Nella rassegna stampa di oggi:
- Crepaldi: I politici cattolici? Seguono il mondo, non la Chiesa di Andrea Tornielli, 07-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
- Pirandello e la fede - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - domenica 5 giugno 2011 - In una grande intervista del 1936, Pirandello dà conto della propria visione del mondo, giudicando il proprio teatro ed esplicitando la propria fede cristiana. Sipario sul senso religioso - Intervista a Luigi Pirandello di Giovanni Cavicchioli, «Termini», 1936; http://www.culturacattolica.it/
- Resa alla droga esito del libertarismo di Danilo Quinto, 06-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
- Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Da tre mesi siamo in guerra e tutti tacciono. Dove sono i paladini della pace? E Napolitano….. Da "Libero", 5 giugno2011
- Italiani depressi, ci vuole un abbraccio che salva di Angelo Busetto, 07-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
- Allarme cibi, due lezioni dal batterio «killer» di Fabio Spina, 07-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Crepaldi: I politici cattolici? Seguono il mondo, non la Chiesa di Andrea Tornielli, 07-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Una nuova generazione di politici cattolici «è difficile che si realizzi» se i cattolici continueranno a conformarsi «al mondo e ai suoi venti di opinione» invece che ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa. Lo sostiene in questa intervista il vescovo di Trieste Gianpaolo Crepaldi, autore del recente manuale Il cattolico in politica (Cantagalli), che critica l'uso di «slogan ecologisti» da parte di molte associzioni cristiane in vista del referendum sull'acqua e descrive come, a suo parere, dovrebbe essere la «casa comune» dei cattolici in politica a partire dai «principi non negoziabili», cioè la difesa della vita, della famiglia e della libertà di educazione.
Molte associazioni cattoliche hanno messo in guardia dalla privatizzazione dell'acqua. Come vede il voto al referendum?
Mi sembra si sia concesso troppo agli slogan ecologisti e non si sia affrontato il problema con i dovuti riferimenti alla dottrina sociale della Chiesa. Il referendum riguarda la gestione dell'acqua qui da noi, in Italia, non nel Corno d'Africa o in Mauritania. La gestione della rete idrica è cosa diversa dalla proprietà e dal controllo, e può essere affidata sia ad aziende pubbliche o semipubbliche sia a soggetti privati, a seconda delle situazioni e delle opportunità. I quesiti referendari sono stati caricati da parte cattolica di eccessive valenze ideologiche o addirittura salvifiche con contrapposizioni inaccettabili. Lo stesso concetto di "privatizzazione" dell'acqua è fuorviante. Questo tipo di approccio superficiale – si pensi alla strumentalizzazione di San Francesco cui abbiamo purtroppo assistito – denota una incertezza e povertà culturale nell'affrontare i problemi.
Ai ballottaggi i «principi non negoziabili» non sembrano aver pesato molto nel voto cattolico, come si è visto a Milano. Perché?
I richiami ad una coerenza personale con alcuni valori umani fondamentali non hanno un significato elettoralistico. Per i pastori sono un dovere. Bisogna però riconoscere che su questo c'è ancora molto da fare. La penetrazione nella base dei nostri fedeli delle indicazioni del Papa sui "principi non negoziabili" non è ancora avvenuta. Prevale una notevole confusione che, in occasione del voto, si traduce in disorientamento. Ma la diaspora, in questi casi, è frutto di una precedente diaspora culturale. Alle recenti amministrative non è stato sufficientemente chiarito come i principi non negoziabili siano oggi di fondamentale importanza anche negli enti locali.
Secondo lei il caso Ruby quanto ha influito nel recente voto amministrativo?
Non saprei rispondere. Noto che oggi la morale in politica è strattonata di qua e di là, usata, strumentalizzata. E non mi riferisco solo alla morale pubblica e alla morale privata. Chi ha fatto di tutto per dare legittimità ad ogni comportamento morale diventa poi un censore; catene di giornali che insieme contano più di un partito, anzi per molti versi oggi sono l'unico vero partito organizzato, impalcano campagne di moralizzazione pubblica. Oggi il mondo politico è pieno di moralizzatori: è un segno non da poco della grave crisi della politica. L'elettore medio si fa guidare da mille valutazioni: dal sentito dire, dalle impressioni, dalle promesse, dalla simpatia, dagli slogans, dalle barzellette… si crea così un'aria, una tendenza, un flusso epidermico di sensazioni che determinano anche l'esito elettorale. Gli elettori, per fortuna, non sono tutti politologi, ed è comprensibile che si creino queste tendenze collettive e controtendenze. Il fiuto politico dovrebbe sintonizzarsi con tutto ciò, prevenire, intervenire al momento giusto per correggere. In politica non bisogna arrivare troppo tardi, a tempo scaduto. Per i cattolici, si ritorna al tema della formazione.
La Chiesa chiede una nuova generazione di politici cattolici. Non crede però che il protagonismo delle gerarchie abbia indebolito la presenza pubblica dei cattolici?
È anche vero il contrario. I cattolici laici sono spesso afoni. Non riescono a trovare punti significativi di raccordo e di incisività. Soprattutto non c'è un luogo unitario in cui stabilire le priorità e i criteri. Si finisce per fare l'enciclopedia dei problemi e per porre tutto sullo stesso piano: il sì all'acqua è visto come un dovere imprescindibile e intanto il trentesimo anniversario del referendum sull'aborto è passato quasi inosservato. Molteplici tentativi di raccordo nel cosiddetto "prepolitico" non hanno prodotto granché. La conseguenza è che i cattolici impegnati sono spesso vittime delle ideologie e pensano di esprimere una posizione cattolica quando invece si adeguano al mondo e ai suoi venti di opinione.
La «nuova generazione» di politici cattolici rimarrà dunque un sogno?
È difficile che si realizzi, se la riflessione culturale rimane così frammentata. Basta prendere alcuni settimanali diocesani e leggere gli editoriali dei direttori: rappresentano tutto l'arco politico. A volte mi domando: sono di più le cose su cui i laici cattolici sono in disaccordo o quelle su cui sono in accordo? Bisogna cominciare da qui.
I cattolici a disagio nell'attuale sistema ritroveranno una casa comune?
Serve una maggiore omogeneità di cultura politica ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, capace di individuare delle priorità: una condizione che oggi manca e si è fatto poco per promuoverla. Mentre si prepara il futuro, però, non si può essere qualunquisti: si dovrebbe stare dalla parte che garantisce la tenuta dei principi non negoziabili. Se si creerà qualcosa di nuovo, non potrà essere confuso sul tema dei valori di riferimento, non potrà rieditare un moderatismo neocorporativo che accontenta tutti, non potrà nascere sulle ambiguità, e dovrà essere coerente con i principi non negoziabili.
Oltre ai "valori non negoziabili" ci sono però anche le emergenze sociali, come ad esempio quella del lavoro…
Un impatto di disgregazione sociale non ce l'ha solo la disoccupazione o la precarietà lavorativa. Un ulteriore scivolamento sul terreno dell'uso degli embrioni umani, del suicidio assistito, del divorzio breve, del riconoscimento delle coppie omosessuali sarebbe disastroso per la tenuta morale e anche sociale complessiva della nostra nazione. Non mi sembra che questa emergenza sia molto presente nella consapevolezza dei cattolici, tanto solleciti invece per un problema di gestione dell'acqua.
Pirandello e la fede - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - domenica 5 giugno 2011 - In una grande intervista del 1936, Pirandello dà conto della propria visione del mondo, giudicando il proprio teatro ed esplicitando la propria fede cristiana. Sipario sul senso religioso - Intervista a Luigi Pirandello di Giovanni Cavicchioli, «Termini», 1936; http://www.culturacattolica.it/
Lo vado a trovare all'albergo. Mattiniero, già vestito, pronto per andare alla prova: mi ha dato un appuntamento che scombussola un po' le abitudini: sveglia, caffè anticipato, piani serali come per una partenza di buon mattino: «si gira».
Eccolo davanti a me, il Pirandello vivo, quello che scappa ai suoi imbalsamatori, che non gliela perdonano. Ecco la sua voce acre e fredda, da diagnostico, da gran medico chiamato al nostro capezzale di sedentari, malati di tutte le malattie del sedentarismo. Eppure, nei toni più bassi, specialmente quando parla abbassando la voce, per entrare nel denso dell'argomento (come nel mondo fisico si abbassa la testa per entrare da una porta bassa) la voce si rivela fredda, incisiva, a lama di coltello proprio per questa anatomia della nostra vita psichica, per recidere tumori e tessuti necrotizzati: una volontà religiosa, inflessibilmente religiosa e morale presiede a queste anatomie, a queste operazioni d'alta chirurgia.
- Teatro serio, il mio - dice Pirandello - vuole tutta la partecipazione dell'entità morale uomo. Non è un teatro comodo.
- Sì - confermo - ma capisco che il borghese, non più protetto dalla «beata infanzia», e non ancora adulto, non ancora cresciuto al «problema» ne rifugga temendo per l'incolumità personale. Il pericolo è la dissociazione della personalità quando manchi un forte centro unificatore.
- Teatro difficile, diciamo, teatro pericoloso- aggiunge Pirandello. - Nietzsche diceva che i Greci alzavano bianche statue contro il nero abisso, per nasconderlo. Sono finiti quei tempi. Io le scrollo, invece, per rivelarlo.
«In questo nulla spero di trovare il tutto» dice Faust avventurandosi alla regione inferna delle madri. Per poter scendere in fondo all'abisso ci vuole almeno la speranza di trovarci Elena... Bisogna abituarsi a vedere nel buio.
- Certo è un teatro assolutamente antiborghese, e nello stesso tempo il più adatto al borghese per venirci a fare i suoi esercizi spirituali.
- La difficoltà - risponde Pirandello - è tutta nell'esecuzione che dovrebbe essere pari alle difficoltà proposte. È la tragedia dell'anima moderna. Bisogna farla discendere dal palcoscenico fra questo pubblico. L'esecuzione dovrebbe avere appunto un carattere religioso: si tratta di un «mistero» moderno. Se l'esecuzione fosse come la voglio, come la vedo, il pubblico, sono certo, seguirebbe, entrerebbe nel mio giro.
- In tempi d'azione e di rivoluzione questo teatro è teatro di rivoluzione e di esecuzioni capitali. In questo senso lo considero teatro del mio tempo. La distruzione esige una ricostruzione. Fa tabula rasa perché appaiano nuovi valori. - Esso chiama a raccolta perciò, le più profonde forze vitali dell'uomo.
- Ma in che senso il suo teatro risponde alle esigenze dell'arte moderna? E, anzitutto, a suo parere, quali sono le necessità della nostra epoca, in fatto d'arte?
- Non ci sono programmi, non ci possono, non ci devono essere preformazioni e imbrigliamenti. L'arte, libera vita dello spirito, deve essere assolutamente libera, per manifestare se stessa. Tutto il mio teatro riconosce solo una necessità, proprio nel senso greco, una duplice contraddittoria necessità primordiale della vita: essa deve consistere e nello stesso tempo, fruire. La vita ha pur da consistere in qualche cosa se vuole essere afferrata. Per consistere le occorre una forma, deve darsi una forma. D'altra parte questa forma è la sua morte perché l'arresta, I'imprigiona, le toglie il divenire. Il problema è questo, per la vita: non restar vittima della forma. E' qui tutto il tragico dissidio della storia della libertà. Nietzsche, Weininger, Michelstädter vollero far coincidere assolutamente a ogni istante, forma e sostanza, e furono spezzati e travolti.
- Questo dissidio era anche alla base della vita spirituale greca: Parmenide, filosofo dell'ente immobile, dell'Uno: Eraclito, il proclamatore della trasformazione, della instabilità, dell'eterno fluire. In lei, forse per le profonde radici della razza, riappaiono le due esigenze, ma si unificano e prendono coscienza di sé come antagoniste. Quale soluzione pone lei al conflitto?
- Questo: non lasciar soffocare dalla forma la vita. Esiste in noi un punto fondamentale, un nucleo di sostanza vitale che non può essere impunemente chiuso e soffocato. Nei grandi momenti della vita lo sentiamo in pericolo e allora lo difendiamo.
- Il Lazaro - domando - vuole dare una risposta in questo senso?
- Sì. Nel Lazaro do la risposta più netta al dissidio fondamentale, nel mio teatro, in quanto fatto religioso e sociale.
Se all'uomo non libero togliete la forma, in quanto legame spirituale, subito egli ricasca fra le bestie, e il primo atto della sua così detta libertà è una fucilata contro un altro uomo, contro l'Adamo nuovo che vive in pace con la sua Eva. Il figlio allora si sacrifica, rientra nell'ordine, indossa ancora la veste sacerdotale per coloro a cui è necessaria. La sua fede razionale conduceva alla rovina, e non era che forma essa pure. Cristo è carità, amore. Solo dall'amore che comprende, e sa tenere il giusto mezzo fra ordine e anarchia, fra forma e vita, è risolto il conflitto. Sono anche lieto che nessuna autorità religiosa abbia trovato da condannare. Della mia opera nulla è all'indice. La Civiltà Cattolica ne ha parlato a fondo, in tre articoli che formano addirittura un volume, e conviene della sua perfetta ortodossia. Voglio dire che uno degli aspetti della mia opera è questo: perfetta ortodossia in quanto posizione di problemi. E tali problemi non comportano che una soluzione cristiana.
Resa alla droga esito del libertarismo di Danilo Quinto, 06-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Si presta a molte considerazioni la gravissima decisione presa dal "Global Commission on Drug Policy" delle Nazioni Unite, che in un rapporto diffuso a New York l'altro giorno sancisce il fallimento della "guerra alla droga".
La prima considerazione riguarda gli estensori del rapporto. Sono i rappresentanti più prestigiosi del mondo politico, intellettuale ed economico mondiale. Ebbene, a parte la banalità delle cifre d'incremento del consumo delle sostanze stupefacenti, conosciute da tutti ormai da anni, neanche una parola nel rapporto è dedicata a quello che molti di loro stessi hanno concorso a produrre. Perché incapaci di proporre e governare soluzioni coerenti ad una situazione che da decenni domina le economie mondiali, devasta interi Paesi e governa la vita di una persona su duecento nel pianeta.
Non basta dire, abbiamo fallito. Occorrerebbe dire: ci assumiamo le responsabilità del fallimento, se di questo si trattasse e quindi ci dimettiamo dalle nostre responsabilità, lasciando che altri provino ad occuparsene. Invece, coloro che sanciscono il loro fallimento, la loro sconfitta, si candidano a governare un nuovo approccio, propongono una politica nuova ed invitano l'establishment mondiale a convertirsi alla legalizzazione, promuovendo una raccolta di firme a livello mondiale sul loro documento, che orienti le opinioni pubbliche e indirizzi le scelte dei Governi.
La seconda considerazione riguarda direttamente il sistema delle Nazioni Unite. Il documento ha il benestare dell'ONU e questo non meraviglia. Su tutte le tematiche che sono al centro della vita degli individui – l'ambiente o l'identità di genere, il sottosviluppo e la fame o la salute riproduttiva e le teorie sulla crescita della popolazione – quest'organizzazione produce documenti che sono il frutto dei suoi apparati burocratici, inclini a conservare se stessi ed il loro potere più che a prospettare soluzioni sui singoli problemi che possano incidere sul serio sul bene comune.
La questione droga è esemplare da questo punto di vista. Le Nazioni Unite hanno un Ufficio che si occupa del fenomeno. Si chiama UNODC. L'acronimo vale per Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine. Conta circa 500 funzionari distribuiti tra Vienna, sede centrale e gli uffici sul campo, che costituiscono un network di 21 sedi regionali e nazionali, cui si affiancano due uffici di raccordo, rispettivamente a New York e Bruxelles. Un grande apparato, che produce, ad esempio, il rapporto del 2009, dove si sosteneva la priorità della "tutela della salute dei tossicodipendenti", invitando ad allentare la repressione sul consumo. Si introducevano, quindi, argomenti a favore della depenalizzazione. Gli stessi che portano ora gli estensori del rapporto della "Global Commission on Drug Policy" a considerare il problema solo dal punto di vista sanitario.
Quest'aspetto esiste certamente, ma è davvero quello prioritario?
Qualche anno fa, il Vescovo della diocesi di Barahona, nella Repubblica Dominicana, denunciò che nella regione di Enriquello – dove risiedono 350mila persone, prive di acqua potabile e di servizi igienici - la gente, costretta dalla mancanza di lavoro, vive sulle spiagge in attesa di raccogliere i pacchetti di droga per farne commercio. La polizia peruviana diffuse tempo fa un video che mostrava immagini dove bande di narcotrafficanti sfruttavano il lavoro minorile di bambini (60mila, secondo le stime), nella "Valle del Rio Apurinac" e "Ene", entrambe nella selva peruviana, dove si concentra la produzione di foglia di coca e dove si raggiungono soglie di povertà vicine al 92%. L'Unicef confermò questa notizia, denunciando che i bambini non solo venivano sfruttati, ma erano anche costretti ad assumere sostanze tossiche capaci di compromettere irreversibilmente la loro salute.
In Africa – divenuta negli ultimi anni, grazie alla responsabilità del ceto dirigente occidentale, la piattaforma mondiale del narcotraffico – emblematico è il caso della Nigeria, il maggiore "porto franco" del continente per il traffico di droga, dove l'intreccio petrolio, armi e droga genera una violenza micidiale delle bande criminali, che non solo assaltano le installazioni petrolifere dell'area, ma imperversano anche con violenza inaudita, da milizie armate, nei confronti della popolazione civile ed anche dei commissariati di polizia. Si disputano il controllo delle attività illecite (estorsioni, ricatti, furti di petrolio e rapimenti a scopo d'estorsione dei lavoratori), alle quali ora si è aggiunto il traffico di droga, che genera, secondo gli inquirenti, le violenze più atroci.
Si potrebbe continuare. Parlare della Colombia o del Messico, ad esempio, dove le migliaia di morti all'anno legate al traffico di stupefacenti, inquinano la vita sociale in modo terrificante o parlare dell'Europa, un intero continente intossicato, dove la droga – insieme all'alcol – costituisce il "rifugio" privilegiato per le giovani generazioni.
Le organizzazioni criminali, in questi anni, non hanno fatto altro che il loro mestiere: hanno occupato il vuoto prodotto dalla politica, incapace di proporre, nel Sud come nel Nord del mondo, modelli di sviluppo sociale e stili di vita alternativi a quelli legati alla "proposta di quelle culture – come ha affermato Benedetto XVI nell'Angelus del 16 dicembre 2007 - che pongono la felicità individuale al posto di Dio".
Queste culture - e qui siamo all'ultima considerazione – hanno avuto la loro genesi storica nel movimento libertario del '68, che ha assecondato e cavalcato i desideri, le convenienze, gli istinti della società di quegli anni, inquinando fino ad oggi la realtà in cui viviamo. Il loro simbolo fu proprio lo "spinello libero", dove per "libertà" s'intende il dominio dell'utilitarismo, dell'interesse e dell'egoismo individuale. Una libertà dove tutto, ma proprio tutto, è permesso: distruggere, con il divorzio, l'istituto familiare; eliminare un "grumo di cellule" e risolvere così il tema della vita in una questione tecnica; eludere il problema della morte, garantendosi la "via d'uscita" dell'eutanasia.
Non ci sorprende che un panel così prestigioso come quello dell'organizzazione delle Nazioni Unite proponga ora la legalizzazione delle sostanze stupefacenti. Il relativismo ha la sua forza insinuante e pervasiva. Spesso non lo riconosciamo e lasciamo che travolga la nostra coscienza e la nostra identità e dignità di esseri umani.
Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Da tre mesi siamo in guerra e tutti tacciono. Dove sono i paladini della pace? E Napolitano…..
Da "Libero", 5 giugno2011
C'è una guerra in corso da tre mesi, i bombardieri della Nato tuonano giorno e notte, ma dove sono i giornalisti di denuncia, i Santoro, i Lerner, i Floris e dove sono l'Annunziata e la D'Amico?
Dov'è la schiena diritta del giornalismo sedicente libero, quello che chiama "servi" tutti gli altri? Sarei curioso anche di sentire la saggia voce di spiriti liberali come Paolo Mieli o Ernesto Galli della Loggia. Invece sono diventati tutti muti. A cosa si deve questo improvviso silenzio collettivo?
E' vero che il 26 aprile scorso si poteva leggere sul "Corriere della sera" che "il Colle sostiene i bombardamenti" con l'opposizione di sinistra tutta allineata dietro Napolitano (il governo già si era dovuto adeguare).
E che anche mercoledì scorso, al vicepresidente americano Biden, Napolitano ha ripetuto che l'Italia è "fianco a fianco" con gli Usa nella vicenda libica.
Ed è vero che il compagno-presidente con tale entusiastica adesione ai bombardamenti "umanitari" è diventato il riferimento privilegiato della Casa Bianca, relegando di fatto l'indebolito e incerto Berlusconi (che ha dovuto seguirlo nell'impresa) a un ruolo di secondo piano.
Ma la stampa avrebbe almeno il dovere di raccontare ciò che sta accadendo. Invece niente. Un autobavaglio così totale non si era mai visto. Eppure ogni notte i bombardieri Nato colpiscono duro.
Il Vicario apostolico di Tripoli, monsignor Giovanni Martinelli, implora instancabilmente di smetterla con le bombe. Ha dichiarato ad Asianews:
"La Nato ha intensificato i bombardamenti e continua a fare vittime. I missili stanno cadendo ovunque e purtroppo non colpiscono solo zone militari, ma anche civili. La gente a Tripoli soffre, anche se nessuno ne parla".
Nell'ultima settimana il vescovo ha denunziato il bombardamento di un ospedale, di un quartiere popolare e di una chiesa cristiana copta.
Ma non c'è traccia di tutto questo sui giornali e in tv. Nessuno fa una piega. Nessuno s'indigna. Nessun programma tv, nessun editoriale.
Non si vede in giro neanche una bandiera arcobaleno alle finestre. E dire che solo qualche anno fa avevano riempito l'Italia. Ma a quel tempo si trattava di protestare contro Bush, mentre oggi a bombardare è il Premio nobel per la pace nonché democratico Obama.
Dunque oggi niente manifestazioni e niente marce Perugia-Assisi. Tutte le anime belle dormono un sonno profondo.
All'inizio di tutto, in marzo, della guerra parlò Lerner con "L'Infedele" e mi capitò di assistere incredulo al memorabile elogio della Francia dei bombardieri: ci fu addirittura chi – col plauso di Gad – ebbe la faccia tosta di affermare che il governo francese in questo modo testimoniava la sua imperitura volontà di affermare dovunque i valori umanitari della rivoluzione francese, di cui invece al governo italiano non importava niente.
Curioso paradosso perché i francesi affermavano quei presunti ideali umanitari bombardando i libici, mentre le autorità italiane – accusate di insensibilità perché ancora restie a bombardare – si stavano prodigando a soccorrere migliaia di rifugiati arrivati disperatamente a Lampedusa anche per fuggire dalla guerra "umanitaria" dei francesi.
Dunque dal buon progressista le bombe francesi furono giudicate umanitarie, mentre i soccorsi italiani erano disumanitari. Che grande esempio di giornalismo.
Tutti sanno che in realtà gli ideali umanitari non c'entrano niente con la guerra, tanto è vero che nessuno si sogna di andare a bombardare Damasco dove il regime compie quasi ogni giorno stragi contro i manifestanti.
Tanto meno si pensa di andare a bombardare Pechino perché il regime cinese stroncò nel sangue le manifestazioni di piazza Tien an men o perché continua a spedire nei lager gli oppositori.
A proposito, neanche Napolitano si sogna di prospettare spedizioni militari contro quei due paesi, che egli peraltro visitò nel 2010 dando la mano a quei despoti (provate a rileggervi anche i discorsi molti amichevoli fatti in quella sede).
Ma allora perché questa smania di francesi e inglesi (che hanno il colonialismo nella loro storia) e poi degli americani, di sostenere una sorta di colpo di stato interno alla nomenclatura libica e spedire bombardieri sulla Tripolitania?
Secondo Angelo del Boca, storico ed esperto delle vicende libiche, "le vere ragioni di questa guerra sono il controllo dei pozzi di petrolio e i 200 miliardi di dollari dello Stato libico depositati nelle banche straniere".
Non so dire se queste sono "le vere ragioni", ma di sicuro non si può continuare a gabellarci la favoletta dell'intervento umanitario. Sarebbe il caso che la stampa raccontasse quello che sta accadendo e scavasse alla ricerca delle "vere ragioni" della guerra.
Invece da settimane non si legge un solo articolo sulla tragedia della Libia. E quando ne appare qualcuno è peggio che mai. E' il caso del reportage da Tripoli pubblicato ieri a tutta pagina sul "Corriere della sera" a firma Lorenzo Cremonesi: spiace dirlo, ma sembrava quasi un inno ai bombardieri.
Si riportavano queste testuali dichiarazioni (rigorosamente anonime): "Brava Nato. Continui così".
Possibile che l'inviato del Corriere sia riuscito a pescare proprio i pochi – guarda caso anonimi – che sono felici di venire bombardati ogni giorno e anzi chiedono di essere bombardati più intensamente?
Chissà perché non ha parlato con monsignor Martinelli e chissà perché non è andato a vedere gli effetti di quei bombardamenti, ascoltando le vittime. In tv del resto la guerra proprio non esiste.
C'è un colossale problema di informazione sulla vicenda libica. Gli Usa, i francesi e gli inglesi, con le autorità militari della Nato ormai fanno mera propaganda. Dice Del Boca: "Gli alti costi dell'operazione contro Gheddafi hanno trasformato un conflitto lampo in una guerra di fandonie fatta dai media".
Mi ha colpito quanto ha scritto su Asianews padre Piero Gheddo, il decano dei missionari italiani, un uomo di Dio per nulla incline al pacifismo ideologico e al settarismo di sinistra, basti dire che fu tra i primi, negli anni Settanta, a denunciare i crimini dei Khmer rossi di Pol Pot in Cambogia, svergognando certi media e certa sinistra italiana ancora intrisa di antiamericanismo.
Dunque l'altroieri padre Gheddo ha scritto:
"Le anomalie di questa guerra di Libia sono infinite e dimostrano che anche in Occidente soffriamo di una disinformazione colossale.
L'intervento umanitario iniziale sta assumendo i contorni di un crimine di stato. L'Onu aveva giustificato la 'No fly zone' per impedire che gli aerei libici bombardassero i ribelli della Cirenaica.
Ma in pochi giorni le forze aeree della Libia vennero facilmente azzerate. Poi si è passati a bombardare i mezzi militari di terra che avanzavano verso Bengasi e si continua, da più di due mesi, a bombardare le città della Cirenaica, non per proteggere il popolo libico da Gheddafi, ma per la 'caccia all'uomo' Gheddafi, il che sta scavando un abisso di odio e di vendetta fra le due parti del paese, Tripolitania e Cirenaica, che erano e sono pro o contro il raìs".
Padre Gheddo ha poi citato il generale Anders Fogh Rasmussen segretario generale della Nato che "ha definito i bombardamenti come parte dell'intervento umanitario per proteggere il popolo libico! Ci vuole una bella faccia tosta, a mentire in modo così smaccato!", ha tuonato il missionario.
"Chi mai può credere che i quotidiani bombardamenti su Tripoli sono fatti per difendere il popolo libico? Ecco perché stampa e Tv occidentali non parlano più della guerra in Libia. Non sanno più come giustificare una così evidente violazione dei diritti umani".
L'assurdo poi è che la trattativa per far uscire di scena Gheddafi in modo incruento sarebbe stata possibile, ma proprio gli "umanitari" l'hanno uccisa sul nascere. Per quanto deve continuare questa guerra? E il nostro silenzio?
Antonio Socci
Da "Libero", 5 giugno2011
QUALCUNO DICA A NAPOLITANO CHE DEVE ESSERE LUI A FARE AUTOCRITICA
Proprio il giorno in cui è uscito questo articolo il presidente Napolitano è intervenuto per deprecare l'indifferenza generale per il naufragio di un barcone di profughi davanti alle coste del Nordafrica.
Un mio lettore oggi mi ha scritto:
Il presidente Napolitano ci invita a non assuefarci alle notizie di annegamenti dei rifugiati provenienti dalla Libia.
Qualcuno dovrebbe informare il signor presidente che quei poveretti che scappano con grande rischio dalla Libia lo fanno perché qualcuno (Napolitano in testa) ha deciso di bombardare la Libia e sconvolgere la vita civile di quel paese che dava lavoro a oltre 1,5 milioni di lavoratori provenienti dall'Africa nera del sud.
Non posso che essere d'accordo con questo lettore. Aggiungo che Napolitano dovrebbe fare il presidente della Repubblica come la Costituzione lo descrive, come un silenzioso notaio.
Oltretutto lui ha un passato politico assai ingombrante che dovrebbe sempre ricordare…
Sono altri che hanno i titoli per fare sermoni morali e per parlare alle coscienze.
AS
Italiani depressi, ci vuole un abbraccio che salva di Angelo Busetto, 07-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Il mondo alla rovescia. Ho appena letto su un giornale locale che in una certa zona della spiaggia di Jesolo la nuova presenza dei nudi naturisti «renderà possibile un recupero ambientale di tutta quest'area ma anche etico». Vedi dove va a cacciarsi l'etica. Per questo si fa così tanta fatica a vederla in giro.
Cosa cerca la gente? Un rapporto del Censis nel dicembre dell'anno scorso denunciava negli italiani la crisi del desiderio: il desiderio si è rattrappito e vola basso. Tanto basso - incalza l'ultimo rapporto del Censis reso noto nei giorni scorsi - che si arriva a desiderare tutto. La trasgressione diventa regola. Violenza, compromesso, sessualità "disinibita" sembrano essere le strade maestre per l'affermazione di sé e la conquista della felicità. Così rileva anche il Censis, che descrive inoltre gli italiani come sempre più dipendenti da antidepressivi.
Dove portano queste strade? Nella mia piccola città di provincia, alle tante persone anziane che stazionano nei tavolini dei bar dalla mattina alla sera, si aggiungono per l'ora di pranzo e cena piccole folle di giovani o meno giovani con calici di vin bianco in mano. Lo spritz elimina lo stress? Per qualche minuto le facce appaiono sorridenti, ma è sempre più raro incontrare gente realmente contenta. Quando cammino in strada salutando a destra e a manca, gli occhi vanno a sbattere su persone dall'espressione svagata, rassegnata, abituata; già stanche di vivere e tristi, dalla mattina alla sera. A volte ci si trattiene per una domanda, un'informazione, un complimento. Per favore non chiedetemi: "Tutto bene?", l'espressione che sta ormai alla pari con il famigerato "piuttosto che".
Come è possibile dire che va tutto bene, al di là della salute evidentemente florida? Ho appena fatto un giro di malati in casa: fra gente oppressa dalla pesantezza della vecchiaia ho visto persone serene e affidate. Guardando a destra e a manca case e finestre, rammento chi abita e vedo volti e drammi, sentimenti e domande; a volte mi si scopre un vermicaio di problemi; altre volte mi si svela un piccolo paradiso.
Che cosa fa la differenza? Conosco persone malate di cancro, appesantite dal fardello delle terapie, eppure liete. Quando qualcuno mi consegna i suoi giorni del presente, quelli del passato, e magari anche del futuro, non ho da offrire alcuna soluzione al problema, ma posso indicare una Presenza che accompagna. Un rosario, una preghiera litanica, un atto di fiducia. I problemi della vita o si affidano, o si tenta di schiacciarli sotto i piedi, o forse di cacciarli dalla finestra. I più giovani e addestrati si inventano una seconda vita, una vita parallela dove provano a darsi un'altra identità, più disponibile al sogno della felicità.
Si può fingersi felici perfino davanti a se stessi. Ci si impegna a diventare cinici e fatalisti; si vendono filosofie orientali pronte all'uso. Ci si fa scudo con la pilloletta che toglie l'ansia. Ma non c'è altra via alla pace del cuore se non la fiducia in qualcuno che ci sia padre, fino a mostrarci il Padre che sta nei cieli e il Figlio che cammina con noi sulla terra e lo Spirito che abita il profondo dell'anima. Questo è il contenuto dell'amicizia cristiana, dove non ci si porta l'un l'altro, ma ci si mette insieme per farsi portare. Alla fine sperimentiamo di essere così deboli, da accorgerci che solo la misericordia salva.
Nemmeno l'impossibile rettitudine o una coerenza piena di pretese. Ma un abbraccio che perdona e, perdonando, fa guardare la vita come possibilità nuova, compito nuovamente assegnato, un passo più deciso verso il Padre. Ricordate il dipinto del bambino che si proietta a camminare lanciandosi incontro al padre che lo attende in fondo al giardino? Diciamolo anche alle persone descritte nel rapporto del Censis: solo un abbraccio ci salva.
Allarme cibi, due lezioni dal batterio «killer» di Fabio Spina, 07-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
La ricerca del posto da dove è partita l'infezione in Germania continua, al momento si contano 23 vittime e oltre 2mila contagi in Europa. Le certezze al momento sono poche, non si sa ancora chi è il "colpevole", però possiamo comunque tentare di sviluppare due riflessioni.
La prima riguarda il ripetersi di allarmi dovuti alle nuove pandemie. Negli ultimi anni se ne sono riprodotte molte: l'influenza aviaria, la suina, l'H1N1, le uova alla diossina. Per la Sars si parlò di migliaia di morti ed invece furono 85, solo per l'Italia si prevedeva che avrebbe colpito 16 milioni di persone con 15mila vittime. Allora le previsioni erano accurate, le conferenze stampa si ripetevano continuamente, l'informazione copiosa. Si sapeva da dove l'infezione partiva e come si diffondeva. Tutto nasceva sempre da paesi lontani, dall'agricoltura arretrata dove l'uomo conviveva con le bestie. Le simulazioni matematiche portarono molti ad acquistare - meglio: accaparrarsi - vaccini per patogeni ancora da isolare. Da quanto accaduto sembra che siamo in grado di prevedere infezioni partite da lontano e come queste si sviluppano per lunghi periodi, mentre paradossalmente pur essendosi sviluppata qui vicino, non si riesce a comprendere da dove sia partita l'ultima epidemia e come si diffonderà a breve scadenza. Sembra che in quest'ultimo caso si brancoli nel buio. Come per la modellistica dell'atmosfera, sembra stranamente che sia più precisa quando deve prevedere lunghe scadenze rispetto quelle ravvicinate.
La seconda riflessione riguarda il modo in cui l'infezione si è sviluppata. All'inizio si sono incolpati i cetrioli spagnoli avendo, così si disse, rintracciato "il batterio in una partita di cetrioli provenienti da due aziende di agricoltura biologica di Almeria e Malaga". Successivamente si è pensato che l'infezione fosse partita dai germogli di soia prodotti da una cooperativa di produzione biologica tedesca, che produce e distribuisce anche germogli e semi di altri ortaggi: tra cui quelli di fagiolo mungo, broccoli, piselli, ceci, ravanelli e lenticchie. Ora sembra che anche questa seconda azienda non sia colpevole anche se è stata fatta chiudere.
Ma perché si cerca sempre nelle produzioni biologiche? Sembra che in queste possano riprodursi quei "contatti" tra vegetali e scarti provenienti dalla produzione animale, come ad esempio il letame per la concimazione, che possono creare situazioni di potenziale rischio. Per questo è tassativo lavare la vedura. Insomma la nuova epidemia fa emergere che il rischio che sembrava legato solo ai paesi lontani, dove è presente un'agricoltura arretrata, può riprodursi anche nella progredita Europa e Germania, dove con le aziende biologiche di fatto si cerca di tornare al passato.
I prodotti biologici non sono meno pericolosi di quelli convenzionali, il Robert Koch Institut ha comunicato che ogni anno in Germania dalle 150mila alle 200mila persone si ammalano per contaminazioni "in natura" di generi alimentari. Il Die Welt in questi giorni ha scritto che i decessi sul suolo tedesco ogni anno sono centinaia, in UK sono in media 700 decessi per contaminazione biologica del cibo, negli USA 5mila.
Nella realtà non esiste e quindi non va fatta la divisione ideologica tra il biologico che è sempre e comunque meglio del prodotto da agricoltura tradizionale. Va deciso con "razionalità" caso per caso. Il prof. Silvio Garattini scrive che i prodotti biologici hanno una sola caratteristica accertata, quella di essere molto più costosi di quelli che rappresentano il frutto dell'agricoltura moderna. Secondo Garattini, la differenza tra i tipi di prodotti è anzitutto di base ideologica e si riassume nello slogan: "la natura è buona, la chimica è cattiva". In realtà in natura possiamo trovare i veleni, "fitofarmaci endogeni" e batteri micidiali, mentre con la chimica si producono i medicinali. La bontà o malvagità di un prodotto non dipende dall'origine artificiale o naturale del prodotto ma è una sua caratteristica intrinseca.
Appare quindi ingiustificato diffondere l'idea che i prodotti biologici abbiano qualità migliori e siano più sani. Ciò significa solo creare paure e frustrazioni nelle classi sociali a basso reddito che non possono accedere al miraggio dei prodotti biologici venduti come se fossero l'"elisir di lunga vita".