lunedì 6 giugno 2011

Nella rassegna stampa di oggi:

  1. Dalla Croazia una lezione sulla coscienza di Massimo Introvigne, 06-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
  2. Barcellona, «aborti negli ospedali cattolici» di Julio J. Gomez, 06-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
  3. Brasile, ritirato il kit anti-omofobia che promuove l'omosessualità nelle scuole, 5 giugno, 2011, http://www.uccronline.it
  4. Il filosofo Esposito: «il pensiero dei grandi laici ci conferma nella fede in Dio», 5 giugno, 2011, http://www.uccronline.it
  5. J'ACCUSE/ Perchè tutti parlano dei cetrioli e non dei feti "uccisi" dall'amniocentesi? Di Carlo Bellieni – 6 giugno 2011, il sussidiario.net
  6. Se la tutela degli indifesi diventa ansia di controllo, June 5th, 2011, di Carlo Bellieni, http://carlobellieni.com/
  7. La convivenza e il matrimonio Di Francesco Agnoli - 05/06/2011 – da http://www.libertaepersona.org/


 

Si ricomincia dalla famiglia di Andrea Tornielli 06-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

Celebrando la messa a Zagabria, di fronte a un'immensa folla in occasione della giornata delle famiglie croate, Benedetto XVI ieri mattina ha invitato a non ridurre l'amore a «emozione sentimentale» e a «pulsioni istintive», ricordando il valore «unico e insostituibile» della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Il Papa ha ripetuto che la famiglia oggi «deve affrontare difficoltà e minacce» ovunque e quindi «ha particolare bisogno di essere evangelizzata e sostenuta».


 

Bnedetto XVI ha anche lanciato un appello alle famiglie perché siano aperte alla trasmissione della vita e mettando al mondo dei figli: «Non bisogna avere timore di impegnarsi per un'altra persona. Care famiglie, gioite per la paternità e la maternità. L'apertura alla vita è segno di apertura al futuro, di fiducia nel futuro». Il Papa ha anche rinnovato la richiesta di «provvedimenti legislativi che sostengano le famiglie nel compito di generale ed educare i figli».


 

Il diciannovesimo viaggio internazionale di Ratzinger, che con la visita di due giorni in Croazia inaugura la stagione dei viaggi del 2001 – visiterà la Spagna per la GMG in agosto, in settembre tornerà in Germania e in novembre sarà in Benin, per la sua seconda trasferta africana – ha avuto per meta un Paese un tempo cattolicissimo, ma ora soggetto al processo di secolarizzazione. Un Paese che sta per entrare in Europa e aveva bisogno di essere incoraggiato e sostenuto, anche nel prendere coscienza dell'importanza per il futuro delle sue radici cristiane.


 

Ma proprio da Zagabria, da una terra dove il cattolicesimo si fonde con l'identità nazionale e dove non sono mancate esagerate affermazioni nazionaliste, Benedetto XVI ancora una volta ha sorpreso i suoi interlocutori parlando loro del primato della coscienza. Ha riconosciuto, nell'importante discorso tenuto sabato pomeriggio anl Teatro nazionale, l'importanza delle «grandi conquiste dell'età moderna, cioè il riconoscimento e la garanzia della libertà di coscienza, dei diritti umani, della libertà della scienza e, quindi, di una società libera». Conquiste che «sono da confermare e da sviluppare mantenendo però aperte la razionalità e la libertà al loro fondamento trascendente, per evitare che tali conquiste si auto-cancellino, come purtroppo dobbiamo constatare in non pochi casi».

La qualità della vita sociale e civile, la qualità della democrazia, ha detto il Papa «dipendono in buona parte da questo punto "critico" che è la coscienza, da come la si intende e da quanto si investe sulla sua formazione». Se la coscienza, «viene ridotta all'ambito del soggettivo, in cui si relegano la religione e la morale, la crisi dell'Occidente non ha rimedio e l'Europa è destinata all'involuzione. Se invece la coscienza viene riscoperta quale luogo dell'ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità – che è la forza contro ogni dittatura – allora c'è speranza per il futuro».


 

Benedetto XVI ha quindi definito proprio la coscienza come «chiave di volta per l'elaborazione culturale e per la costruzione del bene comune». E ha detto che è «nella formazione delle coscienze che la Chiesa offre alla società il suo contributo più proprio e prezioso». Non in primo luogo nelle strategie, nelle grandi battaglie culturali, ma nel paziente, spesso poco conosciuto e riconosciuto lavoro di formazione delle coscienze, nella testimonianza quotidiana, sta dunque il contributo più prezioso che la Chiesa può dare e dà. Sia in quei Paesi che rivendicano con orgoglio la loro identità cristiana, sia in quei Paesi dove la secolarizzazione è più avanzata.


 


 

Dalla Croazia una lezione sulla coscienza di Massimo Introvigne, 06-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

Benedetto XVI ha visitato il 4 e 5 giugno la Croazia, accolto da uno straordinario entusiasmo di popolo, mettendo al centro delle sue riflessioni come «tema centrale» – lo ha detto egli stesso – quello della coscienza. Il Papa ne aveva già parlato in occasione del viaggio apostolico nel Regno Unito del 16-19 settembre 2010, nel corso del quale aveva beatificato il cardinale John Henry Newman (1801-1890), della cui riflessione filosofica e teologica la coscienza è l'elemento portante. Ma proprio in Gran Bretagna Benedetto XVI aveva precisato che si tratta di un argomento vastissimo, che in quell'occasione poteva solo iniziare a impostare e su cui sarebbe tornato.


 

Al Teatro Nazionale di Zagabria il Pontefice ha definito quello della coscienza un tema «trasversale rispetto ai diversi campi» e «fondamentale per una società libera e giusta, sia a livello nazionale che sovranazionale». La modernità, ha ricordato il Papa, è spesso definita come l'epoca che mette al centro della cultura e della politica l'aspirazione alla libertà di coscienza. E in effetti «le grandi conquiste dell'età moderna, cioè il riconoscimento e la garanzia della libertà di coscienza, dei diritti umani, della libertà della scienza e, quindi, di una società libera, sono da confermare e da sviluppare». Ma questa rivendicazione della libertà di coscienza può sfuggire all'ambiguità solo «mantenendo però aperte la razionalità e la libertà al loro fondamento trascendente, per evitare che tali conquiste si auto-cancellino, come purtroppo dobbiamo constatare in non pochi casi».

La Chiesa trova la centralità della coscienza nella sua tradizione. Ma tutto sta a intendere che cosa s'intende per coscienza. «La qualità della vita sociale e civile, la qualità della democrazia – ha affermato il Pontefice – dipendono in buona parte da questo punto "critico" che è la coscienza, da come la si intende e da quanto si investe sulla sua formazione. Se la coscienza, secondo il prevalente pensiero moderno, viene ridotta all'ambito del soggettivo, in cui si relegano la religione e la morale, la crisi dell'occidente non ha rimedio e l'Europa è destinata all'involuzione. Se invece la coscienza viene riscoperta quale luogo dell'ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità – che è la forza contro ogni dittatura – allora c'è speranza per il futuro».


 

Ancora una volta il Papa presenta la vicenda culturale e sociale contemporanea in termini drammatici. L'alternativa, aveva scritto nell'enciclica Spe salvi del 2007, è tra un sì o un no all'equilibrio armonioso fra fede e ragione. E nell'enciclica Caritas in veritate del 2009 aveva mostrato il bivio fra una politica fondata sulla verità e una sull'arbitrio della tecnocrazia che considera lecito tutto quello che è tecnicamente possibile. Entrambe le alternative rimandano proprio alla questione della coscienza.


 

Tutti celebrano la libertà di coscienza. Ma per il pensiero maggioritario della modernità l'appello alla coscienza, declinato in modo soggettivistico, significa che ciascuno fa quello che vuole, seguendo i suoi impulsi e i suoi desideri. Chi segue la nozione soggettivistica di coscienza, ha detto il Papa ai giovani nella veglia di preghiera con loro, si lascia «disorientare da promesse allettanti di facili successi, da stili di vita che privilegiano l'apparire a scapito dell'interiorità», cede «alla tentazione di riporre fiducia assoluta nell'avere, nelle cose materiali, rinunciando a scorgere la verità che va oltre, come una stella alta nel cielo».


 

L'intera società, ha affermato Benedetto XVI al suo arrivo all'aeroporto di Zagabria, finisce allora per essere dominata dalla «poca stabilità» e «segnata da un individualismo che favorisce una visione della vita senza obblighi e la ricerca continua di "spazi del privato"». Per la grande tradizione classica e cristiana, al contrario, la coscienza è il luogo dove si ascoltano la verità e il bene, la voce che non incita a fare quello che si vuole ma quello che si deve, quanto la ragione indica come conforme al vero e al buono. Da queste due opposte nozioni di coscienza nascono due civiltà, due concezioni della famiglia, due Europe.


 

La Croazia si appresta a entrare nell'Unione Europea, un passo – ha detto nell'intervista sul volo verso la Croazia il Papa – «logico, giusto e necessario». Ma di quale Europa si tratterà dipende da quale nozione della coscienza finirà per prevalere. I segnali che giungono dalle istituzioni comunitarie non sono sempre positivi, così che Paesi di profonde tradizioni cattoliche che entrano nell'Unione hanno qualche ragione per diffidare. «Si può capire – ha aggiunto nella stessa intervista il Pontefice – anche un certo scetticismo se un popolo numericamente non grande entra in questa Europa già fatta e già costruita. Si può capire che forse c'è una paura di un burocratismo centralistico troppo forte, di una cultura razionalistica, che non tiene sufficientemente conto della storia e della ricchezza della storia e anche della ricchezza della diversità storica». Il «razionalismo astratto» spinge anche a negare «le radici cristiane» – ha detto il Papa al Teatro Nazionale di Zagabria – contro la «verità storica», e a celebrare la nascita di istituzioni quali ospedali e università senza «comprendere il perché e il come ciò sia avvenuto», non volendo ricordare che sono nate dalla Chiesa.


 

L'occasione della visita di Benedetto XVI è stata il primo Incontro Nazionale delle Famiglie Croate. Celebrando la Messa all'Ippodromo di Zagabria per tale Incontro, il Papa è tornato sul tema centrale dei due modelli. Se si adotta il modello soggettivistico della coscienza, se «si assolutizza una libertà senza impegno per la verità», allora «si coltiva come ideale il benessere individuale attraverso il consumo di beni materiali ed esperienze effimere, trascurando la qualità delle relazioni con le persone e i valori umani più profondi; si riduce l'amore a emozione sentimentale e a soddisfazione di pulsioni istintive, senza impegnarsi a costruire legami duraturi di appartenenza reciproca e senza apertura alla vita». Ma questa separazione della coscienza dalla verità porta fatalmente a «una crescente disgregazione della famiglia», a una «mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio», a una politica che nega «l'intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale, il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli», che il Papa ha voluto ricordare anche al presidente italiano Giorgio Napolitano nel messaggio che gli ha indirizzato al momento di lasciare l'Italia verso la Croazia.


 

Incitandoli a tornare alla nozione della coscienza ordinata alla verità il Papa ha ricordato ai croati alcuni loro grandi modelli. Anzitutto il grande scienziato Ruggero Giuseppe Boscovich (1711-1787), di cui la Croazia celebra nel 2011 il terzo centenario della nascita e che Benedetto XVI aveva già ricordato in un discorso dell'11 aprile 2011, di cui avevamo dato conto su La Bussola Quotidiana. Boscovich testimonia con la sua attività di scienziato l'unità fra fede e scienza e con la sua fedeltà al suo ordine, i Gesuiti, perseguitato dall'Illuminismo europeo il coraggio di fare costantemente prevalere le vere ragioni della coscienza.


 

Boscovich, ha detto il Papa al Teatro Nazionale di Zagabria, «impersona molto bene il felice connubio tra la fede e la scienza, che si stimolano a vicenda per una ricerca al tempo stesso aperta, diversificata e capace di sintesi. La sua opera maggiore, la Theoria philosophiae naturalis, pubblicata a Vienna e poi a Venezia a metà del Settecento, porta un sottotitolo molto significativo: redacta ad unicam legem virium in natura existentium, cioè "secondo l'unica legge delle forze esistenti in natura"». In quest'opera «c'è lo studio di molteplici rami del sapere, ma c'è anche la passione per l'unità. E questo è tipico della cultura cattolica». Gli storici della scienza, ha ricordato Benedetto XVI, «dicono che la sua teoria della "continuità", valida sia nelle scienze naturali sia nella geometria, si accorda in modo eccellente con alcune delle grandi scoperte della fisica contemporanea. Che dire? Rendiamo omaggio all'illustre Croato, ma anche all'autentico Gesuita; rendiamo omaggio al cultore della verità che sa bene quanto essa lo superi, ma che sa anche, alla luce della verità, impegnare fino in fondo le risorse della ragione che Dio stesso gli ha dato. Oltre all'omaggio, però, occorre far tesoro del metodo, dell'apertura mentale di questi grandi uomini. Ritorniamo dunque alla coscienza come chiave di volta per l'elaborazione culturale».


 

Ai giovani, nella veglia di preghiera a loro dedicata, il Pontefice ha ricordato il beato Ivan Merz (1896-1928), un giovane intellettuale cattolico pioniere del movimento liturgico, nato in Bosnia da famiglia croata e prematuramente scomparso che – dopo studi alla Sorbona e a Vienna – aveva conseguito il dottorato a Zagabria con una tesi consacrata all'influenza della liturgia sui letterati francesi moderni. Anche il beato Merz è stato un gigante della coscienza. Il Papa lo ha ricordato come «giovane brillante, inserito a pieno titolo nella vita sociale, che dopo la morte della giovane Greta [Teschner, 1896-1913], il suo primo amore, intraprende il cammino universitario. Durante gli anni della prima guerra mondiale si trova di fronte alla distruzione e alla morte, ma tutto ciò lo plasma e lo forgia, facendogli superare momenti di crisi e di lotta spirituale. La fede di Ivan si rafforza al punto che si dedica allo studio della Liturgia ed inizia un intenso apostolato tra i giovani stessi. Egli scopre la bellezza della fede cattolica e capisce che la vocazione della sua vita è vivere e far vivere l'amicizia con Cristo».


 

Ma che cosa sia veramente la coscienza emerge soprattutto dalla ripetuta celebrazione che – incurante di critiche dove ancora ci si ostina a proporne un'immagine falsa e distorta di prelato indulgente verso i collaboratori croati del nazismo – Benedetto XVI ha proposto del cardinale Alojzije Viktor Stepinac (1898-1960), proclamato beato nel 1998. Dall'intervista sul volo verso la Croazia ai vespri del 5 giugno presso la sua tomba, Benedetto XVI ha voluto ricordare nel beato Stepinac «un grande esempio non solo per i croati, ma per tutti noi», «viva immagine del Cristo, anche sofferente», «la cui eroica esistenza ancora oggi illumina i fedeli delle Diocesi croate». Il cardinale, ha detto il Pontefice, è stato nel periodo nazista «difensore degli ebrei, degli ortodossi e di tutti i perseguitati, e poi, nel periodo del comunismo, "avvocato" dei suoi fedeli, specialmente dei tanti sacerdoti perseguitati e uccisi. Sì, è diventato "avvocato" di Dio su questa terra, poiché ha tenacemente difeso la verità e il diritto dell'uomo di vivere con Dio».


 

L'aggressione comunista al beato Stepinac, ha aggiunto il Papa, «segna il culmine delle violenze perpetrate contro la Chiesa durante la terribile stagione della persecuzione comunista. I cattolici croati, in particolare il clero, sono stati oggetto di vessazioni e soprusi sistematici, che miravano a distruggere la Chiesa cattolica, a partire dalla sua più alta Autorità locale. Quel tempo particolarmente duro è stato caratterizzato da una generazione di Vescovi, di sacerdoti e di religiosi pronti a morire per non tradire Cristo, la Chiesa e il Papa. La gente ha visto che i sacerdoti non hanno mai perso la fede, la speranza, la carità, e così sono rimasti sempre uniti. Questa unità spiega ciò che è umanamente inspiegabile: che un regime così duro non abbia potuto piegare la Chiesa».


 

Il beato Stepinac è stato in Croazia il grande testimone del primato della coscienza: «proprio grazie alla sua salda coscienza cristiana ha saputo resistere a ogni totalitarismo». Con parole, ha affermato il Papa, ancora attuali e urgenti oggi, «il Beato Cardinale Stepinac così si esprimeva: "Uno dei più grandi mali del nostro tempo è la mediocrità nelle questioni di fede. Non facciamoci illusioni … O siamo cattolici o non lo siamo. Se lo siamo, bisogna che questo si manifesti in ogni campo della nostra vita" (Omelia nella Solennità dei SS. Pietro e Paolo, 29 giugno 1943). L'insegnamento morale della Chiesa, oggi spesso non compreso, non può essere svincolato dal Vangelo».


 

Far prevalere l'idea corretta della coscienza contro le distorsioni del soggettivismo è un compito oggi molto difficile, «in una società che cerca di relativizzare e secolarizzare tutti gli ambiti della vita» come il Papa l'ha definita sulla tomba del beato Stepinac. L'idea di coscienza «ridotta nell'ambito del soggettivismo» è sostenuta da una possente propaganda. Al Teatro Nazionale di Zagabria il Pontefice ha detto che «è nella formazione delle coscienze che la Chiesa offre alla società il suo contributo più proprio e prezioso», con un'influenza diretta anche su una politica che sia «non falsamente neutra, ma ricca di contenuti umani, con un forte spessore etico», sempre ispirata alla «dottrina sociale della Chiesa». E questo contributo «comincia nella famiglia», di cui sulla scia del beato Giovanni Paolo II (1920-2005) e dei suoi tre viaggi in Croazia Benedetto XVI ha voluto ricordare il nuovo ruolo missionario. Nella Messa all'Ippodromo di Zagabria il Papa ha citato il suo predecessore, il quale affermava nel 2001: «È maturata nella Chiesa l'ora della famiglia, che è anche l'ora della famiglia missionaria».


 

Questo sforzo – ha affermato nella stessa occasione – non potrà essere soltanto intellettuale. Potrà riuscire soltanto grazie alla vita spirituale, alla preghiera, «ai Sacramenti, specie all'Eucarestia». Sempre attento alle ricorrenze, Benedetto XVI ha ricordato «i 600 anni del "miracolo eucaristico di Ludbreg"», un evento centrale nella storia cattolica della Croazia. Nel 1411 nella cittadina croata di Ludbreg il vino nel calice di un sacerdote che dubitava della presenza reale nell'Eucarestia si trasformò miracolosamente in sangue. L'autenticità del miracolo fu riconosciuta dalla Santa Sede dopo un'indagine particolarmente severa durata quasi cento anni. Nel 1739 il Parlamento croato attribuì alla reliquia di Ludbreg la salvezza del Paese dalla peste. Non mancano nuove pesti che oggi minacciano la Croazia, l'Europa e il mondo intero. La memoria del miracolo di Ludbreg ci rammenta che, come ha detto il Papa, se talora pensiamo che l'efficacia della missione cristiana «dipenda principalmente da un'attenta programmazione e della sua intelligente messa in opera», in realtà «prima di qualsiasi nostra risposta» viene l'iniziativa gratuita di Dio che solo ispira e salva.


 


 

Barcellona, «aborti negli ospedali cattolici» di Julio J. Gomez, 06-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it


 

La notizia è arrivata come una bomba già alcuni mesi fa, provocando disagio e scalpore negli ambienti prolife spagnoli: in alcuni ospedali dove si pratica l'aborto esponenti della Chiesa cattolica fanno parte del Consiglio d'amministrazione. Si tratta degli ospedali di san Pau (Barcellona), sant Joan de Déu (Esplugues de Llobregat), appartenente ai Fatebenefratelli, e sant Celoni (Tarrasa), situati nelle diocesi di Barcellona, sant Feliú de Llobregat e Tarrasa. La partecipazione ecclesiastica in questi ospedali non è irrilevante: all'ospedale san Pau, per esempio, la Chiesa occupa il 33% dei posti nel consiglio di amministrazione.


 

Questo disagio ha portato il sacerdote Ignasi Fuster alle dimissioni, il marzo scorso, non solo del suo incarico di vicepresidente del consiglio di amministrazione dell'ospedale di sant Celoni ma anche dal suo incarico di parroco, in nome dell'obiezione di coscienza. Ad aprile, un altro sacerdote, il padre Custodio Ballester, della diocesi di Barcellona, ha deciso di inviare una lettera al suo arcivescovo, il cardinale Luis Martínez Sistach, esprimendo la sua preoccupazione per i gravi eventi accaduti negli ospedali. Nella lettera, il padre Ballester sollecita "la denuncia pubblica e la fine di questa scandalosa situazione e di qualsiasi partecipazione, rappresentazione e connivenza della Chiesa Cattolica nei consigli di amministrazione degli ospedali della santa Creu e san Pau di Barcellona, dell'ospedale Generale di Granollers a Tarrasa, dell'ospedale di sant Celoni a Tarrasa, e dell'ospedale sant Joan de Déu alla diocesi di san Feliú. In questo modo sarà palese la impossibilità di collaborare in qualsiasi modo con un reato abominevole che chiede giustizia". La lettera del p. Ballester non ha però ancora ricevuto nessuna risposta dal cardinale Sistach.


 

La lettera è stata inviata anche in Vaticano, e padre Ballester afferma di aver avuto assicurazioni da un funzionario della Segreteria di Stato che Roma non solo conosceva già il problema, ma si era anche pronunziato. "Il funzionario mi ha assicurato che il Vaticano aveva invitato i presuli di Barcellona, san Feliú e Tarrasa che la Chiesa doveva abbandonare gli ospedali, ma ancora non avevano risposto né obbedito all'indicazione", dichiara il p. Ballester. La richiesta della Santa Sede è stata inviata almeno tre mesi fa, con una indicazione chiara: "Se la Chiesa è presente negli ospedali, non si possono avere aborti. Sevengono praticati, la Chiesa deve ritirarsi".


 

Secondo la denuncia dell'associazione Cruz de san Andrés, in questi ospedali si praticano aborti chirurgici, chimici, sterilizzazioni, vasectomie e tecniche di riproduzione assistita almeno dal 2005. Secondo la stessa associazione, all'ospedale san Pau è possibile perfino trovare professionisti apertamente opposti agli insegnamenti della Chiesa in materia bioetica. È il caso del capo del dipartimento di Ginecologia, il dottore Joaquim Calaf, che si è manifestato pubblicamente favorevole all'aborto.


 

Davanti al silenzio e alla passività dei vescovi, un gruppo di sacerdoti e laici, riuniti nella piattaforma "Cataluña Vida Sí", ha deciso di realizzare una manifestazione pubblica di protesta presso l'ospedale di san Pau il 25 di ogni mese. Il p. Ballester ha dichiarato all'agenzia ACI Prensa che "questo evento mensile vuole essere una manifestazione del dolore che produce nei fedeli la inattività dei vescovadi di Tarrasa, San Feliú e Barcellona, davanti al crimine abominevole dell'aborto, che si realizza nei loro ospedali".


 

Il p. Ballester ha spiegato che "l'atto consiste in un raduno davanti alla porta dell'ospedale", per poi "pregare il Rosario, chiedendo misericordia per i non nati e coraggio per i nostri vescovi". L'atto si chiude davanti alla facciata della Natività del tempio espiatorio della Sagrada Familia con la recita dell'Angelus e la benedizione.


 


 

Brasile, ritirato il kit anti-omofobia che promuove l'omosessualità nelle scuole, 5 giugno, 2011, http://www.uccronline.it


 

Verso fine maggio la presidente del Brasile, Dilma Rousseff, ha posto il veto contro l'utilizzo del cosiddetto "kit-anti-omofobia" ( costato tre milioni di reais , circa due milioni di dollari) nelle scuole pubbliche, reputandolo "inappropriato" e "fuori luogo".


 

In particolare sotto processo è finito il video allegato. Come tutti si aspetterebbero avrebbe dovuto contenere giuste informazioni sulla discriminazione a base sessuale, richiami al rispetto della diversità o testimonianze di omosessuali perseguitati. In realtà -poche agenzie di stampa lo ha riportato- lo scopo del video era semplicemente quello di promuovere l'omosessualità nelle scuole. Il video infatti mostra un ragazzino di 14 anni di nome Ricardo, che "si innamora" di un altro compagno quando lo vede urinare nel bagno della scuola. Lo stesso ragazzo più avanti dirà al suo insegnante di voler essere chiamato "Bianca" al posto di Ricardo. Il filmato mostra anche due fanciulle di 13 anni che annunciano la loro relazione sessuale lesbica a tutta la classe scambiandosi un bacio sulla bocca.


 

L'amministrazione brasiliana, in un comunicato ufficiale, ha dichiarato di aver «deciso che da ora in poi qualsiasi materiale che si occupa di costumi sociali verrà creato dopo una più ampia consultazione».


 

Recentemente il Supremo Tribunal Federal ha stabilito che il governo dovrà riconoscere le unioni omosessuali in modo paritetico, perché la loro discriminazione infrange la clausola costituzione dell'uguaglianza. Anche se di uguaglianza fra i due tipi di "unione" ce n'è molto poca. La Rouseff si è dichiarata favorevole alle parntership civili, ma ha comunque rimarcato il suo ferreo "no" al matrimonio omosessuale.


 


 

Il filosofo Esposito: «il pensiero dei grandi laici ci conferma nella fede in Dio», 5 giugno, 2011,
http://www.uccronline.it


 

Nelle librerie è possibile trovare l'ultimo libro di Costantino Esposito, docente di Storia della filosofia nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Bari. Studioso in particolare del pensiero di Heidegger, Kant e Francisco Suárez. Il titolo è "Una ragione inquieta. Interventi e riflessioni nelle pieghe del nostro tempo" (Brossura 2011).


 

Aiutato dai giudizi di Sant'Agostino e don Luigi Giussani, il filosofo analizza il pensiero dei grandi della storia: Dante, Petrarca, Svevo, Woolf, Eliot, Pavese, Cézanne, Stravinskij, Kierkegaard, Schrödinger, van Gogh e tanti filosofi, tanti nichilisti del mondo laico. E' dal loro pensiero che il cristiano trova conferma della proporia fede, perché «ci aiutano perché colgono la vibrazione ultima dei nostri problemi», dice Esposito.


 

L'inquietudine del titolo verte sul nesso tra fede e ragione. Il nichilismo dell'uomo, lo diceva Agostino e lo sottolineava Giussani, emerge quando la ricerca del senso, del fondamento della sua esistenza, la risposta all'insopprimibile esigenza umana viene confinata lontana dal rapporto con la realtà e dalla ragione. E' dunque impossibile, dice il filosofo Ferruccio De Natale presentando il testo di Esposito, separare sentimento e intelletto, «cuore» e ragione, pena la perdita dell'essenza stessa dell'umano: «Quanto più indago, razionalmente, il senso di ciò che mi circonda e di me stesso, più contemplo la bellezza del mondo e dei prodotti dell'uomo, tanto più avverto l'inadeguatezza e il mio bisogno che trovano risposta solo in un infinitivamente Altro da me (che pure si è fatto Presona per me)». La fede non interrompe la continua ricerca, l'esigenza del significato, ma la potenzia: più conosco e più "credo", e viceversa. E' un continuo confronto e paragone con il reale.


 


 

LETTURE/ Dostoevskij e quel bene "scomodo" della libertà di Graziano Tarantini, lunedì 6 giugno 2011, il sussidiario.net


 

La "Leggenda del Grande Inquisitore" narrata da Dostoevskij nei Fratelli Karamazov è senz'altro uno dei testi più celebri e allo stesso tempo più enigmatici della letteratura. E ogni volta che lo si rilegge è difficile non farsi toccare dal suo fascino. Io, che non sono un critico letterario, mi sono appassionato a Dostoevskij solo perché ho trovato nei suoi scritti straordinarie novità utili a conoscere la radice delle mie domande esistenziali. Nel libro di Vasilij Grossman Il bene sia con voi!, appena uscito in Italia, il katholikòs di tutti gli armeni dice che "una conoscenza seria e approfondita dell'animo umano e dell'uomo è imprescindibile dallo studio di Dostoevskij". Ma chi è oggi il Grande Inquisitore? Non si tratta di dargli un nome e un cognome, perché è uno e molti allo stesso tempo. Potremmo ad esempio ritrovare tratti della sua personalità nelle posizioni di chi si sente investito del compito superiore di benefattore dell'umanità. Di chi dietro "saldi principi morali" vorrebbe annullare il rischio della libertà per "acquietare la coscienza umana una volta per sempre".

Anche recentemente la Leggenda è stata spunto per dibattiti che tendono a reinterpretare alla sua luce vicende contemporanee. Tranne qualche eccezione come il pamphlet fresco di stampa di Franco Cassano L'umiltà del male, alcuni li ho trovati vere forzature partigiane dovute anche a una sua lettura molto superficiale o parziale. Spesso la Leggenda è stata considerata come un racconto a sé. Nell'architettura dostoevskiana occupa sicuramente un posto speciale, paragonabile a quello che Re Lear e La tempesta hanno nel mondo di Shakespeare.

Ma in realtà nei Fratelli Karamazov si pone al culmine della disputa tra Ivan e Aljosa. Ivan ha appena professato la sua ribellione a Dio perché non può accettare le violenze commesse su bambini innocenti. Per lui il fatto che c'è il male è la prova che Dio non esiste. Non c'è armonia futura che valga "una lacrima anche sola di quella bambina martoriata che si batteva il petto col piccolo pugno e pregava il buon Dio nel suo fetido stambugio versando le sue lacrime invendicate". Ivan dunque rinuncia: "Hanno fissato un prezzo troppo alto per l'armonia; non possiamo permetterci di pagare tanto per accedervi". Restituisce il suo biglietto a Dio, poiché la sua ragione non può risolversi ad ammettere e accettare la disarmonia che ancora regna nel mondo.

La sua rivolta è quella del Grande Inquisitore che formula un sistema di ordinamento basato sulla negazione della libertà concessa da Dio all'uomo. È questo lo sfondo in cui si inserisce la Leggenda, che racconta di Gesù che decide di tornare sulla terra e di andare a Siviglia in Spagna al tempo dell'Inquisizione. E tutti lo riconoscono, risveglia la fede e compie grandi miracoli. Proprio in uno di questi momenti viene notato dal cardinale grande inquisitore, una figura imponente di vecchio quasi novantenne, che lo fa subito arrestare. Quando scende la notte va a trovarlo in carcere dove si profonde in un lungo monologo davanti al silenzio assoluto di Gesù. L'inquisitore non può accettare che un Gesù redivivo sia tornato a disturbare la sua opera di benefattore dell'umanità, di uomini che non possono sostenere il peso della libertà e della responsabilità che Cristo ha loro donato. Si è così escluso dal cristianesimo tutto quanto è superiore alle forze dei più e lo si è ridotto alle loro possibilità e ai loro desideri.

Sullo sfondo c'è la posizione dell'uomo davanti al dramma della libertà che si ritrova addosso nell'avventura della vita. L'alternativa è tra il fare fino in fondo i conti con tale dramma o cercare di sfuggirvi. È da quel peso che vuole sollevarci il Grande Inquisitore, che rimprovera Cristo per il dono della libertà. Il programma sarà quello di alleggerire l'uomo da questo insopportabile fardello sostituendolo con l'autorità. L'umanità sarà così ridotta a un gregge felice, e la felicità verrà pagata al prezzo della libertà. Ma in realtà sarà solo una sua caricatura, una felicità fittizia indotta dal potere. Di qualsiasi genere esso sia: politico, economico, o perfino religioso. Quando infatti il potere, anziché essere al servizio della persona, tende a ridurla al proprio scopo, cercherà inevitabilmente di governarne i desideri per assicurarsi il massimo di consenso da una massa sempre più determinata nei suoi bisogni.

La questione posta da Dostoevskij è proprio qui: chi, come il Grande Inquisitore, ha la pretesa di sostituirsi all'esperienza della libertà con risposte preconfezionate, è quello che maggiormente tradisce la grandezza dell'uomo come essere unico e irripetibile. Infatti la sua unicità e irripetibilità è dovuta al fatto che esercita quella libertà personale che è tale solo quando è mossa dalla sua naturale ricerca di bene. Il personaggio incarnato dall'inquisitore si ripromette di tranquillizzare la società organizzando la sua vita attraverso un sistema di sicurezze materiali escludendo ogni rischio, intrapresa, creatività e qualsiasi azzardo d'amore. Di liberarla "dal grave fastidio e dal terribile tormento odierno di dovere personalmente e liberamente decidere".

La posizione di Dostoevskij è riassunta nel silenzio di Cristo: e culmina non in un discorso ma in un gesto, il suo bacio al Grande Inquisitore. Come a dire che il bene resta bene e il male male, e di entrambi l'uomo fa l'esperienza. Si pone in una zona intermedia dove è chiamato continuamente a decidersi per l'uno o per l'altro. "In luogo di seguire la salda legge antica, l'uomo doveva per l'avvenire decidere da sé liberamente, che cosa fosse bene e che cosa fosse male, avendo dinanzi come guida la sola Tua immagine". Ciò che lo salva è questa presenza di Gesù che nel suo silenzio sembra non partecipare agli avvenimenti, ma che invece c'è. È lui stesso il bene. Pietra di scandalo continua per chi vorrebbe addomesticare la libertà dell'uomo, per chi ha fatto diventare un esercizio di potere anche il bene, piegato e ridotto alle convenienze del momento e soprattutto separato dalla sua fonte.

Il rimando all'Anticristo descritto da un altro grande russo, Vladimir Solov'ev, è immediato: anche lui credeva nel bene, era filantropo e spiritualista, ma non può tollerare l'affermazione dello starets Giovanni che gli dice: "Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso e tutto ciò che viene da Lui". Lo sforzo del Grande Inquisitore sembra quello di giustificare la sua posizione davanti a questo Gesù che tace. Sente che sta mentendo ma ha capito il livello della sfida portata da Gesù alla libertà dell'uomo. Questi ha introdotto nella storia un fattore destabilizzante che lascia inquieti e non appagati da ogni risposta o realizzazione umana. È il sentimento di "quella eterna santa tristezza che qualche anima eletta, una volta che l'abbia assaporata e conosciuta, non scambierà poi mai più con una soddisfazione a buon mercato", di cui Dostoevskij parla mirabilmente nei Demoni.

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J'ACCUSE/ Perchè tutti parlano dei cetrioli e non dei feti "uccisi" dall'amniocentesi? Di Carlo Bellieni – 6 giugno 2011, il sussidiario.net


 

La recente "epidemia" di morti in Germania, prima imputata ai cetrioli spagnoli, poi a non si sa cosa, ha portato una nuova ondata di panico: cetrioli sequestrati, dissequestrati, nuove raccomandazioni di lavarsi le mani prima di mangiare, appena si torna a casa, di mettere la varichina nell'insalata e altre amenità. E ci risiamo, come se non ne avessimo viste abbastanza: H1N1, aviaria, suina, mucca pazza… e il bello è che ognuna di queste "epidemie che avrebbero distrutto il mondo" ha causato solo pochi morti: meno di quanti ne fa una normale influenza stagionale.

Eppure tutti a preoccuparsi, a buttarsi l'alcol sulle mani, a stilare protocolli, a spendere, comprare, soprattutto: comprare e spendere per articoli sanitari, disinfettanti, antibiotici. Il tutto per qualche decina di decessi: cosa triste, ma limitata, certo meno di quanti muoiono di incidenti stradali in un weekend. Ma che volete, siamo fatti così: tutti pronti a spaventarci per il primo allarme, soprattutto se ben orchestrato volutamente o no. E soprattutto pronti a far finta di non vedere quando le epidemie vere ci sono, sono gravi, sono sotto gli occhi di tutti, ma evidentemente c'è la parola d'ordine di non interessarsene.

Per tutte, basti pensare alla epidemia di gravidanze interrotte senza volerlo, provocata ogni giorno in tutto il mondo dall'amniocentesi che ben sappiamo ha come "effetto collaterale" la morte fetale in dieci casi su mille (5 ogni mille per i più ottimisti). Un'altra procedura medica che avesse altrettanto insuccesso sarebbe stata messa al bando da anni, altro che "continuare a tollerarla in attesa di nuove scoperte".

E dato che in Italia si fanno circa 100.000 amniocentesi l'anno, vuol dire che circa 500-1000 donne sane perdono il loro figlio sano o malato che portano nel pancione. Vi pare poco? E questo vale per l'Italia e per tutto il mondo. Non vi sembra un allarme che si doveva prendere sul serio? 1000 donne all'anno in lutto; e 1000 bambini morti prima di nascere. E questo non dipende da errori degli operatori, ma è un problema intrinseco alla procedura. Che però non si può criticare, perché è una procedura "politicamente corretta": la corsa alla ricerca dell'anomalia genetica, in particolare della sindrome Down: ormai routine quotidiana.

Dunque ci sono epidemie di serie A – quelle che fanno vendere i giornali - e quelle di serie B –di cui è vietato parlare –. Strano modo di trattare i fenomeni sanitari sui giornali e in televisione. D'altronde, tra il rischiare di toccare l'intoccabile e far pressione sulle paure della gente, amplificandole e creandone ogni anno una, evidentemente i massmedia finiscono col preferire la seconda soluzione. Scarso coraggio o ordine superiore imposto da una cultura che vuole renderci tutti impauriti, impegnati tutta la vita, 24 ore su 24 solo a cercare strade e stradine per fuggire da ogni rischio e da ogni responsabilità?

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Se la tutela degli indifesi diventa ansia di controllo, June 5th, 2011, di Carlo Bellieni, http://carlobellieni.com/


 

Ragazze sconsigliate da andare a scuola con gonna corta o pantaloni aderenti, per evitare di invogliare i pedofili nelle loro aberrazioni. Avviene a Glasgow, dove i genitori si sono visti recapitare una sollecitazione in questo senso dalla scuola; ma davvero è "colpa" delle vittime se dei pazzi usano violenza? C'è da riflettere, perché alla base della violenza pedofila c'è da una parte la pazzia, ma dall'altra c'è l'idea diffusa di vedere i bambini come oggetti, idea diffusa nella società postmoderna, dove il figlio "si sceglie", si "decide", si vuole "perfetto"; e si fa nascere solo se è conforme ai desideri dei genitori, e dunque della società. Sarebbe bene intervenire su questa idea oggettificante dell'infanzia, piuttosto che su qualche gonnellino.


 

Anche perché i bambini oggi sono sempre più vissuti come appendici dei genitori o della scuola e sono sempre più inetti, perché non autorizzati ad esprimersi. Questo ci riporta ad una recente mutazione genetica italiana: ai bambini è semplicemente vietato andare in giro da soli: la scuola non permette che i piccoli escano e vadano a casa da soli nonostante vi possa essere un'autorizzazione scritta dei genitori che lo permettono, come recentementeaccaduto in Trentino e in altre parti del Paese. Qui si mischia la giusta cautela con l'iperprotettività, l'ansia di controllo e infine la scarsa capacità di da


 

re fiducia in primis ai bambini, e poi al nostro prossimo. Perché è vero che in giro ci sono gli orchi, ma c'è anche brava gente. Ma se cidipingono in TV solo l'orrore, chi la vede più la gente per bene?


 

Insomma: in buona fede si diffonde il panico e arriva un solo segnale: diffidate di tutto e di tutti. E nessuno si stupisce. Perché è ormai normale pensare che "fuori" ci sia qualcuno pronto a fare del male. E c'è, certo; ma c'è anche la capacità di difendersi, e soprattutto non è la normalità della gente, e non si può impostare la vita pensando solo a difendersi, a creare muri, congegni antiincendio, antifurto, antiladri.


 

Ma da dove viene quest'ansia? Probabilmente dai fatti di cronaca, e in particolare da una cronaca che non sa parlare delle diecimila cose belle che accadono, ma moltiplica ed espande solo quelle brutte: tsunami, pedofili, suicidi. Ma probabilmente anche dal fatto che davvero pensiamo da "monadi", cioè ci sentiamo tutti in antagonismo, in competizione, legati alla balla secondo cui "la mia libertà finisce dove inizia la tua", che ci disegna come persone impaurite e capaci solo di vedere l'altro come un rivale e non pensiamo che le nostre libertà possano non solo collaborare, ma anche coincidere.


 

Questo sguardo in primo luogo fa vendere i giornali, e per questo TV e TG ne sono pieni; in secondo luogo è proprio quello che passiamo ai nostri figli, che restano diffidenti, incapaci di coalizzarsi, di ricercare di fare gruppo e comunità. Fine dell'associazionismo e della parola "solidarietà". Tutti a vivere ognuno col proprio spauracchio: pedofili per i bambini, stupratori per le donne, e poi tsunami e catastrofi per tutti. Nessuno vuole buttare i bambini allo sbaraglio, ma siamo sicuri che questo "non voler far correre rischi ai bambini" non sia più una paura nostra, una nostra ansia verso la libertà che ci spaventa, verso l'altro che non comprendiamo più, che una reale tutela? Non ci sono più bambini nelle strade, coprifuoco totale: frutto di quattro delinquenti pedofili o della nostra insicurezza e ansia di controllo?


 


 

NANOTECNOLOGIE/ Benvenuti nel migliore dei nanomondi possibili di Mario Gargantini - lunedì 6 giugno 2011 – il sussidiario.net


 

«Un giorno – bello o brutto non si sa – ci sveglieremo e troveremo la nostra vita quotidiana intessuta di nanotecnologie, ma a quel punto ogni effetto di sorpresa sarà svanito, poiché ciò potrà avvenire solo quando le tecnologie avranno abbandonato ormai da tempo il nido protettivo dei laboratori e delle riviste scientifiche riservate agli specialisti». È lontano o vicino quel giorno? Se lo chiede, e offre molti elementi per rispondere, Federico Neresini nel recente volume "Il nano-mondo che verrà – Verso la società nanotecnologia" (Il Mulino).

Un testo singolare, che riesce a mixare in modo piacevole la narrazione delle vicende storiche che hanno segnato l'emergere e l'affermarsi di queste nuove tecnologie, con l'analisi sociologica e la documentazione dei comportamenti dei diversi attori presenti sullo scenario: scienziati, imprese, istituzioni, comunicatori e pubblico. Un saggio interessante anche perché non solo ci aiuta a inquadrare il presente e il futuro delle nanotecnologie ma perché le riconosce come paradigma ideale per capire cosa significhi oggi "innovazione" e come si sviluppino, più in generale, le complesse relazioni tra tecnoscienza e società, superando le contrapposizioni che le vedono, alternativamente, subordinate l'una all'altra: «L'innovazione avanza insieme al cambiamento socio-tecnologico: non solo l'oggetto tecnologico evolve e si sviluppa, ma si trasforma anche il quadro di riferimento necessario alla sua interpretazione e al suo utilizzo che viene condiviso e stabilizzato all'interno del contesto sociale entro cui tale oggetto si afferma. Società e tecnoscienza si modellano reciprocamente, imponendoci di superare tanto il determinismo tecnologico quanto quello sociale per la comprensione dell'innovazione».

Poter monitorare un'innovazione tecnologica nel corso della sua infanzia è un'occasione speciale anche per studiare le reazioni del pubblico alla novità e come queste, a loro volta, incidano sul percorso evolutivo della tecnologia. Un fattore determinante di questa reciproca influenza è il mondo della comunicazione, anche se – avverte Neresini – non c'è «una regolare corrispondenza fra opinione pubblica e media, né tanto meno sarebbe appropriato considerare i secondi come valido indicatore della prima».

Sta di fatto che i riferimenti alle nanotecnologie nei media hanno subito in questi anni una accelerazione. Un'indagine riportata nel libro, che prende in considerazione gli articoli dei due principali quotidiani italiani negli ultimi dieci anni, registra un'impennata di citazioni dal 2002 in poi. È interessante tuttavia l'ulteriore analisi di "come" il termine nanotecnologie appare: in minima parte si tratta di articoli specificamente dedicati al tema; in parte vengono solo forniti breve elementi esplicativi; ma per la maggior parte (oltre il 50%) gli articoli esaminati contengono la parola "magica" nanotecnologia senza ulteriori spiegazioni.

Quindi nella comunicazione si è manifestato un effetto di anticipazione della parola rispetto alla reale presenza a livello tecnologico e industriale. Ma – si chiede Neresini – come reagisce il lettore in casi del genere? Dove prende gli elementi per una pur minima comprensione? Evidentemente vengono messi in moto processi interpretativi che utilizzano risorse già disponibili nell'immaginario collettivo. «Quando abbiamo a che fare con qualcosa di sconosciuto, abbiamo bisogno di farcene comunque e rapidamente un'idea, non importa quanto approssimativa, per ridurre così la potenziale minaccia che l'ignoto costituisce».

Da qui deriva anche il carattere di ambivalenza delle reazioni all'avanzata delle nanotecnologie: si alternano valutazioni positive che sottolineano le molteplici opportunità, con altre preoccupate per i potenziali rischi e le possibili minacce. Spesso in queste schermaglie gioca la semplicistica assonanza linguistica con le biotecnologie e con i periodici allarmi di epidemie (basti pensare al batterio che terrorizza l'Europa in questi giorni); oppure interviene la vaga intuizione che si stia spostando la tecnologia su scala atomica, con tutto quello che evoca la parola atomo.

C'è quindi un notevole lavoro da fare, sia da parte degli scienziati che dei comunicatori. Nella consapevolezza che «il modo in cui le nanotecnologie entreranno a far parte delle nostre vite sarà comunque molto diverso da come oggi lo pensiamo, ma non perché prevedere il futuro sia impossibile, quanto perché noi stessi saremo nel frattempo cambiati, individualmente e collettivamente». Considerando comunque, come fa l'autore rispondendo alla domanda iniziale, che «Le nanotecnologie sono già tra noi, sono già parte di quell'oggi entro cui stiamo costruendo il nostro futuro. Viviamo già in una società nanotecnologica».

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La convivenza e il matrimonio Di Francesco Agnoli - 05/06/2011 – da http://www.libertaepersona.org/


 

Il papa in Croazia ha spiegato che la convivenza non è, per i cattolici, accettabile. Vediamo perchè...


 

E' convinzione piuttosto diffusa che la convivenza, esclusiva o prima del matrimonio, sia una forma di amore più libera, utile e sincera. Tale ragionamento prescinde completamente dalla natura umana, e rivela una superficialità estrema di indagine psicologica.


 

Ogni uomo, infatti, ha bisogno di certezza e di stabilità, all'interno delle quali costruire i suoi rapporti affettivi e sociali. Il rapporto infatti si genera all'interno di una comunione e di una condivisione, ed è volto al loro approfondimento, non alla loro dissoluzione. Si costruisce per rafforzare e mantenere, non per abbandonare e distruggere ciò che si è costruito.


 

Affermare che la convivenza è utile all'amore, è come sostenere che si lavora più volentieri e più liberamente senza un contratto fisso, senza stabilità alcuna, con la possibilità di essere licenziati da un momento all'altro; è come ritenere che il non essere vincolati da nessuna legge a mantenere ed educare un figlio, è garanzia di un vero rapporto genitoriale e della felicità del figlio stesso.


 

In realtà affrontare una vita insieme, tra un uomo e una donna, partendo con l'idea che si tratta di una scelta a metà, non definitiva, temporanea, soggetta a revisioni e scadenze, pone colui che vive una simile esperienza in un atteggiamento già di per sé fallimentare: la scelta sarà meno ponderata, meno profonda, meno scrupolosa, minata alla base da un pensiero, più o meno esplicito: se va male, si cambia.


 

Forti di una scelta già in partenza debole, insicura, si decolla subito senza ali e con il freno tirato: "sto prendendo un impegno, ma solo in parte, la porta rimane aperta, le possibilità rimangono molte, faccio e non faccio… "


 

Che le cose stiano così è un fatto, confermato dalla cronaca e dalla storia: nell'epoca della convivenza e del divorzio facile i matrimoni e le unioni sono sempre più fragili, con conseguenze sovente drammatiche. Sono duemila, per fare solo un esempio, i padri separati che si tolgono la vita, ogni anno, nella UE, per la lontananza dai figli e dalle consorti.


 

Anche nel passato le cose stavano così. Nell'antica Roma il matrimonio era una cerimonia solenne, contrassegnata da una sorta di comunione fatta davanti ad un altare, su cui veniva offerto un pane di farro. Una donna, la pronuba, che era stata sposata una sola volta, univa le mani degli sposi, di fronte ai sacerdoti e a ben dieci testimoni, a dimostrazione della funzione anche sociale del matrimonio. Acconciatura ed abito della sposa erano estremamente particolari, e la cerimonia si concludeva con un corteo di fiaccole sino alla casa degli sposi. Tutto ciò serviva a rendere tangibile, visibile a tutti, l'importanza del gesto, e quindi più ponderata la decisione: il segno è in qualche modo il messaggio. Verso la fine dell'età repubblicana il matrimonio romano entra in crisi: è il preludio di una più vasta disgregazione sociale, generata dalla fragilità delle famiglie e dal conseguente decremento demografico, cause remote, entrambi, della graduale dissoluzione di Roma.


 

Il motivo? L'antico matrimonio - racconta uno storico- con la sua particolare cerimonia, "è sempre meno praticato perché difficilmente annullabile. Lo si rimpiazza con forme di matrimonio meno solenni", che possono essere sciolte con grande facilità: "mai i matrimoni sono stati così facilmente contratti e sciolti come in questo periodo. Ne consegue che il numero delle nascite va decrescendo….".


 

La storia insomma, si ripete: ricordo quand'ero ragazzo, un viaggio in Germania, e una delusione bruciante nel vedere che diverse coppie entravano in municipio, portando sotto il braccio una semplice borsa frigo, celebravano il matrimonio civile e uscivano, poco dopo, coppia dopo coppia... Capivo, pur confusamente, che di matrimoni di questo tipo un uomo, nella sua vita, può farne a decine: chiedono poco, in impegno, in tempo e denaro…Il gesto che li suggella è vuoto, banale come l'amore che lo genera: qualche soldo e qualche ora perché spesso si è deciso per un futuro già nei progetti, a scadenza…


 

E' la vita precaria di oggi, che qualcuno vuole rendere ancora più incerta: dopo l'introduzione del divorzio legale, nel 1974, si lotta ora per poter ottenere il divorzio veloce e il pacs trimestrale. Questo significa volere che il matrimonio scompaia, piano piano, sostituito da forme più o meno lasche di fugace convivenza…Occorre, per qualcuno, una società sempre più aperta, più fluida, più liquida, più inconsistente, in cui non ci sia nulla su cui poggiare. Una società sempre più di vecchi, soli, senza l'affetto dei figli, senza più sanità pubblica né pensioni, né senso…


 

Da: Chiesa, sesso e morale, Sugarco