mercoledì 25 novembre 2009

Nella rassegna stampa di oggi:
1) SCOLA/ 2. Cazzullo: per uscire dalla crisi non serve il rigore morale ma l’educazione - INT. Aldo Cazzullo mercoledì 25 novembre 2009
2) RU486/ D'Agostino: ecco perchè tocca alla politica fermare l'aborto a domicilio - INT. Francesco D'Agostino mercoledì 25 novembre 2009 – ilsussidiario.net
3) FRANCIA - Dibattito parlamentare sulla legalizzazione dell'eutanasia - Notizia 18 novembre 2009 9:19 – da sito ADUC
4) Austria - Il Parlamento si batte per il crocifisso a scuola - Notizia 20 novembre 2009 10:29 – dal sito ADUC
5) EUROPA - Brevetto per l'uso di ovuli umani - Notizia 20 novembre 2009 11:25 – da ADUC
6) USA - La discriminazione genetica bandita dalle aziende - Notizia 21 novembre 2009 12:13 – da sito ADUC
7) Stati vegetativi: per 23 anni creduto in coma - MA LUI SENTIVA E CAPIVA TUTTO - Avvenire, 24 novembre 2009
8) Gli Usa, un film senza trama - Lorenzo Albacete mercoledì 25 novembre 2009 – ilsussidiario.net
9) EDUCAZIONE/ Mentire ai propri figli per “proteggerli”, l’ultima pericolosa tendenza - Luigi Ballerini mercoledì 25 novembre 2009 – ilsussidiario.net
10) COSA INSEGNA ALLA SCIENZA IL CASO DEL RISVEGLIATO DAL COMA - L’umiltà di tornare al capezzale di malati etichettati come persi - MARINA CORRADI – Avvenire, 25 novembre 2009


SCOLA/ 2. Cazzullo: per uscire dalla crisi non serve il rigore morale ma l’educazione - INT. Aldo Cazzullo mercoledì 25 novembre 2009
“Si vanno diffondendo - Benedetto XVI lo ha ripetuto a Brescia - un’atmosfera, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona, del significato della verità e del bene. Eppure si avverte con forza una diffusa sete di certezze e di valori”. L’uomo di oggi è smarrito, ha detto a ilsussidiario.net il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, che lo ha paragonato ad un “puglie suonato, che incassa un forte colpo, ma continua il suo combattimento sul ring”. La sfida dell’educazione, in altre parole, è sempre aperta. Ma “si tratta di ritrovare le modalità adeguate per educare”. Dopo Sandro Magister, è Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere, a confrontarsi con le parole del cardinale.



«Viviamo in tempi nei quali si avverte una vera “emergenza educativa”», ha detto il papa a Brescia richiamandosi alle parole di Paolo VI. La Chiesa italiana come ha risposto a questa sfida?



Il valore della risposta, dice Scola nella sua intervista, sta nella testimonianza degli adulti alla verità che propongono. Io credo che la Chiesa vi sia riuscita. È una delle poche realtà che hanno saputo dare una risposta al deserto di valori nato dal riflusso degli anni ’80, che in Italia non sono mai finiti. L’America, con la grande crisi finanziaria e con l’elezione di Obama, in un modo o nell’altro ha voltato pagina, noi no. Il ’68 nel nostro paese è durato dodici anni, gli anni ’80 non sono ancora finiti. Quando la politica di strada e di piazza, dopo i suoi disastri, ha lasciato il campo all’individualismo e alla solitudine, e tutti si sono rifugiati in casa a godersi la tv e “il campionato più bello del mondo”, la Chiesa è forse l’unica a cercare di elaborare una risposta per la persona e la società.



E qual è questa risposta?



Che la persona non è sola. Lo stesso successo avuto da Cl negli anni ’80 lo spiego in questo modo. La Chiesa ha saputo proporre alle persone non solo la visione ma anche, almeno in parte, l’esperienza di una comunità nella quale vivere e a cui riferirsi. Una risposta al senso di angoscia e di smarrimento dei nostri contemporanei l’ha offerta, accettarla è un altro discorso. Ma la replica della Chiesa italiana al materialismo e alla riduzione dell’uomo al domino del denaro, c’è stata ed è forte.



Secondo lei quali sfide preoccupano di più i vescovi? Scola dice di essere allarmato dalle illusioni offerte all’uomo dalle scienze sperimentali e dalla possibilità che la tecnoscienza offre all’uomo di rivoluzionare la propria stessa vita.



L’offensiva della tecnica è fondamentale, ma permangono anche le preoccupazioni che derivano dalla convivenza politica e dalla questione economica. Lo stesso cardinale Scola, pur avendo i “piedi” ben piantati nel papato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI in qualche modo va costruendo un sistema di pensiero originale intorno a concetti e parole chiave che sono tipicamente suoi: nuova laicità e meticciato, solo per citarne i due più diffusi. Certamente il tema della bioetica rimane al centro della sua riflessione.



Lei ricorda un momento particolare del vostro incontro?

Mi ha molto colpito il modo accorato con cui lui stesso mi ha raccontato, in una mia intervista dell’estate scorsa, la percezione di “miseria” , di impotenza personale, e di scacco provocante, che gli è derivata dal far visita ad un malato di Sla che poteva comunicare solo con gli occhi. E dal vedere come fosse circondato dall’amore “ad oltranza” dei suoi figli. “Io ho trovato solo ammalati che, anziché chiedere una morte degna - diceva Scola - chiedevano una vita degna fino agli ultimi istanti”. Il rapporto scienza e fede è al centro della sua riflessione. Ma tutta la Chiesa italiana si sta misurando con questa sfida.



È un confronto storicamente segnato da aspri conflitti e polemiche, oltre che dalla vulgata ottocentesca in cui ancora oggi viene sentito dall’opinione pubblica. Lei che ne pensa?



La bioetica è l’ambito primo nel quale oggi la Chiesa si confronta con i temi della modernità e dell’idea di razionalità che ne sta al centro. Ma sbaglia chi pensa che la Chiesa sia ancora ferma alla posizione antimodernista di fine ’800. Tutt’altro: cerca di mediare, di mettersi in gioco. Elabora risposte e proposte. È intransigente, ma al tempo stesso calata nel mondo.



E a livello politico e sociale?



Il concetto di “nuova laicità” così caro al cardinale Scola cosa vuol dire? Che il principio “libera chiesa in libero stato” non basta più: la Chiesa deve e ha il diritto di dire la sua, senza imporre niente a nessuno ma chiedendo pari dignità rispetto agli altri soggetti che concorrono alla discussione pubblica. se una legge va contro l’uomo, ha il diritto di criticarla e di mostrare che ci sono alternative possibili, e tutto questo senza essere accusata di ingerenza. Bioetica, questione sociale e politica sono tutti ambiti che rientrano di diritto nello spazio della “nuova laicità”.



Esiste un’esperienza morale elementare, dice Scola nella sua intervista a ilsussidiario.net, che consiste nella domanda esistenziale di significato e che prova che l'uomo non può essere ridotto a materia. È la scoperta di un punto fermo “inaffondabile”, ma anche di un metodo. Che ne pensa?



C’è oggi un degrado dei rapporti umani, un degenerare nella violenza, o anche soltanto nell’indifferenza, il non soccorrere chi ha bisogno, tutte degenerazioni che esprimono il dilagare di una crisi che preoccupa molto la Chiesa. Non è solo una questione di etica, di comportamento, ma di costumi. Non a caso Scola dice che è dai “costumi buoni” che passa quello “stile di vita” in cui le domande di felicità e libertà possono trovare risposta. Sì, quella di ripartire dal “vero” soggetto è senz’altro una proposta forte, nella debolezza delle non-proposte circostanti.



Sandro Magister, a proposito dell’accento su felicità e libertà, ha detto ieri che esse sono due declinazioni della bellezza. Tema che al Papa interessa molto.



Lo penso anch’io. Sì, l’educazione è anche una questione estetica. Dirò anche che, contrariamente a quello che forse pensano i più, la Chiesa non ha mai mostrato vero e proprio un rigorismo etico, preoccupandosi invece molto di più della decadenza dei costumi.


RU486/ D'Agostino: ecco perchè tocca alla politica fermare l'aborto a domicilio - INT. Francesco D'Agostino mercoledì 25 novembre 2009 – ilsussidiario.net
La politica riflette sulla pillola Ru486. Il presidente della Commissione Sanità Antonio Tomassini ha dichiarato che nel testo conclusivo dell’indagine conoscitiva del Senato verrà proposta la sospensione della procedura di immissione in commercio della pillola abortiva. Se Dorina Bianchi (Pd) ammette che non è un farmaco come tutti gli altri ed è necessario capire se la legge 194 sia compatibile con l’introduzione della pillola, non sono mancate altre voci polemiche nelle fila dell’opposizione. Donatella Poretti (Pd) ha infatti dichiarato: «Nei giorni scorsi è circolato il documento conclusivo stilato dalla maggioranza. Un manifesto sconfinamento delle competenze della commissione per cercare di condizionare l’agenzia italiana del farmaco (Aifa)». La votazione sul documento finale sull’indagine è comunque prevista per oggi.
Abbiamo chiesto un parere al Prof. Francesco D’Agostino, Presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica e membro della Pontificia accademia per la vita.

La proposta di un’indagine conoscitiva era stata criticata addirittura dal Presidente della Camera che aveva definito «originale pretendere che il Parlamento si debba pronunciare sull’efficacia di un farmaco». Su temi come questo era giusto chiedere che la politica si pronunciasse o si tratta di un “problema tecnico”?

È giusto che il Parlamento si sia fatto carico di questa questione. Nel mondo scientifico ci sono delle polemiche legate alla Ru486, si sono registrate controindicazioni pesantissime e diverse morti, anche se trascurate dalla stampa. Un esempio clamoroso è quello del Prof. Didier Sicard, Presidente del comitato di bioetica francese, che ha perso la propria figlia e mi ha confessato quanto sia stato difficile per lui richiamare l’attenzione della comunità scientifica francese all’argomento. Non dimentichiamoci poi che il brevetto del farmaco è francese e attorno ad esso ruotano notevoli interessi delle case farmaceutiche.
Stiamo quindi parlando di un argomento complesso, anche perché l’uso della pillola non è facilmente riconducibile ai principi che regolano la legge italiana sull’aborto.

Di questo farmaco occorre quindi valutare sia la pericolosità che la compatibilità con la 194. Un compito che non spetta all’Aifa…

L’Aifa ha una competenza tecnica in ordine alla valutazione del rischio connesso al farmaco, in questo caso, dato che è già stato adottato da altri Paesi dell’Unione deve stabilire se il farmaco sia lo stesso di quello presente negli altri paesi.
Per quanto riguarda invece la legge 194, la Ru486 altera sicuramente la procedura dell’aborto volontario legalizzato perché rende di fatto possibile un aborto non controllato. La nostra legge non dice che l’aborto è genericamente lecito, ma impone il controllo medico. La donna che invece assume la pillola può rifiutare l’ospedalizzazione e abortire privatamente, tra l’altro con gravi rischi.

Possono verificarsi delle complicazioni?

In alcuni casi l’assunzione della pillola provoca l’aborto, in altri invece non riesce a indurre l’espulsione del feto, occorre perciò intervenire con un secondo farmaco per forzare l’utero. In questo caso occorre un controllo medico per verificare che l’utero sia sgombro e non rimangano condizioni fisiche in grado di danneggiare la donna.
Il problema non è tecnico ma giuridico, in Usa la pratica dell’aborto è lecita all’interno del rapporto di privacy tra la donna e il medico, la nostra legislazione invece prevede che l’aborto legale avvenga sotto diretto controllo medico.

Il fatto che la pillola sia vendibile solo in un contesto clinico e non in farmacia non è sufficiente?

È un passo avanti, ma nessuno può impedire alla donna, dopo aver assunto in ospedale la pillola, di chiedere di essere dimessa.
La tendenza a privatizzare la pratica dell’aborto si scontra in pratica con la legge italiana, per la quale l’aborto è un fatto pubblico e non privato. Spesso sento dire “La legge sull’aborto non si tocca”, chiederei un po’ di coerenza a quelle forze politiche che dicono di difendere la 194.
La posizione della sen. Poretti, radicale, invece, non mi stupisce perché è coerente con l’ideologia abortista e libertaria propria dei radicali. Non a caso quella legge fu criticata da alcuni cattolici in quanto abortista e dai radicali perché troppo restrittiva.

Ru486 e Legge 194 sono incompatibili?

A mio parere la pillola potrebbe essere usata se la donna restasse in clinica tutti e tre i giorni necessari a portare a termine il processo abortivo. A queste condizioni la pillola diviene un’alternativa all’aborto chirurgico. Se invece la donna ha la possibilità di portarlo a termine in forma privata siamo davanti a un problema bioetico grave.

Che idea sta prendendo piede riguardo alla vita e all’uomo, sia che si parli di Ru486 che di fine vita? La convince il ricorso ai propri desideri, alla propria coscienza e all’autodeterminazione per giustificare questi delicati provvedimenti?

Il concetto di autodeterminazione è ambiguo perché ha un enorme e giusto rilievo in ambito politico (pensiamo al voto), ma quando viene portato in bioetica corre il rischio di essere stravolto. In bioetica non sono in gioco interessi politico-economici, ma il bene della vita, che non sempre è percepibile in maniera lucida e razionale dalla persona. Le persone malate e in fin di vita difficilmente possono esercitare una serena autodeterminazione, senza mettere in conto il fenomeno della solitudine e delle difficoltà economiche. Pretendere che la stella polare sia l’autodeterminazione è una pretesa ingenua, illuministica e astratta.

Come si esce da questa ambiguità?

Il compito di cui i bioeticisti dovrebbero farsi carico è quello di riformulare alla radice il tema dell’autodeterminazione, mostrando come solo in pochi casi esso possa risolvere autentici problemi bioetici, mentre nella maggior parte dei casi il riferimento all’autodeterminazione è un inganno. Tanto è vero che si inizia a insinuare l’ipotesi che se un soggetto non è in grado di autodeterminarsi dovrebbe essere sostituito da un fiduciario, con rischi evidenti. Tutti i giuristi conoscono i conflitti tra tutori e tutelati…

Quali sono secondo lei gli argini che non devono crollare nella discussione?

L’argine fondamentale è il principio ippocratico secondo il quale la prima norma della medicina è: non fare il male del malato.
Il bene vita e il bene salute sono beni oggettivi che vanno salvaguardati sempre e comunque e solo quando l’autodeterminazione ha per oggetto la tutela del bene vita merita attenzione. Se invece agisce contro il bene salute e il bene vita non ha valore ippocratico, né valore etico.
Parallelamente bisogna vietare l’accanimento terapeutico. La rinuncia all’accanimento terapeutico non va contro il bene vita, ma va contro pratiche mediche, invasive, sproporzionate, che fanno il male del paziente. Occorre vincolare medici, pazienti e qualunque fiduciario alla tutela del bene vita e del bene salute.


FRANCIA - Dibattito parlamentare sulla legalizzazione dell'eutanasia - Notizia 18 novembre 2009 9:19 – da sito ADUC
Il tema dell'eutanasia si ripropone regolarmente quando avvengono fatti drammatici, come quello di Vincent Humbert (il tetraplegico che aveva scritto al presidente della Repubblica d'autorizzarlo a morire, ndr) oppure di Chantale Sébire, sfigurata al volto da un tumore. Oggi è diverso. Il 18 novembre, il Parlamento discute del disegno di legge per legalizzare l'eutanasia presentato da Manuel Valls e numerosi deputati socialisti, al riparo da qualsiasi contesto emotivo. La proposta non ha molte possibilità d'essere accolta, ma il suo promotore spiega: "La legge Leonetti non risponde a tutte le situazioni del fine vita, anche se aiuta di più a far conoscere le disposizioni, ad accompagnare meglio le famiglie e a sviluppare la rete di cure palliative". "Bisogna andare oltre e rifiutare l'ipocrisia. Diverse migliaia di persone beneficiano di un "aiuto" a morire negli ospedali francesi, al di fuori di ogni cornice legale". In concreto, la legge si rivolge a persone adulte in stato grave e incurabile che abbiano chiesto d'essere aiutate a morire. La valutazione di tale richiesta spetta a un collegio di quattro medici, soggetto a una commissione di controllo. L'assistenza a morire avverrebbe sotto sorveglianza medica e in un quadro strettamente legale. E' prevista anche l'obiezione di coscienza per i medici che non vogliano assumersi questo compito.


Austria - Il Parlamento si batte per il crocifisso a scuola - Notizia 20 novembre 2009 10:29 – dal sito ADUC
Tutti i partiti presenti nel Nationalrat (Consiglio Nazionale), tranne i Verdi, hanno chiesto al Governo di continuare a garantire la presenza dei simboli religiosi nei luoghi pubblici e del crocifisso nelle classi scolastiche a maggioranza cristiana. La richiesta nasce dalla recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale, in un caso specifico riguardante l'Italia, aveva sostenuto che il crocifisso non dovesse essere appeso nell'aula al fine di salvaguardare sia la libertà religiosa degli alunni sia quella dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni.
I parlamentari austriaci vogliono indurre il Governo a mettere in chiaro, presso le istituzioni europee, che le valutazioni e le deduzioni della Corte non sono in sintonia con l'articolo 9 della Convenzione europea dei diritti umani sulla tutela del diritto fondamentale alla libertà di credo, di coscienza e di religione -convenzione che l'Austria si è impegnata a rispettare.


EUROPA - Brevetto per l'uso di ovuli umani - Notizia 20 novembre 2009 11:25 – da ADUC
L'Ufficio Europeo dei brevetti ha concesso al laboratorio farmaceutico svizzero Merck Serono un brevetto per l'uso di ovuli umani. Un caso molto controverso di brevettabilità del corpo umano, non conforme al Diritto Ue, s'indignano gli oppositori delle tecniche genetiche come l'organizzazione Testbiotech. Il brevetto risale a luglio, ma Testbiotech ne è venuta a conoscenza solo ora. La legge è lacunosa -sostiene- e con questo brevetto Merck Serono non solo s'attribuisce il monopolio del procedimento di maturazione degli ovuli, ma anche il diritto esclusivo d'impiego.
Secondo Christoph Then di Testbiotech, il brevetto EP 1794287 consente di commercializzare gli ovuli nel quadro della fecondazione medicalmente assistita, e di questo commercio ne approfitterebbero soprattutto le cliniche specializzate e l'industria farmaceutica.


USA - La discriminazione genetica bandita dalle aziende - Notizia 21 novembre 2009 12:13 – da sito AUDUC
Il 21 novembre entra in vigore in Usa Genetic Information Nondiscrimination Act (GINA). Ciò significa che le aziende non potranno più pretendere dal personale o dai clienti il prelievo del sangue, il Dna, e nemmeno porre domande sugli precedenti familiari. "Un'immensa vittoria per tutti gli americani che non sono nati con i geni perfetti, vale a dire per tutti noi". E' in questi termini trionfanti che la rappresentante democratica di New York , Louise Slaughter, ha salutato l'entrata in vigore del provvedimento. Oggetto di trattativa aperta in Congresso per tredici anni e firmata dal presidente Bush nel 2008, la legge proibisce alle società di oltre 15 dipendenti di chiedere informazioni sul loro profilo genetico e di usarle per assumere, licenziare, promuovere o decidere della copertura sanitaria. La legge riguarda anche le assicurazioni (tranne le polizze vita). Il New York Times considera GINA come "la legge antidiscriminazione più importante degli ultimi vent'anni".


Stati vegetativi: per 23 anni creduto in coma - MA LUI SENTIVA E CAPIVA TUTTO - Avvenire, 24 novembre 2009
Ventitrè anni in trappola mentre il mondo intorno lo pensava altrove, lui invece era in grado di ascoltare e capire tutto. Ma non di fare arrivare la sua voce a medici, infermieri e familiari. È la storia, terribile, di Rom Houben, rimasto coinvolto in un incidente d'auto nell'83, a soli 23 anni. Per altri 23 lunghi, interminabili anni lo hanno creduto in coma vigile a causa di una diagnosi errata, mentre era perfettamente cosciente. Lo è stato - racconta lui stesso, oggi 46enne - tutto il tempo. "Gridavo ma nessuno mi ascoltava", spiega sulle pagine del Daily Mail ripercorrendo le tappe del suo dramma di uomo in trappola.

Solo tre anni fa, grazie a un nuovo esame hi-tech particolarmente approfondito, i medici dell'ateneo universitario di Liegi, in Belgio, hanno capito che il suo cervello era rimasto funzionante, mentre il suo corpo era stato colpito dalla paralisi. "Non dimenticherò mai - spiega Rom, che oggi comunica grazie a un pc e una particolare tastiera che gli consente di rapportarsi al mondo esterno - il giorno in cui l'hanno finalmente scoperto. È stata la mia seconda nascita. Io voglio leggere, parlare con i miei amici attraverso il computer e sono felice della mia vita ora che le persone sanno che non sono morto ma vivo".

Il caso di Rom è venuto alla luce perché il neurologo che lo ha "salvato", Steven Laureys, l'ha raccontato in un articolo di una rivista scientifica. "Per tutto quel tempo ho letteralmente sognato una vita migliore. 'Frustrazionè è un termine troppo limitativo per descrivere quel che sentivo". Secondo Laureys, potrebbero esserci altri casi simili nel mondo; e la vicenda è destinata a risollevare il dibattito sul diritto a morire di chi è in coma. I medici a Zolder utilizzarono la Scala di Glascow, la stessa utilizzata internazionalmente, che valuta vista, parola e risposte motorie. Ma solo quando il caso fu riesaminato dai medici dell'Università di Liegi si scoprì che l'uomo aveva perso il controllo del corpo, ma era ancora perfettamente consapevole di quel che accadesse. Houben probabilmente non potrà mai lasciare l'ospedale, ma adesso ha un computer sopra il letto che gli consente di leggere i libri mentre rimane sdraiato. "Voglio leggere, dialogare con i miei amici, godermi la vita ora che la gente sa che non sono morto".

Secondo gli studi di Laureys, i pazienti in stato vegetativo spesso sono vittime di diagnosi sbagliate. "Chi viene bollato come 'in stato incoscientè difficilmente riesce a sbarazzarsi di questo marchio. Solo in Germania", racconta il neurolgo, che guida un team che si occupa di pazienti in stato di coma all'università di Liegi, "ogni anno circa 100.000 persone soffrono di lesioni cerebrali traumatiche gravi. Ventimila circa subiscono un coma di tre settimane o più. Alcuni muoiono, altri si riprendono. Ma tra le 3.000 e le 5.000 persone all'anno rimangono intrappolate in uno stadio intermedio, vivono senza mai tornare indietro".
Avvenire, 24 novembre 2009


Gli Usa, un film senza trama - Lorenzo Albacete mercoledì 25 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Qualche giorno fa, il canale Tv dedicato a vecchi film ha riproposto 8½ di Federico Fellini. L’avevo visto molte volte dalla sua prima proiezione negli Stati Uniti nel 1963 (allora ero appena uscito dal college), ma dopo averlo rivisto questa settimana ho provato un certo grado di identificazione con il suo protagonista.


Marcello Mastroianni è nel film Guido Anselmi, un famoso regista affetto da una specie di “blocco del regista”, che ha incominciato a lavorare a un nuovo film di fantascienza, in cui vi sono anche velate citazioni autobiografiche, ma che si ritrova in una situazione di stallo, senza l’energia mentale per andare avanti.



Ha raccolto l’intera troupe, tecnici e attori, in un luogo di villeggiatura termale, ma non riesce a raccontar loro la trama del nuovo film. I giorni passano, ma a lui vengono in mente solo immagini dei vari personaggi, senza la minima idea di come metterli insieme per costruire una trama.



La maggior parte delle immagini che gli attraversano la mente riguarda anziani accompagnati da giovanni donne dall’aspetto esotico, suore, preti (anche un Cardinale), un illusionista e una bella donna dall’aspetto di innocenza sovrannaturale che accende la sua fantasia. Le immagini di donne dominano in effetti i suoi pensieri e gli fanno rivivere i ricordi della infanzia.



È andata allo stesso modo la scorsa settimana con le notizie trasmesse dai notiziari Tv in Usa. Nell’ultima settimana sono successe molte cose importanti, come il viaggio del presidente Obama in Asia, le crescenti preoccupazioni dei Democratici progressisti per le sue decisioni conservatrici e quelle dei Democratici conservatori per il suo progressismo, il dibattito sulla riforma sanitaria, la guerra in Afghanistan/Pakistan, e via dicendo. Eppure, nonostante le rilevanti implicazioni di tutte queste storie, non è emersa alcuna “trama” per metterle insieme: si è vista solo una serie di immagini scollegate.



Ecco perché ho sentito una certa vicinanza con il personaggio di Mastroianni in 8½. Infatti, come nel film, nei notiziari della scorsa settimana hanno dominato la scena due donne: la prima è Sarah Palin, già governatrice dell’Alaska e discussa candidata Repubblicana al ruolo di vicepresidente, con la campagna promozionale per il suo libro (Going Rogue - all’incirca: Divento ribelle) che è già diventato un successo.



L’altra donna è Oprah Winfrey, creatrice di un impero della comunicazione, che ha annunciato di voler chiudere il famosissimo talk show che porta il suo nome, alla fine della prossima stagione, per dedicarsi al proprio nuovissimo canale televisivo. Per inciso, il primo spettacolo televisivo in cui Sarah Palin ha presentato il suo libro è stato proprio lo Oprah Winfrey Show.


Cercherò di essere aperto nei confronti di queste due signore, anche perché ogni accenno di critica scatena subito brutali accuse da parte dei loro incondizionati sostenitori, e questo di per sé è un indicatore del clima del Paese di questi tempi. Ma almeno queste due signore sono persone reali, non ideologiche astrazioni.



Tuttavia non posso esimermi da una osservazione: credo che la Palin e la Winfrey dovrebbero scambiarsi i ruoli. Penso cioè, che Oprah dovrebbe correre per la presidenza e Sarah dovrebbe fondare un proprio canale televisivo. Così, forse, potremmo cominciare a immaginarci una trama che dia un senso a ciò che sta succedendo in questi giorni negli Stati Uniti.


EDUCAZIONE/ Mentire ai propri figli per “proteggerli”, l’ultima pericolosa tendenza - Luigi Ballerini mercoledì 25 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Nascondere la realtà. Lo spunto ci viene dall’indagine dell’Università di Firenze secondo la quale i genitori nasconderebbero ai propri figli lo stato di difficoltà economica, continuando le spese nei loro confronti come se nulla fosse, come se tutto andasse liscio, senza problemi. Ne ha già ben scritto Luca Volontè sul Sussidiario. L’argomento è di grande rilevanza e merita un approfondimento.

Nascondere la realtà. È il frutto della patetica illusione di esercitare una dovuta e necessaria protezione. Potremmo anche addolcire il fatto dichiarando che a muovere verso questa scelta sono solo le migliori intenzioni, potremmo pure sforzarci di chiamare in causa la cosiddetta buona fede, ma non servirebbe a niente: nascondere la realtà resta un atto in sé violento che va compreso bene nella sua natura di inganno, a volte magari mieloso, ma sempre inganno.

Innanzitutto partiamo dai genitori. Risulta abbastanza evidente che la prima difficoltà risiede nell’adulto che si trova a fare i conti con una questione personale: la riduzione del cosiddetto benessere materiale rischia di mettere in crisi la concezione di sé, far crollare la stima nei confronti di se stesso. Come soggetto e come genitore. Accade particolarmente al genitore-bancomat, quello che si è infilato nella posizione di dispensare oggetti e benefit a go-go, quello che ritiene che i propri figli possano amarlo e stimarlo soprattutto in virtù degli oggetti esterni al rapporto che da lui possono derivare. Il «non ti farò mancare niente», dichiarato o implicito che sia, presuppone l’esistenza nei ragazzi – ma anche in sé - di un vuoto immateriale che chiede di essere riempito materialmente. “La sicurezza degli oggetti” era il bel titolo di un brutto libro di qualche anno fa, e in effetti è in gioco la sicurezza personale, in primis quella dell’adulto. Quando i punti fermi dell’esistenza sono diventati il raggiungimento di uno status o il possesso di beni monetizzabili, il loro dissolversi dissolve anche la persona. Così i gadget elettronici, le vacanze glamour, i veicoli prestigiosi sono a poco a poco diventate delle rassicuranti body guards. Una questione di sicurezza, appunto. Cui forse possiamo rinunciare noi, ma non i nostri amati.


Prendiamola però dal punto di vista dei ragazzi. Pensare di sottrarli alla realtà è delirio, e pure un delirio cattivo. È delirio perché la realtà si impone sempre, deborda oltre i nostri progetti, tracima di là dalle nostre intenzioni. La possiamo camuffare, distorcere, rinnegare, rimuovere, sconfessare, ma lei imperterrita resta quello che è e prima o poi riemerge potente. È pure delirio cattivo perché presuppone i ragazzi come deboli e incapaci di elaborare soluzioni, pensandoli praticamente inetti nel loro modo di affrontare ciò che accade e in cui si imbattono. Eppure se solo raccogliessimo bene la tradizione fiabesca potremo accorgerci di come anche i più piccoli spesso sono in grado di risolvere situazioni in cui i grandi annaspano. Pollicino non è chiuso nelle pagine dei vecchi libri, l’abbiamo in casa con noi. Può accadere che sia lui a portarci un tesoro imprevisto e imprevedibile che arricchisce tutti, altro che farsi mangiare dall’orco. Dobbiamo però dargliene la chance.

La questione in gioco è delle più rilevanti: aut dalla realtà ci si difende aut la si giudica. Rispetto ai nostri ragazzi dobbiamo recuperare la stima per il loro pensiero e considerare che posseggono tutte le risorse per giudicare, senza che questo voglia necessariamente dire annullare le esperienze di disagio o di dolore, esperienze che esse stesse andranno poi giudicate. Ho sentito dire da una coppia di genitori che avevano nascosto alla figlia decenne la morte della nonna, perché la bimba avrebbe sofferto troppo. Ma era solo loro lo smarrimento di fronte alla perdita di una persona cara e l’incapacità di guardare l’accaduto. Dall’indagine recente abbiamo appreso che ai figli si nasconde anche il fatto che è stato perso il lavoro o che non ci sono più i soldi di prima, per paura che non riescano a sopportarlo e si preoccupino troppo. Si tratta invece della proiezione sul ragazzo della povera debolezza dell’adulto che non riesce a tenere sulla realtà, deluso e amareggiato dalla mancata realizzazione di un’illusione scambiata per desiderio.

La portata di questo errore è ingente: non solo misconosce le risorse e i talenti che i più giovani possiedono, ma inquina il concetto stesso di rapporto riducendolo, quando va bene, alla somministrazione di puri elementi esterni. Invece il bene che arriva dal rapporto non è esterno ad esso, è già inscritto dentro il rapporto, è un prodotto, un di più che prima non c’era. Può certamente essere una cena curata, una tavola ben apparecchiata, un regalo desiderato, il motorino o la pizza fuori, ma non solo. È anche un di più di stima, un’iniziativa originale, un passo nel reale, un pensiero nuovo, un incoraggiamento necessario, una correzione amorevole, una difesa opportuna, un apprezzamento sincero del talento dimostrato. Prodotti tutti di enorme valore, non immediatamente calcolabili in euro, seppur capaci di produrre anche euro in seguito per le opportunità che spalancheranno.

Rispetto ai ragazzi non è della capacità di spesa che dobbiamo preoccuparci, piuttosto della nostra capacità di investimento. Investimento su loro, con la forma del credito concesso alla loro capacità di cavarsela, di giudicare ciò che accade, fino alla libertà di permettere loro di darci una mano. Proprio come Pollicino. E senza neanche bisogno di abbandonarlo nel bosco.


COSA INSEGNA ALLA SCIENZA IL CASO DEL RISVEGLIATO DAL COMA - L’umiltà di tornare al capezzale di malati etichettati come persi - MARINA CORRADI – Avvenire, 25 novembre 2009
V entitré anni fa, dopo un incidente, i medici gli avevano diagnosticato uno stato vegetativo persistente. Tre anni fa Rom Houben, belga, è stato esaminato da un neurologo di fama internazionale. Con le tecniche di risonanza magnetica funzionale il professor Laureys dell’Università di Liegi ha accertato che l’uomo aveva attività cerebrale: un caso particolare di 'sindrome locked­in ', è la diagnosi, lo stato di chi dopo un trauma è paralizzato e 'chiuso dentro' di sé. Oggi Houben riesce a comunicare indicando le lettere su una tastiera, e può leggere. Racconta come un incubo i ventitré anni di silenzio. Quando per i medici la sua attività cerebrale era 'estinta'.
La storia non è un miracolo, né il caso di un uomo straordinariamente risvegliato dal limbo della incoscienza. È la storia di una diagnosi sbagliata.
Ventitré anni fa non c’erano gli strumenti di oggi. Simili errori non erano impossibili. Secondo quanto afferma Laureys nel suo più recente lavoro scientifico, tuttora «il tasso di diagnosi errate di stato vegetativo rimane alto: i segnali che distinguono gli stati vegetativi dagli stati di minima coscienza non sono così netti».
Non così netti, come dal bianco al nero. Non così semplici, che non ci sia ancora da studiare. La vicenda del ragazzo invecchiato in un silenzio da monade, e il suo esserne tornato, insegna qualcosa. Intanto, che ciò che vent’anni fa sembrava certezza scientifica oggi potrebbe essere superato da nuove tecniche, che leggono ciò che non si vedeva.
Forse, tra cinquant’anni, si saprà ancora di più sul cervello umano. Che è macchina straordinariamente complessa; troppo, per definirla irreversibilmente con diagnosi che rapidamente invecchiano.
Il sommo della ragionevolezza di fronte a tanta complessità sarebbe forse l’ammettere di conoscere ancora poco. Non pretendere di sapere 'tutto', né dare per scontato che ogni uomo immobile da anni in un letto sia perduto. Sapere almeno che occorre cercare ancora.
In fondo, questa storia prima che di scienza sofisticata è una storia di umiltà: l’umiltà di un medico di tornare al capezzale di un paziente assente da vent’anni, dato per spacciato. E di tentare ancora. Per venti giorni Laureys e i suoi assistenti hanno verificato semplicemente i riflessi oculari di Houben, ne hanno preso nota su un diario.
Prima ancora delle macchine più sofisticate, la pazienza dei medici.
Ed è la storia questa, anche, della tenacia di una donna. La madre, che per ventitré anni è rimasta accanto a quel letto. Un tempo lunghissimo. Quanti avrebbero ceduto, quanti si sarebbero umanamente rassegnati. Magari invocando una fine. Quella donna no.
Capace, davvero, di sperare contro ogni speranza. E quel figlio intanto, carcerato nel suo personale abisso. Lavato, imboccato, immobile. Eppure cosciente. Di una coscienza invisibile ai medici. Che crollavano il capo, certi del loro sapere: «È un vegetale».
Un errore di diagnosi, una sentenza incollata come un’etichetta, e mai più verificata. Possibile, quando dei medici sono troppo sicuri di aver capito tutto. Fosse un insegnamento per quanti hanno a che fare con i limbi di pazienti assenti. Se, di fronte al mistero della coscienza e dell’indecifrato ' hardware'
che ne è sede, si alzasse un dubbio: occorre essere umili, di fronte alla vita di un uomo. Di fronte a ciò che è molto grande, somma ragionevolezza l’ammettere di non sapere abbastanza.
(Intanto, quell’ex ragazzo quarantenne ora legge, e discorre con gli amici. Parrà incredibile ai cultori di una 'dignità della vita' predefinita secondo rigorosi canoni, ma si dice 'contento'. Sfuggito a un incubo, ancora paralizzato, e – scandaloso – 'contento'.
Semplicemente contento di essere vivo, e amato).