mercoledì 29 aprile 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Discorso del Papa alla popolazione e ai soccorritori a L'Aquila
2) PASTORE LONTANO DAL FASTO - LA VESTE BIANCA TRA LE MACERIE - GIOVANNI D’ALESSANDRO – Avvenire, 29 aprile 2009
3) Tempi 21 Aprile 2009 - Bugie per tutti i gusti di Rodolfo Casadei - La visione del Papa sulla lotta all’Aids è «realista». Un dossier del laicissimo Le Monde smonta la religione del condom. Ma in Italia nessuno se n’è accorto
4) PAPA IN ABRUZZO/ Quell'umile viaggio sulle tracce del dolore di un popolo - Alessandro Banfi - mercoledì 29 aprile 2009 – ilsussidiario.net
5) OBAMA/ I 100 volti del presidente - Lorenzo Albacete - mercoledì 29 aprile 2009 – ilsussidiario.net
6) MARCHE, OBIEZIONE DI COSCIENZA NON RICONOSCIUTA - Presidio estremo di libertà contro la violenza etica - GIUSEPPE ANZANI – Avvenire, 29 aprile 2009
7) Eros, philia e agape - COLLEVALENZA, (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo l'intervento pronunciato da padre Domenico Cancian, fam, al Convegno svoltosi a Collevalenza, dal 27 al 29 ottobre 2006, sulla prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas Est”.

Discorso del Papa alla popolazione e ai soccorritori a L'Aquila
L'AQUILA, martedì, 28 aprile 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo del discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questo martedì mattina nel piazzale della Scuola della Guardia di Finanza di Coppito (L'Aquila), rivolgendosi alla popolazione abruzzese colpita dal terremoto e al personale impegnato nei soccorsi.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Grazie per la vostra accoglienza, che mi commuove profondamente. Vi abbraccio tutti con affetto nel nome di Cristo, nostra salda Speranza. Saluto il vostro Arcivescovo, il caro Mons. Giuseppe Molinari, che come Pastore ha condiviso e sta condividendo con voi questa dura prova; a lui va il mio ringraziamento per le toccanti parole piene di fede e di fiducia evangelica con cui si è fatto interprete dei vostri sentimenti. Saluto il Sindaco dell'Aquila, Onorevole Massimo Cialente, che con grande impegno sta operando per la rinascita di questa città; come pure il Presidente della Regione, Onorevole Gianni Chiodi. Ringrazio entrambi per le loro cortesi parole. Saluto la Guardia di Finanza, che ci ospita in questo luogo. Saluto i Parroci, gli altri sacerdoti e le religiose. Saluto i Sindaci dei paesi colpiti da questa sciagura, e tutte le Autorità civili e militari presenti: la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, la Croce Rossa, le Squadre di Soccorso, e i tanti volontari di molte e diverse associazioni. Nominarle tutte mi sarebbe difficile, ma a ciascuno vorrei far giungere una speciale parola di apprezzamento. Grazie di ciò che avete fatto e soprattutto dell'amore con cui l'avete fatto. Grazie dell'esempio che avete dato. Andate avanti uniti e ben coordinati, così che si possano attuare quanto prima soluzioni efficaci per chi oggi vive nelle tendopoli. Lo auguro di cuore, e prego per questo.
Ho iniziato questa mia visita da Onna, tanto fortemente colpita dal sisma, pensando alle altre comunità terremotate, che ho visto dall'alto sorvolando la zona in elicottero. Ho nel cuore per tutte le vittime di questa catastrofe: bambini, giovani, adulti, anziani, sia abruzzesi che di altre regioni d'Italia o anche di nazioni diverse. La sosta nella Basilica di Collemaggio, per venerare le spoglie del santo Papa Celestino V, mi ha dato modo di toccare con mano il cuore ferito di questa città. Il mio ha voluto essere un omaggio alla storia e alla fede della vostra terra, e a tutti voi, che vi identificate con questo Santo. Sulla sua urna, come Ella Signor Sindaco ha ricordato, ho lasciato quale segno della mia partecipazione spirituale il Pallio che mi è stato imposto nel giorno dell'inizio del mio Pontificato. Inoltre, assai toccante è stato per me pregare davanti alla Casa dello studente, dove non poche giovani vite sono state stroncate dalla violenza del sisma. Attraversando la città, mi sono reso ancor più conto di quanto gravi siano state le conseguenze del terremoto.
Eccomi ora qui, in questa Piazza su cui s'affaccia la Scuola della Guardia di Finanza, che praticamente sin dal primo momento funziona come quartiere generale di tutta l'opera di soccorso. Questo luogo, consacrato dalla preghiera e dal pianto per le vittime, costituisce come il simbolo della vostra volontà tenace di non cedere allo scoraggiamento. "Nec recisa recedit": il motto del Corpo della Guardia di Finanza, che possiamo ammirare sulla facciata della struttura, sembra bene esprimere quella che il Sindaco ha definito la ferma intenzione di ricostruire la città con la costanza caratteristica di voi abruzzesi. Questo ampio piazzale, che ha ospitato le salme delle tante vittime per la celebrazione delle esequie presiedute dal Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, raccoglie quest'oggi le forze impegnate ad aiutare L'Aquila e l'Abruzzo a risorgere presto dalle macerie del terremoto. Come ha ricordato l'Arcivescovo, la mia visita in mezzo a voi, da me desiderata sin dal primo momento, vuole essere un segno della mia vicinanza a ciascuno di voi e della fraterna solidarietà di tutta la Chiesa. In effetti, come comunità cristiana, costituiamo un solo corpo spirituale, e se una parte soffre, tutte le altre parti soffrono con lei; e se una parte si sforza di risollevarsi, tutte partecipano al suo sforzo. Devo dirvi che manifestazioni di solidarietà mi sono giunte per voi da tante parti. Numerose alte personalità delle Chiese Ortodosse mi hanno scritto per assicurare la loro preghiera e vicinanza spirituale, inviando anche aiuti economici.
Desidero sottolineare il valore e l'importanza della solidarietà, che, sebbene si manifesti particolarmente in momenti di crisi, è come un fuoco nascosto sotto la cenere. La solidarietà è un sentimento altamente civico e cristiano e misura la maturità di una società. Essa in pratica si manifesta nell'opera di soccorso, ma non è solo una efficiente macchina organizzativa: c'è un'anima, c'è una passione, che deriva proprio dalla grande storia civile e cristiana del nostro popolo, sia che avvenga nelle forme istituzionali, sia nel volontariato. Ed anche a questo, oggi, voglio rendere omaggio.
Il tragico evento del terremoto invita la Comunità civile e la Chiesa ad una profonda riflessione. Come cristiani dobbiamo chiederci: "Che cosa vuole dirci il Signore attraverso questo triste evento?". Abbiamo vissuto la Pasqua confrontandoci con questo trauma, interrogando la Parola di Dio e ricevendone nuova luce. Abbiamo celebrato la morte e la risurrezione di Cristo portando nella mente e nel cuore il vostro dolore, pregando perché non venisse meno nelle persone colpite la fiducia in Dio e la speranza. Ma anche come Comunità civile occorre fare un serio esame di coscienza, affinché il livello delle responsabilità, in ogni momento, mai venga meno. A questa condizione, L'Aquila, anche se ferita, potrà tornare a volare.
Vi invito ora, cari fratelli e sorelle, a volgere lo sguardo verso la statua della Madonna di Roio, venerata in un Santuario a voi molto caro, per affidare a Lei, Nostra Signora della Croce, la città e tutti gli altri paesi toccati dal terremoto. A Lei lascio una Rosa d'oro, quale segno della mia preghiera per voi, mentre raccomando alla sua materna e celeste protezione tutte le località colpite.
Ed ora preghiamo:
O Maria, Madre nostra amatissima!
Tu, che stai vicino alle nostre croci,
come rimanesti accanto a quella di Gesù,
sostieni la nostra fede, perché pur affranti dal dolore,
conserviamo lo sguardo fisso sul volto di Cristo
in cui, nell'estrema sofferenza della croce,
si è mostrato l'amore immenso e puro di Dio.
Madre della nostra speranza, donaci i tuoi occhi per vedere,
oltre la sofferenza e la morte, la luce della risurrezione;
donaci il tuo cuore per continuare,
anche nella prova, ad amare e a servire.
O Maria, Madonna di Roio,
Nostra Signora della Croce, prega per noi!
Regina Caeli...
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]


PASTORE LONTANO DAL FASTO - LA VESTE BIANCA TRA LE MACERIE - GIOVANNI D’ALESSANDRO – Avvenire, 29 aprile 2009
Il bianco era il colore più atteso, all’Aqui­la, nel grigio di una piovosa mattina di a­prile, che stenta ad aprirsi alla primavera. La veste del Santo Padre, recatosi ieri in visita a Onna e all’Aquila, è stata sommersa da al­tri colori. Erano quelli dei k-way e della ma­glieria ancora invernale, altrui o recupera­ta a casa, della gente che lo attorniava, nel bagno di folla più anarchico di tutto il suo pontificato. Le stecche degli ombrelli si so­no avvicinate pericolosamente allo zuc­chetto bianco; sotto ad essi, mamme con figli piccolissimi in braccio non rinuncia­vano alla carezza del Papa fatta sulla testi­na dei piccoli. Non era la carezza notturna del discorso alla luna di Giovanni XXIII, qua­si mezzo secolo fa, su una piazza san Pietro e su una via della conciliazione immortala­te gremite. Era la carezza del sole velato, del­l’alone cinereo che ha riconsegnato l’Aqui­la, nel periodo successivo alla Pasqua, a un’atmosfera quaresimale.
«Sono finalmente con voi, in questa terra splendida e ferita», ha detto il Papa e que­sto ha fatto sobbalzare due volte il cuore a­gli abruzzesi, nella seconda e nell’ultima pa­rola. Perché il 'finalmente' esprimeva la fi­ne di un’attesa, così vibrata umile incon­sueta per un capo di Stato, per un capo del­la cristianità messosi quasi in coda a politi­ci, giornalisti, scrittori, cantanti e passerel­listi. E nell’ultimo aggettivo, 'ferita' perché che la loro terra – chiamata cuore verde d’Europa – sia bellissima gli abruzzesi lo sanno bene, ma 'ferita' non lo era fino al 6 aprile. Non nuovamente ferita, almeno, dal nemico di sempre, generato dalla stessa ter­ra, che le ha inflitto ferite mortali nel 1703 coi tremila morti dell’Aquila, nel 1706 coi mille di Sulmona e nel 1915 coi trentamila di Avezzano. Tutta la storia d’Abruzzo è scan­dita dai terremoti. Questo bianco nell’anarchia della folla, che l’apprensione della security non riusciva a tenere lontano dalle mani della gente, ha ri­chiamato un’altra immagine, quella di un predecessore sia di Benedetto XVI, sia di Giovanni XXIII: l’immagine di Pio XII reca­tosi tra le macerie di San Lorenzo a Roma, dopo il bombardamento alleato durante la seconda guerra mondiale, quando il fondo della veste tinse il bianco di altri indicibili colori, e fece come oggi il giro del mondo. «Vi sono stato accanto fin dal primo mo­mento – ha detto Benedetto XVI – la mia presenza qui vuol significare che il Signo­re crocifisso vive, è con noi e non ci ab­bandona ». Ogni parola che non portasse i segni della passione a questa terra ferita sa­rebbe stata impropria, ma il Papa non è ve­nuto solo nel segno della croce, è venuto anche nel segno della Pasqua, della resur­rezione, e ha detto le parole che solo lui è autorizzato a dire: «I vostri morti sono vivi in Dio e attendono da voi un segnale di co­raggio ». Era l’annuncio atteso, per ogni cuo­re che non si rassegna alla perdita. Mentre quelle parole di vita eterna venivano pro­nunciate, forse un cameraman si è distrat­to e ha zoomato su cento metri di macerie, di tetti collassati, di muri sventrati e que­sto parlare di resurrezione in uno scenario di morte è stato il più grande e involonta­rio regista del mondo. Poi il Papa ha lasciato Onna, paese-simbo­lo del dolore ed è andato all’Aquila. Si è re­cato alla casa dello studente prima che alla basilica di Collemaggio e alla Scuola della Guardia di Finanza, perché questo è stato il terremoto degli studenti, dei morti giovani, dei sommersi e dei salvati che fino a un me­se fa avevano, tutti, davanti una vita che sembrava – coi suoi problemi, con le sue speranze – lunga. Il Papa si è avvicinato a de­gli studenti. A uno d’ingegneria, che non rientrerà nell’accartocciata facoltà di Roio, costruita con la plastica al posto del ce­mento, ha detto: ci vogliono ingegneri e tec­nici più bravi di quelli che hanno costruito qui; bisogna ricostruire.
L’immagine che resta nel cuore di tutti è quella, finale, del Papa nella spianata che fu occupata dai prati di fiori sulle bare. Accanto a quella del pastore entrato a Collemaggio a guardare il suo predecessore Celestino V, incoronato qui nel 1294, coi mattoni spar­si in terra a due passi da lui, nella grande basilica distrutta. È stato un pastore lonta­no dal fasto. È stato un pastore tra le mace­rie. È stato un pastore del suo gregge.


Tempi 21 Aprile 2009 - Bugie per tutti i gusti di Rodolfo Casadei - La visione del Papa sulla lotta all’Aids è «realista». Un dossier del laicissimo Le Monde smonta la religione del condom. Ma in Italia nessuno se n’è accorto
Hanno sventolato Le Monde come una bandiera quando il quotidiano transalpino ha pubblicato la vignetta di Plantu con Gesù che distribuisce preservativi alle folle africane, ha scritto in un editoriale che giudicava «gravissimo e irresponsabile» il discorso papale sull’argomento, ha offerto le sue pagine ad una lettera aperta al Papa di alcuni esperti di Aids che invitavano Benedetto XVI ad abiurare. Ma quando sulle pagine laiciste del giornale parigino è apparso un lungo intervento di epidemiologi, medici e psicanalisti che definiva «realista» la posizione del Papa, le grandi testate italiane hanno liquidato la cosa in poche righe.
Tony Anatrella, Michele Barbato, Jokin de Irala, René Ecochard e Dany Sauvage sono certamente degli esperti di matrice cattolica, ma il linguaggio e gli argomenti che portano sono di una laicità a prova di bomba. Sia sul versante sanitario-epidemiologico («Il preservativo è certamente la tecnologia più efficace. Ma non è la misura di prevenzione più efficace. In numerosi paesi africani la percentuale di persone portatrici del virus è troppo elevata perché l’epidemia sia frenata dal solo preservativo») che su quello morale e antropologico («Un altro approccio deve essere proposto, che faccia maggiormente appello al senso della coscienza umana e della responsabilità; si tratta di un’iniziativa pedagogica riguardante il senso dei comportamenti sessuali. Ma questa prospettiva, ce ne rendiamo conto, attualmente è difficilmente compresa nel discorso sociale, che oggi coincide con un pensiero solo pragmatico»).
L’intervento pro-papa richiama i numerosi studi sulla materia che attestano che «non c’è nessun paese colpito da un’epidemia generalizzata che sia riuscito ad abbassare la percentuale di popolazione infettata dall’Hiv grazie a campagne centrate sull’utilizzazione del solo preservativo», mentre progressi rilevanti si sono registrati in tutti quelli che hanno dato ampio spazio alle strategie centrate sull’astinenza (o meglio sul ritardamento dell’attività sessuale) e sulla fedeltà fra i partner, diffondendole in tutti gli strati della popolazione. Gli autori sostengono che «gli specialisti dell’epidemiologia sottolineano che l’astinenza e la fedeltà hanno finora evitato 6 milioni di morti in Africa». Cosa che non si può dire con la stessa certezza riguardo al condom. In proposito vengono evocate le dichiarazioni di Edward Green, laicissimo esperto di prevenzione dell’università di Harvard attivissimo in studi sul campo e autore di un’opera di riferimento sull’argomento (Rethinking Aids prevention – Learning from successes in developing countries): «Teoricamente il preservativo dovrebbe funzionare, e teoricamente l’uso del preservativo dovrebbe condurre a migliori risultati che il mancato uso. Ma questo è teorico... noi non troviamo nessuna associazione fra un’utilizzazione più frequente del preservativo e una riduzione dei tassi di contaminazione da parte dell’Hiv».
Anche l’affermazione più controversa di Benedetto XVI, quella secondo cui distribuendo profilattici si «aggrava» il problema dell’Aids, è difesa in modo convincente. Se si fa passare il messaggio che tutto è permesso, purché si usi il condom, le persone proveranno un senso di falsa sicurezza che farà loro correre più rischi: «Questo fenomeno di compensazione dei rischi è stato largamente descritto nella letteratura scientifica. Studi sono stati condotti soprattutto nelle Filippine, in Salvador e in Spagna su campioni rappresentativi di giovani. In ognuno di questi casi, i giovani che credono che i preservativi sono efficaci al 100 per cento hanno la tendenza a diventare sessualmente attivi anticipatamente». Alla ragionevole analisi dei cinque coraggiosi più uno (Edward Green) merita di esser aggiunto un paragrafo: non solo in caso di epidemia generalizzata il profilattico non può essere la strategia numero uno per la prevenzione di nuove infezioni, ma anche nel caso dei gruppi di popolazione ad alto rischio non ci si può appoggiare al solo condom per avere successi durevoli.

Raccontare tutta la storia
La campagna di promozione e la diffusione capillare dei profilattici all’interno delle comunità gay americane alla fine degli anni Ottanta è stata per lungo tempo accreditata come la strategia che ha permesso di ridurre i nuovi casi di infezione in quel gruppo di popolazione, e quel successo ha trasformato le campagne di prevenzione centrate sul preservativo nel modello di tutte le campagne governative e Onu. In realtà i nuovi casi di infezione fra i gay all’inizio degli anni Novanta sono diminuiti perché c’era stata una vera e propria saturazione delle infezioni in precedenza. Nel 1988 a San Francisco una singola classe di età registrò un tasso di sieropositività del 72 per cento! Per valutare l’efficacia dei programmi di educazione centrati sul condom bisogna guardare alle infezioni fra i giovani gay che diventano sessualmente attivi. E lì purtroppo si nota che, nelle classi di età fra i 17 e i 22 anni, i tassi di infezione non sono affatto diminuiti. Nel 2006 il Cdc, l’entità ufficiale Usa che si occupa di epidemie, ha rilevato incrementi allarmanti nel numero di giovani gay infettati dall’Hiv. Nel gruppo fra i 13 e i 24 anni il numero degli infettati stava crescendo anno dopo anno, con un aumento del 18 per cento nel 2006 rispetto all’anno precedente. Questo accade in un paese e presso un gruppo di popolazione dove i profilattici sono pubblicizzati e facili da ottenere. Un discorso simile vale nel caso delle campagne dirette alle prostitute e ai loro clienti: la Thailandia, dove le autorità hanno fortemente spinto perché i condom venissero usati nei bordelli, è presentata a questo riguardo come un successo. Ma anche qui non si racconta tutta la storia: è aumentato l’uso del condom nel mondo della prostituzione, ma si è anche drasticamente ridotto il numero di visite dei clienti alle prostitute. La severità delle autorità ha indirettamente fatto comprendere la portata del pericolo a molti, che hanno deciso di prendere una misura più drastica ed efficace dell’uso del condom.


PAPA IN ABRUZZO/ Quell'umile viaggio sulle tracce del dolore di un popolo - Alessandro Banfi - mercoledì 29 aprile 2009 – ilsussidiario.net
«L’Aquila anche se ferita tornerà a volare». E vola l’abito bianco del Papa in un giorno grigio di pioggia e di vento. Fragile, leggero, squassato dal dolore e dal ricordo. Ma anche dolcissimo Gesù in terra. Un padre che ha portato speranza, come ha detto il sindaco Massimo Cialente. Benedetto XVI è stato tutto questo in un giorno che resterà memorabile su questa terra martoriata d’Abruzzo.
È arrivato in macchina, in ritardo. Il cattivo tempo ha fermato l’elicottero e questa circostanza non ha fatto che sottolineare l’umile operaio della vigna del Signore, come si chiamò Ratzinger nel primo giorno da Papa. Un operaio che ha risalito via XX Settembre e si è incontrato con dei giovani davanti alla Casa dello Studente, tappa del disastro e del dolore. Un dolore che trova nelle sue parole, prima che nella sua personale compassione, un senso, un perché.
Il suo è un messaggio semplice. Come cristiani. «Dobbiamo chiederci - ha detto il Papa - : “Che cosa vuole dirci il Signore attraverso questo triste evento?”. Abbiamo vissuto la Pasqua confrontandoci con questo trauma, interrogando la Parola di Dio e ricevendone nuova luce. Abbiamo celebrato la morte e la risurrezione di Cristo portando nella mente e nel cuore il vostro dolore, pregando perché non venisse meno nelle persone colpite la fiducia in Dio e la speranza».
Croce e speranza fra le macerie e le tende. Sotto la pioggia e di fronte al vento di un’avversità che a tratti sembra sovrastare la scena, sommergere con la sua negatività di morte l’orizzonte. Eppure Cristo c’è, attraverso questo anziano professore tedesco divenuto il successore di Pietro. C’è oggi, qui e ora.
Ma c’è un messaggio anche per i cittadini, per la comunità civile. Anche per chi non crede. «Come comunità civile - ha insistito - occorre fare un serio esame di coscienza, affinché il livello delle responsabilità, in ogni momento, mai venga meno». Ci vorranno «case solide e belle», costruite a regola d’arte. Un messaggio di responsabilità, una speranza tutta terrena e razionale che tragedie di questo tipo non accadano mai più.
Ma per chi conosce la storia dell’Aquila e la sua spiritualità, oggi è accaduto qualcosa che rappresenta un piccolo grande evento nella storia della Chiesa. Benedetto XVI ha portato un dono nella Basilica di Collemaggio, dove sono conservate le spoglie di Celestino V, suo predecessore. Un dono molto significativo, il pallio papale. Una specie di riabilitazione postuma da Pietro a Pietro, nei confronti di un personaggio straordinario della storia della Chiesa. Quel Pietro da Morrone, monaco abruzzese in fama di santità, che il potere del mondo e la Provvidenza volle sul trono papale in un momento difficile per la Chiesa di Cristo e che qui riposa. Colui che secondo Dante «fe’ il gran rifiuto», unico pontefice della storia a dimettersi. Ma anche l’inventore della Perdonanza, grande festa anticipatrice del Giubileo sulla scia di San Francesco.
Benedetto ha reso onore a Celestino e attraverso di lui all’identità di un popolo e alla sua religiosità. A quella Grazia particolare che i Celestini rappresentarono, fino all’abolizione dell’ordine monastico. Tanto amato da Bonaventura e tanto equivocato dalle varie profezie confusamente spiritualiste di oggi.
Grazie Papa per il contrastato e difficile e umilissimo viaggio di ieri sulle tracce del dolore di un popolo.


OBAMA/ I 100 volti del presidente - Lorenzo Albacete - mercoledì 29 aprile 2009 – ilsussidiario.net
La cosa più importante che si potrebbe dire di un giudizio sui primi 100 giorni di permanenza in carica del presidente Obama è che tale giudizio è senza significato. Non vi è nessuna prova che ciò che succede nei primi 100 giorni possa far predire il successo o il fallimento dell’Amministrazione di qualsiasi presidente: si tratta di un’invenzione dei media e tutti lo sanno.
La validità di un giudizio si fonda sulla raccolta di quanti dati possibile e il limite di 100 giorni è del tutto insufficiente per considerare a fondo i risultati delle iniziative più importanti prese da un nuovo presidente. Tuttavia, anche se si ammette tutto ciò, tutti continuano ad esprimere un giudizio su questo primo periodo di presidenza.
La valutazione più globale dei primi 100 giorni di Obama verrà data dalla Cnn, con una valutazione di tipo scolastico ai singoli progetti proposti finora dal presidente (le politiche economiche e finanziarie, la politica estera, i temi di politica interna e via dicendo). A ogni progetto sarà assegnato un voto da A (eccellente) a F (insufficiente), passando per B (buono), C (medio) e D (scarso).
Nel frattempo, i sondaggi indicano che il presidente continua a godere dell’appoggio di una chiara maggioranza del pubblico in tutte le aree, compresa l’incredibile massa di denaro dei contribuenti che ha già speso o che intende spendere. La gente sembra capire che 100 giorni sono un tempo troppo breve per giudicare la maggior parte di queste iniziative e così continua a concedere a Obama il beneficio del dubbio spostando in là nel tempo il momento del giudizio.
Le sue percentuali di gradimento non sono così alte quanto quelle di altri presidenti, ma rimangono più alte di quelle di molti altri. In questo, come in molte altre materie di cui si è occupato, Obama si è posizionato nel mezzo. Naturalmente, il mezzo è sempre un concetto relativo e, in ogni materia, il mezzo, il punto centrale, è ciò che è equidistante dall’estrema sinistra e dall’estrema destra. In un certo senso, sono gli estremi che definiscono il centro.
Su quasi tutti i temi che Obama si è trovato ad affrontare dal suo insediamento (e sono un numero notevole, dalla politica estera ai temi sociali, perfino la scelta di un nuovo cane!), si è manifestato un chiaro disaccordo di molti verso le sue decisioni, sia alla sua sinistra che alla sua destra. E forse proprio questa sua capacità di creare e rendere evidente un punto centrale per ogni tema costituisce il suo più grande risultato politico.
Gli oppositori, sia da sinistra che da destra, continuano a cercare di spostarlo da questa posizione, ma lui sembra irremovibile e fiducioso, e la maggior parte degli elettori sembra apprezzarlo. Gli americani sono pragmatici, non ideologici, e Obama fa appello a questa caratteristica, facendo passare per ideologiche le opposizioni alle sue decisioni.
Rimane poi il mistero intrinseco a quest’uomo. Chi è Barack Obama? Cosa lo motiva realmente? Una cosa va senz’altro detta: cento giorni di governo non sono stati sufficienti a rispondere a queste domande. La sua personalità rimane un mistero, ora come nel giorno in cui iniziò la sua campagna elettorale.
Il Partito Repubblicano, diviso come è, cerca continuamente di dimostrare che dietro l’immagine di moderato vi è di fatto un convinto uomo di sinistra, mentre l’ala sinistra del suo partito diventa sempre più agitata di fronte all’ipotesi di aver fatto un errore nel sostenerlo.
É precisamente questo che lo aiuta ad apparire come un’anticipazione di un futuro nuovo di zecca, la personificazione di una nuova America che nasce dalla rottura delle vecchie categorie ideologiche. Ma chi è il vero Barack Obama? Questo rimane da vedere. Forse tra 200 giorni … o 300?


MARCHE, OBIEZIONE DI COSCIENZA NON RICONOSCIUTA - Presidio estremo di libertà contro la violenza etica - GIUSEPPE ANZANI – Avvenire, 29 aprile 2009
Obiezione vuol dire, letteralmente, scagliare contro. Il suo contrario è l’obbedienza. Ma obiezione non è lo stesso che disobbedienza, è qualcosa di più; qualcosa che soppianta la ribellione con la mitezza inflessibile di un’altra e diversa obbedienza. Anche obbedienza comincia per ' ob' e forse viene da ' ob- audire', cioè ascoltare in profondità, in totalità. L’obiezione di coscienza è ciò che dal profondo dell’essere aderisce a un’obbedienza più alta, più cogente, di fronte ai comandi legali di chi si fa padrone di condotte umane che fanno a pugni con le convinzioni dell’uomo. La civiltà giuridica ce ne ha messo del tempo, a capire e a sancire; ma c’è arrivata, se Dio vuole, e ci sta.
Ricordo le cose che disse la Corte Costituzionale 25 anni fa sugli obiettori alla leva militare, prima incarcerati, poi riconosciuti. Ricordo le scosse progressive di civiltà che portarono al riconoscimento dell’obiezione fin nelle condotte verso gli animali ( sperimentazione, 1993). Ricordo il legame che allaccia l’obiezione alle libertà di pensiero, coscienza e religione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non meno che dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici.
Leggo infine l’articolo 9 della legge 194 sull’aborto; leggo l’articolo 19 della legge 40 sulla fecondazione assistita. Leggo nel cosiddetto ' diritto vivente' che la coscienza è fra i diritti umani insopprimibili, e dunque l’obiezione è presidio estremo di libertà doveroso contro la violenza etica.
Allora è apparso trasecolante il piglio di un funzionario amministrativo ( Asur Marche) che nei giorni scorsi pontificava sugli obblighi dei medici di prescrivere la ' pillola del giorno dopo' a pura richiesta, minacciando sfracelli in caso di obiezione. Non so che concetto avesse della professione medica, neanche a proposito di coscienza, ma di dignità, di schiena dritta. Perché se un medico deve per forza prescrivere un farmaco sol perché il richiedente gli prescrive di prescriverlo, tanto vale mettere in anticamera un robot in camice bianco che gli infila ' norlevo' nella fessura del taschino ed emette dal tascone la ricetta debitamente firmata. Medici, ciò che separa la legalità dall’impostura sarà a questo punto per voi solo la fierezza, per non dire l’indignazione, e infine la rivendicazione della ' clinica', o della schiena dritta, o allo stremo del rapporto umano­terapeutico. Senza questo non c’è mestiere più per voi, non c’è più dignità. E basti a ogni medico di schiena dritta smascherare le ipocrisie. Se poi parliamo di etica ( che non è un lusso ma un dovere) non pare credibile che una Asur italiana ignori ciò che il Comitato nazionale di bioetica ha pubblicato nel 2004, sul rispetto dell’obiezione di coscienza alla pillola del giorno dopo. Compreso lo scanso del sofisma che distingue l’annidamento della vita dalla gravidanza della vita. La vita è vita, e la pillola antivita la può distruggere se già concepita cerca di annidarsi; la espelle dai programmi di vita provocando potenzialmente una previa morte. La vita annidata o preannidata, dice anche per tutti e all’unanimità il Comitato, è la stessa e identica vita umana, con tutte le protezioni giuridiche inerenti. Dice pure che l’assimilazione normativa della gravidanza a questa avvenuta frontiera dell’essere umano vivente, cioè concepito, è una considerazione ' ovvia'. Ma ovvia allora ci irrompe nel pensiero questa ideata creatura viva, questa persona viva com’è, com’è il suo destino nel nostro, e non potremo se non obiettare alla sua morte fra le nostre mani. Uccidere è accecarci.
Se un medico deve per forza prescrivere un farmaco, tanto vale utilizzare direttamente un robot


Eros, philia e agape - COLLEVALENZA, (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo l'intervento pronunciato da padre Domenico Cancian, fam, al Convegno svoltosi a Collevalenza, dal 27 al 29 ottobre 2006, sulla prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas Est”.
1. Eros – philia – agape
1.1. Dio e amore: le due parole più significative e più abusate
"Deus caritas est". Il Papa pone a tema della sua prima enciclica questa affermazione netta, la più alta e sintetica della Rivelazione cristiana. In essa vengono unite in modo assoluto le due parole più essenziali e più fraintese nelle molteplici culture dell’umanità.
"L’intuizione che muove tutta la Lettera enciclica di Benedetto XVI è che l’abuso dell’amore umano e quello dell’identità divina siano tra loro misteriosamente collegati. Poiché non ci è dato di capire qualcosa di Dio senza seriamente fare i conti con l’amore che abbiamo conosciuto.
Vuoi sapere chi è Dio? Vedi alla voce amore, ci dice il Pontefice. Dire Dio è amore significa annunciarci nuovamente che Dio ci ama. Tu sei amato da Dio. Questa certezza dovrebbe fondare la tua esistenza e aprirti all’amore la cui sorgente la ricevi in Dio. Semplice, disarmante e disarmata nella sua essenzialità, questa Lettera arriva direttamente al cuore. Non è parola consolatoria. È Evangelo, buona notizia che ti sollecita a una scelta, che ti chiede di verificare il tuo vissuto e di rendere ragione dell’amore ricevuto" 1.
Il Papa manifesta la sua grande preoccupazione per due fatti che sono sotto i nostri occhi: quello di collegare al nome di Dio l’odio, la violenza e la vendetta e quello di constatare che il termine amore "è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti" 2.
Di qui l’urgenza e la necessità di questa riflessione che vuol far chiarezza sulle due parole più significative di ogni cultura. In questo modo il Papa apre un dialogo con tutti.
1.2. Qualche richiamo all’antropologia biblica
È necessario anzitutto un approccio alla concezione biblica dell’uomo, partendo dal vocabolario. L’enciclica contiene una sessantina di citazioni bibliche.
Secondo la Bibbia l’uomo è unità caratterizzata da un insieme di tre dimensioni, tra loro correlate.
"Tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo" (1 Ts 5,33).
1. Corpo (basar-sarx, soma) è la dimensione corporea-carnale-fragile-peccatrice, come quella degli esseri creati. "Ogni carne è come l’erba e la sua gloria come il fiore dei campi: secca e appassisce" (Is 40,6). Yahvé crea l’uomo prendendo un po’ di terra, alla quale ritornerà con la morte. Proprio qui si colloca l’amore nel suo aspetto fisico-sessuale-pulsionale-passionale = eros.
2. Anima (nephes – psiche) è la dimensione della vita, delle relazioni, dell’intelligenza, delle capacità, della volontà, dei sentimenti. L’uomo non ha un’anima, è un’anima, è un essere vivente (cf Gen 2,7).
Nell’area dell’amore qui troviamo la parola phileo, philos = amore di amicizia, amico.
3. Spirito (ruach –pneuma) è la dimensione divina paragonata al vento–soffio–forza-vita divina. Yahvé "soffia un alito di vita" e l’uomo comincia ad esistere (cf Gen. 2,7). Lo Spirito del Signore fa risorgere l’umanità ridotta ad un cumulo di ossa aride (cf Ez 37). Il Signore ritira il suo soffio e l’uomo ritorna alla terra (cf Sal 104,29).
Per quanto riguarda l’amore qui troviamo la parola agape – agapao = amore divino.
La qualità di vita di un uomo è da valutare a partire dal cuore (leb –kardia). Dio guarda il cuore. Dal cuore esce il bene e il male. Il cuore, in senso biblico, è la sede delle tre dimensioni: emozioni e impulsi; sentimenti, affetti e desideri; pensiero, decisioni libere e responsabili. Nel cuore possiamo ospitare Satana o Dio. L’amore vero proviene dal "cuore intero", totalmente rivolto al Signore e all’altro.
Nell’ottica biblica l’uomo è essenzialmente uno, al punto che "anima, spirito, corpo, cuore" sono in reciproca relazione. Ciò significa che non sono parti del "composto umano", ma manifestazioni dell’uomo. Non vi è nella Bibbia la concezione dualistica di tipo platonico per cui il corpo è la prigione dell’anima, che ha perduto le ali.
La violenza, la concupiscenza, l’egoismo, la contrapposizione sono il frutto del peccato che è fondamentalmente una divisione, mentre l’uomo è chiamato ad essere uno come il Signore.
La concezione biblica dell’uomo è positiva: è stata creata da Dio (cf Gen 1-2); "il Verbo si fece carne (sarx)" (Gv 1,14) e visse come noi, con tutti i nostri bisogni fisici-psichici-spirituali; Gesù è stato molto attento a tutte le necessità dell’uomo (ha moltiplicato i pani, senz’essere richiesto, ha guarito i malati, ha perdonato, ha cacciato i demoni); Cristo risorto non è "un fantasma": può essere "toccato" e può mangiare (cf Lc 24,30-43); il giudizio finale sarà sulle concrete opere di misericordia a partire da quelle corporali. Confessare Gesù "venuto nella carne" è criterio per distinguere tra fede e incredulità (cf 1 Gv 4,2; 2 Gv 7). "Masticare la carne e bere il sangue di Cristo" è condizione per avere la vita eterna, per rimanere in Gesù (cf Gv 6,53.56).
1.3. Vocabolario sull’amore rivelato
"La caratteristica essenziale dell’ahabâ israelitica, cioè dell’amore, è il suo esclusivismo. L’Eros greco è un amore cosmico, vasto, indiscriminato, incurante della fedeltà; l’amore celebrato nell’A.T. è l’amore geloso che sceglie il suo oggetto fra migliaia d’altri, lo domina con tutta la forza della passione e della volontà e non ammette infrazioni alla fedeltà. Proprio nella qin’â (gelosia) si manifesta la potenza divina dell’ahabâ" 3.
Quindi l’amore biblico, espresso normalmente con agapao-agape include anche il significato dell’amicizia (phileo) e della passionalità erotica (erao). Si tratta di un amore che nella forma ideale è globale, integrato e ordinato. Tutte e tre le componenti dovrebbero convergere in maniera armonica, nel senso che si rafforzano, si completano, sempre nell’ordine: spirito, anima, corpo. È quello che esprime lo shema. "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze" (Dt 6,4-5).
Gesù porta al massimo compimento l’amore nei confronti del Padre ("Io e il Padre siamo una cosa sola": Gv 10,30) e nei nostri confronti ("ci ha amati fino alla fine": Gv 13,1). La sua Passione contiene davvero l’Amore appassionato di Dio: "Ho desiderato ardentemente mangiare questa pasqua" (Lc 22,15). "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra…" (Lc 12,49). "Lo zelo per la tua casa mi divora" (Gv 2,17). È questo Amore appassionato e totale, ossia il fuoco dello Spirito di Dio, che porta Gesù a consumarsi come olocausto sulla croce e a farsi nostro pane.
L’amore "appassionato" porta Gesù ad accettare liberamente e coraggiosamente la sua "Passione, morte e risurrezione", ossia la sua Pasqua, che Egli chiama la sua Ora (secondo l’evangelista Giovanni). Gesù è l’Agnello immolato che consente l’esodo pasquale dell’umanità dalla morte alla vita. Il passaggio di Cristo da questo mondo al Padre è anche la nostra pasqua. S. Paolo esclama con gioia: "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!" (1 Cor 5,7). Gesù, con la sua Passione e morte, cioè con la sua sofferenza fino all’immolazione (verbo greco: páschein = soffrire: cfr Lc 24,46) che comporta un amore "appassionato", apre e conduce l’esodo dell’umanità o la pasqua dell’umanità verso il Padre (cf Eb 2,9).
L’amore puro di Cristo ha saputo armonizzare eros-filia-agape in modo profondo e stupendo, portando così a compimento l’amore (cf Gv 19,1 con 19,28-30). Un amore davvero smisurato, non razionale, esagerato, eccessivo. Secondo Paolo lo scandalo e la follia di Cristo crocifisso è la vera sapienza e potenza di Dio (cf 1 Cor 1,20-25).
Potremmo ben dire che Gesù ha portato ad una inimmaginabile perfezione l’eros-filia-agape. "Il Logos, la ragione primordiale, è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore. In questo modo l’eros è nobilitato al massimo, ma contemporaneamente così purificato da fondersi con l’agape" 4.
Questo è il cammino dell’uomo, chiamato ad amare come Gesù: coniugare in termini sempre più armoniosi eros-philia e agape.
È molto interessante la riflessione dello psichiatra V. Andreoli, laico non credente, su alcuni testi mistici di S. Gemma Galgani, nei quali si leggono espressioni di tipo erotico, molto cariche di amore passionale nel rapporto con Gesù. Scrive Andreoli: "Confesso di essere meravigliato che sia dominata nella Chiesa la tendenza a dare poco spazio a queste espressioni straordinarie di amore che Gemma esprime nei confronti di Gesù… Io le trovo una testimonianza di come una ragazza possa manifestare il proprio amore, l’unica via per poterlo esprimere pienamente. L’amore che comprende il corpo, la psiche (e certo per i cristiani l’anima) non può essere che così e se non è così non è grande amore… Insomma la partecipazione del corpo testimonia la potenza e la forza con cui si sentiva legata a Dio. Io confesso, reciterei queste espressioni d’amore in chiesa come parte importante della liturgia del legame tra fedele e Dio" 5. Scrive un noto esegeta, concludendo il commento al Cantico: "Solo degli innamorati sono in grado di diventare dei partners di un Signore che è innamorato di Israele, della Chiesa e dell’umanità" 6.
2. Storia d’amore di Dio nei confronti dell’umanità (cf Gen 1-11).
2.1 La creazione del mondo e dell’uomo
È la prima prova che Dio è amore. Le creature parlano del suo amore e della sua eterna misericordia (cf Sal 136). Come un ritornello è detto: " E Dio vide che era cosa buona", mentre la creazione dell’uomo e della donna fu cosa "molto buona" (Gen 1,31).
Il Dio biblico è colui che creando "lascia spazio" alle sue creature e allo stesso tempo Colui che se ne prende amorevolmente cura, come Creatore provvidente, come un padre e una tenera madre che per amore mettono al mondo i figli. I primi 11 capitoli della Genesi ci parlano di questo Amore misericordioso di Dio per tutte le sue creature, per ogni uomo.
2.2 "Una carne sola" (Gen 2,24)
Il racconto più antico della creazione "si conclude con una profezia su Adamo: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24)" 7. Il male della solitudine è superato nella comunione uomo-donna. "Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Gen 2,18). Solo insieme, l’uomo e la donna, "rappresentano l’interezza dell’umanità, diventano «una sola carne»" e quindi "l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo" 8.
Ma occorre aggiungere un altro aspetto strettamente connesso: nella creazione biblica " l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività… all’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano"9.
Già nella creazione dell’uomo e della donna eros e agape si richiamano e si illuminano a vicenda. È scritto nella natura dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio. La vocazione dell’uomo e della donna è quella di seguire la forza dell’eros – agape per formare "una carne sola". Questa vocazione originaria troverà il suo compimento nella preghiera di Gesù affinché i suoi siano una "cosa sola" come lui e il Padre (cf. Gv 17).
Quando si trova dinanzi la donna, l’uomo l’accoglie col primo canto d’amore: "È carne della mia carne e osso dalle mie ossa" (Gen 2,23). La prima parola umana nella Bibbia è il canto d’amore di Adamo per Eva (Gen 2, 23). L’ultima parola è l’invocazione di un incontro, rivolto da una donna a un uomo: "Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni!", a cui segue la risposta affermativa di Lui: "Sì, vengo presto!" (Ap 22, 17). E quindi l’ultima invocazione, l’«Amen! Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22, 20), il grido di attesa impaziente che riempirà i secoli. Così nel Cantico, e in tutta la Bibbia, risuona la voce di Lui: "Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!" (Ct 2, 13) a cui lei replica: "Vieni, mio diletto!" (Ct 7, 12).
Un ritorno al paradiso perduto o una profezia del tempo avvenire?
L’uomo lascerà suo padre e sua madre "e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola" (Gen 2, 24). È nel dialogo d’amore con l’altro sesso che l’uomo ritrova se stesso. Nel dono di sé ci si ritrova. Uscendo da sé, dalla solitudine, si incontra non solo il tu, ma anche l’io. È questa la legge di base che Gesù svilupperà così: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà" (Mc 8,35).
Il verbo "unirsi a" (dabaq) designa una comunione profonda che va dal rapporto sessuale (cf Gen. 34,3), all’unione affettiva (cf Sal 63,9), alla comunione spirituale dell’alleanza (cf Ger 13,11; Dt 10,20: Dio si unisce totalmente al suo popolo) 10. L’uomo "si attacca, si unisce" alla sua donna e i due diventeranno una carne sola. C’è chiaramente la dimensione erotica, ma anche quella dell’amicizia (vedi il canto) e dell’agape (quest’unione è voluta e benedetta da Dio).
L’unica carne significa allora unità completa, inseparabile ed esclusiva. È questa "la rivelazione ed insieme la scoperta del significato sponsale del corpo" 11.
La nudità senza vergogna è l’affermazione che il corpo, la psiche e lo spirito sono in perfetta armonia.
Dio ha chiamato l’uomo all’esistenza per amore e allo stesso tempo l’ha chiamato all’amore. "Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione e quindi la capacità e responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è , pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano" 12.
Il peccato rompe la comunione con Dio, la relazione di coppia e il rapporto col creato (cf Gen 3). L’amore diventa ambiguo, si confonde col piacere, possedere, dominare, soddisfare il proprio egoismo sfruttando l’altro.
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1 L. MAGGI, "Plasmati dall’amore",in AAVV, Dio amore, Paoline 2006, pp 80s.
2 DCE, nn. 1 e2.
3 E. STAUFFER, Agapao, GLNJ, 1 (Brescia 1965), col 102.
4 DCE, n. 10.
5 La follia del mondo, Marietti, 2003, pp 213s.
6 F. ROSSI DE GASPERIS, Prendi il libro e mangia, edb Bologna 18, 2003, p.64.
7 DCE, n. 11.
8 Ibid.
9 Ibid.
10 Il verbo dabaq, che ricorre una cinquantina di volte nell’A. T., significa "attaccarsi fortemente, saldamente a qualcuno" sia a livello erotico-sessuale (es Gen 34,3), sia a livello affettivo (Rut 1,14b: "si attaccò a Noemi" e non volle lasciarla), sia a livello religioso-spirituale: attaccarsi al Signore, obbedendo ai suoi comandi. Si veda Dt 10,20; 11,22; 13,5; 30,20; Gios. 22,5; 23,8; 2 Re 18,6: Ezechiele si mantenne attaccato al Signore, senza minimamente staccarsi da Lui; Sal 63,9: "A te si stringe, si attacca, l’anima mia" in senso religioso-affettivo-erotico; Sal 119,31.
Particolarmente interessante Ger 13,11: "Così come si attacca la cintura ai fianchi dell’uomo, così io avevo fatto attaccare a me l’intera casa d’Israele e di Giuda perché fosse mio popolo, mia fama, mia lode e mia gloria… ma non hanno ascoltato"
11 Giovanni Paolo II, L’amore umano nel piano divino, EditriceVaticana 1980, p. 67.
12 Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 11.
[La seconda parte verrà pubblicata il 14 aprile 2009]


Eros, philia e agape (parte II)
COLLEVALENZA, martedì, 21 aprile 2009 (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo la seconda parte dell'intervento pronunciato da padre Domenico Cancian, fam, al Convegno svoltosi a Collevalenza, dal 27 al 29 ottobre 2006, sulla prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas Est”.
La prima parte è stata pubblicata il 7 aprile.


* * *
3. La storia d’amore di Dio nei confronti d’Israele
3.1. "Una fiamma d’amore del Signore" (Ct 8,6)
Il Cantico dei Cantici è un libretto ispirato, tutto dedicato alla celebrazione dell’amore ("il canto più bello", la più bella canzone d’amore ispirata da Dio, Parola di Dio). Può avere tre interpretazioni: l’amore di una coppia, l’amore tra Dio e il suo popolo (come nei profeti), l’amore tra Dio e una singola persona. L’amore è allo stesso tempo umano e divino, coinvolge la persona tutta in un crescendo ideale di reciproca donazione mai compiuta 13.
Si raccolgono in modo armonico e si fondono bene: natura, corpo e sesso; sentimenti ed emozioni; desideri, sogni e realtà; volontà, impegno, fedeltà; una amore che è "fiamma di Yahvé" (Ct 8,6).
È la celebrazione della fedeltà monogamica (non molto presente neanche nell’A.T.) come amore appassionato, oltre l’erotismo e l’idealismo romantico. Per questo ha ispirato e continua a ispirare: coppie (cristiane e non), persone celibi e consacrate, mistici, uomini e donne che vogliono imparare ad amare.
La storia un po’travagliata del riconoscimento della canonicità e dell’ispirazione del Cantico (qualcuno ha pensato che fosse stato inserito in un momento di distrazione o di seduzione) rispecchia il carattere paradossale del libro che può apparire allo stesso tempo come il più profano (parla di Dio solo una volta: cf Ct 8, 6) e come "il più santo dei libri santi".
Il verbo "amare" dilaga nel libro. La donna arriva a dire: mio diletto, amore dell’anima mia (cf Ct 1, 7; 3, 1-4). L’uomo la chiama: amica, compagna mia (cf Ct 1,9.15), sposa, fidanzata cf Ct 4, 8-12), sorella mia (cf Ct 4, 8-12). Il linguaggio del corpo è estremamente variegato e delicato. Perfino il cosmo è coinvolto. È cantato tutto il mistero dell’amore.
La dinamica di questo amore si sviluppa in un cammino a tre tappe: innamoramento, crisi, compimento.
La donna alla fine chiede: "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio" (Ct 8,6). Vuol dire: considerami come sigillo (= particolarissima proprietà) dal quale tu non ti separi più, porti sempre con te (cf Ge 22, 24) e che ti servi per autenticare i desideri, i pensieri del cuore, le tue azioni. Portami come porti le parole dello Shema che devono essere fisse nel cuore, legate alla mano come un segno e come un pendaglio davanti agli occhi, scritte sugli stipiti delle case (cf Dt 6,6-9). Come la Nuova Alleanza scritta nel cuore (Ger 31,33).
Questo "perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione" (Ct 8,6). Si instaura una lotta tra l’amore e la morte. Alla fine vince il primo, perché "le grandi acque non possono spegnere l’amore" (Ct 8, 7). L’amore infatti viene prima, viene da Yahvé, come fiamma sua (Ct 8, 6), è la "fiamma più ardente che ci sia" 14. L’amore è la fiamma del Signore, una scintilla di Yahvé.
Lei intuisce il perché della forza dell’amore sponsale e apre la strada alla grande rivelazione che sarà esplicitata nel Nuovo Testamento: l’amore è invincibile perché è fuoco che viene da Dio (cf 1 Gv 4,17) e viene da Dio perché Dio è amore (1 Gv 4,8.16).
Dinanzi a tutte le devianze e le aberrazioni del rapporto d’amore uomo-donna, il Cantico "tiene alto il senso e la speranza indefettibile dell’Amore vero, che è sempre casto; della bellezza incancellabilmente scritta in ogni corpo di uomo e di donna; della tenerezza e delle carezze amorose e rigeneratrici; dei baci puri e della passione ardente e accogliente dell’intero essere di uno/a per l’essere intero dell’altra/o" 15.
3.2. "Ti farò mia sposa per sempre" (Os 2,21).
Tra tutti i popoli, Dio sceglie Israele, rivelando in questa elezione un amore assolutamente gratuito e immotivato umanamente. "Il Signore si è legato a voi (hsq = unirsi) e ci ha scelti non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri" (Dt 7,7-8). Possiamo vedere qui, dopo la creazione, la seconda prova che Dio è amore. Yahvé ama il suo popolo in modo smisurato, straordinario, inspiegabile… pazzo.
Dio ama così Israele per rivelare che questo stesso amore lo ha per tutti, per salvare tutti. I profeti Isaia, Ezechiele, Osea "hanno descritto questa passione di Dio per il suo popolo con ardite immagini erotiche" rivelando che questo amore divino "può essere qualificato senz’altro come eros, che tuttavia è anche e totalmente agape" 16. Vengono impiegate tutte le note dell’amore: eros, amicizia, innamoramento passionale, fidanzamento, matrimonio, adulterio, prostituzione, gelosia, vendetta, fedeltà, perdono, amore maturo.
Yahvé ha per Israele un amore paterno e materno. "Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, Dio spiegò le ali, lo prese (il popolo d’Israele) e lo sollevò sulle sue ali" (Dt 32,11; Es 19,4; Sal 91,4; Is 31,5; Mt 23,37). Come "un bimbo svezzato in braccio a sua madre" (Sal 131,2), dopo essere stato portato nel seno materno (cf Is 46,3), così Israele. Il Signore si commuove per Israele, come una madre si commuove per il figlio delle sue viscere (cf Is 49,15).Continua Isaia: "I suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così io vi consolerò" (Is 66,12-13).
"Io sono un padre per Israele… Efraim è un figlio caro.. le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza/compassione (rachem ‘ arachamenn)" (Ger 31,9.20. Is 63,15-16; 64,7).
Uno dei temi dominanti nella predicazione dei profeti è l’alleanza sponsale di Dio con Israele: Yahvé è lo sposo fedele, Israele è la sposa, spesso adultera e traditrice. Il rapporto sponsale umano diventa segno dell’alleanza divina. Il rapporto sposo – sposa è figura del rapporto Dio – uomo. In questo senso "il femminile diventa simbolo di tutto l’umano (MD, n. 25), carico di "profetismo particolare" (MD, n. 29), in quanto svela all’uomo la sua incredibile identità: l’uomo è la sposa di Dio, simile a lui perché suo partner, chiamato all’amore sponsale.
Il rapporto sponsale di Dio con l’uomo, sua sposa, dice l’«eccessivo amore» (Ef 2,4), un "grande mistero" (Ef 5,42) che si è perfettamente realizzato in Gesù: in Lui, Dio si è sposato indissolubilmente con la nostra umanità, sua sposa per sempre, essendo risorta gloriosa alla destra del Padre.
Il Profeta Osea è il primo a sviluppare l’immagine del matrimonio per espriemere il rapporto di Dio con il suo popolo. La sua esperienza di marito tradito e pur sempre innamorato, cioè fedele da parte sua, è il luogo dove il profeta scopre l’amore sconfinato di Dio e il peccato assurdo dell’uomo. Yahvé ama sempre Israele, benché sposa infedele; dopo averla purificata, la risposerà rendendo indefettibile il suo amore. Questo messaggio profetico è sviluppato seguendo l’azione simbolica di un amore tradito e rinnovato: tutte le emozioni e le reazioni sono registrate come rivelazione del rapporto Yahvé-popolo suo. Ci vuole tutto il coraggio profetico per applicare a Dio le caratteristiche di una simile vicenda umana. Naturalmente nell’intendere il messaggio c’è da fare lo scarto di una descrizione antropomorfica (Dio non è un uomo), ma è sicuramente vero che il nostro Dio ci ama totalmente, appassionatamente, fedelmente.
"Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore" (Os 2 ,21-22). Il verbo "ti farò mia sposa" è "usato nella Bibbia unicamente per una figlia vergine. Dio abolisce così totalmente il passato adultero d’Israele, che diventa una creatura nuova… Il fidanzato le offre come dote la giustizia, il diritto, la benevolenza, la fedeltà ossia le disposizioni interiori richieste affinché il popolo sia d’ora innanzi fedele all’alleanza" 17.
Yahvé, lo Sposo ingannato e tradito, risponde donando una nuova verginità alla prostituta Israele e celebra con lei il matrimonio definitivo, la nuova alleanza.
"Con simili accenti Osea ha descritto con inaudita audacia l’appassionata gelosia dell’amore divino. Per Osea, la divinità di Yahvé si manifesta non nella potenza distruggitrice, bensì nella tenerezza della sua amorosa misericordia, che anticipa sempre l’amore che l’uomo gli può restituire e soffre per l’infedeltà del suo popolo, ma senza abbandonarlo in preda al caos" 18.
Ezechiele 16 (cf anche 23), sviluppa una lunga allegoria che riproduce tutta la storia d’Israele intesa come sposa infedele di Yahvé e prostituita agli dei stranieri, dopo che lo sposo l’aveva curata, educata, resa bella (cf 6,8-14). La storia si conclude con la nuova ed eterna alleanza (cf 16,60) 19.


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13 Per una lettura documentata e alla portata di tutti è raccomandabile il libro di V. MANNUCCI, Il Cantico dei Cantici, Elle Di Ci, 1983 ed anche G. RAVASI, Il cantico dei Cantici, Edb Bologna 1992.
14 L’espressione infatti può essere resa con un superlativo: cf Sal. 3,7.
15 F. ROSSI DE GASPERIS, Prendi il libro e mangia, edb Bologna n.18, p. 58. Si leggano anche le bellissime pagine 60-65 sull’interpretazione simbolica.
16 DCE, n. 9. Al n. seguente il Papa ribadisce l’idea: "L’eros di Dio per l’uomo –come abbiamo detto – è insieme totalmente agape" (n. 10).
17 Cf GIOVNNI PAOLO II, Dives in Misericordia, nota 52.
18 AA.VV., Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, Ed Bologna 1976, p. 94.
19 Altri testi profetici: Is 1,21; 50,1; 54; 56,6ss; 62,4-5; Ger 2,2-25; 3,1-12; 30,14; 31,3. ecc.
Si legga in proposito il commento rabbinico in riferimento a Es 15,17 riportato in AA. VV., Dio è amore, p. 31ss.


[La terza parte verrà pubblicata il 28 aprile prossimo]


Eros, philia e agape (parte III)
COLLEVALENZA, martedì, 28 aprile 2009 (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo la terza parte dell'intervento pronunciato da padre Domenico Cancian, fam, al Convegno svoltosi a Collevalenza, dal 27 al 29 ottobre 2006, sulla prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas Est”.
Le prime due parti sono state pubblicate il 7 e il 21 aprile.



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4. La storia d’amore raccontata dall’evangelista Giovanni.
Deus caritas est (o theòs agápe estín: 1 Gv 4,8.16).Questa "folgorante intuizione" che in qualche modo definisce Dio può esser considerata il vertice della rivelazione cristiana, la sua novità 20.
Ce la propone l’apostolo prediletto, o meglio "quello che Gesù amava (on x-agapa)" e che nell’ultima cena "si trovava (sdraiato a tavola) nel seno di Gesù… appoggiato nel suo petto" (Gv 13,23.25). Lo stesso apostolo che vide il cuore di Gesù aperto dal colpo di lancia e da esso uscire sangue e acqua (cf 19,34). A Giovanni Gesù affidò la persona più cara: Maria.
Dopo aver fatto assieme agli altri Apostoli l’esperienza straordinaria di aver udito, veduto, contemplato e toccato il Verbo della vita, ce la racconta affinché tutti quelli che vogliono credere entrino in comunione col Padre, col Figlio e tra di loro, gustando così la gioia perfetta (cf 1 Gv 1,1-3).
Dopo lunga meditazione Giovanni, per ultimo, scrive il Vangelo, tre lettere e forse anche l’Apocalisse. Egli ci consegna la sintesi della sua esperienza apostolica in due affermazione: "Dio è amore" (1 Gv 4,8.16) e "Amatevi gli uni gli altri come io vi amati" (Gv. 15,12; cf 13,34). L’una completa l’altra.
Vogliamo percorrere a grandi linee questa "storia d’amore" che Giovanni ci racconta nel Vangelo e nella sua prima lettera, perché a quest’ultima l’intera Enciclica si ispira per affrontare i problemi del nostro tempo.
4.1 "Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto" (Gv 19,37)
Il punto vertice della rivelazione dell’Amore di Dio è il Cristo Crocifisso ed ancor più precisamente il cuore trafitto di Gesù.
Il Papa, almeno quattro volte, lo richiama 21. È "dal cuore trafitto di Gesù che scaturisce l’amore di Dio (Cfr Gv, 19,34)"; quel cuore è "l’originaria sorgente" dell’amore divino 22.
"Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cf 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: «Dio è amore» (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare" 23.
In questo modo il Papa si collega alla spiritualità del cuore di Gesù ed anche all’Amore Misericordioso che nel Crocifisso evidenzia il cuore con la scritta: caritas. Gesù ci ha rivelato, soprattutto nella morte di croce, il cuore di Dio, pieno di Amore divino. Tutta la sua vita, passione e morte, sono motivate da quell’Amore che, morendo, ha tutto donato a noi. L’Amore di Dio, effuso nei nostri cuori, è lo Spirito Santo. Nasce così l’uomo nuovo, il discepolo di Gesù che, sull’esempio di Giovanni, attinge l’amore direttamente alla sorgente e a sua volta lo comunica agli altri, suscitando la comunità cristiana.
Giovanni descrive con attenzione e sottolinea il mistero della morte di Gesù crocifisso e trafitto. Dopo averci assicurato che il fatto è storico, l’apostolo vede in questo evento il compimento di due profezie: quella dell’agnello pasquale (cf Es 12,46) e quella del popolo che, dopo aver ucciso il proprio re, lo contempla "trafitto" (cf Zac 12,10).
"Ed è tanto importante, per San Giovanni, questa visuale che io ritengo abbia scritto il suo vangelo tenendo davanti agli occhi proprio il Signore Gesù crocifisso da cui escono acqua e sangue. È una visuale riassuntiva, conclusiva, sintetica e ogni pagina del IV vangelo può essere riletta contemplandola a partire da essa" 24.
Gesù è il vero Agnello pasquale, la cui morte consente all’umanità intera il definitivo esodo pasquale, la liberazione più decisiva, la nuova alleanza dell’uomo con Dio, nel sangue di Cristo.
Il sangue versato significa la morte sacrificale dell’agnello per la nostra salvezza e l’acqua è simbolo dello Spirito che dà vita. La tradizione patristica ha sempre contemplato in questa scena la nascita della Chiesa e ha visto nell’acqua e nel sangue i due sacramenti fondamentali del Battesimo e dell’Eucaristia.
Volgere lo sguardo al Crocifisso significa per Giovanni vedere e comprendere, nella fede, il mistero dell’amore che salva, come già gli ebrei morsi dai serpenti velenosi erano salvati guardando il serpente di bronzo (cf Num 21,4-9). Cristo crocifisso si rivela così il Salvatore dell’umanità e il Signore della storia. "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12,32). Giovanni legge nel Crocifisso che versa acqua e sangue, l’espansione, nella storia umana, della gloria di Dio che risplende nel Figlio, pieno di grazia e di verità e che dona lo Spirito" 25.
4.2. "Amatevi come Io vi ho amati" (cf Gv 13,34; 15,12).
Introducendo il racconto dell’ultima Pasqua di Gesù, Giovanni scrive: "Sapendo Gesù che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). L’evangelista presenta con queste parole tutta la parabola della vita di Gesù.
Per questo consegna il suo testamento con le seguenti parole: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,34-35). Se tutta la vita di Gesù è stata spesa nel segno dell’amore che riassume la Legge e i Profeti, non poteva non lasciarci che quest’unico "comandamento".
E in cosa consiste la novità?
Nuovo, spiega Sant’Agostino, perché questo amore di Gesù" ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del Testamento Nuovo, cantori del cantico nuovo" e crea di tutti coloro che lo accolgono e lo vivono "un sol popolo nuovo, il corpo della novella sposa dell’Unigenito Figlio di Dio della quale il Cantico dei Cantici dice: Chi è costei che avanza tutta bianca? (Ct 8,5). Sì, bianca perché rinnovata; e rinnovata da che cosa, se non dal comandamento nuovo?" 26.
Dunque il comandamento nuovo significa che quell’amore di Cristo rinnova dall’interno l’uomo trasformandolo, rigenerandolo ("chi ama è generato da Dio": 1 Gv 4,7), facendolo passare dalla morte alla vita (Cf 1 Gv 3,14), dalle tenebre alla luce (cf 1 Gv 2,8-11).
È nuovo perché – spiega San Tommaso – è "l’amore di Dio effuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo" (Rom 5,5), attuando in questo modo la Nuova Alleanza che consiste nel dono di un cuore nuovo 27.
È nuovo infine perché lo Spirito donandoci un cuore nuovo, ci offre realmente la capacità di amare come Gesù ha amato, in modo gratuito, abbondante, fedele, sincero. "Siccome Dio ci ha amati per primo (cf 1Gv 4,10), l’amore adesso non è più solo un «comandamento», ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro"28. "Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo «prima» di Dio, può come risposta spuntare l’amore anche in noi" 29.
L’amore di Dio rivelato in Cristo, proprio perché divino "non avrà mai fine" (1 Cor. 13,8). È la "legge eterna", lo "statuto divino" e quindi l’unica legge che regola per sempre la comunità escatologica. Questo amore il mondo non lo conosce e non è capace di porre: infatti viene da Dio!
4.3 "L’amore è da Dio … Dio è amore" (1 Gv. 4,7-8.16).
"Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore" (1 Gv 4,7-8).
Non è una definizione metafisica, non si parla di un sentimento, non significa semplicemente che "Dio ama", tanto meno che l’amore è Dio. Giovanni ci presenta l’esperienza cristiana fondamentale: Dio ci ama in Cristo effondendo in noi dal suo cuore il suo stesso Amore che è lo Spirito. Se tutta la storia di Dio con l’uomo, la sua rivelazione è storia di amore, allora Dio è amore.
Tutta questa storia d’amore che la Bibbia ci racconta s’incentra proprio in Gesù. "In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui… ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1 Gv 4,9-10). Tutta la vicenda di Gesù, dalla nascita alla morte in croce ci racconta che Dio è amore. Amore totale e gratuito. "Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi" (4,10). Ci ha amati "per primo" (4,19).
Di quale amore si tratta? Facendo riferimento al Padre che manda/dona a noi il Figlio e Gesù che si consuma nel fuoco dell’amore, non possiamo intenderlo che come eros-filia-agape. "Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio in lui" (4,16).
Il Papa legge in questo versetto, l’immagine dell’uomo e del suo cammino, la formula sintetica dell’esistenza umana. "All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" 30.
Allora noi stiamo (meglio: abitiamo) nell’amore, cioè in Dio, come nella casa che da sempre cercavamo e allo stesso tempo facciamo esperienza di essere abitati da Dio di essere "tempio di Dio". "Chi abita nell’amore, abita in Dio e Dio abita in lui". Questa è la formula dell’Alleanza: una reciproca e continua inabitazione di Dio nell’uomo e dell’uomo in Dio. Una comunione perfetta che è esattamente il cuore della nuova alleanza, lo scopo della Rivelazione e il desiderio più forte dell’uomo, l’incontro di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio. Condotto dallo Spirito che infonde in lui l’Amore di Gesù, l’uomo ritorna al Padre. L’uomo diventa una cosa sola in Gesù, come Gesù. Tutto questo ad opera dell’eros-filia-agape che è lo Spirito.




5. L’Eucaristia, il sacramento della
eros-philia-agápe di Gesù
Nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, l’ultima cena di Gesù con i suoi costituisce il momento che sintetizza tutta la vita-morte-risurrezione sua.
Gesù è ben consapevole che quella è la sua Pasqua, la sua ora. Predice l’imminente tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, l’abbandono dei suoi. È la notte dei tradimenti che nel suo animo delicato pesano come macigni.
Gesù trasforma la Pasqua ebraica nella sua Cena, nella sua Pasqua. Con piena consapevolezza, animato dal suo eros-filia-agápe umano e divino, senza misura, compie alla perfezione, in modo inimmaginabile, tutti i simboli dell’Antico Testamento.
"Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione… questo è il mio corpo che è dato per voi… questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi" (Lc 22,15-20).
"Facendo del pane il Suo Corpo e del vino il Suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l’accetta nel suo intimo e la trasforma in un’azione di amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa una atto di un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cf 1 Cor. 15,28)… È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere. La vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo" 31.
Pane e vino diventano Corpo e Sangue di Cristo affinché noi pure mangiando lo stesso cibo possiamo diventare l’unico Corpo di Cristo, una cosa sola con Lui e tra di noi.
È questo il miracolo più grande ad opera dell’amore davvero straordinario di Gesù che si fa nostro pane. Un amore al di sopra di ogni nostra esperienza e immaginazione, per cui la Chiesa ha sempre detto che il mistero eucaristico è il sacramento più grande, quello che in qualche modo riassume tutti gli altri e al quale tutti rimandano. Il totalmente Altro viene dentro di noi e noi siamo in Lui.
"Fate questo in memoria di me" non significa ripetere la cena pasquale, ma entrare noi stessi nell’«ora» di Gesù, farla diventare anche nostra "lasciandoci tirare dentro quel processo di trasformazioni che il Signore ha di mira" 32: dall’odio all’amore, dalla maledizione alla benedizione, da una vita egoistica ad una vita aperta al dono e al servizio come quella di Gesù. "L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù… (in essa) veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione"33.
Quindi l’Eucaristia, facendo di tutti noi "un solo Corpo" ci fa fratelli "concorporei e consanguinei" e ci spinge all’amore del prossimo in modo concreto e universale (Cf Lc 10,25-37 e Mt 25,31-46).
Forse per questo l’evangelista Giovanni al posto del racconto dell’istituzione eucaristica, già ampiamente riferito dagli altri, pone il nuovo comandamento dell’amore. Ambedue, eucaristia e amore, sono chiamati "agape". L’eucaristia è il vertice dell’agápe e l’ agápe è il senso, il cuore dell’Eucaristia.
"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv 6,56). Questa è la formula dell’Alleanza portata all’ultima conseguenza. Esprime la massima comunione le cui analogie, in verità molto povere, sono il rapporto sponsale e la relazione madre-figlio.
Se rimaniamo in Gesù, formando un tutt’uno con Lui, come il tralcio è un tutt’uno con la vite, noi portiamo molto frutto, possiamo amare come Gesù, vivere come Lui. Per cui un’altra versione del comandamento di Gesù ancora più sintetica è la seguente: "Rimanete nel mio amore (agape)" (Gv 15,9). Sant’Agostino scrive: " Prendere il calice della salvezza e invocare il nome del Signore significa essere ricolmi di carità in tale pienezza che si è pronti a morire per i fratelli", come ha fatto Gesù 34.
Il grido di Gesù in croce: "Tutto è compiuto" (Gv 19,30), rivela il dono totale di sé al Padre e agli uomini, il consumarsi perfetto del suo eros, philia,agape. Gesù ce lo dona in ogni Eucaristia per coinvolgerci a fare altrettanto.


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20 Cfr Benedetto XVI, "Dio è amore: questa la novità del cristianesimo", Udienza del mercoledì 9 Agosto 2006.
21 DCE, nn. 7.12.17.39.
22 Ibidem, n. 7.
23 Ibidem, n. 12.
24 C.M.MARTINI, Volgere lo sguardo al Signore della Chiesa, Ancora 1986, p. 61.
25 Ibid, p. 63ss.
26 Sant’Agostino, Opere di Sant’Agostino. Commento al Vangelo, 65, 1, p. 1141.
27 Das Evangelium des Johannes, Göttingen 1953, p. 404.
28 DCE, n.1.
29 DCE,n . 17.
30 DCE, n.1.
31 Benedetto XVI, Omelia a Colonia, domenica 21 agosto 2005..
32 Ibid.
33 DCE, n. 13.
34 Meditazioni, V, 4, p. 135.