lunedì 3 novembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 01/11/2008 12:27 – VATICANO - Papa: La compagnia dei Santi ci aiuta a vincere ogni paura e tribolazione - Nella solennità di Tutti i santi, Benedetto XVI offre una piccola catechesi sulla santità, un “martirio” inteso come “amore per Cristo senza riserve”, che si esprime “nel dono totale di sé a Dio e ai fratelli”. Saluto ai giovani che hanno partecipato alla prima edizione della Corsa dei santi.
2) 02/11/2008 12:14 – VATICANO - Papa: Evangelizzare la realtà della morte, liberandola da superstizioni, sincretismi, mitologie - Nel giorno della commemorazione di tutti i defunti, Benedetto XVI chiede ai fedeli di “non essere tristi”, ma vivere la fede in Cristo morto e risorto. Nel mondo c’è un’attesa “insopprimibile” di vita eterna a cui Cristo risponde col suo amore. Oggi il papa visita le Grotte vaticane per pregare per tutti i papi defunti.
3) Come l'Europa vive la sfida finale tra Obama e McCain - Mario Mauro - lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net
4) Frequenze pericolose - Le quinte colonne del regime iraniano. Calunniano Israele, attaccano l’America e negano l’11 settembre. Sono gli intellettuali che spiegano l’Italia a Teheran. A modo loro.
5) Italia: si discute una proposta di legge in favore dell'omosessualismo - Anche in Italia chi cita San Paolo rischierà la galera?
6) Il Gesù del cardinale Martini non avrebbe mai scritto la "Humanae Vitae" - È un Gesù che lotta contro l'ingiustizia. E quindi anche contro le "bugie" e i "danni" dell'enciclica di Paolo VI che vietò la contraccezione artificiale. Così scrive l'ex arcivescovo di Milano nel suo ultimo libro. Intanto però, in un altro libro, due studiose tratteggiano diversamente lo spirito di quel documento - di Sandro Magister
7) Discorso del Papa alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze - “Approcci scientifici sull'evoluzione dell'universo e della vita”
8) LA FAMIGLIA LUOGO DI ESPERIENZA DELLA COMUNIONE – S.E. Card. Carlo Caffarra
9) Quando il poeta diventa teologo - di Inos Biffi – l’inno incompiuto per tutti i santi, l'Ognissanti, di Alessandro Manzoni - L’Osservatore Romano 3 novembre 2008
10) In aumento nel mondo il fenomeno dei trapianti illegali che coinvolge specialmente bambini - Il commercio degli organi - una moderna schiavitù - di Danilo Quinto – L’Osservatore Romano, 3 novembre 2008
11) 03/11/2008 10:02 - VATICANO – ISLAM - Cristiani e musulmani: riprende il dialogo grazie al Papa - di Samir Khalil Samir - Per due giorni, dal 4 al 6 novembre esperti islamici e cattolici si incontrano in Vaticano, dopo anni di rapporti freddi, dovuti alla crescita del fondamentalismo. Tutto è ripreso grazie al discorso di Benedetto XVI a Regensburg, dove si affermava che la religione abbraccia la ragione ed esclude la violenza. Il tema più urgente: la libertà religiosa, perché ad ogni comunità possa essere garantito il diritto a proclamare e diffondere la sua fede.
12) SCUOLA/ Che fare? Pensieri dopo lo sciopero del 30 ottobre - Giovanni Cominelli - lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net
13) DARWIN/ La par condicio lasciamola alla politica, scienza e fede cerchino la verità - Mario Gargantini – lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net
14) NICHILISMO/ Come liberarsi dall’illusione delle idee sconfitte. La lezione di Augusto Del Noce - INT. Giuseppe Riconda - lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net
15) MADRI CORAGGIO/ La Famiglia dove è possibile capire che la propria storia ha un senso - Alceste Santuari - lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net


01/11/2008 12:27 – VATICANO - Papa: La compagnia dei Santi ci aiuta a vincere ogni paura e tribolazione - Nella solennità di Tutti i santi, Benedetto XVI offre una piccola catechesi sulla santità, un “martirio” inteso come “amore per Cristo senza riserve”, che si esprime “nel dono totale di sé a Dio e ai fratelli”. Saluto ai giovani che hanno partecipato alla prima edizione della Corsa dei santi.
Città del Vaticano (AsiaNews) – La “grande gioia” con cui oggi la Chiesa cattolica celebra la festa di Tutti i santi, “ci spinge ad affrettare il passo del nostro pellegrinaggio terreno” e ci aiuta “a superare ogni difficoltà, ogni paura, ogni tribolazione”: lo ha detto il papa ai pellegrini radunati in piazza san Pietro per la preghiera dell’Angelus. E a conferma di questa gioia nella comunione dei Santi, ha citato lo spiritual “When the Saints”: "Quando verrà la schiera dei tuoi santi, oh come vorrei, Signore, essere tra loro!".
Riprendendo un’immagine molto comune fra i Padri della Chiesa, Benedetto XVI ha paragonato “lo spettacolo della santità” a un “meraviglioso giardino”, “dove lo Spirito di Dio ha suscitato con mirabile fantasia una moltitudine di santi e sante, di ogni età e condizione sociale, di ogni lingua, popolo e cultura. Ognuno è diverso dall’altro, con la singolarità della propria personalità umana e del proprio carisma spirituale. Tutti però recano impresso il ‘sigillo’ di Gesù (cfr Ap 7,3), cioè l’impronta del suo amore, testimoniato attraverso la Croce. Sono tutti nella gioia, in una festa senza fine, ma, come Gesù, questo traguardo l’hanno conquistato passando attraverso la fatica e la prova (cfr Ap 7,14), affrontando ciascuno la propria parte di sacrificio per partecipare alla gloria della risurrezione”.
Il pontefice ha ricordato che questa festa in origine radunava la memoria collettiva di tutti i martiri. “Questo martirio – ha aggiunto - possiamo intenderlo in senso lato, cioè come amore per Cristo senza riserve, amore che si esprime nel dono totale di sé a Dio e ai fratelli. Questa meta spirituale, a cui tutti i battezzati sono protesi, si raggiunge seguendo la via delle "beatitudini" evangeliche, che la liturgia ci indica nell’odierna solennità (cfr Mt 5,1-12a). E’ la stessa via tracciata da Gesù e che i santi e le sante si sono sforzati di percorrere, pur consapevoli dei loro limiti umani. Nella loro esistenza terrena, infatti, sono stati poveri in spirito, addolorati per i peccati, miti, affamati e assetati di giustizia, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace, perseguitati per la giustizia. E Dio ha partecipato loro la sua stessa felicità: l’hanno pregustata in questo mondo e, nell’aldilà, la godono in pienezza. Sono ora consolati, eredi della terra, saziati, perdonati, vedono Dio di cui sono figli. In una parola: "di essi è il Regno dei cieli" (cfr Mt 5,3.10)”.
Dopo la preghiera mariana, Benedetto XVI ha salutato i presenti in diverse lingue. Passando ai pellegrini italiani, egli ha rivolto un saluto particolare ai giovani di Roma che oggi hanno partecipato alla prima edizione della “Corsa dei santi”, in una specie di “maratona” che ha toccato San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura, Santa Maria Maggiore e si è conclusa in piazza san Pietro. “Sono lieto – ha detto il papa - di questa nuova iniziativa, che esprime la gioia e anche la fatica di ‘correre’ insieme sulla via della santità. Possa tutta la nostra vita essere una ‘corsa’ nella fede e nell’amore, animata dall’esempio dei grandi testimoni del Vangelo!”.


02/11/2008 12:14 – VATICANO - Papa: Evangelizzare la realtà della morte, liberandola da superstizioni, sincretismi, mitologie - Nel giorno della commemorazione di tutti i defunti, Benedetto XVI chiede ai fedeli di “non essere tristi”, ma vivere la fede in Cristo morto e risorto. Nel mondo c’è un’attesa “insopprimibile” di vita eterna a cui Cristo risponde col suo amore. Oggi il papa visita le Grotte vaticane per pregare per tutti i papi defunti.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Nel giorno in cui la Chiesa commemora tutti i fedeli defunti, Benedetto XVI ha chiesto ai cristiani di “evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere”. Parlando prima della preghiera dell’Angelus ai pellegrini radunati in piazza san Pietro, egli ha sottolineato che “E’ molto importante che noi cristiani viviamo il rapporto con i defunti nella verità della fede, e guardiamo alla morte e all’aldilà nella luce della Rivelazione”. A conforto egli cita le parole di san Paolo, di "non essere tristi come gli altri che non hanno speranza" e "Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti" (1 Ts 4,13-14).
Il pontefice ricorda che la vita eterna è stato fra i temi della sua enciclica “Spe salvi”. “Mi sono chiesto: la fede cristiana è anche per gli uomini di oggi una speranza che trasforma e sorregge la loro vita (cfr n. 10)? E più radicalmente: gli uomini e le donne di questa nostra epoca desiderano ancora la vita eterna? O forse l’esistenza terrena è diventata l’unico loro orizzonte? In realtà, come già osservava sant’Agostino, tutti vogliamo la 'vita beata', la felicità. Non sappiamo bene che cosa sia e come sia, ma ci sentiamo attratti verso di essa. E’ questa una speranza universale, comune agli uomini di tutti i tempi e di tutti luoghi. L’espressione 'vita eterna' vorrebbe dare un nome a questa attesa insopprimibile: non una successione senza fine, ma l’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo, il prima e il dopo non esistono più. Una pienezza di vita e di gioia: è questo che speriamo e attendiamo dal nostro essere con Cristo (cfr n. 12)”.
Prima della preghiera mariana, il pontefice ha esortato tutti a rinnovare “la speranza della vita eterna fondata realmente nella morte e risurrezione di Cristo. ‘Sono risorto e ora sono sempre con te’, ci dice il Signore, e la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce”.
“La speranza cristiana – ha concluso il papa - non è però mai soltanto individuale, è sempre anche speranza per gli altri. Le nostre esistenze sono profondamente legate le une alle altre ed il bene e il male che ciascuno compie tocca sempre anche gli altri. Così la preghiera di un’anima pellegrina nel mondo può aiutare un’altra anima che si sta purificando dopo la morte. Ecco perché oggi la Chiesa ci invita a pregare per i nostri cari defunti e a sostare presso le loro tombe nei cimiteri. Maria, stella della speranza, renda più forte e autentica la nostra fede nella vita eterna e sostenga la nostra preghiera di suffragio per i fratelli defunti”.
Alle 18.30 di oggi, il papa si recherà nelle Grotte della Basilica Vaticana per un momento di preghiera in privato, in suffragio dei Sommi Pontefici là sepolti e di tutti i defunti. Domani il pontefice celebrerà una messa per tutti i cardinali e vescovi defunti questo anno.


Come l'Europa vive la sfida finale tra Obama e McCain - Mario Mauro - lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net
La corsa alla Casa Bianca volge ormai verso il termine e domani calerà il sipario su uno tra i duelli più combattuti della storia delle elezioni americane.
La sfida dei due protagonisti, i candidati Barack Obama e John McCain, è stata all’altezza delle aspettative: tanti i temi affrontati, altrettante le occasioni di confronto e, talvolta, anche di scontro in cui gli aspiranti presidenti si sono misurati affidando ai loro elettori, come al resto del mondo, un’occasione in più per fermarsi a riflettere sulle nuove strategie da adottare in un contesto internazionale che cambia con una rapidità impressionante.
Il mondo ha assistito in questi lunghi mesi di campagna elettorale al faccia a faccia tra due candidati che hanno mostrato le diverse prospettive politiche, sociali e culturali di un’America sempre più frammentata e sempre meno coesa. Provenienti da due universi differenti hanno saputo rispecchiare le nuove mete verso cui tende il “sogno americano”.
Barack Hussein Obama Jr, classe 1941 nato da padre kenyano e madre del Kansas, ottenuta l’investitura ufficiale durante la convention a Denver il 25 agosto scorso, ha fatto dell’ormai celebre motto “Yes we can” l’inno del popolo democratico d’America ed è stato capace di battere a sorpresa l’ex first lady e senatrice dello stato di New York Hillary Clinton.
Il senatore dell’Arizona, invece, che era già stato candidato alla Presidenza nelle elezioni del 2000 e poi sconfitto alle primarie repubblicane da George W. Bush, dopo aver liquidato senza grosse difficoltà il collega Mitt Romney, ha cercato a più riprese di agganciare il suo avversario.
Senza ombra di dubbio è stata la campagna elettorale delle novità. Considerata agli esordi come la più sorprendente in quanto ai cambiamenti in atto e alle scelte intraprese dai partiti stessi - si pensi soltanto alla designazione di una donna e di un uomo di colore alla candidatura per la presidenza - sul finire è andata via via arenandosi fino a calcolare, almeno stando ai sondaggi, un distacco che fa disperare in una possibile rimonta da parte di McCain.
Senza contare che era dal 1928 che non si assisteva a un'elezione in cui nessun candidato godesse del vantaggio dell'incumbency, cioè del fatto di essere presidente o vicepresidente uscente. Anche questo aspetto ha reso avvincente la sfida molto perché in entrambi i partiti si è scelto un candidato in un broad field, cioè in un campo aperto, senza che nessuno partisse da una posizione di vantaggio data dalla carica ricoperta al vertice del Paese.
Certamente, Obama è l’uomo nuovo di queste elezioni. Ha combattuto la sua battaglia sempre sul filo dell’ambivalenza cercando di fare da collante in una società americana che si presenta oggi sotto l’aspetto della globalizzazione e, al contempo, della molteplicità.
La strategia del candidato democratico ha fatto fruttare molti voti perché facendo leva sul cambiamento della cultura politica - in particolare in quella della sinistra americana, sempre più slegata da ogni retroterra culturale tradizionale - è riuscito a raccogliere più consenso possibile.
Dall’altra parte, invece, “Mac is back”, come dicono i sostenitori del senatore dell’Arizona (sopravvissuto nel 1969 quando, in missione ad Hanoi in Vietnam, il suo aereo fu abbattuto e lui, ferito, fu catturato dai norvietnamiti rimanendo prigioniero di guerra fino al 1973) e volto noto all’interno del panorama politico americano.
Eppure, il candidato più vecchio della storia degli Usa ha saputo mettere a disposizione dell’elettorato americano idee nuove e chiari programmi in particolare per quanto riguarda le possibilità di affrontare la crisi economica e finanziaria che sta colpendo l’America e il resto del mondo.
Economia politica estera e sicurezza nazionale, ma anche contenuti scottanti - come la lotta al terrorismo e la situazione irachena - ed eticamente sensibili - come la ricerca scientifica e la discriminazione razziale - i temi al centro della corsa alla Stanza Ovale affrontata dai due candidati.
Le argomentazioni proposte hanno visto poi due differenti modi di interpretare la politica: pragmatismo da un lato, idealismo dall’altra. E altrettanti modi di colpire il pubblico: townhall meeting, le assemblee popolari nate nel 1700 in New England, dove McCain attraverso il contatto diretto con gli elettori, nel botta e risposta esprime argomentazioni più lineari e, generalmente, più efficaci e i dibattiti e le interviste, in cui Obama ha saputo sfoderare la sua capacità di eloquio e di dissertazione.
A differenza delle precedenti, anche le donne in questa campagna elettorale hanno avuto un ruolo centrale rubando in più occasioni la scena ai due contendenti alla Casa Bianca. Dapprima Hillary Clinton, la grande sconfitta di queste elezioni, che ha sofferto l’onda d’urto del desiderio di novità e cambiamento che Obama ha saputo incarnare e, nella maggior parte dei casi, assecondare perfettamente di fronte alle vicende avverse della campagna elettorale. Ha incantato i media e la Clinton, benché amata e molto popolare, alla fine ha ceduto e ha dovuto elegantemente passare lo scettro al candidato afro-americano.
Se Obama si è affidato all’esperto Joe Biden come vicepresidente in caso di vittoria, McCain si affiderà all’intraprendenza della governatrice dell’Alaska Sara Palin, l'altro volto femminile di queste elezioni.
Quanto alla capacità di stabilire rapporti "transatlantici", dei due concorrenti, McCain sembra quello più in grado di stabilire un rapporto con i fautori dell’atlantismo, ma, in questo senso, l'Europa, indipendentemente dalla vittoria di Obama o del senatore dell'Arizona, deve continuare, nell'impegno a tessere rapporti profondi con gli Stati Uniti. Nell'attuale contesto risulta un dovere e una priorità.


Frequenze pericolose - Le quinte colonne del regime iraniano. Calunniano Israele, attaccano l’America e negano l’11 settembre. Sono gli intellettuali che spiegano l’Italia a Teheran. A modo loro
Ricorderete il discreto baccano di due settimane fa intorno a quell’addetto militare dell’ambasciata tedesca a Teheran che partecipò alla parata per la commemorazione della guerra Iran-Iraq violando un preciso accordo vigente in sede Ue.
Durante la sfilata fecero la loro comparsa, come sempre, striscioni con su scritto «Israele deve essere spazzata via dalle mappe» e «Israele dovrebbe essere cancellata dal mondo».
Ovvio che siano piovute critiche sul governo di Berlino.
Ma che direste di europei, diciamo di italiani, che si prestassero a legittimare la propaganda dei media di regime iraniani?
Ebbene, essi esistono.
di Rodolfo Casadei, per tempi.it del 27/10/2008

Come esiste una redazione della radio di Stato iraniana incaricata della propaganda khomeinista verso l’Italia: si chiama Radio Italia, è stata creata nel 1995 e da allora trasmette da Teheran nella lingua di Dante due ore al giorno, una la mattina e l’altra la sera, sulle frequenze kHz 11555, 13770, 15085, 5910 e 7380. È parte integrante di La Voce della Repubblica
islamica iraniana, cioè la radio di Stato iraniana, e dispone anche di un sito internet (http://italian.irib.ir). Qui si può scoprire facilmente chi sono i beniamini italiani della radio di Ahmadinejad, quelli ai quali ci si rivolge per un illuminato parere, che si tratti della Palestina o della guerra in Iraq, dell’i-slamofobia o della politica italiana. Spiccano i nomi di Maurizio Torrealta di RaiNews24, Giulietto Chiesa, Franco Cardini, padre Alessandro Zanotelli, la scrittrice e giornalista Angela Lano, la islamista della Sapienza di Roma Biancamaria Scarcia Amoretti, il docente dell’università di Teramo nonchè ammiratore del negazionista Robert Faurisson Claudio Moffa, Maurizio Musolino della direzione nazionale del Pdci, il sociologo Stefano Allievi e chi più ne ha più ne metta. Torrealta, la Lano e Allievi sono talmente apprezzati che la loro foto campeggia nell’homepage del sito internet della radio. Torrealta è diventato una star del sito grazie ai suoi famosi scoop, l’ultimo dei quali è la rivelazione, per bocca di un reduce, che gli americani avrebbero lanciato una bomba atomica da 5 chilotoni (un terzo della potenza di quella di Hiroshima) a Bassora nel 1991, al termine della prima guerra del Golfo. Da notare che questa notizia ha cominciato a circolare nel 2006 (solo in quella data la memoria del veterano si è risvegliata) a partire dal blog di un giornalista canadese, tale Thomas William, che lo ha intervistato. Il suo articolo comincia così: «Nonostante tutta l’intelligence americana sia d’accordo che l’Iran non sta sviluppando armi atomiche, i fondamentalisti apocalittici George Bush e Dick Cheney sono decisi a ordinare un attacco su vasta scala contro una delle più antiche (e meglio armate) civiltà».
Padre Zanotelli, già missionario comboniano nel Sudan, espulso nel 1978 dal governo Nimeiri che stava massacrando i non musulmani, dichiara agli iraniani a proposito dell’intolleranza religiosa e razziale: «E non sono solo i rom, sono in particolare i musulmani ad essere soggetti al razzismo. I musulmani sempre di più in Italia e in Europa vengono visti come un pericolo e come un qualcosa che non va. È importante sottolineare che come un giorno ci hanno portati lentamente a pensare che i comunisti erano i “criminali di turno” e i “grandi nemici”, oggi caduto il comunismo, ci si sta preparando a far vedere l’islam come un nuovo nemico». Mentre i comunisti di ieri e gli islamisti di oggi sono bravi ragazzi rovinati dalla cattiva pubblicità, l’opinione pubblica trascura i veri cattivi, quelli che compiono il nuovo Olocausto sotto i nostri occhi: «Gli israeliani, ad esempio, oggi ripetono contro i palestinesi le stesse brutalità che loro stessi avevano subito nella seconda guerra mondiale dai nazisti».
Zanotelli non è l’unico italiano che ha la faccia tosta di proporre l’equazione che equipara Israele e Terzo Reich sulle pagine web di un sito khomeinista: Angela Lano, scrittrice pubblicata dalle edizioni Paoline e ospitata da molte riviste missionarie, fa altrettanto in un’intervista sulla Palestina. Dove si indigna perché «le informazioni sui massacri in Palestina e sul genocidio palestinese esistono», ma «in giro c’è molto silenzio» a causa del fatto che «molti governi (arabi) sono asserviti o solidali con Stati Uniti e Israele oppure sono ricattati». Per fortuna che «alcuni Stati levano la loro voce, tipo l’Iran».
Non contenta di aver accusato Israele di genocidio sulle pagine web di coloro che lo vogliono cancellare dalle carte geografiche, la Lano lo incolpa anche di pulizia etnica: «È stato pubblicato un magnifico libro sulla pulizia etnica nella Palestina dello storico ebreo israeliano che vive a Londra, Ilan Pappe, che consiglio a tutti, dove si afferma con i documenti alla mano che il progetto sionista era quello di spazzare via tutti i palestinesi dalla Palestina e quindi creare una grande Israele epurata dalla sua popolazione autoctona originale palestinese per dare vita ad un’entità ebraica pulita. Questo è stato il piano attivato nel ’47 e ’48 con una forte pulizia etnica documentata in questo libro in modo scientifico e che continua tuttora». Ora, a parte il fatto che il libro di Pappé è stato demolito da tutti gli storici israeliani, compresi quelli di sinistra come Benny Morris, anche il più ignorante degli studenti sa (dovrebbe sapere) che l’esodo e l’espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi nel 1948 furono la conseguenza di una guerra di aggressione dichiarata dagli arabi, non dagli israeliani! Il rapporto un po’ disagiato di Angela Lano coi fatti storici si conferma poco dopo, quando si profonde in lodi del negazionista dell’11 settembre Giulietto Chiesa: «Giulietto Chiesa ha prodotto un film bellissimo che si chiama Zero che tratta la verità sull’11 settembre. Il suo è un lavoro d’informazione realistica e veritiera data ai cittadini».
Il Giulietto nazionale non poteva mancare sul sito della radio di Ahmadinejad, e infatti in un’intervista si profonde in geniali considerazioni, come quella secondo cui l’antisemitismo non esiste. «Io non sono mai stato antisemita, anche se non so bene cosa significa la parola antisemita, perché essere antisemita significa essere contemporaneamente contro gli ebrei e anche contro gli arabi che sono tutti semiti, quindi essere antisemita non significa nulla».
Negazionisti alla riscossa
Come non manca l’altro famoso negazionista dell’11 settembre, lo storico Franco Cardini, che coglie l’occasione di un’intervista per giustificare l’uccisione di militari italiani in Afghanistan da parte dei terroristi talebani. «Durante la seconda guerra mondiale – spiega – abbiamo avuto un fenomeno diffuso di non-militari che sparavano sui militari dell’esercito tedesco, e per queste persone abbiamo usato ordinariamente il termine di partigiano, che è sinonimo di patriota. E queste persone non le consideriamo terroristi. Allora mi chiedo – alla luce di tutto questo –, quando un afghano spara contro un soldato della Nato, dobbiamo considerarlo un terrorista o un patriota? Questo non mi è chiaro». In realtà il dubbio del filo-talebano Cardini è tutto retorico, perché poche righe sopra aveva detto: «Noi italiani siamo purtroppo coinvolti in due guerre (Afghanistan e Iraq, ndr), perché non siamo ancora usciti totalmente dall’Iraq. Due guerre che non ci riguardano, contro due paesi che non ci hanno mai fatto del male e io come cittadino italiano (…) mi vergogno che il mio esercito sia trascinato in questa disonorevole occupazione». Cardini non è l’unico accademico con le idee un po’ confuse. Più divertente e meno sanguinosa di lui c’è un’islamista dell’università La Sapienza di Roma: Biancamaria Scarcia Amoretti. All’intervistatore che le domanda: «Purtroppo recentemente accadono dei casi in cui si cerca di presentare la fede islamica come una religione violenta e poco pacifica. Lei che cosa ne pensa?», risponde: «Penso che questa tendenza ci sia sempre stata nell’Occidente. Io penso che l’islam sia stato sempre visto come il grande nemico ed il grande rivale (…), non c’è stato un momento in cui l’islam sia stato considerato dall’Occidente in maniera tranquilla, pacifica, obiettiva e rispettosa. Tutti i miei studi mi portano a vedere che l’Occidente ha piuttosto sempre scelto la via dello scontro». Sì, lo scontro con quei pacifisti che si sono limitati a smontare l’Impero Romano d’Oriente, conquistare Sicilia e penisola iberica, occupare i Balcani e mettere l’assedio a Vienna.


Italia: si discute una proposta di legge in favore dell'omosessualismo - Anche in Italia chi cita San Paolo rischierà la galera?
Una proposta di legge in favore dell'omosessualismo (proposta C.1568 - "Reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere") é attualmente in discussione presso la II Commissione permanente della Camera, competente per la Giustizia.
La proposta di legge prevede di punire con la reclusione da sei mesi a quattro anni l'autore di un discorso, uno scritto o un atteggiamento a cui venga attribuito un valore "discriminatorio" verso la pratica omosessuale e altri, non meglio precisati, "orientamenti sessuali".
Se approvata, questa legge di un solo articolo aprirebbe di fatto le porte del carcere per chiunque, laico o religioso, osasse ricordare pubblicamente i principi solenni della morale cattolica.
Il Centro culturale Lepanto ha evidenziato tutte le contraddizioni di questa iniziativa legislativa avallata dal Governo in carica e gravida di negative conseguenze per la libertà di religione in Italia, ed invita a manifestare al capo del Governo la propria disapprovazione…



CENTRO CULTURALE LEPANTO
Gentile amica, caro amico,
vorrei richiamare la Sua attenzione su una iniziativa legislativa avallata dal Governo in carica e gravida di negative conseguenze per la libertà di religione in Italia !
La Commissione Giustizia della Camera ha infatti posto in discussione una proposta di legge, prima firmataria la deputata del Pd Anna Concia, per punire con la reclusione da sei mesi a quattro anni, l'autore di un discorso, uno scritto o un atteggiamento a cui venga attribuito un valore "discriminatorio" verso la pratica omosessuale e altri, non meglio precisati, "orientamenti sessuali".
Può leggere una attenta disamina di questa contraddittoria proposta di legge sul Blog di Lepanto: www.lepantoblog.org
Il Presidente della Commissione, l'on. avv. Giulia Bongiorno, ha inoltre affidato l'incarico di relatore della proposta di legge alla stessa on. Concia. 'Il gesto della collega Bongiorno - ha rilevato la parlamentare del Partito democratico - esprime una fiducia politica che metterò al lavoro''. (Asca, 24.9.08)
NESSUN COMPONENTE DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA ha sollevato critiche alla via preferenziale data a questo pdl, nè all'attribuzione di relatore ad un membro dell'opposizione e nemmeno al suo confuso contenuto, con la sola eccezione dei deputati Nicola Molteni e Luca Rodolfo Paolini (Lega Nord).
Se approvata, questa legge di un solo articolo aprirebbe di fatto le porte del carcere per chiunque, laico o religioso, osasse ricordare pubblicamente i principi solenni della morale cattolica o le immutabili condanne della Sacra Scrittura, dell'Apostolo Paolo o di S. Tommaso.
Questa proposta di legge avrebbe come principale conseguenza quella di censurare la libertà di espressione, e quindi di critica, dei cattolici.
Gli atti di violenza o l'incitamento alla stessa, verso chiunque, sono infatti già opportunamente sanzionati dal nostro Codice.
Si unisca a noi nella protesta presso il capo del Governo, on. Silvio Berlusconi, per questa iniziativa politica che rappresenterebbe un clamoroso tradimento del mandato degli elettori.
Scriva subito per email a: redazione.web@governo.it oppure per posta ordinaria a: Palazzo Chigi, Piazza Colonna 370 - 00187 Roma, chiedendo l'intervento diretto del Presidente del Consiglio perchè si assuma piena responsabilità su una questione così importante per il futuro della libertà di espressione religiosa in Italia.
La saluto, confidando nella Sua sensibilità e disponibilità,
Il Presidente
Fabio Bernabei
Una proposta di legge contraddittoria
Una proposta di legge in favore dell'omosessualismo (proposta C.1568 - "Reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere") é attualmente in discussione presso la II Commissione permanente della Camera, competente per la Giustizia.
Questa proposta si qualifica per la sua contraddittorietà:
1° contraddizione:
la presidente della Commissione, l'on. avvocato Giulia Bongiorno, ha nominato, contro la consuetudine parlamentare, Relatrice del Progetto di legge una deputata dell'opposizione di Sinistra, l'on. Anna Paola Concia, che ha dichiarato: "E' la prima volta, in questa Legislatura, che viene affidato l'incarico di Relatrice a una deputata dell'opposizione e, per di più, unica lesbica 'libera' di questo Parlamento" ("l'Unità on line", 25-10-2008).
2° contraddizione:
nella sua relazione, l'on. Concia afferma, nel primo periodo del paragrafo 1 della pdl C.1568, che "fulcro sostanziale" della proposta è la "nozione di omofobia", termine inventato da uno psicologo nel 1971 ed oggi adottato dal Parlamento Europeo. Nella relazione si precisa, nel quinto capoverso del paragrafo 2, che il "dato che si trova alla base dell'omofobia" sarebbe "l'ignoranza del diverso da sé che si traduce in paura".
Al contrario, la più elementare etimologia ci dice che il termine "omofobia" è composto da due parole greche: φóβος (fobos, paura) ed ομóς (omos, uguale, comune, identico), e quindi significa "paura di ciò che è eguale a sé", mentre invece il significato "paura del diverso" esige la combinazione di φóβος (paura) ed ετερος (eteros, diverso), così come omogeneo vuol dire dello stesso tipo ed eterogeneo di tipo diverso. Ad esempio, per indicare l'avversione allo straniero si è correttamente coniato il termine xenofobia, unendo a φóβος la parola ξενος (xenos, estraneo, straniero).
3° contraddizione:
per captare l'altrui benevolenza, l'on. Concia richiama più volte nel testo della sua relazione la necessità di punire i delitti commessi nei confronti delle persone omosessuali nonché l'istigazione a commettere quei medesimi delitti. Il nostro ordinamento già prevede la punizione del delitto di ingiuria o di violenza contro la persona o i beni perpetrato nei confronti di terzi, sia l'istigazione a compiere uno specifico delitto, nonché le aggravanti previste per motivi futili o abietti.
Ma la proposta di legge mira, come si evince dal primo capoverso del paragrafo 4, ad estendere la punizione a non meglio precisati "discorsi intrisi d'odio", distinti ("e"), si badi bene, dalle "istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio".
4° contraddizione:
a proposito della così mal detta "omofobia" viene riportata nel secondo capoverso del paragrafo 1 della relazione la definizione del Parlamento Europeo che la qualifica come "una paura e una avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità (…) basata sul pregiudizio".
Da questa definizione e da quella ricordata sopra ne dovrebbe conseguire che un giudizio di condanna dell'omosessualità in sé e delle conseguenze sociali che possono avere la sua propaganda come modello per i giovani nel mondo mediatico, giudizio che non sia a priori come il pregiudizio, né irrazionale e non motivato, ma che nasca da una seria e meditata analisi storica e filosofica, sociologica ed antropologica, dovrebbe essere del tutto lecito.
Al contrario l'on. Concia esprime nel tredicesimo capoverso del paragrafo 5, con la determinazione evidenziata nel carattere corsivo di queste frasi nel testo, la sua ferma volontà che, con l'approvazione della proposta di legge C.1568, comunque ed in qualsiasi forma, sia proibito criticare qualsiasi "orientamento sessuale. Voglio che non lo si possa giudicare e condannare (…) senza che questo venga considerato un reato dallo Stato".
5° contraddizione:
L'on. Concia, all'inizio della sua relazione, evoca il dovere, "dobbiamo", di avere "a cuore solo ed esclusivamente il 'bene comune' (…) per partecipare alla costruzione del bene comune" Tuttavia precisa, con la determinazione che si evince nel testo con la frase scritta a tutte maiuscole: "A PRESCINDERE DAL PROPRIO ORIENTAMENTO SESSUALE".
Come è possibile la "costruzione del bene comune" senza un giudizio razionale e meditato su ciò che è bene e ciò che è male in tutto ciò che riguarda le relazioni sociali, ossia i rapporti fra i cittadini?
Il sadomasochismo o l'incesto sono orientamenti sessuali positivi o negativi per la costruzione del bene comune? Occorre proibirli o porvi dei limiti o lasciarli del tutto liberi?
6° contraddizione:
L'on. Concia, nel reclamare dure sanzioni penali contro chi critica l'omosessualismo, ricorda, nel settimo ed ottavo capoverso del paragrafo 5, che, data l'importanza che hanno per la formazione degli individui i "messaggi del mondo circostante (la società, la scuola, lo Stato), è sui messaggi che da essi provengono che dobbiamo lavorare. Il primo passo è quello dello Stato che assume una funzione pedagogica, che passa attraverso le leggi".
Al contrario lo schieramento cui appartiene l'on. Concia non vuole che la funzione pedagogica della sanzione penale venga applicata per ridurre il dramma dell'aborto o per ridurre il dramma dell'uso di droga, anzi nega che esista una funzione pedagogica della sanzione penale.
7° contraddizione:
all'inizio della sua relazione, l'on. Concia loda, rivolgendosi ai "cari colleghi della maggioranza, il vostro nome, Partito 'delle' libertà".
Al contrario, nel primo capoverso del paragrafo 4, si unisce alla denuncia del Parlamento Europeo contro chi vuole ostacolare la diffusione dell'omosessualismo in nome di "libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza".
8° ed ultima contraddizione:
L'on. Concia termina la sua relazione facendo appello, nel terzo e nel quattordicesimo capoverso del paragrafo 5, ai Cattolici.
Al contrario ella tace che, diventando Legge, la proposta C 1568 impedirebbe ai Cattolici di professare l'immutabile condanna della pratica e della propaganda dell'omosessualismo sanzionata dalle Sacre Scritture e dal Magistero di Santa Romana Chiesa.
http://www.lepantoblog.org/31 ottobre 2008


Il Gesù del cardinale Martini non avrebbe mai scritto la "Humanae Vitae" - È un Gesù che lotta contro l'ingiustizia. E quindi anche contro le "bugie" e i "danni" dell'enciclica di Paolo VI che vietò la contraccezione artificiale. Così scrive l'ex arcivescovo di Milano nel suo ultimo libro. Intanto però, in un altro libro, due studiose tratteggiano diversamente lo spirito di quel documento - di Sandro Magister
ROMA, 3 novembre 2008 – Nel suo ultimo libro-intervista, uscito prima in Germania e ora anche in Italia, il cardinale Carlo Maria Martini si autodefinisce non un antipapa come spesso è dipinto dai media, ma "un ante-papa, un precursore e preparatore per il Santo Padre".

Stando comunque a quello che si legge nel libro, sono molti i punti su cui il cardinale Martini appare parecchio distante dal papa regnante e dai suoi ultimi predecessori.

Se si confrontano, ad esempio, il "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI e il Gesù descritto dal cardinale Martini in questo libro, la lontananza è impressionante. La dice bene il gesuita tedesco che fa da intervistatore, padre Georg Sporschill, senza nascondere a chi dà la sua preferenza:

"Il libro del pontefice è una professione di fede nel buon Gesù. Il cardinale Martini ci pone di fronte a Gesù da un'altra prospettiva. Gesù è l'amico del pubblicano e del peccatore. Ascolta le domande della gioventù. Porta scompiglio. Lotta con noi contro l'ingiustizia".

Proprio così. Nelle parole del cardinale, il Discorso della Montagna è una carta dei diritti degli oppressi. La giustizia è "l'attributo fondamentale di Dio" e "il criterio di distinzione" con cui Egli ci giudica. L'inferno "esiste ed è già sulla terra": nella predicazione di Gesù era semplicemente "un monito" a non produrre troppo inferno quaggiù. Il purgatorio è anch'esso "un'immagine", sviluppata questa volta dalla Chiesa, "una delle rappresentazioni umane che mostra come sia possibile essere preservati dall'inferno". La speranza finale è "che Dio ci accolga tutti", quando la giustizia cederà il passo alla misericordia.

Lo stile espressivo di Martini è come sempre il chiaroscuro, lo sfumato, fin dal titolo di questo suo ultimo libro: "Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede". Sul celibato del clero, ad esempio, dice e non dice. E così sulle donne prete. E così sull'omosessualità. E così sul preservativo. Anche quando critica la gerarchia della Chiesa non fa i nomi, né delle persone né delle cose.

Ma questa volta un'eccezione c'è. In un capitolo del libro, il bersaglio esplicito è l'enciclica di Paolo VI del 1968 "Humanae Vitae" sul matrimonio e la procreazione. Martini l'accusa d'aver prodotto "un grave danno" col divieto della contraccezione artificiale: "molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone".

A Paolo VI, Martini imputa d'aver celato deliberatamente la verità, lasciando che fossero poi i teologi e i pastori a rimediare, adattando i precetti alla pratica:

"Io Paolo VI l'ho conosciuto bene. Con l'enciclica voleva esprimere considerazione per la vita umana. Ad alcuni amici spiegò il suo intento servendosi di un paragone: anche se non si deve mentire, a volte non è possibile fare altrimenti; forse occorre nascondere la verità, oppure è inevitabile dire una bugia. Spetta ai moralisti spiegare dove comincia il peccato, soprattutto nei casi in cui esiste un dovere più grande della trasmissione della vita".

In effetti, prosegue il cardinale, "dopo l'enciclica Humanae Vitae i vescovi austriaci e tedeschi, e molti altri vescovi, seguirono, con le loro dichiarazioni di preoccupazione, un orientamento che oggi potremmo portare avanti". Un orientamento che esprime "una nuova cultura della tenerezza e un approccio alla sessualità più libero da pregiudizi".

Dopo Paolo VI venne però Giovanni Paolo II, che "seguì la via di una rigorosa applicazione" dei divieti dell'enciclica. "Non voleva che su questo punto sorgessero dubbi. Pare che avesse perfino pensato a una dichiarazione che godesse il privilegio dell'infallibilità papale".

E dopo Giovanni Paolo II è venuto Benedetto XVI. Martini non ne fa il nome e non sembra fare su di lui affidamento, ma azzarda questa previsione:

"Probabilmente il papa non ritirerà l'enciclica, ma può scriverne una nuova che ne sia la continuazione. Sono fermamente convinto che la direzione della Chiesa possa mostrare una via migliore di quanto non sia riuscito alla Humanae Vitae. Saper ammettere i propri errori e la limitatezza delle proprie vedute di ieri è segno di grandezza d'animo e di sicurezza. La Chiesa riacquisterà credibilità e competenza".

Fin qui Martini. Chi si limitasse però a leggere il suo ultimo libro non imparerebbe nulla né della lettera né tanto meno dello spirito di quella contestatissima enciclica.

Molto più istruttivo, da questo punto di vista, è il discorso che papa Joseph Ratzinger ha dedicato alla "Humanae Vitae" il 10 maggio di quest'anno. Illustrandone i contenuti, ha affermato che "a quarant’anni dalla sua pubblicazione quell’insegnamento non solo manifesta immutata la sua verità, ma rivela anche la lungimiranza con la quale il problema venne affrontato".

E ancor più interessante, per capire il contesto prossimo e remoto entro il quale la "Humanae Vitae" ha preso forma, è la lettura di un libro uscito in Italia poco prima di quello del cardinale Martini.

Il libro ha per titolo: "Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia". E ha per autrici due studiose, entrambe militanti femministe negli anni Settanta, entrambe storiche, l'una laica e l'altra cattolica: Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia.

Quest'ultima dedica alla "Humanae Vitae" un ampio capitolo, ricostruendone la genesi, i contenuti e gli sviluppi. Eccone la parte finale:

E venne il metodo dei coniugi Billings - di Lucetta Scaraffia
Paolo VI non riuscì a farsi capire, a farsi ascoltare, dagli "uomini del nostro tempo", perché le sue parole non riuscirono a superare il muro di delusione e di protesta che si era alzato contro la "Humanae Vitae" fin da subito anche fra i cattolici. Il dialogo fra gli innovatori delusi e la Chiesa, a rileggerlo oggi, sembra un dialogo fra sordi, tanto che questa rimane l’enciclica meno ricordata dalla Chiesa stessa fra quelle del Novecento, quasi un brutto incidente da dimenticare.

Ciò non toglie che le tesi dell’enciclica sono state riprese dal magistero della Chiesa negli anni successivi. La condanna all’intervento umano nella procreazione, stabilito in essa con recisione – ma del resto già anticipato senza ambiguità da Giovanni XXIII nell’enciclica "Mater et magistra" del 1961 –, costituirà un precedente importante per la morale cattolica non solo nei confronti del controllo delle nascite, ma anche delle tecniche di fecondazione artificiale e di manipolazione degli embrioni che si affermeranno alla fine del Novecento. E la concezione lì espressa di legge naturale, una concezione di stampo personalista ma comunque legata ad una idea di natura umana da rispettarsi perché creata da Dio a sua immagine e somiglianza, sarà ripresa e sviluppata dal Giovanni Paolo II.

Uno dei più tempestivi e coraggiosi difensori dell’enciclica è stato infatti proprio il cardinale Karol Wojtyla, che già era stato uno dei consulenti di Paolo VI. Wojtyla, del resto, era uno dei pochi cardinali che si era occupato di morale sessuale in un libro intitolato "Amore e responsabilità", uscito in polacco nel 1960 e poi tradotto in altre lingue europee. Nel libro Wojtyla affronta temi come "analisi della parola godere", "la libido e il neomalthusianismo", "analisi della sensualità" e "la castità e il risentimento" con una chiarezza e spregiudicatezza di linguaggio a cui la tradizione cattolica non era certo abituata.

La sua definizione della tendenza sessuale si contrappone a "uno spirito ipnotizzato dall’ordine biologico" e dà largo spazio alla interezza della persona: "La tendenza sessuale è la fonte di ciò che si verifica nell’uomo, dei diversi avvenimenti che hanno luogo nella sua vita sensoriale o affettiva senza la partecipazione della sua volontà. Ciò prova che essa fa parte dell’essere umano totale e non soltanto di una delle sue sfere o facoltà. Permeando tutto l’uomo, essa ha il carattere di una forza, che si manifesta non soltanto attraverso ciò che si verifica nel corpo dell’uomo, nei suoi sensi o sentimenti, senza la partecipazione della volontà, ma anche attraverso ciò che vi si forma con il suo concorso".

Il futuro papa critica il concetto freudiano di libido per la sua stretta correlazione "all’atteggiamento utilitarista", che conferisce all’atto sessuale un significato prettamente egocentrico: "La sola sensualità non è dunque amore e può anche molto facilmente divenire il contrario dell’amore".

Ma non per questo egli condanna la sessualità né il corpo: "Conviene precisare che esiste una differenza tra l’amore carnale e l’amore del corpo, perché il corpo, in quanto elemento della persona, può anche essere oggetto d’amore e non soltanto di concupiscenza".

In conclusione, dopo avere denunciato l’errore di una cultura che "rifiuta di riconoscere il grande valore della castità per l’amore" egli si avvìa a confutare l’idea, sempre più diffusa, che "la mancanza di rapporti sessuali è nociva alla salute dell’essere umano in genere, e a quella dell’uomo in particolare. Non si conosce una sola malattia che possa confermare la veridicità di questa tesi", mentre "le nevrosi sessuali sono soprattutto conseguenza degli eccessi nella vita sessuale e si manifestano quando l’individuo non si conforma alla natura e ai suoi processi".

Questo libro dimostra come Wojtyla, anche prima dell’enciclica, avesse visto il pericolo – da cui avrebbe messo in guardia la "Humanae Vitae" – di lasciare il problema dell’atto coniugale e della procreazione al di fuori della sfera etica e di togliere così all’uomo la responsabilità di azioni profondamente radicate nella sua struttura personale. Nell’articolo che scrisse in difesa dell’enciclica su "L’Osservatore Romano" del 5 gennaio 1969 egli riprende l’interpretazione personalista dell’atto coniugale e sostiene che non c’è identificazione fra l’amore coniugale e la sua espressione privilegiata, l’atto sessuale: "Questo amore si esprime anche nella continenza – anche periodica – perché l’amore è capace di rinunciare all’atto coniugale, ma non può rinunciare al dono autentico della persona".

Dieci anni dopo, poco prima di diventare papa, Wojtyla scrive di nuovo sull’enciclica, cercando di spiegare "la visione integrale dell’uomo" di cui parla Paolo VI e di mostrare cosa fa la "dignità della persona": l’uomo non è un essere diviso perché "l’essere e il valore devono costituire insieme il principio ermeneutico dell’uomo". L’uomo e la donna, quindi, devono vivere l’atto coniugale nella verità: questa verità interiore dell’atto che è indicata dal testo dell’enciclica.

Consapevole del malessere che ha accompagnato l’apparizione della "Humanae Vitae", malessere ancora vivo dieci anni dopo, appena divenuto papa Wojtyla realizza il progetto di Paolo VI di convocare un sinodo sulla famiglia, che si tiene nel settembre del 1980. Nel corso dell’assemblea sinodale ha l’occasione di riprendere le tesi dell’enciclica contestata, che definisce profetiche, e presentare quelle che diventeranno le proposizioni dell’esortazione apostolica "Familiaris consortio", da lui emanata nel 1982. Qui egli sviluppa in chiave personalista gli argomenti dell’enciclica: l’amore implica l’uomo tutto intero; la sessualità "non è qualcosa di puramente biologico, ma concerne la persona umana in quello che ha di più intimo"; il matrimonio ha carattere sacro perché tocca alla più profonda essenza dell’uomo, il punto in cui è legato a Dio. Il vocabolario dei fini del matrimonio viene messo da parte definitivamente, mentre la concezione di sessualità che emerge dal documento è pienamente umana, legata alla persona, che non può mai essere utilizzata come oggetto. In questo contesto, il corpo acquista una positività completa, legato allo spirito nell’unità: il principio personalista implica che tutte le dimensioni dell’essere umano partecipino della dignità personale, e siano quindi oggetto di rispetto, e mai considerate come puri strumenti. Per Giovanni Paolo II la sessualità, intimamente legata alla persona, è il segno corporale della donazione totale della persona nel suo porsi in relazione con un’altra persona.

L’attenzione del papa a questo tema è testimoniata anche dalle catechesi che tiene a partire dal maggio 1984 sul tema "l’amore umano nel piano di Dio", in cui cerca di mettere in relazione la verità e l’etica ripercorrendo le radici della concezione del corpo nella tradizione scritturistica.

Durante il pontificato di Giovanni Paolo II è avvenuta anche quella svolta nella ricerca scientifica auspicata da Paolo VI nella "Humanae Vitae", cioè la scoperta di un metodo di regolazione delle nascite, basato sul periodo infecondo mensile, facile da applicare e sicuro. La notizia, però, nel mondo sviluppato non è uscita dall’ambiente cattolico, e anche lì non è stato sufficientemente difuso in paesi occidentali come l’Italia, mentre ha avuto molto più successo nel Terzo Mondo.

Nei paesi occidentali, infatti, i metodi naturali hanno continuato a essere considerati non solo totalmente inefficaci, ma anche scomodi e difficili da applicare. Del resto, essi hanno anche un’altra caratteristica, non detta, che ha contribuito alla loro denigrazione: il fatto di essere gratuiti. Nessuna casa farmaceutica aveva interesse a finanziare ricerche su questa forma di controllo delle nascite, che conveniva piuttosto coprire di ridicolo e di discredito.

Ma una coppia di medici australiani di Melbourne – Evelyn e John Billings, lui di antica ascendenza cattolica irlandese, lei convertitasi al cattolicesimo con il matrimonio – ha dedicato la vita a questa ricerca, ottenendo, fin dal 1964, risultati importanti. Il nuovo metodo naturale che ha preso il loro nome non è complicato e scarsamente efficace come sono quelli della temperatura e dei ritmi ovulativi fino a quel momento sperimentati, ma al contrario è semplice e sicuro. Si tratta infatti di un metodo semplicissimo, senza costi, basato sulla conoscenza del proprio corpo che ogni donna deve essere preparata ad avere. Per chi ricorda le campagne delle femministe per la scoperta dell’apparato sessuale femminile – negli anni Settanta si consigliava alle donne di prendere uno specchio e di esplorare il proprio sesso – il metodo Billings sembra perfetto: la donna controlla la sua potenza procreatrice attraverso la conoscenza di sé, senza l’intermediazione di medici e medicine, in perfetta autonomia. In realtà le femministe lo hanno sempre trattato con disprezzo.

Intanto, però, il metodo Billings si è diffuso nel mondo: la coppia australiana è arrivata a fondare centri anche in Cina, dove il governo ha subito capito l’utilità di un metodo gratuito e privo di effetti collaterali per la salute delle donne, e in India, dove il metodo è stato insegnato da madre Teresa di Calcutta e dalle sue suore. Lo scarso entusiasmo che il metodo sembra suscitare nei ricchi e moderni paesi occidentali si può forse spiegare anche osservando il modello di comportamento sessuale considerato auspicabile: il metodo Billings, infatti, presuppone una fedeltà di coppia, una sessualità vissuta insieme e con responsabilità di entrambi, molto lontana dal mito della completa libertà sessuale e della separazione fra sessualità e procreazione che si è radicato nelle società dell'Occidente.


Discorso del Papa alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze - “Approcci scientifici sull'evoluzione dell'universo e della vita”
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 31 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze sul tema “Approcci scientifici sull'evoluzione dell'universo e della vita”, ricevuti questo venerdì in udienza in Vaticano.


* * *
Illustri signore e signori,
sono lieto di salutare voi, membri della Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione della vostra assemblea plenaria, e ringrazio il professor Nicola Cabibbo per le parole che mi ha cortesemente rivolto a vostro nome. Nella scelta del tema «Comprensione scientifica dell'evoluzione dell'universo e della vita», cercate di concentrarvi su un'area di indagine che solleva grande interesse. Infatti, oggi molti nostri contemporanei desiderano riflettere sull'origine fondamentale degli esseri, sulla loro causa, sul loro fine e sul significato della storia umana e dell'universo.
In questo contesto, è naturale che sorgano questioni relative al rapporto fra la lettura che le scienze fanno del mondo e quella offerta dalla rivelazione cristiana. I miei predecessori Papa Pio XII e Papa Giovanni Paolo II hanno osservato che non vi è opposizione fra la comprensione di fede della creazione e la prova delle scienze empiriche. Agli inizi la filosofia ha proposto immagini per spiegare l'origine del cosmo sulla base di uno o più elementi del mondo materiale.
Questa genesi non era considerata come una creazione, quanto piuttosto come una mutazione o trasformazione. Implicava una interpretazione in qualche modo orizzontale dell'origine del mondo. Un progresso decisivo nella comprensione dell'origine del cosmo è stato la considerazione dell'essere in quanto essere e l'interesse della metafisica per la questione fondamentale dell'origine prima e trascendente dell'essere partecipato. Per svilupparsi ed evolversi il mondo deve prima essere, e quindi essere passato dal nulla all'essere. Deve essere creato, in altre parole, dal primo Essere che è tale per essenza.
Affermare che il fondamento del cosmo e dei suoi sviluppi è la sapienza provvida del Creatore non è dire che la creazione ha a che fare soltanto con l'inizio della storia del mondo e della vita. Ciò implica, piuttosto, che il Creatore fonda questi sviluppi e li sostiene, li fissa e li mantiene costantemente. Tommaso d'Aquino ha insegnato che la nozione di creazione deve trascendere l'origine orizzontale del dispiegamento degli eventi, ossia della storia, e di conseguenza tutti i nostri modi meramente naturalistici di pensare e di parlare dell'evoluzione del mondo. Tommaso ha osservato che la creazione non è né un movimento né una mutazione. È piuttosto il rapporto fondazionale e costante che lega le creature al Creatore poiché Egli è la causa di tutti gli esseri e di tutto il divenire (cfr. Summa theologiae, I, q. 45, a.3).
«Evolvere» significa letteralmente «srotolare un rotolo di pergamena», cioè, leggere un libro. L'immagine della natura come libro ha le sue origini nel cristianesimo ed è rimasta cara a molti scienziati. Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture. È un libro la cui storia, la cui evoluzione, la cui «scrittura» e il cui significato «leggiamo» secondo i diversi approcci delle scienze, presupponendo per tutto il tempo la presenza fondamentale dell'autore che vi si è voluto rivelare. Questa immagine ci aiuta a comprendere che il mondo, lungi dall'essere stato originato dal caos, assomiglia a un libro ordinato. È un cosmo. Nonostante elementi irrazionali, caotici e distruttivi nei lunghi processi di cambiamento del cosmo, la materia in quanto tale è «leggibile». Possiede una «matematica» innata. La mente umana, quindi, può impegnarsi non solo in una «cosmografia» che studia fenomeni misurabili, ma anche in una «cosmologia» che discerne la logica interna visibile del cosmo.
All'inizio potremmo non riuscire a vedere né l'armonia del tutto né delle relazioni fra le parti individuali né il loro rapporto con il tutto. Tuttavia, resta sempre un'ampia gamma di eventi intellegibili, e il processo è razionale poiché rivela un ordine di corrispondenze evidenti e finalità innegabili: nel mondo inorganico fra microstruttura e macrostruttura, nel mondo animale e organico fra struttura e funzione, e nel mondo spirituale fra conoscenza della verità e aspirazione alla libertà. L'indagine filosofica e sperimentale scopre gradualmente questi ordini. Percepisce che operano per mantenersi in essere, difendendosi dagli squilibri e superando ostacoli. Grazie alle scienze naturali abbiamo molto ampliato la nostra comprensione dell'unicità del posto dell'umanità nel cosmo.
La distinzione fra un semplice essere vivente e un essere spirituale, che è capax Dei, indica l'esistenza dell'anima intellettiva di un libero oggetto trascendente. Quindi, il Magistero della Chiesa ha costantemente affermato che «ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio — non è “prodotta“ dai genitori — ed è immortale» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 366). Ciò evidenzia gli elementi distintivi dell'antropologia e invita il pensiero moderno ad esplorarli.
Illustri accademici, desidero concludere ricordando le parole che vi rivolse il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II nel novembre del 2003: «Sono sempre più convinto che la verità scientifica, che è di per sé una partecipazione alla Verità divina, possa aiutare la filosofia e la teologia a comprendere sempre più pienamente la persona umana e la Rivelazione di Dio sull'uomo, una rivelazione compiuta e perfezionata in Gesù Cristo. Per questo importante arricchimento reciproco nella ricerca della verità e del bene dell'umanità, io, insieme a tutta la Chiesa, sono profondamente grato».
Su di voi, sulle vostre famiglie e su tutti coloro che sono associati all'opera della Pontificia Accademia delle Scienze invoco di cuore le benedizioni divine di sapienza e di pace.
[Traduzione dall'inglese de “L'Osservatore Romano”]


LA FAMIGLIA LUOGO DI ESPERIENZA DELLA COMUNIONE – S.E. Card. Carlo Caffarra
Roma, Seraphicum, 28 ottobre 2008
Nella riflessione filosofica di K. Woitila e nel magistero di Giovanni Paolo II il concetto di "comunione – communio personarum" è ritenuta la chiave di volta di tutto il discorso sul matrimonio e sulla famiglia.
In questo sia il filosofo Woitila sia il pontefice Giovanni Paolo II riprendono il magistero del Conc. Vaticano II. Tuttavia ne sviluppano l’insegnamento e ne realizzano una ricezione del Concilio assolutamente originale: un grande arricchimento della Traditio Ecclesiae.
Nel mio intervento vorrei chiarire in primo luogo il concetto di communio personanum. In secondo luogo vorrei mostrare come questa categoria "funzioni" da principio architettonico della dottrina matrimoniale e famigliare. In terzo luogo infine vorrei verificare la capacità che questa dottrina ha di interpretare la situazione in cui oggi versa il matrimonio e la famiglia, e quindi di orientare l’azione educativa e pastorale della Chiesa.
1. IL CONCETTO DI "COMMUNIO PERSONARUM" [CP]
Nella rigorosa determinazione del concetto di CP viene costantemente enunciato il seguente assioma: "Solo le persone sono capaci di esistere in "comunione"" [Lett. Ap. Gratissimum sane 7,1 (2-2-1994); EV ].
Viene istituito un rapporto fra l’essere persona e l’essere in comunione, secondo il quale da una parte la comunione è la condizione esistenziale propria ed esclusiva della persona e dall’altra l’essere della persona, il suo statuto ontologico si svela in grado eminente nella comunione. Si potrebbe dire che la communio è la ratio cognoscendi [della verità] della persona, e la persona è la ratio essendi della communio. Questa correlazione o interdipendenza fra le due grandezze – communio e persona – percorre tutta la riflessione filosofica di K. Woitila e tutto il Magistero di Giovanni Paolo II. Ed anche indica le due vie principali seguite da questa riflessione: l’una più propriamente antropologica in senso generale; e l’altra impegnata nella definizione di CP.
La riflessione antropologica mira a rispondere alla seguente domanda: perché solo la persona è capace di esistere in comunione?
La domanda riprende un tema classico nella riflessione antropologica occidentale, pensato da essa su due versanti distinti. Il versante della domanda sulla natura della persona umana: chi è/ che cosa è l’uomo?; il versante della domanda sulla natura sociale della persona: l’uomo è naturalmente sociale?
Ma il punto di partenza della riflessione di K. Woitila/Giovanni Paolo II non è pensato esattamente in questo modo. Egli ritiene che la domanda sulla persona sia già domanda sulla sua "natura sociale", nel senso che considerare la persona non in relazione con le altre persone può essere al massimo un espediente metodologico, ma da usare, con grande vigilanza teoretica, per non cadere in un’antropo-doxia invece che costruire una vera antropo-logia. Insomma, partire da una riduzione – sia pure solo metodologica – della persona ad individuo è teoreticamente e praticamente assai pericoloso.
Non solo, ma c’è un’altra originalità nello stesso punto di partenza. Natura sociale e natura comunionale della persona umana non denotano la stessa realtà, così come società e comunione non denotano la stessa realtà.
Il testo conciliare che Giovanni Paolo II cita più frequentemente come l’espressione più perfetta della verità comunionale della persona umana, è il seguente: "… l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" [Cost. past. Gaudium et spes 24,3; EV 1/1395].
Nei commenti molteplici che K. Woitila/Giovanni Paolo II fa di questo testo conciliare troviamo l’esposizione esemplare della sua antropologia comunionale. La vorrei ora esporre sinteticamente.
La "paradossalità" della persona umana è costituita dal fatto che essa è stata voluta da Dio creatore "per se stesso": essa esiste per se stessa. Ma nello stesso tempo essa "non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé". La struttura auto-teleologica della persona si realizza pienamente e paradossalmente nel dono sincero che la persona fa di se stessa. Essa perde se stessa, non troverebbe mai se stessa, se rifiuta di donare se stessa: l’auto-donazione è il logos della persona, è il senso ultimo del suo "essere per se stesso" [cfr. per es. K. Woitila, La famiglia come "communio personarum", in Metafisica della persona, Bompiani ed., Milano 2003, pag. 1467].
Si noti bene che non stiamo facendo una riflessione etica circa il dover-essere della persona, ma una riflessione metafisica circa l’essere della persona.
Donde deriva questa costituzione comunionale della persona? O meglio: per quale ragione la persona umana è se stessa e per se stessa pienamente solo quando dona se stessa?
La risposta è duplice. Una teologica: l’essere l’uomo "ad immagine e somiglianza di Dio" [cfr. Gen 1,22] "non trova … conferma solo nella natura razionale e libera – cioè spirituale – dell’uomo … questa similitudine dell’uomo con Dio si ha in ragione del rapporto o relazione che unisce le persone" [K. Woitila, La famiglia come "communio personarum" …cit. pag. 1466]. La struttura comunionale della persona umana trova la sua spiegazione ultima nel mistero trinitario, nel mistero cioè che è l’Unità delle tre Persone in un’unica Divinità.
Esiste anche una risposta antropologica. È la struttura della persona come tale che la rende capace di dono, del "dono sincero di sé". Proprio perché è persona, l’uomo è capace di donare se stesso. Solo infatti l’essere che è auto-possesso ed auto-dominio, è capace di donare se stesso. Nessuno dona ciò di cui non è in possesso. Se pertanto l’auto-donazione denota direttamente un modo di agire, questo modo di agire trova la sua spiegazione ultima nell’essere della persona: operari sequitur esse. Come dicevo, il dono di sé rivela la persona, è causa cognoscendi personam; l’essere della persona è causa essendi del dono di sé.
In realtà l’affermazione conciliare, vera stella polare dell’antropologia comunionale di Giovanni Paolo II, parla dell’uomo che "trova pienamente se stesso"; e per contrario che "perde se stesso" nel rifiuto del dono di sé. È a questo punto che si pone la domanda ultima, radicale: perché la struttura propria della persona, la struttura di auto-possesso e auto-dominio, è custodita nel dono [l’uomo trova se stesso] e non nel rifiuto del dono di sé, che pure manifesta che la persona possiede e domina se stessa?
Se non vado errato, la risposta più articolata a questa domanda è data nel saggio Partecipazione o alienazione pubblicato nel 1977 [ora, in K. Woitila, Metafisica della persona, cit. pagg. 1387-1407], che approfondisce l’ultima parte della principale opera filosofica Persona e atto. Non è possibile seguire tutta la riflessione nei suoi vari passaggi nel contesto di questa conferenza. Mi limito ancora una volta all’essenziale.
Due sono i dati cognitivi di partenza. Il primo: io vivo ed agisco insieme con altri, e l’altro è un essere umano che vive ed agisce con me; il secondo: la coscienza di conseguenza che io ho di me stesso include sempre anche ogni altro, sia esso prossimo o remoto.
Nell’agire con l’altro, nella co-operazione, comprendo che l’altro è costituito in modo simile a me; comprendo che anche egli è un "io": che anche l’altro partecipa alla stessa maniera all’umanità, nella modalità cioè che è propria della persona. Si istituisce un legame che non è dovuto all’essere appartenenti alla stessa tribù, popolo … È dovuto all’essere appartenenti alla stessa umanità come persona.
L’essenza dell’altro io si rivela non nella separazione dal mio io, ma nella partecipazione alla stessa umanità. "La realtà dell’altro, pertanto, non deriva da una cognizione categoriale, dall’umanità intesa come essere concettualizzato dell’uomo, ma è il risultato di un’esperienza ancora più ricca, in cui avviene una specie di trasferimento di ciò che ci è dato come il nostro stesso io, al di fuori di sé, a uno degli altri, che, in tal modo, mi appare come un "differente io" – "un altro io" – "simile o prossimo" [Metafisica della persona, cit. pag. 1391]".
La relazione "io – gli altri" non è l’applicazione di un concetto astratto di umanità a sé e agli altri. È una relazione vissuta nella concretezza, sempre unica ed irripetibile, di ogni incontro con un altro.
La negazione dell’altro come "io", la sua degradazione da alius [alter ego] ad aluid pertanto costituisce un grave impoverimento di se stesso: appunto – come recita il Concilio – una perdita di se stesso. La struttura dell’auto-possesso e dell’auto-determinazione, che rende capace la persona di donare se stessa, è tradita, e come impoverita e dilapidata, se non si realizza nel fare esperienza, nel riconoscimento dell’altro "io" in quanto persona. La fondamentale personalizzazione della relazione di ogni essere umano con ogni essere umano è l’unica via retta per realizzare, per "trovare pienamente se stesso". Essa certamente ha vari gradi: dall’unicuique suum tribuere et alteri non laedere, come dicevano i giuristi romani, fino al dono di sé che istituisce la CP.
Possiamo finalmente, giunti a questo punto, tentare una definizione di CP. Essa è la relazione costituita fra due o più persone che reciprocamente donano e ricevono il proprio stesso io. La CP è una realtà intelligibile che ha una intrinseca verità: è l’unità che si costituisce fra persone che donano se stesse. Ha una sua intrinseca bontà o preziosità: è il bene della comunione, il bene comune che, per sua natura, mentre unisce le singole persone, assicura il vero bene di ciascuna.
2. MATRIMONIO E FAMIGLIA COME CP
Sul piano soprannaturale la forma più alta della CP è la communio ecclesialis. Sul piano naturale è il matrimonio e la famiglia. Tralasciando di parlare della prima, vorrei ora mostrarvi come il suddetto concetto di CP funzioni da principio architettonico della dottrina matrimoniale e famigliare di K. Woitila/Giovanni Paolo II.
Già nel 1975, sempre citando GS 24, scrive "Pare che questa dottrina dell’uomo, questa antropologia teologica, giunga come al nocciolo stesso di questa realtà umana che si chiama famiglia" [Metafisica della persona, cit., pag. 1464-1465]. La duplice affermazione antropologica – la persona è per se stessa, la persona trova se stessa nel dono di sé – è la verità, è il logos – "il nocciolo" – della famiglia.
Infatti, continua lo stesso testo, "da ogni punto di vista alla base di questa realtà dobbiamo porre l’uomo. Ogni uomo da essa trae il suo inizio, proprio come "creatura che Dio vuole per se stesso. E ognuno in essa, nella famiglia e attraverso la famiglia, cerca la realizzazione di quella verità su di sé che le parole sopra citate esprimono".
Tutto il Magistero di Giovanni Paolo II sul matrimonio e la famiglia è costruito su questo progetto personalista: sia la dottrina propriamente detta sia l’etica. Vediamo come, iniziando dalla riflessione sul matrimonio.
Il testo forse più sintetico lo troviamo nella Lett. Ap. Gratissimun sane [8,3, EV ]: "L’uomo e la donna nel matrimonio si uniscono tra loro così saldamene da divenire – secondo le parole del Libro della Genesi – "una sola carne" (Gen 2,24). Maschio e femmina per costituzione fisica, i due soggetti umani, pur somaticamente differenti, partecipano in modo uguale alla capacità di vivere "nella verità e nell’amore". Questa capacità, caratteristica dell’essere umano in quanto persona, ha una dimensione spirituale e corporea insieme. È anche attraverso il corpo che l’uomo e la donna sono predisposti a formare una "comunione di persone"".
Giova fare alcune sottolineature a questo testo concettualmente assai ricco.
La capacità di "vivere nella verità e nell’amore" equivale alla capacità di "trovare pienamente se stessi nel dono di sé stessi": capacità ugualmente presente nell’uomo e nella donna, essendo radicata nella costituzione ontologica della persona.
Ma questa capacità non è solo inscritta nella dimensione spirituale della persona, ma anche nella sua dimensione corporea. È questa un’affermazione centrale in tutta la riflessione antropologica di K. Woitila e nel magistero di Giovanni Paolo II. Il corpo è capace di esprimere e realizzare l’autodonazione della persona. È questa capacità al contempo spirituale e corporea, che definisce l’intima identità di ogni uomo e di ogni donna.
La natura propria della CP che si istituisce nel matrimonio e precisamente questa: è la persona umana in quanto uomo e la persona in quanto donna che fa dono si sé. Nel dono di sé che costituisce la CP del matrimonio, è parte integrante il corpo in quanto maschile – in quanto femminile. Mascolinità e femminilità in quanto configurano la capacità della persona di autodonarsi, sono la base e la radice antropologica della communio coniugalis.
È una antropologia della persona-uomo e della persona-donna, e del dono che viene pensata. Il dono di sé in cui la persona trova pienamente se stessa sta alla base della comunione coniugale; ed il dono è causato da un amore interpersonale specifico, l’amore sponsale. La coniugalità è una particolare relazione istituita dal dono di sé, e che non ha solo una dimensione spirituale ma anche fisica. È istituita dal corpo e nel corpo in ragione e a causa della mascolinità/femminilità di esso.
Il modo proprio dell’auto-donazione reciproca degli sposi è dato dalla diversità del loro corpo e del loro sesso, e contemporaneamente dall’unione in questa diversità ed attraverso questa diversità.
Certamente la relazione coniugale ha molteplici aspetti e può essere analizzata da vari punti di vista. Sembra tuttavia che la categoria e la logica del dono che costituisce la CP abbiano un’importanza chiave, e siano imprescindibili. Anche nel pensare il sorgere della famiglia dalla comunione coniugale.
Il fatto che il legame coniugale diventi legame di paternità-maternità – il fatto cioè della procreazione umana – deve essere compreso alla luce della categoria del dono e della CP. Come cercherò ora di mostrare.
Se non vado errato, K. Woitila/ Giovanni Paolo II pensa in questo modo la generazione umana percorrendo due vie di riflessione.
La prima è un approfondimento della logica intrinseca alla comunione coniugale nella sua duplice dimensione spirituale e corporea. Essa è esposta in modo particolarmente suggestivo in un saggio del 1975 dal titolo Paternità-maternità e la "communio personarum" [ora in Metafisica della persona, cit. pagg. 1481-1499] e al n° 12 della Lett. Ap. Gratissimum sane [cfr. EV]. Mi limito al primo. "La communio personarum esige sempre nel rapporto coniugale l’affermazione dell’essere genitori o dell’esserlo potenzialmente. I coniugi devono portare nell’atto sessuale quella convinzione e disponibilità che si esprimono nella coscienza del "posso diventare padre – posso diventare madre". Il rifiuto di questa convinzione e di questa disponibilità minaccia la relazione interpersonale, appunto quella communio personarum …". Il testo è lungo. Mi limito ad esplicitare il punto centrale: il rifiuto libero e consapevole della genitorialità nega il logos della coniugalità come CP.
La seconda via di riflessione entra più direttamente nella natura dell’atto generativo, considerato sia attivamente sia passivamente, come atto in cui si realizza la logica della comunione.
La venuta all’esistenza di una nuova persona umana non è semplicemente funzionale alla perpetuazione della specie umana. Ogni persona umana è "voluta per se stessa" dall’atto creativo di Dio, responsabile dell’esistenza di ogni e singola persona umana. La generazione umana non è solo la trasmissione di una vita biologica attraverso la catena degli individui. Ogni concepimento umano è un quid unico, e spezza ogni ripetitiva continuità. Ciò è vero non solo in ragione dell’individuazione genetica, ma in ragione del fatto che ogni persona è unica ed insostituibile. È appunto "voluta per se stessa".
I genitori non possono non volere "per se stesso" il figlio: devono riconoscerne lo statuto e la dignità di persona. Il figlio entra nella comunione coniugale già da sempre come persona, e chiede di essere riconosciuto ed affermato come tale. La paternità – la maternità è un fatto biologico, ma nel bios si avvera la genealogia della persona e la trasmissione dell’humanum. L’educazione è una continua generazione "fino a quando la persona sia formata".
Ma il dono di sé non va solo nella direzione genitore-figlio, ma è anche reciproco. Entrando subito già come persona, il figlio è capace di donare: il dono è il suo stesso esserci.
Si realizza in pienezza l’assioma antropologico del Vaticano II. Proprio perché la persona dell’uomo e della donna come coniugi esiste per se stessa, ritrova pienamente se stessa nel dono si sé e nel dono che sono per il figlio in quanto coniugi. Il figlio nel suo essere persona "voluta per se stessa" diventa se stesso – cresce in umanità – proprio nel dono che di sé fa ai genitori.
La conclusione, e pongo fine a questo secondo punto della mia relazione, che deriva da questa visione personalistica e comunionale del matrimonio e della famiglia, è che la famiglia è fondata sul matrimonio. È che essa è insostituibile, perché la trasmissione della vita a nuove persone possa essere un evento di CP, e quindi di educazione della persona. L’insostituibilità trova la sua ragione nella sua intima natura comunionale. Nessuna istituzione possiede una tale natura con uguale intensità, e pertanto essa è unica nella sua capacità generativa dell’humanum. Così unica da non avere equivalenti in senso vero e proprio.
3. DENTRO LA POST-MODERNITA’
Vorrei in questo ultimo punto della mia riflessione considerare la situazione in cui versa matrimonio e famiglia nel nostro occidente post-moderno, alla luce della riflessione precedente. Molto schematicamente: me ne scuso.
A scanso di equivoci gravi, il mio non è un discorso statistico ed ancor giudizio sulle persone. È il tentativo di individuare il profilo di una condizione spirituale in cui ci troviamo. Ciò che sostengo è la seguente tesi: la riflessione precedente è una adeguata chiave interpretativa e valutativa. È questa tesi che cercherò di mostrare in atto.
Come ho ripetuto fino alla noia, la riflessione di K. Woitila e il Magistero di Giovanni Paolo II connettono inscindibilmente la dottrina del matrimonio e della famiglia e la dottrina antropologica. Matrimonio e famiglia sono radicate nella natura della persona umana. Questa proposizione è al contempo descrittiva e prescrittiva: dice logos ed ethos del matrimonio e della famiglia. La dottrina rivelata è confermata dall’esperienza umana e l’esperienza umana introduce nella dottrina rivelata.
Ritengo che alla radice di tutte le difficoltà che oggi la proposta cristiana incontra a riguardo del matrimonio ci sia la sconnessione operata nella e dalla post-modernità fra matrimonio e famiglia e natura della persona umana. È una sconnessione che ha condotto e sta conducendo verso una totale artificializzazione della famiglia e del matrimonio: essi sono pensati come mere "convenzioni" sociali, la cui definizione è esclusivamente il frutto del consenso sociale.
La sconnessione di cui sto parlando è dovuta alla negazione, ormai giunta al suo capolinea, di una natura umana quale criterio veritativo e valutativo universalmente valido. È l’affermazione della relatività di ogni forma che l’humanum può prendere, a rendere impensabile una radicazione di matrimonio e famiglia in un logos ed in un ethos stabili e permanenti. La progressiva introduzione negli ordinamenti giuridici del "matrimonio omossessuale" rivela la profondità della sfida.
Se c’è un dato che emerge con chiarezza solare dalla riflessione di K. Woitila e dal Magistero di Giovanni Paolo II, è che la verità del matrimonio e della famiglia e la verità circa l’uomo hanno la stessa sorte: simul stant – simul cadunt.
Il tempo non mi consente ora di verificare queste affermazioni sulle fondamentali articolazioni della dottrina del matrimonio. Mi limito ad una sola: l’insignificanza della diversità sessuale umana. Come persona umana e come cristiani non possiamo accettare questo che è forse il più grave errore antropologico di cui si avvelena la post-modernità.
Insignificanza significa che la mascolinità e la femminilità non sono i due modi di essere dell’humanum come tale, ma sono solamente forme dell’humanum relative a condizioni storiche e da queste prodotte. Il dato biologico che ovviamente è fuori ogni discussione, non rimanda a niente oltre se stesso.
Nella Lett. Ap. Gratissimun sane Giovanni Paolo II scrive: "Tale loro costituzione [= l’essere uomo e donna], con la specifica dignità che ne deriva, definisce sin "dal principio" le caratteristiche del bene comune dell’umanità in ogni dimensione ed ambito di vita. A questo bene comune ambedue, l’uomo e la donna, recano il contributo loro proprio, grazie al quale si ritrova, alle radici stesse della convivenza umana, il carattere di comunione e di complementarietà" [6,4; EV ]. L’espulsione dalla coscienza della verità e della bontà propria della diversità sessuale muta la natura ed il profilo stesso del bene umano comune; dissesta cioè ogni forma di società umana. Ciò diventa particolarmente evidente nella relazione coniugale.
Devo porre fine alla mia riflessione. Credo che la consegna lasciata da Giovanni Paolo II agli uomini di pensiero ed agli educatori è la seguente: aiutare l’uomo a non perdere se stesso, a non dimenticare la verità di se stesso, a non dilapidare la preziosità di se stesso. Ne evacueter Crux Christi: perché Cristo non sia morto invano.


L'inno manzoniano per la solennità di tutti i santi
Quando il poeta diventa teologo - di Inos Biffi – L’Osservatore Romano 3 novembre 2008

Nell'elenco dei dodici inni, che Alessandro Manzoni aveva progettato a commento delle principali solennità dell'anno liturgico, era anche contemplato un inno per tutti i santi, l'Ognissanti, che rimase tuttavia incompleto, mentre non vennero composti quelli per l'Epifania, l'Ascensione, il Corpo del Signore, la Cattedra di san Pietro, l'Assunzione e i Morti.
Il poeta lo inizia nel 1830, ma la stesura, già da subito, non deve averlo soddisfatto; di quella stesura eliminata resta soltanto il titolo, cui fanno seguito tre citazioni bibliche: "... in omnibus Christus. (Paul. Col. iii, 11); Multa quidem membra, unum autem corpus. (Cor. i. xii, 20); Omnes enim vos estis Unum in Christo Jesu. (Gal. iii, 28)", le quali concordano sul tema dell'unità del Corpo di Cristo, formato dalla molteplicità delle membra e, in questa prospettiva, una visione degli stessi santi contemplati in quest'unico Corpo.
Una lettera al figlio Pietro del 1847 indica che un terzo dell'inno è finito, ma gli raccomanda di non farne parola a nessuno. Di fatto sappiamo che il testo incompiuto fu letto da Rosmini. Più tardi, nel 1860, quattro sue strofe vennero pubblicate da Louise Colet, alla quale Manzoni stesso le aveva fatte conoscere, mentre il tutto vide la luce nel 1914.
Senza dubbio, per la sua incompiutezza non ci è possibile conoscere e gustare tutta la visione che Manzoni aveva concepito o ci avrebbe dato nell'interezza; e tuttavia le strofe che ci ha lasciato sono di una incomparabile bellezza di poesia e di teologia della santità cristiana.
Ripassano nelle quattordici strofe due categorie di santi: quelli che sono vissuti nel chiostro, quelli raggiunti dalla misericordia divina con la grazia della conversione, mentre considerata a sé, come incomparabile, viene al terzo posto la Vergine Maria.
La prima categoria rievocata da Manzoni è quella dei santi vissuti nella solitudine o che, com'è scritto da Manzoni in appunti sparsi, hanno serbato "i silenzi del cor". Con tutta l'intensità e l'ardore del loro desiderio essi hanno cercato Dio come si cerca il Sole, che, ancora velato dalle nebbiose ombre terrene - "ora vediamo in modo confuso", afferma l'Apostolo - li riveste adesso con la pienezza straripante e beatificante della sua luce nitida e splendente: "Cercando col cupido sguardo, / Tra il vel della nebbia terrena, / Quel Sol che in sua limpida piena / V'avvolge or beati lassù".
Il mondo, nella sua superbia, disprezza la santità fasciata dal silenzio - come dice la Scrittura: la "sapienza nascosta e tesoro invisibile" (Siracide, 20, 30) - quella dei contemplativi, degli anacoreti, degli asceti penitenti, dei mistici; al suo giudizio le virtù esercitate in solitudine, operosamente raccolte e gelosamente conservate, non appaiono meritevoli dell'onore degli altari, ma solo un patrimonio insignificante e infruttuoso: "Il secol vi sdegna, e superbo / Domanda qual merto agli altari / V'addusse; che giovin gli avari / Tesor di solinghe virtù".
La domanda va fatta al Creatore.
Dalla sua provvida cura, e a utilità degli uomini, sono certo venuti la spiga di grano, che alimenta la vita, le fibre per intesser le vesti, le erbe con virtù medicinali: "nell'erba del campo / La spiga vitale nascose, / Il fil di tue vesti compose, / De' farmachi il succo temprò".
E sempre per la creazione divina sono apparsi il pino, che non si piega al vento australe - "il pino inflessibile agli austri" - il salice che, condiscendente, si lascia piegare (lenta salix di Virgilio) - "docile il salcio alla mano"; il larice, che resiste alle intemperie invernali, come l'ontano resiste alle acque - "il larice ai verni, e l'ontano durevole all'acque".
E qui pare di scorgere il gusto di Manzoni esperto di botanica nel far passare e illustrare, in poetica e compiaciuta rappresentazione, erbe e piante, quasi connotati di qualità o risonanze morali: si pensi alla docilità del salice e, all'opposto, alla non flessibilità del pino.
Ma nel mondo non esistono solo creature di visibile e immediata utilità per l'uomo. Con "la spiga vitale", con gli arbusti per i tessuti e le erbe medicinali, spunta e si ritrova un fiore silenzioso, che parrebbe superfluo e creato vanamente. Eppure c'è ed è il Creatore che lo ha fatto apparire.
È quindi a lui che deve rivolgere la domanda chi disdegna come sterile e inservibile la santità dei solitari: "A Quello domanda, o sdegnoso, / Perché sull'inospite piagge, / Al tremito d'aure selvagge, / Fa sorgere il tacito fior, / Che spiega davanti a Lui solo / La pompa del pinto suo velo, / Che spande ai deserti del cielo / Gli olezzi del calice, e muor".
Mi sembrano, questi, i versi tra i più belli di Manzoni. Il "tacito fior" - ecco un'altra connotazione morale: la silenziosità - trova la sua unica ragione nello stesso suo Creatore: di fronte a lui quel fiore sperduto dispiega lo splendore dei suoi colori, e per lui effonde i suoi profumi; colori e profumi non risultano allora sciupati, poiché rallegrano lo sguardo di Dio e sono un piacere unicamente per lui. La breve vicenda di un fiore che sboccia, con le sue "spoglie lucenti", che spande "i fuggenti olezzi del calice" (Appunti sparsi) e che poi muore, poteva sembrare uno sperpero, e fu invece un atto di gratuita e pura adorazione.
Così è della santità: pur nascosta e lontana dai clamori e dagli elogi del mondo essa vale, perché gradita e preziosa agli occhi di Dio. E qui la poesia di Manzoni si trasfigura in alta e ispirata teologia.
La seconda categoria di santi cantata da Manzoni comprende coloro che sono giunti alla santità dopo aver conosciuto la gravità della colpa e averla espiata: per lungo tempo incamminati su strade oscure del male, vittime di piaceri ingannevoli e funesti, fatalmente in corsa verso un baratro, si sono mirabilmente trovati nel seno di una sconfinata misericordia: "E voi che gran tempo per ciechi / Sentier di lusinghe funeste, / Correndo all'abisso, cadeste / In grembo a un'immensa pietà".
Manzoni forse in questi versi pensava alla propria conversione, che egli circondò sempre di grande discrezione e riserbo, invitando a rendere grazie a Dio.
È difficile non essere profondamente toccati dai due ultimi versi: "Correndo all'abisso cadeste / In grembo a un'immensa pietà", che ci fanno pensare a quelli di Dante: "Ma la bontà infinita ha sì gran braccia / che prende ciò che si rivolge a lei" (Purgatorio, ii, 122-123).
Tutto portava a pensare che l'abisso dell'inferno e della dannazione avrebbe accolto quei peccatori, ma, per il miracolo del perdono, invece che in quell'abisso, essi si ritrovarono nel tenerissimo abbraccio dell'infinito amore divino. I convertiti santi, ma pensiamo anche a tutti i convertiti, come l'Innominato - e in realtà tutti i santi - sono frutti della pietà di Dio.
A somiglianza delle acque sotterranee che, dopo tortuosi percorsi, finalmente trovano la via per erompere e sboccare in un limpido zampillo - in "lucido sgorgo" - essi, ormai purificati, sono risaliti, raggiungendo la vetta della santità; e segnati dalla contrizione e dal coraggio, alimentano nel pianto per le colpe passate l'audace tensione a nobili propositi: "Sorgeste già puri, e la vetta, / Sorgendo, toccaste, dolenti / E forti, a magnanimi intenti / Nutrendo nel pianto l'ardir".
Né essi devono nascondere pudicamente le ferite lasciate in loro dai peccati trascorsi: quelle ferite recano l'impronta di Dio che le ha rimarginate; quella memoria "costituisce una promessa di salvezza e la prova del potere e della bontà di Dio" (Valter Boggione): "Un timido ossequio non veli / Le piaghe che il fallo v'impresse: / Un segno divino sovr'esse / La man, che le chiuse, lasciò".
La terza parte del canto è tutta riservata a Maria, che "non ha avuto bisogno del perdono perché ebbe intatta la bellezza della natura umana, quale Dio l'aveva donata ad Adamo: non fu toccata "prima" dal peccato originale e neppure "poi" dal peccato attuale: qui sta il capolavoro dell'"Amor che tutto può"" (Giovanni Colombo).
Nelle tre brevi strofe che concludono il canto il poeta mostra di aver colto con acuta precisione il senso del dogma dell'immacolata: Maria non fu purificata dalla colpa, ma è tornata al cielo - ed è il dogma dell'Assunta - adorna della grazia nella quale era stata concepita e che precedette ogni remissione. Come canta la Chiesa: Tota pulchra es Maria, et macula originalis non est in te.
Questa innocenza non fu, tuttavia, un merito della Vergine, ma il gratuito dono dell'Amore divino onnipotente: "Tu sola a Lui festi ritorno / Ornata del primo suo dono; / Te sola più su del perdono / L'Amor che può tutto locò".
Maria è salutata dall'angelo come colei che fu da sempre l'immensamente amata.
Per questo non venne contagiata dall'insidioso e avverso Serpente: "Te sola dall'angue nemico / Non tocca né prima né poi".
Soltanto su noi egli riuscì indecentemente vincitore: "(...) appena su noi / L'indegna vittoria compiè". Secondo la profezia della Genesi, il suo capo orgoglioso fu invece schiacciato dal piede incontaminato della Vergine: "Traendo l'oblique rivolte, / Rigonfio e tremante, tra l'erba, / Sentì sulla testa superba / Il peso del puro tuo piè".
La descrizione di rara efficacia di quell'"angue nemico" che, turgido e spaventato, sopravviene sinuosamente tra l'erba, richiama il verso virgiliano: latet anguis in herba (Bucoliche, 3, 93), e quello dantesco: "Occulto come in erba l'angue" (Inferno, vii, 84), e l'altro: "Tra l'erba e' fior venìa la mala striscia, / volgendo ad ora ad or la testa, e'l dosso / leccando come bestia che si liscia" (Purgatorio, viii, 100-102).
Così Manzoni, di là dalla santità dei contemplativi e da quella dei santi penitenti, ha ritratto l'innocenza di Maria, modello di tutta la santità cristiana, ancora una volta mostrando la sua luminosa dottrina mariana e la fervida devozione alla Vergine, di cui sono cosparse la sua poesia e la sua prosa.
Ognissanti
... in omnibus Christus. (Colossesi, III, 11)
Multa quidem membra, unum autem corpus. (1 Corinzi, XII, 20)
Omnes enim vos estis Unum in Christo Jesu. (Galati, III, 28)

Cercando col cupido sguardo,
Tra il vel della nebbia terrena
Quel Sol che in sua limpida piena
V'avvolge or beati lassù;

Il secol vi sdegna, e superbo
Domanda qual merto agli altari
V'addusse; che giovin gli avari
Tesor di solinghe virtù.

A Lui che nell'erba del campo
La spiga vitale nascose,
Il fil di tue vesti compose,
De' farmachi il succo temprò,
Che il pino inflessibile agli austri,
Che docile il salcio alla mano,
Che il larice ai verni, e l'ontano
Durevole all'acque creò;

A Quello domanda, o sdegnoso,
Perché sull'inospite piagge,
Al tremito d'aure selvagge,
Fa sorgere il tacito fior,

Che spiega davanti a Lui solo
La pompa del pinto suo velo,
Che spande ai deserti del cielo
Gli olezzi del calice, e muor.

E voi che gran tempo per ciechi
Sentier di lusinghe funeste,
Correndo all'abisso, cadeste
In grembo a un'immensa pietà;

E, come l'umor, che nel limo
Errava sotterra smarrito,
Da subita vena rapito
Che al giorno la strada gli fa,

Si lancia e, seguendo l'amiche
Angustie, con ratto gorgoglio,
Si vede d'in cima allo scoglio
In lucido sgorgo apparir,

Sorgeste già puri, e la vetta,
Sorgendo, toccaste, dolenti
E forti, a magnanimi intenti
Nutrendo nel pianto l'ardir,

Un timido ossequio non veli
Le piaghe che il fallo v'impresse:
Un segno divino sovr'esse
La man, che le chiuse, lasciò.

Tu sola a Lui festi ritorno
Ornata del primo suo dono;
Te sola più su del perdono
L'Amor che può tutto locò;

Te sola dall'angue nemico
Non tocca né prima né poi;
Dall'angue, che, appena su noi
L'indegna vittoria compiè,

Traendo l'oblique rivolte,
Rigonfio e tremante, tra l'erba,
Sentì sulla testa superba
Il peso del puro tuo piè.
(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)


In aumento nel mondo il fenomeno dei trapianti illegali che coinvolge specialmente bambini - Il commercio degli organi - una moderna schiavitù - di Danilo Quinto – L’Osservatore Romano, 3 novembre 2008
All'interno della tratta degli esseri umani - un'industria che secondo i dati diffusi a Vienna all'inizio di quest'anno, durante la prima Conferenza mondiale sul tema, vale trentadue miliardi di dollari - esiste anche il fenomeno della tratta a scopo di traffico di organi per trapianti illegali.
La schiavitù moderna prevede che la persona umana sia adoperata per vari usi, come merce di scambio: oltre che per pedopornografia, prostituzione, lavoro e matrimoni forzati, adozioni, anche, appunto, per commercio di organi.
L'Organizzazione mondiale della sanità stima che dei sessantaseimila trapianti di rene effettuati nel mondo nel 2007, circa il dieci per cento siano illegali.
Si preleva l'organo da un povero del terzo mondo, pagandolo a prezzi "stracciati" e lo si rivende a migliaia di dollari agli occidentali che ne hanno necessità. Avviene in molti Paesi.
La domanda di organi per il trapianto, che cresce ad un ritmo del 33 per cento l'anno, conosce un'offerta di donatori che è pari solo al 2 per cento. Le liste d'attesa diventano lunghe, estenuanti. Ci si affida, quindi, all'"organizzazione", complessa e ben articolata, che gestisce i "donatori" di organi, che sono coloro che sopravvivono nei quartieri degradati del Brasile, dell'India, del Pakistan, delle Filippine.
Nel mese di febbraio di quest'anno, i vescovi delle Filippine hanno chiesto al Governo "regole più severe" in materia di donazione di organi, condannando "ogni forma di vendita e traffico illecito di organi", soprattutto di reni.
"La vendita e il commercio di organi - ha affermato monsignor Angel Lagdameo, arcivescovo di Jaro e presidente della Conferenza episcopale - è moralmente inaccettabile". Sono stati denunciati l'abuso della vendita di reni, che sfrutta la povertà di tanta gente. "Comprendiamo i poveri, che non dovrebbero essere biasimati per questo; sono esseri umani e non possono essere trattati come merci. Incoraggiamo invece la donazione volontaria di organi dopo la morte e anche da donatori viventi".
Secondo il Dipartimento della salute filippino, il costo di un rene è stimato intorno ai tremilaseicento dollari, dei quali il donatore riceve solo un terzo della somma; i due terzi vanno ad intermediari. Nell'aprile di quest'anno, il Governo filippino, "per proteggere i poveri dal mercato nero della vendita di organi", ha messo al bando tutte le donazioni di reni in favore di cittadini stranieri. L'unica eccezione prevista è nel caso si possa dimostrare una parentela di sangue tra donatore e paziente.
Nel 1994, il Governo federale indiano ha introdotto la legge sul trapianto di organi umani, per controllare i trapianti di tutti gli organi. Per favorire l'attuazione della legge, tutti gli Stati hanno istituito delle commissioni per l'autorizzazione dei trapianti. Senza l'approvazione della commissione, nessun parente o altra persona può donare un rene, ma ciò nonostante la situazione non appare migliorata.
Il 6 febbraio 2008, si è conclusa in Nepal la storia di un medico-chirurgo indiano che per la polizia ha organizzato il maggiore tra i racket di trapianto di rene finora scoperti. A chi l'ha arrestato, che gli contestava 500 trapianti illegali, il dottore avrebbe detto che il numero era almeno di tremila reni espianti dai poveri e trapiantati agli occidentali nel suo ospedale.
La Cina, nel maggio 2007, ha proibito qualsiasi commercio di organi umani. La decisione del Consiglio di Stato ha risposto all'accusa, da più parti formulata, che funzionari pubblici e medici prelevino senza consenso e vendano gli organi di condannati a morte e di vittime di incidenti stradali. Ai medici coinvolti in simili traffici sarà revocata la licenza e per cliniche e ospedali sarà sospesa ogni operazione di trapianto per almeno tre anni. Per i funzionari pubblici ci sarà l'arresto e il licenziamento e per tutti una multa da otto a dieci volte il valore della "vendita".
È accertato che in Pakistan si vendono oltre 6.500 reni l'anno.
In Afghanistan sono in corso indagini su alcuni centri clinici che al tempo dei talebani avrebbero fornito supporto di personale e di attrezzature ai trafficanti di organi.
Per anni, le Suore di Santa Maria hanno denunciato la scomparsa di bambini a Maputo, in Mozambico. Nel febbraio del 2004, viene uccisa a Nampula, la missionaria luterana, di origine brasiliana Doraci Julita Edinger, di 53 anni, in Africa da sei anni. Aveva rotto il muro di omertà sulla sorte di molti bimbi fatti a pezzi dai trafficanti di organi. Prima l'hanno violentata, poi l'hanno uccisa a martellate.
Molti elementi fanno ritenere che una "fonte" per il traffico di organi sia costituito dai bambini, "invisibili" o "intoccabili", come vengono chiamati: i primi, sono i bambini che scompaiono nel nulla; i secondi sono i non registrati, quarantotto milioni nel mondo, secondo le stime, oltre tre quarti dei quali nell'Africa subsahariana e nel sud-est asiatico, ma anche in America Latina, dove, in base ai dati, un bambino su sei non esiste.
Che il commercio di parti del corpo umano sia una realtà e non una leggenda - come in molti colpevolmente sostengono - lo testimoniano anche atti parlamentari.
Il Parlamento europeo, quest'anno, due volte è intervenuto sul tema. Entrambe le volte, affermando che anche l'Europa è interessata da questo fenomeno.
Nel mese di gennaio, è stata la Commissione affari interni del Parlamento europeo a sostenere: "Considerando che sebbene le stime attuali pongano il traffico di organi in posizione relativamente bassa tra tutte le forme di traffico illecito, il traffico di organi e tessuti sta diventando sempre più un problema globale che si verifica all'interno e attraverso le frontiere nazionali ed è sostenuto dalla domanda (stima di 150-250 casi all'anno in Europa)".
Nel mese di aprile, una risoluzione del Parlamento europeo afferma che traffico, commercializzazione e turismo dei trapianti "sono in rapido sviluppo", che "vi è un legame tra penuria di organi e traffico" e sottolinea come sia "necessario disporre di ulteriori dati sul traffico di organi". Denuncia anche che quattro Stati membri non hanno ancora ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale; cinque Stati membri non hanno ratificato il relativo protocollo aggiuntivo per prevenire, eliminare e punire la tratta di esseri umani, specialmente donne e bambini ("il Protocollo di Palermo"); nove Stati membri non hanno ratificato il protocollo facoltativo della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo sulla vendita di bambini, la prostituzione infantile e la pedo-pornografia; diciassette Stati membri non hanno ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro il traffico di essere umani.
Il testo sottolinea che qualsiasi sfruttamento commerciale di organi non è etico ed è contrario ai valori umani fondamentali e che la donazione di organi dettata da considerazioni di carattere finanziario degrada il dono dell'organo a semplice merce di scambio, il che costituisce una violazione della dignità umana e viola l'articolo 21 della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla bio-medicina ed è proibito ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Il Parlamento europeo ritiene che, per combattere il traffico di organi nelle parti più povere del mondo, sia necessario adottare una strategia a lungo termine, finalizzata ad abolire le disuguaglianze sociali che sono alla radice di tali pratiche; sottolinea che, per poter combattere la pratica della vendita di organi in cambio di soldi (specialmente nei Paesi in via di sviluppo), occorre predisporre meccanismi di tracciabilità, al fine di impedire che questi organi entrino nell'Unione europea.
La risoluzione invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare misure per prevenire il "turismo di trapianti", elaborando orientamenti volti a proteggere i donatori più poveri e vulnerabili contro il rischio di essere vittime del traffico di organi e adottando misure che accrescano la disponibilità di organi ottenuti in modo legale e mediante lo scambio di registrazioni di liste di attesa fra le organizzazioni per lo scambio di organi per evitare iscrizioni multiple alle liste.
Esorta gli Stati membri a modificare i rispettivi codici penali per far sì che i responsabili del traffico di organi siano adeguatamente perseguiti, comprendendo sanzioni per il personale medico coinvolto nel trapianto di organi ottenuti dal traffico illecito, effettuando nel contempo ogni sforzo per scoraggiare i potenziali riceventi dal cercare organi e tessuti che siano stati oggetto di tale traffico; sottolinea che si dovrebbe prendere in considerazione la previsione della responsabilità penale a carico dei cittadini dell'Unione europea che abbiano acquistato organi all'interno o all'esterno dell'Unione europea.
Il testo, infine, denuncia il fatto che più di sessantamila pazienti in Europa sono attualmente in attesa di un trapianto e dieci muoiono ogni giorno a causa della penuria di organi.
Il Parlamento europeo chiede un piano d'azione che rafforzi la cooperazione tra gli Stati membri al fine di aumentare la disponibilità di organi, potenziare l'accessibilità dei sistemi di trapianto, sensibilizzare l'opinione pubblica e garantire qualità e sicurezza.
La penuria di donazioni d'organi per trapianto è un dato drammatico. È sufficiente osservare a questo riguardo le cifre delle liste d'attesa nei Paesi europei. In Italia, ad esempio, alla data del 31 dicembre 2007, erano 9.779 i pazienti in lista d'attesa (6.897 per il rene, 1.482 per il fegato, 853 per il cuore, 255 per il pancreas, 294 per il polmone). Il tempo d'attesa è stimato in 3,02 anni per il rene (con una mortalità dell'1,31%); 1,83 anni per il fegato (mortalità 7,46%); 2,47 anni per il cuore (mortalità 7,75%); 2,90 per il pancreas (mortalità 1,74%); 2,12 anni per il polmone (mortalità 14,00%).
Grande è stata l'opera di sensibilizzazione svolta dalla Chiesa in tema di donazioni d'organi ("ogni intervento di trapianto d'organo, come già in altra occasione ho avuto modo di sottolineare, ha generalmente all'origine una decisione di grande valore etico: la decisione di offrire, senza ricompensa, una parte del proprio corpo, per la salute ed il benessere di un'altra persona", affermò Giovanni Paolo ii nel 2000, durante un discorso al Congresso della Società dei Trapianti), così come ferma è stata la posizione nei confronti del traffico di organi umani a scopo di trapianto: "una prassi inaccettabile - sostenne Giovanni Paolo ii - poiché, attraverso un utilizzo "oggettuale" del corpo, viola la stessa dignità della persona".
(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)


03/11/2008 10:02 - VATICANO – ISLAM - Cristiani e musulmani: riprende il dialogo grazie al Papa - di Samir Khalil Samir - Per due giorni, dal 4 al 6 novembre esperti islamici e cattolici si incontrano in Vaticano, dopo anni di rapporti freddi, dovuti alla crescita del fondamentalismo. Tutto è ripreso grazie al discorso di Benedetto XVI a Regensburg, dove si affermava che la religione abbraccia la ragione ed esclude la violenza. Il tema più urgente: la libertà religiosa, perché ad ogni comunità possa essere garantito il diritto a proclamare e diffondere la sua fede.
Beirut (AsiaNews) - Dal 4 al 6 novembre 25 studiosi cattolici e 25 musulmani si incontrano in Vaticano per studiare le vie di collaborazione fra le due religioni più diffuse nel mondo: 1,4 miliardi per i musulmani; 1,18 miliardi per i cattolici. I rappresentanti di oltre un terzo del pianeta si incontrano sul tema “Amore di Dio e amore del prossimo” Il primo giorno si affronta il tema teologico-spirituale; il secondo giorno, è la volta della “Dignità umana”, in cui si potranno almeno accennare tematiche riguardo ai diritti umani, la libertà di religione, il rispetto religioso, magari alludendo anche alla libertà di convertirsi e di cambiare religione.
Il tema generale è emerso in questi due anni, non senza fatica. Dopo il discorso di Benedetto XVI a Regensburg del 12 settembre 2006, il mondo musulmano ha reagito con violenza e rifiuto alla proposta del papa di riconoscere che il rapporto con Dio implica la ragione ed esclude la violenza. Molte delle reazioni erano dovute all’ignoranza del discorso e alla conoscenza solo di quanto riportato (spesso in modo distorto) da agenzie di stampa e giornali.
Proprio grazie al discorso di Regensburg, 38 saggi islamici hanno mandato una prima lettera a commento (13 ottobre 2006) e un anno dopo una seconda lettera (sottoscritta da 138 saggi, diventati poi 275) per cercare un terreno comune di collaborazione fra cristiani e musulmani.
A sua volta, il 19 novembre 2007, Benedetto XVI ha risposto alla Lettera dei 138 aprendo a una possibile collaborazione su diversi campi. Il 12 dicembre 2007, una lettera al card. Bertone del principe giordano Ghazi bin Muhammad bin Talal, accetta di aprire il campo alla collaborazione. Il 4 ed il 5 marzo personalità della Curia vaticana e del mondo islamico si sono incontrati per stabilire le procedure e i contenuti di tale dialogo. Al termine le parti hanno annunciato la creazione di un Forum cattolico-islamico “per sviluppare ancora di più il dialogo fra cattolici e musulmani”. Proprio questo Forum si riunisce per la prima volta a Roma dal 4 al 6 novembre prossimo. Il 6 il gruppo avrà anche un’udienza con Benedetto XVI. All’ incontro di questi giorni è invitato anche p. Samir Khalil Samir, che ci offre questa analisi.
Questo incontro fra esperti musulmani e cattolici a novembre è un inizio ed è positivo per il solo fatto che si tiene: il dialogo è meglio dell’indifferenza e del silenzio reciproco. In questi anni vi è stata pure un’importante evoluzione. All’inizio le lettere dei saggi domandavano solo un dialogo diciamo così, teologico. Ma questo rischiava di essere infruttuoso. È stato desiderio del santo Padre e del card. Tauran l’aver sottolineato che il dialogo doveva avere delle sottolineature legate ai problemi della vita quotidiana e ai diritti della coscienza. Su questo è anche d’accordo Tariq Ramadan, uno degli invitati di parte musulmana.
Cristiani e Islam bloccati dal fondamentalismo
Il rapporto fra cristiani e musulmani ha avuto una storia travagliata. Negli anni ’60, dopo il Concilio Vaticano II, vi è stato un forte slancio da parte cattolica. Anche da parte musulmano vi è stata un’apertura sincera e numerosa. Poi sono successe due cose:
a) col tempo il dialogo si consuma se non è sostenuto da una struttura permanente. Il dialogo con gli ortodossi e altre confessioni cristiane è regolare: ci si ritrova ogni anno, vi sono commissioni miste… Con l’islam invece è dipeso dalle circostanze: talvolta vi sono stati capi che lo desideravano, altre volte responsabili che non lo sostenevano…
b) Il secondo motivo è che negli anni ’70 è cominciata l’ondata del movimento fondamentalista, del quale il mondo islamico soffre per primo. Questa avanzata ha frenato tutto perché la sua linea è quella del rifiuto dell’altro[1]. La posizione dei salafiti è in opposizione in molti punti con la modernità e l’occidente che ne è la fonte; questo ha portato a un rallentamento del dialogo.
Vale la pena sottolineare che questa ripresa è partita proprio dal discorso di Regensburg. E questo è riconosciuto anche da alcuni esperti islamici[2]. Il discorso del papa è stato l’inizio di un nuovo movimento di ripensamento. Se esso ha provocato una risposta positiva è perché egli ha parlato con verità e senza odio. Questo conferma che se nel dialogo non c’è verità, non vi è frutto.
Le piste per il futuro
Una cinquantina di membri parteciperanno al Forum, a parità, anche se i nomi non sono stati pubblicati. Ma fin da ora si può tracciare alcune prospettive per aprire a una collaborazione. Io penso che possiamo fare tanti passi avanti. Si deve però affrontare con pacatezza e con sincerità le decine di punti di incomprensione e di frizione.
Se si parla dei dogmi, dobbiamo arrivare a chiarire la posizione cristiana di fronte all’Islam, al Corano e alla persona di Maometto, cercando di capire la loro posizione e dicendo loro che cosa noi crediamo e perché. Da parte musulmana è importante che si chiariscano cosa significa la nostra fede nella Trinità, nell’incarnazione del Verbo, l’unicità di Dio, ecc.. per non lanciarci accuse false. Se invece vi sono accuse vere, dobbiamo cambiare.
In occidente vi sono polemiche sull’apertura di scuole islamiche o di moschee. Ma questo non è un problema che riguarda il dialogo islamo-cristiano. Le proibizioni o i divieti vengono dallo Stato laico e non hanno motivazioni di difesa del mondo cattolico. Il problema qui è mettersi d’accordo davvero su cosa sia un luogo di culto, da non confondersi con un luogo di guerriglia e di lotta. Lo Stato deve precisare quali devono essere le caratteristiche di tali luoghi e se qualcuno deroga da queste regole, deve avere l’autorità di togliergli tale diritto.
Lo stesso vale per le scuole. In Francia, ad esempio, vi sono delle regole che lo Stato chiede per riconoscere qualunque scuola, anche quella islamica. Occorre ormai giungere a precisare delle norme. Finora non se n’è sentito il bisogno perché vi era un sottofondo comune ovvio. Ma ora, con la nostra società pluralista e globalizzata, queste norme occorre farle. Ad esempio lo Stato deve precisare se nel proprio territorio è il governo che regala il terreno per costruire il luogo di culto o no; se è lecito o no pregare per strada…
Non so quanto questo dialogo potrà essere fruttuoso: il numero considerevole di partecipanti (in tutto più di 50) rischia di non far procedere le discussioni in modo profondo e fruttuoso.
La libertà religiosa
Entrambe le religioni poi pretendono di portare un messaggio di verità e sono chiamate a proclamarlo e diffonderlo nella missione. Ma per fare questo occorre puntualizzare le modalità. Utilizzare mezzi indegni della religione o illeciti va escluso. I musulmani, ad esempio, accusano i cristiani di fare proselitismo facendo “favori” ai poveri e chiedendo in cambio la conversione. Ma anche permettere ad una religione di diffondersi, frenando lo sviluppo dell’altra è ingiusto. Tutto questo è da condannare. Anche l’idea che si promuove nel mondo musulmano, “la verità ha tutti i diritti, la menzogna non ha nessuno diritto”, è ingiusta In base a questo si esclude di fatto la possibilità per le religioni non islamiche di potersi diffondere[3]. A questo è legato il disprezzo verso gli apostati – come quando è avvenuto il battesimo di Magdi Cristiano Allam – che vengono visti come dei traditori, invece che cercatori della verità. Anche avere delle scuole è importante per entrambe le religioni e quindi questo diritto va difeso e non va denigrato come proselitismo.
Conclusione
La mia impressione è comunque che questo dialogo può essere fruttuoso se rispetta 3 dimensioni:
1) occorre che esso inizi e continui anche per anni.
2) Che alla fine siano stilati documenti comuni concreti, che siano poi diffusi il più possibile;
3) Che si dia la massima autorità a tali documenti. Da parte cattolica è facile: basta che il cardinale o un’alta autorità li firmi. Da parte musulmana deve esserci un accordo fra le personalità religiose e i politici islamici. Le leggi che limitano la libertà religiosa sono fatti dai governi islamici, non dai saggi musulmani. Ognuno che partecipa a questi dialoghi, tornando al suo Paese, deve interessare il suo governo e altre associazioni musulmane. Più ancora le decisioni che dipendono dagli Stati dovrebbero essere votati dall’ “Organizzazione della Conferenza Islamica” (OCI). Se non succede questo, diviene scoraggiante. L’autorità del documento è un fatto importante.
Ma la prima e più urgente necessità è quella della libertà religiosa: il diritto di ogni religione a proclamare e diffonderla con mezzi legittimi e leciti e non con quelli illeciti, che devono essere elencati. Questo è un principio spirituale – perché tocca la dignità dell’uomo – e anche un principio teologico, perché tocca il principio dell’uomo creato a immagine di Dio, libero e perciò libero anche di fare degli errori. Mi auguro che da questo incontro venga prestissimo un documento comune sulla libertà religiosa.
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[1] Da questo punto di vista vale la pena precisare che mettersi in dialogo non significa “mettere da parte le proprie credenze”. Noi cattolici, anche se crediamo che la Chiesa cattolica porta la verità, crediamo pure che vi sono semi del Verbo, della verità anche in altre posizioni.
[2] Vedi Tarik Ramadan: “Dopo aver provocato un’ondata di shock, le parole di Papa Benedetto XVI pronunciate a Ratisbona due anni fa avranno avuto senza dubbio conseguenze più positive che negative nel lungo termine. Aldilà della polemica, questa conferenza ha provocato una presa di coscienza generale sulla natura delle rispettive responsabilità sia dei cristiani che dei musulmani in occidente”. Cfr Il Riformista, 31 ottobre 2008).
[3] Tutti i giorni nel mondo musulmano vediamo proclamata la fede musulmana (per radio, televisione, sui giornali, con i megafoni della moschea), mentre un cristiano non può nemmeno portare una croce visibile perché è vietata “la diffusione della menzogna”.


SCUOLA/ Che fare? Pensieri dopo lo sciopero del 30 ottobre - Giovanni Cominelli - lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net
Diradato il fall out dell'esplosione dello sciopero promosso dai sindacati degli insegnanti il 30 ottobre, si può gettare uno sguardo limpido sul terreno.
Ecco cosa si vede, ora.
1. Lo sciopero e le manifestazioni sono stati imponenti: nella scuola e nell'Università si è accumulato e reso visibile un blocco massiccio, densamente conservatore e decisamente antiriformistico.
2. Il Pd è la testa politica di questo blocco. Con ciò il Pd si è infilato, con intelligente tattica e con ottusità strategica, in un tunnel conservatore dal quale gli sarà difficile uscire, qualora dovesse tornare al governo. Perchè ha accumulato crediti conservatori, che domani non potrà trasformare in riformisti, posto che voglia davvero riformare la scuola, come va dichiarando.
3. I mass-media hanno fatto una clamorosa “disinformatja”, senza mai offrire una chiarificazione razionale e ragionata delle questioni.
4. Il 30 ottobre segna una seria sconfitta delle forze innovatrici e riformistiche presenti nella scuola, nell'Università, nel governo, nell'opposizione.
Minimizzare le cifre della mobilitazione, quando nella scuola ha scioperato oltre il 60% degli insegnanti e circa il 30% dei dirigenti – mai accaduto, neppure nel mitico ''68! – e annunciare che si va avanti come se niente fosse accaduto potrebbe impedire di trarre la lezione dai fatti e preparerebbe la prossima sconfitta.
Qualche esponente di governo ha incominciato l’autocritica: il governo ha comunicato male! No, il governo ha comunicato benissimo… una politica incerta o sbagliata. Naturalmente qui si intende per politica non l'annunciare, il dichiarare, il dibattere, il filosofeggiare e via presenziando sui giornali e sulla Tv. Politica è modificare lo stato di cose presente con leggi, decreti, regolamenti, gesti concreti.
Dopo un decennio di tentativi di riforma del sistema educativo nazionale, promossi da Berlinguer e dalla Moratti, e dopo lo stallo di Fioroni, sull'agenda della nuova legislatura stava la ripresa del processo riformistico. Questa era, d'altronde, la promessa di Berlusconi fatta in campagna elettorale: “attuare la riforma Moratti”. Si trattava dunque di ripartire, non con una nuova legge generale di riforma, bensì lavorando di cesello sugli atti legislativi già approvati, spingendoli finalmente verso un approdo esecutivo reale. Su questo itinerario virtuale è calato il macigno del Decreto n. 112, poi Legge n. 113, di Tremonti, che chiedeva al Ministro di elaborare un Piano dei risparmi. Nulla di più ragionevole. Già Berlinguer nel 1998, già la Moratti dopo il 2001, già il Quaderno Bianco nel 2007, firmato da Padoa-Schioppa e Fioroni, avevano proposto e tentato misure severe di razionalizzazione della spesa. Toccava al Ministro dell'Istruzione fare un'analisi seria dei punti di spreco e proporre soluzioni. I “tagli lineari” dovevano e potevano trasformarsi in “tagli intelligenti”. Tremonti ci metteva i tagli, Gelmini l'intelligenza. Per costruire il Piano dei tagli non era necessario nessun inutile Decreto Gelmini, per di più approvato con la fiducia: bastava andare a prendere, all'indietro, i Decreti Moratti, già divenuti legge, ma ibernati o rinviati sine die da Fioroni, e renderli applicativi, per la via amministrativa dei Regolamenti, in materia di educazione alla cittadinanza, di modalità numerica di votazione, di maestro unico, poi rinominato “prevalente” nel corso di una conferenza stampa. Per fare questa operazione occorrevano, nell'ordine, una visione della scuola, una capacità di governo dell'apparato ministeriale, fortemente politicizzato da decenni di supplenza verso la politica, un rapporto stretto con le Direzioni scolastiche regionali e con i Dirigenti delle autonomie, un dialogo tempestivo e adulto con gli studenti. Tutto ciò è mancato. La piccola tattica mediatica quotidiana spesa a fini di consenso non ha pagato. Da decenni la scuola si è sempre riconosciuta nella Dc e nel Pci. Basterebbero un’intervista ben fatta o un’uscita televisiva a capovolgere questo dato oggettivo, costruito nei decenni e oggi ereditato dal Pd?
Che fare, dunque? Quattro cose, subito.
a) Riprendere in mano il dossier delle riforme ibernate, ma già approvate. Ogni arretramento sarebbe anche peggio dello sciopero: perché non riporterebbe nessun insegnante o dirigente sotto l'ala del governo, confermerebbe ex-post le ragioni conservatrici della protesta, di cui il Pd è il rappresentante.
b) Espellere il sindacato dalla cogestione pervasiva dei gangli dell'amministrazione e delle singole scuole. Il sindacato è contro-parte, non co-parte. Il suo mestiere legittimo è difendere la forza-lavoro, non governare le istituzioni. I contratti non possono distruggere o piegare ciò che dicono le leggi di riforma. E’ pirandelliano che alle sigle sindacali siano graziosamente concessi ogni anno 1.000 mille insegnanti, “distaccati” dalle loro cattedre di lavoro, pagati appositamente dal Ministero (ecco un taglio da fare immediatamente!), cioè dai contribuenti, per far la guerra quotidiana e capillare al Ministro di turno.
c) La cruna dell'ago di ogni riforma sono gli insegnanti. La loro condizione di sottoproletariato pubblico, colto, frustrato, non formato alla professione è intollerabile per ciascuno di loro e per i ragazzi che hanno davanti ogni giorno. I percorsi di formazione, reclutamento, differenziazione di carriera e di stipendio in base al merito non possono più attendere. Invece di filosofeggiare sulla meritocrazia, perchè non dare un colpo di acceleratore al Pdl Aprea, che si occupa di nuova governance degli Istituti autonomi e di nuovo stato giuridico degli insegnanti?
d) La nuova generazione che ci troviamo di fronte è piena di paure, scarsa di speranze, straordinariamente ragionevole e pragmatica. Non assomiglia per nulla alle generazioni di 40 anni fa. A questa generazione occorre dare ciò che non fu dato a quelle di 40 anni fa: un riformismo intelligente e concreto. Prima che anch’essa venga intossicata da quel nichilismo rivoluzionario, che fu la reazione massimalista al conservatorismo ottuso.
E che fare per chi non sta al governo, cioè per tutti noi, interessati all'innovazione e a riforme radicali? Due cose, semplici a dirsi, difficili a farsi: controinformazione, per dire la verità al Paese; controcultura, per spezzare la cappa dell'ideologia statalista e corporativa, che opprime le persone libere e attive, i “liberi e i forti”.


DARWIN/ La par condicio lasciamola alla politica, scienza e fede cerchino la verità - Mario Gargantini – lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net
Fa un po' sorridere la par condicio con la quale i media italiani si sono affrettati a presentare la sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze in corso in questi giorni in Vaticano sul tema del Darwinismo. Fin dai giorni precedenti il convegno, prevedendo un importante intervento di Benedetto XVI, tutti si sono preoccupati di bilanciare la situazione dando la parola agli scienziati ed eleggendo il fisico Stephen Hawking a simbolo della scienza “laica”, libera da ogni sudditanza confessionale; fino a raggiungere il vertice, nel Corriere della Sera del 1 novembre, di riportare stralci del discorso del Pontefice in una sintesi giornalistica affiancata da un ampio estratto della relazione dello scienziato inglese. Peccato per i lettori. Per due motivi.
Il primo è che così hanno perso l'opportunità di cogliere la portata di un intervento che, saltando a piè pari ogni contrapposizione polemica, ha offerto riflessioni di grande utilità per coloro che sono impegnati nel lavoro scientifico, ma anche per chiunque desideri comprendere il ruolo e il valore della scienza nella cultura contemporanea. Il Papa ha sottolineato le condizioni che rendono possibile, efficace e gratificante tale lavoro: «Per svilupparsi ed evolversi il mondo deve prima essere e quindi essere passato dal nulla all'essere»; la Creazione quindi, lungi dall'essere un concetto ingombrante o addirittura un ostacolo per la scienza, ne costituisce la condizione primaria. Fare scienza è possibile perché la realtà è data, esiste e si fa incontro all'uomo suscitando la sua meraviglia e la sua curiosità. Ma non solo. La nozione di creazione è alla base anche di ogni discorso sull'evoluzione, in quanto è il rapporto continuo col Creatore che fonda il divenire. La creazione insomma non è soltanto un evento da collocare all'inizio del cosmo, prima del big bang; è piuttosto l'opera continua del Creatore che sostiene tutta la realtà. Un'opera che ha come corrispettivo, da parte dello scienziato, il continuo stupore che innesca e alimenta l'indagine; la continua sorpresa nel vedere la manifestazione della “matematica innata” nei fenomeni naturali, nel cogliere l'emergere della struttura razionale e ordinata dell'universo (cosmo = ordine, bellezza) che lo rende accessibile alla ragione umana e fonda la possibilità di «leggere il grande libro della natura». Un libro le cui pagine non potrebbe essere sfogliate (o meglio srotolate, secondo il significato originario del termine evoluzione, magistralmente richiamato da Benedetto XVI) senza la costante «presenza fondamentale dell'autore».
Il secondo motivo di rammarico viene proprio dalle conclusioni del “portavoce” della scienza. Hawking ammette che i pur esaltanti progressi della fisica del 900 lasciano aperti ancora molti interrogativi fondamentali circa l'evoluzione dell'universo. Ma poi, con inspiegabile sicurezza, afferma che gli scienziati sono sempre più vicini a “rispondere alle domande di sempre: Perché siamo qui? Da dove veniamo?; e aggiunge che le risposte si potranno trovare «all'interno del campo della scienza». Uno scivolone epistemologico, che fa retrocedere bruscamente la consapevolezza maturata dei ricercatori in un secolo di riflessioni sulla natura del pensiero scientifico e riporta le lancette della storia a quei momenti di orgogliosa presunzione, quando si pensava che la scienza fosse l'unica forma di conoscenza razionale e fondata. Fortunatamente sono molti gli scienziati che non condividono, almeno in linea di principio, questa impostazione. Del resto non dovrebbe essere difficile convincersi che la scienza ha solo da guadagnare nel delimitare con chiarezza il suo campo d'azione; e nel riconoscere la validità e l'inevitabilità di tanti interrogativi che affiorano dal suo stesso terreno ma che esigono l'applicazione di altri metodi di conoscenza.


NICHILISMO/ Come liberarsi dall’illusione delle idee sconfitte. La lezione di Augusto Del Noce - INT. Giuseppe Riconda - lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net
Sembra che oggi, per gran parte delle persone, l’ipotesi più sensata di fronte alla sfida della propria esistenza sia quella di arrendersi al nulla. Questo atteggiamento è, per lo più, chiamato “nichilismo”. Eppure, un rapporto con se stessi e con la realtà diverso e più umano non solo è possibile. Ma è corretto dal punto di vista della ragione. Il professor Giuseppe Riconda, già ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino e discepolo di Augusto del Noce, spiega a ilsussidiario.net come e perché.
Professor Riconda, a proposito di nichilismo, anzitutto, ci chiarisca il quadro della situazione.
Il nichilismo come pensiero debole, almeno fino alla caduta del Muro, sembrava l’atteggiamento vincente. Si pensava che la storia dovesse procedere verso un indebolimento dell’essere, nella convinzione che questo contenesse in sé una forma di violenza. E che, dalla sua diminuzione, ogni genere di contrapposizione sarebbe venuta meno. Il che avrebbe comportato la diffusione della pace globale e la soluzione a tutti i mali del mondo. La previsione si è rivelata sbagliata.
Un pensiero difficile da sostenere sul piano teoretico, ma vivo ed affermato su quello esistenziale, fuori degli ambiti accademici. Come mai?
Si tratta di un processo che riguarda tutta la storia dell’Occidente. Caratterizzato a lungo dall’idea che il progresso avrebbe emancipato l’uomo, consentendogli di travalicare i propri limiti terreni. Non è andata così. Le due grandi idee dell’Ottocento, il progresso e la rivoluzione, sono finite. Il nichilismo rappresenta l’estremo tentativo di salvarne qualcosa.
Cosa rimane?
Resta quello che - secondo Augusto Del Noce - era l’anima del nichilismo ed uno dei princìpi determinanti nella nostra società tecnocratica: lo strumentalismo, la tendenza, cioè, a considerare l’altro come semplice mezzo per la propria affermazione. Si tratta, non a caso, di un pensiero immanentistico e antireligioso, che nega ogni genere di trascendenza e la possibilità di fini validi in se stessi. Si comprende così la diffusione di quello che Del Noce era solito definire “nichilismo gaio”, un pensiero che censura l’esistenza del male e il senso tragico dell’esistenza, rifiutando il concetto di colpa. Il peccato, infatti, racchiude sempre una invocazione religiosa e la sofferenza più profonda introduce ad una speranza di natura ultramondana.
Permangono gli effetti pratici, quindi, ma il nichilismo, in quanto sistema filosofico, è giunto a termine. Questo cosa comporta?
La situazione di oggi ha un vantaggio: l’uomo, finalmente, è posto di fronte a se stesso senza filtri ideologici e si interroga al di là dei miti post-razionalistici. Del Noce ebbe una grande intuizione: esiste una modernità ancora da scoprire. Quella che, invece di essersi costituita come critica e rifiuto della tradizione, si è proposta come suo approfondimento. Esistono, in tal senso, due filoni del pensiero moderno: uno va da Cartesio a Nietzsche – quello finora più in voga, ma che si è concluso -, ed un altro, che va da Cartesio a Rosmini. La fine del primo potrebbe permettere di focalizzare l’attenzione sul secondo.
A che gioverebbe il recupero della tradizione?
Per Del Noce la critica al pensiero strumentale – l’anima della società tecnocratica - è possibile unicamente ammettendo l’uomo come fine in sé. Ma l’essere umano può esser considerato degno di rispetto solo riconoscendone l’incommensurabilità ad ogni valore. Perché ciò avvenga, è necessario accettare che in esso alberghi un elemento divino. Altrimenti non rimane altro rapporto che quello strumentale. Secondo Del Noce il sorpasso della società tecnocratica è ipotizzabile solo in questa prospettiva. E a ben vedere, si tratta proprio della visione tradizionale dell’uomo. Secondo la quale è fatto a immagine e somiglianza di Dio.
Sì. Ma chi la pensa più così, ormai?
La Chiesa, ovviamente. Del Noce, rifiutando ogni possibile interpretazione positiva del nichilismo e facendone emergere la dimensione più degradata, apriva, al contempo, ad una speranza, che era legata al suo senso del Cristianesimo. Per recuperare la dignità dell’uomo e l’idea della sua somiglianza con Dio, infatti - affermava Del Noce - bisogna recuperare un’interpretazione delle idee in termini non di riuscita pratica, ma della loro verità intrinseca. Pena, il cadere nel drammatismo. È il compito che, da sempre, la Chiesa svolge. In particolare nell’elaborazione dottrinale; che include non solo enunciati su Dio, ma anche sull’uomo. Non potrebbe custodire la parola divina, infatti, se non custodisse colui al quale la parola divina è rivolta. E la custodia dell’umano, implica, anzitutto, affermarne la verità.
(intervista raccolta da Paolo Nessi)


MADRI CORAGGIO/ La Famiglia dove è possibile capire che la propria storia ha un senso - Alceste Santuari - lunedì 3 novembre 2008 – IlSussidiario.net
Nata nel 1919, e profondamente inserita nel tessuto civile e sociale di Rovereto, Famiglia Materna è una fondazione che si propone di offrire sostegno e accompagnamento a donne sole o con i loro figli, che versano in una situazione di particolare difficoltà.
Quasi novant’anni dopo, Fondazione Famiglia Materna continua ad accogliere e sostenere le donne sole con i loro bambini in una società che tuttavia si è molto modificata. Se una volta le persone che chiedevano aiuto erano ragazze madri rigettate dalla famiglia e messe al bando dalla comunità cui appartenevano, oggi sono le extracomunitarie, le donne che subiscono violenze fisiche e morali dai propri mariti o, ancora, quelle escluse perché non reggono i ritmi e le regole della “normalità”, a causa di una loro fragilità psicologica o per problemi derivanti dall’uso di alcool e droghe.
Questo cambiamento nel profilo delle persone accolte riflette due aspetti importanti di quello che si definisce oggi rischio sociale: l’isolamento e la crisi della famiglia e il fenomeno immigrazione, con tutte le sue diverse sfaccettature.
Anche oggi Fondazione Famiglia Materna vuole essere un luogo in cui le madri con i loro figli non si sentano - secondo quanto è scritto nel Manifesto dei fondatori - “né straniere, né ricoverate”. Significa trovare una casa, ma anche la compagnia di educatori, assistenti sociali, psicologi, volontari – tutte persone che possono condividere i problemi, ma anche stimolare un nuovo atteggiamento di coraggio e di responsabilità.
A volte può sembrare impossibile uscire da certe situazioni di disagio, conflitto, fatica o dolore, ma ogni persona è sempre qualcosa di più del suo problema, possiede comunque un valore e delle risorse da cui ripartire. Nel rapporto educativo con chi gli è vicino, può riscoprire la possibilità di un atteggiamento positivo di fronte alla propria storia e alla propria esperienza.
Il percorso per giungere ad una vita serena ed autonoma richiede diversi passaggi: recuperare la capacità di cura della casa, della propria persona e del rapporto con i figli; aprirsi a nuove relazioni ed amicizie; imparare la lingua italiana, nel caso delle straniere, fino alla ricerca di un lavoro per essere in grado di mantenersi e di trovare un alloggio proprio. L’uscita dal disagio, quindi, deve riguardare anche altri luoghi e soggetti sul territorio, una trama di relazioni in cui la persona possa ritrovare dei legami significativi e forme di aiuto concreto.
In questo senso Famiglia Materna si rivolge a tutti e valorizza i diversi modi di collaborazione: volontariato, donazioni, segnalazione di opportunità di socializzazione, nonché alloggio e lavoro per le donne e i bambini ospiti della struttura.
Il metodo di lavoro è quello di una professionalità “accogliente”, come raccontano alcune assistenti sociali ed educatori professionali che lavorano nella Fondazione.
«La cosa più difficile, ma anche la più importante – dice Paola – è accompagnare, “stare a fianco” senza cercare di plasmare l’altro su un modello che forse solo io desidero. E aiutarlo a rialzarsi quando cade senza colpevolizzarlo degli errori e dei suoi limiti. È anche una sfida a me stessa come persona, alla mia capacità di comprendere, senza pre-giudicare. Accogliere è crescere per entrambi.
Chiedo prima di tutto a me stessa: “Quando, dove e con chi mi sento accolta?” Quando qualcuno si interessa a me e a tutto ciò che mi circonda in senso vero e totale. Solo quando si assapora la bellezza, un abbraccio nell’essere accolta, si riesce a “fare accoglienza”, si desidera che anche un altro lo possa vivere.
Ricordo una signora, più grande di me, con cui mi sono sentita chiamata in causa. Lei desiderava che qualcuno la guardasse, così com’era, e la aiutasse a prendere in mano seriamente le questioni più intime della vita: la gestione dei soldi, le visite private, l’affidamento delle figlie… Non ho avuto la presunzione di avere tutte le risposte pronte, ma ci siamo guardate con amorevolezza, con un desiderio di bene. Stai meglio tu, perché sei serio in quello che fai, e sta meglio l’altro perché prova un’esperienza nuova, bella».
«Nella mia esperienza lavorativa – racconta Piergiorgio – “accogliere l’altro” significava accoglierlo tout-court, fino ad “esaurimento scorte”, spesso “tamponando” dove non riuscivo a seguirlo, forse per non scontrarmi con un senso del limite. Oggi penso che una vera relazione di aiuto sia un’altra cosa: offrire alla persona, in maniera attenta e pensata, gli strumenti per farcela da solo nella vita… È un cambiamento di ottica piuttosto difficile. Qui a Famiglia Materna mi aiuta il lavoro di équipe, il confronto quasi immediato con gli altri operatori. Non sentirsi soli nel prendere una decisione è una grande risorsa e un sollievo. In questo lavoro è come nella vita, le situazioni difficili spesso si ripetono, generando sfiducia, senso di impotenza e stanchezza; in tutto questo condividere le difficoltà con il collega e con l’équipe ti aiuta a rilanciare, senza posa».