Nella rassegna stampa di oggi:
1) 19/04/2009 13.00.52 – Radio Vaticana – Il grande affetto e la vicinanza spirituale di tanti e l’appello per la Conferenza di Durban: nelle parole di Benedetto XVI al Regina Coeli nell’Ottava di Pasqua, Domenica della Divina Misericordia
2) COMINCIA IL QUINTO ANNO DI PONTIFICATO - NELLA PALUDE DEL RELATIVISMO LA PAROLA NETTA DI QUESTO PAPA - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 19 aprile 2009
3) Longino e la Misericordia - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 18 aprile 2009
4) Analisi del progetto di legge sul testamento biologico approvato dal senato il 26 marzo 2009 - Lo sanno tutti: se la maggioranza avesse voluto impedire “un’altra Eluana” avrebbe scritto una legge molto semplice e molto corta: “È vietato interrompere la nutrizione e l’idratazione erogata con mezzi artificiali ai soggetti in stato vegetativo”. Tutti sanno anche un’altra cosa: l’unico punto che interessa a maggioranza e opposizione è la regolamentazione della morte procurata dei soggetti incoscienti: se è possibile, quando è possibile, con quali presupposti è possibile, chi potrà disporla, chi dovrà eseguirla, chi ne sarà esentato... - Ecco un’analisi dettagliata e interessante del progetto di legge sul testamento biologico proposta dal Comitato Verità e Vita. - di Giacomo Rocchi
5) Benedetto XVI e l'incontro tra fede e ragione - Il facile equivoco della religiosità sostenibile - Pubblichiamo le conclusioni dell'editoriale del numero in uscita della rivista "La Civiltà Cattolica". – L’Osservatore Romano, 19 aprile 2009
6) «Rammarico» della Santa Sede per l’«inconsueta» decisione del governo belga di contestare le affermazioni di Benedetto XVI Mercoledì le proteste formali, presentate da Bruxelles dopo il voto in Parlamento che definiva «inaccettabili» le affermazioni del Pontefice durante il viaggio in Africa - «In Europa vogliono intimidire il Papa» - Il Vaticano replica al Belgio su Aids e preservativo: campagna mediatica senza precedenti - La Segreteria di Stato: «Critiche sulla base di un estratto di intervista isolato dal contesto, quasi a dissuadere dall’esprimersi su temi di rilevanza morale» - DI GIANNI CARDINALE – Avvenire, 19 aprile 2009
7) NIENTE SOLDI PER CLONAZIONE, IBRIDI E CREAZIONE DI NUOVI EMBRIONI - Obama «libera» l’America un po’ meno però del previsto - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 19 aprile 2009
8) «Io, ex punk comunista canto la fede ritrovata» - Giovanni Lindo Ferretti - «Dopo aver cercato il senso in mille modi senza trovarlo l’ho scoperto tornando a casa, tra montagne e rosari. Oggi curo mia madre malata, considero Ratzinger il mio maestro e uso il rock anche per cantare contro l’eutanasia e il nichilismo» - DI ANDREA PEDRINELLI – Avvenire, 19 aprile 1009
19/04/2009 13.00.52 – Radio Vaticana – Il grande affetto e la vicinanza spirituale di tanti e l’appello per la Conferenza di Durban: nelle parole di Benedetto XVI al Regina Coeli nell’Ottava di Pasqua, Domenica della Divina Misericordia
In questa Domenica che chiude l’Ottava di Pasqua e in cui si celebra la Divina Misericordia, Benedetto XVI ringrazia per le manifestazioni di vicinanza spirituale e di affetto ricevute in particolare in questi giorni ribadendo “non mi sento mai solo”. Poi la riflessione sulla Conferenza ONU che da domani a Ginevra tratterà della Dichiarazione di Durban su razzismo e discriminazione. E il pensiero alle Chiese Orientali che celebrano oggi la Pasqua. L’occasione, la recita della preghiera mariana Regina Coeli nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, al termine della quale Benedetto XVI ha incontrato il cardinale Lozano Barragan, Presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Nel pomeriggio, alle 18:30 il Papa lascerà in elicottero le Ville Pontificie di Castel Gandolfo per fare rientro in Vaticano. Sulle parole del Papa, il servizio di Fausta Speranza. http://62.77.60.84/audio/ra/00158456.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00158456.RM
“Ringrazio il Signore per la coralità di tanto affetto”, dice Benedetto XVI. “Ho sperimentato una solidarietà spirituale, nutrita essenzialmente di preghiera, che si manifesta in mille modi”: così aggiunge esprimendo un cordialissimo grazie a tutti coloro – e sottolinea tanti - hanno fatto pervenire un segno di affetto e di vicinanza spirituale in questi giorni, per le festività pasquali, per il compleanno, il 16 aprile, e per il quarto anniversario dell’elezione alla Cattedra di Pietro, che ricorre proprio oggi. “Come ho avuto modo di affermare di recente – ribadisce Benedetto XVI – non mi sento mai solo”:
“A partire dai miei collaboratori della Curia Romana, fino alle parrocchie geograficamente più lontane, noi cattolici formiamo e dobbiamo sentirci una sola famiglia, animata dagli stessi sentimenti della prima comunità cristiana, di cui il testo degli Atti degli Apostoli che si legge in questa domenica afferma: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32).”
Il Papa ricorda che le prime comunità cristiane si sono fondate su Cristo Risorto che ha donato ai suoi “una nuova unità, più forte di prima, invincibile, - ricorda il Papa- perché fondata non sulle risorse umane, ma sulla divina misericordia, che li fece sentire tutti amati e perdonati da Lui.” E’ dunque l’amore misericordioso di Dio – ricorda - ad unire saldamente, oggi come ieri, la Chiesa e a fare dell’umanità una sola famiglia.” E dunque Benedetto XVI ricorda che con questa convinzione Giovanni Paolo II ha voluto intitolare la seconda domenica di Pasqua alla Divina Misericordia, accogliendo il messaggio spirituale trasmesso dal Signore a Santa Faustina Kowalska e sintetizzato nell’invocazione: “Gesù confido in te”.
“Come per la prima comunità, è Maria ad accompagnarci nella vita di ogni giorno. Noi la invochiamo “Regina del Cielo”, sapendo che la sua regalità è come quella del suo Figlio: tutta amore, e amore misericordioso. Vi domando di affidare a Lei nuovamente il mio servizio alla Chiesa, mentre con fiducia Le diciamo: Mater misericordiae, ora pro nobis.”
Dopo la preghiera mariana, il pensiero del Papa va alla Conferenza di esame della Dichiarazione di Durban del 2001 contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e la relativa intolleranza. “Si tratta di un’iniziativa importante - spiega Benedetto XVI - perché ancora oggi, nonostante gli insegnamenti della storia, si registrano tali deplorevoli fenomeni.” La Dichiarazione di Durban – spiega il Papa - riconosce che “tutti i popoli e le persone formano una famiglia umana, ricca in diversità, e promuove tolleranza, luralismo e rispetto per una società più inclusiva. A partire da queste affermazioni si richiede un’azione ferma e concreta, a livello nazionale e internazionale, per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione e di intolleranza. Benedetto XVI aggiunge che “occorre, soprattutto, una vasta opera di educazione, che esalti la dignità della persona e ne tuteli i diritti fondamentali”. E a questo proposito il Papa ricorda l’insegnamento di fondo della Chiesa:
“La Chiesa ribadisce che solo il riconoscimento della dignità dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, può costituire un sicuro riferimento per tale impegno. Da questa origine comune, infatti, scaturisce un comune destino dell’umanità, che dovrebbe suscitare in ognuno e in tutti un forte senso di solidarietà e di responsabilità”.
Dunque, l’incoraggiamento del Papa:
“Formulo i miei sinceri voti affinché i Delegati presenti alla Conferenza di Ginevra lavorino insieme, con spirito di dialogo e di accoglienza reciproca, per mettere fine ad ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza, segnando così un passo fondamentale verso l’affermazione del valore universale della dignità dell’uomo e dei suoi diritti, in un orizzonte di rispetto e di giustizia per ogni persona e popolo.”
Nei saluti in varie lingue, il Papa incoraggia tutti a riconoscere la luce della gioia pasquale, facendosi aiutare da Maria. In tedesco ringrazia in particolare quanti lo hanno sostenuto e lo sostengono in Germania ricordando che 4 anni fa divenendo Papa chiese sostegno spirituale e preghiere. Inoltre in polacco, un pensiero particolare ai connazionali del Servo di Dio Giovanni Paolo II, ricordando che “è stato proprio lui a ricordare a noi tutti il messaggio di Cristo Misericordioso, rivelato a Santa Faustina”.
Poi il saluto ai pellegrini di lingua italiana e, in particolare, ai partecipanti, stamane, alla Messa presieduta dal Cardinale Vicario Agostino Vallini nella chiesa di Santo Spirito in Sassia.
“Cari amici, voi portate la celebre immagine di Gesù Misericordioso: portatela sempre dentro di voi, e siate dovunque suoi testimoni! Buona domenica a tutti!”
COMINCIA IL QUINTO ANNO DI PONTIFICATO - NELLA PALUDE DEL RELATIVISMO LA PAROLA NETTA DI QUESTO PAPA - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 19 aprile 2009
Se non fosse un poco irriverente si potrebbe dire, parafrasando: un anno trascorso pericolosamente. Ma la barca di Pietro, si sa, naviga da sempre in mezzo a tempeste e a pirati. Non sono mancati neppure gli ammutinamenti di parte di marinai, ed è una barca su cui ogni tipo d’uomo, con pregi e difetti, viene invitato a salire. Nessuno, nel Vangelo, ha promesso ai discepoli una vita tranquilla. Né è stato chiesto ad alcuno un 'certificato' di santità per poter salire sulla barca. Dire quindi che per la Chiesa e per il suo pastore questo è stato un anno vissuto intensamente tra grazie e prove è come dire: tutto bene, la navigazione procede. Per questo il primo sentimento congiunto al primo atto della ragione di fronte a questo Papa, pervenuto alla conclusione del suo quarto anno di pontificato, è di gratitudine. Con il nome fortemente significativo di Benedetto, siamo grati di trovarci dinanzi a quest’uomo e proprio in questo incrocio dei tempi. Siamo a un incrocio della strada della storia in cui il mite e ragionevole invito a considerare la presenza del mistero di Dio nella vita umana è il più avventuroso dei richiami.
Siamo a un incrocio della storia dove con 'relativismo' si indica il nome filosofico e culturale del grande disorientamento circa il valore dell’esistenza. È dunque il nome della grande palude e della terra di rovine in cui il nostro, come l’antico Benedetto, si è messo a lavorare per la vigna del Signore, come disse all’esordio. La presenza della Chiesa nel mondo attuale, ha scritto una grande narratrice americana, è l’unica cosa che rende meno duro il mondo in cui viviamo. Il richiamo a considerare Dio come la Verità misteriosa dell’esistenza, come Mistero buono che ama la vita, è l’annuncio che sfida ogni avanzamento della palude, nella vita personale come nella pubblica.
È così oggi, come fu per Benedetto che coi suoi monaci reso meno dura la vita dell’Europa tra le macerie dell’Impero. Gli eventi, i grandi segni che stanno costellando la vasta mole del suo lavoro in senso dottrinario e di cura pastorale, e persino le polemiche che stanno delineando la figura di Benedetto XVI in termini avventurosi dipendono precisamente, unicamente, e oso dire, provvidenzialmente, da questo richiamo che il Papa sta facendo, in modo instancabile e illustrandolo in molti modi e campi della vita. Il mistero di Dio c’entra con l’esistenza e la ama. Si può dire, in ogni circostanza della vita: Padre nostro. Non è vero che la vita di ciascuno è una casualità che si perde nella nebbia dei giorni e delle opinioni: c’è un Dio che ama la vita e vuole che sia lieta. Un Dio che desidera fino al sacrificio del Figlio che la nostra vita abbia la speranza per affermarsi anche in mezzo alle prove. Non ha pretese questo Papa. Non segue le opinioni che gli convengono. A differenza di ogni altro leader mondiale, non deve inseguire nessun consenso. È il servo dei servi che porta un annuncio, con la sua parola e la sua testimonianza. Di questo gli uomini di fede, ma anche quelli che vogliono comprendere cosa sia veramente la fede, gli sono grati.
Longino e la Misericordia - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 18 aprile 2009
La tradizione dice che Longino abbia recuperato la vista malata nel momento in cui uno schizzo del sangue e dell’acqua sgorgati dal costato di Cristo l’ha colpito in faccia. Era stato lui, soldato romano di guardia sotto la croce, a ferire con la lancia il costato di quell’Uomo dileggiato come il re dei Giudei. Voleva rendersi conto se fosse veramente morto. Si coprì il volto bagnato con le mani Longino, non poteva sapere che l’Acqua e il Sangue avrebbero fatto conoscere per primo a lui, soldato pagano, la Misericordia di Dio che moriva anche per la sua salvezza. Lo capì quando si rese conto di vedere. E credette. Domenica celebriamo la Divina Misericordia. Ma cosa è oggi questa Misericordia che sana? È un fatto, come per Longino, perché Cristo risorto è vivo oggi e la Sua Presenza ci raggiunge nella Chiesa, Suo Corpo, quello da cui sgorgò Sangue ed Acqua. È quella medicina che, attraverso le parole del Papa nel messaggio pasquale Urbi et Orbi, viene a sanare il sentimento del nulla, il vuoto che rendono la speranza un’illusione, che “intossicano” l’umanità. Le parole pronunciate da Benedetto XVI, che ha ribadito la storicità della risurrezione di Cristo che molti vorrebbero ridurre a un mito, sono un dono per tutti. È sulla risurrezione di Cristo che si fonda la speranza dell’uomo. La Misericordia di Dio ci ha raggiunti in questi giorni con altri fatti, mostrando a noi stessi il volto umano del nostro paese, il volto di chi si sa sacrificare, sa pensare ancora agli altri e donare tempo e denaro. In molti modi c’è chi cerca di mascherare il bisogno di Dio che il dramma del terremoto ha reso evidente, ma la realtà è più forte, anche del male. Siamo tutti un po’ come Longino, con la vista malata, lo sguardo corto. Abbiamo bisogno di chi ci insegna che “tutta questa via della sofferenza è cammino di luce e di rinascita spirituale, di pace interiore e di salda speranza” perché Cristo è risorto. Con la Pasqua è iniziata “una pacifica battaglia” che necessita di “uomini e donne che aiutino Cristo ad affermare la sua vittoria con le sue stesse armi, quelle della giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell’amore” (Benedetto XVI).
Analisi del progetto di legge sul testamento biologico approvato dal senato il 26 marzo 2009 - Lo sanno tutti: se la maggioranza avesse voluto impedire “un’altra Eluana” avrebbe scritto una legge molto semplice e molto corta: “È vietato interrompere la nutrizione e l’idratazione erogata con mezzi artificiali ai soggetti in stato vegetativo”.
Tutti sanno anche un’altra cosa: l’unico punto che interessa a maggioranza e opposizione è la regolamentazione della morte procurata dei soggetti incoscienti: se è possibile, quando è possibile, con quali presupposti è possibile, chi potrà disporla, chi dovrà eseguirla, chi ne sarà esentato... - Ecco un’analisi dettagliata e interessante del progetto di legge sul testamento biologico proposta dal Comitato Verità e Vita. - di Giacomo Rocchi
1. Le ragioni di una legge.
Prima di analizzare il testo è necessario tornare alle origini: ai motivi per cui è stata ritenuta necessaria l’approvazione di una legge sul testamento biologico (o dichiarazioni anticipate di trattamento).
Quali erano le esigenze, le urgenze che spingevano all’adozione di una norma? La prima è stata senza dubbio la necessità di evitare che quanto accaduto a Eluana Englaro si ripetesse nei confronti di altri soggetti che si trovano o si troveranno nella sua stessa condizione (stato vegetativo): questa, almeno, è la volontà manifestata dalla maggioranza parlamentare che ha approvato il testo al Senato (e di cui fa parte il relatore, sen. Calabrò).
Vi erano altre esigenze? Analizziamo il nuovo titolo: “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento” dobbiamo evidentemente ritenere di sì.
In effetti nella vicenda di Eluana Englaro non vengono in evidenza né un problema di alleanza terapeutica (ella non ha mai avuto alcun rapporto con i medici relativamente alla patologia che l’ha colta e nemmeno il padre ha fondato le sue decisioni e le sue azioni sulla base di un rapporto con i medici, strumentalizzati solo al fine di procurare la morte alla figlia), né un problema di consenso informato (nessuno ha mai contestato la legittimità delle terapie d’urgenza a suo tempo erogate ad Eluana Englaro), né, infine, di dichiarazioni anticipate di trattamento che Eluana Englaro – come è pacifico – non ha mai fatto, né oralmente né per iscritto.
Più in generale viene da chiedersi quali risultati voglia ottenere il legislatore.
Forse ha sentito gli anziani che affollano gli ambulatori e li ha sentiti lamentarsi che il medico di base, prima di prescrivere loro la medicina per i loro malanni, non li informava adeguatamente e non faceva firmare loro il foglio del consenso informato?
Forse ha sentito coloro che devono sottoporsi ad interventi seri e ha colto, come esigenza principale, il fatto di non essere stati adeguatamente informati di quanto sarà fatto dai chirurghi sul loro corpo?
Non è che anziani o operandi hanno chiesto, piuttosto, ambulatori e ospedali meglio attrezzati, medici più motivati e specializzati, infermieri più premurosi, cibo delle mense mangiabile …
Lo sanno tutti: se la maggioranza avesse voluto impedire “un’altra Eluana” avrebbe scritto una legge molto semplice e molto corta: “È vietato interrompere la nutrizione e l’idratazione erogata con mezzi artificiali ai soggetti in stato vegetativo”.
Tutti sanno anche un’altra cosa: l’unico punto che interessa a maggioranza e opposizione è la regolamentazione della morte procurata dei soggetti incoscienti: se è possibile, quando è possibile, con quali presupposti è possibile, chi potrà disporla, chi dovrà eseguirla, chi ne sarà esentato.
Tutto il resto è fumo: a nessuno interessa sapere se il genitore del figlio minore deve dare il consenso per un apparecchio dentistico, o se il medico può rifiutarsi di erogare cure “naturali” e inefficaci ad un paziente “fissato”, o se il medico di base, prima di scrivere la ricetta di un antibiotico al bambino o all’anziano, chiederà alla madre o al paziente: “preferisce il prodotto X o Y?”.
Riconosciamo, quindi, già nel titolo del progetto di legge quell’ipocrisia che ben conosciamo da quando è stata approvata la legge 194 sull’aborto: dell’alleanza terapeutica e del consenso informato (così come della tutela della maternità) al legislatore non interessa nulla (se non nella misura in cui serve a raggiungere lo scopo principale).
Tutti sappiamo che, se di un medico non siamo soddisfatti, perché non è abbastanza disposto ad ascoltarci e a consigliarci o se diffidiamo della sua reale capacità professionale, possiamo cambiarlo e scegliere un altro; così come tutti sappiamo che il medico di cui noi ci fidiamo, quando gli porremo domande più approfondite su malattia, analisi, medicinali e cure, non avrà difficoltà a spiegarci più in dettaglio il motivo delle sue scelte.
Ciò che interessa, quindi, sono le dichiarazioni anticipate di trattamento: o meglio, solo quella parte del testamento biologico che farà sì che il soggetto incosciente venga lasciato morire o sia curato e possa continuare a vivere (eventualmente anche contro o a prescindere da una volontà precedentemente manifestata).
2. Il divieto di accanimento terapeutico.
In realtà, poiché lo scopo di una legge sul testamento biologico (come dimostrano ampiamente le esperienze di altri paesi che le hanno introdotte) non è affatto (o almeno: quasi per nulla) quello di far sì che il medico rispetti le volontà espresse in precedenza da un paziente divenuto incosciente, ma piuttosto quello di permettere – a prescindere da un’espressione di volontà dell’interessato – la soppressione dei soggetti in stato di incoscienza mediante la mancata erogazione delle terapie salvavita e dei sostegni vitali, vale la pena di cercare subito quelle disposizioni che puntano direttamente al risultato e che dimostrano come la autodeterminazione dell’individuo sia un valore ritenuto del tutto secondario.
All’art. 1 lettera f) la legge “garantisce” che, “in caso di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente od agli obiettivi di cura.”
Il divieto è assoluto: sono scomparsi gli altri riferimenti al divieto di accanimento terapeutico, tranne quello dell’art. 6 comma IV, secondo cui il fiduciario di colui che ha redatto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, deve vigilare per evitare che “si creino situazioni sia di accanimento terapeutico, sia di abbandono terapeutico”. Sembra quindi assodato che il tema del divieto di accanimento terapeutico sia estraneo a quello delle dichiarazioni anticipate di trattamento che devono “essere conformi a quanto prescritto dalla legge e dal Codice di Deontologia medica” (art. 3 comma 2) e, quindi, non possono contrastare con il divieto stesso.
Il verbo “garantire” e la natura oggettiva del divieto – non dipendente né dalle convinzioni del medico curante, né dalla volontà del paziente – comporta la possibilità di controllo giudiziale sulle terapie erogate al paziente: il paziente (così come fece Welby) potrà agire, in ragione del suo diritto a non essere sottoposto a terapie integranti accanimento terapeutico, chiedendo che le stesse cessino; e (soprattutto) analoga azione potrà essere promossa dai tutori degli interdetti, dai genitori dei minori, dagli amministratori di sostegno, dai fiduciari di coloro che hanno sottoscritto dichiarazioni anticipate di trattamento (articolo 5 comma 4); d’altro canto un medico o una Direzione sanitaria potrà rifiutarsi di procedere a determinati trattamenti sanitari richiesti dal paziente o dai suoi familiari se riterrà che essi integrino un accanimento terapeutico.
I medici, quindi, saranno sotto controllo e a rischio di azione giudiziale (e di responsabilità disciplinare nel caso, ad esempio, abbiano posto in essere terapie nell’ambito di un ospedale).
Questo sistema avrebbe senso se il concetto di accanimento terapeutico fosse agganciato alla fase terminale di una malattia: ad esempio se il concetto fosse del tipo: “l’erogazione, ad un paziente in stato terminale, di terapie di carattere straordinario e comunque di interventi terapeutici o diagnostici inutili o superflui rispetto all’andamento del processo in corso. I trattamenti di sostegno vitale di nutrizione, idratazione o ventilazione forzata non costituiscono accanimento terapeutico, salvo quando sono oggettivamente incompatibili con lo stato fisico del morente e gli procurino inutili sofferenze”. Il Consiglio Superiore di Sanità (parere 20/12/2006), negando che la respirazione artificiale erogata a Welby configurasse accanimento terapeutico, definì l’accanimento terapeutico “la somministrazione ostinata di trattamenti sanitari in eccesso rispetto ai risultati ottenibili e non in grado, comunque, di assicurare al paziente una più elevata qualità della vita residua, in situazioni in cui la morte si presenta imminente e inevitabile”.
Pur nell’ambito di una discrezionalità tecnica, quindi, la definizione può essere oggettiva, nel senso che spetterebbe ai medici stabilire se la morte è imminente e inevitabile e se i trattamenti sono efficaci o eccessivi.
Al contrario la definizione contenuta nella legge: “in caso di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente” dimostra che si vuole estendere il concetto (e quindi il controllo giudiziale sull’operato del medico anche: a) alla condizione di morte non prevista come imminente; b) alla condizione di morte non prevista come inevitabile.
In sostanza il concetto di “fine vita” è il grimaldello per estendere enormemente l’ambito della previsione: tutti siamo in fine vita se non ci curiamo o non ci nutriamo! Si tratta di un’osservazione paradossale: ma occorre ricordare che Beppino Englaro qualificava con gli stessi aggettivi le cure prestate alla figlia; e che Karen Ann Quinlan (che era sopravvissuta per dieci anni al distacco del respiratore artificiale ottenuto per via giudiziale) morì per una polmonite che non venne curata perché, nelle sue condizioni, ogni terapia veniva considerata accanimento, terapia sproporzionata.
Se il punto di partenza – esplicito o meno – è che i soggetti in stato vegetativo hanno una condizione di vita non degna di essere considerata umana, evidentemente le terapie possono essere ritenute straordinarie o non proporzionate agli obbiettivi di cura.
La previsione, in realtà, ha quindi una radice profonda nel caso Englaro nel senso di permettere, su richiesta dei tutori degli incapaci, che gli stessi non vengano curati.
Paradossalmente qui il legislatore sconfessa quella “prudenza” mostrata dalla Cassazione nel Caso Englaro nel 2007 quando i supremi giudici dicevano che, in assenza di una prova dell’irreversibilità della perdita della coscienza e della prova della volontà presunta del paziente di morire, “deve essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato”; prudenza già smentita dalla Corte d’Appello di Milano quando sottolineava che, al contrario, “[…] nulla impedisce di ritenere che il tutore possa adire l’Autorità Giudiziaria quando, pur non essendo in grado di ricostruire il pregresso quadro personologico del rappresentato incapace che si trovi in Stato Vegetativo Permanente, comunque ritenga, e riesca a dimostrare che il (diverso) trattamento medico in concreto erogato sia oggettivamente contrario alla dignità di qualunque uomo e quindi anche di qualunque malato incapace, o che sia aliunde non proporzionato, e come tale una non consentita forma di accanimento terapeutico, e quindi un trattamento in ogni caso contrario al best interest il quale, è appena il caso di notarlo, avendo sempre come referente l’utilità del malato, non può restare confinato in senso meramente soggettivistico solo nell’area di un’indagine riguardante la volontà/personalità”.
Via libera, in definitiva, alle azioni tese ad intimidire i medici e a obbligarli a non spingersi troppo oltre nelle cure, così da estendere il controllo su di loro ed ottenere la riduzione – obbligatoria! – delle terapie rispetto ai pazienti scomodi: anziani ricoverati nelle case di cura, malati mentali, soggetti in stato vegetativo ecc.
3. Il principio del consenso informato.
L’articolo 1 lettera c) “garantisce che nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall’espressione del consenso informato nei termini di cui all’art. 2 della presente legge …”
Il primo comma dell’art. 2 ribadisce il principio: “Salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole”.
Il terzo comma descrive le informazioni che il medico deve fornire al paziente che deve esprimere il consenso (o il rifiuto).
Quali sono le conseguenze della trasformazione di una regola deontologica come quella del consenso informato in una regola giuridica?
Il Codice deontologico (art. 35) già prescrive che “il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente”, prevede che, quando si rende necessario, il consenso deve essere “espresso in forma scritta” e conclude perché “in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona”.
La regolamentazione corretta – se si vuole rispettare l’articolo 32 della Costituzione nella parte in cui prevede che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” – è prevedere come efficace il rifiuto ad un trattamento sanitario (sempre che sia adeguatamente informato e che il paziente sia pienamente capace di intendere e di volere e in piena libertà) e non, al contrario, richiedere un preventivo consenso come condizione di legittimità dell’intervento medico! Il fondamento dell’attività medica non è il consenso del paziente, ma è la tutela della salute, bene costituzionalmente tutelato (articolo 2 della Costituzione: così la sentenza delle Sezioni Unite penali della Cassazione del 18/12/2008 e così il Codice deontologico: “dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana …”, art. 3).
Quindi: - obbligo (deontologico) di informazione, quando è possibile, del paziente;
- presunzione di legittimità dell’operato del medico;
- salva la espressione esplicita ed attuale di un rifiuto del consenso davanti al quale il medico deve astenersi dall’intraprendere la terapia (salvo che sussistano altre esigenze: ad esempio pericoli per la salute pubblica).
La norma sopra richiamata rovescia – in modo giuridicamente efficace – i termini della questione: il trattamento sanitario attivato senza il previo consenso del paziente è illecito (regola generale), salvo le eccezioni (trattamento sanitario obbligatorio, vaccinazioni, pericolo per la vita della persona incapace in pericolo per un evento acuto).
Il consenso viene, quindi, cristallizzato come elemento costitutivo della liceità dell’agire del sanitario: qui il legislatore, di fronte all’evidente contrasto della giurisprudenza (ad esempio si confronti la sentenza del 2007 sul Caso Englaro con quella delle Sezioni Unite penali sopra ricordata) fa una scelta esplicita a favore di questa tesi.
Si noti che:
- il consenso deve essere espresso in precedenza (“previo consenso …”): non è prevista alcuna ratifica a posteriori dell’attività del medico;
- il consenso deve essere esplicito (quindi non può essere presunto);
- il consenso deve essere espresso in forma scritta: l’art. 2 comma 3, infatti, afferma che “l’alleanza terapeutica … si esplicita in un documento di consenso, firmato dal paziente, che diventa parte integrante della cartella clinica”. La versione originale del progetto Calabrò faceva propendere per un valore ad probationem del documento (“L’alleanza terapeutica … è rappresentata da un documento di consenso …”). La modifica apposta dimostra, invece, che si tratta di forma prevista ad substantiam, nel senso che un consenso prestato oralmente non è valido e non può essere, quindi, in alcun modo dimostrato a posteriori in mancanza del documento firmato.
Anche la volontà del paziente di non essere informato deve essere espresso per iscritto (articolo 2 comma 4), mentre niente è previsto per la revoca, anche parziale, sempre possibile (art. 2 comma 5), anche se forse la necessità della forma scritta si può desumere dai principi generali.
L’art. 2 comma 6 prevede esplicitamente la forma scritta per il consenso del tutore dell’interdetto, mentre non lo prevede espressamente per il curatore dell’inabilitato, per l’amministratore di sostegno e per i genitori del minore: ma si tratta, verosimilmente, di mancato coordinamento delle varie norme, per cui è verosimile che verrà affermata in via generale la necessità della forma scritta.
Gli scopi e gli effetti della regolamentazione sono diversi:
- in relazione allo scopo fondamentale della legge – introdurre l’eutanasia dei malati incoscienti – il medico è, sostanzialmente, messo da parte: se il consenso non è stato previamente prestato, infatti, egli non ha nessun obbligo nei confronti del paziente, ma addirittura un divieto di agire; non si può, quindi, più ipotizzare una sua responsabilità omissiva per la morte del paziente ex art. 40 capoverso codice penale perché viene meno l’obbligo di attivarsi.
Nessun ostacolo è costituito dal divieto (articolo 1 lettera e) “ai sensi degli articoli 575, 579, 580 del codice penale di ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o aiuto al suicidio, considerando l’attività medica, nonché di assistenza alle persone, esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute, nonché all’alleviamento della sofferenza”: il richiamo, in realtà, si riferisce solo all’uccisione procurata in modo attivo del paziente; ma, in mancanza di consenso alle terapie, il medico verrà messo da parte prima, senza possibilità di operare (in un senso o nell’altro) sul paziente.
Perché invece si vuole introdurre questo principio?
- Si interpreta il diritto alla salute in senso strettamente individualistico, cancellando la salute come “interesse della collettività”, quindi il dovere alla salute;
- si introduce, quindi, il tema della disponibilità della propria salute e della propria vita;
- si vuole eliminare ogni autonomia nell’operato del medico, che viene visto come esecutore delle volontà altrui e non come operatore professionale che tutela la salute individuale e di tutti; egli non ha più l’obbligo di salvare la vita e la salute del proprio paziente!
- nello stesso tempo i medici vogliono essere al riparo da ogni rischio: il documento scritto (sia di consenso, sia di rifiuto a ricevere le informazioni) li mette al riparo da ogni contestazione;
- ma, ancora, la strada è quella del controllo dei medici sulle decisioni dei pazienti: soprattutto in presenza di soggetti deboli sarà, di fatto, il medico ad influenzare le decisioni sulle cure, così da indurre i pazienti a non prestare il consenso a determinate terapie;
- non a caso nulla è previsto quanto alla libertà effettiva del paziente a prestare il consenso: si pensi, banalmente, ad un soggetto anziano e povero cui il medico non prospetta una terapia che pure potrebbe giovargli e allungargli la vita. Certo, l’art. 1 lettera b) “impone l’obbligo al medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati”, così come l’art. 2, comma II, fa riferimento a “corrette informazioni rese dal medico curante al paziente in maniera comprensibile circa diagnosi, prognosi, scopo e natura del trattamento sanitario proposto …”: ma nessuna sanzione è prevista per il medico che non informa e non propone terapie; lo stesso medico che non ha informato e non ha proposto terapie, rispetto alla morte del soggetto che avrebbe potuto essere evitata o ritardata non può essere considerato responsabile perché la non attivazione della terapia è giuridicamente conseguenza della mancata prestazione del consenso scritto da parte del paziente.
La portata del principio è amplissima:
- si prevede la possibilità di revocare il consenso anche parzialmente (articolo 2 comma V): niente si aggiunge, ma sembra che ciò legittimi (anzi: imponga!) la cessazione delle terapie, anche se salvavita. Non è prevista alcuna inefficacia di una revoca di consenso che interrompa una terapia salvavita. È vero che il testo parla di “attivazione di trattamento sanitario”, quindi riferendosi ad un “inizio” di terapia: ma, da una parte nelle patologie che necessitano di terapie continue, è difficile distinguere quando un nuovo trattamento “inizia”; dall’altra non ha senso prevedere come possibile la revoca del consenso senza attribuire ad essa un’efficacia: che, appunto, non può che essere quella dell’interruzione del trattamento in corso.
Il caso è quello di Piergiorgio Welby che revocò il consenso al trattamento del respiratore artificiale che gli permetteva di rimanere in vita. Il G.I.P. che prosciolse Mario Riccio sostenne che dal principio del consenso informato discende anche l’obbligo di interrompere le terapie già iniziate per le quali il paziente ha revocato il consenso;
- è previsto che il consenso sia prestato anche per terapie salvavita o d’urgenza: infatti l’art. 2 comma 8 prevede, come ipotesi eccezionale, che “Qualora il soggetto sia minore o legalmente incapace o incapace di intendere e di volere e l’urgenza della situazione non consenta di acquisire il consenso informato così come indicato nei commi precedenti, il medico agisce in scienza e coscienza, conformemente ai principi della deontologia medica nonché della presente legge”, mentre l’art. 2 comma 9 prevede che “il consenso informato al trattamento sanitario non è richiesto quando la vita della persona incapace di intendere e di volere sia in pericolo per il verificarsi di un evento acuto”: è il caso dell’incidente stradale nel quale il soggetto arriva al Pronto Soccorso in stato di incoscienza. Rianimarlo? Solo con questa eccezione la risposta è affermativa; ma se il soggetto è cosciente e ciò nonostante deve essere sottoposto a terapia intensiva, occorrerà il suo consenso scritto; o se, al contrario, lo stato di incoscienza è conseguenza di un evento non acuto (ad esempio per la progressione prevista di una malattia inguaribile), il medico non potrà attivare una terapia salvavita o d’urgenza se, prima di cadere nello stato di incoscienza, il soggetto non avrà prestato il consenso a quelle terapie.
4. Le terapie erogate a minori e incapaci.
La portata negativa del principio del consenso informato si comprende appieno se si analizzano le norme riguardanti le terapie da erogare ai minori e agli incapaci. Occorre ricordare quanto detto all’inizio: è del tutto scontato che sarà il genitore a decidere se il figlio minorenne debba o meno sottoporsi ad un intervento dentistico, magari dopo averlo sentito; ed è ovviamente positivo che coloro che si prendono cura di pazienti incapaci, anziani, dementi o comunque non in grado di decidere di sottoporsi o meno a terapie instaurino un rapporto costante con i medici curanti (magari talvolta anche dialettico); ma il legislatore vuole nascondere dietro questi principi di buon senso finalità diverse: ai parlamentari interessano soltanto le decisioni che permetteranno di non curare o di lasciar morire il minore o l’incapace.
Le norme sono le seguenti:
art. 2 comma VI: “In caso di interdetto, il consenso informato è prestato dal tutore che sottoscrive il documento. In caso di inabilitato o di minore emancipato, il consenso informato è prestato congiuntamente dal soggetto interessato e dal curatore. Qualora sia stato nominato un amministratore di sostegno e il decreto di nomina preveda l’assistenza o la rappresentanza in ordine alle situazioni di carattere sanitario, il consenso informato è prestato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo dall’amministratore. La decisione di tali soggetti riguarda anche quanto consentito dall’art. 3 ed è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute dell’incapace”
art. 2 comma VII: “Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la potestà parentale o la tutela dopo avere attentamente ascoltato i desideri e le richieste del minore. La decisione di tali soggetti riguarda quanto consentito anche dall’art. 3 ed è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psicofisica del minore”
L’articolo 32 della Costituzione non impone affatto che, nel caso di impossibilità del paziente di prestare il consenso, qualcun altro debba prestarlo per lui: se il soggetto è incapace, egli non è obbligato ad una cura, ma semplicemente viene curato.
Non si vuole dire che i genitori dei figli minori e i tutori degli interdetti non debbano collaborare con i medici per giungere alla migliore cura e terapia per gli assistiti: ma essi non hanno la disponibilità del diritto alla salute e alla vita degli stessi. L’art. 32 della Costituzione, infatti, tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo.
La regolamentazione corretta, quindi, dovrebbe essere:
- alleanza terapeutica tra genitore/tutore e medico mediante adeguata informazione (è sufficiente una previsione deontologica);
- presunzione di legittimità dell’operato del medico;
- obbligo per il medico di tutelare la salute e la vita dell’incapace;
- possibilità per il tutore o i genitori di contestare le cure prestate sulla base di motivazioni adeguate;
- assoluta inefficacia del rifiuto di cure salvavita o delle richieste di interrompere cure salvavita da parte dei tutori o dei genitori, permanendo, quindi, l’obbligo (penalmente sanzionato) per il medico di continuare a curare l’incapace.
Invece la regolamentazione è opposta: se il tutore o i genitori non prestano il consenso – non firmano! – il medico non può curare l’incapace!
Lo dice esplicitamente l’art. 8 comma II: “L’autorizzazione giudiziaria (da parte del giudice tutelare) è necessaria anche in caso di inadempimento o di inerzia da parte dei soggetti legittimati ad esprimere il consenso al trattamento sanitario”.
L’autorizzazione è necessaria anche in presenza di urgenza: come si è visto, infatti, l’art. 2 comma 8 prevede che ciò non sia necessario solo quando “l’urgenza della situazione non consenta di acquisire il consenso informato” (quindi, ad esempio, se il genitore non è reperibile: se invece è raggiungibile, occorrerà il suo consenso scritto all’attivazione di qualsiasi trattamento sanitario sul figlio).
L’autorizzazione del tutore o dei genitori è necessaria anche in caso di pericolo di vita dell’incapace: infatti l’art. 2 comma 9, come si è visto, fa eccezione alla necessità del consenso informato solo se il pericolo di vita dipenda dal “verificarsi di un evento acuto”: ad esempio una rianimazione tentata per strada di un soggetto coinvolto in un incidente stradale; se il pericolo di vita non dipende da un evento acuto l’eccezione non vale: il consenso è necessario per legittimare l’intervento del medico.
In definitiva: a decidere sulle cure sarà il genitore (il figlio esprimerà il suo parere non vincolante) o il tutore (non è previsto che l’interdetto sia sentito e ciò pare irragionevole). Dubbi ancora più forti riguardano il potere attribuito al curatore di un inabilitato (che, tendenzialmente, è in grado di decidere sulle terapie che possono essergli erogate), a quello del minore emancipato (ha più di 16 anni ed è già sposato! Potrà decidere sulle cure da ricevere …) o sull’amministratore di sostegno (perché coloro cui è stato nominato un amministratore di sostegno hanno una capacità mentale superiore agli interdetti e agli inabilitati): questo allargamento sembra essere un chiaro segno del favore con cui il legislatore vede le decisioni sulle terapie da parte dei non pazienti.
Il medico che vorrà andare contro al rifiuto di terapie espresso dal genitore o dal tutore dovrà ricorrere al giudice tutelare.
Ma i genitori, il tutore e gli altri soggetti sono liberi nelle loro decisioni? La legge dice che la loro decisione “è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psicofisica del minore (o dell’incapace)”.
Si noti: non si parla di salvaguardia della vita dell’assistito e non è affatto scontato che la salute sia un minus rispetto alla vita (e che quindi la previsione comprenda anche la difesa della vita. Il concetto di “salute psicofisica” – lo sappiamo bene, conoscendone la portata rispetto alla legge sull'aborto – è un criterio assolutamente vago e assolutamente soggettivo
Ma quello che è più grave è che viene indicato lo scopo che il rappresentante deve seguire, ma non viene prescritto né che il medico possa (o addirittura debba) sottoporre al trattamento sanitario salvavita l’incapace o il minore nonostante l’illegittima mancata prestazione del consenso, né che sia obbligatorio il ricorso al Giudice in questo caso. In sostanza, se c’è accordo tra genitori o tutore da una parte e medico dall’altra nel non erogare un trattamento salvavita al minore o incapace, ciò potrà avvenire, senza che si possa ipotizzare alcuna responsabilità né per il rappresentante (che potrà invocare di avere agito con lo scopo previsto dalla legge) né per il medico (che non sarà responsabile di omicidio per omissione in quanto non obbligato a prestare dette cure in mancanza del consenso del legale rappresentante).
In realtà la vera soluzione sarebbe stabilire che il rifiuto di cure salvavita o la revoca del consenso a cure salvavita da parte del rappresentante legale siano del tutto inefficaci, tamquam non essent, e ribadire che la non instaurazione di dette cure o la sospensione delle stesse è condotta punita ai sensi dell’art. 575 del codice penale: ma questo il legislatore non stabilisce.
Non solo: quando prevede che “la decisione di tali soggetti riguarda quanto consentito anche dall’art. 3”, permette ai genitori e ai tutori di rinunciare (per gli assistiti) “ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale”. Il concetto di trattamento sanitario sproporzionato, se correlato allo scopo della salvaguardia della salute psicofisica dell’incapace è assolutamente soggettivo.
In definitiva: i genitori e il tutore non potranno chiedere (come ha fatto Beppino Englaro) di sospendere la nutrizione e l’idratazione ai figli o agli interdetti: potranno, però, rifiutare ogni trattamento sanitario e perfino l’inserimento degli strumenti di nutrizione artificiale, anche se si tratta di trattamenti che oggettivamente (secondo la valutazione medica) potrebbero salvare la vita agli assistiti.
La norma in questione ratifica un principio niente affatto pacifico in giurisprudenza e che, invece, in sostanza è stato affermato proprio dalla sentenza dell’ottobre 2007 della Cassazione sul caso Englaro: che il tutore (e il genitore del minore) ha il potere di decidere per conto dell’interdetto (o del minore) anche su questioni personalissime quali quelle del consenso al trattamento sanitario. Tale principio era stato ripetutamente negato nelle fasi precedenti a quella sentenza sia dal Tribunale di Lecco che dalla Corte d’Appello di Milano: in effetti l’articolo 357 del codice civile stabilisce che il tutore ha la “cura” dell’interdetto, ma lo “rappresenta” solo “in tutti gli atti civili”. Affermare il contrario significa – di fatto – reintrodurre lo ius vitae ac necis dei genitori sul minore (e del tutore sull’interdetto): l’introduzione dell’obbligo di sentire il minore non cambia la sostanza, perché la decisione finale spetta sempre al genitore.
La previsione riguarda – temo – il caso della rianimazione dei neonati estremamente prematuri: il contrasto sorto tempo fa circa la possibilità di proseguire le cure nei confronti dei neonati con ridotte possibilità di sopravvivenza e alte probabilità di disabilità viene risolto nel senso che i genitori possono decidere “avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psicofisica del minore”; se elidiamo la motivazione (come il meccanismo rende possibile) resta la possibilità di decidere da parte dei genitori: esattamente quanto voleva quella parte che aveva sostenuto la “Carta di Firenze” e che era stata sconfessata dal parere del Consiglio Superiore di Sanità.
La regolamentazione è palesemente incostituzionale.
5. Le dichiarazioni anticipate di trattamento.
Il testamento biologico viene previsto in tutta la sua ampiezza: il soggetto potrà rifiutare qualsiasi trattamento sanitario sulla base della valutazione soggettiva secondo cui le eventuali terapie possano essere “di carattere sproporzionato o sperimentale” (art. 3 comma III).
Quali limiti hanno nella proposta le dichiarazioni anticipate di trattamento?
- “il soggetto non può inserire indicazioni che integrino le fattispecie di cui agli artt. 575, 579, 580 del codice penale”: non può, quindi, chiedere di essere ucciso direttamente dal medico, nemmeno con mezzi medici (ad esempio: una dose massiccia di sedativi).
Questa previsione vieta che il soggetto possa disporre la cessazione di trattamenti salvavita (ad esempio: distacco del respiratore artificiale)? Secondo qualcuno, sì; in realtà è un’interpretazione dubbia, visto che il principio è che il consenso possa essere revocato: se così fosse, il legislatore dovrebbe affermarlo esplicitamente (e per il momento non l’ha fatto);
- l’alimentazione e l’idratazione artificiale non possono formare oggetto delle dichiarazioni anticipate (art. 3 comma V): ma, si noti bene, le DAT possono invece rifiutare l’inserimento di mezzi di alimentazione artificiale che costituiscono un intervento sanitario.
Le Dichiarazioni sono vincolanti oppure no?
La risposta necessita di una puntualizzazione dell’ottica nella quale ci si pone: interessa sapere se il singolo medico sarà esentato da pratiche per lui deontologicamente o moralmente inaccettabili, oppure interessa sapere quale effetto hanno le DAT sull’ordinamento generale?
Il fatto che le DAT non vincolino il singolo medico (come è garantito dall’art. 7 comma III: “il parere espresso dal collegio non è vincolante per il medico curante, il quale non è tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico o deontologico”) non esaurisce affatto la questione; il medico che si rifiuterà di ottemperare alle DAT o alle indicazioni del fiduciario o alla decisione del collegio medico (la procedura è prevista dall’art. 7) sarà infatti sostituito da un altro medico disposto alle pratiche in questione.
La domanda, quindi, resterà: il nuovo medico agirà legittimamente per l’ordinamento generale?
La categoria cui occorre fare riferimento, quindi, è quella dell’inefficacia: solo prevedendo l’inefficacia di determinate DAT (e la conseguente punibilità del medico che le ponga in attuazione, magari provocando la morte del paziente) si evita che mediante il testamento biologico si introduca il principio della disponibilità della vita.
In realtà l’inefficacia è prevista solo per le “indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente” (art. 7 comma II) (e cioè che “integrino le fattispecie di cui agli artt. 575, 579 e 580 del codice penale”, art. 3 comma IV) e per la rinuncia all’alimentazione e idratazione (art. 3 comma V): tutte le altre indicazioni sono valide ed efficaci.
Si noti le diverse espressioni utilizzate dall’art. 3: ai primi due commi si parla di “orientamento in merito ai trattamenti sanitari” , quindi con un termine che sembra indicare la non vincolatività; ma l’art. 3 comma III si passa improvvisamente ad una previsione palesemente vincolante: “Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale”.
Si tratta dell’applicazione del principio del consenso informato: la parola “rinuncia” è precisa (non porre in atto quel determinato trattamento sanitario) e il verbo “esplicitata” è lo stesso previsto dall’art. 2 comma 3 (in cui si prevede il documento scritto in cui viene esplicitato il consenso informato).
Il medico, di fronte a questa rinuncia, sarà costretto – magari dall’azione del fiduciario (che opererà “sempre e solo secondo le intenzioni legittimamente esplicitate dal soggetto nella dichiarazione anticipata”) – a desistere; e d’altro canto, sarà spinto a desistere dal tentare di curare l’incapace perché avrà garanzia di impunità: la mancata erogazione di terapie salvavita rinunciate dal soggetto nelle DAT non sarà a lui attribuibile.
Esiste una norma di non chiara interpretazione: l’art. 4 comma VI che prevede che “in condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica”. In realtà la norma non stabilisce automaticamente l’inefficacia di DAT contenenti rinuncia a trattamenti salvavita, ma sembra esentare i medici dal prenderle in considerazione in casi di urgenza (come per il consenso dei genitori del minore) e in conseguente pericolo di vita del paziente: non pare certo che possa applicarsi alle DAT in cui si contempla l’ipotesi di una morte prevista come conseguenza di una malattia inguaribile.
Il testamento biologico è l’esatto opposto del consenso informato: nonostante la legge preveda che esse debbano essere stilate (ma anche semplicemente firmate in calce ad un foglio dattiloscritto, come il modulo di Veronesi) dal soggetto “in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica”, da soggetto maggiorenne, “dopo una compiuta e puntuale informazione medico clinica” e “in piena libertà consapevolezza”, in realtà non è previsto alcun controllo su queste condizioni: per fare un esempio paradossale il soggetto potrebbe essere ingannato oppure minacciato, costretto a firmare e ciò nonostante le dichiarazioni sarebbero efficaci. Il fatto che a raccogliere le dichiarazioni possa essere esclusivamente un medico di medicina generale da una parte non dà alcuna garanzia della libertà effettiva di chi stilerà le dichiarazioni, dall’altra fa sorgere seri dubbi sulla effettiva informazione clinica: forse un senso le dichiarazioni potrebbero averlo nel caso di pazienti di malattia inguaribile e progressiva che le dispongono dopo un colloquio con uno specialista in grado di rappresentare loro il progresso della patologia; che senso ha rendere le dichiarazioni al medico di famiglia, quindi tendenzialmente in una situazione di non malattia?
In realtà quello che sembra proposto è uno svuotamento dall’interno delle norme sull’omicidio del consenziente: il rifiuto di terapie reso in vista di una situazione futura e incerta, reso in una condizione di piena salute, di fatto diventa una richiesta di morte nel caso il soggetto si trovasse in una determinata situazione; richiesta, per di più, che sarà soggetta ad interpretazione in quanto inevitabilmente generica, non frutto di effettiva informazione e soprattutto resa senza nessuna garanzia di effettiva libertà morale.
In questo modo, permettendo di individuare condizioni ritenute non degne di essere vissute si aprirà la strada all’eutanasia diretta o alla spinta sociale e morale nei confronti dei soggetti deboli a firmare le dichiarazioni per l’ipotesi in cui si trovino in quella condizione.
Il fiduciario, in questa situazione, rischia di diventare più che la voce dell’incapace, colui che deve garantire che terapie non accettate non vengano erogate.
Giacomo Rocchi
Comitato Verità e Vita 8 Aprile 2009
Benedetto XVI e l'incontro tra fede e ragione - Il facile equivoco della religiosità sostenibile - Pubblichiamo le conclusioni dell'editoriale del numero in uscita della rivista "La Civiltà Cattolica". – L’Osservatore Romano, 19 aprile 2009
La ragione moderna e la scienza si autocomprendono come capacità "autonoma" di conoscenza dell'uomo e della natura, alla quale consegue l'autonomia della ricerca scientifica, oltre il suo specifico campo di attività, nello stabilire la totalità del senso dell'essere uomo. In questa concezione onnicomprensiva, nota giustamente Benedetto XVI, "gli interrogativi propriamente umani" cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'èthos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo.
Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'èthos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale.
È chiaro così che la discussione sulla ellenizzazione/disellenizzazione del cristianesimo non è la riesumazione di una disputa storico-teologica. La difesa dell'ellenizzazione del pensiero giudaico-cristiano da parte del Papa è finalizzata alla difesa della realtà più profonda dell'uomo contro la pretesa razionalista di emarginare la cultura religiosa del cristianesimo, come oggi tentano di fare palesemente le correnti dello scientismo estremista.
Il discorso di Regensburg non intende svalutare o, peggio, misconoscere la funzione della scienza nella cultura.
È superfluo ricordare che il Magistero della Chiesa, nel Vaticano I e nel Vaticano II, ha dichiarato solennemente che esistono due distinti ordini di conoscenza, quello della fede e quello della ragione, e ha riconosciuto la legittima autonomia di tutte le scienze (cfr. Gaudium et spes, n. 59 c; n. 36). Il Papa non vuole certo rivedere questa dottrina. Piuttosto, sulla traccia dell'incontro tra fede biblica e razionalità greca, ha voluto insegnare che è ancora possibile l'incontro tra fede e ragione e che entrambe sono al servizio sia delle sorti dell'umanità sia della cultura dell'Occidente.
Non sono di scarso peso né prive di mezzi le forze che oggi lavorano per impedire quell'incontro, per far divergere i percorsi della fede e della ragione. A esse Benedetto XVI ricorda che una ragione che disprezza la fede e si fa unica e suprema garante del senso e dell'interpretazione della vita, sconvolge la verità integrale sull'uomo e sul mondo. È il pericolo insito nel pensiero che si tiene nei termini della pura immanenza.
E c'è l'altro pericolo, abbastanza rilevato dalle attuali cronache. Una fede cieca, senza apertura alla sua intelligibilità, rovina la stessa immagine di Dio perché produce intolleranza e violenza nei rapporti personali e sociali.
E c'è un ultimo e più grande pericolo che nasce dal razionalismo autosufficiente. Lo richiama all'attenzione Carlo Cardia - La fede è una cosa semplice proprio perché razionale, su "Il Foglio" del 16 settembre 2006 - parlando del cristianesimo come di una delle più efficienti realtà che possa fermare l'uomo contemporaneo sulla china di scelte irreversibili. E si riferisce alla materia della pace e della guerra, alla solidarietà verso i più deboli, allo stravolgimento genetico del genere umano. "Un esperimento estremo di società che prescinde totalmente (anche per legge) da Dio e dalla religione è stato fatto, in tutto l'universo comunista (e totalitario) contemporaneo, un universo ampio geograficamente, lungo temporalmente, immenso dal punto di vista della quantità di uomini coinvolti. Cosa ne è derivato, se non un grande bisogno di rifondare queste società daccapo, dopo che una larga fetta d'umanità era caduta nell'arbitrio più totale, nella violenza quotidiana del potere, nell'uso opportunistico di princìpi e valori che avevano perso ogni fondamento? Vorrà pure dire qualcosa questa considerazione dal punto di vista razionale".
(©L'Osservatore Romano - 19 aprile 2009)
«Rammarico» della Santa Sede per l’«inconsueta» decisione del governo belga di contestare le affermazioni di Benedetto XVI Mercoledì le proteste formali, presentate da Bruxelles dopo il voto in Parlamento che definiva «inaccettabili» le affermazioni del Pontefice durante il viaggio in Africa - «In Europa vogliono intimidire il Papa» - Il Vaticano replica al Belgio su Aids e preservativo: campagna mediatica senza precedenti - La Segreteria di Stato: «Critiche sulla base di un estratto di intervista isolato dal contesto, quasi a dissuadere dall’esprimersi su temi di rilevanza morale» - DI GIANNI CARDINALE – Avvenire, 19 aprile 2009
L a Santa Sede prende atto « con rammarico » e « deplora » la decisione « inconsueta » compiuta dal governo belga, su mandato del Parlamento, di protestare formalmente contro quanto detto dal Papa riguardo all’uso del preservativo per combattere l’Aids. Lo ha reso noto un comunicato della Segreteria di Stato rilasciato nella tarda mattinata di ieri dalla Sala Stampa vaticana.
« L’ambasciatore del Regno del Belgio – si legge nel comunicato pubblicato con evidenza sull’edizione odierna dell’Osservatore romano – dietro istruzioni del ministro degli Affari esteri, ha fatto parte al segretario per i rapporti con gli Stati della risoluzione con cui la Camera dei rappresentanti del proprio Paese ha chiesto al governo belga di “condannare le dichiarazioni inaccettabili del Papa in occasione del suo viaggio in Africa e di protestare ufficialmente presso la Santa Sede” » . L’incontro tra l’arcivescovo Dominique Mamberti e l’ambasciatore Frank E. de Coninck – si specifica nel testo della Segreteria di Stato – si è svolto mercoledì scorso. La risoluzione parlamentare in questione era stata adottata il 2 aprile con 95 voti a favore, 18 voti contrari e 7 astensioni ( su 150 membri della Camera) ed era stata votata da gran parte dei partiti belgi, eccetto il partito di estrema destra Vlaams Belang e i nazionalisti della Nuova alleanza fiamminga.
Il testo, proposto dalla commissione affari esteri della Camera, era stato tuttavia stemperato su richiesta dei cristiano- democratici fiamminghi del premier Herman Van Rompuy. La formulazio- ne originaria, che definiva « affermazioni pericolose e irresponsabili » quelle pronunciate dal Papa il 17 marzo durante il volo che lo portava in Africa, era stata sostituita da « affermazioni inaccettabili » . Questo pronunciamento del Parlamento belga aveva provocato lo « stupore » del direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Da parte loro i vescovi belgi, esprimendo « rammarico » per la posizione espressa dalla Camera dei deputati, avevano detto di « sperare che con l’avvicinarsi della Pasqua, la polemica emotiva possa smorzarsi » . Ma non è stato così, visto che la protesta formale è arrivata tre giorni fa in Vaticano. Di qui la risposta, piccata, della Santa Sede. « La Segretaria di Stato – si legge nel comunicato rilasciato ieri – prende atto con rammarico di tale passo, inconsueto nelle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il Regno del Belgio. Deplora che una Assemblea parlamentare abbia creduto opportuno di criticare il Santo Padre, sulla base di un estratto d’intervista troncato e isolato dal contesto, che è stato usato da alcuni gruppi con un chiaro intento intimidatorio, quasi a dissuadere il Papa dall’esprimersi in merito ad alcuni temi, la cui rilevanza morale è ovvia, e di insegnare la dottrina della Chiesa » . La nota vaticana entra quindi nel merito della questione, e spiega: « Come si sa, il Santo Padre, rispondendo ad una domanda circa l’efficacia e il carattere realista delle posizioni della Chiesa in materia di lotta all’Aids, ha dichiarato che la soluzione è da ricercare in due direzioni: da una parte nell’umanizzazione della sessualità e, dall’altra, in una autentica amicizia e disponibilità nei confronti delle persone sofferenti, sottolineando anche l’impegno della Chiesa in ambedue gli ambiti. Senza tale dimensione morale ed educativa la battaglia contro l’Aids non sarà vinta » .
Nel comunicato rilasciato ieri si va aldilà della protesta nei confronti dell’inedita iniziativa belga e si ricorda che « mentre, in alcuni Paesi d’Europa » , si è scatenata « una campagna mediatica senza precedenti sul valore preponderante, per non dire esclusivo, del profilattico nella lotta contro l’Aids, è confortante constatare che le considerazioni di ordine morale sviluppate dal Santo Padre sono state capite e apprezzate, in particolare dagli africani e dai veri amici dell’Africa, nonché da alcuni membri della comunità scientifica » . A questo proposito la nota della Segretaria di Stato cita una recente dichiarazione della Conferenza episcopale regionale dell’Africa dell’Ovest ( Cerao): « Siamo grati per il messaggio di speranza che [il Santo Padre] è venuto ad affidarci in Camerun e in Angola. È venuto ad incoraggiarci a vivere uniti, riconciliati nella giustizia e la pace, affinché la Chiesa in Africa sia lei stessa una fiamma ardente di speranza per la vita di tutto il continente. E lo ringraziamo per aver riproposto a tutti, con sfumatura, chiarezza e acume, l’insegnamento comune della Chiesa in materia di pastorale dei malati di Aids » . Con buona pace del Parlamento belga.
NIENTE SOLDI PER CLONAZIONE, IBRIDI E CREAZIONE DI NUOVI EMBRIONI - Obama «libera» l’America un po’ meno però del previsto - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 19 aprile 2009
È diventata una consuetudine nei mezzi di comunicazione: se una notizia non va nella direzione 'giusta', non se ne parla. I giornali la ignorano, e i loro lettori non la conosceranno. Se invece è funzionale a certe ideologie va sbattuta in prima pagina con titoloni sussiegosi. È per esempio il caso delle politiche del presidente americano Obama in tema di ricerca scientifica. Sembrava che l’opinione pubblica mondiale avesse abbracciato con entusiasmo la sua 'liberazione' della scienza dai veti dell’aborrito Bush: le scelte sulla ricerca scientifica «devono essere basate sui fatti e non sull’ideologia», aveva affermato solennemente Obama fra applausi scroscianti, mentre firmava per eliminare alcuni limiti ai finanziamenti federali per le staminali embrionali umane. Con queste premesse i National Institutes of Health (NIH) hanno reso pubbliche l’altro ieri le linee guida della ricerca 'libera': è vietato l’uso di finanziamenti federali nella produzione di embrioni umani per la ricerca, nella creazione di embrioni misti uomo/animale, e pure nella cosiddetta clonazione terapeutica, quella spacciata come la strada maestra per la guarigione da terribili malattie, che ha fatto nascere la pecora Dolly.
Basandoci sui fatti, quindi, e non sull’ideologia, abbiamo linee guida più restrittive di quelle degli stessi NIH del 1994, quando per sostenere e regolare la ricerca sugli embrioni umani una commissione di esperti elaborò un documento in cui si dichiarava eticamente accettabile, e quindi finanziabile con fondi federali, la creazione di embrioni per certi tipi di studi. Allora fu lo stesso presidente Clinton a intervenire personalmente, vietando l’uso di denaro federale per produrre embrioni a fini di ricerca; il Congresso successivamente decise altri limiti ai finanziamenti, comunque senza mai porre divieti a questa linea investigativa, che è sempre stata libera, con fondi privati e statali.
Anche con Obama, quindi, proseguirà 'l’ipocrisia' – ma i sedicenti paladini della scienza, tanto loquaci quando era presidente Bush, avranno il coraggio di parlare così anche di Obama? – di usare linee staminali prodotte altrove, o con altro denaro. Not in my name: il contribuente americano continuerà a non collaborare alla creazione di embrioni umani per la ricerca. Adesso sarà possibile utilizzare denaro federale per progetti su linee embrionali già prodotte o su embrioni soprannumerari, cioè quelli creati per la fecondazione assistita e abbandonati nelle cliniche. Un margine molto più ampio di quello consentito dall’amministrazione Bush, ma una forte delusione per chi si aspettava una
deregulation, che spiega il silenzio quasi unanime dei quotidiani di ieri, nei quali non si trovava traccia della notizia delle nuove linee guida. D’altra parte, è noto che gli scienziati non vogliono lavorare su embrioni congelati, presi a caso fra quelli inutilizzati, ma preferiscono quelli 'freschi', creati ad hoc. Gli embrioni abbandonati sono un grande problema negli Usa: almeno mezzo milione, oltre all’indubbio dilemma etico, un fardello dispendioso per gli operatori del settore e una fonte di contenziosi giudiziari, come si può capire guardando la parte delle nuove linee guida dedicata al consenso informato di chi li cede ai laboratori.
Pagato il pegno delle promesse elettorali, insomma, Obama si atterrà ai risultati effettivamente ottenuti: niente soldi alla clonazione terapeutica, agli ibridi uomo/animale, e neanche alla creazione di nuovi embrioni su cui sperimentare. Nel testo introduttivo alle linee guida si dice che 'forse' il più importante uso potenziale delle embrionali è la produzione di cellule e tessuti per nuove terapie. Con quel 'forse' si ammette che neanche l’America 'liberata' di Obama reputa così promettente questa linea di ricerca, tanto da decidere di non sostenerla completamente. Un 'forse' che mette in dubbio le precedenti dichiarazioni di Obama, e che dovrebbe essere spiegato all’opinione pubblica dai nostri mezzi di comunicazione, i quali invece pare abbiamo deciso di ignorare bellamente la parte a loro scomoda della politica del presidente americano in tema di ricerca scientifica.
«Io, ex punk comunista canto la fede ritrovata» - Giovanni Lindo Ferretti - «Dopo aver cercato il senso in mille modi senza trovarlo l’ho scoperto tornando a casa, tra montagne e rosari. Oggi curo mia madre malata, considero Ratzinger il mio maestro e uso il rock anche per cantare contro l’eutanasia e il nichilismo» - DI ANDREA PEDRINELLI – Avvenire, 19 aprile 1009
Aveva esordito nella musica da provocatore punk con i CCCP poi CSI, chiude provocando ancora: con il Te Deum. L’ultima traccia dell’ultimo cd che Giovanni Lindo Ferretti realizza con Giorgio Canali e Gianni Maroccolo sotto il nome PGR. Il cd s’intitola Ultime notizie di cronaca ed esce ad onorare un contratto discografico del ’97 firmato «dopo un primo posto in hit parade che ci aveva proiettati in un mondo che non ci piaceva». Intanto Ferretti si è trasferito in montagna: cura la madre malata, sta a contatto con la natura, prega. «Dopo aver cercato il senso in mille modi senza trovarlo l’ho trovato tornando a casa. Al mio mondo di quando ero bimbo: i monti, il rosario». Ferretti ha raccontato il suo percorso in un libro, Reduce, e per lui la musica oggi è fatta di piccoli concerti, violinovoce o poco più. Anche se spesso prende pure posizione, scrivendo ai giornali da credente, su molti temi sensibili dell’attualità. Ed ora che impegni «di cui mi ero scordato» l’hanno ricondotto a confrontarsi con il rock, ci ha messo sopra parole in linea con l’uomo che è oggi. Un uomo che da tre anni non scendeva a Milano, dove l’abbiamo incontrato. A presentare un disco rock con anima ben più profonda, e testi di cui – Ferretti lo ripete spesso – «la responsabilità è solo mia».
Ferretti, iniziamo dalle reazioni di tanti suoi fan al suo riabbracciare la fede. Molti l’hanno criticata anche pesantemente per questo. Cosa risponde?
«Già nel tour con i PGR di tre anni fa mi attendevo reazioni come quelle che mi dicono ci siano sul web, invece non succede. Il pubblico certo è cambiato, ma chi mi segue ancora lo fa perché mi ritiene perbene. Uno da ascoltare anche se non si pensa come lui».
In questo cd la ascolteranno denunciare indifferenza al mistero, superficialità, uomo-merce, corporeità ordigno di distruzione e distrazione di massa. Ma qual è il problema chiave dell’oggi secondo lei?
«L’uomo. Quanto noi abiuriamo dell’uomo».
Ad esempio, per citarla, con 'democratiche soluzioni eutanasiche', che pare riferito al caso Englaro?
«Esatto: ed io oggi non posso pensarla in maniera diversa. La mia vita per molti è 'poco dignitosa'…».
Lei assiste sua madre, come canta 'Cronaca filiale'.
«Sì. Espormi su certe cose è necessario. L’aborto o il fine vita non sono astrazioni. E io non voglio venire intruppato nel modo di vedere le cose che si dice 'degli artisti'. Non voglio che il mio nome sia usato come alibi. La mia posizione la dichiaro».
Senza neppure il timore di cantare un dolore intimo?
«Assolutamente. Di certi temi parlo coi colleghi dai tempi della malattia di Wojtyla: trovavo normale si mostrasse, era il nostro Papa anche malato. Mi fa senso che ai bambini non si debbano mostrare malati o morti. La vita ha senso anche in certe angolazioni. Anche quando non la capisci. Con Cronaca filiale
racconto poi pure il dono che è l’essere figli».
Ma Giovanni Lindo Ferretti oggi chi è?
«Nel Te Deum può scoprirlo. Sono uno che iniziò a curiosare tra i libri dell’allora cardinal Ratzinger per capire perché molti ne parlassero male. E ora che sono tornato a casa, Benedetto XVI è il mio maestro».
E a quest’uomo che è oggi, non ha fatto difficoltà uscire dalla sua 'vita defilata' per tornare al rock?
«No, ho accettato di modellare le mie parole su certi suoni pur non vivendo più quella dimensione. Questo cd è nato per dovere: ma in esso ognuno di noi ha messo quello che è oggi, senza vincoli reciproci ».
Il cantautore Giovanni Lindo Ferretti
1) 19/04/2009 13.00.52 – Radio Vaticana – Il grande affetto e la vicinanza spirituale di tanti e l’appello per la Conferenza di Durban: nelle parole di Benedetto XVI al Regina Coeli nell’Ottava di Pasqua, Domenica della Divina Misericordia
2) COMINCIA IL QUINTO ANNO DI PONTIFICATO - NELLA PALUDE DEL RELATIVISMO LA PAROLA NETTA DI QUESTO PAPA - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 19 aprile 2009
3) Longino e la Misericordia - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 18 aprile 2009
4) Analisi del progetto di legge sul testamento biologico approvato dal senato il 26 marzo 2009 - Lo sanno tutti: se la maggioranza avesse voluto impedire “un’altra Eluana” avrebbe scritto una legge molto semplice e molto corta: “È vietato interrompere la nutrizione e l’idratazione erogata con mezzi artificiali ai soggetti in stato vegetativo”. Tutti sanno anche un’altra cosa: l’unico punto che interessa a maggioranza e opposizione è la regolamentazione della morte procurata dei soggetti incoscienti: se è possibile, quando è possibile, con quali presupposti è possibile, chi potrà disporla, chi dovrà eseguirla, chi ne sarà esentato... - Ecco un’analisi dettagliata e interessante del progetto di legge sul testamento biologico proposta dal Comitato Verità e Vita. - di Giacomo Rocchi
5) Benedetto XVI e l'incontro tra fede e ragione - Il facile equivoco della religiosità sostenibile - Pubblichiamo le conclusioni dell'editoriale del numero in uscita della rivista "La Civiltà Cattolica". – L’Osservatore Romano, 19 aprile 2009
6) «Rammarico» della Santa Sede per l’«inconsueta» decisione del governo belga di contestare le affermazioni di Benedetto XVI Mercoledì le proteste formali, presentate da Bruxelles dopo il voto in Parlamento che definiva «inaccettabili» le affermazioni del Pontefice durante il viaggio in Africa - «In Europa vogliono intimidire il Papa» - Il Vaticano replica al Belgio su Aids e preservativo: campagna mediatica senza precedenti - La Segreteria di Stato: «Critiche sulla base di un estratto di intervista isolato dal contesto, quasi a dissuadere dall’esprimersi su temi di rilevanza morale» - DI GIANNI CARDINALE – Avvenire, 19 aprile 2009
7) NIENTE SOLDI PER CLONAZIONE, IBRIDI E CREAZIONE DI NUOVI EMBRIONI - Obama «libera» l’America un po’ meno però del previsto - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 19 aprile 2009
8) «Io, ex punk comunista canto la fede ritrovata» - Giovanni Lindo Ferretti - «Dopo aver cercato il senso in mille modi senza trovarlo l’ho scoperto tornando a casa, tra montagne e rosari. Oggi curo mia madre malata, considero Ratzinger il mio maestro e uso il rock anche per cantare contro l’eutanasia e il nichilismo» - DI ANDREA PEDRINELLI – Avvenire, 19 aprile 1009
19/04/2009 13.00.52 – Radio Vaticana – Il grande affetto e la vicinanza spirituale di tanti e l’appello per la Conferenza di Durban: nelle parole di Benedetto XVI al Regina Coeli nell’Ottava di Pasqua, Domenica della Divina Misericordia
In questa Domenica che chiude l’Ottava di Pasqua e in cui si celebra la Divina Misericordia, Benedetto XVI ringrazia per le manifestazioni di vicinanza spirituale e di affetto ricevute in particolare in questi giorni ribadendo “non mi sento mai solo”. Poi la riflessione sulla Conferenza ONU che da domani a Ginevra tratterà della Dichiarazione di Durban su razzismo e discriminazione. E il pensiero alle Chiese Orientali che celebrano oggi la Pasqua. L’occasione, la recita della preghiera mariana Regina Coeli nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, al termine della quale Benedetto XVI ha incontrato il cardinale Lozano Barragan, Presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Nel pomeriggio, alle 18:30 il Papa lascerà in elicottero le Ville Pontificie di Castel Gandolfo per fare rientro in Vaticano. Sulle parole del Papa, il servizio di Fausta Speranza. http://62.77.60.84/audio/ra/00158456.RMhttp://62.77.60.84/audio/ra/00158456.RM
“Ringrazio il Signore per la coralità di tanto affetto”, dice Benedetto XVI. “Ho sperimentato una solidarietà spirituale, nutrita essenzialmente di preghiera, che si manifesta in mille modi”: così aggiunge esprimendo un cordialissimo grazie a tutti coloro – e sottolinea tanti - hanno fatto pervenire un segno di affetto e di vicinanza spirituale in questi giorni, per le festività pasquali, per il compleanno, il 16 aprile, e per il quarto anniversario dell’elezione alla Cattedra di Pietro, che ricorre proprio oggi. “Come ho avuto modo di affermare di recente – ribadisce Benedetto XVI – non mi sento mai solo”:
“A partire dai miei collaboratori della Curia Romana, fino alle parrocchie geograficamente più lontane, noi cattolici formiamo e dobbiamo sentirci una sola famiglia, animata dagli stessi sentimenti della prima comunità cristiana, di cui il testo degli Atti degli Apostoli che si legge in questa domenica afferma: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32).”
Il Papa ricorda che le prime comunità cristiane si sono fondate su Cristo Risorto che ha donato ai suoi “una nuova unità, più forte di prima, invincibile, - ricorda il Papa- perché fondata non sulle risorse umane, ma sulla divina misericordia, che li fece sentire tutti amati e perdonati da Lui.” E’ dunque l’amore misericordioso di Dio – ricorda - ad unire saldamente, oggi come ieri, la Chiesa e a fare dell’umanità una sola famiglia.” E dunque Benedetto XVI ricorda che con questa convinzione Giovanni Paolo II ha voluto intitolare la seconda domenica di Pasqua alla Divina Misericordia, accogliendo il messaggio spirituale trasmesso dal Signore a Santa Faustina Kowalska e sintetizzato nell’invocazione: “Gesù confido in te”.
“Come per la prima comunità, è Maria ad accompagnarci nella vita di ogni giorno. Noi la invochiamo “Regina del Cielo”, sapendo che la sua regalità è come quella del suo Figlio: tutta amore, e amore misericordioso. Vi domando di affidare a Lei nuovamente il mio servizio alla Chiesa, mentre con fiducia Le diciamo: Mater misericordiae, ora pro nobis.”
Dopo la preghiera mariana, il pensiero del Papa va alla Conferenza di esame della Dichiarazione di Durban del 2001 contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e la relativa intolleranza. “Si tratta di un’iniziativa importante - spiega Benedetto XVI - perché ancora oggi, nonostante gli insegnamenti della storia, si registrano tali deplorevoli fenomeni.” La Dichiarazione di Durban – spiega il Papa - riconosce che “tutti i popoli e le persone formano una famiglia umana, ricca in diversità, e promuove tolleranza, luralismo e rispetto per una società più inclusiva. A partire da queste affermazioni si richiede un’azione ferma e concreta, a livello nazionale e internazionale, per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione e di intolleranza. Benedetto XVI aggiunge che “occorre, soprattutto, una vasta opera di educazione, che esalti la dignità della persona e ne tuteli i diritti fondamentali”. E a questo proposito il Papa ricorda l’insegnamento di fondo della Chiesa:
“La Chiesa ribadisce che solo il riconoscimento della dignità dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, può costituire un sicuro riferimento per tale impegno. Da questa origine comune, infatti, scaturisce un comune destino dell’umanità, che dovrebbe suscitare in ognuno e in tutti un forte senso di solidarietà e di responsabilità”.
Dunque, l’incoraggiamento del Papa:
“Formulo i miei sinceri voti affinché i Delegati presenti alla Conferenza di Ginevra lavorino insieme, con spirito di dialogo e di accoglienza reciproca, per mettere fine ad ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza, segnando così un passo fondamentale verso l’affermazione del valore universale della dignità dell’uomo e dei suoi diritti, in un orizzonte di rispetto e di giustizia per ogni persona e popolo.”
Nei saluti in varie lingue, il Papa incoraggia tutti a riconoscere la luce della gioia pasquale, facendosi aiutare da Maria. In tedesco ringrazia in particolare quanti lo hanno sostenuto e lo sostengono in Germania ricordando che 4 anni fa divenendo Papa chiese sostegno spirituale e preghiere. Inoltre in polacco, un pensiero particolare ai connazionali del Servo di Dio Giovanni Paolo II, ricordando che “è stato proprio lui a ricordare a noi tutti il messaggio di Cristo Misericordioso, rivelato a Santa Faustina”.
Poi il saluto ai pellegrini di lingua italiana e, in particolare, ai partecipanti, stamane, alla Messa presieduta dal Cardinale Vicario Agostino Vallini nella chiesa di Santo Spirito in Sassia.
“Cari amici, voi portate la celebre immagine di Gesù Misericordioso: portatela sempre dentro di voi, e siate dovunque suoi testimoni! Buona domenica a tutti!”
COMINCIA IL QUINTO ANNO DI PONTIFICATO - NELLA PALUDE DEL RELATIVISMO LA PAROLA NETTA DI QUESTO PAPA - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 19 aprile 2009
Se non fosse un poco irriverente si potrebbe dire, parafrasando: un anno trascorso pericolosamente. Ma la barca di Pietro, si sa, naviga da sempre in mezzo a tempeste e a pirati. Non sono mancati neppure gli ammutinamenti di parte di marinai, ed è una barca su cui ogni tipo d’uomo, con pregi e difetti, viene invitato a salire. Nessuno, nel Vangelo, ha promesso ai discepoli una vita tranquilla. Né è stato chiesto ad alcuno un 'certificato' di santità per poter salire sulla barca. Dire quindi che per la Chiesa e per il suo pastore questo è stato un anno vissuto intensamente tra grazie e prove è come dire: tutto bene, la navigazione procede. Per questo il primo sentimento congiunto al primo atto della ragione di fronte a questo Papa, pervenuto alla conclusione del suo quarto anno di pontificato, è di gratitudine. Con il nome fortemente significativo di Benedetto, siamo grati di trovarci dinanzi a quest’uomo e proprio in questo incrocio dei tempi. Siamo a un incrocio della strada della storia in cui il mite e ragionevole invito a considerare la presenza del mistero di Dio nella vita umana è il più avventuroso dei richiami.
Siamo a un incrocio della storia dove con 'relativismo' si indica il nome filosofico e culturale del grande disorientamento circa il valore dell’esistenza. È dunque il nome della grande palude e della terra di rovine in cui il nostro, come l’antico Benedetto, si è messo a lavorare per la vigna del Signore, come disse all’esordio. La presenza della Chiesa nel mondo attuale, ha scritto una grande narratrice americana, è l’unica cosa che rende meno duro il mondo in cui viviamo. Il richiamo a considerare Dio come la Verità misteriosa dell’esistenza, come Mistero buono che ama la vita, è l’annuncio che sfida ogni avanzamento della palude, nella vita personale come nella pubblica.
È così oggi, come fu per Benedetto che coi suoi monaci reso meno dura la vita dell’Europa tra le macerie dell’Impero. Gli eventi, i grandi segni che stanno costellando la vasta mole del suo lavoro in senso dottrinario e di cura pastorale, e persino le polemiche che stanno delineando la figura di Benedetto XVI in termini avventurosi dipendono precisamente, unicamente, e oso dire, provvidenzialmente, da questo richiamo che il Papa sta facendo, in modo instancabile e illustrandolo in molti modi e campi della vita. Il mistero di Dio c’entra con l’esistenza e la ama. Si può dire, in ogni circostanza della vita: Padre nostro. Non è vero che la vita di ciascuno è una casualità che si perde nella nebbia dei giorni e delle opinioni: c’è un Dio che ama la vita e vuole che sia lieta. Un Dio che desidera fino al sacrificio del Figlio che la nostra vita abbia la speranza per affermarsi anche in mezzo alle prove. Non ha pretese questo Papa. Non segue le opinioni che gli convengono. A differenza di ogni altro leader mondiale, non deve inseguire nessun consenso. È il servo dei servi che porta un annuncio, con la sua parola e la sua testimonianza. Di questo gli uomini di fede, ma anche quelli che vogliono comprendere cosa sia veramente la fede, gli sono grati.
Longino e la Misericordia - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 18 aprile 2009
La tradizione dice che Longino abbia recuperato la vista malata nel momento in cui uno schizzo del sangue e dell’acqua sgorgati dal costato di Cristo l’ha colpito in faccia. Era stato lui, soldato romano di guardia sotto la croce, a ferire con la lancia il costato di quell’Uomo dileggiato come il re dei Giudei. Voleva rendersi conto se fosse veramente morto. Si coprì il volto bagnato con le mani Longino, non poteva sapere che l’Acqua e il Sangue avrebbero fatto conoscere per primo a lui, soldato pagano, la Misericordia di Dio che moriva anche per la sua salvezza. Lo capì quando si rese conto di vedere. E credette. Domenica celebriamo la Divina Misericordia. Ma cosa è oggi questa Misericordia che sana? È un fatto, come per Longino, perché Cristo risorto è vivo oggi e la Sua Presenza ci raggiunge nella Chiesa, Suo Corpo, quello da cui sgorgò Sangue ed Acqua. È quella medicina che, attraverso le parole del Papa nel messaggio pasquale Urbi et Orbi, viene a sanare il sentimento del nulla, il vuoto che rendono la speranza un’illusione, che “intossicano” l’umanità. Le parole pronunciate da Benedetto XVI, che ha ribadito la storicità della risurrezione di Cristo che molti vorrebbero ridurre a un mito, sono un dono per tutti. È sulla risurrezione di Cristo che si fonda la speranza dell’uomo. La Misericordia di Dio ci ha raggiunti in questi giorni con altri fatti, mostrando a noi stessi il volto umano del nostro paese, il volto di chi si sa sacrificare, sa pensare ancora agli altri e donare tempo e denaro. In molti modi c’è chi cerca di mascherare il bisogno di Dio che il dramma del terremoto ha reso evidente, ma la realtà è più forte, anche del male. Siamo tutti un po’ come Longino, con la vista malata, lo sguardo corto. Abbiamo bisogno di chi ci insegna che “tutta questa via della sofferenza è cammino di luce e di rinascita spirituale, di pace interiore e di salda speranza” perché Cristo è risorto. Con la Pasqua è iniziata “una pacifica battaglia” che necessita di “uomini e donne che aiutino Cristo ad affermare la sua vittoria con le sue stesse armi, quelle della giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell’amore” (Benedetto XVI).
Analisi del progetto di legge sul testamento biologico approvato dal senato il 26 marzo 2009 - Lo sanno tutti: se la maggioranza avesse voluto impedire “un’altra Eluana” avrebbe scritto una legge molto semplice e molto corta: “È vietato interrompere la nutrizione e l’idratazione erogata con mezzi artificiali ai soggetti in stato vegetativo”.
Tutti sanno anche un’altra cosa: l’unico punto che interessa a maggioranza e opposizione è la regolamentazione della morte procurata dei soggetti incoscienti: se è possibile, quando è possibile, con quali presupposti è possibile, chi potrà disporla, chi dovrà eseguirla, chi ne sarà esentato... - Ecco un’analisi dettagliata e interessante del progetto di legge sul testamento biologico proposta dal Comitato Verità e Vita. - di Giacomo Rocchi
1. Le ragioni di una legge.
Prima di analizzare il testo è necessario tornare alle origini: ai motivi per cui è stata ritenuta necessaria l’approvazione di una legge sul testamento biologico (o dichiarazioni anticipate di trattamento).
Quali erano le esigenze, le urgenze che spingevano all’adozione di una norma? La prima è stata senza dubbio la necessità di evitare che quanto accaduto a Eluana Englaro si ripetesse nei confronti di altri soggetti che si trovano o si troveranno nella sua stessa condizione (stato vegetativo): questa, almeno, è la volontà manifestata dalla maggioranza parlamentare che ha approvato il testo al Senato (e di cui fa parte il relatore, sen. Calabrò).
Vi erano altre esigenze? Analizziamo il nuovo titolo: “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento” dobbiamo evidentemente ritenere di sì.
In effetti nella vicenda di Eluana Englaro non vengono in evidenza né un problema di alleanza terapeutica (ella non ha mai avuto alcun rapporto con i medici relativamente alla patologia che l’ha colta e nemmeno il padre ha fondato le sue decisioni e le sue azioni sulla base di un rapporto con i medici, strumentalizzati solo al fine di procurare la morte alla figlia), né un problema di consenso informato (nessuno ha mai contestato la legittimità delle terapie d’urgenza a suo tempo erogate ad Eluana Englaro), né, infine, di dichiarazioni anticipate di trattamento che Eluana Englaro – come è pacifico – non ha mai fatto, né oralmente né per iscritto.
Più in generale viene da chiedersi quali risultati voglia ottenere il legislatore.
Forse ha sentito gli anziani che affollano gli ambulatori e li ha sentiti lamentarsi che il medico di base, prima di prescrivere loro la medicina per i loro malanni, non li informava adeguatamente e non faceva firmare loro il foglio del consenso informato?
Forse ha sentito coloro che devono sottoporsi ad interventi seri e ha colto, come esigenza principale, il fatto di non essere stati adeguatamente informati di quanto sarà fatto dai chirurghi sul loro corpo?
Non è che anziani o operandi hanno chiesto, piuttosto, ambulatori e ospedali meglio attrezzati, medici più motivati e specializzati, infermieri più premurosi, cibo delle mense mangiabile …
Lo sanno tutti: se la maggioranza avesse voluto impedire “un’altra Eluana” avrebbe scritto una legge molto semplice e molto corta: “È vietato interrompere la nutrizione e l’idratazione erogata con mezzi artificiali ai soggetti in stato vegetativo”.
Tutti sanno anche un’altra cosa: l’unico punto che interessa a maggioranza e opposizione è la regolamentazione della morte procurata dei soggetti incoscienti: se è possibile, quando è possibile, con quali presupposti è possibile, chi potrà disporla, chi dovrà eseguirla, chi ne sarà esentato.
Tutto il resto è fumo: a nessuno interessa sapere se il genitore del figlio minore deve dare il consenso per un apparecchio dentistico, o se il medico può rifiutarsi di erogare cure “naturali” e inefficaci ad un paziente “fissato”, o se il medico di base, prima di scrivere la ricetta di un antibiotico al bambino o all’anziano, chiederà alla madre o al paziente: “preferisce il prodotto X o Y?”.
Riconosciamo, quindi, già nel titolo del progetto di legge quell’ipocrisia che ben conosciamo da quando è stata approvata la legge 194 sull’aborto: dell’alleanza terapeutica e del consenso informato (così come della tutela della maternità) al legislatore non interessa nulla (se non nella misura in cui serve a raggiungere lo scopo principale).
Tutti sappiamo che, se di un medico non siamo soddisfatti, perché non è abbastanza disposto ad ascoltarci e a consigliarci o se diffidiamo della sua reale capacità professionale, possiamo cambiarlo e scegliere un altro; così come tutti sappiamo che il medico di cui noi ci fidiamo, quando gli porremo domande più approfondite su malattia, analisi, medicinali e cure, non avrà difficoltà a spiegarci più in dettaglio il motivo delle sue scelte.
Ciò che interessa, quindi, sono le dichiarazioni anticipate di trattamento: o meglio, solo quella parte del testamento biologico che farà sì che il soggetto incosciente venga lasciato morire o sia curato e possa continuare a vivere (eventualmente anche contro o a prescindere da una volontà precedentemente manifestata).
2. Il divieto di accanimento terapeutico.
In realtà, poiché lo scopo di una legge sul testamento biologico (come dimostrano ampiamente le esperienze di altri paesi che le hanno introdotte) non è affatto (o almeno: quasi per nulla) quello di far sì che il medico rispetti le volontà espresse in precedenza da un paziente divenuto incosciente, ma piuttosto quello di permettere – a prescindere da un’espressione di volontà dell’interessato – la soppressione dei soggetti in stato di incoscienza mediante la mancata erogazione delle terapie salvavita e dei sostegni vitali, vale la pena di cercare subito quelle disposizioni che puntano direttamente al risultato e che dimostrano come la autodeterminazione dell’individuo sia un valore ritenuto del tutto secondario.
All’art. 1 lettera f) la legge “garantisce” che, “in caso di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente od agli obiettivi di cura.”
Il divieto è assoluto: sono scomparsi gli altri riferimenti al divieto di accanimento terapeutico, tranne quello dell’art. 6 comma IV, secondo cui il fiduciario di colui che ha redatto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, deve vigilare per evitare che “si creino situazioni sia di accanimento terapeutico, sia di abbandono terapeutico”. Sembra quindi assodato che il tema del divieto di accanimento terapeutico sia estraneo a quello delle dichiarazioni anticipate di trattamento che devono “essere conformi a quanto prescritto dalla legge e dal Codice di Deontologia medica” (art. 3 comma 2) e, quindi, non possono contrastare con il divieto stesso.
Il verbo “garantire” e la natura oggettiva del divieto – non dipendente né dalle convinzioni del medico curante, né dalla volontà del paziente – comporta la possibilità di controllo giudiziale sulle terapie erogate al paziente: il paziente (così come fece Welby) potrà agire, in ragione del suo diritto a non essere sottoposto a terapie integranti accanimento terapeutico, chiedendo che le stesse cessino; e (soprattutto) analoga azione potrà essere promossa dai tutori degli interdetti, dai genitori dei minori, dagli amministratori di sostegno, dai fiduciari di coloro che hanno sottoscritto dichiarazioni anticipate di trattamento (articolo 5 comma 4); d’altro canto un medico o una Direzione sanitaria potrà rifiutarsi di procedere a determinati trattamenti sanitari richiesti dal paziente o dai suoi familiari se riterrà che essi integrino un accanimento terapeutico.
I medici, quindi, saranno sotto controllo e a rischio di azione giudiziale (e di responsabilità disciplinare nel caso, ad esempio, abbiano posto in essere terapie nell’ambito di un ospedale).
Questo sistema avrebbe senso se il concetto di accanimento terapeutico fosse agganciato alla fase terminale di una malattia: ad esempio se il concetto fosse del tipo: “l’erogazione, ad un paziente in stato terminale, di terapie di carattere straordinario e comunque di interventi terapeutici o diagnostici inutili o superflui rispetto all’andamento del processo in corso. I trattamenti di sostegno vitale di nutrizione, idratazione o ventilazione forzata non costituiscono accanimento terapeutico, salvo quando sono oggettivamente incompatibili con lo stato fisico del morente e gli procurino inutili sofferenze”. Il Consiglio Superiore di Sanità (parere 20/12/2006), negando che la respirazione artificiale erogata a Welby configurasse accanimento terapeutico, definì l’accanimento terapeutico “la somministrazione ostinata di trattamenti sanitari in eccesso rispetto ai risultati ottenibili e non in grado, comunque, di assicurare al paziente una più elevata qualità della vita residua, in situazioni in cui la morte si presenta imminente e inevitabile”.
Pur nell’ambito di una discrezionalità tecnica, quindi, la definizione può essere oggettiva, nel senso che spetterebbe ai medici stabilire se la morte è imminente e inevitabile e se i trattamenti sono efficaci o eccessivi.
Al contrario la definizione contenuta nella legge: “in caso di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente” dimostra che si vuole estendere il concetto (e quindi il controllo giudiziale sull’operato del medico anche: a) alla condizione di morte non prevista come imminente; b) alla condizione di morte non prevista come inevitabile.
In sostanza il concetto di “fine vita” è il grimaldello per estendere enormemente l’ambito della previsione: tutti siamo in fine vita se non ci curiamo o non ci nutriamo! Si tratta di un’osservazione paradossale: ma occorre ricordare che Beppino Englaro qualificava con gli stessi aggettivi le cure prestate alla figlia; e che Karen Ann Quinlan (che era sopravvissuta per dieci anni al distacco del respiratore artificiale ottenuto per via giudiziale) morì per una polmonite che non venne curata perché, nelle sue condizioni, ogni terapia veniva considerata accanimento, terapia sproporzionata.
Se il punto di partenza – esplicito o meno – è che i soggetti in stato vegetativo hanno una condizione di vita non degna di essere considerata umana, evidentemente le terapie possono essere ritenute straordinarie o non proporzionate agli obbiettivi di cura.
La previsione, in realtà, ha quindi una radice profonda nel caso Englaro nel senso di permettere, su richiesta dei tutori degli incapaci, che gli stessi non vengano curati.
Paradossalmente qui il legislatore sconfessa quella “prudenza” mostrata dalla Cassazione nel Caso Englaro nel 2007 quando i supremi giudici dicevano che, in assenza di una prova dell’irreversibilità della perdita della coscienza e della prova della volontà presunta del paziente di morire, “deve essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato”; prudenza già smentita dalla Corte d’Appello di Milano quando sottolineava che, al contrario, “[…] nulla impedisce di ritenere che il tutore possa adire l’Autorità Giudiziaria quando, pur non essendo in grado di ricostruire il pregresso quadro personologico del rappresentato incapace che si trovi in Stato Vegetativo Permanente, comunque ritenga, e riesca a dimostrare che il (diverso) trattamento medico in concreto erogato sia oggettivamente contrario alla dignità di qualunque uomo e quindi anche di qualunque malato incapace, o che sia aliunde non proporzionato, e come tale una non consentita forma di accanimento terapeutico, e quindi un trattamento in ogni caso contrario al best interest il quale, è appena il caso di notarlo, avendo sempre come referente l’utilità del malato, non può restare confinato in senso meramente soggettivistico solo nell’area di un’indagine riguardante la volontà/personalità”.
Via libera, in definitiva, alle azioni tese ad intimidire i medici e a obbligarli a non spingersi troppo oltre nelle cure, così da estendere il controllo su di loro ed ottenere la riduzione – obbligatoria! – delle terapie rispetto ai pazienti scomodi: anziani ricoverati nelle case di cura, malati mentali, soggetti in stato vegetativo ecc.
3. Il principio del consenso informato.
L’articolo 1 lettera c) “garantisce che nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall’espressione del consenso informato nei termini di cui all’art. 2 della presente legge …”
Il primo comma dell’art. 2 ribadisce il principio: “Salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole”.
Il terzo comma descrive le informazioni che il medico deve fornire al paziente che deve esprimere il consenso (o il rifiuto).
Quali sono le conseguenze della trasformazione di una regola deontologica come quella del consenso informato in una regola giuridica?
Il Codice deontologico (art. 35) già prescrive che “il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente”, prevede che, quando si rende necessario, il consenso deve essere “espresso in forma scritta” e conclude perché “in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona”.
La regolamentazione corretta – se si vuole rispettare l’articolo 32 della Costituzione nella parte in cui prevede che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” – è prevedere come efficace il rifiuto ad un trattamento sanitario (sempre che sia adeguatamente informato e che il paziente sia pienamente capace di intendere e di volere e in piena libertà) e non, al contrario, richiedere un preventivo consenso come condizione di legittimità dell’intervento medico! Il fondamento dell’attività medica non è il consenso del paziente, ma è la tutela della salute, bene costituzionalmente tutelato (articolo 2 della Costituzione: così la sentenza delle Sezioni Unite penali della Cassazione del 18/12/2008 e così il Codice deontologico: “dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana …”, art. 3).
Quindi: - obbligo (deontologico) di informazione, quando è possibile, del paziente;
- presunzione di legittimità dell’operato del medico;
- salva la espressione esplicita ed attuale di un rifiuto del consenso davanti al quale il medico deve astenersi dall’intraprendere la terapia (salvo che sussistano altre esigenze: ad esempio pericoli per la salute pubblica).
La norma sopra richiamata rovescia – in modo giuridicamente efficace – i termini della questione: il trattamento sanitario attivato senza il previo consenso del paziente è illecito (regola generale), salvo le eccezioni (trattamento sanitario obbligatorio, vaccinazioni, pericolo per la vita della persona incapace in pericolo per un evento acuto).
Il consenso viene, quindi, cristallizzato come elemento costitutivo della liceità dell’agire del sanitario: qui il legislatore, di fronte all’evidente contrasto della giurisprudenza (ad esempio si confronti la sentenza del 2007 sul Caso Englaro con quella delle Sezioni Unite penali sopra ricordata) fa una scelta esplicita a favore di questa tesi.
Si noti che:
- il consenso deve essere espresso in precedenza (“previo consenso …”): non è prevista alcuna ratifica a posteriori dell’attività del medico;
- il consenso deve essere esplicito (quindi non può essere presunto);
- il consenso deve essere espresso in forma scritta: l’art. 2 comma 3, infatti, afferma che “l’alleanza terapeutica … si esplicita in un documento di consenso, firmato dal paziente, che diventa parte integrante della cartella clinica”. La versione originale del progetto Calabrò faceva propendere per un valore ad probationem del documento (“L’alleanza terapeutica … è rappresentata da un documento di consenso …”). La modifica apposta dimostra, invece, che si tratta di forma prevista ad substantiam, nel senso che un consenso prestato oralmente non è valido e non può essere, quindi, in alcun modo dimostrato a posteriori in mancanza del documento firmato.
Anche la volontà del paziente di non essere informato deve essere espresso per iscritto (articolo 2 comma 4), mentre niente è previsto per la revoca, anche parziale, sempre possibile (art. 2 comma 5), anche se forse la necessità della forma scritta si può desumere dai principi generali.
L’art. 2 comma 6 prevede esplicitamente la forma scritta per il consenso del tutore dell’interdetto, mentre non lo prevede espressamente per il curatore dell’inabilitato, per l’amministratore di sostegno e per i genitori del minore: ma si tratta, verosimilmente, di mancato coordinamento delle varie norme, per cui è verosimile che verrà affermata in via generale la necessità della forma scritta.
Gli scopi e gli effetti della regolamentazione sono diversi:
- in relazione allo scopo fondamentale della legge – introdurre l’eutanasia dei malati incoscienti – il medico è, sostanzialmente, messo da parte: se il consenso non è stato previamente prestato, infatti, egli non ha nessun obbligo nei confronti del paziente, ma addirittura un divieto di agire; non si può, quindi, più ipotizzare una sua responsabilità omissiva per la morte del paziente ex art. 40 capoverso codice penale perché viene meno l’obbligo di attivarsi.
Nessun ostacolo è costituito dal divieto (articolo 1 lettera e) “ai sensi degli articoli 575, 579, 580 del codice penale di ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o aiuto al suicidio, considerando l’attività medica, nonché di assistenza alle persone, esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute, nonché all’alleviamento della sofferenza”: il richiamo, in realtà, si riferisce solo all’uccisione procurata in modo attivo del paziente; ma, in mancanza di consenso alle terapie, il medico verrà messo da parte prima, senza possibilità di operare (in un senso o nell’altro) sul paziente.
Perché invece si vuole introdurre questo principio?
- Si interpreta il diritto alla salute in senso strettamente individualistico, cancellando la salute come “interesse della collettività”, quindi il dovere alla salute;
- si introduce, quindi, il tema della disponibilità della propria salute e della propria vita;
- si vuole eliminare ogni autonomia nell’operato del medico, che viene visto come esecutore delle volontà altrui e non come operatore professionale che tutela la salute individuale e di tutti; egli non ha più l’obbligo di salvare la vita e la salute del proprio paziente!
- nello stesso tempo i medici vogliono essere al riparo da ogni rischio: il documento scritto (sia di consenso, sia di rifiuto a ricevere le informazioni) li mette al riparo da ogni contestazione;
- ma, ancora, la strada è quella del controllo dei medici sulle decisioni dei pazienti: soprattutto in presenza di soggetti deboli sarà, di fatto, il medico ad influenzare le decisioni sulle cure, così da indurre i pazienti a non prestare il consenso a determinate terapie;
- non a caso nulla è previsto quanto alla libertà effettiva del paziente a prestare il consenso: si pensi, banalmente, ad un soggetto anziano e povero cui il medico non prospetta una terapia che pure potrebbe giovargli e allungargli la vita. Certo, l’art. 1 lettera b) “impone l’obbligo al medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati”, così come l’art. 2, comma II, fa riferimento a “corrette informazioni rese dal medico curante al paziente in maniera comprensibile circa diagnosi, prognosi, scopo e natura del trattamento sanitario proposto …”: ma nessuna sanzione è prevista per il medico che non informa e non propone terapie; lo stesso medico che non ha informato e non ha proposto terapie, rispetto alla morte del soggetto che avrebbe potuto essere evitata o ritardata non può essere considerato responsabile perché la non attivazione della terapia è giuridicamente conseguenza della mancata prestazione del consenso scritto da parte del paziente.
La portata del principio è amplissima:
- si prevede la possibilità di revocare il consenso anche parzialmente (articolo 2 comma V): niente si aggiunge, ma sembra che ciò legittimi (anzi: imponga!) la cessazione delle terapie, anche se salvavita. Non è prevista alcuna inefficacia di una revoca di consenso che interrompa una terapia salvavita. È vero che il testo parla di “attivazione di trattamento sanitario”, quindi riferendosi ad un “inizio” di terapia: ma, da una parte nelle patologie che necessitano di terapie continue, è difficile distinguere quando un nuovo trattamento “inizia”; dall’altra non ha senso prevedere come possibile la revoca del consenso senza attribuire ad essa un’efficacia: che, appunto, non può che essere quella dell’interruzione del trattamento in corso.
Il caso è quello di Piergiorgio Welby che revocò il consenso al trattamento del respiratore artificiale che gli permetteva di rimanere in vita. Il G.I.P. che prosciolse Mario Riccio sostenne che dal principio del consenso informato discende anche l’obbligo di interrompere le terapie già iniziate per le quali il paziente ha revocato il consenso;
- è previsto che il consenso sia prestato anche per terapie salvavita o d’urgenza: infatti l’art. 2 comma 8 prevede, come ipotesi eccezionale, che “Qualora il soggetto sia minore o legalmente incapace o incapace di intendere e di volere e l’urgenza della situazione non consenta di acquisire il consenso informato così come indicato nei commi precedenti, il medico agisce in scienza e coscienza, conformemente ai principi della deontologia medica nonché della presente legge”, mentre l’art. 2 comma 9 prevede che “il consenso informato al trattamento sanitario non è richiesto quando la vita della persona incapace di intendere e di volere sia in pericolo per il verificarsi di un evento acuto”: è il caso dell’incidente stradale nel quale il soggetto arriva al Pronto Soccorso in stato di incoscienza. Rianimarlo? Solo con questa eccezione la risposta è affermativa; ma se il soggetto è cosciente e ciò nonostante deve essere sottoposto a terapia intensiva, occorrerà il suo consenso scritto; o se, al contrario, lo stato di incoscienza è conseguenza di un evento non acuto (ad esempio per la progressione prevista di una malattia inguaribile), il medico non potrà attivare una terapia salvavita o d’urgenza se, prima di cadere nello stato di incoscienza, il soggetto non avrà prestato il consenso a quelle terapie.
4. Le terapie erogate a minori e incapaci.
La portata negativa del principio del consenso informato si comprende appieno se si analizzano le norme riguardanti le terapie da erogare ai minori e agli incapaci. Occorre ricordare quanto detto all’inizio: è del tutto scontato che sarà il genitore a decidere se il figlio minorenne debba o meno sottoporsi ad un intervento dentistico, magari dopo averlo sentito; ed è ovviamente positivo che coloro che si prendono cura di pazienti incapaci, anziani, dementi o comunque non in grado di decidere di sottoporsi o meno a terapie instaurino un rapporto costante con i medici curanti (magari talvolta anche dialettico); ma il legislatore vuole nascondere dietro questi principi di buon senso finalità diverse: ai parlamentari interessano soltanto le decisioni che permetteranno di non curare o di lasciar morire il minore o l’incapace.
Le norme sono le seguenti:
art. 2 comma VI: “In caso di interdetto, il consenso informato è prestato dal tutore che sottoscrive il documento. In caso di inabilitato o di minore emancipato, il consenso informato è prestato congiuntamente dal soggetto interessato e dal curatore. Qualora sia stato nominato un amministratore di sostegno e il decreto di nomina preveda l’assistenza o la rappresentanza in ordine alle situazioni di carattere sanitario, il consenso informato è prestato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo dall’amministratore. La decisione di tali soggetti riguarda anche quanto consentito dall’art. 3 ed è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute dell’incapace”
art. 2 comma VII: “Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la potestà parentale o la tutela dopo avere attentamente ascoltato i desideri e le richieste del minore. La decisione di tali soggetti riguarda quanto consentito anche dall’art. 3 ed è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psicofisica del minore”
L’articolo 32 della Costituzione non impone affatto che, nel caso di impossibilità del paziente di prestare il consenso, qualcun altro debba prestarlo per lui: se il soggetto è incapace, egli non è obbligato ad una cura, ma semplicemente viene curato.
Non si vuole dire che i genitori dei figli minori e i tutori degli interdetti non debbano collaborare con i medici per giungere alla migliore cura e terapia per gli assistiti: ma essi non hanno la disponibilità del diritto alla salute e alla vita degli stessi. L’art. 32 della Costituzione, infatti, tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo.
La regolamentazione corretta, quindi, dovrebbe essere:
- alleanza terapeutica tra genitore/tutore e medico mediante adeguata informazione (è sufficiente una previsione deontologica);
- presunzione di legittimità dell’operato del medico;
- obbligo per il medico di tutelare la salute e la vita dell’incapace;
- possibilità per il tutore o i genitori di contestare le cure prestate sulla base di motivazioni adeguate;
- assoluta inefficacia del rifiuto di cure salvavita o delle richieste di interrompere cure salvavita da parte dei tutori o dei genitori, permanendo, quindi, l’obbligo (penalmente sanzionato) per il medico di continuare a curare l’incapace.
Invece la regolamentazione è opposta: se il tutore o i genitori non prestano il consenso – non firmano! – il medico non può curare l’incapace!
Lo dice esplicitamente l’art. 8 comma II: “L’autorizzazione giudiziaria (da parte del giudice tutelare) è necessaria anche in caso di inadempimento o di inerzia da parte dei soggetti legittimati ad esprimere il consenso al trattamento sanitario”.
L’autorizzazione è necessaria anche in presenza di urgenza: come si è visto, infatti, l’art. 2 comma 8 prevede che ciò non sia necessario solo quando “l’urgenza della situazione non consenta di acquisire il consenso informato” (quindi, ad esempio, se il genitore non è reperibile: se invece è raggiungibile, occorrerà il suo consenso scritto all’attivazione di qualsiasi trattamento sanitario sul figlio).
L’autorizzazione del tutore o dei genitori è necessaria anche in caso di pericolo di vita dell’incapace: infatti l’art. 2 comma 9, come si è visto, fa eccezione alla necessità del consenso informato solo se il pericolo di vita dipenda dal “verificarsi di un evento acuto”: ad esempio una rianimazione tentata per strada di un soggetto coinvolto in un incidente stradale; se il pericolo di vita non dipende da un evento acuto l’eccezione non vale: il consenso è necessario per legittimare l’intervento del medico.
In definitiva: a decidere sulle cure sarà il genitore (il figlio esprimerà il suo parere non vincolante) o il tutore (non è previsto che l’interdetto sia sentito e ciò pare irragionevole). Dubbi ancora più forti riguardano il potere attribuito al curatore di un inabilitato (che, tendenzialmente, è in grado di decidere sulle terapie che possono essergli erogate), a quello del minore emancipato (ha più di 16 anni ed è già sposato! Potrà decidere sulle cure da ricevere …) o sull’amministratore di sostegno (perché coloro cui è stato nominato un amministratore di sostegno hanno una capacità mentale superiore agli interdetti e agli inabilitati): questo allargamento sembra essere un chiaro segno del favore con cui il legislatore vede le decisioni sulle terapie da parte dei non pazienti.
Il medico che vorrà andare contro al rifiuto di terapie espresso dal genitore o dal tutore dovrà ricorrere al giudice tutelare.
Ma i genitori, il tutore e gli altri soggetti sono liberi nelle loro decisioni? La legge dice che la loro decisione “è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psicofisica del minore (o dell’incapace)”.
Si noti: non si parla di salvaguardia della vita dell’assistito e non è affatto scontato che la salute sia un minus rispetto alla vita (e che quindi la previsione comprenda anche la difesa della vita. Il concetto di “salute psicofisica” – lo sappiamo bene, conoscendone la portata rispetto alla legge sull'aborto – è un criterio assolutamente vago e assolutamente soggettivo
Ma quello che è più grave è che viene indicato lo scopo che il rappresentante deve seguire, ma non viene prescritto né che il medico possa (o addirittura debba) sottoporre al trattamento sanitario salvavita l’incapace o il minore nonostante l’illegittima mancata prestazione del consenso, né che sia obbligatorio il ricorso al Giudice in questo caso. In sostanza, se c’è accordo tra genitori o tutore da una parte e medico dall’altra nel non erogare un trattamento salvavita al minore o incapace, ciò potrà avvenire, senza che si possa ipotizzare alcuna responsabilità né per il rappresentante (che potrà invocare di avere agito con lo scopo previsto dalla legge) né per il medico (che non sarà responsabile di omicidio per omissione in quanto non obbligato a prestare dette cure in mancanza del consenso del legale rappresentante).
In realtà la vera soluzione sarebbe stabilire che il rifiuto di cure salvavita o la revoca del consenso a cure salvavita da parte del rappresentante legale siano del tutto inefficaci, tamquam non essent, e ribadire che la non instaurazione di dette cure o la sospensione delle stesse è condotta punita ai sensi dell’art. 575 del codice penale: ma questo il legislatore non stabilisce.
Non solo: quando prevede che “la decisione di tali soggetti riguarda quanto consentito anche dall’art. 3”, permette ai genitori e ai tutori di rinunciare (per gli assistiti) “ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale”. Il concetto di trattamento sanitario sproporzionato, se correlato allo scopo della salvaguardia della salute psicofisica dell’incapace è assolutamente soggettivo.
In definitiva: i genitori e il tutore non potranno chiedere (come ha fatto Beppino Englaro) di sospendere la nutrizione e l’idratazione ai figli o agli interdetti: potranno, però, rifiutare ogni trattamento sanitario e perfino l’inserimento degli strumenti di nutrizione artificiale, anche se si tratta di trattamenti che oggettivamente (secondo la valutazione medica) potrebbero salvare la vita agli assistiti.
La norma in questione ratifica un principio niente affatto pacifico in giurisprudenza e che, invece, in sostanza è stato affermato proprio dalla sentenza dell’ottobre 2007 della Cassazione sul caso Englaro: che il tutore (e il genitore del minore) ha il potere di decidere per conto dell’interdetto (o del minore) anche su questioni personalissime quali quelle del consenso al trattamento sanitario. Tale principio era stato ripetutamente negato nelle fasi precedenti a quella sentenza sia dal Tribunale di Lecco che dalla Corte d’Appello di Milano: in effetti l’articolo 357 del codice civile stabilisce che il tutore ha la “cura” dell’interdetto, ma lo “rappresenta” solo “in tutti gli atti civili”. Affermare il contrario significa – di fatto – reintrodurre lo ius vitae ac necis dei genitori sul minore (e del tutore sull’interdetto): l’introduzione dell’obbligo di sentire il minore non cambia la sostanza, perché la decisione finale spetta sempre al genitore.
La previsione riguarda – temo – il caso della rianimazione dei neonati estremamente prematuri: il contrasto sorto tempo fa circa la possibilità di proseguire le cure nei confronti dei neonati con ridotte possibilità di sopravvivenza e alte probabilità di disabilità viene risolto nel senso che i genitori possono decidere “avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psicofisica del minore”; se elidiamo la motivazione (come il meccanismo rende possibile) resta la possibilità di decidere da parte dei genitori: esattamente quanto voleva quella parte che aveva sostenuto la “Carta di Firenze” e che era stata sconfessata dal parere del Consiglio Superiore di Sanità.
La regolamentazione è palesemente incostituzionale.
5. Le dichiarazioni anticipate di trattamento.
Il testamento biologico viene previsto in tutta la sua ampiezza: il soggetto potrà rifiutare qualsiasi trattamento sanitario sulla base della valutazione soggettiva secondo cui le eventuali terapie possano essere “di carattere sproporzionato o sperimentale” (art. 3 comma III).
Quali limiti hanno nella proposta le dichiarazioni anticipate di trattamento?
- “il soggetto non può inserire indicazioni che integrino le fattispecie di cui agli artt. 575, 579, 580 del codice penale”: non può, quindi, chiedere di essere ucciso direttamente dal medico, nemmeno con mezzi medici (ad esempio: una dose massiccia di sedativi).
Questa previsione vieta che il soggetto possa disporre la cessazione di trattamenti salvavita (ad esempio: distacco del respiratore artificiale)? Secondo qualcuno, sì; in realtà è un’interpretazione dubbia, visto che il principio è che il consenso possa essere revocato: se così fosse, il legislatore dovrebbe affermarlo esplicitamente (e per il momento non l’ha fatto);
- l’alimentazione e l’idratazione artificiale non possono formare oggetto delle dichiarazioni anticipate (art. 3 comma V): ma, si noti bene, le DAT possono invece rifiutare l’inserimento di mezzi di alimentazione artificiale che costituiscono un intervento sanitario.
Le Dichiarazioni sono vincolanti oppure no?
La risposta necessita di una puntualizzazione dell’ottica nella quale ci si pone: interessa sapere se il singolo medico sarà esentato da pratiche per lui deontologicamente o moralmente inaccettabili, oppure interessa sapere quale effetto hanno le DAT sull’ordinamento generale?
Il fatto che le DAT non vincolino il singolo medico (come è garantito dall’art. 7 comma III: “il parere espresso dal collegio non è vincolante per il medico curante, il quale non è tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico o deontologico”) non esaurisce affatto la questione; il medico che si rifiuterà di ottemperare alle DAT o alle indicazioni del fiduciario o alla decisione del collegio medico (la procedura è prevista dall’art. 7) sarà infatti sostituito da un altro medico disposto alle pratiche in questione.
La domanda, quindi, resterà: il nuovo medico agirà legittimamente per l’ordinamento generale?
La categoria cui occorre fare riferimento, quindi, è quella dell’inefficacia: solo prevedendo l’inefficacia di determinate DAT (e la conseguente punibilità del medico che le ponga in attuazione, magari provocando la morte del paziente) si evita che mediante il testamento biologico si introduca il principio della disponibilità della vita.
In realtà l’inefficacia è prevista solo per le “indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente” (art. 7 comma II) (e cioè che “integrino le fattispecie di cui agli artt. 575, 579 e 580 del codice penale”, art. 3 comma IV) e per la rinuncia all’alimentazione e idratazione (art. 3 comma V): tutte le altre indicazioni sono valide ed efficaci.
Si noti le diverse espressioni utilizzate dall’art. 3: ai primi due commi si parla di “orientamento in merito ai trattamenti sanitari” , quindi con un termine che sembra indicare la non vincolatività; ma l’art. 3 comma III si passa improvvisamente ad una previsione palesemente vincolante: “Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale”.
Si tratta dell’applicazione del principio del consenso informato: la parola “rinuncia” è precisa (non porre in atto quel determinato trattamento sanitario) e il verbo “esplicitata” è lo stesso previsto dall’art. 2 comma 3 (in cui si prevede il documento scritto in cui viene esplicitato il consenso informato).
Il medico, di fronte a questa rinuncia, sarà costretto – magari dall’azione del fiduciario (che opererà “sempre e solo secondo le intenzioni legittimamente esplicitate dal soggetto nella dichiarazione anticipata”) – a desistere; e d’altro canto, sarà spinto a desistere dal tentare di curare l’incapace perché avrà garanzia di impunità: la mancata erogazione di terapie salvavita rinunciate dal soggetto nelle DAT non sarà a lui attribuibile.
Esiste una norma di non chiara interpretazione: l’art. 4 comma VI che prevede che “in condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica”. In realtà la norma non stabilisce automaticamente l’inefficacia di DAT contenenti rinuncia a trattamenti salvavita, ma sembra esentare i medici dal prenderle in considerazione in casi di urgenza (come per il consenso dei genitori del minore) e in conseguente pericolo di vita del paziente: non pare certo che possa applicarsi alle DAT in cui si contempla l’ipotesi di una morte prevista come conseguenza di una malattia inguaribile.
Il testamento biologico è l’esatto opposto del consenso informato: nonostante la legge preveda che esse debbano essere stilate (ma anche semplicemente firmate in calce ad un foglio dattiloscritto, come il modulo di Veronesi) dal soggetto “in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica”, da soggetto maggiorenne, “dopo una compiuta e puntuale informazione medico clinica” e “in piena libertà consapevolezza”, in realtà non è previsto alcun controllo su queste condizioni: per fare un esempio paradossale il soggetto potrebbe essere ingannato oppure minacciato, costretto a firmare e ciò nonostante le dichiarazioni sarebbero efficaci. Il fatto che a raccogliere le dichiarazioni possa essere esclusivamente un medico di medicina generale da una parte non dà alcuna garanzia della libertà effettiva di chi stilerà le dichiarazioni, dall’altra fa sorgere seri dubbi sulla effettiva informazione clinica: forse un senso le dichiarazioni potrebbero averlo nel caso di pazienti di malattia inguaribile e progressiva che le dispongono dopo un colloquio con uno specialista in grado di rappresentare loro il progresso della patologia; che senso ha rendere le dichiarazioni al medico di famiglia, quindi tendenzialmente in una situazione di non malattia?
In realtà quello che sembra proposto è uno svuotamento dall’interno delle norme sull’omicidio del consenziente: il rifiuto di terapie reso in vista di una situazione futura e incerta, reso in una condizione di piena salute, di fatto diventa una richiesta di morte nel caso il soggetto si trovasse in una determinata situazione; richiesta, per di più, che sarà soggetta ad interpretazione in quanto inevitabilmente generica, non frutto di effettiva informazione e soprattutto resa senza nessuna garanzia di effettiva libertà morale.
In questo modo, permettendo di individuare condizioni ritenute non degne di essere vissute si aprirà la strada all’eutanasia diretta o alla spinta sociale e morale nei confronti dei soggetti deboli a firmare le dichiarazioni per l’ipotesi in cui si trovino in quella condizione.
Il fiduciario, in questa situazione, rischia di diventare più che la voce dell’incapace, colui che deve garantire che terapie non accettate non vengano erogate.
Giacomo Rocchi
Comitato Verità e Vita 8 Aprile 2009
Benedetto XVI e l'incontro tra fede e ragione - Il facile equivoco della religiosità sostenibile - Pubblichiamo le conclusioni dell'editoriale del numero in uscita della rivista "La Civiltà Cattolica". – L’Osservatore Romano, 19 aprile 2009
La ragione moderna e la scienza si autocomprendono come capacità "autonoma" di conoscenza dell'uomo e della natura, alla quale consegue l'autonomia della ricerca scientifica, oltre il suo specifico campo di attività, nello stabilire la totalità del senso dell'essere uomo. In questa concezione onnicomprensiva, nota giustamente Benedetto XVI, "gli interrogativi propriamente umani" cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'èthos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo.
Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'èthos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale.
È chiaro così che la discussione sulla ellenizzazione/disellenizzazione del cristianesimo non è la riesumazione di una disputa storico-teologica. La difesa dell'ellenizzazione del pensiero giudaico-cristiano da parte del Papa è finalizzata alla difesa della realtà più profonda dell'uomo contro la pretesa razionalista di emarginare la cultura religiosa del cristianesimo, come oggi tentano di fare palesemente le correnti dello scientismo estremista.
Il discorso di Regensburg non intende svalutare o, peggio, misconoscere la funzione della scienza nella cultura.
È superfluo ricordare che il Magistero della Chiesa, nel Vaticano I e nel Vaticano II, ha dichiarato solennemente che esistono due distinti ordini di conoscenza, quello della fede e quello della ragione, e ha riconosciuto la legittima autonomia di tutte le scienze (cfr. Gaudium et spes, n. 59 c; n. 36). Il Papa non vuole certo rivedere questa dottrina. Piuttosto, sulla traccia dell'incontro tra fede biblica e razionalità greca, ha voluto insegnare che è ancora possibile l'incontro tra fede e ragione e che entrambe sono al servizio sia delle sorti dell'umanità sia della cultura dell'Occidente.
Non sono di scarso peso né prive di mezzi le forze che oggi lavorano per impedire quell'incontro, per far divergere i percorsi della fede e della ragione. A esse Benedetto XVI ricorda che una ragione che disprezza la fede e si fa unica e suprema garante del senso e dell'interpretazione della vita, sconvolge la verità integrale sull'uomo e sul mondo. È il pericolo insito nel pensiero che si tiene nei termini della pura immanenza.
E c'è l'altro pericolo, abbastanza rilevato dalle attuali cronache. Una fede cieca, senza apertura alla sua intelligibilità, rovina la stessa immagine di Dio perché produce intolleranza e violenza nei rapporti personali e sociali.
E c'è un ultimo e più grande pericolo che nasce dal razionalismo autosufficiente. Lo richiama all'attenzione Carlo Cardia - La fede è una cosa semplice proprio perché razionale, su "Il Foglio" del 16 settembre 2006 - parlando del cristianesimo come di una delle più efficienti realtà che possa fermare l'uomo contemporaneo sulla china di scelte irreversibili. E si riferisce alla materia della pace e della guerra, alla solidarietà verso i più deboli, allo stravolgimento genetico del genere umano. "Un esperimento estremo di società che prescinde totalmente (anche per legge) da Dio e dalla religione è stato fatto, in tutto l'universo comunista (e totalitario) contemporaneo, un universo ampio geograficamente, lungo temporalmente, immenso dal punto di vista della quantità di uomini coinvolti. Cosa ne è derivato, se non un grande bisogno di rifondare queste società daccapo, dopo che una larga fetta d'umanità era caduta nell'arbitrio più totale, nella violenza quotidiana del potere, nell'uso opportunistico di princìpi e valori che avevano perso ogni fondamento? Vorrà pure dire qualcosa questa considerazione dal punto di vista razionale".
(©L'Osservatore Romano - 19 aprile 2009)
«Rammarico» della Santa Sede per l’«inconsueta» decisione del governo belga di contestare le affermazioni di Benedetto XVI Mercoledì le proteste formali, presentate da Bruxelles dopo il voto in Parlamento che definiva «inaccettabili» le affermazioni del Pontefice durante il viaggio in Africa - «In Europa vogliono intimidire il Papa» - Il Vaticano replica al Belgio su Aids e preservativo: campagna mediatica senza precedenti - La Segreteria di Stato: «Critiche sulla base di un estratto di intervista isolato dal contesto, quasi a dissuadere dall’esprimersi su temi di rilevanza morale» - DI GIANNI CARDINALE – Avvenire, 19 aprile 2009
L a Santa Sede prende atto « con rammarico » e « deplora » la decisione « inconsueta » compiuta dal governo belga, su mandato del Parlamento, di protestare formalmente contro quanto detto dal Papa riguardo all’uso del preservativo per combattere l’Aids. Lo ha reso noto un comunicato della Segreteria di Stato rilasciato nella tarda mattinata di ieri dalla Sala Stampa vaticana.
« L’ambasciatore del Regno del Belgio – si legge nel comunicato pubblicato con evidenza sull’edizione odierna dell’Osservatore romano – dietro istruzioni del ministro degli Affari esteri, ha fatto parte al segretario per i rapporti con gli Stati della risoluzione con cui la Camera dei rappresentanti del proprio Paese ha chiesto al governo belga di “condannare le dichiarazioni inaccettabili del Papa in occasione del suo viaggio in Africa e di protestare ufficialmente presso la Santa Sede” » . L’incontro tra l’arcivescovo Dominique Mamberti e l’ambasciatore Frank E. de Coninck – si specifica nel testo della Segreteria di Stato – si è svolto mercoledì scorso. La risoluzione parlamentare in questione era stata adottata il 2 aprile con 95 voti a favore, 18 voti contrari e 7 astensioni ( su 150 membri della Camera) ed era stata votata da gran parte dei partiti belgi, eccetto il partito di estrema destra Vlaams Belang e i nazionalisti della Nuova alleanza fiamminga.
Il testo, proposto dalla commissione affari esteri della Camera, era stato tuttavia stemperato su richiesta dei cristiano- democratici fiamminghi del premier Herman Van Rompuy. La formulazio- ne originaria, che definiva « affermazioni pericolose e irresponsabili » quelle pronunciate dal Papa il 17 marzo durante il volo che lo portava in Africa, era stata sostituita da « affermazioni inaccettabili » . Questo pronunciamento del Parlamento belga aveva provocato lo « stupore » del direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Da parte loro i vescovi belgi, esprimendo « rammarico » per la posizione espressa dalla Camera dei deputati, avevano detto di « sperare che con l’avvicinarsi della Pasqua, la polemica emotiva possa smorzarsi » . Ma non è stato così, visto che la protesta formale è arrivata tre giorni fa in Vaticano. Di qui la risposta, piccata, della Santa Sede. « La Segretaria di Stato – si legge nel comunicato rilasciato ieri – prende atto con rammarico di tale passo, inconsueto nelle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il Regno del Belgio. Deplora che una Assemblea parlamentare abbia creduto opportuno di criticare il Santo Padre, sulla base di un estratto d’intervista troncato e isolato dal contesto, che è stato usato da alcuni gruppi con un chiaro intento intimidatorio, quasi a dissuadere il Papa dall’esprimersi in merito ad alcuni temi, la cui rilevanza morale è ovvia, e di insegnare la dottrina della Chiesa » . La nota vaticana entra quindi nel merito della questione, e spiega: « Come si sa, il Santo Padre, rispondendo ad una domanda circa l’efficacia e il carattere realista delle posizioni della Chiesa in materia di lotta all’Aids, ha dichiarato che la soluzione è da ricercare in due direzioni: da una parte nell’umanizzazione della sessualità e, dall’altra, in una autentica amicizia e disponibilità nei confronti delle persone sofferenti, sottolineando anche l’impegno della Chiesa in ambedue gli ambiti. Senza tale dimensione morale ed educativa la battaglia contro l’Aids non sarà vinta » .
Nel comunicato rilasciato ieri si va aldilà della protesta nei confronti dell’inedita iniziativa belga e si ricorda che « mentre, in alcuni Paesi d’Europa » , si è scatenata « una campagna mediatica senza precedenti sul valore preponderante, per non dire esclusivo, del profilattico nella lotta contro l’Aids, è confortante constatare che le considerazioni di ordine morale sviluppate dal Santo Padre sono state capite e apprezzate, in particolare dagli africani e dai veri amici dell’Africa, nonché da alcuni membri della comunità scientifica » . A questo proposito la nota della Segretaria di Stato cita una recente dichiarazione della Conferenza episcopale regionale dell’Africa dell’Ovest ( Cerao): « Siamo grati per il messaggio di speranza che [il Santo Padre] è venuto ad affidarci in Camerun e in Angola. È venuto ad incoraggiarci a vivere uniti, riconciliati nella giustizia e la pace, affinché la Chiesa in Africa sia lei stessa una fiamma ardente di speranza per la vita di tutto il continente. E lo ringraziamo per aver riproposto a tutti, con sfumatura, chiarezza e acume, l’insegnamento comune della Chiesa in materia di pastorale dei malati di Aids » . Con buona pace del Parlamento belga.
NIENTE SOLDI PER CLONAZIONE, IBRIDI E CREAZIONE DI NUOVI EMBRIONI - Obama «libera» l’America un po’ meno però del previsto - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 19 aprile 2009
È diventata una consuetudine nei mezzi di comunicazione: se una notizia non va nella direzione 'giusta', non se ne parla. I giornali la ignorano, e i loro lettori non la conosceranno. Se invece è funzionale a certe ideologie va sbattuta in prima pagina con titoloni sussiegosi. È per esempio il caso delle politiche del presidente americano Obama in tema di ricerca scientifica. Sembrava che l’opinione pubblica mondiale avesse abbracciato con entusiasmo la sua 'liberazione' della scienza dai veti dell’aborrito Bush: le scelte sulla ricerca scientifica «devono essere basate sui fatti e non sull’ideologia», aveva affermato solennemente Obama fra applausi scroscianti, mentre firmava per eliminare alcuni limiti ai finanziamenti federali per le staminali embrionali umane. Con queste premesse i National Institutes of Health (NIH) hanno reso pubbliche l’altro ieri le linee guida della ricerca 'libera': è vietato l’uso di finanziamenti federali nella produzione di embrioni umani per la ricerca, nella creazione di embrioni misti uomo/animale, e pure nella cosiddetta clonazione terapeutica, quella spacciata come la strada maestra per la guarigione da terribili malattie, che ha fatto nascere la pecora Dolly.
Basandoci sui fatti, quindi, e non sull’ideologia, abbiamo linee guida più restrittive di quelle degli stessi NIH del 1994, quando per sostenere e regolare la ricerca sugli embrioni umani una commissione di esperti elaborò un documento in cui si dichiarava eticamente accettabile, e quindi finanziabile con fondi federali, la creazione di embrioni per certi tipi di studi. Allora fu lo stesso presidente Clinton a intervenire personalmente, vietando l’uso di denaro federale per produrre embrioni a fini di ricerca; il Congresso successivamente decise altri limiti ai finanziamenti, comunque senza mai porre divieti a questa linea investigativa, che è sempre stata libera, con fondi privati e statali.
Anche con Obama, quindi, proseguirà 'l’ipocrisia' – ma i sedicenti paladini della scienza, tanto loquaci quando era presidente Bush, avranno il coraggio di parlare così anche di Obama? – di usare linee staminali prodotte altrove, o con altro denaro. Not in my name: il contribuente americano continuerà a non collaborare alla creazione di embrioni umani per la ricerca. Adesso sarà possibile utilizzare denaro federale per progetti su linee embrionali già prodotte o su embrioni soprannumerari, cioè quelli creati per la fecondazione assistita e abbandonati nelle cliniche. Un margine molto più ampio di quello consentito dall’amministrazione Bush, ma una forte delusione per chi si aspettava una
deregulation, che spiega il silenzio quasi unanime dei quotidiani di ieri, nei quali non si trovava traccia della notizia delle nuove linee guida. D’altra parte, è noto che gli scienziati non vogliono lavorare su embrioni congelati, presi a caso fra quelli inutilizzati, ma preferiscono quelli 'freschi', creati ad hoc. Gli embrioni abbandonati sono un grande problema negli Usa: almeno mezzo milione, oltre all’indubbio dilemma etico, un fardello dispendioso per gli operatori del settore e una fonte di contenziosi giudiziari, come si può capire guardando la parte delle nuove linee guida dedicata al consenso informato di chi li cede ai laboratori.
Pagato il pegno delle promesse elettorali, insomma, Obama si atterrà ai risultati effettivamente ottenuti: niente soldi alla clonazione terapeutica, agli ibridi uomo/animale, e neanche alla creazione di nuovi embrioni su cui sperimentare. Nel testo introduttivo alle linee guida si dice che 'forse' il più importante uso potenziale delle embrionali è la produzione di cellule e tessuti per nuove terapie. Con quel 'forse' si ammette che neanche l’America 'liberata' di Obama reputa così promettente questa linea di ricerca, tanto da decidere di non sostenerla completamente. Un 'forse' che mette in dubbio le precedenti dichiarazioni di Obama, e che dovrebbe essere spiegato all’opinione pubblica dai nostri mezzi di comunicazione, i quali invece pare abbiamo deciso di ignorare bellamente la parte a loro scomoda della politica del presidente americano in tema di ricerca scientifica.
«Io, ex punk comunista canto la fede ritrovata» - Giovanni Lindo Ferretti - «Dopo aver cercato il senso in mille modi senza trovarlo l’ho scoperto tornando a casa, tra montagne e rosari. Oggi curo mia madre malata, considero Ratzinger il mio maestro e uso il rock anche per cantare contro l’eutanasia e il nichilismo» - DI ANDREA PEDRINELLI – Avvenire, 19 aprile 1009
Aveva esordito nella musica da provocatore punk con i CCCP poi CSI, chiude provocando ancora: con il Te Deum. L’ultima traccia dell’ultimo cd che Giovanni Lindo Ferretti realizza con Giorgio Canali e Gianni Maroccolo sotto il nome PGR. Il cd s’intitola Ultime notizie di cronaca ed esce ad onorare un contratto discografico del ’97 firmato «dopo un primo posto in hit parade che ci aveva proiettati in un mondo che non ci piaceva». Intanto Ferretti si è trasferito in montagna: cura la madre malata, sta a contatto con la natura, prega. «Dopo aver cercato il senso in mille modi senza trovarlo l’ho trovato tornando a casa. Al mio mondo di quando ero bimbo: i monti, il rosario». Ferretti ha raccontato il suo percorso in un libro, Reduce, e per lui la musica oggi è fatta di piccoli concerti, violinovoce o poco più. Anche se spesso prende pure posizione, scrivendo ai giornali da credente, su molti temi sensibili dell’attualità. Ed ora che impegni «di cui mi ero scordato» l’hanno ricondotto a confrontarsi con il rock, ci ha messo sopra parole in linea con l’uomo che è oggi. Un uomo che da tre anni non scendeva a Milano, dove l’abbiamo incontrato. A presentare un disco rock con anima ben più profonda, e testi di cui – Ferretti lo ripete spesso – «la responsabilità è solo mia».
Ferretti, iniziamo dalle reazioni di tanti suoi fan al suo riabbracciare la fede. Molti l’hanno criticata anche pesantemente per questo. Cosa risponde?
«Già nel tour con i PGR di tre anni fa mi attendevo reazioni come quelle che mi dicono ci siano sul web, invece non succede. Il pubblico certo è cambiato, ma chi mi segue ancora lo fa perché mi ritiene perbene. Uno da ascoltare anche se non si pensa come lui».
In questo cd la ascolteranno denunciare indifferenza al mistero, superficialità, uomo-merce, corporeità ordigno di distruzione e distrazione di massa. Ma qual è il problema chiave dell’oggi secondo lei?
«L’uomo. Quanto noi abiuriamo dell’uomo».
Ad esempio, per citarla, con 'democratiche soluzioni eutanasiche', che pare riferito al caso Englaro?
«Esatto: ed io oggi non posso pensarla in maniera diversa. La mia vita per molti è 'poco dignitosa'…».
Lei assiste sua madre, come canta 'Cronaca filiale'.
«Sì. Espormi su certe cose è necessario. L’aborto o il fine vita non sono astrazioni. E io non voglio venire intruppato nel modo di vedere le cose che si dice 'degli artisti'. Non voglio che il mio nome sia usato come alibi. La mia posizione la dichiaro».
Senza neppure il timore di cantare un dolore intimo?
«Assolutamente. Di certi temi parlo coi colleghi dai tempi della malattia di Wojtyla: trovavo normale si mostrasse, era il nostro Papa anche malato. Mi fa senso che ai bambini non si debbano mostrare malati o morti. La vita ha senso anche in certe angolazioni. Anche quando non la capisci. Con Cronaca filiale
racconto poi pure il dono che è l’essere figli».
Ma Giovanni Lindo Ferretti oggi chi è?
«Nel Te Deum può scoprirlo. Sono uno che iniziò a curiosare tra i libri dell’allora cardinal Ratzinger per capire perché molti ne parlassero male. E ora che sono tornato a casa, Benedetto XVI è il mio maestro».
E a quest’uomo che è oggi, non ha fatto difficoltà uscire dalla sua 'vita defilata' per tornare al rock?
«No, ho accettato di modellare le mie parole su certi suoni pur non vivendo più quella dimensione. Questo cd è nato per dovere: ma in esso ognuno di noi ha messo quello che è oggi, senza vincoli reciproci ».
Il cantautore Giovanni Lindo Ferretti