come amava farsi chiamare, era un uomo di grande cultura, ma di una semplicità invidiabile. Si infervorava nell'insegnamento, ma ci raccomandava di studiare non per l'esame ma per la vita, per conoscere Colui che ci ha chiamato. Con monsignor Padovese era sempre assicurata la ricreazione: amava scherzare e ridere di se stesso».


 

Anche fra Alessandro non si dà ancora pace per quella fine cruenta (pare che sia stato anche sgozzato): «La domenica precedente era venuto in Italia a trovarmi. C'era anche il suo autista che non mi sembrava affatto un matto. Non mi sembra ancora vero, perché monsignor Padovese era una persona buonissima, sempre disponibile e dallo sguardo benevolo. Amava la Turchia perché è la terra in cui la Chiesa ha mosso i primi passi. L'ultima volta l'ho visto un po' stanco, operava in un contesto ecclesiale povero di mezzi. Ma non si arrendeva».


 

Caparbio e di una cultura vastissima, come emerge anche dal monumentale libro appena uscito In caritate veritas (Edb, pp. 908, euro 59), a cura dei francescani Paolo Martinelli e Luca Bianchi, con una raccolta di numerosi contributi che rendono omaggio al vescovo ucciso. «Ti colpiva – spiega ancora fra Alessandro – per la sua mitezza. Ma era uno capace di far la voce grossa. Ricordo ancora quanto si sia battuto per la chiesa di Tarso, trasformata in un museo a pagamento. Era affascinato da san Paolo che considerava il fiero apostolo dell'identità cristiana. Andò così a parlare con le autorità turche e si scaldava anche con noi frati perché protestassimo. Aveva una grinta insospettabile. E penso davvero che, come dicono, abbiano voluto ucciderlo per punire i cattolici, del resto era anche presidente della conferenza episcopale turca. Il suo cruccio erano i cristiani discriminati e non era tipo da cedere ai compromessi. "Il vero dialogo – rammentava sempre – comporta che il cristiano sia animato dal desiderio di far conoscere e amare Gesù Cristo". Era un fedele discepolo del metodo missionario che Francesco consigliava ai frati: "Che non facciano liti e dispute…e confessino d'essere cristiani"».


 

Per questo oggi la sua fine appare profetica. «Lui non lasciava trasparire timori – assicura fra Alessandro -. Anche se era rimasto sconvolto dall'uccisione di don Andrea Santoro nel 2006. Diceva sempre che nel vedere il suo cadavere aveva ravvisato una strana somiglianza con il Cristo nudo del Mantegna. Scrisse profeticamente in una lettera: "Non vado in Turchia da solo. È tutta la provincia lombarda dei frati che viene con me. E se anche il Signore dovesse chiedermi il dono della vita, io sono pronto". Aveva capito che doveva stare più attento. Ma rifiutò la guardia del corpo, perché, mi spiegò, non volevano proteggerlo ma solo pedinarlo. Non aveva perso però la fiducia: "Se i cristiani – diceva - non fondano la loro esistenza sulla speranza, non avrebbe senso la nostra fede". E non a caso amava ripetere le parole di don Andrea Santoro: "Gesù ci ha detto di non avere paura di nulla. Solo di una cosa bisogna avere paura: di non essere cristiani, di essere, come diceva Gesù, un sale senza sapore, una luce spenta o un lievito senza vita"».


 


 

Toh, i ribelli sono come Gheddafi di Marco Respinti, 03-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/


 

In Libia l'esercito governativo di Muhammar Gheddafi compie crimini contro l'umanità mentre le forze ribelli che a Bengasi hanno istituito il Consiglio nazionale transitorio si macchiano di crimini di guerra.


 

Questa raffinata differenza da intenditori è la conclusione cui perviene il rapporto della speciale Commissione internazionale d'inchiesta istituita in febbraio per il Paese maghrebino, presentato ieri al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite che quella Commissione ha creato. Composta da tre esperti plurititolati - l'egiziano Cherif Bassiouni, la giordana Asma Khader e il canadese Philippe Kirsch -, la Commissione ha operato sul campo conducendo centinaia d'interviste dirette e raccogliendo una gran mole di materiale fotografico e video allo scopo di verificare ed eventualmente documentare in modo indipendente le numerose denunce di violenze, violazioni della dignità della persona, infrazioni del diritto internazionale e crimini di guerra giunte in sede internazionale sin dall'inizio del conflitto.


 

Numerose le aree di indagine criminale evocate dalle denunce: dalle angherie sulla popolazione civile alle esecuzioni capitali extragiudiziarie, dallo stupro all'impiego militare dei bambini, dall'uso di armi vietate dalle convenzioni internazionali alla tortura, dalla repressione violenta delle manifestazioni pubbliche al diniego della libertà di stampa. Ebbene, a conti fatti, il rapporto trova equamente colpevoli sia il regime di Tripoli sia i ribelli di Bengasi di mancanze definite «gravi» e li accusa di crimini di guerra, con l'aggravante per i primi di avere commesso pure crimini contro l'umanità.


 

La differenza tra crimini contro l'umanità e crimini di guerra è del resto più concettuale che reale (i secondi comprendono certamente i primi, con semmai l'aggiunta della violazione dei trattati internazionali sulle regole di conduzione della guerra), e l'istituzione anche giuridica delle seconda locuzione serve soprattutto a impedire che lo stato di belligeranza "assolva" atti che in tempo di pace - sempre - sono stigmatizzati come palesemente criminali.


 

Nelle 93 pagine del rapporto Onu si legge: «Violando gli obblighi stabiliti sia dalla legge internazionale sui diritti umani sia dal diritto internazionale umanitario, tanto il governo quanto le forze di opposizione si sono rese responsabili di torture così come di altre forme di trattamento crudele, disumano e degradante».


 

I ribelli hanno inoltre riservato maltrattamenti particolari, comprese violenze fisiche, ai «lavoratori migranti, specialmente quelli provenienti dall'Africa subsahariana», sospettando che potessero essere effettivi mercenari al soldo di Tripoli. Idem è accaduto a detenuti nelle carceri. «In base allo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale», conclude il rapporto, «le violazioni di questo tipo che si verificano durante un conflitto armato costituiscono crimini di guerra. Saranno del resto necessarie indagini ulteriori per stabilire la veridicità delle accuse sia di stupro sia d'impiego militare di bambini minori di 15 anni».


 

Insomma, a norma di legge internazionale sui diritti umani quanto stabilisce il rapporto d'inchiesta Onu è che sia le forze di Gheddafi sia quelle ribelli hanno compiuto i propri crimini entrambe nel momento in cui hanno avuto la possibilità materiale di farlo: Gheddafi anche prima della guerra, cioè pure quando faceva parte - fino al 1° marzo - dello stesso Consiglio Onu per i diritti umani che ha istituito la speciale Commisione produttrice del rapporto, e invece i ribelli solo durante il conflitto. Ossia da quando hanno potuto disporre di un territorio su cui esercitare "sovranità". In pratica da che esistono.


 

Il rapporto della Commissione internazionale d'inchiesta verrà discusso in sede Onu lunedì 6 giugno. Cosa sarà dopo della guerra, proprio adesso che la Nato ha deciso di allungare di 90 giorni la propria "premura umanitaria"?


 


 

Padovese e il sacrificio dei cristiani di Robi Ronza, venerdì 3 giugno 2011, il sussidiario.it


 

Ricorre oggi il primo anniversario dell'uccisione, o più precisamente del martirio in Turchia di mons. Luigi Padovese, vescovo di Iskenderum (Alessandretta) e vicario apostolico dell'Anatolia, assassinato da un uomo che gli faceva da autista; e che salì poi sul tetto-terrazza della casa della sua vittima a proclamare che aveva dato la morte a Satana e a gridare "Allah Akhbar" (Allah è grande).

Anche nel suo caso, come in quello di un altro sacerdote cattolico precedentemente ucciso in Turchia, don Andrea Santoro, assassinato a Trabzon (Trebisonda) nel 2006, le autorità turche hanno descritto gli assassini come degli squilibrati che avevano infierito sulle loro vittime spinti da pulsioni puramente patologiche. Ammesso e non concesso che ciò fosse almeno in parte vero, resta il fatto che lo squilibrato afflitto da manie di persecuzione individua il proprio presunto nemico mortale non da sé solo, bensì attingendo a pregiudizi diffusi, o tanto più a campagne denigratorie in atto nella società in cui vive.

Dunque in ogni evenienza la scelta dell'assassino di mons. Padovese, come di quello di don Santoro, fu il riflesso eventualmente patologico di un contesto generale caratterizzato da discriminazioni e da vessazioni contro i non musulmani. Tutto ciò malgrado che la Turchia di oggi, figlia di un riformatore che esplicitamente si ispirava all'illuminismo francese, pretenda di essere un Paese "laico" nel senso che a tale concetto si dà tradizionalmente in Francia; ovvero qualcosa che tende spesso a risolversi in forme di libertà... asimmetrica, a pieno svantaggio delle visioni del mondo di tipo religioso.

Se questo può accadere nella "laica" Turchia non si fa fatica a immaginarsi come la situazione possa essere in quei Paesi a maggioranza musulmana che in vario modo non esitano a definirsi "Stati islamici". La considerazione del ruolo attuale e delle legittime aspirazioni dei popoli a maggioranza musulmana, e la stima per i tanti tesori della civiltà islamica, non ci deve infatti far dimenticare la grande e drammatica lacuna di questa cultura, ossia la storica mancanza in essa del principio di laicità, nonché tuttora la grande difficoltà di svilupparlo a partire dal suo interno.

D'altro canto in questo la cultura islamica non è sola. Con buona pace delle presunzioni della modernità occidentale, il principio di laicità entra infatti nella storia con Gesù Cristo e il suo "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". E non lo si ritrova in alcuna altra civiltà, non solo in quella musulmana, ma anche in ogni altra, da quella indù a quella giapponese, dove non a caso l'imperatore è pure grande sacerdote. È vero che la piena attuazione di tale principio ha richiesto secoli, ma è altrettanto vero che esso in Occidente non è mai stato negato né annichilito, secondo un processo avviatosi subito e che già nel IV secolo ebbe due tappe fondamentali: nel 313 l'editto di Milano col quale l'imperatore Costantino sancì la libertà di coscienza (non solo la libertà dei cristiani come troppo spesso si continua a dire), e nel 375 la decisione dell'imperatore Graziano di rinunciare al titolo di Pontefice massimo, ponendo così definitivamente termine in Occidente alla coincidenza tra suprema autorità civile e suprema autorità religiosa.

Questa cruciale svolta - che è una delle grandi cause storiche obiettive dello straordinario sviluppo della civiltà occidentale - purtroppo nel mondo a maggioranza musulmana stenta ancora oggi ad avvenire. Come è noto oggi nel mondo arabo, che è il cuore del mondo a maggioranza musulmana, fervono movimenti anche - ma non soltanto - giovanili che premono per un ammodernamento tanto delle istituzioni quanto, e forse prima ancora, della società. È chiaro che, se accadrà come tutti speriamo, tale ammodernamento avrà dei suoi specifici caratteri. Noi per primi in Occidente non dobbiamo pretendere e nemmeno sperare che si tratti di un ammodernamento occidentalizzante. Se ciò fosse, sarebbe un processo senza respiro e senza futuro. La mesta fine dei regimi contro cui tali movimenti premono, che furono a loro tempo delle forme appunto di ammodernamento occidentalizzante, conferma con la dura forza dei fatti la sterilità di fenomeni del genere.

Nondimeno ci sono dei risultati di validità generale della nostra esperienza storica, come appunto il principio di laicità e la libertà di coscienza e di espressione, che il mondo a maggioranza musulmana deve per il suo bene fare propri, beninteso a suo modo. In tale prospettiva emerge il ruolo tanto impegnativo quanto provvidenziale dei cristiani in tali situazioni. In particolare in quei Paesi nei quali costituiscono una minoranza autoctona consistente - come in Egitto, in Libano, in Siria e in Iraq - essi con la loro stessa presenza pongono il problema della laicità dello Stato e del diritto alla libertà di coscienza e di espressione. E attingendo alle radici della loro fede e della loro identità possono dare un contributo decisivo a che esso trovi una soluzione non soltanto non imposta, ma nemmeno calata dall'esterno. È un compito arduo che, come già si è visto, giunge talvolta al martirio, ma è un compito in cui nessun altro li può sostituire; meno che mai noi cristiani dell'Occidente. Possiamo, anzi dobbiamo sostenerli moralmente, pregare per loro e insieme a loro, ma stando bene attenti a non scavalcarli. Sarebbe disastroso.

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OGNI CINQUE MINUTI UN CRISTIANO È UCCISO PER LA SUA FEDE di Massimo Introvigne alla Conferenza sul dialogo interreligioso a Budapest - ROMA, venerdì, 3 giugno 2011 (ZENIT.org).


 

ROMA, venerdì, 3 giugno 2011 (ZENIT.org).- "Ogni cinque minuti un cristiano muore ucciso per la sua fede". E' la notizia agghiacciante diffusa dal sociologo Massimo Introvigne nel suo intervento alla Conferenza internazionale sul dialogo interreligioso fra cristiani, ebrei e musulmani, in svolgimento a Gödollö (Budapest) promossa dalla Presidenza ungherese dell'Unione Europea.

Introvigne, rappresentante dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per la lotta all'intolleranza e alla discriminazione contro i cristiani, ha reso noto che i cristiani uccisi ogni anno per la propria fede sono 105.000, contando solo i veri e propri martiri, messi a morte perché cristiani, senza considerare le vittime di guerre civili o tra Nazioni.

"Se non si gridano al mondo queste cifre, se non si ferma questa strage, se non si riconosce che la persecuzione dei cristiani è la prima emergenza mondiale in materia di violenza e discriminazione religiosa, il dialogo tra le religioni produrrà solo bellissimi convegni ma nessun risultato concreto", ha dichiarato l'esperto.

All'incontro partecipano personaggi di spicco come il Cardinale Péter Erdő, presidente dei Vescovi europei, il Custode di Terrasanta padre Pierbattista Pizzaballa, l'Arcivescovo Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, l'Arcivescovo maronita di Beirut Paul Matar, il metropolita Hilarion, "Ministro degli Esteri" della Chiesa Ortodossa Russa, il rappresentante del Congresso Ebraico Europeo Gusztáv Zoltai, quello dell'Organizzazione della Conferenza Islamica Ömür Orhunn e il segretario generale del Comitato per il dialogo islamo-cristiano in Libano, Hares Chakib Chehab.

Il diplomatico egiziano Aly Mahmoud ha dichiarato che nel suo Paese sono in arrivo leggi che proteggeranno le minoranze cristiane, perseguendo come reato i discorsi che incitano all'odio e vietando gli assembramenti ostili all'esterno delle chiese.

"Ma il pericolo - ha sottolineato il Cardinale Erdő - è che molte comunità cristiane in Medio Oriente muoiano per emigrazione, perché tutti i cristiani sentendosi minacciati scapperanno".

"L'Europa si prepari a una nuova ondata di emigrazione, stavolta di cristiani che fuggono dalle persecuzioni", ha avvertito.

Dal canto suo, il metropolita Hilarion ha ricordato che "almeno un milione" dei cristiani vittime di persecuzioni nel mondo sono bambini.


 


 

FRANCIA: SECONDO SÌ DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE ALLA REVISIONE DELLA LEGGE SULLA BIOETICA - Il testo dei deputati ristabilisce il divieto con deroghe alla ricerca sugli embrioni di Paul De Maeyer


 

ROMA, venerdì, 3 giugno 2011 (ZENIT.org).- Con 280 voti contro 217, l'Assemblée Nationale francese ha approvato martedì 31 maggio in seconda lettura il progetto di revisione della legge sulla bioetica del 2004. Seguendo la linea difesa dal Governo del Primo Ministro François Fillon (UMP/Unione per un Movimento Popolare), il testo dell'Assemblea Nazionale reintroduce il sistema del divieto con "deroghe" per quanto riguarda la ricerca con gli embrioni e le cellule staminali prelevate da embrioni umani, già incorporato nella normativa del 2004 e mantenuto dai deputati in occasione della votazione in prima lettura della proposta nel febbraio scorso. Undici deputati dell'UMP e quattro del Nuovo Centro (NC) hanno votato contro.

L'8 aprile scorso, il Senato aveva autorizzato in prima lettura una ricerca definita "inquadrata" con gli embrioni e le cellule embrionali, cioè che poteva essere condotta solo se gli altri tipi di staminali - ad esempio le cosiddette "cellule staminali pluripotenti indotte" (iPS in acronimo inglese) - non offrono lo stesso potenziale terapeutico. Il cambio di rotta introdotto dalla Camera Alta di Parigi era stato confermato poi l'11 maggio con 21 voti contro 19 dalla commissione speciale dell'Assemblea incaricata di esaminare il disegno di legge. Per ribaltare la situazione e ritornare al principio della proibizione con deroghe, la Camera Bassa ha approvato mercoledì 25 maggio, durante l'esame in seconda lettura, con 73 voti contro 33 un apposito emendamento presentato dal relatore del disegno di legge, il deputato e medico Jean Leonetti (UMP).

Secondo il Ministro della Sanità, Xavier Bertrand (UMP), il regime derogatorio è semplicemente la soluzione "migliore", perché "non chiude la porta ai progressi della scienza" (AFP, 26 maggio). Anche la sottosegretaria alla Sanità, Nora Berra (UMP), ha difeso questa posizione. "E' un buon sistema, che è equilibrato, che non penalizza la ricerca", così ha dichiarato la Berra davanti all'Associazione dei Giornalisti Parlamentari (AFP, 25 maggio). La politica di origini algerine ha ribadito inoltre di "non essere manipolata da alcuna lobby". Facendo riferimento alle eventuali pressioni religiose che avrebbe subìto, la sottosegretaria ha voluto ricordare il ruolo positivo dei gruppi religiosi nel dibattito pubblico. "I gruppi confessionali, religiosi fanno parte della società, alimentano la discussione", ha spiegato.

Il sistema del divieto con deroghe è comunque ambiguo, proprio perché lascia la porta aperta alla ricerca con gli embrioni umani. L'ABM, cioè l'Agenzia di Biomedicina, può infatti autorizzare "a titolo derogatorio" protocolli di ricerca. Dal 2004, su un totale di 64 progetti presentati ne ha accettati 58, di cui - come ha ricordato il quotidiano La Croix (4 febbraio) - 11 con embrioni e altri 47 con cellule staminali embrionali umane. Proprio per questo motivo, il "padre" nel 1982 del primo bambino in vitro francese, il professor Jacques Testart, ha definito l'ABM "un organismo favorevole a qualsiasi pratica" (Avvenire, 8 febbraio).

La decisione dell'Assemblée di reintrodurre il sistema delle deroghe nella nuova legge sulla bioetica è stata criticata da vari esponenti dell'opposizione, in particolare dal socialista Alain Claeys, presidente della commissione speciale dell'Assemblea, il quale ha ribadito che "la parola deroga non ha alcun senso". "La scelta è semplice", ha dichiarato il deputato PS, "o si autorizzano in un quadro molto ristretto o si vietano queste ricerche" (AFP, 26 maggio). Agli occhi di Claeys, la ricerca "inquadrata" è la posizione "più logica" (la-Croix.com, 23 maggio). Più esplicito è stato il gruppo parlamentare PS all'Assemblée. In un comunicato diffuso dopo l'esame del progetto in aula, ha infatti denunciato la presunta "deriva reazionaria" da parte del Governo Fillon e dell'UMP del Presidente Nicolas Sarkozy (AFP, 26 maggio).

Persino la massoneria ha fatto sentire la sua voce nel dibattito pubblico e ha "attaccato frontalmente" per la prima volta "da lungo tempo" - come ha osservato il giornalista Jean-Marie Guénois nel suo blog sul sito del quotidiano Le Figaro (Religio Blog, 25 maggio) - la Chiesa cattolica. In un comunicato reso pubblico il 25 maggio, la più grande obbedienza massonica del Paese - la Loggia del Grande Oriente di Francia - si è dichiarata infatti "inquieta" per le prese di posizione della Chiesa nel dibattito, che rivelerebbero "un oscurantismo e un disprezzo delle posizioni etiche laiche".

A provocare l'inquietudine del Grande Oriente, che secondo Guénois sembra misconoscere la realtà, è stato il recente intervento da parte del Cardinale Arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza Episcopale di Francia (CEF), André Vingt-Trois. Alla vigilia del dibattito all'Assemblée, il porporato aveva espresso lunedì 23 maggio la sua preoccupazione per quello che ha definito "un balzo indietro di civiltà". "Se le modifiche introdotte nel progetto di legge dal Senato venissero approvate dall'Assemblea Nazionale, una certa concezione dell'essere umano sarebbe molto gravemente compromessa", ha avvertito il Cardinale (Église catholique de France, 23 maggio), che ha richiamato l'attenzione anche su un altro punto molto sensibile del disegno di legge, cioè "la sistematizzazione giuridica della diagnosi prenatale", che "condurebbe inevitabilmente a un eugenismo di Stato".

In vista del dibattito in aula, un gruppo di 58 deputati dell'UMP, del Nuovo Centro e di "villiéristes" (vale a dire del MPF o Movimento Per la Francia di Philippe de Villiers) ha pubblicato il 19 maggio un manifesto sulla rivista Valeurs Actuelles denunciando le "gravi trasgressioni" introdotte nel disegno di legge sulla bioetica nel suo passaggio attraverso il Senato e avallate "contro ogni aspettativa" dalla commissione speciale dell'Assemblée, di cui la cancellazione del principio di divieto della ricerca sull'embrione umano è "la più grave". Nel manifesto, i firmatari puntano anche un dito contro la lobby dell'industria farmaceutica, cioè la LEEM (Les Entreprises du Médicament), che "non ha smesso di cercare di influenzare discretamente Governo e legislatore a favore di una soppressione del principio di divieto".

Il disegno di legge è passato adesso nuovamente al Senato, dove verrà sottoposto a votazione l'8 giugno. In caso di disaccordo fra le due versioni toccherà alla commissione mista paritaria Assemblea-Senato cercare un possibile compromesso. Se rimane l'impasse, il progetto di revisione tornerà nuovamente all'Assemblea, a cui spetta infatti costituzionalmente l'ultima parola.


 


 

03/06/2011 - VATICANO – CINA - Mons. Savio Hon: Vescovi cinesi, non abbiate paura di dire no alle pretese di Pechino di Bernardo Cervellera


 

Il governo prepara ordinazioni episcopali senza il mandato del papa. Preti, candidati, vescovi sono sotto la pressione dell'Associazione patriottica. Il segretario della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, pur nella comprensione, chiede a sacerdoti e prelati cinesi di "resistere" con "la schiena dritta". Gli appelli del Vaticano per la liberazione dei vescovi cinesi imprigionati a cui il governo cinese non dà risposta. La beatificazione del card. Gong Pinmei e dei martiri cinesi sotto il comunismo.


 

Città del Vaticano (AsiaNews) – "Ogni divisione nella Chiesa provoca dolore in tutto il Corpo e tutto il Corpo rimane sanguinante": è il commento di mons. Savio Hon, segretario di Propaganda Fide, alla notizia che in Cina si prepara un'altra ordinazione episcopale senza il mandato del papa.


 

Il vescovo, salesiano di Hong Kong, da diversi mesi nel suo nuovo ruolo in Vaticano, esprime solidarietà ai vescovi e ai sacerdoti sottomessi a pressioni e a minacce, ma chiede loro anche di rifiutarsi di obbedire alle pretese del regime che vuole costituire una Chiesa "indipendente" dalla Santa Sede e totalmente sottomessa allo Stato.


 

Mons. Hon racconta anche che coloro che si sono ribellati al volere del Partito – come mons. Li Lianghui (di Cangzhou, Hebei) – ora subiscono isolamento e sessioni politiche (lavaggio del cervello). Ma ribadisce che i sacerdoti e i vescovi cinesi devono tenere "la schiena diritta" di fronte a tutte le pressioni, per amore all'unità della Chiesa e nel solco lasciato da tanti eroici testimoni della fede negli scorsi decenni.


 

Il segretario di Propaganda Fide rivela anche che i vescovi illeciti non hanno diritto al ministero pastorale e che la Commissione vaticana per la Chiesa in Cina sta elaborando alcune direttive per salvaguardare la Chiesa cinese dalla divisione e dallo scandalo provocato ai fedeli. Ma fa notare che vi sono anche teologi americani ed europei che parteggiano per una Chiesa "indipendente" e che diffondono in Cina il germe della divisione.


 

Mons. Hon, che per diversi anni ha anche visitato e insegnato nei seminari cinesi, si mostra favorevole alla beatificazione del card. Ignazio Gong Pinmei, nominato cardinale in pectore da Giovanni Paolo II e morto nel 2000, anche se vi sono "problemi tecnici".


 

Infine, il vescovo cinese di Hong Kong, sottolinea amareggiato che di continuo il Vaticano chiede la liberazione dei vescovi in prigione (mons. Giacomo Su Zhimin di Baoding; mons. Cosma Shi Enxiang di Yixian), ma il governo di Pechino non dà mai risposta.

Ecco l'intervista integrale a mons. Savio Hon:


 

È giunta voce che il 9 giugno prossimo ci dovrebbe essere una nuova ordinazione episcopale illecita ad Hankow (Wuhan, Hubei), senza il mandato del papa….

Questa notizia mi preoccupa, preoccupa il papa e soprattutto tutta la Chiesa di Cina. Da quello che so, i fedeli di Hankow hanno reagito e con in mano il codice di diritto canonico hanno chiesto al governo e all'Associazione patriottica di non fare questo gesto ed evitare questa ordinazione.

Sembra che anche il candidato, p. Shen Guoan, non voglia farlo. Ma purtroppo in questi tempi non abbiamo molte notizie su cosa pensa il candidato. Ma da fratello a fratello, voglio dire a p. Shen: Ho fiducia in te, perché tu agisca nel modo giusto: E non c'è altro modo giusto se non rifiutarsi di accettare.


 

Quanto grave è un'ordinazione illegittima?

La Chiesa è un Corpo, di cui Cristo e il capo e noi siamo le membra, perfettamente uniti nello Spirito Santo. È un fatto mistico e sacramentale. Ogni atto di divisione – come questa ordinazione episcopale illegittima – è un atto di divisione della Chiesa e provoca grande dolore per tutto il corpo, come strappare un membro dal corpo vivo. Tutto il corpo rimane segnato e sanguinante.

Poi c'è la conseguenza: più avvengono ordinazioni illegittime, più appare che la Chiesa in Cina – o alcune parti - sembra voler costruire una Chiesa tutta diversa, una comunità che non ha nulla anche fare con il Santo Padre.


 

Come mai, alcuni, pur sapendo questo, organizzano e preparano ordinazioni illegittime? Si dice che l'Ap stia preparando almeno dieci ordinazioni episcopali…

A me è difficile giudicare, ma da quel che si vede, è chiaro che sacerdoti e vescovi sono sotto pressione. Ma questa pressione mi sembra meno forte di quella che altri nostri fratelli hanno subito negli scorsi decenni: oggi non si rischia i lavori forzati, la prigione, la morte. Il governo di oggi non fa queste cose.

Certo, se i vescovi e i preti non si sottomettono, saranno certo puniti in vari modi. Ad esempio, si possono perdere le sovvenzioni dello Stato per la diocesi; si creano ostacoli al lavoro pastorale quotidiano; vi sono penalizzazioni nella carriera (es.: non li si promuove nell'assemblea consultiva del governo); o non ricevono permessi per andare all'estero o di girare all'interno della Cina; o li costringono a subire corsi di rieducazione.

Ne abbiamo un esempio: Li Lianghui, il vescovo che si è rifiutato di partecipare all'Assemblea dei rappresentanti cattolici lo scorso dicembre[1], adesso sta subendo sessioni di rieducazione. Ma proprio questo esempio mostra che è possibile rifiutare di sottomettersi.

Un'altra cosa che può pesare è l'isolamento forzato dagli altri vescovi o dai sacerdoti, o dai fedeli.

Davanti a queste punizioni, vi sono vescovi che resistono e altri che sono deboli. Il governo sa scegliere i suoi candidati fra quelli che sono più fragili e più disposti al compromesso.

Certo vi siano anche opportunisti che accettano il compromesso e lo rivestono di alte motivazioni: lo facciamo per il bene della Chiesa; abbiamo bisogno delle sovvenzioni dello Stato; è urgente l'evangelizzazione; ecc… Ma questo è un bene falso: quando la Chiesa è staccata dalla pietra, da Pietro, automaticamente la Chiesa diventa debole.

In ogni caso, tutte queste punizioni a cui si può andare incontro, non sono sufficienti per non resistere. Se poi uno si sottomette, di fatto compie un atto pubblico, che crea scandalo ed è una contro-testimonianza verso i fedeli, e indebolisce la storia eroica di tanti vescovi che hanno resistito.

Al presente vi sono diversi candidati all'episcopato che resistono e che non vogliono essere ordinati senza tutte le garanzie canoniche e il mandato del papa.


 

Il papa, ricordando la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, ha chiesto di pregare per coloro che sono tentati dall'opportunismo….

Tutti i candidati sacerdoti sono nostri fratelli e questo ci deve spingere a comprenderli, e a sostenerli. Ma questa comprensione non deve viziarli e spingerli a gesti negativi. La nostra compassione deve renderli più forti nei momenti difficili. Del resto, se tu mantieni la schiena dritta, il governo non ti tocca; se invece tu ti mostri facile a piegarti, al compromesso, il governo approfitterà di te.

Vi sono candidati vescovi che hanno puntato i piedi e che non hanno accettato di essere ordinati da vescovi scomunicati; o finché non fosse arrivato il mandato papale. Davanti alla loro ferma posizione, il governo non ha potuto fare nulla.


 

Cosa fa la Santa Sede per questi candidati?

Da parte nostra occorre impegnarci di più per la formazione del clero, perché in seminario crescano dei leder, delle persone con la schiena diritta. Purtroppo, da una parte, dall'esterno noi possiamo fare poco; dall'altra mi accorgo che il governo stesso tiene d'occhio i giovani e cura e forma i suoi candidati che piegherà volta per volta. Comunque, a nessun governo piace una persona opportunista. Perché queste possono cambiare idea e verranno sempre usate e poi gettate via.

Nella situazione in Cina, vale la pena consigliare a vescovi e sacerdoti che se essi si sentono deboli o incapaci di resistere alle pressioni, che domandino di essere esonerati dal servizio pastorale, avere il coraggio di sospendere il ministero.


 

Costruire una Chiesa indipendente conviene al governo?

Al governo in fondo interessa solo che ci sia una Chiesa che possa distribuire i sacramenti ai fedeli cinesi e agli stranieri che si trovano in Cina. Questo fa credere che ci sia libertà religiosa nel Paese, anche se dal punto canonico e teologico vi sono problemi.

La Cina si ispira al principio "Il governo prima, la religione dopo". Il punto è che non si definisce fino a che punto la religione deve venire al secondo posto.

Praticare per lungo tempo il metodo della auto-elezione e della auto-ordinazione (senza il mandato papale) prima o poi distrugge la Chiesa e prima o poi nemmeno i fedeli andranno da quei vescovi separati dalla Santa Sede.


 

D'altra parte, i sacramenti dati da un vescovo illegittimo sono validi…

Finora, la Lettera del papa precisava che per il bene dei fedeli, si poteva – in circostanze eccezionali – ricevere il sacramento valido, ma illecito di un vescovo illegittimo. Ma se questa situazione diventa una costante, temo che si dovrà rivedere questa indicazione e spiegare ai fedeli, cinesi e anche stranieri, che non è possibile ricevere il sacramento da loro. Se infatti si continua a non fare alcuna differenza, i fedeli non capiranno più chi è fedele al papa e chi no e si rischia di confondere la fede dei semplici.

L'indicazione di poter usufruire dei sacramenti dei vescovi illegittimi può servire in situazioni di emergenza, ma non fa crescere la comunione nella Chiesa. E' un modus non morientis, ma non un modus vivendi: è un'indicazione perché la Chiesa non muoia, sopravviva, ma non è qualcosa che aiuta la Chiesa a vivere e a crescere.

Quanto dico è in linea con le molte richieste che vengono dalla Chiesa in Cina, che domandano al Vaticano di precisare e di dare indicazioni precise su come i fedeli e i sacerdoti si devono comportare verso i vescovi illegittimi.


 

Dopo l'ordinazione illegittima di Chengde[2], la Santa Sede ha emesso un comunicato molto preciso, condannando il gesto...

Sì, ma non ha detto una cosa: non ha distinto fra il potere episcopale e il ministero pastorale. Uno diventa vescovo per l'ordinazione sacramentale, ma diviene pastore di una parte del popolo di Dio per il mandato del papa. Ciò significa che un vescovo illegittimo ha sì carpito l'ordinazione ed è quindi vescovo, ma non ha alcun diritto di dirigere i fedeli perché non ha il mandato papale. Nel caso di Chengde, l'ordinazione è valida (anche se illecita), ma il nuovo ordinato non ha alcun potere di guida sul suo gregge. Ciò significa che i fedeli di Chengde non hanno il dovere di ubbidirgli e lui stesso non ha il potere di ordinare sacerdoti.


 

Con tutte queste minacce di ordinazioni illecite, queste difficoltà, ci sono segni di speranza nella Chiesa in Cina?

Molti sacerdoti, insieme ai fedeli, seguono la dottrina cattolica e non ubbidiscono ai vescovi illeciti. Ma non so fino a quando questo potrà durare. Per questo è importante la formazione nei seminari.

Una cosa che va sottolineata è che i fedeli della Cina si ispirino alle parole del nuovo beato Giovanni Paolo II: Non abbiate paura. Queste parole, il papa le ha dette all'inizio del suo pontificato: veniva fuori da poco dalla Polonia, da un Paese dove la Chiesa era perseguitata e dove sembrava ci fossero poche speranze di riuscita. E invece, il "Non abbiate paura" è stato efficace. Lo stesso card. Casaroli non poteva prevedere che il regime comunista sarebbe caduto in un batter d'occhio.

Penso che per uscire da questa situazione di ambiguità in cui siamo, è importante domandare ai vescovi che si sono trovati a compiere gesti contrari al mandato del papa (ordinazioni, assemblee, ecc…) di fare dei gesti pubblici di penitenza.


 

Cosa può fare la Chiesa universale?

Da parte nostra dobbiamo aiutare questa Chiesa a vivere la fede e a non piegarsi di fronte alle richieste che minano il cuore profondo della fede cattolica e il rapporto col papa. Purtroppo c'è una teologia in America e in Europa che sta penetrando anche nella Chiesa cinese. Questa teologia rivendica proprio l'autonomia nella scelta dei vescovi e l'indipendenza dalla Santa Sede. E così vi sono persone in America e in Europa che spingono i vescovi cinesi a comportarsi così. "Se riuscite voi – dicono – noi poi vi seguiamo".

Come si vede, fino a poco tempo fa i problemi di "indipendenza" e autonomia" erano solo a livello del rapporto col governo. Adesso sono anche a livello teologico.


 

Talvolta sembra che anche la Santa Sede, invece che dalla preoccupazione pastorale, sembra dominata dalle paure politiche, troppo desiderosa di rapporti diplomatici ad ogni costo. Ad esempio quante volte la Santa Sede chiede la libertà per i vescovi che sono in prigione?

In tutti gli incontri con rappresentanti del governo cinese noi insistiamo di continuo per la liberazione di questi nostri fratelli. Ma il governo non ci dà retta. Questi vescovi sono anziani, malati: la loro liberazione dovrebbe essere anche un atto umanitario. Ma purtroppo non riceviamo risposta. Forse bisognerebbe fare degli appelli pubblici, invece che a tu per tu.


 

Vi sono cattolici sotterranei che domandano venga iniziata la causa di beatificazione del card. Ignazio Gong Pinmei[3]. Lei cosa ne pensa?

E' difficile, ma solo in senso tecnico. Spetta infatti alle diocesi cinesi, alla Chiesa locale di raccogliere documentazione e presentarlo alla Congregazione dei santi. Se questo avviene, senz'altro il Vaticano lo prenderà in considerazione. Nel caso del card. Gong, essendo lui il vescovo di Shanghai, c'è forse il problema di mettere d'accordo la comunità sotterranea e quella ufficiale di Shanghai. Ma non è impossibile. Lo stesso vale per i tanti martiri del periodo comunista, morti nei lager o in prigione o di stenti, durante questi ultimi decenni. Se ogni diocesi raccoglie la documentazione su questi martiri, vale la pena inviarla a Roma e iniziare il processo formale per la beatificazione. Se la diocesi ha la possibilità di lanciare il processo, noi saremmo felici.


 


 

[1] Cfr. AsiaNews.it, 07/12/2010 Vescovi cinesi deportati per partecipare all'Assemblea patriottica e 09/12/2010 L'Assemblea patriottica cinese vota la sua leadership. Un grave danno per la Chiesa.

[2] Cfr. AsiaNews.it, 20/11/2010 Chengde: otto vescovi uniti al papa partecipano all'ordinazione illecita; 24/11/2010 La Santa Sede condanna l'ordinazione episcopale illecita a Chengde.

[3] Cfr. AsiaNews.it, 25/02/2010 I 10 anni dalla morte del card. Gong Pinmei: si attende la causa di beatificazione.


 


 

«Guerra alla droga persa», rapporto shock dell'ONU di Danilo Quinto, 03-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

"La Guerra alle droghe ha fallito, con conseguenze devastanti per gli individui e le società del mondo. Cinquant'anni dopo la Convenzione sulle droghe, promossa dalle Nazioni Unite e quarant'anni dopo il lancio, da parte del Presidente degli Stati Uniti Nixon della guerra alla droga, sono necessarie ed urgenti fondamentali riforme nei Paesi e a livello globale in termini di controllo di polizia sulle droghe".


 

Negli anni Settanta, avrebbe potuto essere più o meno questo l'inizio di quegli opuscoli e libretti di propaganda antiproibizionista diffusi dalle organizzazioni libertarie e radicali, impegnate nella liberalizzazione dell'uso delle sostanze stupefacenti.


 

Oggi, queste sono le prime parole del rapporto diffuso ieri dal "Global Commission on Drug Policy", redatto a cura delle Nazioni Unite. Una resa senza condizioni, culturale soprattutto, che avrà conseguenze gravissime. La droga non è più un male in sé, ma soltanto un fenomeno che interessa soltanto per gli effetti sanitari più gravi e per gli arricchimenti delle organizzazioni criminali.


 

Il documento – che s'intitola "War on drugs", con la parola "war" che si legge sotto una cancellatura stilizzata – è firmato da personaggi molto prestigiosi. Tra gli altri: scrittori famosi (Carlos Fuentes e il Premio Nobel Mario Vargas Llosa); ex Capi di Stato (César Gaviria, Colombia, Ernesto Zedillo, Messico, Fernando Henrique Cardoso, Brasile, Ruth Dreifuss, Svizzera); l'ex Primo Ministro della Grecia, George Papandreou; l'ex Segretario di Stato Usa, George P. Shultz; l'ex Commissario dell'Unione Europea, Javier Solana; Paul Volcker, ex presidente della United States Federal Reserve; John Whitehead, banchiere e presidente della World Trade Center Memorial Foundation, United States. C'è, soprattutto, Kofi Annan, già Segretario Generale delle Nazioni Unite, tra i maggiori responsabili delle politiche anti-droga degli ultimi vent'anni a livello internazionale.


 

I grandi del mondo della politica, della cultura e dell'economia mondiale dicono che "le politiche di criminalizzazione e le misure repressive - rivolte ai produttori, ai trafficanti e ai consumatori - hanno chiaramente fallito nello sradicare la droga" e che "le apparenti vittorie nell'eliminazione di una fonte di traffico organizzato sono annullate quasi istantaneamente dall'emergenza di altre fonti e trafficanti".


 

Queste affermazioni sono supportate dalle statistiche che il rapporto propone. Nel 1998, il consumo di oppiacei riguardava 12.9 milioni di persone; nel 2008 17.35 milioni, con un incremento del 34.5%. Nel 1998, il consumo di cocaina riguardava 13.4 milioni di individui; dieci anni dopo, 17 milioni, il 27% in più. Nel 1998, la cannabis era consumata da 147.4 milioni di persone; dieci anni dopo, da 160 milioni, l'8.5 per cento in più.


 

Nel rapporto, la droga è considerata una questione sanitaria. Si legge, infatti: "Le politiche repressive rivolte al consumatore impediscono misure di sanità pubblica per ridurre l'Hiv, le vittime dell'overdose e altre pericolose conseguenze dell'uso della droga".


 

Le spese dei governi nell'azione di contrasto sono definite "futili strategie di riduzione dei consumi, che distraggono da investimenti più efficaci e più efficienti". I Governi vengono invitati a sperimentare "forme di regolarizzazione che minino il potere delle organizzazione criminali e salvaguardino la salute e la sicurezza dei cittadini". Coltivatori, corrieri e piccoli rivenditori di sostanze stupefacenti sono – per gli estensori del rapporto – "spesso vittime loro stessi della violenza e dell'intimidazione - oppure essi stessi tossicodipendenti".


 

Attraverso l'esame di una serie di casi definiti "critici" – Inghilterra, Usa, Svizzera e Paesi Bassi – il rapporto indica alcuni principi guida. Il primo riguarda le politiche antidroga. "Devono essere improntate – si legge - a criteri scientificamente dimostrati", devono avere come obiettivo "la riduzione del danno" e devono essere "basate sul rispetto dei diritti umani", mettendo fine alla "marginalizzazione della gente che usa droghe" o è coinvolta nei livelli più bassi della "coltivazione, produzione e distribuzione". Per gli estensori del rapporto – convinti, bontà loro, che le politiche antidroga devono coinvolgere tutti, dalla famiglia alla scuola - la lotta alla droga va portata avanti a livello internazionale, ma "prendendo in considerazione le diverse realtà politiche, sociali e culturali".

Tra le raccomandazioni, la principale è quella di "sostituire la criminalizzazione e la punizione della gente che usa droga con l'offerta di trattamento sanitario, incoraggiando la sperimentazione di modelli di legalizzazione, a partire dalla cannabis". E' già stata promossa una raccolta di firme ed una mobilitazione internazionale su questi principi, per "aprire in tutto il mondo il dibattito, rinunciando a tabù ed operando con mentalità aperta e pragmatica".


 


 

Come rispondere a certe domande fatue di Giacomo Samek Lodovici, 04-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

Nel trentesimo anniversario (17 maggio) del referendum sull'aborto, sono ritornati in auge diversi argomenti abortisti. Non è possibile dimostrare qui che l'aborto è l'uccisione di una persona (al riguardo rinvio al mio articolo Aborto, una valutazione filosofica). Mi limito quindi solo alla discussione di qualche tesi erronea.


 

"Il concepito non è persona perché non è individuo"

Questa tesi distingue l'essere umano dalla persona, concede che il concepito sia un essere appartenente alla specie umana, ma nega che sia persona. Essa nega al concepito l'individualità perché fino al 14 giorno di sviluppo può dividersi e diventare due (o più) gemelli.

Questo discorso confonde l'individualità con l'indivisibilità: un ente può essere individuo pur essendo divisibile, a patto che le sue parti siano tra loro coese ed unite.

Nel processo che conduce alla gemellanza, la biologia recente rileva che fin dal concepimento c'è un individuo (infatti un unico controllo centrale dirige tutto il processo dello sviluppo, compreso quello che porta alla gemellanza, ed inoltre le singole cellule dell'embrione sono coese tra loro, cioè sono parti integranti di un tutto), che è vivente e che dà origine ad un altro individuo vivente: da subito c'è un individuo a cui se ne aggiunge in seguito un altro (o più d'uno).


 

"Il concepito non è persona perché non è razionale"

Anche questa tesi concede che il concepito sia un essere umano, ma nega che sia persona. Lo fa negandogli la razionalità. E come gli nega la razionalità? Rilevando che il concepito inizialmente non ha la corteccia cerebrale e, di seguito, pur con la corteccia, non esercita atti razionali.

Se fosse persona solo chi esercita attualmente operazioni razionali, ne seguirebbe che un soggetto dormiente o sotto anestesia non sarebbe persona, giacché non esplica tali attività, e, dunque, sarebbe lecito uccidere anche lui.

E la mancanza del cervello? Decine di studi di biologia certificano che, dal momento del concepimento in poi, cambiano sì la quantità della materia e la complessità della sua organizzazione, ma non c'è nessun salto, nessuno stacco nello sviluppo del concepito che corrisponda a un cambiamento dell'entità che si sta sviluppando: l'entità che si sviluppa è sempre la stessa, perciò la sua natura (la natura del concepito) non muta lungo il suo sviluppo. Ora, visto che dopo alcuni anni il concepito compirà atti razionali, e visto che non c'è alcun salto nel suo sviluppo (né in quello prenatale, né in quello postnatale), vuol dire che il concepito ha una natura razionale.


 

"I pro-life criticano l'aborto dicendo che l'embrione è persona in potenza, ma allora l'aborto non è omicidio"

In realtà, i pro-life (sufficientemente competenti) non affermano affatto che il concepito è persona in potenza, bensì argomentano che egli è persona in atto e che ha la potenza (ovviamente salvo patologie) di esercitare, dopo alcuni anni, le attività peculiari della persona (pensare, amare, deliberare).


 

"Il caso dell'aborto è come quello di Enza e il violinista"

È un discorso svolto nel 1971 da Judith Thomson che immagina (riassumendo molto l'esempio) che un famoso violinista possa sopravvivere solo perché il suo fegato è stato collegato chirurgicamente a quello di una donna di nome Enza, a insaputa di quest'ultima. Se Enza recide il legame (tra il suo fegato e quello del violinista) il violinista muore. Ora, dicono gli abortisti, il diritto alla vita non impone come dovere inderogabile di aiutare a vivere una persona fisicamente incapace di farlo da sola, quindi Enza può recidere il legame col violinista.

Su questo esempio si potrebbe discutere a lungo, ma limitiamoci ad una sola obiezione. Uccidere il concepito nel proprio grembo è diverso da recidere il legame col violinista. L'analogia sarebbe corretta solo se Enza uccidesse il violinista. Recidere il legame col violinista e ucciderlo provocano lo stesso effetto (il violinista muore), ma sono due atti diversi, e il secondo è un omicidio.

Similmente, mentre è lecita (anche per la Chiesa) la liceità dell'isterectomia (asportazione dell'utero) per salvare la vita ad una donna incinta affetta da carcinoma all'utero, non è invece lecito l'aborto, anche se il risultato dei due atti è il medesimo (la morte del concepito). È un esempio classico di applicazione del cosiddetto principio del duplice effetto. L'isterectomia ha il duplice effetto di salvare la vita della madre (effetto positivo), ma, nel contempo (a causa dell'asportazione dell'utero) di certo comporta anche l'effetto della morte del concepito. In questo caso, sebbene l'eccellenza morale sia rappresentata dalla scelta di proseguire una gravidanza e di sacrificare la propria vita in favore di quella del concepito, è moralmente buona anche la scelta di sottoporsi all'isterectomia, perché: 1) l'atto chirurgico di asportazione che interviene direttamente sulla madre di per sé è buono; 2) la morte del concepito non è voluta come fine (cosa, naturalmente, che dipende dall'intenzione interiore del chirurgo e della donna); 3) la morte del concepito non è voluta nemmeno come mezzo (non è infatti un anello causale intermedio che produce la salvezza della madre); 4) c'è una proporzione tra la vita della madre e quella del feto.


 

"San Tommaso non considerava omicidio l'aborto"

È vero che san Tommaso riteneva che l'aborto fosse omicidio solo dopo il 40o giorno di sviluppo, ma non era infallibile (tutti i santi, come san Pietro, possono sbagliarsi) e comunque gli abortisti quando lo invocano (e ovviamente lo invocano a proprio favore solo su questo tema…) sembrano proprio sottomettersi all'ipse dixit.

A parte ciò, Tommaso affermava questa tesi perché per lui il corpo sta all'anima come la materia sta alla forma e la materia può ricevere la forma solo quando è ricettiva, «ben disposta» (come un suolo può ricevere il seme solo se, per esempio, non è di cemento). Ora, Tommaso non disponeva delle nostre conoscenze di biologia dello sviluppo, dunque non poteva sapere che fin dal concepimento il nuovo corpo umano è ben disposto (cfr. Dna etc.) a ricevere la forma.

In ogni caso, pur non considerando omicidio l'aborto fin dal concepimento, egli lo condannava duramente (cfr, per esempio, il Commento alle Sentenze, l. 4, d. 31, q. 2, a. 3).


 

"La Chiesa non afferma che il concepito è persona, bensì solo che è un essere umano"

La smentita è facile, basta leggersi l'enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II: «oggi […] si tende a coprire alcuni delitti contro la vita nascente o terminale con locuzioni di tipo sanitario, che distolgono lo sguardo dal fatto che è in gioco il diritto all'esistenza di una concreta persona umana» (§ 11); «il valore della persona fin dal suo concepimento è celebrato nell'incontro tra la Vergine Maria ed Elisabetta, e tra i due fanciulli che esse portano in grembo» (§ 45); «Alcuni tentano di giustificare l'aborto sostenendo che il frutto del concepimento, almeno fin a un certo numero di giorni, non può essere ancora considerato una vita umana personale. In realtà, "dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura una vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. […] come un individuo umano non sarebbe una persona umana?"» (§ 60).


 


 

Neuroscienze e libertà: «l'uomo non è il suo cervello» - 4 giugno, 2011, http://www.uccronline.it


 

Il 4 maggio 2011 ha preso avvio un ciclo di incontri presso il Centro Culturale di Milano (www.cmc.milano.it) intitolato "Neuroscienze, determinismo o libertà"? Al primo appuntamento hanno partecipato Roberto Cavallaro, psichiatra, responsabile "Centro Disturbi Psicotici" del Dipartimento di Scienze Neuropsichiche dell'Ospedale S.Raffaele, docente presso l'Università S. Raffaele di Milano e ricercatore in psicofarmacologia clinica, neuropsicologia, riabilitazione neuropsicologica e biologia molecolare. Assieme a lui anche Mauro Ceroni, docente e ricercatore universitario in Neurologia presso l'Università di Pavia, responsabile del Laboratorio di Neurobiologia Sperimentale dell' IRCSS Istituto Neurologico C. Mondino di Pavia e già "VisitingScience" presso il National Institute of Naurological Disorders and Stroke (NINDS) del National Institutes of Health (NIH) di Bethesda USA. L'incontro è stato moderato da Sergio Barbieri, neurologo, direttore di "U.O. Neurofisiopatologia" al Policlinico di Milano e autore di innumerevoli studi scientifici. Sintetizziamo gli interventi sottolineando i passaggi più interessanti della trascrizione integrale pubblicata sul sito web dell'associazione culturale.


 

IL DOTT. BARBIERI introducendo l'incontro, ha subito voluto chiarire che «il rapporto mente-cervello come rapporto hardware e software non è sicuramente corretto. Il cervello non è una macchina, perché il sistema decisionale del cervello non è computazionale. Quando prendiamo una decisione, non lo facciamo come un computer che valuta tutte le possibili opzioni in atto e ne sceglie una, abbiamo anche un apporto affettivo che ci guida nelle decisioni, a volte ci può far fare delle decisioni giuste a volte ce le può far fare sbagliate ma il cervello umano funziona in questo modo». Si è poi spostato sul cuore del dibattito, cioè il rapporto sul libero arbitrio, dicendo che «chiaramente coloro che ritengono, in maniera riduzionistica, che il cervello produca solamente impulsi elettrochimici e questi automaticamente si traducano poi in decisioni operative, tendono a ritenere che la libertà non esiste, in quanto tutto dovrebbe essere predeterminato. In realtà, ultimamente, anche questo tipo di approccio è stato abbastanza contestato, fortunatamente».


 

IL DOTT. CERONI si è concentrato sugli aspetti neurologici, scardinando il luogo comune di certo scientismo materialista per cui «l'uomo è il suo cervello», come abbiamo imparato dalla filosofia di Cartesio ("Cogito ergo sum"). Il neurologo invece ritiene «che non si possa assolutamente dare per scontato una tale posizione». La quale, tra l'altro, se affermata veramente porterebbe alla deresponsabilizzazione totale: «una simile interpretazione implica la negazione della libertà, che sarebbe solo apparente, e pertanto della responsabilità. Nessuna persona potrebbe più essere ritenuta responsabile dei suoi atti. Spero sia anche chiaro a tutti che una tale interpretazione non ha nulla di scientifico. Questa affermazione, appunto che l'uomo è il suo cervello, non è un'affermazione scientifica, bensì è un'affermazione che in quanto non assoluta e non dimostrabile non si gioca sul piano scientifico, bensì su quello filosofico e da questo deve essere argomentato se non vuole essere un pregiudizio che nulla ha a che vedere con la realtà». Anche le neuroscienze hanno il loro dogma, e questo è appunto il binomio mente-cervello. Lo scienziato ripercorre così la storia che ha portato a questa rigidità, dalla critica a Cartesio fino al Nobel Francis Crick. Arriva poi a criticare anche certa divulgazione che ogni tanto annuncia la scoperta del gene dell'altruismo, dell'egoismo, della felicità, dell'alcolismo ecc.., ma in realtà è da sempre risaputo che «ogni pensiero sentimento, gesto, percezione, esperienza, qualunque cosa mia ha un correlato neurologico e elettrofisiologico, penso che questo sia del tutto indubitabile, non esiste atto che io faccio, momento che io viva, sentimento che mi attraversi che non abbia un correlato neuro-fisiologico. Nulla può accadere in me che non abbia una base fisiologica, che non implichi un'attivazione dei circuiti nervosi, ma ciò non significa affatto che tutto sia riconducibile al mio cervello. Io non sono il mio cervello, che si accenda l'area non vuol dire immediatamente che quella sia la causa, che quella causa il mio comportamento». Il riduzionismo scientifico ha sempre preteso di ridurre l'uomo a quello che può conoscere, eppure cosa sia veramente "l'io" «non può essere risolto dalla scienza, non è di tipo scientifico, quando la scienza pretende di dare la risposta a questo tipo di quesiti commette un errore previo da cui poi è accecata, la pretesa che il metodo scientifico sia l'unico metodo di conoscenza e tra l'altro questa affermazione non è scientifica. Quando avanza tale pretesa è come se di fatto rendesse inesistenti tutte le realtà non conoscibili col metodo scientifico. Inoltre l'affermazione "la conoscenza scientifica è l'unica conoscenza oggettiva vera" non è un affermazione scientifica vera, bensì un'affermazione filosofica e come tale deve essere argomentata». La risposta del neurologo è che per conoscere cosa sia realmente il proprio "io", non posso affidarmi allo scienziato, ma «poiché si tratta di me, di quello che mi costituisce, che è più intimo a me, devo cercarlo dentro la mia esperienza, così come essa traspare nel folto della vita. Mi accorgerò che sono costituito da due ordini di fattori, con caratteristiche diverse e irriducibili tra loro. Uno comprende fenomeni materiali (divisibili, misurabili, visibili, che cambiano nel tempo, si corrompono) e fenomeni non misurabili (come i concetti, le verità matematiche, l'Io, i giudizi di valore, le decisioni che assumiamo nella vita). Questi ultimi sono un ordine di fenomeni che possiamo chiamare "spirituale" o "non materiale", in un modo più ristretto si possono chiamare "mentali"». Queste due parti non sono divisibili e perciò «ogni tentativo di spiegare esaurientemente i fenomeni non materiali a partire dal principio materiale cozza contro l'esperienza, che ci riporge come radicalmente irriducibili». Il neurologo conclude il suo intervento parlando della coscienza presenza negli stati vegetativi e dell'errore nel chiamarli "stati permanenti", poiché non lo sono affatto.


 

IL DOTT. CAVALLARO si è invece dilungato sulla schizofrenia e alcune condizioni patologiche sia in neurologia che in psichiatria, che possono portare ad una modificazione dello stato normale di coscienza. Sottolineiamo un passaggio sulla definizione di coscienza, dove spiega che «nella maggior parte delle situazioni i neurologi riducono la coscienza allo stato di vigilanza, però abbiamo degli studi sugli stati vegetativi persistenti, come le ricerche del dottor Massimini fatte con la simulazione magnetica a sonda, con la registrazione delle risposte neuronali fatte negli Stati Uniti: se voi buttate una bomba magnetica con la stimolazione magnetica avete una risposta di diffusione delle reti neuronali che è simile a quelle degli stati di veglia». Chi guarda l'attivazione della corteccia delle persone in coma, «smentirà clamorosamente chi sostiene che sia in coma vegetativo. Il termine "coma vegetativo" è già di per sé una sentenza, come se quello fosse un vegetale, come se sopravvivessero soltanto le funzioni vegetative che mi fanno sopravvivere, mentre invece come fai a dirlo così semplicisticamente davanti a una condizione così complessa?». Lo psichiatra è d'accordo su moltissimi aspetti di cui ha parlato il dott. Ceroni, come sicuramente il fatto che «l'analisi semplice dimostra che io sono fatto di due ordini di fenomeni che sono irriducibili uno all'altro. Non potrò mai pensare che l'idea venga fuori da una estrema complicazione dei circuiti cerebrali. Sono due ordini completamente diversi e allo stesso tempo si danno soltanto insieme: non esiste la coscienza senza il circuito cerebrale perché io sono fatto del mio io, della mia coscienza e del mio corpo, del mio cervello, del mio ambiente, del mondo in cui sono». La coscienza esiste ma non è estrapolabile «dalla mia umanità che è fatta del mio corpo e del mio mondo. La coscienza è un fenomeno che esiste nella mia esperienza umana ed è inseparabile. Secondo me non dobbiamo avere dubbi sul fatto che la coscienza non sia l'accensione di circuiti cerebrali. Ho detto invece che ogni atto, ogni esperienza, ogni aspetto della mia umanità ha certamente sempre un aspetto neurofisiologico, elettrofisiologico».


 


 

Stati vegetativi: bisogna creare una rete omogenea di assistenza http://www.portaledibioetica.it/index.html


 

Della condizione di tante persone in stato vegetativo, nel nostro Paese, si parla soltanto quando l'esasperazione e il dolore spingono a gesti eclatanti o quando l'ennesima notizia del "risveglio miracoloso" fa avvicinare alla speranza che tutto "torni come prima". E invece di queste situazioni di difficoltà e di abbandono bisognerebbe parlare con più frequenza, sottolineando, ad esempio, la necessità di creare in Italia una rete omogenea di assistenza, che metta al centro un team interdisciplinare, composto da operatori sanitari e non, istituzioni, famiglie e volontariato

«Mio marito era entrato in ospedale sano e in piena salute per fare una semplice operazione e ne è uscito in coma. Sono stata lasciata sola. Se non avrò degli aiuti concreti, delle risposte certe, io non permetterò che mio marito viva vent'anni in queste condizioni e prenderò la stessa strada della famiglia Englaro, dimostrando che questa scelta era stata esplicitamente richiesta in precedenza da mio marito che non avrebbe mai accettato di sopravvivere in queste condizioni».

Sono le parole di Irene Sampognaro - come riportate da «Libero-News.it» - pronunciate davanti all'Ospedale Garibaldi di Catania, dove il 1° giugno ha dato voce alla sua protesta per la situazione del marito quarantaduenne, Giuseppe Marletta, in coma da un anno, dopo un banale intervento dentario eseguito presso quel nosocomio. «In caso di mancate risposte dalle Istituzioni - ha aggiunto la Signora - porterò mio marito all'estero per praticargli l'eutanasia: questa non è vita. Io sono per la vita, ma quella vera e sono disposta a tornare indietro sulla mia decisione soltanto se lo Stato si farà carico della cura e dell'assistenza ai massimi livelli».

Sulla vicenda - rispetto alla quale sono ancora pendenti un'inchiesta interna dell'Ospedale e una della Procura della Repubblica di Catania - riceviamo e ben volentieri pubblichiamo la seguente nota di Fulvio De Nigris, direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma dell'Associazione Gli Amici di Luca di Bologna.

Il caso drammatico sollevato da Irene Sampognaro Marletta, moglie di Giuseppe in stato vegetativo da un anno, mette ancora una volta in evidenza l'emergenza delle persone in questa condizione e delle loro famiglie.

Se ne parla soltanto quando l'esasperazione e il dolore spingono a gesti eclatanti o quando l'ennesima notizia del "risveglio miracoloso" ci fa avvicinare alla speranza che tutto torni come prima. Non è così. Non è così che uno Stato civile, un'informazione corretta e costruttiva dovrebbe operare. Bisogna parlare con più frequenza di queste situazioni di difficoltà, di abbandono, nel momento in cui avvengono (e non dopo un anno), nella quotidianità della vita dove è più difficile che si accendano le luci per raccontare una notizia che sembra non esserci.

Perché non si parla più, ad esempio, del giornalista Lamberto Sposini? Probabilmente perché non ci sono notizie buone da dare, un lieto fine che tutti vorremmo ci fosse. Eppure continua ad esserci, in silenzio, il dramma di una persona e di una famiglia.

Il caso di Irene ci dice che in Italia sono migliaia le persone che vivono in questa condizione. Che magari non sono state vittime di malasanità - se in questo caso c'è stata - ma solo del fato avverso e che, comunque, debbono essere aiutate e salvaguardate. Ma che cosa dobbiamo salvaguardare?

Innanzitutto la cittadinanza di queste persone fragili, il loro sostegno e diritto di cura in ogni area geografica di appartenenza. Non soltanto riconoscendo il valore della medicina italiana, ma confrontandosi anche con l'estero, mettendo al centro dell'operare un team interdisciplinare che è l'unione tra operatori sanitari e non, istituzioni, famiglie e volontariato.

Bisogna creare in Italia una rete omogenea di assistenza alle persone in stato vegetativo e di minima coscienza. In questo campo, ormai, sono state recentemente ratificate - il 5 maggio scorso - le Linee di Indirizzo per l'Assistenza alle Persone in Stato Vegetativo e Stato di Minima Coscienza, nella Conferenza Unificata (sede congiunta della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Città ed Autonomie Locali). Ma chi vigilerà sulla loro applicazione? Chi controllerà che le risorse economiche disponibili siano utilizzate al meglio per rispondere ai bisogni delle famiglie e dei loro assistiti?

Le reti associative possono fare la loro parte, ma da sole non bastano. Questo, infatti, è un problema che riguarda le Istituzioni, le Amministrazioni Locali,che devono confrontarsi - anche con le associazioni di familiari - per sancire diritti obbligatori e dovuti.

Le minacce di eutanasia - come nel caso di cui parliamo - sono sfoghi legittimi, motivati dalla drammaticità degli eventi, ma non devono deviare la nostra attenzione sull'assistenza e sull'impegno sociale.

Purtroppo non riusciremo con i mezzi attuali della ricerca a fare tornare Giuseppe come era prima, ma dobbiamo garantire a lui e alla sua famiglia tutte le possibilità perché possa riprendere il suo progetto di vita e per fare questo dovremo capire che vedere, far conoscere, vuol dire anche riconoscere qualcosa che riguarda tutti.


 

Ultimo aggiornamento (venerdì 03 giugno 2011 12:34)

di Fulvio De Nigris, Direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma degli Amici di Luca di Bologna. Componente dell'Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità. Componente dell'Osservatorio Nazionale per il Volontariato (amicidiluca@tin.it).


 

Fonte: http://superando.eosservice.com/content/view/7508/112/


 


 

STORIA DI STEFANO, MORTO IN UNA CASA PROTETTA di Privitera Chiara Riformista di domenica 5 giugno 2011


 

«Un muro di omertà, indifferenza e insensibilità». Sono i sentimenti a farsi sentire per primi nelle parole di Rossana La Monica, la sorella del giovane Stefano Biondo affetto da insufficienza psichica e morto lo scorso gennaio in una casa protetta di Via Madonie a Siracusa. Un caso forse di malasanità su cui la magistratura ha avviato un'inchiesta per omicidio colposo e sulla quale si sta ancora indagando.


 

Nel 2008 Stefano inizialmente ricoverato al reparto di Psichiatria dell'Umberto I in regime tso (trattamento sanitario obbligatorio), degenza poi trasformata in ricovero ordinario e protratto per mesi e mesi. Un ambiente non idoneo alla sua patologia e non in grado di risolvere i problemi del ragazzo. In questo periodo l'Asl, che aveva istituito un'apposita commissione d'intesa con il Dsm (Dipartimento di salute mentale) per stabilire - assieme al protocollo riabilitativo - anche se il paziente fosse di tipo psichico o neurologico, di fatto suggerì solo che Stefano dovesse rimanere nella struttura dell'Umberto I in attesa di un altro luogo più idoneo. «In realtà andò così per circa due anni», racconta la sorella al Riformista «perché tutte le Case protette interpellate davano sempre parere negativo una volta scoperto che si trattava di "Stefano Biondo"». La motivazione addotta, sistematicamente, era «il paziente rompe gli equilibri » per cui le strutture si dichiaravano incapaci di gestirlo. Un calvario da cui la sorella di Stefano pare essere riuscita a emergere nel gennaio del 2011 quando, tramite il provvedimento del giudice Milone e del tribunale di Siracusa, al sindaco e ai dirigenti dell'Azienda sanitaria provinciale viene intimato di i trovare una collocazione idonea al ragazzo. La struttura è quella della casa famiglia nel quartiere Epipoli, dove Stefano rimarrà solo per 36 ore. «Il 25 gennaio quella telefonata», ricorda Rossana. L'infermiera la chiama dicendole che il fratello aveva avuto una delle sue crisi, quindi la corsa dei familiari e poi la scena più agghiacciante: «mio fratello era buttato a terra con i polsi legati da un cavo elettrico e non dava segni di vita». Il dolore di Rossana non le impedisce di essere lucida e dettagliatamente racconta quegli ultimi momenti insieme al Stefano. Lo stato del fratello, spiega - l'infermiere presente, è dovuto ad una pesante dose di calmante ma Rossana, che all'epoca aveva frequentato un corso di primo soccorso, perce1 pisce che qualcosa non va. r «Non sentivo il / polso carotideo», racconta, «ho iniziato il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca», intanto arriva l'autoambulanza ma «con mezz'ora di ritardo e senza l'attrezzatura necessaria per la rianimazione». Quindi inutilmente. Il sospetto, quindi, è anche che il centralino del 118 non sia stato avvertito del fatto che si trattasse di un codice rosso: arresto cardiaco respiratorio. Stefano moriva così a soli 21 anni in una "casa protetta" e le motivazioni, cosa gli sia capitato in quei pochi minuti, perché avesse i polsi legati da un cavo elettrico e perché il personale infermieristico presente non sia intervenuto per tempo, restano ancora da capire. La commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori sanitari ha chiesto all'assessore regionale, Massimo Russo, una relazione dettagliata e il Presidente della Commissione nazionale, Leoluca Orlando, ha trasmesso la richiesta alla Regione per acquisire ogni elemento utile a far luce sulla tragica vicenda. Anche il Presidente della Commissione d'inchiesta sul servizio sanitario nazionale, Ignazio Marino, ha chiesto l'invio dei Nas e di acquisire la cartella clinica del giovane per poter aver un quadro più dettagliato della vicenda. Dure le sue parole: ha parlato di violazione del diritto costituzionale alla salute e di mancanza di pietà umana nei confronti di un malato. Sono passati 33 anni da quando la lotta di Franco Basaglia, per un trattamento psichiatrico più dignitoso verso i pazienti, divenne normativa (la legge 180). Una rivoluzione per l'Italia, dove i manicomi erano più simili a prigioni che a luoghi dove una persona poteva sperare di guarire, accompagnata da un'idea innovativa: nuove impostazioni cliniche che avessero al centro di tutto i diritti dei pazienti. Ogni Regione ha organizzato e gestito in modo autonomo l'applicazione di quella legge (che demanda al territorio l'organizzazione dell'assistenza) con il risultato di un'azione "a macchia di leopardo" dove a contesti di eccellenza si affiancano realtà insufficienti e inefficaci. La famiglia di Stefano, intanto, aspetta di conoscere la verità ma «non permetterò che questo tempo faccia calmare le acque, - promette Rossana - giornalmente invio mail, raccolgo articoli che parlano di mio fratello, e continuerò a farlo perché niente venga insabbiato».


 


 

Cervello e diritto - 06-01-2011 di Giulio Meazzini - Siamo liberi? Le neuroscienze lo mettono in dubbio. Ma allora chi è colpevole? Vanno riscritte le leggi alla base della nostra convivenza? Dialogo in redazione. - Fonte: Città Nuova, http://www.cittanuova.it


 

Negli ultimi anni, una parte crescente degli scienziati, sulla base degli studi sul cervello, ritiene che l'uomo non sia veramente libero, per cui andrebbero cambiate le basi del diritto attuale basato sulla responsabilità colpevole. Secondo le ricerche di Benjamin Libet, infatti, ci illudiamo di fare scelte coscienti, ma in realtà ogni volta, pochi millisecondi prima, alcune aree del cervello prendono la decisione a livello inconscio. Per cui, non essendo responsabili delle nostre azioni, non dovremmo essere condannati dai tribunali. Intanto a Trieste una sentenza ha ridotto di un terzo la pena di un omicida sulla base dei dati provenienti dall'esame neuropsicologico, dall'imaging funzionale del suo cervello e dalla genetica molecolare. Abbiamo rivolto alcune domande ad esperti di diverse discipline.


 

Siamo liberi e responsabili o no?


 

Chiara Rivoiro (neurologa - Torino): «Grazie alle neuroimmagini, tutti i giorni escono nuove scoperte che aumentano il fascino degli studi sul cervello. Bisogna però sottolineare che annunci come quelli di Libet non vanno presi acriticamente: è certo possibile che i nostri neuroni funzionino sulla base di "tracce" formatesi fin da quando eravamo nella pancia della mamma, per cui, in determinate situazioni, per la formazione del pensiero esistono collegamenti nel cervello che scatenano reazioni predeterminate. Ma la libertà dell'individuo è poi quella di adattare queste tracce al contesto e all'ambiente in cui si trova. E non solo a livello cerebrale: secondo alcuni studiosi l'impatto dell'ambiente sull'organismo prevale sulla predisposizione genetica. Sono la storia e il contatto sociale che determinano la responsabilità dell'individuo».


 

Annette Gerlach (psichiatra forense - Heidelberg): «Sono d'accordo. Alcune ricerche dimostrano che la struttura del cervello si modifica quando si fa del male per tanto tempo. Alla fine si diventa condizionati, invece con una terapia che aiuta a "pensare bene" si può abituare a comportarsi meglio. Chi beve sempre alcool diventa alcolizzato. Chi legge cose belle si modifica in meglio. Si dovrebbe far sperimentare ai giovani il bello. Ci lamentiamo dell'aggressività, ma cosa facciamo oltre a mettere in carcere? Il nostro compito è aiutare a cambiare comportamento».


 

Benedetta Izzi (ricercatrice in epigenetica - Bruxelles): «La mia disciplina studia l'influenza dei fattori ambientali sull'espressione dei geni. Non credo che l'influenza genetica sia così rilevante in un caso di omicidio. Bisogna essere prudenti. Studi di questo genere potrebbero solo dirci se c'è un maggiore o minore rischio che possa accadere una certa cosa. Niente altro. A chi vorrebbe screening genetici generalizzati, per eliminare dalla società chi ha il gene dell'inclinazione criminale, rispondo che valutazioni di questo tipo hanno senso solo se frutto di studi su grandi popolazioni, come avviene per quanto riguarda patologie come i tumori o le malattie cardiovascolari. Quindi i tribunali possono continuare a considerare la responsabilità personale come hanno fatto finora».


 

Adriana Stacca (docente diritto penale - Sassari): «Concordo con questa affermazione che valuta accertamenti di tipo genetico solo in ordine al rischio. Rimane riservata al diritto la valutazione finale e integrale della persona, ben diversa dalla valutazione parziale affidata alla scienza. Ridurre la persona alle funzioni del suo cervello significherebbe infatti frammentarla tutte le volte in cui è chiamata a scegliere. E questo impoverirebbe anche il diritto, disciplina che attiene all'insieme delle regole che riguardano le relazioni all'interno della nostra convivenza sociale».


 

Catherine Belzung (neurobiologa - Parigi): «Sono d'accordo anch'io. È la persona che decide, non il suo cervello o i suoi geni. Anche se questi dati scientifici esistono, è sbagliata l'interpretazione. Gli esperimenti di Libet sembrano indicare che c'è attività cerebrale prima della decisione, ma un modo diverso di interpretarli è che, nel momento in cui prendo coscienza della propensione del cervello ad un comportamento violento, posso decidere di inibirla. Anche se la parte inconscia del cervello mi farebbe agire in un certo modo, sono libero perché se voglio posso interrompere quell'azione».


 

Elisabeth Reichel (psichiatra forense - Vienna): «Sappiamo che la decisione cosciente è solo la punta dell'iceberg, mentre tutta la preparazione dell'azione avviene nell'inconscio. Non si sa cos'è il conscio, come agisce e come controlla. Alcuni dicono che non c'è colpa perché non c'è libero arbitrio, altri che bisogna distinguere. Secondo me la legge dovrebbe abbandonare la dicotomia buono/cattivo, bianco/nero: sono "responsabile" di quello che faccio, ma sapendo che dentro di me succedono cose di cui non ho coscienza. Per questo concordo con la collega Gerlach: c'è una responsabilità individuale, ma anche una collettiva, sociale. Il nostro inconscio è come una eredità ricevuta da tutta l'umanità, con "piste" cerebrali che si evolvono. Come giudice dovrei aiutare la persona a diventare più responsabile delle proprie azioni, facendo esperienze diverse, terapie ecc. Dobbiamo distinguere tra colpa e responsabilità. Basta con la punizione e nient'altro, serve aiuto per riprendere la strada positiva. È un approccio diverso che auspico».


 

Stacca: «Per il diritto, però, quando si commette un reato, la valutazione della responsabilità è proprio in termini di colpevolezza o meno. È nel momento in cui devo decidere la sanzione da applicare, che terrò conto dei fattori che possono aver influenzato il comportamento della persona, fattori ambientali, i suoi precedenti, la sua vita, complessivamente quella che viene definita la sua capacità a delinquere. Ne terrò conto, ma senza eliminare la responsabilità penale personale».


 

Come possiamo essere sia liberi che condizionati?


 

Reichel: «Vorrei portare l'esempio di Massimiliano Kolbe, ad Auschwitz: nel momento in cui sono tutti in piedi e il comandante dice "tu" ad un detenuto che cade in ginocchio piangendo, Kolbe si fa avanti e si offre di morire al suo posto. Questa decisione è stata così veloce, che uno si chiede come sia stato possibile, servirebbero ore o giorni per una decisione di questa portata. Se è riuscito a decidere così velocemente è solo perché ogni decisione è frutto di decisioni precedenti. Kolbe ha detto "sì" perché aveva già detto tanti "sì" in precedenza nella sua vita. Era allenato a donarsi. Non è tanto questione di decisione in quell'istante, ma di tutta la vita».


 

Stacca: «È fondamentale la lettura a tutto campo della persona. Questo concentrarsi sulle neuroscienze riflette un po' la concezione che guarda al singolo nelle sue componenti, cervello compreso, dimenticando che la responsabilità si costruisce considerando anche le relazioni che costruiamo nel mondo che ci circonda, la società in cui viviamo, la comunità in cui siamo inseriti. Altrimenti, in questa concezione individualista, nessuno è responsabile di niente e di nessuno. Tra l'altro, la prospettiva che il diritto non perde di vista è quella della possibilità del recupero. Se guardo solo a fattori di tipo genetico che determinano la personalità, verrebbe da scoraggiarsi, e invece sappiamo che attivando circuiti diversi, positivi, è possibile che la persona possa essere recuperata. I risultati scientifici sono sicuramente utili nei casi in cui c'è il dubbio di una possibile infermità mentale, aiutando il giudice a formulare il suo giudizio; ma poi è lui che deve decidere. Tra l'altro la valutazione è limitata al solo momento della commissione del reato, non abbraccia lo stato di salute globale della persona. Anche in presenza di una patologia, infatti, ci può essere nella realizzazione del fatto capacità di intendere e volere».


 

I media, secondo voi, come si comportano su questi argomenti?


 

Gerlach: «Hanno una grande responsabilità; in questi ultimi anni i comportamenti violenti sono aumentati di dieci volte nella percezione della gente, che ha sempre più paura, anche se in realtà non è così. Questo rende più difficile reintegrare nella società chi sbaglia. Sarebbe bello pubblicare, almeno una volta l'anno, un giornale con solo belle notizie, come ha fatto a Natale scorso il vescovo di Berlino su un grande quotidiano».


 

Reichel: «Anche il significato di queste ricerche neurologiche andrebbe spiegato bene, perché se c'è un titolo "Non sei tu che decidi, ma il tuo cervello", si fa cattiva informazione. Non dobbiamo aver paura delle scienze naturali, né metterci in difesa: la verità si spiega da sé stessa. Se siamo convinti che la verità vive dentro l'uomo, per vie magari contorte alla fine verrà alla luce. Non dobbiamo difenderci, ma conoscere dialogando tra discipline».


 

Belzung: «Nella comunicazione dobbiamo essere corretti, come giornalisti e come scienziati. Un esempio personale: quindici anni fa ho partecipato allo studio dell'influenza di un gene nel comportamento dei topi. Abbiamo scritto un articolo per Nature, la più famosa rivista scientifica. Ma il titolo era: "Topi senza questo gene sono molto violenti". Non lo condividevo perché non era esattamente quello che avevamo osservato: la realtà era molto più sfumata e complicata. Non hanno voluto cambiare il titolo e io non ho firmato l'articolo. Per noi ricercatori, titoli sensazionali su grandi riviste sono un modo per fare carriera, ma un maggiore senso morale non ci farebbe male».


 

Gerlach: «Due scienziati hanno controllato per decenni 600 bambini, la metà provenienti da ambienti poveri e violenti, gli altri benestanti. Le verifiche svolte ogni cinque anni hanno confermato che i fattori che aiutavano i primi ad uscire dalla loro condizione di degrado erano soprattutto i rapporti. Compreso l'amore per chi trovava una ragazza. È molto importante rinforzare nella società questi fattori».


 

Reichel: «Abbiamo parlato di influenze genetiche, ambientali, sociali: l'individuo è certamente frutto di tutto questo, ma ricordiamoci che non è solo questo».


 


 

Neuroteologia: una nuova disciplina teologica o una nuova forma di manipolazione del linguaggio? di Alberto Carrara


 

Cosa ci fa una monaca carmelitana di clausura inginocchiata, con gli occhi chiusi in atteggiamento meditativo, collegata tramite decine di elettrodi ad uno strumento di elettroencefalografia?


 

Bella domanda, che se alquanto legittima, cela una risposta non per nulla semplice.


 

Nei fatti, numerose monache di clausura e monaci buddisti sono stati reclutati come volontari a partire dagli anni '90 all'interno di studi sperimentali neuroscientifici sull'esperienza religiosa.


 


 

Bisogna ricordare che gli anni che vanno dal 1990 al 2000 sono stati "battezzati", dal presidente degli Stati Uniti, "la decade del cervello". Insieme all'entusiasmo giustificato per cercare di sviscerare in breve tempo tutti i misteri circa il nostro organo cerebrale, la decade 2000-2010 è stata testimone dell'impressionante crescita a livello di ricerca neurobiologica. Un tale sviluppo e progresso di portata globale, frutto certamente dell'interdisciplinarietà e della collaborazione tra le diverse discipline ed approcci scientifici, non è restato recluso all'ambito dei laboratori, ma ha letteralmente invaso la nostra quotidianità.


 

Oggigiorno la capacità tecnologica di visualizzare zone dell'encefalo che si attivano in modo differenziale in determinate circostanze, ha prodotto un vero e proprio fiume di studi sperimentali dei più variegati, sia per ciò che concerne le metodiche impiegate, sia per le più disparate finalità.


 

Lo sviluppo delle tecniche di neuroimmagine, tra cui spicca la ormai famosa fRMN o risonanza magnetica funzionale, non ha potuto venir confinato alla mera, anche se utilissima, area clinica, utile alla diagnosi di patologie a livello cerebrale. Gli studi si sono moltiplicati a seconda della fantasia e della genialità creatrice di ciascuno scienziato. Per questo, dal voler comprendere i fondamenti neurofisiologici delle attività umane come la memoria, il linguaggio, la visione, la personalità, eccetera, si è passati a ricercare, come ben afferma José Manuel Giménez-Amaya, su «ciò che è più spiccatamente umano dell'uomo»: la sua esperienza religiosa (1).


 


 


 

(1) Cf. J. M. Giméz-Amaya, «¿Dios en el cerebro? La experiencia religiosa desde la neurociencia», Scripta Theologica 2 (2010), 440


 


 

Dato che in tutti i contesti sociali il suffisso neuro ha già preso piede allo scopo di promuovere, vendere, convincere, persuadere, etc., in una vera e propria neuromania (2), si è proposto e circola già, fianco a fianco a parole come neuroeconomia, neuropolitica, neurofilosofia, il termine neuroteologia.


 


 

Di che si tratta? Sopratutto, cosa ci rivela la neuroscienza su Dio e sulla nostra naturale tendenza al trascendente?


 

In primo luogo bisogna considerare brevemente alcuni degli esperimenti realizzati in quest'ambito per poter poi giudicare le conclusioni e le interpretazioni che portano avanti a livello mediatico alcuni scienziati contemporanei.


 

Il dottor Mario Beauregard, del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Montreal in Canada, ha pubblicato nel 2006, sul numero 405 di Neuroscience Letters, un articolo sui correlati neuronali dell'esperienza religiosa. Gli esperimenti descritti comprendevano monache carmelitane di clausura, perfettamente sane, alle quali era stato chiesto di ricordare esperienze mistiche d'unione con Dio sperimentate durante la preghiera. Durante la reminiscenza, gli scienziati registravano le attività cerebrali delle sorelle attraverso l'impiego della fRMN e dell'elettroencefalografia. Due anni dopo, nel 2008, lo stesso scienziato canadese pubblicò sulla stessa rivista, un lavoro che riassumeva i dati di elettroencefalografia ottenuti durante l'esperienza mistica.


 

Le conclusioni di questi studi sperimentali, come di altri lavori che non è qui possibile menzionare nel dettaglio, portarono a concludere che durante l'esperienza religiosa numerose regioni cerebrali vengono attivate e coinvolte, particolarmente a livello della corteccia cerebrale. Ciò implica una rete neuronale complessa, cognitivamente strutturata, che coinvolge l'attivazione rilevante (in confronto con uno standard, cioè con i dati estrapolati da monache che non stavano pregando) della famosa AAA (Attention Association Area), locus cerebrale associato alla concentrazione. Gli scienziati evidenziarono inoltre la riduzione dell'attività della OAA (Oirentation Association Area) o zona dell'associazione e dell'orientamento spaziale. Già nel 2004 Olaf Blanke del Dipartimento di Neurologia di Ginevra (Svizzera), aveva pubblicato sulla rivista Brain, un interessante lavoro sull'implicazione di tale locus cerebrale e l'esperienza extracorporea detta anche out-of-body experience (3).


 

Come dati scientifici questi ed altri lavori ci rivelano semplicemente che: durante un'esperienza spirituale diverse e numerose aree del nostro cervello vengono modulate (si attivano o vengono inibite in confronto con un parametro standard).


 


 


 

(2) Cf. P. Legrenzi – C. Umiltà, Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, Il Mulino, Bologna, 2009.

(3) Cf. O. Blanke (et Al.), «Out-of-body experience and autoscopy of neurological origin», Brain 127 (2004), 243-258.


 


 


 

Ciò che viene misurato non è affatto l'esperienza mistica in sé, ma l'intensa attività intellettivo – volitiva che l'accompagna. La ricchezza dell'esperienza religiosa, naturale in tutti gli esseri umani, si manifesta nella nostra dimensione corporea a livello delle complesse reti neuronali in gioco.


 

Dal dato scientifico molto spesso alcuni passano alla sua interpretazione fino ad arrivare a vere e proprie manipolazioni. Così il dottor Andrew Newberg dell'Università della Pensilvania a Filadelfia (Stati Uniti), compiendo gli stessi esperimenti con monaci buddisti e francescani, giungendo agli stessi dati empirici, scrisse un libro intitolato Dio nel cervello (God in the brain, Why God Won't Go Away), nel quale riduce l'esperienza religiosa a puro prodotto materiale del nostro cervello. Newberg e altri neuroriduzionisti interpretano i dati sull'esperienza del trascendente come se il cervello stesso ne fosse la causa diretta e ultima. Si potrebbe allora concludere come fa il "padre" della neuroscienza contemporanea, Michael S. Gazzaniga: se il nostro cervello produce l'esperienza religiosa, Dio sta nel cervello e, in fin dei conti, il cervello diventa Dio. Semplice, quasi ci troviamo dinanzi ad un sillogismo perfetto. Questa visione fu divulgata con successo dallo spagnolo E. Punset nel suo libro L'anima è nel cervello.


 

La verità è, sfortunatamente per questo tipo di scienziati (che rappresentano un'esigua minoranza che però fa clamore), che i dati neuroscientifici non ricercano direttamente l'esperienza umana di Dio, ma cercano di identificare le basi neurofisiologiche associate alla fenomenologia di qualsiasi esperienza religiosa.


 

Le false ed ambigue interpretazioni dei risultati a livello di immagini di risonanza magnetica funzionale non vengono spesso facilmente smascherate dal gran pubblico non esperto. Per questo, all'ora di interpretare i dati è necessaria una buona dose di prudenza e molto equilibrio. Bisogna ricordare che l'esperienza umana, proprio per essere "umana", si caratterizza per la sua ricchezza e complessità.


 

Torna qui a proposito alla memoria un'affermazione importante di Tommaso d'Aquino, oggi come mai attuale nel contesto della riduzione della persona umana a semplice materialità: «hic homo singularis intelligit» (S. Th. I, q.76, a.1, c.), è quest'uomo colui che pensa. Non è il suo cervello che realizza l'esperienza di Dio, ma è egli stesso, nella sua totalità, che si mette in contatto con una realtà non misurabile empiricamente.


 

Una verità non può essere rinchiusa e limitata all'interno di un apparecchio di risonanza magnetica, nemmeno se "funzionale". Per il filosofo viennese Günther Pöltner, questo approccio alla vita pratica portato avanti a più riprese da Tommaso, rappresenta un contributo al contemporaneo dibattito impregnato di riduzionismo psicologico e neurologico. Concludendo, se con il termine Teologia, intendiamo, come d'altronde sempre si parlò, intellectus fidei (scientia fidei o fides quaerens intellectum), quella scienza, quella conoscenza sul Fondamento ultimo di tutto, cioè su Dio alla luce della fede, allora non resta dubbio alcuno sull'inopportunità del concetto neuroteologia.


 

Ciò che attualmente si intende per neuroteologia è una riflessione sui risultati neuroscientifici frutto dell'esperienza intellettivo – volitiva religiosa o mistica. Al posto di neuroteologia sarebbe più corretto impiegare un altro termine, per esempio quello di neurofenomenologia dell'esperienza religiosa, così da non creare il dubbio di aver coniato un'altra sottodisciplina teologica.


 

Come ben mette in evidenza José Manuel Giménez-Amaya nel suo articolo Dio nel cervello? L'esperienza religiosa da parte della neuroscienza, la Teologia svolge la «funzione guida come esigenza del pensiero». Dato che «la scienza, in generale, è un sapere fondato, cioè, le cui premesse ci risultano note in precedenza» e dato che «la stessa idea di scienza rimanda all'esistenza di un fondamento ultimo di tutto ciò che vi è», allora «è qui dove si mette in gioco la Teologia come sapere che studia il Fondamento ultimo di tutta la realtà»(4).


 

Bisogna aprire pertanto a tutta la potenzialità della nostra razionalità e non ridurla alla dimensione del nostro organo cerebrale.


 


 


 

(4) Cf. J. M. Giméz-Amaya, «¿Dios en el cerebro? …, 446