Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: il potere di Cristo? Dare la vita eterna - Discorso introduttivo all'Angelus domenicale
2) Ora la cultura scelga la via della vita - Autore: Mons. Luigi Negri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Il Giorno, 23/XI/2009 - lunedì 23 novembre 2009
3) J'ACCUSE/ Vittadini: il provincialismo degli asini bigi - Giorgio Vittadini martedì 24 novembre 2009 – ilsussidiario.net
4) DIBATTITO/ Magister: perché la Chiesa italiana ha dimenticato il bello? - INT. Sandro Magister martedì 24 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Benedetto XVI: il potere di Cristo? Dare la vita eterna - Discorso introduttivo all'Angelus domenicale
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 23 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della preghiera dell'Angelus recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
In quest’ultima domenica dell’Anno liturgico celebriamo la solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, una festa di istituzione relativamente recente, che però ha profonde radici bibliche e teologiche. Il titolo di "re", riferito a Gesù, è molto importante nei Vangeli e permette di dare una lettura completa della sua figura e della sua missione di salvezza. Si può notare a questo proposito una progressione: si parte dall’espressione "re d’Israele" e si giunge a quella di re universale, Signore del cosmo e della storia, dunque molto al di là delle attese dello stesso popolo ebraico. Al centro di questo percorso di rivelazione della regalità di Gesù Cristo sta ancora una volta il mistero della sua morte e risurrezione. Quando Gesù viene messo in croce, i sacerdoti, gli scribi e gli anziani lo deridono dicendo: "E’ il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui" (Mt 27,42). In realtà, proprio in quanto è il Figlio di Dio Gesù si è consegnato liberamente alla sua passione, e la croce è il segno paradossale della sua regalità, che consiste nella vittoria della volontà d’amore di Dio Padre sulla disobbedienza del peccato. E’ proprio offrendo se stesso nel sacrificio di espiazione che Gesù diventa il Re universale, come dichiarerà Egli stesso apparendo agli Apostoli dopo la risurrezione: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra" (Mt 28,18).
Ma in che cosa consiste il "potere" di Gesù Cristo Re? Non è quello dei re e dei grandi di questo mondo; è il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia non si impone mai, e rispetta sempre la nostra libertà. Cristo è venuto a "rendere testimonianza alla verità" (Gv 18,37) – come dichiarò di fronte a Pilato –: chi accoglie la sua testimonianza, si pone sotto la sua "bandiera", secondo l’immagine cara a sant’Ignazio di Loyola. Ad ogni coscienza, dunque, si rende necessaria – questo sì – una scelta: chi voglio seguire? Dio o il maligno? La verità o la menzogna? Scegliere per Cristo non garantisce il successo secondo i criteri del mondo, ma assicura quella pace e quella gioia che solo Lui può dare. Lo dimostra, in ogni epoca, l’esperienza di tanti uomini e donne che, in nome di Cristo, in nome della verità e della giustizia, hanno saputo opporsi alle lusinghe dei poteri terreni con le loro diverse maschere, sino a sigillare con il martirio questa loro fedeltà.
Cari fratelli e sorelle, quando l’Angelo Gabriele portò l’annuncio a Maria, Le preannunciò che il suo Figlio avrebbe ereditato il trono di Davide e regnato per sempre (cfr Lc 1,32-33). E la Vergine Santa credette ancor prima di donarLo al mondo. Dovette, poi, senz’altro domandarsi quale nuovo genere di regalità fosse quella di Gesù, e lo comprese ascoltando le sue parole e soprattutto partecipando intimamente al mistero della sua morte di croce e della sua risurrezione. Chiediamo a Maria di aiutare anche noi a seguire Gesù, nostro Re, come ha fatto Lei, e a renderGli testimonianza con tutta la nostra esistenza.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Oggi, a Nazaret si svolge la cerimonia di beatificazione di Suor Marie-Alphonsine Danil Ghattas, nata a Gerusalemme nel 1843 in una famiglia cristiana, che comprendeva ben diciannove figli. Scoprì ben presto la vocazione alla vita religiosa, a cui si appassionò, nonostante le iniziali difficoltà poste dalla famiglia. A lei va il merito di fondare una Congregazione formata solo da donne del posto, con lo scopo dell’insegnamento religioso, per vincere l’analfabetismo ed elevare le condizioni della donna di quel tempo nella terra dove Gesù stesso ne esaltò la dignità. Punto centrale della spiritualità di questa nuova Beata è l’intensa devozione alla Vergine Maria, modello luminoso di vita interamente consacrata a Dio: il Santo Rosario era la sua preghiera continua, la sua ancora di salvezza, la sua fonte di grazie. La beatificazione di questa così significativa figura di donna è di particolare conforto per la Comunità cattolica in Terra Santa ed è un invito ad affidarsi sempre, con ferma speranza, alla Divina Provvidenza e alla materna protezione di Maria.
Ieri, nella memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, ricorreva la Giornata pro orantibus, in favore delle comunità religiose di clausura. Colgo volentieri l’occasione per rivolgere ad esse il mio cordiale saluto, rinnovando a tutti l’invito a sostenerle nelle loro necessità. Sono lieto anche, in questa circostanza, di ringraziare pubblicamente le monache che si sono avvicendate nel piccolo Monastero in Vaticano: Clarisse, Carmelitane, Benedettine e, da poco, Visitandine. La vostra preghiera, care sorelle, è molto preziosa per il mio ministero.
Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli venuti da Berchiddeddu – diocesi di Ozieri – e dalle parrocchie romane dell’Ascensione e dei Santi Antonio e Annibale Maria di Francia. Saluto inoltre i partecipanti all’incontro promosso dal Movimento Cristiano Lavoratori sulla realtà dei lavoratori immigrati.
A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Ora la cultura scelga la via della vita - Autore: Mons. Luigi Negri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Il Giorno, 23/XI/2009 - lunedì 23 novembre 2009
Ospitiamo questo intervento di Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino - Montefeltro, per aprire un dialogo costruttivo e realista sull'incontro del Papa con gli artisti, che sappia chiedere agli artisti una ripresa di responsabilità
Tutti riconoscono che nell’incontro fra il Papa e gli artisti e gli uomini di cultura è accaduto un evento di straordinaria importanza. Infatti il Papa ha saputo tessere una lezione magistrale in cui si sono sintetizzati la sua grande fede, la sua indubbia capacità teologica, la vastità della sua cultura e quel caratteristico impegno educativo che esprime in tutti i suoi interventi. Ma vorrei che ci chiedessimo tutti come può continuare questo evento, perché il Papa ha messo anche in guardia sui pericoli di una cattiva arte, di una cattiva cultura e nessuno può negare che anche molti fra quelli che ascoltavano il Santo Padre sono stati responsabili, in questi anni, della cattiva cultura, della cattiva arte, del fenomeno di espropriazione, al popolo, della sua fede e della sua tradizione. Sono stati responsabili di quella sistematica e programmata distruzione dei valori fondamentali della vita. Da chi i nostri giovani hanno imparato, se non dalla cattiva arte e dalla cattiva cultura collegati all’impero mass- mediatico, da chi hanno imparato che il divorzio e l’aborto erano fatti fondamentali di civiltà, da chi hanno imparato che l’unica norma morale è il proprio istinto, che omosessualità ed eterosessualità sono sostanzialmente la stessa cosa, da chi hanno imparato che la demolizione dell’autorità è condizione del cammino umano. Questi sono guasti irreparabili che conviene cominciare a guardare con occhi spassionati per vedere come si possano superare. La Chiesa tende la mano alla cultura e all’arte ma la cultura e l’arte tendono la mano alla Chiesa? Non si può certo lasciar parlare Benedetto XVI nel modo in cui ha parlato e credere che basti dirsi contenti; saremmo nell’ambito di quell’emotivismo senza ragioni e senza verità che il Papa depreca nella Caritas in Veritate come fonte di azioni che non hanno nessuna capacità di intervento nella storia. Non noi cristiani abbiamo fatto le mostre in cui figure blasfeme sono state equiparate a fatti artistici di rilievo, in cui la blasfemia delle parole, degli scritti, degli atteggiamenti è diventata pretesa di cultura. Tutto questo deve essere rivissuto e rivisitato; è necessario che anche su tutte queste cose si faccia una purificazione della memoria. Se si deve ripartire si deve ripartire anche con la consapevolezza critica dei limiti e delle responsabilità che un certo mondo culturale ed artistico laicista si è assunto nello spingere questo popolo verso quel nichilismo gaio di cui parlava il grande Augusto Del Noce o verso quella omologazione radicale sul nulla di cui parlava, qualche anno prima della sua improvvisa e tragica morte, Pier Paolo Pasolini. Io credo questo: sono convinto che per riaprire il dialogo fra Chiesa ed arte che è stato così significativamente testimoniato ed indicato dal Magistero di Giovanni Paolo II, occorra uno scatto di novità nella coscienza e nel cuore di tanti uomini di cultura che riprendano, dignitosamente la strada della ricerca del senso della vita e capiscano che è nel dialogo libero, impegnato, spregiudicato fra le varie opzioni culturali e religiose che sta la ripresa d’importanza del fenomeno culturale e del fenomeno artistico come strumenti fondamentali di educazione. Ma forse anche il popolo cattolico, anche la cristianità italiana devono fare una purificazione della memoria; non abbiamo estromesso troppo facilmente dalla vita delle nostre comunità l’elemento culturale ed artistico consegnandolo sbrigativamente alla cultura dominante? Tutte le nostre grandi sale cinematografiche e teatrali impietosamente deserte o affittate alle istituzioni in cui passano circuiti culturali e artistici, o decisamente avversi alla posizione della Chiesa o neutrali. Anche qui il Papa ci chiede di fare un salto, ci chiede di recuperare che l’arte e la cultura sono espressione della bellezza della fede cristiana e strumenti di educazione a questa bellezza e a questa verità. Solo a queste condizioni, questo grande evento non si concluderà semplicemente come una emozione di un momento, ma diventerà una possibilità di cammino e di comprensione comune di dialogo e di collaborazione.
Pennabilli, 22 Novembre 2009
+Luigi Negri
Vescovo di San Marino-Montefeltro
J'ACCUSE/ Vittadini: il provincialismo degli asini bigi - Giorgio Vittadini martedì 24 novembre 2009 – ilsussidiario.net
In un recente convegno organizzato da Fondazione Sussidiarietà e Fondazione Oliver Twist, una scuola professionale nata dall’esperienza dell’Opera sociale Cometa, Lester Salamon della Johns Hopkins University di Baltimora, uno dei più grandi esperti mondiali di non profit, chiamato a valutare il “caso Cometa”, ha affermato: “Ci sono due impulsi apparentemente in contraddizione l’uno con l’altro: da una parte l’impegno radicato verso la libertà e l’iniziativa individuale e dall’altra parte il concetto, ugualmente fondamentale, che tutti noi viviamo in una comunità e abbiamo la responsabilità di andare oltre noi stessi ed adoperarci per il bene dei nostri simili. Quello che c’è di speciale e unico nei soggetti che fanno parte del Terzo Settore, è che combinano questi due impulsi, producendo così una serie di istituzioni sociali che si dedicano alla mobilitazione dell’iniziativa privata per il bene comune”.
Ciò è confermato ancora nella Caritas in veritate: “Accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale” (n. 7).
Secondo la visione del mondo neo-liberale ci sono solo due modelli di base del welfare: uno dove domina l’intervento statale e dove viene compresso il ruolo delle realtà non profit, della società civile, di movimenti e associazioni; l’altro modello, alternativo, dove è ridotto al minimo l’intervento dello Stato a favore delle suddette realtà.
Le ricerche empiriche di Salamon sul Terzo Settore negli Stati Uniti hanno invece mostrato che la crescita del welfare state durante il New Deal degli anni ’30 e la Great Society degli anni ’60, non ha affatto diminuito il Terzo Settore, anzi, negli anni ’60 si è addirittura assistito ad una crescita delle realtà non profit come non mai nella storia statunitense. E la stessa cosa è successa nei welfare state europei (Germania, Paesi Bassi, Belgio, Irlanda), dove si sono create delle partnership tra il pubblico e il privato sociale.
Conclude Salamon: “Possiamo quindi miscelare governo, mondo delle aziende profit e non profit in mille modi e in nuovi modi efficaci”.
Ciò dovrebbe portare al superamento di quella contrapposizione tra pubblico e privato mosso da criteri ideali che purtroppo ancora domina nel mondo politico di destra e di sinistra, in molti commentatori giornalisti e in molti studiosi. Questa contrapposizione infatti, come si è visto, non descrive la realtà dei fatti degli ultimi decenni.
Perché invece, in Italia, chi afferma questo passa per utopista o fautore di sistemi clientelari? Perché in certa pubblicistica, in certa accademia e in certa politica deve dominare un mediocre e presuntuoso provincialismo che si nutre di ignoranza colpevole di ciò che c’è di meglio e di nuovo nel mondo? Viene in mente l'asino bigio di carducciana memoria...
DIBATTITO/ Magister: perché la Chiesa italiana ha dimenticato il bello? - INT. Sandro Magister martedì 24 novembre 2009 – ilsussidiario.net
«Le parole di Scola mi ricordano un pericolo presente nella cattolicità italiana. Una tendenza, diffusa sia a livello del clero che del laicato, che potrei definire razionalizzante: quella cioè di cercare di “addomesticare” la fede cristiana in modo da poterla presentare nei termini della cultura moderna». Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso, così commenta la recente intervista a ilsussidiario.net del cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia.
Secondo lei la proposta culturale della Chiesa italiana risponde al bisogno spirituale dell’uomo di oggi, per il quale “le due parole dominanti - come dice il cardinale Scola - sono felicità e libertà”?
Credo che il cardinale Scola, pur ritenendo sempre legittima la questione della verità, abbia voluto spostare l’accento sui valori più problematici nel confronto tra la chiesa e la società attuale. Questa preoccupazione rispende all’esigenza di affrontare la società contemporanea sul suo terreno: felicità e libertà, che sono contrabbandati in qualche modo come i primi ideali di una società che vuole svincolarsi completamente dalla chiesa, sono in realtà elementi essenziali della fede cristiana stessa. E confinano col tema della bellezza, molto caro a Benedetto XVI.
“L’esperienza del bello - ha detto il Papa venerdì scorso agli artisti - , del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità”.
Esatto. La via della bellezza è una via alla trascendenza. E felicità e libertà sono due declinazioni della bellezza. Un messaggio decisamente alternativo a quello lanciato da una parte pur importante della cultura moderna non con la chiesa ma contro di essa.
Secondo lei che cosa teme di più la chiesa italiana oggi? I pericoli di una scienza che pretende di manipolare l’uomo, o la politica sprofondata in uno stato di conflittualità permanente?
Opterei decisamente per il primo elemento, perché in fondo la conflittualità politica è un elemento del paesaggio umano che ha sempre accompagnato, e accompagnerà, la dialettica della presenza della Chiesa nella società. Mentre la tecnoscenza oggi pretende qualcosa di molto superiore a quello che pretendeva in passato: di incidere sulla vita umana fino a sconvolgere il dato biologico di partenza. Mostra la pretesa smisurata di influire sulla generazione stessa dell’uomo, e quindi sulla sua identità. Una cosa che la Chiesa non può accettare.
Contro il relativismo e lo smarrimento Scola afferma che c’è un punto fermo sul quale fede e ragione possono incontrarsi: quello “dell’esperienza morale elementare”, la traccia della dimensione spirituale dell’uomo. Quanto conta nella chiesa italiana di oggi questo metodo?
Le parole di Scola mi ricordano un pericolo presente nella cattolicità italiana. Una tendenza, diffusa sia a livello del clero che del laicato, che potrei definire razionalizzante: quella cioè di cercare di “addomesticare” la fede cristiana in modo da poterla presentare nei termini della cultura moderna. Si trascura o si ignora per mancanza di sensibilità che il patrimonio di fede della Chiesa non è trasmissibile semplicemente cercando di spiegarlo, ma grazie ad un fattore “elementare”, e che consiste essenzialmente in quello che il cardinale Scola chiama l’incontro con una persona.
L’incontro con una ipotesi che spieghi la realtà tutta, afferma.
Ma c’è una precisazione importante da fare. E cioè che anche l’incontro non può e non deve essere pensato in termini astratti. Quando il cardinale Scola dice che l’esperienza elementare è “inaffondabile”, fa una riflessione che a mio avviso rimanda ulteriormente all’idea del bello.
Perché?
È quello che Benedetto XVI trasmette con grande forza non solo incontrando gli artisti, ma nell’insieme di tutta la sua predicazione: la percezione del divino dev’essere capace di mostrare la bellezza del divino stesso, che può valere molto più di tanti ragionamenti. Quello che può essere identificato con la bellezza Ratzinger in alcuni momenti lo ha identificato in modo ancora più concreto con quella scia che percorre tutta la storia della Chiesa e che è data dai santi e dall’arte cristiana. Sono modelli di percezione, quelli artistici e della santità vissuta, che non abbisognano di grandi ragionamenti, ma di essere visti, guardati, percepiti. È questa l’elementarità della trasmissione della fede cristiana.
Un’elementarità, lei dice, che buona parte della Chiesa ha dimenticato.
Sì. Basti pensare alla trascuratezza totale che l’arte cristiana ha oggi nella predicazione e nella trasmissione della fede da parte della Chiesa italiana: fatta di persone che predicano ogni domenica, in larghissima misura, avvolti da opere d’arte e non se ne accorgono, né inducono i fedeli a farlo e ad afferrare, attraverso di esse, il bello che è Dio.
È ancora possibile secondo lei una “strategia” della presenza cattolica? Scola sembra escluderlo: “l’identità non si comunica con strategie e progetti”. C’è il rischio che l’idea stessa di un progetto culturale cada nella “gestione” della fede?
No, direi che il progetto culturale della Cei, nel modo in cui concretamente ha preso forma grazie all’opera del cardinale Camillo Ruini, non è confondibile con questo rischio, anzi porta direttamente nella direzione opposta, incontrando quella indicata da Scola. Il progetto culturale non è uno strumento pensato per essere nelle mani di operatori “politici” che debbano percorrere strade particolari più adatte o consone agli interessi della Chiesa: niente di tutto questo. Per continuare la metafora, con il progetto culturale la Chiesa lavora a tutto campo, in modo “extraparlamentare”: pre-politico e post-politico.
Non vede dunque alcuna opposizione tra le due ispirazioni pastorali?
No. credo anzi che l’accordo tra Scola e la linea di Ruini, espressa dal progetto culturale, sia fortissimo. Anche se Scola non usa qui la parola “progetto culturale” né la usa mai, è straordinaria l’affinità tra quello che fa e dice e le ragioni alla base del progetto culturale. La mia convinzione anzi è che quello che Scola fa e dice esprime in modo creativo proprio il progetto culturale in atto in Italia.
C’è secondo lei un elemento che lega l’azione di Ratzinger a Scola e Ruini?
Che ci sia una sintonia di fondo tra queste tre grandi figure non c’è dubbio e io lo penso da molti anni, anche se sono persone che si muovono in modo abbastanza autonomo tra loro, non “concordato”, per così dire. Sono persone che partendo ognuno da una grande ricchezza culturale e teologica con caratteristiche personali e peculiari spiccate, si muovono sostanzialmente in sintonia e trovano elementi comuni molto forti. Filosofia e teologia sono campi nei quali ciascuno di loro, in modo diverso, ha detto e scritto cose importanti. Tutti e tre hanno intuito in anticipo e spiegato cosa è cambiato nella società e nella cultura degli ultimi decenni. Nella loro riflessione hanno affrontato di petto i problemi della modernità, spiegandola nei suoi pregi e difetti, senza rigettarla. E soprattutto, sono ottimisti: hanno grande fiducia nell’uomo, ma la loro è una fiducia realistica, e questo impedisce loro di illudersi sulla difficoltà di trasmettere la fede nel momento presente.
1) Benedetto XVI: il potere di Cristo? Dare la vita eterna - Discorso introduttivo all'Angelus domenicale
2) Ora la cultura scelga la via della vita - Autore: Mons. Luigi Negri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Il Giorno, 23/XI/2009 - lunedì 23 novembre 2009
3) J'ACCUSE/ Vittadini: il provincialismo degli asini bigi - Giorgio Vittadini martedì 24 novembre 2009 – ilsussidiario.net
4) DIBATTITO/ Magister: perché la Chiesa italiana ha dimenticato il bello? - INT. Sandro Magister martedì 24 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Benedetto XVI: il potere di Cristo? Dare la vita eterna - Discorso introduttivo all'Angelus domenicale
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 23 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della preghiera dell'Angelus recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro.
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Cari fratelli e sorelle!
In quest’ultima domenica dell’Anno liturgico celebriamo la solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, una festa di istituzione relativamente recente, che però ha profonde radici bibliche e teologiche. Il titolo di "re", riferito a Gesù, è molto importante nei Vangeli e permette di dare una lettura completa della sua figura e della sua missione di salvezza. Si può notare a questo proposito una progressione: si parte dall’espressione "re d’Israele" e si giunge a quella di re universale, Signore del cosmo e della storia, dunque molto al di là delle attese dello stesso popolo ebraico. Al centro di questo percorso di rivelazione della regalità di Gesù Cristo sta ancora una volta il mistero della sua morte e risurrezione. Quando Gesù viene messo in croce, i sacerdoti, gli scribi e gli anziani lo deridono dicendo: "E’ il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui" (Mt 27,42). In realtà, proprio in quanto è il Figlio di Dio Gesù si è consegnato liberamente alla sua passione, e la croce è il segno paradossale della sua regalità, che consiste nella vittoria della volontà d’amore di Dio Padre sulla disobbedienza del peccato. E’ proprio offrendo se stesso nel sacrificio di espiazione che Gesù diventa il Re universale, come dichiarerà Egli stesso apparendo agli Apostoli dopo la risurrezione: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra" (Mt 28,18).
Ma in che cosa consiste il "potere" di Gesù Cristo Re? Non è quello dei re e dei grandi di questo mondo; è il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia non si impone mai, e rispetta sempre la nostra libertà. Cristo è venuto a "rendere testimonianza alla verità" (Gv 18,37) – come dichiarò di fronte a Pilato –: chi accoglie la sua testimonianza, si pone sotto la sua "bandiera", secondo l’immagine cara a sant’Ignazio di Loyola. Ad ogni coscienza, dunque, si rende necessaria – questo sì – una scelta: chi voglio seguire? Dio o il maligno? La verità o la menzogna? Scegliere per Cristo non garantisce il successo secondo i criteri del mondo, ma assicura quella pace e quella gioia che solo Lui può dare. Lo dimostra, in ogni epoca, l’esperienza di tanti uomini e donne che, in nome di Cristo, in nome della verità e della giustizia, hanno saputo opporsi alle lusinghe dei poteri terreni con le loro diverse maschere, sino a sigillare con il martirio questa loro fedeltà.
Cari fratelli e sorelle, quando l’Angelo Gabriele portò l’annuncio a Maria, Le preannunciò che il suo Figlio avrebbe ereditato il trono di Davide e regnato per sempre (cfr Lc 1,32-33). E la Vergine Santa credette ancor prima di donarLo al mondo. Dovette, poi, senz’altro domandarsi quale nuovo genere di regalità fosse quella di Gesù, e lo comprese ascoltando le sue parole e soprattutto partecipando intimamente al mistero della sua morte di croce e della sua risurrezione. Chiediamo a Maria di aiutare anche noi a seguire Gesù, nostro Re, come ha fatto Lei, e a renderGli testimonianza con tutta la nostra esistenza.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Oggi, a Nazaret si svolge la cerimonia di beatificazione di Suor Marie-Alphonsine Danil Ghattas, nata a Gerusalemme nel 1843 in una famiglia cristiana, che comprendeva ben diciannove figli. Scoprì ben presto la vocazione alla vita religiosa, a cui si appassionò, nonostante le iniziali difficoltà poste dalla famiglia. A lei va il merito di fondare una Congregazione formata solo da donne del posto, con lo scopo dell’insegnamento religioso, per vincere l’analfabetismo ed elevare le condizioni della donna di quel tempo nella terra dove Gesù stesso ne esaltò la dignità. Punto centrale della spiritualità di questa nuova Beata è l’intensa devozione alla Vergine Maria, modello luminoso di vita interamente consacrata a Dio: il Santo Rosario era la sua preghiera continua, la sua ancora di salvezza, la sua fonte di grazie. La beatificazione di questa così significativa figura di donna è di particolare conforto per la Comunità cattolica in Terra Santa ed è un invito ad affidarsi sempre, con ferma speranza, alla Divina Provvidenza e alla materna protezione di Maria.
Ieri, nella memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, ricorreva la Giornata pro orantibus, in favore delle comunità religiose di clausura. Colgo volentieri l’occasione per rivolgere ad esse il mio cordiale saluto, rinnovando a tutti l’invito a sostenerle nelle loro necessità. Sono lieto anche, in questa circostanza, di ringraziare pubblicamente le monache che si sono avvicendate nel piccolo Monastero in Vaticano: Clarisse, Carmelitane, Benedettine e, da poco, Visitandine. La vostra preghiera, care sorelle, è molto preziosa per il mio ministero.
Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli venuti da Berchiddeddu – diocesi di Ozieri – e dalle parrocchie romane dell’Ascensione e dei Santi Antonio e Annibale Maria di Francia. Saluto inoltre i partecipanti all’incontro promosso dal Movimento Cristiano Lavoratori sulla realtà dei lavoratori immigrati.
A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Ora la cultura scelga la via della vita - Autore: Mons. Luigi Negri Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: Il Giorno, 23/XI/2009 - lunedì 23 novembre 2009
Ospitiamo questo intervento di Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino - Montefeltro, per aprire un dialogo costruttivo e realista sull'incontro del Papa con gli artisti, che sappia chiedere agli artisti una ripresa di responsabilità
Tutti riconoscono che nell’incontro fra il Papa e gli artisti e gli uomini di cultura è accaduto un evento di straordinaria importanza. Infatti il Papa ha saputo tessere una lezione magistrale in cui si sono sintetizzati la sua grande fede, la sua indubbia capacità teologica, la vastità della sua cultura e quel caratteristico impegno educativo che esprime in tutti i suoi interventi. Ma vorrei che ci chiedessimo tutti come può continuare questo evento, perché il Papa ha messo anche in guardia sui pericoli di una cattiva arte, di una cattiva cultura e nessuno può negare che anche molti fra quelli che ascoltavano il Santo Padre sono stati responsabili, in questi anni, della cattiva cultura, della cattiva arte, del fenomeno di espropriazione, al popolo, della sua fede e della sua tradizione. Sono stati responsabili di quella sistematica e programmata distruzione dei valori fondamentali della vita. Da chi i nostri giovani hanno imparato, se non dalla cattiva arte e dalla cattiva cultura collegati all’impero mass- mediatico, da chi hanno imparato che il divorzio e l’aborto erano fatti fondamentali di civiltà, da chi hanno imparato che l’unica norma morale è il proprio istinto, che omosessualità ed eterosessualità sono sostanzialmente la stessa cosa, da chi hanno imparato che la demolizione dell’autorità è condizione del cammino umano. Questi sono guasti irreparabili che conviene cominciare a guardare con occhi spassionati per vedere come si possano superare. La Chiesa tende la mano alla cultura e all’arte ma la cultura e l’arte tendono la mano alla Chiesa? Non si può certo lasciar parlare Benedetto XVI nel modo in cui ha parlato e credere che basti dirsi contenti; saremmo nell’ambito di quell’emotivismo senza ragioni e senza verità che il Papa depreca nella Caritas in Veritate come fonte di azioni che non hanno nessuna capacità di intervento nella storia. Non noi cristiani abbiamo fatto le mostre in cui figure blasfeme sono state equiparate a fatti artistici di rilievo, in cui la blasfemia delle parole, degli scritti, degli atteggiamenti è diventata pretesa di cultura. Tutto questo deve essere rivissuto e rivisitato; è necessario che anche su tutte queste cose si faccia una purificazione della memoria. Se si deve ripartire si deve ripartire anche con la consapevolezza critica dei limiti e delle responsabilità che un certo mondo culturale ed artistico laicista si è assunto nello spingere questo popolo verso quel nichilismo gaio di cui parlava il grande Augusto Del Noce o verso quella omologazione radicale sul nulla di cui parlava, qualche anno prima della sua improvvisa e tragica morte, Pier Paolo Pasolini. Io credo questo: sono convinto che per riaprire il dialogo fra Chiesa ed arte che è stato così significativamente testimoniato ed indicato dal Magistero di Giovanni Paolo II, occorra uno scatto di novità nella coscienza e nel cuore di tanti uomini di cultura che riprendano, dignitosamente la strada della ricerca del senso della vita e capiscano che è nel dialogo libero, impegnato, spregiudicato fra le varie opzioni culturali e religiose che sta la ripresa d’importanza del fenomeno culturale e del fenomeno artistico come strumenti fondamentali di educazione. Ma forse anche il popolo cattolico, anche la cristianità italiana devono fare una purificazione della memoria; non abbiamo estromesso troppo facilmente dalla vita delle nostre comunità l’elemento culturale ed artistico consegnandolo sbrigativamente alla cultura dominante? Tutte le nostre grandi sale cinematografiche e teatrali impietosamente deserte o affittate alle istituzioni in cui passano circuiti culturali e artistici, o decisamente avversi alla posizione della Chiesa o neutrali. Anche qui il Papa ci chiede di fare un salto, ci chiede di recuperare che l’arte e la cultura sono espressione della bellezza della fede cristiana e strumenti di educazione a questa bellezza e a questa verità. Solo a queste condizioni, questo grande evento non si concluderà semplicemente come una emozione di un momento, ma diventerà una possibilità di cammino e di comprensione comune di dialogo e di collaborazione.
Pennabilli, 22 Novembre 2009
+Luigi Negri
Vescovo di San Marino-Montefeltro
J'ACCUSE/ Vittadini: il provincialismo degli asini bigi - Giorgio Vittadini martedì 24 novembre 2009 – ilsussidiario.net
In un recente convegno organizzato da Fondazione Sussidiarietà e Fondazione Oliver Twist, una scuola professionale nata dall’esperienza dell’Opera sociale Cometa, Lester Salamon della Johns Hopkins University di Baltimora, uno dei più grandi esperti mondiali di non profit, chiamato a valutare il “caso Cometa”, ha affermato: “Ci sono due impulsi apparentemente in contraddizione l’uno con l’altro: da una parte l’impegno radicato verso la libertà e l’iniziativa individuale e dall’altra parte il concetto, ugualmente fondamentale, che tutti noi viviamo in una comunità e abbiamo la responsabilità di andare oltre noi stessi ed adoperarci per il bene dei nostri simili. Quello che c’è di speciale e unico nei soggetti che fanno parte del Terzo Settore, è che combinano questi due impulsi, producendo così una serie di istituzioni sociali che si dedicano alla mobilitazione dell’iniziativa privata per il bene comune”.
Ciò è confermato ancora nella Caritas in veritate: “Accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale” (n. 7).
Secondo la visione del mondo neo-liberale ci sono solo due modelli di base del welfare: uno dove domina l’intervento statale e dove viene compresso il ruolo delle realtà non profit, della società civile, di movimenti e associazioni; l’altro modello, alternativo, dove è ridotto al minimo l’intervento dello Stato a favore delle suddette realtà.
Le ricerche empiriche di Salamon sul Terzo Settore negli Stati Uniti hanno invece mostrato che la crescita del welfare state durante il New Deal degli anni ’30 e la Great Society degli anni ’60, non ha affatto diminuito il Terzo Settore, anzi, negli anni ’60 si è addirittura assistito ad una crescita delle realtà non profit come non mai nella storia statunitense. E la stessa cosa è successa nei welfare state europei (Germania, Paesi Bassi, Belgio, Irlanda), dove si sono create delle partnership tra il pubblico e il privato sociale.
Conclude Salamon: “Possiamo quindi miscelare governo, mondo delle aziende profit e non profit in mille modi e in nuovi modi efficaci”.
Ciò dovrebbe portare al superamento di quella contrapposizione tra pubblico e privato mosso da criteri ideali che purtroppo ancora domina nel mondo politico di destra e di sinistra, in molti commentatori giornalisti e in molti studiosi. Questa contrapposizione infatti, come si è visto, non descrive la realtà dei fatti degli ultimi decenni.
Perché invece, in Italia, chi afferma questo passa per utopista o fautore di sistemi clientelari? Perché in certa pubblicistica, in certa accademia e in certa politica deve dominare un mediocre e presuntuoso provincialismo che si nutre di ignoranza colpevole di ciò che c’è di meglio e di nuovo nel mondo? Viene in mente l'asino bigio di carducciana memoria...
DIBATTITO/ Magister: perché la Chiesa italiana ha dimenticato il bello? - INT. Sandro Magister martedì 24 novembre 2009 – ilsussidiario.net
«Le parole di Scola mi ricordano un pericolo presente nella cattolicità italiana. Una tendenza, diffusa sia a livello del clero che del laicato, che potrei definire razionalizzante: quella cioè di cercare di “addomesticare” la fede cristiana in modo da poterla presentare nei termini della cultura moderna». Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso, così commenta la recente intervista a ilsussidiario.net del cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia.
Secondo lei la proposta culturale della Chiesa italiana risponde al bisogno spirituale dell’uomo di oggi, per il quale “le due parole dominanti - come dice il cardinale Scola - sono felicità e libertà”?
Credo che il cardinale Scola, pur ritenendo sempre legittima la questione della verità, abbia voluto spostare l’accento sui valori più problematici nel confronto tra la chiesa e la società attuale. Questa preoccupazione rispende all’esigenza di affrontare la società contemporanea sul suo terreno: felicità e libertà, che sono contrabbandati in qualche modo come i primi ideali di una società che vuole svincolarsi completamente dalla chiesa, sono in realtà elementi essenziali della fede cristiana stessa. E confinano col tema della bellezza, molto caro a Benedetto XVI.
“L’esperienza del bello - ha detto il Papa venerdì scorso agli artisti - , del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità”.
Esatto. La via della bellezza è una via alla trascendenza. E felicità e libertà sono due declinazioni della bellezza. Un messaggio decisamente alternativo a quello lanciato da una parte pur importante della cultura moderna non con la chiesa ma contro di essa.
Secondo lei che cosa teme di più la chiesa italiana oggi? I pericoli di una scienza che pretende di manipolare l’uomo, o la politica sprofondata in uno stato di conflittualità permanente?
Opterei decisamente per il primo elemento, perché in fondo la conflittualità politica è un elemento del paesaggio umano che ha sempre accompagnato, e accompagnerà, la dialettica della presenza della Chiesa nella società. Mentre la tecnoscenza oggi pretende qualcosa di molto superiore a quello che pretendeva in passato: di incidere sulla vita umana fino a sconvolgere il dato biologico di partenza. Mostra la pretesa smisurata di influire sulla generazione stessa dell’uomo, e quindi sulla sua identità. Una cosa che la Chiesa non può accettare.
Contro il relativismo e lo smarrimento Scola afferma che c’è un punto fermo sul quale fede e ragione possono incontrarsi: quello “dell’esperienza morale elementare”, la traccia della dimensione spirituale dell’uomo. Quanto conta nella chiesa italiana di oggi questo metodo?
Le parole di Scola mi ricordano un pericolo presente nella cattolicità italiana. Una tendenza, diffusa sia a livello del clero che del laicato, che potrei definire razionalizzante: quella cioè di cercare di “addomesticare” la fede cristiana in modo da poterla presentare nei termini della cultura moderna. Si trascura o si ignora per mancanza di sensibilità che il patrimonio di fede della Chiesa non è trasmissibile semplicemente cercando di spiegarlo, ma grazie ad un fattore “elementare”, e che consiste essenzialmente in quello che il cardinale Scola chiama l’incontro con una persona.
L’incontro con una ipotesi che spieghi la realtà tutta, afferma.
Ma c’è una precisazione importante da fare. E cioè che anche l’incontro non può e non deve essere pensato in termini astratti. Quando il cardinale Scola dice che l’esperienza elementare è “inaffondabile”, fa una riflessione che a mio avviso rimanda ulteriormente all’idea del bello.
Perché?
È quello che Benedetto XVI trasmette con grande forza non solo incontrando gli artisti, ma nell’insieme di tutta la sua predicazione: la percezione del divino dev’essere capace di mostrare la bellezza del divino stesso, che può valere molto più di tanti ragionamenti. Quello che può essere identificato con la bellezza Ratzinger in alcuni momenti lo ha identificato in modo ancora più concreto con quella scia che percorre tutta la storia della Chiesa e che è data dai santi e dall’arte cristiana. Sono modelli di percezione, quelli artistici e della santità vissuta, che non abbisognano di grandi ragionamenti, ma di essere visti, guardati, percepiti. È questa l’elementarità della trasmissione della fede cristiana.
Un’elementarità, lei dice, che buona parte della Chiesa ha dimenticato.
Sì. Basti pensare alla trascuratezza totale che l’arte cristiana ha oggi nella predicazione e nella trasmissione della fede da parte della Chiesa italiana: fatta di persone che predicano ogni domenica, in larghissima misura, avvolti da opere d’arte e non se ne accorgono, né inducono i fedeli a farlo e ad afferrare, attraverso di esse, il bello che è Dio.
È ancora possibile secondo lei una “strategia” della presenza cattolica? Scola sembra escluderlo: “l’identità non si comunica con strategie e progetti”. C’è il rischio che l’idea stessa di un progetto culturale cada nella “gestione” della fede?
No, direi che il progetto culturale della Cei, nel modo in cui concretamente ha preso forma grazie all’opera del cardinale Camillo Ruini, non è confondibile con questo rischio, anzi porta direttamente nella direzione opposta, incontrando quella indicata da Scola. Il progetto culturale non è uno strumento pensato per essere nelle mani di operatori “politici” che debbano percorrere strade particolari più adatte o consone agli interessi della Chiesa: niente di tutto questo. Per continuare la metafora, con il progetto culturale la Chiesa lavora a tutto campo, in modo “extraparlamentare”: pre-politico e post-politico.
Non vede dunque alcuna opposizione tra le due ispirazioni pastorali?
No. credo anzi che l’accordo tra Scola e la linea di Ruini, espressa dal progetto culturale, sia fortissimo. Anche se Scola non usa qui la parola “progetto culturale” né la usa mai, è straordinaria l’affinità tra quello che fa e dice e le ragioni alla base del progetto culturale. La mia convinzione anzi è che quello che Scola fa e dice esprime in modo creativo proprio il progetto culturale in atto in Italia.
C’è secondo lei un elemento che lega l’azione di Ratzinger a Scola e Ruini?
Che ci sia una sintonia di fondo tra queste tre grandi figure non c’è dubbio e io lo penso da molti anni, anche se sono persone che si muovono in modo abbastanza autonomo tra loro, non “concordato”, per così dire. Sono persone che partendo ognuno da una grande ricchezza culturale e teologica con caratteristiche personali e peculiari spiccate, si muovono sostanzialmente in sintonia e trovano elementi comuni molto forti. Filosofia e teologia sono campi nei quali ciascuno di loro, in modo diverso, ha detto e scritto cose importanti. Tutti e tre hanno intuito in anticipo e spiegato cosa è cambiato nella società e nella cultura degli ultimi decenni. Nella loro riflessione hanno affrontato di petto i problemi della modernità, spiegandola nei suoi pregi e difetti, senza rigettarla. E soprattutto, sono ottimisti: hanno grande fiducia nell’uomo, ma la loro è una fiducia realistica, e questo impedisce loro di illudersi sulla difficoltà di trasmettere la fede nel momento presente.