Nella rassegna stampa di oggi:
1) Omelia del Papa per la Santa Messa "nella Cena del Signore"
2) Intolleranza laicista - Autore: Vecchi, Gian Guido Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Corriere della Sera - 9.04.2009 - venerdì 10 aprile 2009 - «Un errore: così si piega all’intolleranza del laicismo» (Corriere della Sera, 9 aprile 2009)
3) Blair “sposa” i gay e fa lezione al Papa: «È troppo anziano» - «Il Vaticano - ha detto Blair - dovrebbe ripensare la propria posizione nei confronti degli omosessuali e abbandonare le posizioni trincerate, mentre il mondo - e con esso i fedeli stessi - si evolve». Il problema - secondo Blair - è che il Papa (82 anni) è troppo vecchio...
4) 10/04/2009 10:37 - HONG KONG – CINA - Ultima lettera pastorale del card. Zen alla Chiesa di Hong Kong e della Cina - di James Wang - Un toccante messaggio alla missione dei cattolici di Hong Kong, a sostegno della Chiesa perseguitata in Cina. Un ringraziamento a sacerdoti, suore e fedeli e un saluto ai nuovi cristiani che saranno battezzati la notte di Pasqua.
Omelia del Papa per la Santa Messa "nella Cena del Signore"
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 9 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo giovedì, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la concelebrazione della Santa Messa "nella Cena del Signore".
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Qui, pridie quam pro nostra omniumque salute pateretur, hoc est hodie, accepit panem: così diremo oggi nel Canone della Santa Messa. "Hoc est hodie" – la Liturgia del Giovedì Santo inserisce nel testo della preghiera la parola "oggi", sottolineando con ciò la dignità particolare di questa giornata. È stato "oggi" che Egli l’ha fatto: per sempre ha donato se stesso a noi nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Questo "oggi" è anzitutto il memoriale della Pasqua di allora. Tuttavia è di più. Con il Canone entriamo in questo "oggi". Il nostro oggi viene a contatto con il suo oggi. Egli fa questo adesso. Con la parola "oggi", la Liturgia della Chiesa vuole indurci a porre grande attenzione interiore al mistero di questa giornata, alle parole in cui esso si esprime. Cerchiamo dunque di ascoltare in modo nuovo il racconto dell’istituzione così come la Chiesa, in base alla Scrittura e contemplando il Signore stesso, lo ha formulato.
Come prima cosa ci colpirà che il racconto dell’istituzione non è una frase autonoma, ma comincia con un pronome relativo: qui pridie. Questo "qui" aggancia l’intero racconto alla precedente parola della preghiera, "… diventi per noi il corpo e il sangue del tuo amatissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo". In questo modo, il racconto dell’istituzione è connesso con la preghiera precedente, con l’intero Canone, e reso esso stesso preghiera. Non è affatto semplicemente un racconto qui inserito, e non si tratta neppure di parole autoritative a sé stanti, che magari interromperebbero la preghiera. È preghiera. E soltanto nella preghiera si realizza l’atto sacerdotale della consacrazione che diventa trasformazione, transustanziazione dei nostri doni di pane e vino in Corpo e Sangue di Cristo. Pregando in questo momento centrale, la Chiesa è in totale accordo con l’avvenimento nel Cenacolo, poiché l’agire di Gesù viene descritto con le parole: "gratias agens benedixit – rese grazie con la preghiera di benedizione". Con questa espressione, la Liturgia romana ha diviso in due parole ciò, che nell’ebraico berakha è una parola sola, nel greco invece appare nei due termini eucharistía ed eulogía. Il Signore ringrazia. Ringraziando riconosciamo che una certa cosa è dono che proviene da un altro. Il Signore ringrazia e con ciò restituisce a Dio il pane, "frutto della terra e del lavoro dell’uomo", per riceverlo nuovamente da Lui. Ringraziare diventa benedire. Ciò che è stato dato nelle mani di Dio, ritorna da Lui benedetto e trasformato. La Liturgia romana ha ragione nell’interpretare il nostro pregare in questo momento sacro mediante le parole: "offriamo", "supplichiamo", "chiediamo di accettare", "di benedire queste offerte". Tutto questo si nasconde nella parola "eucaristia"
C’è un’altra particolarità nel racconto dell’istituzione riportato nel Canone Romano, che vogliamo meditare in quest’ora. La Chiesa orante guarda alle mani e agli occhi del Signore. Vuole quasi osservarlo, vuole percepire il gesto del suo pregare e del suo agire in quell’ora singolare, incontrare la figura di Gesù, per così dire, anche attraverso i sensi. "Egli prese il pane nelle sue mani sante e venerabili…". Guardiamo a quelle mani con cui Egli ha guarito gli uomini; alle mani con cui ha benedetto i bambini; alle mani, che ha imposto agli uomini; alle mani, che sono state inchiodate alla Croce e che per sempre porteranno le stimmate come segni del suo amore pronto a morire. Ora siamo incaricati noi di fare ciò che Egli ha fatto: prendere nelle mani il pane perché mediante la preghiera eucaristica sia trasformato. Nell’Ordinazione sacerdotale, le nostre mani sono state unte, affinché diventino mani di benedizione. Preghiamo il Signore che le nostre mani servano sempre di più a portare la salvezza, a portare la benedizione, a rendere presente la sua bontà!
Dall’introduzione alla Preghiera sacerdotale di Gesù (cfr Gv 17, 1), il Canone prende le parole: "Alzando gli occhi al cielo a te, Dio Padre suo onnipotente…" Il Signore ci insegna ad alzare gli occhi e soprattutto il cuore. A sollevare lo sguardo, distogliendolo dalle cose del mondo, ad orientarci nella preghiera verso Dio e così a risollevarci. In un inno della preghiera delle ore chiediamo al Signore di custodire i nostri occhi, affinché non accolgano e lascino entrare in noi le "vanitates" – le vanità, le nullità, ciò che è solo apparenza. Preghiamo che attraverso gli occhi non entri in noi il male, falsificando e sporcando così il nostro essere. Ma vogliamo pregare soprattutto per avere occhi che vedano tutto ciò che è vero, luminoso e buono; affinché diventiamo capaci di vedere la presenza di Dio nel mondo. Preghiamo, affinché guardiamo il mondo con occhi di amore, con gli occhi di Gesù, riconoscendo così i fratelli e le sorelle, che hanno bisogno di noi, che sono in attesa della nostra parola e della nostra azione.
Benedicendo, il Signore spezza poi il pane e lo distribuisce ai discepoli. Lo spezzare il pane è il gesto del padre di famiglia che si preoccupa dei suoi e dà loro ciò di cui hanno bisogno per la vita. Ma è anche il gesto dell’ospitalità con cui lo straniero, l’ospite viene accolto nella famiglia e gli viene concessa una partecipazione alla sua vita. Dividere – con-dividere è unire. Mediante il condividere si crea comunione. Nel pane spezzato, il Signore distribuisce se stesso. Il gesto dello spezzare allude misteriosamente anche alla sua morte, all’amore sino alla morte. Egli distribuisce se stesso, il vero "pane per la vita del mondo" (cfr Gv 6, 51). Il nutrimento di cui l’uomo nel più profondo ha bisogno è la comunione con Dio stesso. Ringraziando e benedicendo, Gesù trasforma il pane, non dà più pane terreno, ma la comunione con se stesso. Questa trasformazione, però, vuol essere l’inizio della trasformazione del mondo. Affinché diventi un mondo di risurrezione, un mondo di Dio. Sì, si tratta di trasformazione. Dell’uomo nuovo e del mondo nuovo che prendono inizio nel pane consacrato, trasformato, transustanziato.
Abbiamo detto che lo spezzare il pane è un gesto di comunione, dell’unire attraverso il condividere. Così, nel gesto stesso è già accennata l’intima natura dell’Eucaristia: essa è agape, è amore reso corporeo. Nella parola "agape" i significati di Eucaristia e amore si compènetrano. Nel gesto di Gesù che spezza il pane, l’amore che si partecipa ha raggiunto la sua radicalità estrema: Gesù si lascia spezzare come pane vivo. Nel pane distribuito riconosciamo il mistero del chicco di grano, che muore e così porta frutto. Riconosciamo la nuova moltiplicazione dei pani, che deriva dal morire del chicco di grano e proseguirà sino alla fine del mondo. Allo stesso tempo vediamo che l’Eucaristia non può mai essere solo un’azione liturgica. È completa solo, se l’agape liturgica diventa amore nel quotidiano. Nel culto cristiano le due cose diventano una – l’essere gratificati dal Signore nell’atto cultuale e il culto dell’amore nei confronti del prossimo. Chiediamo in quest’ora al Signore la grazia di imparare a vivere sempre meglio il mistero dell’Eucaristia così che in questo modo prenda inizio la trasformazione del mondo. Dopo il pane, Gesù prende il calice del vino. Il Canone romano qualifica il calice, che il Signore dà ai discepoli, come "praeclarus calix" (come calice glorioso), alludendo con ciò al Salmo 23 [22], quel Salmo che parla di Dio come del Pastore potente e buono. Lì si legge: "Davanti a me tu prepari una mensa, sotto gli occhi dei miei nemici … Il mio calice trabocca" – calix praeclarus. Il Canone romano interpreta questa parola del Salmo come una profezia, che si adempie nell’Eucaristia: Sì, il Signore ci prepara la mensa in mezzo alle minacce di questo mondo, e ci dona il calice glorioso – il calice della grande gioia, della vera festa, alla quale tutti aneliamo – il calice colmo del vino del suo amore. Il calice significa le nozze: adesso è arrivata l’"ora", alla quale le nozze di Cana avevano alluso in modo misterioso. Sì, l’Eucaristia è più di un convito, è una festa di nozze. E queste nozze si fondono nell’autodonazione di Dio sino alla morte. Nelle parole dell’Ultima Cena di Gesù e nel Canone della Chiesa, il mistero solenne delle nozze si cela sotto l’espressione "novum Testamentum". Questo calice è il nuovo Testamento – "la nuova Alleanza nel mio sangue", come Paolo riferisce la parola di Gesù sul calice nella seconda lettura di oggi (1 Cor 11, 25). Il Canone romano aggiunge: "per la nuova ed eterna alleanza", per esprimere l’indissolubilità del legame nuziale di Dio con l’umanità. Il motivo per cui le antiche traduzioni della Bibbia non parlano di Alleanza, ma di Testamento, sta nel fatto che non sono due contraenti alla pari che qui si incontrano, ma entra in azione l’infinita distanza tra Dio e l’uomo. Ciò che noi chiamiamo nuova ed antica Alleanza non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma mero dono di Dio che ci lascia in eredità il suo amore – se stesso. Certo, mediante questo dono del suo amore Egli, superando ogni distanza, ci rende poi veramente "partner" e si realizza il mistero nuziale dell’amore.
Per poter comprendere che cosa in profondità lì avviene, dobbiamo ascoltare ancora più attentamente le parole della Bibbia e il loro significato originario. Gli studiosi ci dicono che, nei tempi remoti di cui parlano le storie dei Padri di Israele, "ratificare un’alleanza" significa "entrare con altri in un legame basato sul sangue, ovvero accogliere l’altro nella propria federazione ed entrare così in una comunione di diritti l’uno con l’altro". In questo modo si crea una consanguineità reale benché non materiale. I partner diventano in qualche modo "fratelli della stessa carne e delle stesse ossa". L’alleanza opera un’insieme che significa pace (cfr ThWNT II 105 – 137). Possiamo adesso farci almeno un’idea di ciò che avvenne nell’ora dell’Ultima Cena e che, da allora, si rinnova ogni volta che celebriamo l’Eucaristia? Dio, il Dio vivente stabilisce con noi una comunione di pace, anzi, Egli crea una "consanguineità" tra sé e noi. Mediante l’incarnazione di Gesù, mediante il suo sangue versato siamo stati tirati dentro una consanguineità molto reale con Gesù e quindi con Dio stesso. Il sangue di Gesù è il suo amore, nel quale la vita divina e quella umana sono divenute una cosa sola. Preghiamo il Signore, affinché comprendiamo sempre di più la grandezza di questo mistero! Affinché esso sviluppi la sua forza trasformatrice nel nostro intimo, in modo che diventiamo veramente consanguinei di Gesù, pervasi dalla sua pace e così anche in comunione gli uni con gli altri.
Ora, però, emerge ancora un’altra domanda. Nel Cenacolo, Cristo dona ai discepoli il suo Corpo e il suo Sangue, cioè se stesso nella totalità della sua persona. Ma può farlo? È ancora fisicamente presente in mezzo a loro, sta di fronte a loro! La risposta è: in quell’ora Gesù realizza ciò che aveva annunciato precedentemente nel discorso sul Buon Pastore: "Nessuno mi toglie la mia vita: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo…" (Gv 10, 18). Nessuno può toglierGli la vita: Egli la dà per libera decisione. In quell’ora anticipa la crocifissione e la risurrezione. Ciò che là si realizzerà, per così dire, fisicamente in Lui, Egli lo compie già in anticipo nella libertà del suo amore. Egli dona la sua vita e la riprende nella risurrezione per poterla condividere per sempre.
Signore, oggi Tu ci doni la tua vita, ci doni te stesso. Pènetraci con il tuo amore. Facci vivere nel tuo "oggi". Rendici strumenti della tua pace! Amen.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Intolleranza laicista - Autore: Vecchi, Gian Guido Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Corriere della Sera - 9.04.2009 - venerdì 10 aprile 2009 - «Un errore: così si piega all’intolleranza del laicismo» (Corriere della Sera, 9 aprile 2009)
ROMA - «E come no, invita il Papa al politicamente corretto! A portare la Chiesa su ciò che viene normalmente condiviso dalla mentalità comune... Sembra una posizione tollerante, sembra».
«Sembra», eccellenza? «Già. Perché questa, in realtà, è la tipica intolleranza del laicismo. Un’intolleranza pesante, forte, che dice: pensate ciò che volete, ma alla fine dovrete pensarla come noi».
Monsignor Luigi Negri, 67 anni, vescovo di San Marino e Montefeltro, teologo e filosofo, già allievo di don Giussani al liceo Berchet e assistente di Gustavo Bontadini nella cattedra di Teoretica alla Cattolica, non è tipo da linguaggio velato e curiale: «Vede, se anche 99 persone su 100 ritenessero che l’omosessualità è un diritto e non un disordine grave, questo non cambierebbe di un capello la posizione della Chiesa».
Ma l’invito di Blair al «ripensamento»? «C’è un rovesciamento logico. La Chiesa parla in base a ciò che è giusto e vero e buono. Deve partire dalla fede e cercare di illuminare grazie alla fede i problemi, i limiti e le difficoltà di una situazione concreta. Qui invece si prende la mentalità dominante, che spesso lo è in senso modernista e anticattolico, e la si fa diventare un valore. La posizione della Chiesa diventa un’opinione: se corrisponde alla mentalità corrente va bene, sennò è negativa».
L’ex premier britannico si è convertito al cattolicesimo e dice che tra la gente, nelle parrocchie, la fede si basa piuttosto su «compassione e solidarietà».
«Così si fa confusione, si parla di giudizio e misericordia come fossero strutturalmente contrapposti. Mentre invece la misericordia è la modalità cristiana con la quale si esprime la chiarezza di giudizio, il mondo ha bisogno di verità».
Ma nel caso dell’omosessualità e degli omosessuali?
«Come diceva Giovanni XXIII: inesorabili verso l’errore, comprensivi verso l’errante. Non potremo mai dire che l’omosessualità è bene ma, attenzione, non potremo mai neppure dire che un omosessuale, per il fatto di esserlo, non può salvarsi. Una volta espresso il giudizio, si vive del massimo di misericordia possibile. Giudizio sulla questione generale, misericordia verso le persone».
Blair parla di una Chiesa «trincerata» nelle sue vecchie posizioni. Non è possibile che il giudizio muti con il passare del tempo?
«Bisogna recuperare l’idea di evoluzione del dogma che espresse il cardinale Newman, purtroppo per lui concittadino di Blair. Il dogma cresce perché si incontra con le circostanze che mutano, si cala nella realtà concreta ed è costretto a maturare una coscienza più lucida, più critica. Per dire: dal Quattrocento a oggi i dogmi sono diventati sempre più chiari, calandosi nelle circostanze concrete. Questo sì. Però non si può rovesciare la situazione e fare delle circostanze un dogma».
La posizione sull’omosessualità è un dogma?
«No, però c’è una convinzione profonda della Chiesa, la concezione della morale cattolica ritiene che certi comportamenti siano gravemente scorretti dal punto di vista etico».
Certo che è un momento strano: pochi giorni fa il parlamento del Belgio ha votato una risoluzione di protesta contro Benedetto XVI e le sue posizioni «inaccettabili» sui preservativi.
«Tira quest’aria, l’intolleranza che dice: pensala come me, e così vai bene. Una mentalità che vorrebbe insegnarci come dobbiamo essere cattolici».
Gian Guido Vecchi
Blair “sposa” i gay e fa lezione al Papa: «È troppo anziano» - «Il Vaticano - ha detto Blair - dovrebbe ripensare la propria posizione nei confronti degli omosessuali e abbandonare le posizioni trincerate, mentre il mondo - e con esso i fedeli stessi - si evolve». Il problema - secondo Blair - è che il Papa (82 anni) è troppo vecchio...
Ecco una notizia che farà contento soprattutto Franco Grillini e tutti i soci dell’arcigay. A perorare la causa dell’omosessualità si è messo niente meno che l’ex premier britannico Tony Blair, che tra una conferenza milionaria e un’altra (il compenso di Blair oratore è di 7.300 euro al minuto) ha trovato il tempo di rilasciare un’intervista al magazine gay “Attitude” in cui “consiglia” la Chiesa cattolica di essere più tollerante nei confronti dei diversi.
«Il Vaticano - ha detto Blair - dovrebbe ripensare la propria posizione nei confronti degli omosessuali e abbandonare le posizioni trincerate, mentre il mondo - e con esso i fedeli stessi - si evolve». Il problema - secondo Blair - è che il Papa (82 anni) è troppo vecchio. Quando gli è stato chiesto un commento sulla definizione di omosessualità elaborata da Benedetto XVI nel 1986 (“una tendenza intrinseca al male morale”), l'ex premier britannico ha risposto: «Su questo punto c'è un'enorme differenza generazionale. Abbiamo bisogno di un’attitudine mentale per cui i ripensamenti e il concetto di evoluzione delle disposizioni individuali facciano parte dell’approccio alla fede religiosa». Ma la gente di chiesa normale - è convinto Blair - la pensa come lui: «Se si va in una qualunque chiesa la domenica e si fa un sondaggio si resterà sorpresi nel vedere quante persone mostrano una mentalità liberale. E se si chiede alle congregazioni, vedrete che i fedeli non basano la loro fede su questo tipo di atteggiamenti arroccati». La domanda è: perché tanta solerzia a favore di una causa che non gli è mai stata propria? Forse si aspetta di essere chiamato a parlare a un dibattito sull’omosessualità e ricevere un altro compenso da capogiro dopo i 200mila euro guadagnati al convegno «Il leader come costruttore di nazioni durante la globalizzazione» nelle Filippine. O forse ancora ha maturato dentro di sé un’altra conversione (due anni fa, quando la lasciato la guida del Regno Unito, ha abbandonato la Chiesa anglicana per diventare cattolico) e si sta preparando il terreno per poter fare la comunione anche dopo l’outing. Ma l’ex premier non si è limitato a consigliare alla Chiesa Romana l’apertura ai gay. E’ andato ben oltre e ha colto l’occasione anche per suggerire un ammodernamento a tutto tondo. Come lui fece con il partito laburista, a cui diede una svolta a dir poco liberale, anche la Chiesa dovrebbe “ri-organizzarsi”.
«Le organizzazioni religione hanno gli stessi dilemmi dei partiti politici e quando si trovano di fronte a circostanze che cambiano hanno due possibilità. La prima è ancorarsi sulle proprie posizioni e non uscire dagli schemi per non rischiare di perdere il proprio zoccolo duro. La seconda è accettare che il mondo sta cambiando e decidere di mettersi alla guida del cambiamento». Forse, però, a volte i conti bisogna farli. La Chiesa cattolica è un’istituzione che resiste da quasi due millenni e ha oltre un miliardo di fedeli in tutto il mondo. Il Labour Party ha soltanto un secolo di storia e un numero di fedeli che si riduce sempre di più: tanto che alle amministrative dell’anno scorso è diventato il terzo partito del Paese.
di Fausta Chiesa
LIBERO 09/04/09
10/04/2009 10:37 - HONG KONG – CINA - Ultima lettera pastorale del card. Zen alla Chiesa di Hong Kong e della Cina - di James Wang - Un toccante messaggio alla missione dei cattolici di Hong Kong, a sostegno della Chiesa perseguitata in Cina. Un ringraziamento a sacerdoti, suore e fedeli e un saluto ai nuovi cristiani che saranno battezzati la notte di Pasqua.
Hong Kong (AsiaNews) – Il card. Joseph Zen dice addio alla sua diocesi in una lettera pastorale per la Pasqua, che egli stesso definisce “una lettera familiare”, in cui ricorda i suoi 12 anni di episcopato per Hong Kong e il suo impegno per la Chiesa perseguitata in Cina.
La lettera inizia con un breve racconto sui lavori della Commissione vaticana per la Chiesa in Cina – a cui egli partecipa come membro – in cui il card. Zen ricorda “la croce pesante portata dai nostri fratelli e sorelle [della Cina] negli ultimi 50 anni”.
“La Chiesa in Cina, la Chiesa a cui apparteniamo, per più di 50 anni non ha avuto libertà ed è stata perseguitata. Durante il nostro incontro [a Roma] si è diffusa la notizia dell’arresto di mons. Jia Zhiguo di Zhengding….”
Il porporato riafferma che, andando in pensione, potrà occuparsi di più della Chiesa cinese che “ha bisogno della nostra preoccupazione e delle nostre cure. Il fatto che il papa mi ha nominato cardinale significa che egli vuole che io lo aiuti su questo tema.
“Dio sta guidando in modi meravigliosi, la sua mano sostiene la nostra, [la sua è ] una mano che porta il segno dei chiodi, che non producono più dolore, ma brillano di gloria per sempre”.
Dopo aver ringraziato sacerdoti, suore, religiosi, seminaristi e tutti i suoi fedeli, egli aggiunge: “Dio non è lontano, nell’alto dei cieli. Egli è in mezzo a noi. Egli è al nostro fianco. É nel nostro cuore. Con Lui, abbiamo la forza di portare le nostre croci nella malattia, nella povertà, nella solitudine o persecuzione. Con Lui siamo capaci di aiutare i nostri compagni di viaggio a portare la loro croce. Con Lui siamo capaci di aiutare i nostri fratelli e sorelle del continente a percorrere la Via crucis fino alla fine. Cari fratelli e sorelle, non abbiate paura. Noi crediamo nel Salvatore che è risorto. L’ultima parola non è la morte, ma la vita, la vera vita, la pienezza della vita, la vita eterna. La pace sia con voi!
A tutti voi, nuovi cristiani che celebrerete il battesimo durante la veglia pasquale, benvenuti nella nostra brande famiglia. Durante gli scrutini [per i catecumeni] ho avuto la possibilità di sperimentare la vostra gioia. Conservate sempre la gioia del battesimo. Voi vi siete aggregati a una comunità di esseri umani, una comunità di peccatori. Sostenetevi gli uni gli altri. Questa comunità è il Corpo mistico di Cristo. La grazia di Dio sia sempre in mezzo a voi. Egli vi ama. Possa la Santa Madre Maria sostenervi, perché possiate perseverare fino alla fine”.
L’annuncio ufficiale del ritiro del card. Zen dovrebbe avvenire subito dopo Pasqua. Il suo successore è mons. John Tong Hon.
1) Omelia del Papa per la Santa Messa "nella Cena del Signore"
2) Intolleranza laicista - Autore: Vecchi, Gian Guido Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Corriere della Sera - 9.04.2009 - venerdì 10 aprile 2009 - «Un errore: così si piega all’intolleranza del laicismo» (Corriere della Sera, 9 aprile 2009)
3) Blair “sposa” i gay e fa lezione al Papa: «È troppo anziano» - «Il Vaticano - ha detto Blair - dovrebbe ripensare la propria posizione nei confronti degli omosessuali e abbandonare le posizioni trincerate, mentre il mondo - e con esso i fedeli stessi - si evolve». Il problema - secondo Blair - è che il Papa (82 anni) è troppo vecchio...
4) 10/04/2009 10:37 - HONG KONG – CINA - Ultima lettera pastorale del card. Zen alla Chiesa di Hong Kong e della Cina - di James Wang - Un toccante messaggio alla missione dei cattolici di Hong Kong, a sostegno della Chiesa perseguitata in Cina. Un ringraziamento a sacerdoti, suore e fedeli e un saluto ai nuovi cristiani che saranno battezzati la notte di Pasqua.
Omelia del Papa per la Santa Messa "nella Cena del Signore"
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 9 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo giovedì, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la concelebrazione della Santa Messa "nella Cena del Signore".
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Cari fratelli e sorelle!
Qui, pridie quam pro nostra omniumque salute pateretur, hoc est hodie, accepit panem: così diremo oggi nel Canone della Santa Messa. "Hoc est hodie" – la Liturgia del Giovedì Santo inserisce nel testo della preghiera la parola "oggi", sottolineando con ciò la dignità particolare di questa giornata. È stato "oggi" che Egli l’ha fatto: per sempre ha donato se stesso a noi nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Questo "oggi" è anzitutto il memoriale della Pasqua di allora. Tuttavia è di più. Con il Canone entriamo in questo "oggi". Il nostro oggi viene a contatto con il suo oggi. Egli fa questo adesso. Con la parola "oggi", la Liturgia della Chiesa vuole indurci a porre grande attenzione interiore al mistero di questa giornata, alle parole in cui esso si esprime. Cerchiamo dunque di ascoltare in modo nuovo il racconto dell’istituzione così come la Chiesa, in base alla Scrittura e contemplando il Signore stesso, lo ha formulato.
Come prima cosa ci colpirà che il racconto dell’istituzione non è una frase autonoma, ma comincia con un pronome relativo: qui pridie. Questo "qui" aggancia l’intero racconto alla precedente parola della preghiera, "… diventi per noi il corpo e il sangue del tuo amatissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo". In questo modo, il racconto dell’istituzione è connesso con la preghiera precedente, con l’intero Canone, e reso esso stesso preghiera. Non è affatto semplicemente un racconto qui inserito, e non si tratta neppure di parole autoritative a sé stanti, che magari interromperebbero la preghiera. È preghiera. E soltanto nella preghiera si realizza l’atto sacerdotale della consacrazione che diventa trasformazione, transustanziazione dei nostri doni di pane e vino in Corpo e Sangue di Cristo. Pregando in questo momento centrale, la Chiesa è in totale accordo con l’avvenimento nel Cenacolo, poiché l’agire di Gesù viene descritto con le parole: "gratias agens benedixit – rese grazie con la preghiera di benedizione". Con questa espressione, la Liturgia romana ha diviso in due parole ciò, che nell’ebraico berakha è una parola sola, nel greco invece appare nei due termini eucharistía ed eulogía. Il Signore ringrazia. Ringraziando riconosciamo che una certa cosa è dono che proviene da un altro. Il Signore ringrazia e con ciò restituisce a Dio il pane, "frutto della terra e del lavoro dell’uomo", per riceverlo nuovamente da Lui. Ringraziare diventa benedire. Ciò che è stato dato nelle mani di Dio, ritorna da Lui benedetto e trasformato. La Liturgia romana ha ragione nell’interpretare il nostro pregare in questo momento sacro mediante le parole: "offriamo", "supplichiamo", "chiediamo di accettare", "di benedire queste offerte". Tutto questo si nasconde nella parola "eucaristia"
C’è un’altra particolarità nel racconto dell’istituzione riportato nel Canone Romano, che vogliamo meditare in quest’ora. La Chiesa orante guarda alle mani e agli occhi del Signore. Vuole quasi osservarlo, vuole percepire il gesto del suo pregare e del suo agire in quell’ora singolare, incontrare la figura di Gesù, per così dire, anche attraverso i sensi. "Egli prese il pane nelle sue mani sante e venerabili…". Guardiamo a quelle mani con cui Egli ha guarito gli uomini; alle mani con cui ha benedetto i bambini; alle mani, che ha imposto agli uomini; alle mani, che sono state inchiodate alla Croce e che per sempre porteranno le stimmate come segni del suo amore pronto a morire. Ora siamo incaricati noi di fare ciò che Egli ha fatto: prendere nelle mani il pane perché mediante la preghiera eucaristica sia trasformato. Nell’Ordinazione sacerdotale, le nostre mani sono state unte, affinché diventino mani di benedizione. Preghiamo il Signore che le nostre mani servano sempre di più a portare la salvezza, a portare la benedizione, a rendere presente la sua bontà!
Dall’introduzione alla Preghiera sacerdotale di Gesù (cfr Gv 17, 1), il Canone prende le parole: "Alzando gli occhi al cielo a te, Dio Padre suo onnipotente…" Il Signore ci insegna ad alzare gli occhi e soprattutto il cuore. A sollevare lo sguardo, distogliendolo dalle cose del mondo, ad orientarci nella preghiera verso Dio e così a risollevarci. In un inno della preghiera delle ore chiediamo al Signore di custodire i nostri occhi, affinché non accolgano e lascino entrare in noi le "vanitates" – le vanità, le nullità, ciò che è solo apparenza. Preghiamo che attraverso gli occhi non entri in noi il male, falsificando e sporcando così il nostro essere. Ma vogliamo pregare soprattutto per avere occhi che vedano tutto ciò che è vero, luminoso e buono; affinché diventiamo capaci di vedere la presenza di Dio nel mondo. Preghiamo, affinché guardiamo il mondo con occhi di amore, con gli occhi di Gesù, riconoscendo così i fratelli e le sorelle, che hanno bisogno di noi, che sono in attesa della nostra parola e della nostra azione.
Benedicendo, il Signore spezza poi il pane e lo distribuisce ai discepoli. Lo spezzare il pane è il gesto del padre di famiglia che si preoccupa dei suoi e dà loro ciò di cui hanno bisogno per la vita. Ma è anche il gesto dell’ospitalità con cui lo straniero, l’ospite viene accolto nella famiglia e gli viene concessa una partecipazione alla sua vita. Dividere – con-dividere è unire. Mediante il condividere si crea comunione. Nel pane spezzato, il Signore distribuisce se stesso. Il gesto dello spezzare allude misteriosamente anche alla sua morte, all’amore sino alla morte. Egli distribuisce se stesso, il vero "pane per la vita del mondo" (cfr Gv 6, 51). Il nutrimento di cui l’uomo nel più profondo ha bisogno è la comunione con Dio stesso. Ringraziando e benedicendo, Gesù trasforma il pane, non dà più pane terreno, ma la comunione con se stesso. Questa trasformazione, però, vuol essere l’inizio della trasformazione del mondo. Affinché diventi un mondo di risurrezione, un mondo di Dio. Sì, si tratta di trasformazione. Dell’uomo nuovo e del mondo nuovo che prendono inizio nel pane consacrato, trasformato, transustanziato.
Abbiamo detto che lo spezzare il pane è un gesto di comunione, dell’unire attraverso il condividere. Così, nel gesto stesso è già accennata l’intima natura dell’Eucaristia: essa è agape, è amore reso corporeo. Nella parola "agape" i significati di Eucaristia e amore si compènetrano. Nel gesto di Gesù che spezza il pane, l’amore che si partecipa ha raggiunto la sua radicalità estrema: Gesù si lascia spezzare come pane vivo. Nel pane distribuito riconosciamo il mistero del chicco di grano, che muore e così porta frutto. Riconosciamo la nuova moltiplicazione dei pani, che deriva dal morire del chicco di grano e proseguirà sino alla fine del mondo. Allo stesso tempo vediamo che l’Eucaristia non può mai essere solo un’azione liturgica. È completa solo, se l’agape liturgica diventa amore nel quotidiano. Nel culto cristiano le due cose diventano una – l’essere gratificati dal Signore nell’atto cultuale e il culto dell’amore nei confronti del prossimo. Chiediamo in quest’ora al Signore la grazia di imparare a vivere sempre meglio il mistero dell’Eucaristia così che in questo modo prenda inizio la trasformazione del mondo. Dopo il pane, Gesù prende il calice del vino. Il Canone romano qualifica il calice, che il Signore dà ai discepoli, come "praeclarus calix" (come calice glorioso), alludendo con ciò al Salmo 23 [22], quel Salmo che parla di Dio come del Pastore potente e buono. Lì si legge: "Davanti a me tu prepari una mensa, sotto gli occhi dei miei nemici … Il mio calice trabocca" – calix praeclarus. Il Canone romano interpreta questa parola del Salmo come una profezia, che si adempie nell’Eucaristia: Sì, il Signore ci prepara la mensa in mezzo alle minacce di questo mondo, e ci dona il calice glorioso – il calice della grande gioia, della vera festa, alla quale tutti aneliamo – il calice colmo del vino del suo amore. Il calice significa le nozze: adesso è arrivata l’"ora", alla quale le nozze di Cana avevano alluso in modo misterioso. Sì, l’Eucaristia è più di un convito, è una festa di nozze. E queste nozze si fondono nell’autodonazione di Dio sino alla morte. Nelle parole dell’Ultima Cena di Gesù e nel Canone della Chiesa, il mistero solenne delle nozze si cela sotto l’espressione "novum Testamentum". Questo calice è il nuovo Testamento – "la nuova Alleanza nel mio sangue", come Paolo riferisce la parola di Gesù sul calice nella seconda lettura di oggi (1 Cor 11, 25). Il Canone romano aggiunge: "per la nuova ed eterna alleanza", per esprimere l’indissolubilità del legame nuziale di Dio con l’umanità. Il motivo per cui le antiche traduzioni della Bibbia non parlano di Alleanza, ma di Testamento, sta nel fatto che non sono due contraenti alla pari che qui si incontrano, ma entra in azione l’infinita distanza tra Dio e l’uomo. Ciò che noi chiamiamo nuova ed antica Alleanza non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma mero dono di Dio che ci lascia in eredità il suo amore – se stesso. Certo, mediante questo dono del suo amore Egli, superando ogni distanza, ci rende poi veramente "partner" e si realizza il mistero nuziale dell’amore.
Per poter comprendere che cosa in profondità lì avviene, dobbiamo ascoltare ancora più attentamente le parole della Bibbia e il loro significato originario. Gli studiosi ci dicono che, nei tempi remoti di cui parlano le storie dei Padri di Israele, "ratificare un’alleanza" significa "entrare con altri in un legame basato sul sangue, ovvero accogliere l’altro nella propria federazione ed entrare così in una comunione di diritti l’uno con l’altro". In questo modo si crea una consanguineità reale benché non materiale. I partner diventano in qualche modo "fratelli della stessa carne e delle stesse ossa". L’alleanza opera un’insieme che significa pace (cfr ThWNT II 105 – 137). Possiamo adesso farci almeno un’idea di ciò che avvenne nell’ora dell’Ultima Cena e che, da allora, si rinnova ogni volta che celebriamo l’Eucaristia? Dio, il Dio vivente stabilisce con noi una comunione di pace, anzi, Egli crea una "consanguineità" tra sé e noi. Mediante l’incarnazione di Gesù, mediante il suo sangue versato siamo stati tirati dentro una consanguineità molto reale con Gesù e quindi con Dio stesso. Il sangue di Gesù è il suo amore, nel quale la vita divina e quella umana sono divenute una cosa sola. Preghiamo il Signore, affinché comprendiamo sempre di più la grandezza di questo mistero! Affinché esso sviluppi la sua forza trasformatrice nel nostro intimo, in modo che diventiamo veramente consanguinei di Gesù, pervasi dalla sua pace e così anche in comunione gli uni con gli altri.
Ora, però, emerge ancora un’altra domanda. Nel Cenacolo, Cristo dona ai discepoli il suo Corpo e il suo Sangue, cioè se stesso nella totalità della sua persona. Ma può farlo? È ancora fisicamente presente in mezzo a loro, sta di fronte a loro! La risposta è: in quell’ora Gesù realizza ciò che aveva annunciato precedentemente nel discorso sul Buon Pastore: "Nessuno mi toglie la mia vita: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo…" (Gv 10, 18). Nessuno può toglierGli la vita: Egli la dà per libera decisione. In quell’ora anticipa la crocifissione e la risurrezione. Ciò che là si realizzerà, per così dire, fisicamente in Lui, Egli lo compie già in anticipo nella libertà del suo amore. Egli dona la sua vita e la riprende nella risurrezione per poterla condividere per sempre.
Signore, oggi Tu ci doni la tua vita, ci doni te stesso. Pènetraci con il tuo amore. Facci vivere nel tuo "oggi". Rendici strumenti della tua pace! Amen.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Intolleranza laicista - Autore: Vecchi, Gian Guido Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Corriere della Sera - 9.04.2009 - venerdì 10 aprile 2009 - «Un errore: così si piega all’intolleranza del laicismo» (Corriere della Sera, 9 aprile 2009)
ROMA - «E come no, invita il Papa al politicamente corretto! A portare la Chiesa su ciò che viene normalmente condiviso dalla mentalità comune... Sembra una posizione tollerante, sembra».
«Sembra», eccellenza? «Già. Perché questa, in realtà, è la tipica intolleranza del laicismo. Un’intolleranza pesante, forte, che dice: pensate ciò che volete, ma alla fine dovrete pensarla come noi».
Monsignor Luigi Negri, 67 anni, vescovo di San Marino e Montefeltro, teologo e filosofo, già allievo di don Giussani al liceo Berchet e assistente di Gustavo Bontadini nella cattedra di Teoretica alla Cattolica, non è tipo da linguaggio velato e curiale: «Vede, se anche 99 persone su 100 ritenessero che l’omosessualità è un diritto e non un disordine grave, questo non cambierebbe di un capello la posizione della Chiesa».
Ma l’invito di Blair al «ripensamento»? «C’è un rovesciamento logico. La Chiesa parla in base a ciò che è giusto e vero e buono. Deve partire dalla fede e cercare di illuminare grazie alla fede i problemi, i limiti e le difficoltà di una situazione concreta. Qui invece si prende la mentalità dominante, che spesso lo è in senso modernista e anticattolico, e la si fa diventare un valore. La posizione della Chiesa diventa un’opinione: se corrisponde alla mentalità corrente va bene, sennò è negativa».
L’ex premier britannico si è convertito al cattolicesimo e dice che tra la gente, nelle parrocchie, la fede si basa piuttosto su «compassione e solidarietà».
«Così si fa confusione, si parla di giudizio e misericordia come fossero strutturalmente contrapposti. Mentre invece la misericordia è la modalità cristiana con la quale si esprime la chiarezza di giudizio, il mondo ha bisogno di verità».
Ma nel caso dell’omosessualità e degli omosessuali?
«Come diceva Giovanni XXIII: inesorabili verso l’errore, comprensivi verso l’errante. Non potremo mai dire che l’omosessualità è bene ma, attenzione, non potremo mai neppure dire che un omosessuale, per il fatto di esserlo, non può salvarsi. Una volta espresso il giudizio, si vive del massimo di misericordia possibile. Giudizio sulla questione generale, misericordia verso le persone».
Blair parla di una Chiesa «trincerata» nelle sue vecchie posizioni. Non è possibile che il giudizio muti con il passare del tempo?
«Bisogna recuperare l’idea di evoluzione del dogma che espresse il cardinale Newman, purtroppo per lui concittadino di Blair. Il dogma cresce perché si incontra con le circostanze che mutano, si cala nella realtà concreta ed è costretto a maturare una coscienza più lucida, più critica. Per dire: dal Quattrocento a oggi i dogmi sono diventati sempre più chiari, calandosi nelle circostanze concrete. Questo sì. Però non si può rovesciare la situazione e fare delle circostanze un dogma».
La posizione sull’omosessualità è un dogma?
«No, però c’è una convinzione profonda della Chiesa, la concezione della morale cattolica ritiene che certi comportamenti siano gravemente scorretti dal punto di vista etico».
Certo che è un momento strano: pochi giorni fa il parlamento del Belgio ha votato una risoluzione di protesta contro Benedetto XVI e le sue posizioni «inaccettabili» sui preservativi.
«Tira quest’aria, l’intolleranza che dice: pensala come me, e così vai bene. Una mentalità che vorrebbe insegnarci come dobbiamo essere cattolici».
Gian Guido Vecchi
Blair “sposa” i gay e fa lezione al Papa: «È troppo anziano» - «Il Vaticano - ha detto Blair - dovrebbe ripensare la propria posizione nei confronti degli omosessuali e abbandonare le posizioni trincerate, mentre il mondo - e con esso i fedeli stessi - si evolve». Il problema - secondo Blair - è che il Papa (82 anni) è troppo vecchio...
Ecco una notizia che farà contento soprattutto Franco Grillini e tutti i soci dell’arcigay. A perorare la causa dell’omosessualità si è messo niente meno che l’ex premier britannico Tony Blair, che tra una conferenza milionaria e un’altra (il compenso di Blair oratore è di 7.300 euro al minuto) ha trovato il tempo di rilasciare un’intervista al magazine gay “Attitude” in cui “consiglia” la Chiesa cattolica di essere più tollerante nei confronti dei diversi.
«Il Vaticano - ha detto Blair - dovrebbe ripensare la propria posizione nei confronti degli omosessuali e abbandonare le posizioni trincerate, mentre il mondo - e con esso i fedeli stessi - si evolve». Il problema - secondo Blair - è che il Papa (82 anni) è troppo vecchio. Quando gli è stato chiesto un commento sulla definizione di omosessualità elaborata da Benedetto XVI nel 1986 (“una tendenza intrinseca al male morale”), l'ex premier britannico ha risposto: «Su questo punto c'è un'enorme differenza generazionale. Abbiamo bisogno di un’attitudine mentale per cui i ripensamenti e il concetto di evoluzione delle disposizioni individuali facciano parte dell’approccio alla fede religiosa». Ma la gente di chiesa normale - è convinto Blair - la pensa come lui: «Se si va in una qualunque chiesa la domenica e si fa un sondaggio si resterà sorpresi nel vedere quante persone mostrano una mentalità liberale. E se si chiede alle congregazioni, vedrete che i fedeli non basano la loro fede su questo tipo di atteggiamenti arroccati». La domanda è: perché tanta solerzia a favore di una causa che non gli è mai stata propria? Forse si aspetta di essere chiamato a parlare a un dibattito sull’omosessualità e ricevere un altro compenso da capogiro dopo i 200mila euro guadagnati al convegno «Il leader come costruttore di nazioni durante la globalizzazione» nelle Filippine. O forse ancora ha maturato dentro di sé un’altra conversione (due anni fa, quando la lasciato la guida del Regno Unito, ha abbandonato la Chiesa anglicana per diventare cattolico) e si sta preparando il terreno per poter fare la comunione anche dopo l’outing. Ma l’ex premier non si è limitato a consigliare alla Chiesa Romana l’apertura ai gay. E’ andato ben oltre e ha colto l’occasione anche per suggerire un ammodernamento a tutto tondo. Come lui fece con il partito laburista, a cui diede una svolta a dir poco liberale, anche la Chiesa dovrebbe “ri-organizzarsi”.
«Le organizzazioni religione hanno gli stessi dilemmi dei partiti politici e quando si trovano di fronte a circostanze che cambiano hanno due possibilità. La prima è ancorarsi sulle proprie posizioni e non uscire dagli schemi per non rischiare di perdere il proprio zoccolo duro. La seconda è accettare che il mondo sta cambiando e decidere di mettersi alla guida del cambiamento». Forse, però, a volte i conti bisogna farli. La Chiesa cattolica è un’istituzione che resiste da quasi due millenni e ha oltre un miliardo di fedeli in tutto il mondo. Il Labour Party ha soltanto un secolo di storia e un numero di fedeli che si riduce sempre di più: tanto che alle amministrative dell’anno scorso è diventato il terzo partito del Paese.
di Fausta Chiesa
LIBERO 09/04/09
10/04/2009 10:37 - HONG KONG – CINA - Ultima lettera pastorale del card. Zen alla Chiesa di Hong Kong e della Cina - di James Wang - Un toccante messaggio alla missione dei cattolici di Hong Kong, a sostegno della Chiesa perseguitata in Cina. Un ringraziamento a sacerdoti, suore e fedeli e un saluto ai nuovi cristiani che saranno battezzati la notte di Pasqua.
Hong Kong (AsiaNews) – Il card. Joseph Zen dice addio alla sua diocesi in una lettera pastorale per la Pasqua, che egli stesso definisce “una lettera familiare”, in cui ricorda i suoi 12 anni di episcopato per Hong Kong e il suo impegno per la Chiesa perseguitata in Cina.
La lettera inizia con un breve racconto sui lavori della Commissione vaticana per la Chiesa in Cina – a cui egli partecipa come membro – in cui il card. Zen ricorda “la croce pesante portata dai nostri fratelli e sorelle [della Cina] negli ultimi 50 anni”.
“La Chiesa in Cina, la Chiesa a cui apparteniamo, per più di 50 anni non ha avuto libertà ed è stata perseguitata. Durante il nostro incontro [a Roma] si è diffusa la notizia dell’arresto di mons. Jia Zhiguo di Zhengding….”
Il porporato riafferma che, andando in pensione, potrà occuparsi di più della Chiesa cinese che “ha bisogno della nostra preoccupazione e delle nostre cure. Il fatto che il papa mi ha nominato cardinale significa che egli vuole che io lo aiuti su questo tema.
“Dio sta guidando in modi meravigliosi, la sua mano sostiene la nostra, [la sua è ] una mano che porta il segno dei chiodi, che non producono più dolore, ma brillano di gloria per sempre”.
Dopo aver ringraziato sacerdoti, suore, religiosi, seminaristi e tutti i suoi fedeli, egli aggiunge: “Dio non è lontano, nell’alto dei cieli. Egli è in mezzo a noi. Egli è al nostro fianco. É nel nostro cuore. Con Lui, abbiamo la forza di portare le nostre croci nella malattia, nella povertà, nella solitudine o persecuzione. Con Lui siamo capaci di aiutare i nostri compagni di viaggio a portare la loro croce. Con Lui siamo capaci di aiutare i nostri fratelli e sorelle del continente a percorrere la Via crucis fino alla fine. Cari fratelli e sorelle, non abbiate paura. Noi crediamo nel Salvatore che è risorto. L’ultima parola non è la morte, ma la vita, la vera vita, la pienezza della vita, la vita eterna. La pace sia con voi!
A tutti voi, nuovi cristiani che celebrerete il battesimo durante la veglia pasquale, benvenuti nella nostra brande famiglia. Durante gli scrutini [per i catecumeni] ho avuto la possibilità di sperimentare la vostra gioia. Conservate sempre la gioia del battesimo. Voi vi siete aggregati a una comunità di esseri umani, una comunità di peccatori. Sostenetevi gli uni gli altri. Questa comunità è il Corpo mistico di Cristo. La grazia di Dio sia sempre in mezzo a voi. Egli vi ama. Possa la Santa Madre Maria sostenervi, perché possiate perseverare fino alla fine”.
L’annuncio ufficiale del ritiro del card. Zen dovrebbe avvenire subito dopo Pasqua. Il suo successore è mons. John Tong Hon.