Nella rassegna stampa di oggi:
1) Il Papa ai Vescovi italiani: priorità all'emergenza educativa
2) In difesa del crocifisso, l’Italia s’è desta! - di Antonio Gaspari
3) Lech Wałęsa: la caduta del Muro? Merito soprattutto di Giovanni Paolo II - “L'Europa ha un disperato bisogno dei valori che hanno promosso questa rivoluzione” - di Angela Reddemann
4) 10/11/2009 11:31 - PAKISTAN – UE - La blasfemia in Pakistan e l’attacco al crocefisso della Corte europea - di Bernardo Cervellera
5) IMMUNITA' PER LE ALTE CARICHE DELLO STATO - La situazione nelle principali democrazie occidentali - Si cerca un compromesso nel Pdl sulla riforma della Giustizia. La situazione in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti d'America - Andrea Sartori (Insegnante) – dal sito magdiallam.it
6) 10-11-2009 12:38 FRANCIA/Adozione bimbo coppia omosessuale: ok da tribunale da sito ADUC
7) 10-11-2009 13:06 FRANCIA/I pacs avanzano: tra qualche anno potrebbero superare i matrimoni dal sito dell’ADUC
8) 05-11-2009 11:22 Quebec, ordine dei medici apre alla legalizzazione dell'eutanasia - Pietro Yates Moretti – dal sito dell’ADUC
9) SIAMO CHIAMATI ALLA MEMORIA E ALLA CONSAPEVOLEZZA - QUEGLI «IMPOSSIBILI» MARTIRI E LA NOSTRA LIBERTÀ TALORA SPRECATA - MARINA CORRADI – Avvenire, 11 novembre 2009
Il Papa ai Vescovi italiani: priorità all'emergenza educativa
Nel messaggio alla 60a Assemblea generale della CEI in corso ad Assisi
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 10 novembre 2009 (ZENIT.org).- L'educazione delle nuove generazioni è una sfida urgente che deve impegnare tutta la Chiesa. E' quanto ha ribadito Benedetto XVI in un messaggio inviato ai partecipanti alla 60a Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), in corso in questi giorni ad Assisi.
Richiamando quanto già detto nell'ultimo incontro del 28 maggio scorso con i membri dell’Assemblea generale della CEI, il Papa ha sottolineato che “l’emergere dell’istanza educativa è un segno dei tempi che provoca l’Italia intera a porre la formazione delle nuove generazioni al centro dell’attenzione e dell’impegno di ciascuno, secondo le rispettive responsabilità e nel quadro di un’ampia convergenza di intenti”.
“La sfida educativa – ha continuato – attraversa tutti i settori della Chiesa ed esige che siano affrontate con decisione le grandi questioni del tempo contemporaneo: quella relativa alla natura dell’uomo e alla sua dignità - elemento decisivo per una formazione completa della persona - e la 'questione di Dio', che sembra quanto mai urgente nella nostra epoca”.
A qusto proposito, ha richiamato quanto affermato il 24 luglio scorso, durante la celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Aosta: "Se la relazione fondamentale - la relazione con Dio - non è viva, non è vissuta, anche tutte le altre relazioni non possono trovare la loro forma giusta”.
Perché ciò avvenga, occorre che tutti i Vescovi, diventino “adorazione vivente, dono che trasforma il mondo e lo restituisce a Dio”, ha continuato con un pensiero rivolto all'Anno Sacerdotale.
Il Papa ha quindi accennato all'altro tema al centro dell'Assemblea: la "questione meridionale".
“A vent’anni dalla pubblicazione del documento 'Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno' – ha detto – , avvertite il bisogno di farvi voce e carico delle esigenze di un Paese che non crescerà se non insieme”.
“Nelle terre del Sud – ha aggiunto – la presenza della Chiesa è germe di rinnovamento, personale e sociale, e di sviluppo integrale. Possa il Signore benedire gli sforzi di coloro che operano, con la tenace forza del bene, per la trasformazione delle coscienze e la difesa della verità dell’uomo e della società”.
Il Papa è quindi passato a parlare della nuova edizione italiana del Rito delle esequie, in sostituzione dell'edizione del 1974, che verrà esaminata dai Vescovi italiani presenti ad Assisi.
“Essa risponde – ha affermato Benedetto XVI – alla necessità di coniugare la fedeltà all’originale latino con gli opportuni adattamenti alla situazione nazionale, facendo tesoro dell’esperienza maturata dopo il Concilio Vaticano II, con sguardo attento al mutato contesto socio-culturale e alle esigenze della nuova evangelizzazione”.
“Il momento delle esequie costituisce un’importante occasione per annunciare il Vangelo della speranza e manifestare la maternità della Chiesa”, ha detto.
“In una cultura che tende a rimuovere il pensiero della morte, quando addirittura non cerca di esorcizzarla riducendola a spettacolo o trasformandola in un diritto, è compito dei credenti gettare su tale mistero la luce della rivelazione cristiana”, ha concluso infine.
In difesa del crocifisso, l’Italia s’è desta! - di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 10 novembre 2009 (ZENIT.org).- Gli organi di informazione più potenti non ne danno notizia, ma in Italia si sta assistendo ad una mobilitazione popolare in difesa del crocifisso che non ha precedenti nella storia moderna.
Dopo la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che chiede la rimozione dei crocifissi da tutte le aule scolastiche, gli italiani si sono mobilitati in difesa di quello che è riconosciuto come un simbolo di identità nazionale.
In seguito alla decisione della Corte la quasi totalità dei consigli comunali in Italia ha discusso della presenza dei crocifissi nella aule scolastiche e nei luoghi pubblici.
Nella stragrande maggioranza hanno votato ordini del giorno o delibere per portare il crocifisso in ogni aula, soprattutto nei luoghi da cui, per motivi diversi, era stato spostato.
Solo in pochi casi le amministrazioni hanno deciso di non fare nulla.
Alcuni sindaci hanno risposto con gesti clamorosi. A Montecchio Maggiore un comune in provincia di Vicenza, il sindaco Milena Cecchetto insieme alla giunta si è autotassata ed ha acquistato e installato un crocefisso alto due metri all’entrata del municipio.
Il sindaco Cecchetto ha spiegato che si tratta di “un gesto necessario per difendere ciò che per noi e per il nostro paese è simbolo di una tradizione, alla base dei nostri valori: chi vuole eliminarlo non lo fa per dare spazio alla laicità, ma solo per aprire la strada ad altre forme di espressione religiosa”.
Come ha riportato anche “Avvenire”, Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella, in provincia di Padova, ha fatto collocare nell’atrio del Municipio un antico crocifisso ligneo.
A Firenze, un consigliere comunale, Marco Cordone, si è presentato in aula con una vistoso crocifisso appeso al collo, ed una camicia bianca in cui era scritto “il crocifisso non si tocca”.
Massimo Poliedri, consigliere comunale di Piacenza, è intervenuto in aula indossando una maglietta con stampato un crocifisso ed una scritta “Cosa ho fatto di male?”.
Anche il consiglio comunale di Taranto ha approvato un ordine del giorno in risposta alla sentenza della Corte di Strasburgo.
Giunta comunale e sindaco sostengono che “il crocifisso è simbolo di pace e di amore tra gli uomini” e che “ far prevalere un’Europa contro le tradizioni e le identità dei singoli paesi che la costituiscono significa venir meno al compito dell’unione, per la quale i padri fondatori l’hanno pensata e che oggi si identifica in Un ione Europea”.
Anche a Leonessa, in provincia di Rieti, il sindaco Paolo Trancassini ha firmato un'ordinanza comunale per imporre il crocifisso nelle aule scolastiche.
Fabio Callori, sindaco di Caorso in provincia di Piacenza, ha firmato un'ordinanza in cui si dispone che tutti i “crocifissi posti nelle aule di tutte le scuole del territorio non vengano rimossi, a salvaguardia dei valori che appartengono al nostro Paese”.
Il presidente della Provincia autonoma di Bolzano e governatore del Trentino Alto Adige, Luis Durnwalder, ha ribadito che “il crocifisso avrà sempre un posto nelle nostre scuole” ed ha aggiunto: “La croce non offende nessuno e perciò non accetteremo nessuna indicazione da Bruxelles”.
Continua anche la mobilitazione spontanea degli studenti per portare il crocifisso nelle aule dove non c’era.
Ad Agrigento alcune studentesse del liceo classico “Empedocle” il 7 novembre, al termine delle lezioni scolastiche, si sono recate in un negozio per acquistare un crocifisso e, dopo averlo fatto benedire da un sacerdote, sono ritornate in classe ad appenderlo.
Le studentesse, anche le non credenti, hanno voluto così esprimere una protesta, hanno voluto far sentire la propria opinione contraria non solo alla Corte di Strasburgo, ma anche a tutti coloro che vedono nel crocifisso solo un simbolo religioso e non il simbolo di una cultura ormai radicata in tutti gli Italiani.
Sempre in Sicilia i giovani dell’UDC hanno organizzato per il 14 novembre, a Palermo, una manifestazione in piazza dal titolo “Io credo!”.
Nel volantino in cui viene presentata la manifestazione è scritto: “Vogliamo salvaguardare la nostra identità cristiana, la nostra storia, le nostre radici. Vogliamo che i nostri figli possano conoscere la loro cultura e possano vivere il proprio 'Credo' nella libertà costituzionalmente garantita. Siamo dell’avviso che tutte le religioni debbano avere la possibilità di essere professate e un provvedimento del genere non difende i diritti di nessuno ma bensì nega quelli di tutti”.
In Toscana l’associazione di studenti “Lotta studentesca” ha costruito cento crocifissi con il compensato e li ha apposti nelle aule di tutti gli istituti superiori di Massa. Con questa iniziativa hanno voluto ribadire il loro "no" alla sentenza del Tribunale europeo e riaffermare le radici cristiane dell'Italia e del continente europeo.
Nel volantino in cui hanno annunciato la loro iniziativa i giovani di Lotta studentesca hanno scritto: "Giù le mani dal crocifisso: riportiamolo nelle aule, difendiamo le nostre radici".
Iniziative a favore del crocifisso sono venute anche da parte di alcuni imprenditori.
A Gavirate, in provincia di Varese, l’imprenditore Giorgio Feraboli ha organizzato un'assemblea con tutti i dipendenti, poi ha investito 1200 euro per costruire e installare nel cortile della propria impresa un crocifisso alto sei metri e largo tre.
Feraboli ha dotato il crocifisso anche di un impianto di illuminazione per renderlo visibile anche quando fa buio.
Incessante anche la mobilitazione di parroci e Vescovi. Secondo quanto riportato da “Avvenire” il Cardinale Carlo Caffarra ha definito la sentenza della Corte di Strasburgo una “decisione improvvida che mortifica la nostra storia civile”.
Togliere il crocifisso, ha precisato l’Arcivescovo di Bologna, significa togliere “la possibilità all’uomo di stupirsi di fronte alla sua dignità e q quel punto saprete che i barbari sono tornati”.
Il parroco del santuario di Montenero in provincia di Livorno, don Luca Giustarini ha distribuito ai bambini che erano a messa domenica tanti piccolo crocifissi, invitandoli a portarli a scuola, “mostrandoli con orgoglio”.
Lech Wałęsa: la caduta del Muro? Merito soprattutto di Giovanni Paolo II - “L'Europa ha un disperato bisogno dei valori che hanno promosso questa rivoluzione” - di Angela Reddemann
BERLINO, martedì, 10 novembre 2009 ( ZENIT.org).- L'apertura dell'Est e la caduta del Muro di Berlino sono dovuti principalmente all'intervento di Giovanni Paolo II e alla forza motrice della Divina Provvidenza, ha affermato il cofondatore del sindacato polacco Solidarność e in seguito Presidente della Polonia, Lech Wałęsa, questo lunedì sera a Berlino nelle celebrazioni per il 20° anniversario della caduta del Muro.
Bisognerebbe costruire il futuro dell'Europa unita sulla base della verità della storia, non sulla menzogna, ha dichiarato: non sono stati solo i politici a tenere in mano in quel momento i fili della situazione.
“La verità è molto importante quando parliamo del corso della storia”, ha detto Wałęsa durante la “Celebrazione della libertà” (Fest der Freiheit). A suo avviso, Giovanni Paolo II e il movimento operaio Solidarność hanno avuto un ruolo fondamentale nella nuova apertura dell'Europa.
Sotto una pioggia insistente, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha attraversato sorridendo insieme a centinaia di pesone il ponte della Bornholmer Strasse, uno dei primi posti di frontiera aperti nel 1989. Il cancelliere ha confessato che si è trattato di uno dei momenti più felici della sua vita.
Le celebrazioni per la caduta del Muro sono iniziate con un servizio religioso nella chiesa del Getsemani, simbolo della dissidenza di Berlino Est. Insieme all'ex Presidente sovietico Mikhail Gorbaciov e a Lech Wałęsa, così come ad altre persone che hanno lottato per i diritti civili, la Merkel ha passato simbolicamente la frontiera dove dal 13 agosto 1961 più di cento persone sono state brutalmente fucilate.
Wałęsa ha lodato il ruolo del Papa polacco nella caduta del Muro di Berlino. Durante il suo discorso sono state trasmesse scene della leggendaria visita di Giovanni Paolo II in Polonia e della sollevazione dei minatori. Le immagini hanno fatto sentire che nel cantiere navale Lenin di Danzica ha avuto inizio un'Europa libera.
Il primo viaggio come Papa in Polonia nel giugno 1979 è stato decisivo, perché era la prima visita di un Papa a un Paese comunista. Questo fatto ha suscitato una forza enorme in Polonia. Per i tedeschi la riunificazione, che continua ad essere una sfida, è iniziata il 9 novembre 1989.
“L'Europa ha un disperato bisogno dei valori che hanno promosso questa rivoluzione”, ha ribadito Wałęsa durante la cerimonia, seguita da milioni di telespettatori alla televisione tedesca.
In precedenza, sotto la Porta di Brandeburgo, la Merkel aveva ricordato il giorno della caduta del Muro di Berlino come quello della “vittoria della libertà”, una libertà che non deve essere vista come un bene “sottinteso”, ma come qualcosa per cui si lotta ogni giorno.
Il 3 giugno 1979, il Papa disse ai rappresentanti del regime comunista: “Permettete, Egregi Signori, che io continui a considerare questo bene come mio, e che risenta la mia partecipazione ad esso così profondamente come se abitassi ancora in questa terra e fossi ancora cittadino di questo Stato”.
Giovanni Paolo II, la “sentinella del portone della libertà”, come lo ha definito l'ex cancelliere tedesco Helmut Kohl, è passato il 23 giugno 1996 per la Porta di Brandeburgo al termine della sua visita alla Germania riunificata.
“Ora che sono passato per la Porta di Brandeburgo, sento che la Seconda Guerra Mondiale è davvero finita”, commentò in quell'occasione profondamente commosso.
Wałęsa, Premio Nobel per la Pace, e il primo Ministro ungherese Miklos Nemeth hanno dato questo lunedì sera la prima spinta per abbattere in un effetto domino gigante i 1000 pezzi che simboleggiavano la Cortina di Ferro.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
10/11/2009 11:31 - PAKISTAN – UE - La blasfemia in Pakistan e l’attacco al crocefisso della Corte europea - di Bernardo Cervellera
Alcuni rappresentanti di Giustizia e Pace in Pakistan cominciano oggi da Roma una campagna in Europa (Francia, Olanda, Belgio, Germania) per sensibilizzare le Chiese e la società europea sulla piaga della blasfemia e l’oppressione delle minoranze in Pakistan, in particolare quella cristiana. Singolare unità di intenti tra i fondamentalisti islamici e i relativisti europei.
Roma (AsiaNews) - Alcuni rappresentanti di Giustizia e Pace in Pakistan cominciano oggi da Roma una campagna in Europa (Francia, Olanda, Belgio, Germania) per sensibilizzare le Chiese e la società europea sulla piaga della blasfemia e l’oppressione delle minoranze in Pakistan, in particolare quella cristiana.
AsiaNews ha deciso di sostenere la loro battaglia. Del resto, fin dalla sua nascita 6 anni fa la nostra agenzia ha nel sostegno alla libertà religiosa uno dei pilastri della sua informazione.
I cristiani del Pakistan sono circa 4 milioni in un mare di oltre 160 milioni di musulmani. Questa piccola minoranza di fedeli chiede dunque che venga cancellata dalla legislazione del Paese la famigerata legge sulla blasfemia. Questa legge, in vigore dal 1986, commina la prigione e la pena capitale per tutti coloro che offendono il Corano o Maometto. In questi 23 anni quasi mille persone sono state accusate di questo crimine e diverse centinaia sono state uccise. Negli ultimi anni, almeno 50 cristiani sono stati torturati ed eliminati per questo delitto e molti villaggi e chiese cristiane sono stati distrutti e bruciati. L’ultimo episodio in ordine di tempo è quello di Koriyan e Gojra, dove migliaia di musulmani hanno attaccato case dei cristiani e chiese per una falsa accusa di blasfemia e hanno ucciso 7 persone, fra cui donne e bambini arsi vivi. Queste uccisioni avvengono così, senza processo, con una giustizia sommaria da parte di folle inferocite, aizzate dai loro imam o da parte delle guardie carcerarie, conniventi nel fanatismo o corrotte.
Nel dossier di AsiaNews (Salvate i cristiani e il Pakistan dalla legge sulla blasfemia), riportato pure nel numero cartaceo di novembre, ci si può rendere conto che questa legge è in realtà uno strumento abusato per eliminare avversari politici, concorrenti nel commercio, vicini di casa e per mettere a tacere le minoranze cristiane, indù, sikh, ahmadi, e perfino la minoranza islamica sciita. Essa è di fatto una bomba ad orologeria che rischia di far deflagrare tutta la società pakistana dividendo gli uni dagli altri e tradendo gli ideali laici da cui è nato il Paese nel 1948, che escludeva ogni discriminazione religiosa, valorizzando l’apporto di ogni comunità.
La legge sulla blasfemia, come pure diverse leggi che si ispirano alla sharia in Pakistan, sono segno di una crescente islamizzazione del Paese, sottoposto alla pressione militare e culturale talebana, e alla chiusura verso la modernità degli imam che predicano e insegnano nelle pullulanti madrassah.
Questa campagna può suggerire qualcosa alla nostra Europa? Il mondo europeo e italiano, impegnato in Afghanistan in una sfibrante guerra, capisce sempre di più che non può vincere solo militarmente, ma accostando anche il problema culturale del rapporto fra Islam e modernità, islam e convivenza con altre religioni e minoranze.
Un Pakistan riconciliato potrebbe avere un benefico influsso anche sul vicino Afghanistan.
La campagna contro la blasfemia cade proprio a pochi giorni dalla curiosa sentenza della Corte europea per i diritti umani che proibisce l’esibizione dei crocefissi nelle scuole pubbliche, perché li considera offensivi verso bambini di altre religioni o atei.
C’è un legame fra queste due posizioni. Non per nulla, anni fa proprio un musulmano integralista ha domandato la stessa cosa all’Italia. Curiosamente la vuota tolleranza relativista e il fondamentalismo islamico tendono verso la stessa conclusione: eliminare i segni e le personalità cristiane: in Pakistan con la blasfemia; in Europa con una “blasfemia” contro le offese al credo relativista.
In entrambi i casi noi proponiamo una convivenza fra identità, senza dover nascondere il proprio volto; la garanzia di poter lavorare con la propria fede per il progresso dei popoli.
Noi crediamo ci sia in atto una strana connivenza fra il relativismo anti-cristiano e il fondamentalismo islamico, motivato forse dall’odio verso le radici cristiane e dagli interessi economici. Non si spiega altrimenti l’appoggio che viene da diversi Paesi occidentali ad accettare la possibilità della sharia fra le comunità islamiche in Europa, o l’appoggio verso risoluzioni Onu, volute in origine dai Paesi islamici, che vorrebbero attuare una legge contro la blasfemia a livello internazionale. Queste risoluzioni, se attuate, potrebbero scardinare la convivenza mondiale.
Ancora una volta bisogna affermare il valore profetico del discorso di Benedetto XVI a Regensburg. In esso egli chiedeva alle religioni (e all’Islam fondamentalista) di rinunciare alla violenza, come irrazionale e contraria a Dio; allo stesso tempo domandava al mondo occidentale di riprendere a guardare a Dio e alla religiosità non come a un impedimento della ragione, ma come la sua completezza.
IMMUNITA' PER LE ALTE CARICHE DELLO STATO - La situazione nelle principali democrazie occidentali - Si cerca un compromesso nel Pdl sulla riforma della Giustizia. La situazione in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti d'America - Andrea Sartori (Insegnante) – dal sito magdiallam.it
Il tema dell'immunità è sempre più scottante. Dopo una lunga trattativa l'avvocato del premier Berlusconi Nicolò Ghedini ha sottoposto all'avvocato di Fini Giulia Bongiorno una serie di proposte. Ma per comprendere meglio la situazione è doveroso dare uno sguardo al comportamento dei principali Stati occidentali in merito.
Sulla riforma della giustizia sono state elaborate oltre trenta bozze tecniche, che prendono spunto anche da progetti elaborati dal centrosinistra. La serie di proposte che Ghedini ha presentato alla Bongiorno dovrebbero essere, nelle intenzioni del presidente della Camera Gianfranco Fini, accolte in blocco dal presidente del Consiglio. Una prima proposta ridurrebbe, come da richiesta europea, la durata dei processi a non più di sei anni (due per ogni grado di giudizio), pena la loro decadenza. Per fare da scudo a Berlusconi si sta pensando anche ad una norma transitoria che estingua anche i processi in corso, purché i tempi siano superati in primo grado e siano su soggetti incensurati.
Se su questo punto il sì di Fini pare scontato nell'ambito di un sistema di riforma della giustizia complessiva che dia più mezzi ai magistrati, c'è invece un rifiuto da parte di Fini sulla richiesta di abbreviare di un quarto la prescrizione per i reati la cui pena massima è di dieci anni, esclusi quelli più gravi come terrorismo e mafia. Aperto il contenzioso anche sul punto che prevede un risarcimento per chi abbia dovuto attendere troppo per il suo processo, e il capitolo sul mini-condono per i contenziosi tributari (uno dei quali, da quasi 200 milioni di euro, riguarda le aziende di Berlusconi) già bocciato da Fini provocando le ire del premier.
Fuori dall'Italia vi sono diverse situazioni. In Francia il presidente della Repubblica può essere processato solo dopo il termine del suo mandato, come sta accadendo ora per l'ex presidente Chirac. Nell'articolo 67 della Costituzione è ribadita l'immunità del capo dello Stato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni e ne viene confermata l’inviolabilità durante il mandato presidenziale, sospendendo temporaneamente qualsiasi procedura nei suoi confronti ad eccezione dei fatti di competenza della Corte penale internazionale (art. 53-2 Cost.), e le procedure contro il capo delle Stato potranno essere riprese solo ad un mese dalla scadenza del mandato. Vi è solo un'eccezione: la riforma costituzionale ha previsto una procedura di destituzione che può essere decisa in caso di trasgressione da parte del Presidente dei suoi doveri, con comportamenti manifestamente incompatibili con l’esercizio del mandato presidenziale, comportamento valutato dal Parlamento riunito in Alta Corte. Invece gli altri membri del Governo francese sono penalmente responsabili degli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, qualificati crimini o delitti al momento in cui sono stati commessi, e questo procedimento è regolato dagli articoli 68-1, 68-2 e 68-3 della Costituzione introdotti con la riforma costituzionale del 21 luglio 1993.
In Germania, secondo l'articolo 61 della Legge Fondamentale, il presidente federale può essere messo in stato d'accusa davanti al Tribunale costituzionale federale e prevede la sua responsabilità penale in caso di violazione intenzionale della Legge fondamentale o di altra legge federale. La Legge Fondamentale però non prevede un regime specifico per la responsabilità penale dei membri del Governo: Il Cancelliere federale e i ministri, se membri del Bundestag, godono dell’immunità parlamentare prevista dall’articolo 46 della Legge Fondamentale, mentre non godono di alcuna particolare immunità per le infrazioni commesse al di fuori dello svolgimento delle funzioni ministeriali. L'articolo 46 della Legge Fondamentale prevede due due profili dell'immunità parlamentare: la irresponsabilità parlamentare (Indemnität) e l’immunità processuale penale (Immunität).
Nei Paesi a regime monarchico costituzionale la figura del Sovrano è inviolabile: in Gran Bretagna, in virtù della secolare prassi costituzionale delle prerogative reali, la persona del Sovrano è inviolabile, e pertanto immune da ogni azione, civile o penale. Nessun procedimento civile o penale, in base al common law britannico, può essere inoltre intentato nei riguardi del Sovrano "in her private capacity". Stesso discorso in Spagna: ai sensi dell'articolo 56, comma 3, della Costituzione spagnola del 1978, "la persona del Re è inviolabile e non è soggetta a responsabilità".
In ambito inglese ha radici profonde anche il concetto di immunità dei membri del Parlamento, anche se alcuni aspetti sono, nel tempo, venuti meno. Il principio dell'autonomia parlamentare ha fondamento nel Bill of Right del 1689 (che prese spunto dal Secondo trattato sul governo di John Locke, che ispirò anche alcuni aspetti dellal Costituzione degli Stati Uniti) e, per taluni aspetti, nei Parliamentary Privilege Acts del 1737 e del 1770.
Il fondamentale principio che prevede che l'attività del Parlamento sia libera da intromissioni delle corti e sottoposta unicamente al proprio stesso controllo (exclusive cognisance) è, innanzitutto, la libertà di espressione (freedom of speech and of debate) dei parlamentari, i quali sono liberi di dire e di discutere ogni cosa a loro piacere all’interno delle Assemblee e pertanto non possono essere chiamati a rendere conto delle opinioni ivi espresse dinanzi alle corti, in procedimenti civili o penali, oppure in qualsiasi sede diversa dal Parlamento, secondo articolo 9 del Bill of Rights. Nel tempo sono venute meno, invece, le risalenti disposizioni che in termini più ampi affermavano l'improcedibilità di azioni legali rivolte contro membri del Parlamento.
La freedom from arrest dei membri delle Camere enunciata dall'articolo 9 del Bill of Rights, benché non estesa ai procedimenti penali intentati per reati comuni, potrebbe semmai, laddove il reato contestato abbia inerenza con l'esercizio di funzioni connesse al mandato parlamentare, influire indirettamente su di essi in ragione delle difficoltà che potrebbero insorgere sul piano dell'acquisizione della prova.
Ad esempio, qualora un membro del Parlamento sia accusato di corruzione o concussione, tali reati non sono soggetti al al diritto comune ma, poiché determinano un’indebita interferenza con il regolare svolgimento delle attribuzioni parlamentari, integrano il reato di contempt of parliament, come tale sanzionabile dalle Camera (in esercizio esclusivo della giurisdizione domestica, disciplinare e penale, di cui ciascuna di esse, per antica consuetudine, è investita in qualità di High Court of Parliament) nei confronti dei propri membri od anche di soggetti esterni, in via definitiva e senza possibilità di riesame.
In Spagna invece non esiste immunità parlamentare per il capo e i membri del Governo: infatti in base all'articolo 102, comma 1, della Costituzione spagnola "la responsabilità penale del Presidente e degli altri membri del Governo potrà essere fatta valere, se del caso, davanti alla Sezione Penale del Tribunale Supremo", mentre per quanto riguarda l'immunità parlamentare l'L’articolo 71, comma 1, della Costituzione spagnola del 1978 garantisce ai deputati ed ai senatori il godimento della “inviolabilità (inviolabilidad) per le opinioni manifestate nell'esercizio delle loro funzioni” e costoro "durante il periodo del loro mandato", godono altresì dell'immunità (inmunidad) e possono essere arrestati solo "in caso di flagrante reato"; essi inoltre non possono essere "incriminati né processati senza previa autorizzazione delle rispettive Camere".
Per ultimo esaminiamo anche il caso degli Stati Uniti che, pur non essendo una nazione europea, affonda le sue radici nella cultura e nella politica europea, in particolare nelle lezioni di Locke e dell'illuminismo francese. La Costituzione degli Stati Uniti non contiene alcun riferimento esplicito all'immunità del Presidente, del Vicepresidente e degli altri titolari di cariche pubbliche federali, ad eccezione delle disposizioni sulla messa in stato d'accusa (impeachment) promossa dalla Camera dei Rappresentanti ed al correlativo giudizio da parte del Senato, la cui configurazione tuttavia ha natura eminentemente politica ed in caso di condanna comporta la destituzione dalla carica e l'interdizione dai pubblici uffici, fatta salva la successiva possibilità di "incriminazione, processo, sentenza e pena secondo le leggi ordinarie": questo è stato il caso di Richard Nixon e dello scandalo Watergate; ma altri presidenti sono stati sfiorati da scandali, a cominciare da membri dell'amministrazione Reagan coinvolti nello scandalo Iran-Contra o al più recente "sexgate" di Bill Clinton.
Riguardo il caso Nixon, argomenta la Corte Suprema: "Né la dottrina della separazione dei poteri né la necessaria riservatezza delle comunicazioni di alto livello (fra il Presidente ed i suoi collaboratori, n.d.t.) possono suffragare un assoluto, indifferenziato privilegio presidenziale di immunità processuale in qualunque circostanza. La necessità del Presidente di completa lealtà ed obiettività da parte dei consiglieri merita grande rispetto da parte dei tribunali. Tuttavia, quando il privilegio dipende esclusivamente dall'ampia, generica pretesa di pubblico interesse nella riservatezza di tali comunicazioni, emerge un bilanciamento rispetto ad altri valori. In mancanza di una pretesa necessità di preservare segreti militari, diplomatici o sensibili per la sicurezza nazionale, la riservatezza delle comunicazioni del Presidente non è significativamente sminuita dalla produzione in giudizio penale del materiale nelle condizioni protette dell'esame in camera di consiglio, e qualunque privilegio assoluto dell'esecutivo in base all'articolo II della Costituzione sarebbe in evidente conflitto con la funzione dei tribunali così come definita dalla Costituzione".
L'immunità assoluta accordata all'ufficio del Presidente in riferimento all'esercizio delle sue funzioni, comunque controllata dal Congresso, non comprende tuttavia la sua condotta non ufficiale.
Per quanto invece riguarda l'immunità parlamentare, l'L'Articolo I, Sezione VI, comma 1 della Costituzione degli Stati Uniti prevede espressamente che "in ogni caso, salvo che per tradimento, reato grave e violazione dell'ordine pubblico, (Senatori e Membri della Camera dei Rappresentanti) avranno il privilegio di non essere arrestati durante la sessione delle rispettive Camere, mentre vi si rechino o ne escano; ed in nessun altro luogo saranno chiamati a rispondere dei discorsi e dei dibattiti sostenuti nelle rispettive Camere", norma in cui è evidente l'influenza della madrepatria inglese. Ma all'immunità parlamentare la stessa giurisprudenza costituzionale statunitense pone precisi limiti; Per espresso riconoscimento della Corte Suprema, quindi, la disposizione non deve ritenersi estesa anche ai contatti che ordinariamente i Membri del Congresso intrattengono con i responsabili delle diverse articolazioni dell'Esecutivo e con le agenzie amministrative; né, per quanto difficilmente enumerabili possano essere i contenuti di un'espressione ad elevata valenza politica quale quella di "legislative activities", la storia o la formulazione testuale della "Speech and Debate Clause" possono "suggerire l'intenzione di creare un assoluto privilegio rispetto alla responsabilità o alla perseguibilità per affermazioni diffamatorie espresse al di fuori della Camera".
10-11-2009 12:38 FRANCIA/Adozione bimbo coppia omosessuale: ok da tribunale da sito ADUC
Il tribunale di Besancon, nel nord-est della Francia, ha dato il proprio via libera oggi all'adozione di un bambino da parte di una coppia omosessuale, annullando cosi' la decisione del Consiglio generale della regione del Jura, che rifiutava di dare il suo consenso.
'Le condizioni offerte dalla richiedente sul piano familiare, educativo e psicologico corrispondono ai bisogni e all'interesse di un bambino adottato', ha sottolineato il giudice, precisando che i motivi di rifiuto avanzati dal Consiglio del Jura 'non giustificano legalmente la decisione di rigetto della domanda di adozione'.
Sono dieci anni che Emmanuelle B., maestra di 48 anni, e Laurence R., psicologa infantile, si battono per ottenere il diritto di adottare un bambino. Le due donne vivono insieme da una ventina d'anni e da quattro sono unite civilmente da un Pacs.
A due riprese il Consiglio generale del Jura ha rifiutato la domanda di adozione avanzata da Emmanuelle. Ora, il via libera del tribunale riconosce la loro unione come 'solida' e 'duratura'.
Di fronte al primo rifiuto delle autorita' francesi, l'insegnante si era anche rivolta alla Corte europea dei diritti dell'Uomo, che nell'ottobre 2008 aveva condannato la Francia per discriminazione sessuale per aver negato alle due donne di adottare un bambino.
10-11-2009 13:06 FRANCIA/I pacs avanzano: tra qualche anno potrebbero superare i matrimoni
In Francia, centinaia di migliaia di coppie hanno scelto di firmare un patto civile di solidarietà (pacs) perché non desiderano né la solennità del matrimonio né l'incertezza giuridica dell'unione libera. Creato dalla legge del 15 novembre 1999, il pacs è uno strumento ideale che offre loro un quadro giuridico certo pur mantenendo la leggerezza e la discrezione della libera convivenza. In dieci anni, il successo di questo tipo di unione, che Jacques Chirac aveva bollato come "inadatto ai bisogni della famiglia", non è mai venuto meno. Nei primi anni 2000 seduceva 20.000 coppie l'anno; nel 2005 erano già 50.000 e poi su su fino a raggiungere i 150.000 nel 2008. Se continua con questo ritmo tra pochi anni potrebbe superare il matrimonio. Oggi il pacs riguarda soprattutto gli eterosessuali (il 94% nel 2008).
Se il patto civile di solidarietà ha avuto un tale successo è perchè le coppie hanno capito che offre i vantaggi del matrimonio -imposizione comune, esonero dei diritti di successione, conservazione dei benefici in caso di morte del partner- pur garantendo grande libertà. Ossia, se il divorzio impone una procedura lunga e costosa, il pacs esige una semplice lettera recapitata dall'ufficiale giudiziario.
05-11-2009 11:22 Quebec, ordine dei medici apre alla legalizzazione dell'eutanasia - Pietro Yates Moretti – dal sito dell’ADUC
Alla vigilia della discussione di un progetto di legge per legalizzare l'eutanasia in Quebec, vi sono due importanti novità che potrebbero aiutare i parlamentari a decidere.
Il Quebec College of Physicians, l'ordine dei medici della regione canadese, ha chiesto di modificare il codice penale per autorizzare l'eutanasia nei casi di "imminente o inevitabile morte". L'associazione medica sostiene che la legge vigente, non definendo il concetto di eutanasia, espone i medici all'accusa di omicidio. "Stiamo dicendo che la morte può essere un tipo di cura adeguato, in determinate circostanze", ha dichiarato il dott. Yves Robert del College. "Questa è una decisione importantissima".
Il cambiamento dovrebbe proteggere i medici che sospendono i trattamenti sanitari o aumentano le dosi di antidolorifici per lenire la sofferenza e accelerare il processo di morte, spiega il presidente del College Yves Lamontagne. "I medici fanno del loro meglio per offrire cure adeguate, sapendo che a volte le loro azioni possono essere interpretate come un reato". "Le cure adeguate non dovrebbero mai essere considerate come omicidio". Anche il ministro della Salute del Quebec, Yves Bolduc, ha fatto sapere di essere aperto all'idea.
Ma una portavoce del Ministro federale della Giustizia, il conservatore Rob Nicholson, ha detto che il Governo nazionale non ha "alcuna intenzione di farsi avanti con leggi di questo genere". Ed è per questo che gli attivisti del Quebec non guardano più al Governo centrale, ma hanno individuato un percorso da seguire a livello provinciale. Il Quebec potrebbe aprire la strada alla legalizzazione dell'eutanasia grazie ad una opinione pubblica più liberale rispetto al resto del Paese. Come con l'aborto diversi decenni fa, il governo del Québec potrebbe porre fine ai procedimenti penali per eutanasia, fintanto che siano rispettate certe regole. "Penso che sia troppo presto per il Canada, ma non per il Quebec", ha detto Yvon Bureau, assistente sociale da anni impegnata per la legalizzazione dell'eutanasia.
E proprio in questi giorni esce un nuovo sondaggio sull'eutanasia in Canada. Nonostante sia stato sponsorizzato da un'associazione religiosa anti-eutanasia e le domande definiscano l'eutanasia come l'uccisione di disabili, la maggioranza dei canadesi si è confermata fortemente favorevole alla legalizzazione della pratica. L'opinione pubblica risulta comunque sensibile al fatto che i malati, i disabili e gli anziani potrebbero essere spinti a morire senza il loro consenso. Il sondaggio del Environics Research Group ha rivelato che il 61% dei canadesi, e il 75% della popolazione del Quebec, vuole legalizzare l'eutanasia - dati che confermano un trend decennale. Ma il sondaggio ha rivelato che il sostegno può affievolirsi quando nell'intervista sono invitati a prendere in considerazione le possibili conseguenze di una tale legge, come l'uccisione in massa di anziani e disabili.
Cinquantacinque per cento di coloro che hanno espresso un forte sostegno per l'eutanasia hanno espresso preoccupazione per il numero "significativo" di persone che potrebbe essere ucciso contro la propria volontà. Fra coloro che sono moderatamente favorevoli, la percentuale sale al 72%. "Tra coloro che esprimono un sostegno moderato per la legalizzazione, la grande maggioranza pensa che il Governo debba privilegiare gli investimenti nelle cure palliative e negli hospice prima di legalizzare l'eutanasia", scrive l'istituto di sondaggi.
L'indagine di mercato ha anche rilevato che il 56% di tutti i canadesi, favorevoli e non, ha espresso una certa preoccupazione sul fatto che "le persone anziane si possano sentire spinte ad accettare l'eutanasia per ridurre i costi delle cure sanitarie".
Il sondaggio, commissionato da LifeCanada, un gruppo religioso pro-life che si oppone all'eutanasia e all'aborto, giunge proprio alla vigilia della seconda lettura parlamentare del disegno di legge Bill C-384. Se approvato, il testo legalizzerebbe l'eutanasia per quanti sono in stato di sofferenza fisica o mentale irreversibile. L'associazione ha cercato anche di manipolare i risultati del sondaggio a favore della propria causa, spiegando che il sostegno all'eutanasia non è così alto nell'opinione pubblica come quanto sembrano indicare i dati. Delores Doherty, presidente di LifeCanada, ha detto che il sondaggio ha due risultati significativi. " I canadesi sono davvero molto preoccupati per le implicazioni della legalizzazione dell'eutanasia e preferiscono che il governo si concentri sulle cure palliative per migliorare il fine vita".
Ma Derek Leebosh, il demografo che ha diretto il sondaggio, ha detto che è impossibile trarre conclusioni del genere. "Sappiamo che i canadesi sono preoccupati per le conseguenze della legalizzazione dell'eutanasia e sono aperti alle argomentazioni contro l'eutanasia". "Quello che non sappiamo è se sia sufficiente a fargli cambiare opinione sulla questione in generale".
La realtà è che, nonostante le domande poste dall'associazione cattolica siano state formulate per attirare il maggior numero di dissensi, la maggioranza del Canada, come quella di tutti i Paesi industrializzati, è favorevole a conquistare spazi di libertà nel fine vita. Nelle domande, l'eutanasia era definita come "l'uso di mezzi letali, come una iniezione di farmaci, una overdose o veleno che prenda la vita di chi è malato, depresso, anziani o disabili". Niente menzione di prognosi infauste, niente menzione dell'assoluta obbligatorietà di una richiesta formale formulata due volte a distanza di settimane da parte del paziente. E soprattutto niente menzione di tutti gli studi che dimostrano come, nei Paesi in cui è stata legalizzata l'eutanasia, sono soprattutto le persone ben istruite a chiedere e ottenere la dolce morte.
"Il sondaggio dimostra che vi è una maggioranza netta di persone quando dicono sì all'eutanasia, anche quando è descritta in un modo così negativo", ha commentato il sondaggista.
L'indagine su 1.014 canadesi, intervistati tra il 6 e 13 ottobre, ha un margine di errore di 3,1 punti percentuali, 19 volte su 20.
SIAMO CHIAMATI ALLA MEMORIA E ALLA CONSAPEVOLEZZA - QUEGLI «IMPOSSIBILI» MARTIRI E LA NOSTRA LIBERTÀ TALORA SPRECATA - MARINA CORRADI – Avvenire, 11 novembre 2009
« D avvero anche il nostro è tempo di màrtiri, per quanto ai popoli della libertà talora sprecata possa sembrare incredibile, e quasi impossibile». L’annotazione è nella prolusione del cardinale Bagnasco e commenta un massacro la cui notizia, data da Avvenire e poi filtrata nell’aula del Sinodo per l’Africa, non ha avuto grande eco: la morte per crocifissione di sette cristiani in Sudan. Ragazzi fra i quindici e i vent’anni uccisi in una macabra parodia del Golgota. Una sorte che, davvero, con gli occhi dell’Occidente pare «incredibile, e quasi impossibile». Come i massacri dei cristiani dell’Orissa; o in Pakistan dove può bastare una denuncia di blasfemia contro il Corano per essere giustiziati.
Incredibili, impossibili destini, allo sguardo dei «popoli della libertà talora sprecata». Noi: credenti o meno, o affatto, e però cresciuti nell’alveo accogliente di un Occidente da quasi duemila anni cristiano. Alveo in cui si è sedimentato, come un limo, l’idea cristiana di persona e di libertà e di diritti dell’uomo. Così che è ovvio, indiscusso che ciascuno preghi il suo Dio, o non ne preghi nessuno. In Stati laici maturati elaborando faticosamente nella storia il confronto con quella grande originaria matrice che è il cristianesimo. E, dunque, «impossibile, e quasi incredibile » oggi per noi la notizia di quelle sette croci innalzate in Sudan.
Noi, siamo i popoli liberi. Appena ieri a Berlino abbiamo festeggiato i vent’anni della caduta del Muro. Alle spalle, ormai, oltre sessant’anni di pace; e cos’è stato il totalitarismo in Europa, i nostri figli lo sanno appena. Guardano Schindler’s list come guarderebbero delle cronache marziane. Loro, sono nati liberi.
Ma, in questa libertà ereditata, scontata, qualcosa può perdersi. Prima di tutto, proprio la coscienza che niente è per sempre garantito, e che la ogni libertà va nutrita e cresciuta. In quanti ormai non andiamo nemmeno, disamorati, a votare. Don Carlo Gnocchi scriveva con passione di come l’occuparsi del «bene comune» fosse un obbligo morale dei cristiani. (Ma lui era stato sul Don con gli Alpini, nel fondo del massacro; lui aveva visto come finisce, quando un popolo abdica alla propria libertà).
Altro rischia anche di perdersi, nella libertà ricevuta senza una adeguata memoria. Il senso stesso del fare comune, del costruire insieme, che si frammenta in una galassia di individuali interessi. Leciti, oppure no. Ma comunque nella logica di un fare solo per sé. L’essere insieme, la relazione con l’altro impoverita a una, a volte infastidita, pura coabitazione. Nelle porte chiuse e anonime di mille quartieri dove, magari educatamente, ci si ignora.
Noi, popoli della libertà talora sprecata, la sera davanti alla tv, che ci insegna – lei veramente grande maestra – cosa fare, del nostro tempo e del nostro denaro. Che instilla desideri e imperativi. Che spiega che è naturale che i matrimoni finiscano, e che ora, ragazze, per abortire basta una pillola: è il progresso, che procede inarrestabile. Schiamazza dallo schermo la compagnia sguaiata del Grande Fratello: in sei milioni la contemplano e sognano di essere, un giorno, fra gli eletti.
C’è ancora tuttavia, nelle scuole e negli ospedali di questa Italia, appeso al muro un crocifisso. È Cristo in croce, e in quello scabro segno è rappresa, tacita, per molti quasi inconscia, la memoria dell’Occidente cristiano. Che sia tolto da lì, ha ordinato una Corte di sette saggi da Strasburgo – dal cuore dell’Europa, di quell’Europa dove ogni città s’è allargata attorno alla sua cattedrale come una vite dal tronco.
E noi qui a discettare se quella croce sul muro urti la libertà. Se non comprima le giovani coscienze. Quei là in Pakistan e in Orissa e in Iraq, perseguitati, nascosti. E quelle sette croci in Sudan, il martirio che matura di nuovo nel deserto del fondamentalismo, dell’odio, della negazione dell’uomo. Noi, popoli della libertà talora sprecata, che guardiamo vacui e distratti: «incredibile, quasi impossibile», che queste cose accadano ancora oggi, e davvero.
1) Il Papa ai Vescovi italiani: priorità all'emergenza educativa
2) In difesa del crocifisso, l’Italia s’è desta! - di Antonio Gaspari
3) Lech Wałęsa: la caduta del Muro? Merito soprattutto di Giovanni Paolo II - “L'Europa ha un disperato bisogno dei valori che hanno promosso questa rivoluzione” - di Angela Reddemann
4) 10/11/2009 11:31 - PAKISTAN – UE - La blasfemia in Pakistan e l’attacco al crocefisso della Corte europea - di Bernardo Cervellera
5) IMMUNITA' PER LE ALTE CARICHE DELLO STATO - La situazione nelle principali democrazie occidentali - Si cerca un compromesso nel Pdl sulla riforma della Giustizia. La situazione in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti d'America - Andrea Sartori (Insegnante) – dal sito magdiallam.it
6) 10-11-2009 12:38 FRANCIA/Adozione bimbo coppia omosessuale: ok da tribunale da sito ADUC
7) 10-11-2009 13:06 FRANCIA/I pacs avanzano: tra qualche anno potrebbero superare i matrimoni dal sito dell’ADUC
8) 05-11-2009 11:22 Quebec, ordine dei medici apre alla legalizzazione dell'eutanasia - Pietro Yates Moretti – dal sito dell’ADUC
9) SIAMO CHIAMATI ALLA MEMORIA E ALLA CONSAPEVOLEZZA - QUEGLI «IMPOSSIBILI» MARTIRI E LA NOSTRA LIBERTÀ TALORA SPRECATA - MARINA CORRADI – Avvenire, 11 novembre 2009
Il Papa ai Vescovi italiani: priorità all'emergenza educativa
Nel messaggio alla 60a Assemblea generale della CEI in corso ad Assisi
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 10 novembre 2009 (ZENIT.org).- L'educazione delle nuove generazioni è una sfida urgente che deve impegnare tutta la Chiesa. E' quanto ha ribadito Benedetto XVI in un messaggio inviato ai partecipanti alla 60a Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), in corso in questi giorni ad Assisi.
Richiamando quanto già detto nell'ultimo incontro del 28 maggio scorso con i membri dell’Assemblea generale della CEI, il Papa ha sottolineato che “l’emergere dell’istanza educativa è un segno dei tempi che provoca l’Italia intera a porre la formazione delle nuove generazioni al centro dell’attenzione e dell’impegno di ciascuno, secondo le rispettive responsabilità e nel quadro di un’ampia convergenza di intenti”.
“La sfida educativa – ha continuato – attraversa tutti i settori della Chiesa ed esige che siano affrontate con decisione le grandi questioni del tempo contemporaneo: quella relativa alla natura dell’uomo e alla sua dignità - elemento decisivo per una formazione completa della persona - e la 'questione di Dio', che sembra quanto mai urgente nella nostra epoca”.
A qusto proposito, ha richiamato quanto affermato il 24 luglio scorso, durante la celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Aosta: "Se la relazione fondamentale - la relazione con Dio - non è viva, non è vissuta, anche tutte le altre relazioni non possono trovare la loro forma giusta”.
Perché ciò avvenga, occorre che tutti i Vescovi, diventino “adorazione vivente, dono che trasforma il mondo e lo restituisce a Dio”, ha continuato con un pensiero rivolto all'Anno Sacerdotale.
Il Papa ha quindi accennato all'altro tema al centro dell'Assemblea: la "questione meridionale".
“A vent’anni dalla pubblicazione del documento 'Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno' – ha detto – , avvertite il bisogno di farvi voce e carico delle esigenze di un Paese che non crescerà se non insieme”.
“Nelle terre del Sud – ha aggiunto – la presenza della Chiesa è germe di rinnovamento, personale e sociale, e di sviluppo integrale. Possa il Signore benedire gli sforzi di coloro che operano, con la tenace forza del bene, per la trasformazione delle coscienze e la difesa della verità dell’uomo e della società”.
Il Papa è quindi passato a parlare della nuova edizione italiana del Rito delle esequie, in sostituzione dell'edizione del 1974, che verrà esaminata dai Vescovi italiani presenti ad Assisi.
“Essa risponde – ha affermato Benedetto XVI – alla necessità di coniugare la fedeltà all’originale latino con gli opportuni adattamenti alla situazione nazionale, facendo tesoro dell’esperienza maturata dopo il Concilio Vaticano II, con sguardo attento al mutato contesto socio-culturale e alle esigenze della nuova evangelizzazione”.
“Il momento delle esequie costituisce un’importante occasione per annunciare il Vangelo della speranza e manifestare la maternità della Chiesa”, ha detto.
“In una cultura che tende a rimuovere il pensiero della morte, quando addirittura non cerca di esorcizzarla riducendola a spettacolo o trasformandola in un diritto, è compito dei credenti gettare su tale mistero la luce della rivelazione cristiana”, ha concluso infine.
In difesa del crocifisso, l’Italia s’è desta! - di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 10 novembre 2009 (ZENIT.org).- Gli organi di informazione più potenti non ne danno notizia, ma in Italia si sta assistendo ad una mobilitazione popolare in difesa del crocifisso che non ha precedenti nella storia moderna.
Dopo la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che chiede la rimozione dei crocifissi da tutte le aule scolastiche, gli italiani si sono mobilitati in difesa di quello che è riconosciuto come un simbolo di identità nazionale.
In seguito alla decisione della Corte la quasi totalità dei consigli comunali in Italia ha discusso della presenza dei crocifissi nella aule scolastiche e nei luoghi pubblici.
Nella stragrande maggioranza hanno votato ordini del giorno o delibere per portare il crocifisso in ogni aula, soprattutto nei luoghi da cui, per motivi diversi, era stato spostato.
Solo in pochi casi le amministrazioni hanno deciso di non fare nulla.
Alcuni sindaci hanno risposto con gesti clamorosi. A Montecchio Maggiore un comune in provincia di Vicenza, il sindaco Milena Cecchetto insieme alla giunta si è autotassata ed ha acquistato e installato un crocefisso alto due metri all’entrata del municipio.
Il sindaco Cecchetto ha spiegato che si tratta di “un gesto necessario per difendere ciò che per noi e per il nostro paese è simbolo di una tradizione, alla base dei nostri valori: chi vuole eliminarlo non lo fa per dare spazio alla laicità, ma solo per aprire la strada ad altre forme di espressione religiosa”.
Come ha riportato anche “Avvenire”, Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella, in provincia di Padova, ha fatto collocare nell’atrio del Municipio un antico crocifisso ligneo.
A Firenze, un consigliere comunale, Marco Cordone, si è presentato in aula con una vistoso crocifisso appeso al collo, ed una camicia bianca in cui era scritto “il crocifisso non si tocca”.
Massimo Poliedri, consigliere comunale di Piacenza, è intervenuto in aula indossando una maglietta con stampato un crocifisso ed una scritta “Cosa ho fatto di male?”.
Anche il consiglio comunale di Taranto ha approvato un ordine del giorno in risposta alla sentenza della Corte di Strasburgo.
Giunta comunale e sindaco sostengono che “il crocifisso è simbolo di pace e di amore tra gli uomini” e che “ far prevalere un’Europa contro le tradizioni e le identità dei singoli paesi che la costituiscono significa venir meno al compito dell’unione, per la quale i padri fondatori l’hanno pensata e che oggi si identifica in Un ione Europea”.
Anche a Leonessa, in provincia di Rieti, il sindaco Paolo Trancassini ha firmato un'ordinanza comunale per imporre il crocifisso nelle aule scolastiche.
Fabio Callori, sindaco di Caorso in provincia di Piacenza, ha firmato un'ordinanza in cui si dispone che tutti i “crocifissi posti nelle aule di tutte le scuole del territorio non vengano rimossi, a salvaguardia dei valori che appartengono al nostro Paese”.
Il presidente della Provincia autonoma di Bolzano e governatore del Trentino Alto Adige, Luis Durnwalder, ha ribadito che “il crocifisso avrà sempre un posto nelle nostre scuole” ed ha aggiunto: “La croce non offende nessuno e perciò non accetteremo nessuna indicazione da Bruxelles”.
Continua anche la mobilitazione spontanea degli studenti per portare il crocifisso nelle aule dove non c’era.
Ad Agrigento alcune studentesse del liceo classico “Empedocle” il 7 novembre, al termine delle lezioni scolastiche, si sono recate in un negozio per acquistare un crocifisso e, dopo averlo fatto benedire da un sacerdote, sono ritornate in classe ad appenderlo.
Le studentesse, anche le non credenti, hanno voluto così esprimere una protesta, hanno voluto far sentire la propria opinione contraria non solo alla Corte di Strasburgo, ma anche a tutti coloro che vedono nel crocifisso solo un simbolo religioso e non il simbolo di una cultura ormai radicata in tutti gli Italiani.
Sempre in Sicilia i giovani dell’UDC hanno organizzato per il 14 novembre, a Palermo, una manifestazione in piazza dal titolo “Io credo!”.
Nel volantino in cui viene presentata la manifestazione è scritto: “Vogliamo salvaguardare la nostra identità cristiana, la nostra storia, le nostre radici. Vogliamo che i nostri figli possano conoscere la loro cultura e possano vivere il proprio 'Credo' nella libertà costituzionalmente garantita. Siamo dell’avviso che tutte le religioni debbano avere la possibilità di essere professate e un provvedimento del genere non difende i diritti di nessuno ma bensì nega quelli di tutti”.
In Toscana l’associazione di studenti “Lotta studentesca” ha costruito cento crocifissi con il compensato e li ha apposti nelle aule di tutti gli istituti superiori di Massa. Con questa iniziativa hanno voluto ribadire il loro "no" alla sentenza del Tribunale europeo e riaffermare le radici cristiane dell'Italia e del continente europeo.
Nel volantino in cui hanno annunciato la loro iniziativa i giovani di Lotta studentesca hanno scritto: "Giù le mani dal crocifisso: riportiamolo nelle aule, difendiamo le nostre radici".
Iniziative a favore del crocifisso sono venute anche da parte di alcuni imprenditori.
A Gavirate, in provincia di Varese, l’imprenditore Giorgio Feraboli ha organizzato un'assemblea con tutti i dipendenti, poi ha investito 1200 euro per costruire e installare nel cortile della propria impresa un crocifisso alto sei metri e largo tre.
Feraboli ha dotato il crocifisso anche di un impianto di illuminazione per renderlo visibile anche quando fa buio.
Incessante anche la mobilitazione di parroci e Vescovi. Secondo quanto riportato da “Avvenire” il Cardinale Carlo Caffarra ha definito la sentenza della Corte di Strasburgo una “decisione improvvida che mortifica la nostra storia civile”.
Togliere il crocifisso, ha precisato l’Arcivescovo di Bologna, significa togliere “la possibilità all’uomo di stupirsi di fronte alla sua dignità e q quel punto saprete che i barbari sono tornati”.
Il parroco del santuario di Montenero in provincia di Livorno, don Luca Giustarini ha distribuito ai bambini che erano a messa domenica tanti piccolo crocifissi, invitandoli a portarli a scuola, “mostrandoli con orgoglio”.
Lech Wałęsa: la caduta del Muro? Merito soprattutto di Giovanni Paolo II - “L'Europa ha un disperato bisogno dei valori che hanno promosso questa rivoluzione” - di Angela Reddemann
BERLINO, martedì, 10 novembre 2009 ( ZENIT.org).- L'apertura dell'Est e la caduta del Muro di Berlino sono dovuti principalmente all'intervento di Giovanni Paolo II e alla forza motrice della Divina Provvidenza, ha affermato il cofondatore del sindacato polacco Solidarność e in seguito Presidente della Polonia, Lech Wałęsa, questo lunedì sera a Berlino nelle celebrazioni per il 20° anniversario della caduta del Muro.
Bisognerebbe costruire il futuro dell'Europa unita sulla base della verità della storia, non sulla menzogna, ha dichiarato: non sono stati solo i politici a tenere in mano in quel momento i fili della situazione.
“La verità è molto importante quando parliamo del corso della storia”, ha detto Wałęsa durante la “Celebrazione della libertà” (Fest der Freiheit). A suo avviso, Giovanni Paolo II e il movimento operaio Solidarność hanno avuto un ruolo fondamentale nella nuova apertura dell'Europa.
Sotto una pioggia insistente, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha attraversato sorridendo insieme a centinaia di pesone il ponte della Bornholmer Strasse, uno dei primi posti di frontiera aperti nel 1989. Il cancelliere ha confessato che si è trattato di uno dei momenti più felici della sua vita.
Le celebrazioni per la caduta del Muro sono iniziate con un servizio religioso nella chiesa del Getsemani, simbolo della dissidenza di Berlino Est. Insieme all'ex Presidente sovietico Mikhail Gorbaciov e a Lech Wałęsa, così come ad altre persone che hanno lottato per i diritti civili, la Merkel ha passato simbolicamente la frontiera dove dal 13 agosto 1961 più di cento persone sono state brutalmente fucilate.
Wałęsa ha lodato il ruolo del Papa polacco nella caduta del Muro di Berlino. Durante il suo discorso sono state trasmesse scene della leggendaria visita di Giovanni Paolo II in Polonia e della sollevazione dei minatori. Le immagini hanno fatto sentire che nel cantiere navale Lenin di Danzica ha avuto inizio un'Europa libera.
Il primo viaggio come Papa in Polonia nel giugno 1979 è stato decisivo, perché era la prima visita di un Papa a un Paese comunista. Questo fatto ha suscitato una forza enorme in Polonia. Per i tedeschi la riunificazione, che continua ad essere una sfida, è iniziata il 9 novembre 1989.
“L'Europa ha un disperato bisogno dei valori che hanno promosso questa rivoluzione”, ha ribadito Wałęsa durante la cerimonia, seguita da milioni di telespettatori alla televisione tedesca.
In precedenza, sotto la Porta di Brandeburgo, la Merkel aveva ricordato il giorno della caduta del Muro di Berlino come quello della “vittoria della libertà”, una libertà che non deve essere vista come un bene “sottinteso”, ma come qualcosa per cui si lotta ogni giorno.
Il 3 giugno 1979, il Papa disse ai rappresentanti del regime comunista: “Permettete, Egregi Signori, che io continui a considerare questo bene come mio, e che risenta la mia partecipazione ad esso così profondamente come se abitassi ancora in questa terra e fossi ancora cittadino di questo Stato”.
Giovanni Paolo II, la “sentinella del portone della libertà”, come lo ha definito l'ex cancelliere tedesco Helmut Kohl, è passato il 23 giugno 1996 per la Porta di Brandeburgo al termine della sua visita alla Germania riunificata.
“Ora che sono passato per la Porta di Brandeburgo, sento che la Seconda Guerra Mondiale è davvero finita”, commentò in quell'occasione profondamente commosso.
Wałęsa, Premio Nobel per la Pace, e il primo Ministro ungherese Miklos Nemeth hanno dato questo lunedì sera la prima spinta per abbattere in un effetto domino gigante i 1000 pezzi che simboleggiavano la Cortina di Ferro.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
10/11/2009 11:31 - PAKISTAN – UE - La blasfemia in Pakistan e l’attacco al crocefisso della Corte europea - di Bernardo Cervellera
Alcuni rappresentanti di Giustizia e Pace in Pakistan cominciano oggi da Roma una campagna in Europa (Francia, Olanda, Belgio, Germania) per sensibilizzare le Chiese e la società europea sulla piaga della blasfemia e l’oppressione delle minoranze in Pakistan, in particolare quella cristiana. Singolare unità di intenti tra i fondamentalisti islamici e i relativisti europei.
Roma (AsiaNews) - Alcuni rappresentanti di Giustizia e Pace in Pakistan cominciano oggi da Roma una campagna in Europa (Francia, Olanda, Belgio, Germania) per sensibilizzare le Chiese e la società europea sulla piaga della blasfemia e l’oppressione delle minoranze in Pakistan, in particolare quella cristiana.
AsiaNews ha deciso di sostenere la loro battaglia. Del resto, fin dalla sua nascita 6 anni fa la nostra agenzia ha nel sostegno alla libertà religiosa uno dei pilastri della sua informazione.
I cristiani del Pakistan sono circa 4 milioni in un mare di oltre 160 milioni di musulmani. Questa piccola minoranza di fedeli chiede dunque che venga cancellata dalla legislazione del Paese la famigerata legge sulla blasfemia. Questa legge, in vigore dal 1986, commina la prigione e la pena capitale per tutti coloro che offendono il Corano o Maometto. In questi 23 anni quasi mille persone sono state accusate di questo crimine e diverse centinaia sono state uccise. Negli ultimi anni, almeno 50 cristiani sono stati torturati ed eliminati per questo delitto e molti villaggi e chiese cristiane sono stati distrutti e bruciati. L’ultimo episodio in ordine di tempo è quello di Koriyan e Gojra, dove migliaia di musulmani hanno attaccato case dei cristiani e chiese per una falsa accusa di blasfemia e hanno ucciso 7 persone, fra cui donne e bambini arsi vivi. Queste uccisioni avvengono così, senza processo, con una giustizia sommaria da parte di folle inferocite, aizzate dai loro imam o da parte delle guardie carcerarie, conniventi nel fanatismo o corrotte.
Nel dossier di AsiaNews (Salvate i cristiani e il Pakistan dalla legge sulla blasfemia), riportato pure nel numero cartaceo di novembre, ci si può rendere conto che questa legge è in realtà uno strumento abusato per eliminare avversari politici, concorrenti nel commercio, vicini di casa e per mettere a tacere le minoranze cristiane, indù, sikh, ahmadi, e perfino la minoranza islamica sciita. Essa è di fatto una bomba ad orologeria che rischia di far deflagrare tutta la società pakistana dividendo gli uni dagli altri e tradendo gli ideali laici da cui è nato il Paese nel 1948, che escludeva ogni discriminazione religiosa, valorizzando l’apporto di ogni comunità.
La legge sulla blasfemia, come pure diverse leggi che si ispirano alla sharia in Pakistan, sono segno di una crescente islamizzazione del Paese, sottoposto alla pressione militare e culturale talebana, e alla chiusura verso la modernità degli imam che predicano e insegnano nelle pullulanti madrassah.
Questa campagna può suggerire qualcosa alla nostra Europa? Il mondo europeo e italiano, impegnato in Afghanistan in una sfibrante guerra, capisce sempre di più che non può vincere solo militarmente, ma accostando anche il problema culturale del rapporto fra Islam e modernità, islam e convivenza con altre religioni e minoranze.
Un Pakistan riconciliato potrebbe avere un benefico influsso anche sul vicino Afghanistan.
La campagna contro la blasfemia cade proprio a pochi giorni dalla curiosa sentenza della Corte europea per i diritti umani che proibisce l’esibizione dei crocefissi nelle scuole pubbliche, perché li considera offensivi verso bambini di altre religioni o atei.
C’è un legame fra queste due posizioni. Non per nulla, anni fa proprio un musulmano integralista ha domandato la stessa cosa all’Italia. Curiosamente la vuota tolleranza relativista e il fondamentalismo islamico tendono verso la stessa conclusione: eliminare i segni e le personalità cristiane: in Pakistan con la blasfemia; in Europa con una “blasfemia” contro le offese al credo relativista.
In entrambi i casi noi proponiamo una convivenza fra identità, senza dover nascondere il proprio volto; la garanzia di poter lavorare con la propria fede per il progresso dei popoli.
Noi crediamo ci sia in atto una strana connivenza fra il relativismo anti-cristiano e il fondamentalismo islamico, motivato forse dall’odio verso le radici cristiane e dagli interessi economici. Non si spiega altrimenti l’appoggio che viene da diversi Paesi occidentali ad accettare la possibilità della sharia fra le comunità islamiche in Europa, o l’appoggio verso risoluzioni Onu, volute in origine dai Paesi islamici, che vorrebbero attuare una legge contro la blasfemia a livello internazionale. Queste risoluzioni, se attuate, potrebbero scardinare la convivenza mondiale.
Ancora una volta bisogna affermare il valore profetico del discorso di Benedetto XVI a Regensburg. In esso egli chiedeva alle religioni (e all’Islam fondamentalista) di rinunciare alla violenza, come irrazionale e contraria a Dio; allo stesso tempo domandava al mondo occidentale di riprendere a guardare a Dio e alla religiosità non come a un impedimento della ragione, ma come la sua completezza.
IMMUNITA' PER LE ALTE CARICHE DELLO STATO - La situazione nelle principali democrazie occidentali - Si cerca un compromesso nel Pdl sulla riforma della Giustizia. La situazione in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti d'America - Andrea Sartori (Insegnante) – dal sito magdiallam.it
Il tema dell'immunità è sempre più scottante. Dopo una lunga trattativa l'avvocato del premier Berlusconi Nicolò Ghedini ha sottoposto all'avvocato di Fini Giulia Bongiorno una serie di proposte. Ma per comprendere meglio la situazione è doveroso dare uno sguardo al comportamento dei principali Stati occidentali in merito.
Sulla riforma della giustizia sono state elaborate oltre trenta bozze tecniche, che prendono spunto anche da progetti elaborati dal centrosinistra. La serie di proposte che Ghedini ha presentato alla Bongiorno dovrebbero essere, nelle intenzioni del presidente della Camera Gianfranco Fini, accolte in blocco dal presidente del Consiglio. Una prima proposta ridurrebbe, come da richiesta europea, la durata dei processi a non più di sei anni (due per ogni grado di giudizio), pena la loro decadenza. Per fare da scudo a Berlusconi si sta pensando anche ad una norma transitoria che estingua anche i processi in corso, purché i tempi siano superati in primo grado e siano su soggetti incensurati.
Se su questo punto il sì di Fini pare scontato nell'ambito di un sistema di riforma della giustizia complessiva che dia più mezzi ai magistrati, c'è invece un rifiuto da parte di Fini sulla richiesta di abbreviare di un quarto la prescrizione per i reati la cui pena massima è di dieci anni, esclusi quelli più gravi come terrorismo e mafia. Aperto il contenzioso anche sul punto che prevede un risarcimento per chi abbia dovuto attendere troppo per il suo processo, e il capitolo sul mini-condono per i contenziosi tributari (uno dei quali, da quasi 200 milioni di euro, riguarda le aziende di Berlusconi) già bocciato da Fini provocando le ire del premier.
Fuori dall'Italia vi sono diverse situazioni. In Francia il presidente della Repubblica può essere processato solo dopo il termine del suo mandato, come sta accadendo ora per l'ex presidente Chirac. Nell'articolo 67 della Costituzione è ribadita l'immunità del capo dello Stato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni e ne viene confermata l’inviolabilità durante il mandato presidenziale, sospendendo temporaneamente qualsiasi procedura nei suoi confronti ad eccezione dei fatti di competenza della Corte penale internazionale (art. 53-2 Cost.), e le procedure contro il capo delle Stato potranno essere riprese solo ad un mese dalla scadenza del mandato. Vi è solo un'eccezione: la riforma costituzionale ha previsto una procedura di destituzione che può essere decisa in caso di trasgressione da parte del Presidente dei suoi doveri, con comportamenti manifestamente incompatibili con l’esercizio del mandato presidenziale, comportamento valutato dal Parlamento riunito in Alta Corte. Invece gli altri membri del Governo francese sono penalmente responsabili degli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, qualificati crimini o delitti al momento in cui sono stati commessi, e questo procedimento è regolato dagli articoli 68-1, 68-2 e 68-3 della Costituzione introdotti con la riforma costituzionale del 21 luglio 1993.
In Germania, secondo l'articolo 61 della Legge Fondamentale, il presidente federale può essere messo in stato d'accusa davanti al Tribunale costituzionale federale e prevede la sua responsabilità penale in caso di violazione intenzionale della Legge fondamentale o di altra legge federale. La Legge Fondamentale però non prevede un regime specifico per la responsabilità penale dei membri del Governo: Il Cancelliere federale e i ministri, se membri del Bundestag, godono dell’immunità parlamentare prevista dall’articolo 46 della Legge Fondamentale, mentre non godono di alcuna particolare immunità per le infrazioni commesse al di fuori dello svolgimento delle funzioni ministeriali. L'articolo 46 della Legge Fondamentale prevede due due profili dell'immunità parlamentare: la irresponsabilità parlamentare (Indemnität) e l’immunità processuale penale (Immunität).
Nei Paesi a regime monarchico costituzionale la figura del Sovrano è inviolabile: in Gran Bretagna, in virtù della secolare prassi costituzionale delle prerogative reali, la persona del Sovrano è inviolabile, e pertanto immune da ogni azione, civile o penale. Nessun procedimento civile o penale, in base al common law britannico, può essere inoltre intentato nei riguardi del Sovrano "in her private capacity". Stesso discorso in Spagna: ai sensi dell'articolo 56, comma 3, della Costituzione spagnola del 1978, "la persona del Re è inviolabile e non è soggetta a responsabilità".
In ambito inglese ha radici profonde anche il concetto di immunità dei membri del Parlamento, anche se alcuni aspetti sono, nel tempo, venuti meno. Il principio dell'autonomia parlamentare ha fondamento nel Bill of Right del 1689 (che prese spunto dal Secondo trattato sul governo di John Locke, che ispirò anche alcuni aspetti dellal Costituzione degli Stati Uniti) e, per taluni aspetti, nei Parliamentary Privilege Acts del 1737 e del 1770.
Il fondamentale principio che prevede che l'attività del Parlamento sia libera da intromissioni delle corti e sottoposta unicamente al proprio stesso controllo (exclusive cognisance) è, innanzitutto, la libertà di espressione (freedom of speech and of debate) dei parlamentari, i quali sono liberi di dire e di discutere ogni cosa a loro piacere all’interno delle Assemblee e pertanto non possono essere chiamati a rendere conto delle opinioni ivi espresse dinanzi alle corti, in procedimenti civili o penali, oppure in qualsiasi sede diversa dal Parlamento, secondo articolo 9 del Bill of Rights. Nel tempo sono venute meno, invece, le risalenti disposizioni che in termini più ampi affermavano l'improcedibilità di azioni legali rivolte contro membri del Parlamento.
La freedom from arrest dei membri delle Camere enunciata dall'articolo 9 del Bill of Rights, benché non estesa ai procedimenti penali intentati per reati comuni, potrebbe semmai, laddove il reato contestato abbia inerenza con l'esercizio di funzioni connesse al mandato parlamentare, influire indirettamente su di essi in ragione delle difficoltà che potrebbero insorgere sul piano dell'acquisizione della prova.
Ad esempio, qualora un membro del Parlamento sia accusato di corruzione o concussione, tali reati non sono soggetti al al diritto comune ma, poiché determinano un’indebita interferenza con il regolare svolgimento delle attribuzioni parlamentari, integrano il reato di contempt of parliament, come tale sanzionabile dalle Camera (in esercizio esclusivo della giurisdizione domestica, disciplinare e penale, di cui ciascuna di esse, per antica consuetudine, è investita in qualità di High Court of Parliament) nei confronti dei propri membri od anche di soggetti esterni, in via definitiva e senza possibilità di riesame.
In Spagna invece non esiste immunità parlamentare per il capo e i membri del Governo: infatti in base all'articolo 102, comma 1, della Costituzione spagnola "la responsabilità penale del Presidente e degli altri membri del Governo potrà essere fatta valere, se del caso, davanti alla Sezione Penale del Tribunale Supremo", mentre per quanto riguarda l'immunità parlamentare l'L’articolo 71, comma 1, della Costituzione spagnola del 1978 garantisce ai deputati ed ai senatori il godimento della “inviolabilità (inviolabilidad) per le opinioni manifestate nell'esercizio delle loro funzioni” e costoro "durante il periodo del loro mandato", godono altresì dell'immunità (inmunidad) e possono essere arrestati solo "in caso di flagrante reato"; essi inoltre non possono essere "incriminati né processati senza previa autorizzazione delle rispettive Camere".
Per ultimo esaminiamo anche il caso degli Stati Uniti che, pur non essendo una nazione europea, affonda le sue radici nella cultura e nella politica europea, in particolare nelle lezioni di Locke e dell'illuminismo francese. La Costituzione degli Stati Uniti non contiene alcun riferimento esplicito all'immunità del Presidente, del Vicepresidente e degli altri titolari di cariche pubbliche federali, ad eccezione delle disposizioni sulla messa in stato d'accusa (impeachment) promossa dalla Camera dei Rappresentanti ed al correlativo giudizio da parte del Senato, la cui configurazione tuttavia ha natura eminentemente politica ed in caso di condanna comporta la destituzione dalla carica e l'interdizione dai pubblici uffici, fatta salva la successiva possibilità di "incriminazione, processo, sentenza e pena secondo le leggi ordinarie": questo è stato il caso di Richard Nixon e dello scandalo Watergate; ma altri presidenti sono stati sfiorati da scandali, a cominciare da membri dell'amministrazione Reagan coinvolti nello scandalo Iran-Contra o al più recente "sexgate" di Bill Clinton.
Riguardo il caso Nixon, argomenta la Corte Suprema: "Né la dottrina della separazione dei poteri né la necessaria riservatezza delle comunicazioni di alto livello (fra il Presidente ed i suoi collaboratori, n.d.t.) possono suffragare un assoluto, indifferenziato privilegio presidenziale di immunità processuale in qualunque circostanza. La necessità del Presidente di completa lealtà ed obiettività da parte dei consiglieri merita grande rispetto da parte dei tribunali. Tuttavia, quando il privilegio dipende esclusivamente dall'ampia, generica pretesa di pubblico interesse nella riservatezza di tali comunicazioni, emerge un bilanciamento rispetto ad altri valori. In mancanza di una pretesa necessità di preservare segreti militari, diplomatici o sensibili per la sicurezza nazionale, la riservatezza delle comunicazioni del Presidente non è significativamente sminuita dalla produzione in giudizio penale del materiale nelle condizioni protette dell'esame in camera di consiglio, e qualunque privilegio assoluto dell'esecutivo in base all'articolo II della Costituzione sarebbe in evidente conflitto con la funzione dei tribunali così come definita dalla Costituzione".
L'immunità assoluta accordata all'ufficio del Presidente in riferimento all'esercizio delle sue funzioni, comunque controllata dal Congresso, non comprende tuttavia la sua condotta non ufficiale.
Per quanto invece riguarda l'immunità parlamentare, l'L'Articolo I, Sezione VI, comma 1 della Costituzione degli Stati Uniti prevede espressamente che "in ogni caso, salvo che per tradimento, reato grave e violazione dell'ordine pubblico, (Senatori e Membri della Camera dei Rappresentanti) avranno il privilegio di non essere arrestati durante la sessione delle rispettive Camere, mentre vi si rechino o ne escano; ed in nessun altro luogo saranno chiamati a rispondere dei discorsi e dei dibattiti sostenuti nelle rispettive Camere", norma in cui è evidente l'influenza della madrepatria inglese. Ma all'immunità parlamentare la stessa giurisprudenza costituzionale statunitense pone precisi limiti; Per espresso riconoscimento della Corte Suprema, quindi, la disposizione non deve ritenersi estesa anche ai contatti che ordinariamente i Membri del Congresso intrattengono con i responsabili delle diverse articolazioni dell'Esecutivo e con le agenzie amministrative; né, per quanto difficilmente enumerabili possano essere i contenuti di un'espressione ad elevata valenza politica quale quella di "legislative activities", la storia o la formulazione testuale della "Speech and Debate Clause" possono "suggerire l'intenzione di creare un assoluto privilegio rispetto alla responsabilità o alla perseguibilità per affermazioni diffamatorie espresse al di fuori della Camera".
10-11-2009 12:38 FRANCIA/Adozione bimbo coppia omosessuale: ok da tribunale da sito ADUC
Il tribunale di Besancon, nel nord-est della Francia, ha dato il proprio via libera oggi all'adozione di un bambino da parte di una coppia omosessuale, annullando cosi' la decisione del Consiglio generale della regione del Jura, che rifiutava di dare il suo consenso.
'Le condizioni offerte dalla richiedente sul piano familiare, educativo e psicologico corrispondono ai bisogni e all'interesse di un bambino adottato', ha sottolineato il giudice, precisando che i motivi di rifiuto avanzati dal Consiglio del Jura 'non giustificano legalmente la decisione di rigetto della domanda di adozione'.
Sono dieci anni che Emmanuelle B., maestra di 48 anni, e Laurence R., psicologa infantile, si battono per ottenere il diritto di adottare un bambino. Le due donne vivono insieme da una ventina d'anni e da quattro sono unite civilmente da un Pacs.
A due riprese il Consiglio generale del Jura ha rifiutato la domanda di adozione avanzata da Emmanuelle. Ora, il via libera del tribunale riconosce la loro unione come 'solida' e 'duratura'.
Di fronte al primo rifiuto delle autorita' francesi, l'insegnante si era anche rivolta alla Corte europea dei diritti dell'Uomo, che nell'ottobre 2008 aveva condannato la Francia per discriminazione sessuale per aver negato alle due donne di adottare un bambino.
10-11-2009 13:06 FRANCIA/I pacs avanzano: tra qualche anno potrebbero superare i matrimoni
In Francia, centinaia di migliaia di coppie hanno scelto di firmare un patto civile di solidarietà (pacs) perché non desiderano né la solennità del matrimonio né l'incertezza giuridica dell'unione libera. Creato dalla legge del 15 novembre 1999, il pacs è uno strumento ideale che offre loro un quadro giuridico certo pur mantenendo la leggerezza e la discrezione della libera convivenza. In dieci anni, il successo di questo tipo di unione, che Jacques Chirac aveva bollato come "inadatto ai bisogni della famiglia", non è mai venuto meno. Nei primi anni 2000 seduceva 20.000 coppie l'anno; nel 2005 erano già 50.000 e poi su su fino a raggiungere i 150.000 nel 2008. Se continua con questo ritmo tra pochi anni potrebbe superare il matrimonio. Oggi il pacs riguarda soprattutto gli eterosessuali (il 94% nel 2008).
Se il patto civile di solidarietà ha avuto un tale successo è perchè le coppie hanno capito che offre i vantaggi del matrimonio -imposizione comune, esonero dei diritti di successione, conservazione dei benefici in caso di morte del partner- pur garantendo grande libertà. Ossia, se il divorzio impone una procedura lunga e costosa, il pacs esige una semplice lettera recapitata dall'ufficiale giudiziario.
05-11-2009 11:22 Quebec, ordine dei medici apre alla legalizzazione dell'eutanasia - Pietro Yates Moretti – dal sito dell’ADUC
Alla vigilia della discussione di un progetto di legge per legalizzare l'eutanasia in Quebec, vi sono due importanti novità che potrebbero aiutare i parlamentari a decidere.
Il Quebec College of Physicians, l'ordine dei medici della regione canadese, ha chiesto di modificare il codice penale per autorizzare l'eutanasia nei casi di "imminente o inevitabile morte". L'associazione medica sostiene che la legge vigente, non definendo il concetto di eutanasia, espone i medici all'accusa di omicidio. "Stiamo dicendo che la morte può essere un tipo di cura adeguato, in determinate circostanze", ha dichiarato il dott. Yves Robert del College. "Questa è una decisione importantissima".
Il cambiamento dovrebbe proteggere i medici che sospendono i trattamenti sanitari o aumentano le dosi di antidolorifici per lenire la sofferenza e accelerare il processo di morte, spiega il presidente del College Yves Lamontagne. "I medici fanno del loro meglio per offrire cure adeguate, sapendo che a volte le loro azioni possono essere interpretate come un reato". "Le cure adeguate non dovrebbero mai essere considerate come omicidio". Anche il ministro della Salute del Quebec, Yves Bolduc, ha fatto sapere di essere aperto all'idea.
Ma una portavoce del Ministro federale della Giustizia, il conservatore Rob Nicholson, ha detto che il Governo nazionale non ha "alcuna intenzione di farsi avanti con leggi di questo genere". Ed è per questo che gli attivisti del Quebec non guardano più al Governo centrale, ma hanno individuato un percorso da seguire a livello provinciale. Il Quebec potrebbe aprire la strada alla legalizzazione dell'eutanasia grazie ad una opinione pubblica più liberale rispetto al resto del Paese. Come con l'aborto diversi decenni fa, il governo del Québec potrebbe porre fine ai procedimenti penali per eutanasia, fintanto che siano rispettate certe regole. "Penso che sia troppo presto per il Canada, ma non per il Quebec", ha detto Yvon Bureau, assistente sociale da anni impegnata per la legalizzazione dell'eutanasia.
E proprio in questi giorni esce un nuovo sondaggio sull'eutanasia in Canada. Nonostante sia stato sponsorizzato da un'associazione religiosa anti-eutanasia e le domande definiscano l'eutanasia come l'uccisione di disabili, la maggioranza dei canadesi si è confermata fortemente favorevole alla legalizzazione della pratica. L'opinione pubblica risulta comunque sensibile al fatto che i malati, i disabili e gli anziani potrebbero essere spinti a morire senza il loro consenso. Il sondaggio del Environics Research Group ha rivelato che il 61% dei canadesi, e il 75% della popolazione del Quebec, vuole legalizzare l'eutanasia - dati che confermano un trend decennale. Ma il sondaggio ha rivelato che il sostegno può affievolirsi quando nell'intervista sono invitati a prendere in considerazione le possibili conseguenze di una tale legge, come l'uccisione in massa di anziani e disabili.
Cinquantacinque per cento di coloro che hanno espresso un forte sostegno per l'eutanasia hanno espresso preoccupazione per il numero "significativo" di persone che potrebbe essere ucciso contro la propria volontà. Fra coloro che sono moderatamente favorevoli, la percentuale sale al 72%. "Tra coloro che esprimono un sostegno moderato per la legalizzazione, la grande maggioranza pensa che il Governo debba privilegiare gli investimenti nelle cure palliative e negli hospice prima di legalizzare l'eutanasia", scrive l'istituto di sondaggi.
L'indagine di mercato ha anche rilevato che il 56% di tutti i canadesi, favorevoli e non, ha espresso una certa preoccupazione sul fatto che "le persone anziane si possano sentire spinte ad accettare l'eutanasia per ridurre i costi delle cure sanitarie".
Il sondaggio, commissionato da LifeCanada, un gruppo religioso pro-life che si oppone all'eutanasia e all'aborto, giunge proprio alla vigilia della seconda lettura parlamentare del disegno di legge Bill C-384. Se approvato, il testo legalizzerebbe l'eutanasia per quanti sono in stato di sofferenza fisica o mentale irreversibile. L'associazione ha cercato anche di manipolare i risultati del sondaggio a favore della propria causa, spiegando che il sostegno all'eutanasia non è così alto nell'opinione pubblica come quanto sembrano indicare i dati. Delores Doherty, presidente di LifeCanada, ha detto che il sondaggio ha due risultati significativi. " I canadesi sono davvero molto preoccupati per le implicazioni della legalizzazione dell'eutanasia e preferiscono che il governo si concentri sulle cure palliative per migliorare il fine vita".
Ma Derek Leebosh, il demografo che ha diretto il sondaggio, ha detto che è impossibile trarre conclusioni del genere. "Sappiamo che i canadesi sono preoccupati per le conseguenze della legalizzazione dell'eutanasia e sono aperti alle argomentazioni contro l'eutanasia". "Quello che non sappiamo è se sia sufficiente a fargli cambiare opinione sulla questione in generale".
La realtà è che, nonostante le domande poste dall'associazione cattolica siano state formulate per attirare il maggior numero di dissensi, la maggioranza del Canada, come quella di tutti i Paesi industrializzati, è favorevole a conquistare spazi di libertà nel fine vita. Nelle domande, l'eutanasia era definita come "l'uso di mezzi letali, come una iniezione di farmaci, una overdose o veleno che prenda la vita di chi è malato, depresso, anziani o disabili". Niente menzione di prognosi infauste, niente menzione dell'assoluta obbligatorietà di una richiesta formale formulata due volte a distanza di settimane da parte del paziente. E soprattutto niente menzione di tutti gli studi che dimostrano come, nei Paesi in cui è stata legalizzata l'eutanasia, sono soprattutto le persone ben istruite a chiedere e ottenere la dolce morte.
"Il sondaggio dimostra che vi è una maggioranza netta di persone quando dicono sì all'eutanasia, anche quando è descritta in un modo così negativo", ha commentato il sondaggista.
L'indagine su 1.014 canadesi, intervistati tra il 6 e 13 ottobre, ha un margine di errore di 3,1 punti percentuali, 19 volte su 20.
SIAMO CHIAMATI ALLA MEMORIA E ALLA CONSAPEVOLEZZA - QUEGLI «IMPOSSIBILI» MARTIRI E LA NOSTRA LIBERTÀ TALORA SPRECATA - MARINA CORRADI – Avvenire, 11 novembre 2009
« D avvero anche il nostro è tempo di màrtiri, per quanto ai popoli della libertà talora sprecata possa sembrare incredibile, e quasi impossibile». L’annotazione è nella prolusione del cardinale Bagnasco e commenta un massacro la cui notizia, data da Avvenire e poi filtrata nell’aula del Sinodo per l’Africa, non ha avuto grande eco: la morte per crocifissione di sette cristiani in Sudan. Ragazzi fra i quindici e i vent’anni uccisi in una macabra parodia del Golgota. Una sorte che, davvero, con gli occhi dell’Occidente pare «incredibile, e quasi impossibile». Come i massacri dei cristiani dell’Orissa; o in Pakistan dove può bastare una denuncia di blasfemia contro il Corano per essere giustiziati.
Incredibili, impossibili destini, allo sguardo dei «popoli della libertà talora sprecata». Noi: credenti o meno, o affatto, e però cresciuti nell’alveo accogliente di un Occidente da quasi duemila anni cristiano. Alveo in cui si è sedimentato, come un limo, l’idea cristiana di persona e di libertà e di diritti dell’uomo. Così che è ovvio, indiscusso che ciascuno preghi il suo Dio, o non ne preghi nessuno. In Stati laici maturati elaborando faticosamente nella storia il confronto con quella grande originaria matrice che è il cristianesimo. E, dunque, «impossibile, e quasi incredibile » oggi per noi la notizia di quelle sette croci innalzate in Sudan.
Noi, siamo i popoli liberi. Appena ieri a Berlino abbiamo festeggiato i vent’anni della caduta del Muro. Alle spalle, ormai, oltre sessant’anni di pace; e cos’è stato il totalitarismo in Europa, i nostri figli lo sanno appena. Guardano Schindler’s list come guarderebbero delle cronache marziane. Loro, sono nati liberi.
Ma, in questa libertà ereditata, scontata, qualcosa può perdersi. Prima di tutto, proprio la coscienza che niente è per sempre garantito, e che la ogni libertà va nutrita e cresciuta. In quanti ormai non andiamo nemmeno, disamorati, a votare. Don Carlo Gnocchi scriveva con passione di come l’occuparsi del «bene comune» fosse un obbligo morale dei cristiani. (Ma lui era stato sul Don con gli Alpini, nel fondo del massacro; lui aveva visto come finisce, quando un popolo abdica alla propria libertà).
Altro rischia anche di perdersi, nella libertà ricevuta senza una adeguata memoria. Il senso stesso del fare comune, del costruire insieme, che si frammenta in una galassia di individuali interessi. Leciti, oppure no. Ma comunque nella logica di un fare solo per sé. L’essere insieme, la relazione con l’altro impoverita a una, a volte infastidita, pura coabitazione. Nelle porte chiuse e anonime di mille quartieri dove, magari educatamente, ci si ignora.
Noi, popoli della libertà talora sprecata, la sera davanti alla tv, che ci insegna – lei veramente grande maestra – cosa fare, del nostro tempo e del nostro denaro. Che instilla desideri e imperativi. Che spiega che è naturale che i matrimoni finiscano, e che ora, ragazze, per abortire basta una pillola: è il progresso, che procede inarrestabile. Schiamazza dallo schermo la compagnia sguaiata del Grande Fratello: in sei milioni la contemplano e sognano di essere, un giorno, fra gli eletti.
C’è ancora tuttavia, nelle scuole e negli ospedali di questa Italia, appeso al muro un crocifisso. È Cristo in croce, e in quello scabro segno è rappresa, tacita, per molti quasi inconscia, la memoria dell’Occidente cristiano. Che sia tolto da lì, ha ordinato una Corte di sette saggi da Strasburgo – dal cuore dell’Europa, di quell’Europa dove ogni città s’è allargata attorno alla sua cattedrale come una vite dal tronco.
E noi qui a discettare se quella croce sul muro urti la libertà. Se non comprima le giovani coscienze. Quei là in Pakistan e in Orissa e in Iraq, perseguitati, nascosti. E quelle sette croci in Sudan, il martirio che matura di nuovo nel deserto del fondamentalismo, dell’odio, della negazione dell’uomo. Noi, popoli della libertà talora sprecata, che guardiamo vacui e distratti: «incredibile, quasi impossibile», che queste cose accadano ancora oggi, e davvero.