Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI e il contributo dell'Ordine di Cluny alla vita monastica - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) La relazione tra Dio e la beata Angela da Foligno
3) India: nuova profanazione di una chiesa - L'Arcivescovo di Bangalore: “Sono profondamente ferito”
4) Ucciso un altro sacerdote in Brasile, il quarto in cinque mesi - La polizia ha arrestato due giovani
5) PETIZIONE/ Ridateci l’Europa che vogliamo - Renato Farina giovedì 12 novembre 2009 – ilsussidiario.net
6) Gameti artificiali. E l’uomo non serve più - di Michele Aramini – Avvenire, 12 novembre 2009
7) Omofobia, anche l’Onu ci prova - di Tommaso Gomez – Avvenire, 12 novembre 2009
8) Camillianum - Biomedicina: verità e bugie sull’inizio vita – Avvenire, 12 novembre 2009
Benedetto XVI e il contributo dell'Ordine di Cluny alla vita monastica - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI nell'incontrare i fedeli e i pellegrini nell'Aula Paolo VI per la tradizionale Udienza generale.
Nella sua catechesi, il Papa, continuando a parlare dello sviluppo della teologia nel XII secolo, si è soffermato sul contributo al rinnovamento della vita monastica dato dall’Ordine di Cluny.
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Cari fratelli e sorelle,
questa mattina vorrei parlarvi di un movimento monastico che ebbe grande importanza nei secoli del Medioevo, e di cui ho già fatto cenno in precedenti catechesi. Si tratta dell’Ordine di Cluny, che, all’inizio del XII secolo, momento della sua massima espansione, contava quasi 1200 monasteri: una cifra veramente impressionante! A Cluny, proprio 1100 anni fa, nel 910, fu fondato un monastero posto sotto la guida dell’abate Bernone, in seguito alla donazione di Guglielmo il Pio, Duca di Aquitania. In quel momento il monachesimo occidentale, fiorito qualche secolo prima con san Benedetto, era molto decaduto per diverse cause: le instabili condizioni politiche e sociali dovute alle continue invasioni e devastazioni di popoli non integrati nel tessuto europeo, la povertà diffusa e soprattutto la dipendenza delle abbazie dai signori locali, che controllavano tutto ciò che apparteneva ai territori di loro competenza. In tale contesto, Cluny rappresentò l’anima di un profondo rinnovamento della vita monastica, per ricondurla alla sua ispirazione originaria.
A Cluny venne ripristinata l’osservanza della Regola di san Benedetto con alcuni adattamenti già introdotti da altri riformatori. Soprattutto si volle garantire il ruolo centrale che deve occupare la Liturgia nella vita cristiana. I monaci cluniacensi si dedicavano con amore e grande cura alla celebrazione delle Ore liturgiche, al canto dei Salmi, a processioni tanto devote quanto solenni e, soprattutto, alla celebrazione della Santa Messa. Promossero la musica sacra; vollero che l’architettura e l’arte contribuissero alla bellezza e alla solennità dei riti; arricchirono il calendario liturgico di celebrazioni speciali come, ad esempio, all’inizio di novembre, la Commemorazione dei fedeli defunti, che anche noi abbiamo da poco celebrato; incrementarono il culto della Vergine Maria. Fu riservata tanta importanza alla liturgia, perché i monaci di Cluny erano convinti che essa fosse partecipazione alla liturgia del Cielo. Ed i monaci si sentivano responsabili di intercedere presso l’altare di Dio per i vivi e per i defunti, dato che moltissimi fedeli chiedevano loro con insistenza di essere ricordati nella preghiera. Del resto, proprio con questo scopo Guglielmo il Pio aveva voluto la nascita dell’Abbazia di Cluny. Nell’antico documento, che ne attesta la fondazione, leggiamo: "Stabilisco con questo dono che a Cluny sia costruito un monastero di regolari in onore dei santi apostoli Pietro e Paolo, e che ivi si raccolgano monaci che vivono secondo la Regola di san Benedetto (…) che lì un venerabile asilo di preghiera con voti e suppliche sia frequentato, e si ricerchi e si brami con ogni desiderio e intimo ardore la vita celeste, e assiduamente orazioni, invocazioni e suppliche siano dirette al Signore". Per custodire ed alimentare questo clima di preghiera, la regola cluniancense accentuò l’importanza del silenzio, alla cui disciplina i monaci si sottoponevano volentieri, convinti che la purezza delle virtù, a cui aspiravano, richiedeva un intimo e costante raccoglimento. Non meraviglia che ben presto una fama di santità avvolse il monastero di Cluny, e che molte altre comunità monastiche decisero di seguire le sue consuetudini. Molti principi e Papi chiesero agli abati di Cluny di diffondere la loro riforma, sicché in poco tempo si estese una fitta rete di monasteri legati a Cluny o con veri e propri vincoli giuridici o con una sorta di affiliazione carismatica. Si andava così delineando un’Europa dello spirito nelle varie regioni della Francia, in Italia, in Spagna, in Germania, in Ungheria.
Il successo di Cluny fu assicurato anzitutto dalla spiritualità elevata che vi si coltivava, ma anche da alcune altre condizioni che ne favorirono lo sviluppo. A differenza di quanto era avvenuto fino ad allora, il monastero di Cluny e le comunità da esso dipendenti furono riconosciuti esenti dalla giurisdizione dei Vescovi locali e sottoposti direttamente a quella del Romano Pontefice. Ciò comportava un legame speciale con la sede di Pietro e, grazie proprio alla protezione e all’incoraggiamento dei Pontefici, gli ideali di purezza e di fedeltà, che la riforma cluniacense intendeva perseguire, poterono diffondersi rapidamente. Inoltre, gli abati venivano eletti senza alcuna ingerenza da parte delle autorità civili, diversamente da quello che avveniva in altri luoghi. Persone veramente degne si succedettero alla guida di Cluny e delle numerose comunità monastiche dipendenti: l’abate Oddone di Cluny, di cui ho parlato in una Catechesi di due mesi fa, e altre grandi personalità, come Emardo, Maiolo, Odilone e soprattutto Ugo il Grande, i quali svolsero il loro servizio per lunghi periodi, assicurando stabilità alla riforma intrapresa e alla sua diffusione. Oltre a Oddone, sono venerati come santi Maiolo, Odilone e Ugo.
La riforma cluniacense ebbe effetti positivi non solo nella purificazione e nel risveglio della vita monastica, bensì anche nella vita della Chiesa universale. Infatti, l’aspirazione alla perfezione evangelica rappresentò uno stimolo a combattere due gravi mali che affliggevano la Chiesa di quel periodo: la simonia, cioè l’acquisizione di cariche pastorali dietro compenso, e l’immoralità del clero secolare. Gli abati di Cluny con la loro autorevolezza spirituale, i monaci cluniacensi che divennero Vescovi, alcuni di loro persino Papi, furono protagonisti di tale imponente azione di rinnovamento spirituale. E i frutti non mancarono: il celibato dei sacerdoti tornò a essere stimato e vissuto, e nell’assunzione degli uffici ecclesiastici vennero introdotte procedure più trasparenti.
Significativi pure i benefici apportati alla società dai monasteri ispirati alla riforma cluniacense. In un’epoca in cui solo le istituzioni ecclesiastiche provvedevano agli indigenti fu praticata con impegno la carità. In tutte le case, l’elemosiniere era tenuto a ospitare i viandanti e i pellegrini bisognosi, i preti e i religiosi in viaggio, e soprattutto i poveri che venivano a chiedere cibo e tetto per qualche giorno. Non meno importanti furono altre due istituzioni, tipiche della civiltà medioevale, promosse da Cluny: le cosiddette "tregue di Dio" e la "pace di Dio". In un’epoca fortemente segnata dalla violenza e dallo spirito di vendetta, con le "tregue di Dio" venivano assicurati lunghi periodi di non belligeranza, in occasione di determinate feste religiose e di alcuni giorni della settimana. Con "la pace di Dio" si chiedeva, sotto la pena di una censura canonica, di rispettare le persone inermi e i luoghi sacri.
Nella coscienza dei popoli dell’Europa si incrementava così quel processo di lunga gestazione, che avrebbe portato a riconoscere, in modo sempre più chiaro, due elementi fondamentali per la costruzione della società, e cioè il valore della persona umana e il bene primario della pace. Inoltre, come accadeva per le altre fondazioni monastiche, i monasteri cluniacensi disponevano di ampie proprietà che, messe diligentemente a frutto, contribuirono allo sviluppo dell’economia. Accanto al lavoro manuale, non mancarono neppure alcune tipiche attività culturali del monachesimo medioevale come le scuole per i bambini, l’allestimento delle biblioteche, gli scriptoria per la trascrizione dei libri.
In tal modo, mille anni fa, quando era in pieno svolgimento il processo di formazione dell’identità europea, l’esperienza cluniacense, diffusa in vaste regioni del continente europeo, ha apportato il suo contributo importante e prezioso. Ha richiamato il primato dei beni dello spirito; ha tenuto desta la tensione verso le cose di Dio; ha ispirato e favorito iniziative e istituzioni per la promozione dei valori umani; ha educato ad uno spirito di pace. Cari fratelli e sorelle, preghiamo perché tutti coloro che hanno a cuore un autentico umanesimo e il futuro dell’Europa sappiano riscoprire, apprezzare e difendere il ricco patrimonio culturale e religioso di questi secoli.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalla Famiglia dei Discepoli e delle Ancelle del Signore, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte del loro fondatore padre Giovanni Minozzi. Umile e tenace apostolo dell’amore di Dio tra i poveri delle regioni meridionali d’Italia, egli seppe rinnovare i cuori con la luce del Vangelo e la forza dell’Eucaristia, dalla quale attinse quell’ardore di carità che lo fece attento specialmente alle necessità dei giovani, divenendo per loro amico, fratello e padre. Cari amici, imitate l’esempio del Servo di Dio Giovanni Minozzi e siate anche voi, come lui, segni luminosi della presenza di Cristo tra i fratelli. Saluto con particolare affetto gli Ufficiale e gli allievi della Guardia di Finanza, provenienti dalla Caserma di Coppito (L’Aquila). Cari amici, la vostra sede è diventata il punto di riferimento della popolazione aquilana, così duramente provata. La medaglia più bella di cui il vostro reparto possa fregiarsi è quella della solidarietà, della quale in questi mesi la vostra struttura è stata protagonista e testimone. Ciò impegna anche voi a svolgere il vostro lavoro con autentico spirito di servizio.
Il mio saluto va, ora, ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani, specialmente voi cari alunni della scuola "Santa Teresa del Bambino Gesù" di Santa Marinella, guardate l'esempio di san Martino, di cui oggi celebriamo la festa, per un impegno di generosa testimonianza evangelica. Voi, cari malati, come lui confidate nel Signore, che non ci abbandona nel momento della prova. E voi, cari sposi novelli, animati dalla fede che contraddistinse san Martino, sappiate rispettare e servire sempre la vita, che è dono di Dio.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
La relazione tra Dio e la beata Angela da Foligno
ROMA, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).- In vista del convegno internazionale che si terrà venerdì e sabato prossimo a Foligno, nel settimo centenario della morte della beata Angela da Foligno (1309-2009), pubblichiamo un contributo di padre Massimo Vedova, OfmConv, professore presso l'Istituto Teologico di Assisi e la Pontificia Università Antonianum e coordinarore del convegno, che ha appena pubblicato il volume “Esperienza e dottrina. Il Memoriale di Angela da Foligno” (Istituto Storico dei Cappuccini, Roma 2009), con prefazione di J. Dalarun.
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Affrontare lo studio di Angela da Foligno (1248-1309) all’inizio non è mai semplice, però procedendo nel lavoro si scopre, non senza stupore, la sconcertante ricchezza dei testi in esame. Dopo diversi convegni e studi che hanno affrontato soprattutto l’aspetto storico e il problema del Liber di Angela, attualmente si pone attenzione all’analisi lessicale, concentrando soprattutto l’attenzione sulla relazione Dio-anima. Tale aspetto in ultima istanza deriva dal prologus dello stesso testo angelano che recita così:
L’esperienza di coloro che sono veramente fedeli prova, attiene e ha per oggetto il Verbo della vita, che si è incarnato e nel vangelo dice: «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui», e: «Chi mi ama… io mi manifesterò a lui».Dio fa conoscere sempre in modo perfetto ai suoi fedeli tale esperienza e la dottrina che ne deriva. Anche recentemente, da queste parti, ciò è avvenuto, per la devozione dei suoi, attraverso una fedele, la cui esperienza e dottrina saranno descritte, secondo verità, anche se in modo incompleto e in forma molto ridotta e abbreviata, nelle pagine che seguono.
Il redattore del testo in esame non è intenzionato a fornire un’opera agiografica ma, come egli chiaramente si esprime nel prologus, a mostrare e descrivere un’esperienza di Dio vissuta e una dottrina, che ad essa si riferisce, cioè fare teologia. Quindi ci troviamo davanti ad un testo che descrivendo tale esperienza di Dio, lascia abbastanza in ombra elementi storico-narrativi e assume la pretesa di parlare di Dio in maniera da esporre una dottrina. Da questo punto di vista il testo è innovativo e in un certo qual modo unico nel suo genere. Unico non perché le esperienze narrate sono vissute da una donna in un momento storico in cui le donne non avevano se non un ruolo del tutto marginale sia dal punto di vista sociale che ecclesiale - ci sono infatti vari esempi del genere sia in un periodo storico precedente sia successivo - ma unico nelle sue vicende redazionali, nella relazione vissuta tra lo scriba, fantomatico frate A., e Angela da Foligno durante la stesura del testo, nelle sue pretese di fare teologia in maniera del tutto diversa da quella ufficiale delle universitas.
Il Memoriale, che costituisce la parte principale del Liber della Beata, è diviso in una prima sezione in cui sono narrate le vicende interiori ed esteriori vissute da Angela prima del pellegrinaggio ad Assisi ed è divisa in diciannove passi, in attesa del ventesimo chiave di volta del cammino spirituale della Folignate, il viaggio ad Assisi appunto. Successivamente c’è una sezione del Memoriale strettamente redazionale in cui frate A. espone le modalità concrete con cui ha iniziato a scrivere le esperienze di Angela e le sue difficoltà a dividere il materiale raccolto in passi ben definiti e anche una sintesi dettagliata dei sette passus supplentes nei quali alla fine ha diviso il materiale a sua disposizione. Frate A. in qualche maniera si è piegato alla narrazione stessa e nello stesso tempo ha contribuito a renderla organica e per quanto possibile consequenziale.
La relazione fra frate A. e Angela da Foligno durante la stesura del testo è ricca ed articolata. Per cercare di comprendere tale relazione è stato compiuto un lungo e attento lavoro per cogliere dal testo del Memoriale le strutture redazionali confrontarle esaminarle traendo da esse le possibili informazioni intrecciando valutazioni linguistiche e lessicali. Per rendere ragione delle affermazioni successive è necessario la lettura della tesi. La relazione in esame non è sicuramente limitata ad una semplice trascrizione da parte del frate del “dettato” angelano né ad una riorganizzazione di quest’ultimo di un materiale più o meno informe secondo le proprie impostazioni teologiche. Egli infatti fa obiezioni alle sue affermazioni, chiede spiegazioni, non comprende, scrive lo stesso. Qualche volta assume quasi il ruolo di “inquisitore”, altre volte di fedele amico, altre volte di devoto ascoltatore e promotore del testo che redige. In realtà nel Memoriale si incontrano due personalità ognuna della quale ha i suoi obiettivi e desideri nella stesura del testo.
La donna intende alcune volte raccontare la sua esperienza in modo tale che si possa, a partire dallo scritto, continuare ad approfondire e chiarire gli episodi vissuti – si può parlare di auto-rivelazione progressiva della propria stessa esperienza – mentre il frater scriptor cerca, nella veste redazionale definitiva, di mostrare un cammino spirituale agli eventuali lettori (probabilmente da cercare in ambito “spirituale”) per diventare veri figli legittimi di Dio. La prima ha finalità interne autoreferenziali il secondo esterne didattico-dottrinali. Altre volte invece sembra la donna a rivestire il ruolo di maestra spirituale e il frate di ascoltatore stupito. È impossibile trovare una chiave di lettura che renda ragione di tutte le ambivalenti sfumature del testo. Certamente il testo rivela uno sviluppo nel tempo della relazione Angela-frate A., senza che nessuno dei due sia assorbito totalmente dall’altro e dalle sue istanze interiori, e un tentativo finale di redazione da parte del frater scriptor parzialmente riuscito.
Nel suo stile di scrittura egli segue l’immediatezza del parlato angelano a cui pare fornire vocaboli adatti per la descrizione del suo vissuto. D’altro canto la Folignate sceglie, assimila e fa proprio solo una parte del vocabolario usato del frate minore, in modo tale che si può con ragionevole certezza affermare che le parole a lei attribuite per la maggior parte sono frutto di un lavoro di appropriazione. Anzi compare con chiarezza il fatto che è lei stessa in alcuni casi a “imboccare” le parole da scrivere a frate A. è opportuno sottolineare come alla scrittura si sussegue l’evento di rilettura, aggiunta e valutazione degli eventi già narrati, in parte dovuto alla memoria della donna che ricorda nuovi particolari, in parte alla rivisitazione del testo fatta da frate A. prima di presentarlo alla lettura di alcuni teologi. Alla tensione fra i due “attori” della scrittura del Memoriale si deve aggiungere l’imprevisto intervento che viene definito divino che in qualche maniera suggerisce alcune cose da dire pressoché in diretta, in cui è difficile cogliere un’opera artefatta.
In conclusione si può immaginare l’atto dello scrivere come un evento spirituale cioè un evento in cui è impossibile prevedere prima quale sia il testo che risulterà effettivamente scritto. In ciò sta il fascino del Memoriale che diventa una specie di cantiere aperto, una continuo banco di prova dell’intelligenza di chi lo studia, una fonte di molte sorprese, una finestra spalancata o meglio una serie di feritoie dischiuse sul mistero di un’esperienza vissuta veramente eccezionale.
Il Memoriale come già accennato non è, e non vuole essere, solo un libro di narrazione di un’esperienza, sia pur ricca e profonda, ma in esso è contenuta una volontà di elaborare anche una dottrina, cioè un modo oggettivo di descrivere l’esperienza di Dio, in altri parole “fare teologia”, in un tempo in cui fra teologia spirituale e teologia dogmatica, per usare termini contemporanei, non esisteva ancora una distinzione netta.
In generale gli autori e studiosi che si sono interessati di Angela da Foligno hanno molto spesso desiderato elaborare una teologia angelana a partire dai testi, cercando di costruire una struttura più o meno elaborata e complessa in cui inserire le esperienze narrate senza però domandarsi quale teologia quegli scritti stessi veicolassero nel narrare. La complessa relazione fra l’esperienza descritta e la dottrina in essa contenuta lungo lo scorrere del Memoriale subisce rilevanti trasformazioni. All’inizio nei passus priores è frate A. che prende la parola e descrive il vissuto angelano in maniera oggettiva e dottrinale senza quasi nessun riferimento alle concrete esperienze fatte. É lui che ha il ruolo di voce “teologica”. Successivamente e progressivamente sono i fatti raccontati ad avere un’importanza rilevante fino al viaggio in Assisi che senza dubbio è la sezione più narrativa del Memoriale: le elaborazioni dottrinali sono ridotte al minimo. Il primo e secondo passus supplentes mostrano, l’insorgere di elementi dottrinali all’interno delle esperienze stesse e anche attraverso la voce di Angela che valuta e qualifica alcune di esse. Inizia così quel processo di oggettivazione del vissuto che sarà sempre più preponderante. Angela mostra sempre più la sua capacità di elaborazione del proprie esperienze e di valorizzazione di esse.
Nei passus successivi invece è la voce divina che, attraverso eventi locatori, assume il ruolo di fonte dottrinale. Nel quintus passus supplens invece è attribuita ad Angela una profonda analisi della relazione Dio-anima che assume il ruolo di maestra spirituale. Nell’ultimo passus supplens il settimo traspare con chiarezza la perfetta sintesi ottenuta fra le esperienze narrate e la dottrina che da essa ne promana. Sono, infatti, le narrazioni della relazione Dio-anima loro stesse, sia pur piene di elementi soggettivi, a esporre e mostrare l’elemento oggettivo dottrinale. L’esperienza nel suo narrarsi è divenuta dottrina su Dio e sulla sue relazioni con l’anima, in modo tale che la “teologia” che viene elaborata viene pensata come un’esperienza. La teologia in conclusione è un’esperienza.
Appare evidente che chi scrive il septimus passus ha raggiunto una tale capacità linguistica nel descrivere le situazioni e gli eventi interiori, da poter rendere in maniera oggettivante il vissuto soggettivo. In questo passus si comprende bene che le due voci, quella di frate A. e quella della Folignate, restano separate. Quindi è impossibile pensare che l’elaborazione dottrinale sia il semplice frutto di frate A. che di propria mano compone o riscrive ogni cosa. Sembra invece più evidente che, attraverso la particolare relazione che sussiste fra Angela e il frater scriptor nel redigere il testo, essi sono giunti ad una tale chiarezza di strumentazione linguistica capace di pervenire ad una profonda unificazione tra dottrina esposta e descrizione esistenziale. Angela assume il ruolo di testimone vivente di una teologia. La felice espressione – la “verità mostrata in un’esperienza” – qualora si voglia intendere questa verità come verità su Dio e sull’uomo e sulla loro relazione è veramente indicativa di un’impostazione di fondo.
Si tratta di un’impossibilità culturale di esprimere in maniera concettuale legata alla pochezza di strumentazione che hanno Angela e il frater scriptor oppure di qualcosa di diverso? In realtà sembra che ci sia più una volontà esplicita di non utilizzare le forme razionali argomentative all’infuori di un vissuto narrato che una reale incapacità a farlo. Anche nel passo del Peregrinus dove appare più evidente la volontà di proporre un testo dottrinale è costante il riferimento al vissuto come fonte, sia di esplicazione della dottrina esposta, sia della veridicità di essa.
India: nuova profanazione di una chiesa - L'Arcivescovo di Bangalore: “Sono profondamente ferito”
BANGALORE, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).- L'Arcivescovo di Bangalore, monsignor Bernard Moras, ha denunciato la mancanza di risposte da parte del Governo in seguito a una nuova profanazione di una chiesa nello Stato indiano del Karnataka.
La chiesa cattolica di Sant'Antonio a Kavalbyrasandra, nei dintorni di Bangalore, è stata oggetto di atti di vandalismo e di profanazione sabato notte, ha reso noto “Elises d'Asie”, l'agenzia informativa delle Missioni Estere di Parigi (MEP).
Il sagrestano ha scoperto l'accaduto aprendo la chiesa per preparare la Messa alle cinque del mattino di domenica.
Il tabernacolo era rotto e le ostie giacevano al suolo. Gli armadi sono stati saccheggiati, le cassette dell'elemosina forzate e sono stati rubati rubato un calice d'oro, due pissidi e altri oggetti sacri.
Il parroco, padre Arockiadas, ha ricordato che la chiesa, che ha più di 5.000 fedeli, era stata riaperta dopo alcune opere di ampliamento l'11 settembre scorso senza che si verificassero incidenti o scontri con le comunità non cristiane.
Lo Stato del Karnataka ha subito “molti attacchi alle chiese”, ma “non è stato arrestato alcun colpevole, nonostante le promesse delle forze di polizia”, ha denunciato monsignor Moras.
Il presule ha detto di essere sorpreso dalla mancanza d'azione del Governo e di aver perso del tutto la fiducia nella polizia.
“Sono profondamente ferito da questa profanazione del Santissimo Sacramento, che è al cuore della nostra fede”, ha dichiarato.
L'Arcivescovo ha anche esortato i fedeli a mantenere la calma. Quasi mille persone si sono riunite nella chiesa per pregare.
La polizia ha pattugliato la zona con cani-poliziotto, e gli esperti hanno provato a trovare orme e indizi.
Il 10 settembre scorso, un'altra chiesa aveva subito atti vandalici, mentre i cristiani del Karnataka si preparavano a commemorare il triste anniversario degli attacchi anticristiani dell'anno scorso, perpetrati da alcuni estremisti indù.
In quell'occasione, la chiesa di San Francesco di Sales di Hebbagudi, vicino Bangalore, è stata assaltata da circa 25 individui non identificati, che hanno rotto una decina di finestre e distrutto le statue di una Via Crucis davanti al tempio.
Il parroco ha rivolto un appello al Governo dello Stato: “Chiediamo giustizia davanti al Governo e alle autorità competenti perché i cittadini indiani possano praticare in sicurezza la propria religione”.
In quel momento, un acceso dibattito ha agitato l'Assemblea legislativa del Karnataka. Uno dei leader dell'opposizione ha denunciato che “da quando il Bharatiya Janata Party (BJP) è arrivato al Governo nel maggio 2008 si sono susseguiti gli attacchi a chiese, moschee e altri luoghi di culto. Non c'è armonia sociale né religiosa”.
Dopo l'Orissa, epicentro della violenza anticristiana del 2008, lo Stato del Karnataka è uno dei più colpiti dagli attacchi, con più di 40 luoghi di culto saccheggiati e numerosi cristiani aggrediti e feriti gravemente.
La mancanza d'azione o la complicità del Governo e della polizia durante gli attacchi sono state prese di mira, in particolare da monsignor Moras.
Come aveva fatto con l'Orissa, il Governo federale ha minacciato quello del Karnataka di farsi carico della situazione se lo Stato si fosse mostrato incapace di controllare i fanatici indù.
La Costituzione del Paese permette un intervento federale se uno degli Stati non riesce a difendere i diritti dei cittadini.
Da parte loro, i cristiani del Karnataka avevano deciso, su iniziativa di monsignor Moras, di unirsi in un forum ecumenico, il KUCFHR, per difendere i propri diritti fondamentali.
Delegazioni di 113 denominazioni cristiane si sono riunite, in una grande dimostrazione di unità, il 19 giugno scorso.
Il Forum si è dotato di una direzione tricefala, con monsignor Moras (che è anche presidente del Consiglio dei Vescovi cattolici del Karnataka), il Vescovo della Chiesa dell'India del Sud (Church of South India, CSI) e quello della Chiesa metodista.
Secondo le statistiche nazionali del 2001, lo Stato del Karnataka ha più di 53 milioni di abitanti, per la grande maggioranza indù. I musulmani rappresentano circa il 12% della popolazione, i cristiani meno del 2%, subendo regolarmente gli attacchi dei fondamentalisti indù.
Come durante l'attacco del settembre scorso, il Ministro dell'Interno del Karnataka, V.S. Acharya, membro del BJP, ha definito la profanazione della chiesa di Sant'Antonio un “incidente minore”.
Ucciso un altro sacerdote in Brasile, il quarto in cinque mesi - La polizia ha arrestato due giovani
MACEIÓ, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).- Padre Hidalberto Henrique Guimarães, pugnalato a morte sabato 7 novembre, è il quarto sacerdote assassinato in Brasile in poco meno di cinque mesi.
Il corpo senza vita del presbitero, di 48 anni, è stato rinvenuto con i segni di 18 coltellate e vari colpi alla testa nella sua casa sabato sera, ha reso noto la Conferenza Episcopale brasiliana.
Questo martedì è stato sepolto nel cimitero di San José, nel quartiere di Trapiche da Barra, nella città di Maceió.
La polizia ha arrestato domenica per il crimine due giovani di 16 e 19 anni.
Padre Hidalberto era parroco della chiesa di Nostra Signora della Grazia, nel municipio di Murici, alla periferia di Maceió, come ha ricordato la “Radio Vaticana”.
Era scomparso il 5 novembre dopo aver partecipato a un incontro del clero. Sabato doveva celebrare la Messa nella città di Branquinha. Un amico, preoccupato per la sua assenza, è andato a casa sua, dove ha rinvenuto il corpo senza vita del sacerdote.
Padre Hidalberto aveva ricevuto l'ordinazione sacerdotale nel 1992. Di recente si era laureato in giornalismo. Apprezzava in particolare i fedeli capaci di trovare spiegazioni agli avvenimenti.
L'Arcivescovo di Maceió, monsignor Antonio Muniz, ha dichiarato che “non solo il clero, ma tutta la comunità di Alagoas è sorpresa” dall'accaduto.
Nel 2009, la Chiesa cattolica in Brasile ha perso quattro sacerdoti vittime di omicidi. Il primo, consultore della sezione giovanile della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, è stato padre Gisley Azevedo Gomes, 31 anni, assassinato da un gruppo di giovani il 15 giugno a Brazlandia, città satellite di Brasilia.
Il 19 settembre è stato ucciso con un colpo alla testa a Manaus il sacerdote italiano fidei donum Ruggero Ruvoletto, 52 anni.
Il 26 settembre padre Evaldo Martiolo, 33 anni, appartenente alla Diocesi di Caçador, è stato ucciso da un ragazzo di 21 anni e un adolescente di 15 durante un tentativo di furto sfociato in tragedia.
PETIZIONE/ Ridateci l’Europa che vogliamo - Renato Farina giovedì 12 novembre 2009 – ilsussidiario.net
La petizione qui pubblicata va stampata, diffusa, propagandata, firmata, spedita.
Amata, soprattutto amata. C’è dentro il respiro dell’Europa così com’è stata pensata dai suoi fondatori: un respiro oggi soffocato da un’istanza europea che fa torto proprio alla sua origine, come un figlio che uccida la madre. Senza quella croce non ci sarebbero né diritti umani, né Europa.
La petizione allora rappresenta il modo più semplice, chiaro, forte per far valere le ragioni della nostra libera volontà. Qualche volta il popolo ha diritto di ribellarsi, fa parte anche questo dei diritti umani. E la petizione è il modo più civile, ma non si sottovaluti alla lunga questo primato dato alle burocrazie rispetto alla volontà della gente.
Quando ci si ribella persino alle Alte Corti? Accade quando si sente conculcata la propria anima da un potere sentito come estraneo. È il nostro caso. La citata decisione della Corte europea dei diritti umani, che ha multato l’Italia perché espone i crocifissi sulle pareti delle aule scolastiche, pretende di estirpare dal petto la fotografia di chi ci è caro, il più caro di tutti. E lo fa in nome della giustizia, come nel nome della giustizia quel Tale fu messo in croce.
Un’assurdità che pretende di avere il sigillo della legalità più alta.
Per questo Cristiana Muscardini e Mario Mauro, del Pdl, e David Sassoli, del Pd, lanciano la petizione popolare perché sia restituito al popolo il diritto di essere se stesso, di poter scegliere i simboli in cui riconosce se stesso e la propria storia. I due eurodeputati hanno preso questa iniziativa dal luogo decisivo dell’Europa unita, là dove l’ideale europeo di democrazia ha i suoi rappresentanti eletti dai cittadini dei 27 Paesi. Non c’è bisogno di disquisizioni sottili. La petizione ha una eloquenza che non va addolcita o interpretata.
Di certo i diritti umani non possono più essere esclusiva prerogativa di magistrati che ragionano sulla base della loro ideologia, dove la libertà è intesa come appartenente al singolo individuo al quale viene assegnato il diritto di veto sui simboli di una società. Sarà interessante quando ci sarà qualcuno che si sentirà offeso dalla croce che dà forma e consistenza alle bandiere di molti Paesi europei, come la Svezia, la Danimarca. Tra i 47 Paesi del Consiglio d’Europa, su cui ha giurisdizione la Corte di Strasburgo, c’è la Svizzera che ha la croce in cielo, sulle ali degli aerei. Che si fa, li si abbatte?
E solo una piccolissima minoranza può sentirsi in realtà offesa da quella visione, ma lo fa perché odia la nostra stessa essenza europea. “Europa, ricordati il tuo battesimo”, ammoniva Giovanni Paolo II. Per questo chiedeva nella Costituzione la citazione delle radici cristiane, non per vuoto nominalismo, ma per lealtà verso noi stessi, e come garanzia perché non ce le strappino con le tenaglie dei falsi diritti umani, che da quel simbolo tra l’altro non possono prescindere.
Per rispettare il senso di fastidio di chi odia il nostro stesso cuore, va spogliata la nostra vita dall’icona di Cristo, lavare le nostre pareti dalla memoria? Bisognerebbe allora per coerenza purificare il panorama dalle croci, ripulire i quadri dei musei, i libri di arte, strappare dal petto le medagliette dei bambini e dei vecchi.
Questo fa capire che razza di mondo assurdo, senza fremiti, senza passione e amore, si figurino come culla dei diritti questi magistrati la cui bilancia deve avergli schiacciato il cuore e la testa quand’erano piccoli.
Intanto mandiamo la petizione. Facciamoci sentire.
Il “ricatto” repubblicano a Obama - Lorenzo Albacete giovedì 12 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Qualche giorno fa sembrava che la notizia della settimana sarebbero stati i risultati delle elezioni del 3 novembre e ciò che ne sarebbe emerso circa la popolarità e il consenso politico del presidente Obama a un anno dalla sua elezione.
Invece, ora che le elezioni sono avvenute, quasi nessuno ne parla. L’opinione prevalente è che abbiano messo in rilievo una diminuzione nel potere politico del presidente, ma la sua popolarità personale rimane un po’ più alta di quella di altri presidenti. Alla fine della settimana, l’approvazione del progetto di legge sulla riforma sanitaria da parte della Camera dei Rappresentanti ha dimostrato che in realtà il capitale politico di Obama non si è esaurito.
La maggioranza dei commentatori concorda sul fatto che durante le elezioni della scorsa settimana gli elettori non sono stati spinti dalla loro ideologia politica, ma piuttosto dalla rabbia e frustrazione per la situazione economica e dalla volontà di punire il partito al governo. Infatti, molti di coloro che hanno votato non avevano particolari affiliazioni partitiche e, inoltre, la coalizione che aveva sostenuto Obama nella sua campagna non ha partecipato a queste elezioni con la stessa energia e zelo di un anno fa.
Le due sconfitte più gravi per il Partito Democratico sono state nel New Jersey e in Virginia. Nel New Jersey, il governatore uscente Jon Corzine ha ottenuto solo il 45% dei voti, nonostante Obama avesse visitato tre volte lo stato per sostenere la sua campagna. Il vincitore, il Repubblicano Chris Christie, è un ex procuratore federale e ha promesso di ripulire lo stato dalla diffusa corruzione, che coinvolge anche alleati di Corzine.
In Virginia, il Repubblicano Bob McDonnel ha condotto una campagna molto pragmatica, ottenendo un forte appoggio dagli elettori indipendenti che gli ha consentito di raggiungere il 59% dei voti. Dall’altro lato, nello stato di New York il candidato Repubblicano ha dovuto ritirarsi sotto gli attacchi dei conservatori che lo accusavano di essere troppo progressista. Così, per la prima volta, un Democratico ha vinto contro il candidato conservatore, appoggiato da un personaggio nazionale come Sarah Palin.
Una sfida interessante è stata l’elezione del sindaco di New York City. Il sindaco uscente, l’indipendente Michael Bloomberg, ha sconfitto il candidato Democratico Bill Thompson, ma nonostante abbia speso una fortuna e utilizzato qualche trucco legale per superare le richieste di limitare il numero delle legislature e poter così correre per la terza volta, ha ottenuto solo il 51% dei voti. Al momento, non si vedono possibili risvolti nazionali a seguito di questo risultato, anche perché una larga parte degli aventi diritto al voto non ha partecipato alle elezioni cittadine.
Per riassumere, quanto si può dire su questa tornata di elezioni è che gli elettori indipendenti e conservatori hanno iniettato nuova vita nel Partito Repubblicano, dando così qualche preoccupazione ai Democratici, specialmente nelle zone conservatrici, per la loro rielezione nel 2010. Questo si è visto chiaramente in occasione dell’approvazione del progetto di legge sulla riforma sanitaria alla Camera dei Rappresentanti, dove la dirigenza Democratica è dovuta scendere a compromessi (specialmente circa il diritto all’aborto) per poter vincere, ma perdendo ugualmente il consenso di molti Democratici conservatori e facendo infuriare la base progressista del partito.
Tra le elezioni e la vittoria sulla riforma sanitaria, è arrivata la notizia della tragedia di Fort Hood, la base militare nel Texas, che ha scosso a fondo la nazione che ha cominciato a chiedersi veramente cosa stia succedendo in questo Paese. Sebbene alcuni pazzi conservatori abbiano persino cercato di addossare in parte la responsabilità a Obama, la maggior parte degli americani ha lasciato da parte la politica per chiedersi se vi è una ferita più profonda nella società americana. Per quanto ne so, tuttavia, non vi è stata nessuna discussione pubblica a livello nazionale sulle conseguenze del peccato originale.
Gameti artificiali. E l’uomo non serve più - di Michele Aramini – Avvenire, 12 novembre 2009
Qual è il senso delle notizie circolate nei giorni scorsi sulla possibilità di ottenere ovuli e spermatozoi a partire da cellule staminali tratte dal corpo umano? Anche se l’obiettivo di avere ovuli e spermatozoi artificiali è lontano, crediamo che alcuni esperti di fecondazione artificiale stiano preparando il terreno perché anche questa insensatezza venga digerita dall’opinione pubblica. Naturalmente si dovrà abbellire la tecnica presentandola come uno strumento efficace contro l’infertilità. Fa parte dell’abbellimento pure il far credere che non ci siano problemi etici, in quanto non si distruggono embrioni; infatti le cellule di partenza sono prelevate dal corpo dell’adulto, probabilmente dalla pelle.
Su queste pagine sono già state messe in evidenza le aberrazioni a cui potrebbe condurre la produzione e la commercializzazione dei gameti umani.
Ora vogliamo vedere se è vero che esistano problemi etici per la tecnica annunciata. La creazione di gameti artificiali a partire da cellule somatiche dell’adulto, con la successiva creazione di embrioni da impiantare in utero, si configura come sostituzione dell’atto coniugale destinato alla procreazione. Siamo nello stesso ambito della fecondazione in vitro.
Bisogna chiedersi se questo modo di far nascere l’uomo sia rispettoso della dignità del nascituro, ma anche della dignità dei genitori. Come nel caso della Fivet, anche la creazione dei gameti artificiali rende inutile l’attività sessuale ai fini della procreazione. Ma la separazione tra atto sessuale e procreazione è moralmente accettabile? Per coloro che ormai vedono la persona umana solo sotto il profilo biologico ovviamente non c’è alcun problema: il materiale biologico lo prendiamo dove è disponibile, direbbe Flamigni. Ma per coloro che – come noi – si ostinano a pensare che la generazione dell’uomo non sia un evento materiale ma abbia una sua verità oggettiva, le cose stanno diversamente. C’è bisogno di ricordare che l’unione sessuale dei coniugi non ha solo un aspetto fisico-genitale, quello che biologicamente è necessario perché possa nascere una nuova vita. Essa significa fusione psicologica e spirituale delle persone dei due coniugi: una fusione che è posta in essere dal dono che ciascuno fa di sé all’altro. Solo questo atto è degno di dare origine a una nuova vita: ogni altro modo è gravemente illecito. Infatti tra la persona umana e l’atto che le dà origine deve esserci una adeguata corrispondenza.
Quale atto possiede questa adeguata corrispondenza? Quale atto, cioè, vuole la persona in se stessa e per se stessa? È solo un atto di amore, poiché questa è precisamente la definizione stessa dell’amore: volere l’altro in sé e per sé. Ogni altro modo di dare la vita è inadeguato al valore della persona.
In secondo luogo, occorre richiamare la distinzione, di fondamentale importanza in etica, tra fare e agire. A prescindere dal vissuto psicologico di chi le compie, le nostre azioni si collocano sempre a uno di questi livelli: o esse tendono alla produzione di un effetto esterno al soggetto che agisce; oppure restano nel soggetto che agisce. Il modello che possiede una corrispondenza adeguata con l’origine di una nuova persona umana è solo quello che si colloca nell’ambito dell’essere, come è appunto l’atto coniugale, che è atto di amore e appartiene perciò all’agire dell’uomo.
La serie di atti in cui consistono la Fivet e la produzione di embrioni da gameti artificiali hanno invece la natura del fare e originano un prodotto. La riduzione del figlio a prodotto non è solo una eventualità, ma un esito connesso a queste pratiche. È nell’ordine delle cose che si arrivi alla manipolazione delle più fondamentali caratteristiche dei figli da parte dei genitori, tecnici e altre persone interessate, gruppi e governi. Quindi non è neppure vero che non si distruggeranno embrioni, perché quelli prodotti e non corrispondenti agli standard desiderati verranno eliminati. La risposta alla domanda che abbiamo posto è chiara: si tratta di tecniche illecite che privano il bambino dell’atto fondatore, il dono che si realizza attraverso l’atto sessuale dei genitori. Solo questo atto garantisce il figlio dall’essere ridotto a oggetto. Una pratica del genere muta anche lo status dei genitori, i quali assumono il carattere di fabbricatori e giudici sul valore del figlio ridotto a oggetto.
Omofobia, anche l’Onu ci prova - di Tommaso Gomez – Avvenire, 12 novembre 2009
E’ il costume a dettare le leggi o sono le leggi a plasmare il costume?
Sciocca finché volete, irrisolvibile pure, ma la domanda sorge spontanea di fronte allo stillicidio di leggi e leggine – quasi tutte da matita blu – che sospingono la società occidentale in una sola direzione. Con qualche ragguardevole eccezione. In Gran Bretagna, scrive Carolina Stupino sul Messaggero (7 novembre), «il ministro dell’Istruzione Ed Balls ha annunciato che l’educazione sessuale diverrà obbligatoria per tutti gli allievi dai 15 anni in su. Coloro che, per via della loro religione o delle loro convinzioni, si ostineranno a non presentarsi in classe, verranno puniti secondo le regole della scuola, né più né meno come se avessero marinato la lezione». E i genitori? «Dai rilevamenti di opinione condotti dal ministero è emerso che ben il 79% dei genitori è contrario al fatto che le lezioni divengano obbligatorie». E pensare che i politici sono accusati di fare politica a colpi di sondaggi.
Non è ancora una legge, ma aspira a diventare tante leggi, una per ogni nazione. È la Raccomandazione n. 20 di un Rapporto presentato all’Assemblea generale dell’Onu, che – spiega Luca Volonté su Libero (6 novembre) – «descrive una nuova categoria di discriminazione fondata su 'orientamento sessuale e identità di genere'». Il relatore, l’avvocato indiano Anad Grover, parla di «facilitare l’accesso di coloro che desiderano nel proprio corpo modifiche relative alla rassegnazione di genere». Conclude Volonté: «All’Onu albeggia un nuovo diritto, quello del cambiamento di sesso, naturalmente pagato dai cittadini contribuenti».
Il fronte abortista segna il passo invece negli Usa. Le polizze sanitarie acquistate con i sussidi governativi non copriranno le interruzioni di gravidanza. Soddisfatto il Tempo : «E i cattolici esultano: passa una norma che limita l’aborto». Più compassato il Corriere: «Clausola anti-aborto. Una ferita aperta in casa democratica».
Intanto Carlo Bellieni ( Osservatore Romano , 5 novembre) rispolvera una proposta di legge fatta al Parlamento scozzese nel 2008, che chiede l’eutanasia legalizzata anche per quanti «non sono in stato terminale, non soffrono di malattia degenerativa, non sono inaspettatamente resi disabili, ma trovano la loro vita intollerabile». I paradossi fioccano, perlopiù agghiaccianti: «Se il diritto a terminare la vita quando si è stufi viene sancito, quale agente di polizia o quale semplice passante si azzarderà più a fermare un suicida, magari malato o sofferente?».
Viene in mente la scena iniziale del cartoon Gli incredibili , con il supereroe citato in giudizio dall’aspirante suicida che lo denuncia per averlo salvato senza chiedergli il permesso. Ma Bellieni mette anche in evidenza che «c’è un punto nodale: il contrasto stridente tra il tanto parlare sui media di come e quando morire e, al contrario, il parlare in sordina di come far vivere meglio chi soffre per malattia o solitudine (...). Si combatte per la dignità della morte, mentre si dovrebbe combattere per la dignità della vita».
Camillianum - Biomedicina: verità e bugie sull’inizio vita – Avvenire, 12 novembre 2009
Il corpo dell’essere umano «fin dai primi stadi di esistenza non è mai riducibile all’insieme delle sue cellule».
L’embrione, infatti, si sviluppa «progressivamente secondo un programma ben definito e con un proprio fine, che si manifesta con la nascita di ogni bambino».
Monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, ieri, nella sua lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione a Roma del nuovo anno accademico del Camillianum, l’Istituto internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria, lo ha ammesso: «Il valore della vita umana è uno dei problemi più complessi degli ultimi anni». Ed è pure di difficile soluzione, visto che ormai il relativismo etico è talmente accettato che sullo stesso argomento si danno risposte opposte.
Ecco perché la prima sfida da affrontare, ha sottolineato monsignor Zimowski, «riguarda l’inizio della vita umana», cioè l’embrione, cui si deve riconoscere la stessa dignità di un «essere umano». Secondo la biomedicina attuale, in realtà, «si potrebbe parlare di una vita umana embrionale dopo la blastula, cioè dopo l’impianto» e quindi «l’inizio del carattere autonomo dell’embrione umano» non avverrebbe prima dell’impianto completo, cioè 15 giorni dopo la fecondazione. C’è poi chi, in base al criterio biologico, sostiene che «si possano distinguere tre stadi nel processo embrionale e fetale» e quindi tre gradi etici, a seconda dello sviluppo della massa di cellule, fino al raggiungimento dell’individualità ed autonomia biologica. «Se la vita umana iniziasse soltanto dopo l’impianto – ha rimarcato monsignor Zimowski – ciò significherebbe un nulla osta etico per l’aborto»: essendo necessari infatti 15 giorni «dal momento della fecondazione dell’ovulo fino al momento dell’impianto nell’utero materno» la gestazione vera e propria non sarebbe ancora iniziata.
Da qui, la risposta della Chiesa alle sfide della biomedicina: «Il valore ontologico dell’embrione-persona si basa sul carattere sacro della vita umana, che possiede il genoma umano completo in ogni momento del suo sviluppo», ed è pertanto «illecito ogni artificiale discontinuum biologico». In sostanza, ha concluso il presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, gli sviluppi delle scienze mediche «meritano di essere sostenuti quando servono a superare o a correggere patologie e concorrono a ristabilire il normale svolgimento dei processi generativi», ma «non si possono condividere quando implicano la soppressione di esseri umani oppure sono adottati per finalità contrarie al bene integrale dell’uomo».
Un invito alla difesa della vita, quello di monsignor Zimowski, che il Camillianum ha rilanciato in un’iniziativa formativa. «Per il nuovo anno – ha anticipato il preside dell’Istituto, padre Luciano Sandrin – abbiamo in cantiere un master di secondo livello in bioetica e diritti umani in collaborazione con la Lumsa». A dirigerlo, Laura Palazzani, direttore del Centro studi biogiuridici della Lumsa. Il master prevede 300 ore di lezione in sei settimane da febbraio e luglio.
Graziella Melina
1) Benedetto XVI e il contributo dell'Ordine di Cluny alla vita monastica - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) La relazione tra Dio e la beata Angela da Foligno
3) India: nuova profanazione di una chiesa - L'Arcivescovo di Bangalore: “Sono profondamente ferito”
4) Ucciso un altro sacerdote in Brasile, il quarto in cinque mesi - La polizia ha arrestato due giovani
5) PETIZIONE/ Ridateci l’Europa che vogliamo - Renato Farina giovedì 12 novembre 2009 – ilsussidiario.net
6) Gameti artificiali. E l’uomo non serve più - di Michele Aramini – Avvenire, 12 novembre 2009
7) Omofobia, anche l’Onu ci prova - di Tommaso Gomez – Avvenire, 12 novembre 2009
8) Camillianum - Biomedicina: verità e bugie sull’inizio vita – Avvenire, 12 novembre 2009
Benedetto XVI e il contributo dell'Ordine di Cluny alla vita monastica - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI nell'incontrare i fedeli e i pellegrini nell'Aula Paolo VI per la tradizionale Udienza generale.
Nella sua catechesi, il Papa, continuando a parlare dello sviluppo della teologia nel XII secolo, si è soffermato sul contributo al rinnovamento della vita monastica dato dall’Ordine di Cluny.
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Cari fratelli e sorelle,
questa mattina vorrei parlarvi di un movimento monastico che ebbe grande importanza nei secoli del Medioevo, e di cui ho già fatto cenno in precedenti catechesi. Si tratta dell’Ordine di Cluny, che, all’inizio del XII secolo, momento della sua massima espansione, contava quasi 1200 monasteri: una cifra veramente impressionante! A Cluny, proprio 1100 anni fa, nel 910, fu fondato un monastero posto sotto la guida dell’abate Bernone, in seguito alla donazione di Guglielmo il Pio, Duca di Aquitania. In quel momento il monachesimo occidentale, fiorito qualche secolo prima con san Benedetto, era molto decaduto per diverse cause: le instabili condizioni politiche e sociali dovute alle continue invasioni e devastazioni di popoli non integrati nel tessuto europeo, la povertà diffusa e soprattutto la dipendenza delle abbazie dai signori locali, che controllavano tutto ciò che apparteneva ai territori di loro competenza. In tale contesto, Cluny rappresentò l’anima di un profondo rinnovamento della vita monastica, per ricondurla alla sua ispirazione originaria.
A Cluny venne ripristinata l’osservanza della Regola di san Benedetto con alcuni adattamenti già introdotti da altri riformatori. Soprattutto si volle garantire il ruolo centrale che deve occupare la Liturgia nella vita cristiana. I monaci cluniacensi si dedicavano con amore e grande cura alla celebrazione delle Ore liturgiche, al canto dei Salmi, a processioni tanto devote quanto solenni e, soprattutto, alla celebrazione della Santa Messa. Promossero la musica sacra; vollero che l’architettura e l’arte contribuissero alla bellezza e alla solennità dei riti; arricchirono il calendario liturgico di celebrazioni speciali come, ad esempio, all’inizio di novembre, la Commemorazione dei fedeli defunti, che anche noi abbiamo da poco celebrato; incrementarono il culto della Vergine Maria. Fu riservata tanta importanza alla liturgia, perché i monaci di Cluny erano convinti che essa fosse partecipazione alla liturgia del Cielo. Ed i monaci si sentivano responsabili di intercedere presso l’altare di Dio per i vivi e per i defunti, dato che moltissimi fedeli chiedevano loro con insistenza di essere ricordati nella preghiera. Del resto, proprio con questo scopo Guglielmo il Pio aveva voluto la nascita dell’Abbazia di Cluny. Nell’antico documento, che ne attesta la fondazione, leggiamo: "Stabilisco con questo dono che a Cluny sia costruito un monastero di regolari in onore dei santi apostoli Pietro e Paolo, e che ivi si raccolgano monaci che vivono secondo la Regola di san Benedetto (…) che lì un venerabile asilo di preghiera con voti e suppliche sia frequentato, e si ricerchi e si brami con ogni desiderio e intimo ardore la vita celeste, e assiduamente orazioni, invocazioni e suppliche siano dirette al Signore". Per custodire ed alimentare questo clima di preghiera, la regola cluniancense accentuò l’importanza del silenzio, alla cui disciplina i monaci si sottoponevano volentieri, convinti che la purezza delle virtù, a cui aspiravano, richiedeva un intimo e costante raccoglimento. Non meraviglia che ben presto una fama di santità avvolse il monastero di Cluny, e che molte altre comunità monastiche decisero di seguire le sue consuetudini. Molti principi e Papi chiesero agli abati di Cluny di diffondere la loro riforma, sicché in poco tempo si estese una fitta rete di monasteri legati a Cluny o con veri e propri vincoli giuridici o con una sorta di affiliazione carismatica. Si andava così delineando un’Europa dello spirito nelle varie regioni della Francia, in Italia, in Spagna, in Germania, in Ungheria.
Il successo di Cluny fu assicurato anzitutto dalla spiritualità elevata che vi si coltivava, ma anche da alcune altre condizioni che ne favorirono lo sviluppo. A differenza di quanto era avvenuto fino ad allora, il monastero di Cluny e le comunità da esso dipendenti furono riconosciuti esenti dalla giurisdizione dei Vescovi locali e sottoposti direttamente a quella del Romano Pontefice. Ciò comportava un legame speciale con la sede di Pietro e, grazie proprio alla protezione e all’incoraggiamento dei Pontefici, gli ideali di purezza e di fedeltà, che la riforma cluniacense intendeva perseguire, poterono diffondersi rapidamente. Inoltre, gli abati venivano eletti senza alcuna ingerenza da parte delle autorità civili, diversamente da quello che avveniva in altri luoghi. Persone veramente degne si succedettero alla guida di Cluny e delle numerose comunità monastiche dipendenti: l’abate Oddone di Cluny, di cui ho parlato in una Catechesi di due mesi fa, e altre grandi personalità, come Emardo, Maiolo, Odilone e soprattutto Ugo il Grande, i quali svolsero il loro servizio per lunghi periodi, assicurando stabilità alla riforma intrapresa e alla sua diffusione. Oltre a Oddone, sono venerati come santi Maiolo, Odilone e Ugo.
La riforma cluniacense ebbe effetti positivi non solo nella purificazione e nel risveglio della vita monastica, bensì anche nella vita della Chiesa universale. Infatti, l’aspirazione alla perfezione evangelica rappresentò uno stimolo a combattere due gravi mali che affliggevano la Chiesa di quel periodo: la simonia, cioè l’acquisizione di cariche pastorali dietro compenso, e l’immoralità del clero secolare. Gli abati di Cluny con la loro autorevolezza spirituale, i monaci cluniacensi che divennero Vescovi, alcuni di loro persino Papi, furono protagonisti di tale imponente azione di rinnovamento spirituale. E i frutti non mancarono: il celibato dei sacerdoti tornò a essere stimato e vissuto, e nell’assunzione degli uffici ecclesiastici vennero introdotte procedure più trasparenti.
Significativi pure i benefici apportati alla società dai monasteri ispirati alla riforma cluniacense. In un’epoca in cui solo le istituzioni ecclesiastiche provvedevano agli indigenti fu praticata con impegno la carità. In tutte le case, l’elemosiniere era tenuto a ospitare i viandanti e i pellegrini bisognosi, i preti e i religiosi in viaggio, e soprattutto i poveri che venivano a chiedere cibo e tetto per qualche giorno. Non meno importanti furono altre due istituzioni, tipiche della civiltà medioevale, promosse da Cluny: le cosiddette "tregue di Dio" e la "pace di Dio". In un’epoca fortemente segnata dalla violenza e dallo spirito di vendetta, con le "tregue di Dio" venivano assicurati lunghi periodi di non belligeranza, in occasione di determinate feste religiose e di alcuni giorni della settimana. Con "la pace di Dio" si chiedeva, sotto la pena di una censura canonica, di rispettare le persone inermi e i luoghi sacri.
Nella coscienza dei popoli dell’Europa si incrementava così quel processo di lunga gestazione, che avrebbe portato a riconoscere, in modo sempre più chiaro, due elementi fondamentali per la costruzione della società, e cioè il valore della persona umana e il bene primario della pace. Inoltre, come accadeva per le altre fondazioni monastiche, i monasteri cluniacensi disponevano di ampie proprietà che, messe diligentemente a frutto, contribuirono allo sviluppo dell’economia. Accanto al lavoro manuale, non mancarono neppure alcune tipiche attività culturali del monachesimo medioevale come le scuole per i bambini, l’allestimento delle biblioteche, gli scriptoria per la trascrizione dei libri.
In tal modo, mille anni fa, quando era in pieno svolgimento il processo di formazione dell’identità europea, l’esperienza cluniacense, diffusa in vaste regioni del continente europeo, ha apportato il suo contributo importante e prezioso. Ha richiamato il primato dei beni dello spirito; ha tenuto desta la tensione verso le cose di Dio; ha ispirato e favorito iniziative e istituzioni per la promozione dei valori umani; ha educato ad uno spirito di pace. Cari fratelli e sorelle, preghiamo perché tutti coloro che hanno a cuore un autentico umanesimo e il futuro dell’Europa sappiano riscoprire, apprezzare e difendere il ricco patrimonio culturale e religioso di questi secoli.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalla Famiglia dei Discepoli e delle Ancelle del Signore, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte del loro fondatore padre Giovanni Minozzi. Umile e tenace apostolo dell’amore di Dio tra i poveri delle regioni meridionali d’Italia, egli seppe rinnovare i cuori con la luce del Vangelo e la forza dell’Eucaristia, dalla quale attinse quell’ardore di carità che lo fece attento specialmente alle necessità dei giovani, divenendo per loro amico, fratello e padre. Cari amici, imitate l’esempio del Servo di Dio Giovanni Minozzi e siate anche voi, come lui, segni luminosi della presenza di Cristo tra i fratelli. Saluto con particolare affetto gli Ufficiale e gli allievi della Guardia di Finanza, provenienti dalla Caserma di Coppito (L’Aquila). Cari amici, la vostra sede è diventata il punto di riferimento della popolazione aquilana, così duramente provata. La medaglia più bella di cui il vostro reparto possa fregiarsi è quella della solidarietà, della quale in questi mesi la vostra struttura è stata protagonista e testimone. Ciò impegna anche voi a svolgere il vostro lavoro con autentico spirito di servizio.
Il mio saluto va, ora, ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani, specialmente voi cari alunni della scuola "Santa Teresa del Bambino Gesù" di Santa Marinella, guardate l'esempio di san Martino, di cui oggi celebriamo la festa, per un impegno di generosa testimonianza evangelica. Voi, cari malati, come lui confidate nel Signore, che non ci abbandona nel momento della prova. E voi, cari sposi novelli, animati dalla fede che contraddistinse san Martino, sappiate rispettare e servire sempre la vita, che è dono di Dio.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
La relazione tra Dio e la beata Angela da Foligno
ROMA, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).- In vista del convegno internazionale che si terrà venerdì e sabato prossimo a Foligno, nel settimo centenario della morte della beata Angela da Foligno (1309-2009), pubblichiamo un contributo di padre Massimo Vedova, OfmConv, professore presso l'Istituto Teologico di Assisi e la Pontificia Università Antonianum e coordinarore del convegno, che ha appena pubblicato il volume “Esperienza e dottrina. Il Memoriale di Angela da Foligno” (Istituto Storico dei Cappuccini, Roma 2009), con prefazione di J. Dalarun.
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Affrontare lo studio di Angela da Foligno (1248-1309) all’inizio non è mai semplice, però procedendo nel lavoro si scopre, non senza stupore, la sconcertante ricchezza dei testi in esame. Dopo diversi convegni e studi che hanno affrontato soprattutto l’aspetto storico e il problema del Liber di Angela, attualmente si pone attenzione all’analisi lessicale, concentrando soprattutto l’attenzione sulla relazione Dio-anima. Tale aspetto in ultima istanza deriva dal prologus dello stesso testo angelano che recita così:
L’esperienza di coloro che sono veramente fedeli prova, attiene e ha per oggetto il Verbo della vita, che si è incarnato e nel vangelo dice: «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui», e: «Chi mi ama… io mi manifesterò a lui».Dio fa conoscere sempre in modo perfetto ai suoi fedeli tale esperienza e la dottrina che ne deriva. Anche recentemente, da queste parti, ciò è avvenuto, per la devozione dei suoi, attraverso una fedele, la cui esperienza e dottrina saranno descritte, secondo verità, anche se in modo incompleto e in forma molto ridotta e abbreviata, nelle pagine che seguono.
Il redattore del testo in esame non è intenzionato a fornire un’opera agiografica ma, come egli chiaramente si esprime nel prologus, a mostrare e descrivere un’esperienza di Dio vissuta e una dottrina, che ad essa si riferisce, cioè fare teologia. Quindi ci troviamo davanti ad un testo che descrivendo tale esperienza di Dio, lascia abbastanza in ombra elementi storico-narrativi e assume la pretesa di parlare di Dio in maniera da esporre una dottrina. Da questo punto di vista il testo è innovativo e in un certo qual modo unico nel suo genere. Unico non perché le esperienze narrate sono vissute da una donna in un momento storico in cui le donne non avevano se non un ruolo del tutto marginale sia dal punto di vista sociale che ecclesiale - ci sono infatti vari esempi del genere sia in un periodo storico precedente sia successivo - ma unico nelle sue vicende redazionali, nella relazione vissuta tra lo scriba, fantomatico frate A., e Angela da Foligno durante la stesura del testo, nelle sue pretese di fare teologia in maniera del tutto diversa da quella ufficiale delle universitas.
Il Memoriale, che costituisce la parte principale del Liber della Beata, è diviso in una prima sezione in cui sono narrate le vicende interiori ed esteriori vissute da Angela prima del pellegrinaggio ad Assisi ed è divisa in diciannove passi, in attesa del ventesimo chiave di volta del cammino spirituale della Folignate, il viaggio ad Assisi appunto. Successivamente c’è una sezione del Memoriale strettamente redazionale in cui frate A. espone le modalità concrete con cui ha iniziato a scrivere le esperienze di Angela e le sue difficoltà a dividere il materiale raccolto in passi ben definiti e anche una sintesi dettagliata dei sette passus supplentes nei quali alla fine ha diviso il materiale a sua disposizione. Frate A. in qualche maniera si è piegato alla narrazione stessa e nello stesso tempo ha contribuito a renderla organica e per quanto possibile consequenziale.
La relazione fra frate A. e Angela da Foligno durante la stesura del testo è ricca ed articolata. Per cercare di comprendere tale relazione è stato compiuto un lungo e attento lavoro per cogliere dal testo del Memoriale le strutture redazionali confrontarle esaminarle traendo da esse le possibili informazioni intrecciando valutazioni linguistiche e lessicali. Per rendere ragione delle affermazioni successive è necessario la lettura della tesi. La relazione in esame non è sicuramente limitata ad una semplice trascrizione da parte del frate del “dettato” angelano né ad una riorganizzazione di quest’ultimo di un materiale più o meno informe secondo le proprie impostazioni teologiche. Egli infatti fa obiezioni alle sue affermazioni, chiede spiegazioni, non comprende, scrive lo stesso. Qualche volta assume quasi il ruolo di “inquisitore”, altre volte di fedele amico, altre volte di devoto ascoltatore e promotore del testo che redige. In realtà nel Memoriale si incontrano due personalità ognuna della quale ha i suoi obiettivi e desideri nella stesura del testo.
La donna intende alcune volte raccontare la sua esperienza in modo tale che si possa, a partire dallo scritto, continuare ad approfondire e chiarire gli episodi vissuti – si può parlare di auto-rivelazione progressiva della propria stessa esperienza – mentre il frater scriptor cerca, nella veste redazionale definitiva, di mostrare un cammino spirituale agli eventuali lettori (probabilmente da cercare in ambito “spirituale”) per diventare veri figli legittimi di Dio. La prima ha finalità interne autoreferenziali il secondo esterne didattico-dottrinali. Altre volte invece sembra la donna a rivestire il ruolo di maestra spirituale e il frate di ascoltatore stupito. È impossibile trovare una chiave di lettura che renda ragione di tutte le ambivalenti sfumature del testo. Certamente il testo rivela uno sviluppo nel tempo della relazione Angela-frate A., senza che nessuno dei due sia assorbito totalmente dall’altro e dalle sue istanze interiori, e un tentativo finale di redazione da parte del frater scriptor parzialmente riuscito.
Nel suo stile di scrittura egli segue l’immediatezza del parlato angelano a cui pare fornire vocaboli adatti per la descrizione del suo vissuto. D’altro canto la Folignate sceglie, assimila e fa proprio solo una parte del vocabolario usato del frate minore, in modo tale che si può con ragionevole certezza affermare che le parole a lei attribuite per la maggior parte sono frutto di un lavoro di appropriazione. Anzi compare con chiarezza il fatto che è lei stessa in alcuni casi a “imboccare” le parole da scrivere a frate A. è opportuno sottolineare come alla scrittura si sussegue l’evento di rilettura, aggiunta e valutazione degli eventi già narrati, in parte dovuto alla memoria della donna che ricorda nuovi particolari, in parte alla rivisitazione del testo fatta da frate A. prima di presentarlo alla lettura di alcuni teologi. Alla tensione fra i due “attori” della scrittura del Memoriale si deve aggiungere l’imprevisto intervento che viene definito divino che in qualche maniera suggerisce alcune cose da dire pressoché in diretta, in cui è difficile cogliere un’opera artefatta.
In conclusione si può immaginare l’atto dello scrivere come un evento spirituale cioè un evento in cui è impossibile prevedere prima quale sia il testo che risulterà effettivamente scritto. In ciò sta il fascino del Memoriale che diventa una specie di cantiere aperto, una continuo banco di prova dell’intelligenza di chi lo studia, una fonte di molte sorprese, una finestra spalancata o meglio una serie di feritoie dischiuse sul mistero di un’esperienza vissuta veramente eccezionale.
Il Memoriale come già accennato non è, e non vuole essere, solo un libro di narrazione di un’esperienza, sia pur ricca e profonda, ma in esso è contenuta una volontà di elaborare anche una dottrina, cioè un modo oggettivo di descrivere l’esperienza di Dio, in altri parole “fare teologia”, in un tempo in cui fra teologia spirituale e teologia dogmatica, per usare termini contemporanei, non esisteva ancora una distinzione netta.
In generale gli autori e studiosi che si sono interessati di Angela da Foligno hanno molto spesso desiderato elaborare una teologia angelana a partire dai testi, cercando di costruire una struttura più o meno elaborata e complessa in cui inserire le esperienze narrate senza però domandarsi quale teologia quegli scritti stessi veicolassero nel narrare. La complessa relazione fra l’esperienza descritta e la dottrina in essa contenuta lungo lo scorrere del Memoriale subisce rilevanti trasformazioni. All’inizio nei passus priores è frate A. che prende la parola e descrive il vissuto angelano in maniera oggettiva e dottrinale senza quasi nessun riferimento alle concrete esperienze fatte. É lui che ha il ruolo di voce “teologica”. Successivamente e progressivamente sono i fatti raccontati ad avere un’importanza rilevante fino al viaggio in Assisi che senza dubbio è la sezione più narrativa del Memoriale: le elaborazioni dottrinali sono ridotte al minimo. Il primo e secondo passus supplentes mostrano, l’insorgere di elementi dottrinali all’interno delle esperienze stesse e anche attraverso la voce di Angela che valuta e qualifica alcune di esse. Inizia così quel processo di oggettivazione del vissuto che sarà sempre più preponderante. Angela mostra sempre più la sua capacità di elaborazione del proprie esperienze e di valorizzazione di esse.
Nei passus successivi invece è la voce divina che, attraverso eventi locatori, assume il ruolo di fonte dottrinale. Nel quintus passus supplens invece è attribuita ad Angela una profonda analisi della relazione Dio-anima che assume il ruolo di maestra spirituale. Nell’ultimo passus supplens il settimo traspare con chiarezza la perfetta sintesi ottenuta fra le esperienze narrate e la dottrina che da essa ne promana. Sono, infatti, le narrazioni della relazione Dio-anima loro stesse, sia pur piene di elementi soggettivi, a esporre e mostrare l’elemento oggettivo dottrinale. L’esperienza nel suo narrarsi è divenuta dottrina su Dio e sulla sue relazioni con l’anima, in modo tale che la “teologia” che viene elaborata viene pensata come un’esperienza. La teologia in conclusione è un’esperienza.
Appare evidente che chi scrive il septimus passus ha raggiunto una tale capacità linguistica nel descrivere le situazioni e gli eventi interiori, da poter rendere in maniera oggettivante il vissuto soggettivo. In questo passus si comprende bene che le due voci, quella di frate A. e quella della Folignate, restano separate. Quindi è impossibile pensare che l’elaborazione dottrinale sia il semplice frutto di frate A. che di propria mano compone o riscrive ogni cosa. Sembra invece più evidente che, attraverso la particolare relazione che sussiste fra Angela e il frater scriptor nel redigere il testo, essi sono giunti ad una tale chiarezza di strumentazione linguistica capace di pervenire ad una profonda unificazione tra dottrina esposta e descrizione esistenziale. Angela assume il ruolo di testimone vivente di una teologia. La felice espressione – la “verità mostrata in un’esperienza” – qualora si voglia intendere questa verità come verità su Dio e sull’uomo e sulla loro relazione è veramente indicativa di un’impostazione di fondo.
Si tratta di un’impossibilità culturale di esprimere in maniera concettuale legata alla pochezza di strumentazione che hanno Angela e il frater scriptor oppure di qualcosa di diverso? In realtà sembra che ci sia più una volontà esplicita di non utilizzare le forme razionali argomentative all’infuori di un vissuto narrato che una reale incapacità a farlo. Anche nel passo del Peregrinus dove appare più evidente la volontà di proporre un testo dottrinale è costante il riferimento al vissuto come fonte, sia di esplicazione della dottrina esposta, sia della veridicità di essa.
India: nuova profanazione di una chiesa - L'Arcivescovo di Bangalore: “Sono profondamente ferito”
BANGALORE, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).- L'Arcivescovo di Bangalore, monsignor Bernard Moras, ha denunciato la mancanza di risposte da parte del Governo in seguito a una nuova profanazione di una chiesa nello Stato indiano del Karnataka.
La chiesa cattolica di Sant'Antonio a Kavalbyrasandra, nei dintorni di Bangalore, è stata oggetto di atti di vandalismo e di profanazione sabato notte, ha reso noto “Elises d'Asie”, l'agenzia informativa delle Missioni Estere di Parigi (MEP).
Il sagrestano ha scoperto l'accaduto aprendo la chiesa per preparare la Messa alle cinque del mattino di domenica.
Il tabernacolo era rotto e le ostie giacevano al suolo. Gli armadi sono stati saccheggiati, le cassette dell'elemosina forzate e sono stati rubati rubato un calice d'oro, due pissidi e altri oggetti sacri.
Il parroco, padre Arockiadas, ha ricordato che la chiesa, che ha più di 5.000 fedeli, era stata riaperta dopo alcune opere di ampliamento l'11 settembre scorso senza che si verificassero incidenti o scontri con le comunità non cristiane.
Lo Stato del Karnataka ha subito “molti attacchi alle chiese”, ma “non è stato arrestato alcun colpevole, nonostante le promesse delle forze di polizia”, ha denunciato monsignor Moras.
Il presule ha detto di essere sorpreso dalla mancanza d'azione del Governo e di aver perso del tutto la fiducia nella polizia.
“Sono profondamente ferito da questa profanazione del Santissimo Sacramento, che è al cuore della nostra fede”, ha dichiarato.
L'Arcivescovo ha anche esortato i fedeli a mantenere la calma. Quasi mille persone si sono riunite nella chiesa per pregare.
La polizia ha pattugliato la zona con cani-poliziotto, e gli esperti hanno provato a trovare orme e indizi.
Il 10 settembre scorso, un'altra chiesa aveva subito atti vandalici, mentre i cristiani del Karnataka si preparavano a commemorare il triste anniversario degli attacchi anticristiani dell'anno scorso, perpetrati da alcuni estremisti indù.
In quell'occasione, la chiesa di San Francesco di Sales di Hebbagudi, vicino Bangalore, è stata assaltata da circa 25 individui non identificati, che hanno rotto una decina di finestre e distrutto le statue di una Via Crucis davanti al tempio.
Il parroco ha rivolto un appello al Governo dello Stato: “Chiediamo giustizia davanti al Governo e alle autorità competenti perché i cittadini indiani possano praticare in sicurezza la propria religione”.
In quel momento, un acceso dibattito ha agitato l'Assemblea legislativa del Karnataka. Uno dei leader dell'opposizione ha denunciato che “da quando il Bharatiya Janata Party (BJP) è arrivato al Governo nel maggio 2008 si sono susseguiti gli attacchi a chiese, moschee e altri luoghi di culto. Non c'è armonia sociale né religiosa”.
Dopo l'Orissa, epicentro della violenza anticristiana del 2008, lo Stato del Karnataka è uno dei più colpiti dagli attacchi, con più di 40 luoghi di culto saccheggiati e numerosi cristiani aggrediti e feriti gravemente.
La mancanza d'azione o la complicità del Governo e della polizia durante gli attacchi sono state prese di mira, in particolare da monsignor Moras.
Come aveva fatto con l'Orissa, il Governo federale ha minacciato quello del Karnataka di farsi carico della situazione se lo Stato si fosse mostrato incapace di controllare i fanatici indù.
La Costituzione del Paese permette un intervento federale se uno degli Stati non riesce a difendere i diritti dei cittadini.
Da parte loro, i cristiani del Karnataka avevano deciso, su iniziativa di monsignor Moras, di unirsi in un forum ecumenico, il KUCFHR, per difendere i propri diritti fondamentali.
Delegazioni di 113 denominazioni cristiane si sono riunite, in una grande dimostrazione di unità, il 19 giugno scorso.
Il Forum si è dotato di una direzione tricefala, con monsignor Moras (che è anche presidente del Consiglio dei Vescovi cattolici del Karnataka), il Vescovo della Chiesa dell'India del Sud (Church of South India, CSI) e quello della Chiesa metodista.
Secondo le statistiche nazionali del 2001, lo Stato del Karnataka ha più di 53 milioni di abitanti, per la grande maggioranza indù. I musulmani rappresentano circa il 12% della popolazione, i cristiani meno del 2%, subendo regolarmente gli attacchi dei fondamentalisti indù.
Come durante l'attacco del settembre scorso, il Ministro dell'Interno del Karnataka, V.S. Acharya, membro del BJP, ha definito la profanazione della chiesa di Sant'Antonio un “incidente minore”.
Ucciso un altro sacerdote in Brasile, il quarto in cinque mesi - La polizia ha arrestato due giovani
MACEIÓ, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).- Padre Hidalberto Henrique Guimarães, pugnalato a morte sabato 7 novembre, è il quarto sacerdote assassinato in Brasile in poco meno di cinque mesi.
Il corpo senza vita del presbitero, di 48 anni, è stato rinvenuto con i segni di 18 coltellate e vari colpi alla testa nella sua casa sabato sera, ha reso noto la Conferenza Episcopale brasiliana.
Questo martedì è stato sepolto nel cimitero di San José, nel quartiere di Trapiche da Barra, nella città di Maceió.
La polizia ha arrestato domenica per il crimine due giovani di 16 e 19 anni.
Padre Hidalberto era parroco della chiesa di Nostra Signora della Grazia, nel municipio di Murici, alla periferia di Maceió, come ha ricordato la “Radio Vaticana”.
Era scomparso il 5 novembre dopo aver partecipato a un incontro del clero. Sabato doveva celebrare la Messa nella città di Branquinha. Un amico, preoccupato per la sua assenza, è andato a casa sua, dove ha rinvenuto il corpo senza vita del sacerdote.
Padre Hidalberto aveva ricevuto l'ordinazione sacerdotale nel 1992. Di recente si era laureato in giornalismo. Apprezzava in particolare i fedeli capaci di trovare spiegazioni agli avvenimenti.
L'Arcivescovo di Maceió, monsignor Antonio Muniz, ha dichiarato che “non solo il clero, ma tutta la comunità di Alagoas è sorpresa” dall'accaduto.
Nel 2009, la Chiesa cattolica in Brasile ha perso quattro sacerdoti vittime di omicidi. Il primo, consultore della sezione giovanile della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, è stato padre Gisley Azevedo Gomes, 31 anni, assassinato da un gruppo di giovani il 15 giugno a Brazlandia, città satellite di Brasilia.
Il 19 settembre è stato ucciso con un colpo alla testa a Manaus il sacerdote italiano fidei donum Ruggero Ruvoletto, 52 anni.
Il 26 settembre padre Evaldo Martiolo, 33 anni, appartenente alla Diocesi di Caçador, è stato ucciso da un ragazzo di 21 anni e un adolescente di 15 durante un tentativo di furto sfociato in tragedia.
PETIZIONE/ Ridateci l’Europa che vogliamo - Renato Farina giovedì 12 novembre 2009 – ilsussidiario.net
La petizione qui pubblicata va stampata, diffusa, propagandata, firmata, spedita.
Amata, soprattutto amata. C’è dentro il respiro dell’Europa così com’è stata pensata dai suoi fondatori: un respiro oggi soffocato da un’istanza europea che fa torto proprio alla sua origine, come un figlio che uccida la madre. Senza quella croce non ci sarebbero né diritti umani, né Europa.
La petizione allora rappresenta il modo più semplice, chiaro, forte per far valere le ragioni della nostra libera volontà. Qualche volta il popolo ha diritto di ribellarsi, fa parte anche questo dei diritti umani. E la petizione è il modo più civile, ma non si sottovaluti alla lunga questo primato dato alle burocrazie rispetto alla volontà della gente.
Quando ci si ribella persino alle Alte Corti? Accade quando si sente conculcata la propria anima da un potere sentito come estraneo. È il nostro caso. La citata decisione della Corte europea dei diritti umani, che ha multato l’Italia perché espone i crocifissi sulle pareti delle aule scolastiche, pretende di estirpare dal petto la fotografia di chi ci è caro, il più caro di tutti. E lo fa in nome della giustizia, come nel nome della giustizia quel Tale fu messo in croce.
Un’assurdità che pretende di avere il sigillo della legalità più alta.
Per questo Cristiana Muscardini e Mario Mauro, del Pdl, e David Sassoli, del Pd, lanciano la petizione popolare perché sia restituito al popolo il diritto di essere se stesso, di poter scegliere i simboli in cui riconosce se stesso e la propria storia. I due eurodeputati hanno preso questa iniziativa dal luogo decisivo dell’Europa unita, là dove l’ideale europeo di democrazia ha i suoi rappresentanti eletti dai cittadini dei 27 Paesi. Non c’è bisogno di disquisizioni sottili. La petizione ha una eloquenza che non va addolcita o interpretata.
Di certo i diritti umani non possono più essere esclusiva prerogativa di magistrati che ragionano sulla base della loro ideologia, dove la libertà è intesa come appartenente al singolo individuo al quale viene assegnato il diritto di veto sui simboli di una società. Sarà interessante quando ci sarà qualcuno che si sentirà offeso dalla croce che dà forma e consistenza alle bandiere di molti Paesi europei, come la Svezia, la Danimarca. Tra i 47 Paesi del Consiglio d’Europa, su cui ha giurisdizione la Corte di Strasburgo, c’è la Svizzera che ha la croce in cielo, sulle ali degli aerei. Che si fa, li si abbatte?
E solo una piccolissima minoranza può sentirsi in realtà offesa da quella visione, ma lo fa perché odia la nostra stessa essenza europea. “Europa, ricordati il tuo battesimo”, ammoniva Giovanni Paolo II. Per questo chiedeva nella Costituzione la citazione delle radici cristiane, non per vuoto nominalismo, ma per lealtà verso noi stessi, e come garanzia perché non ce le strappino con le tenaglie dei falsi diritti umani, che da quel simbolo tra l’altro non possono prescindere.
Per rispettare il senso di fastidio di chi odia il nostro stesso cuore, va spogliata la nostra vita dall’icona di Cristo, lavare le nostre pareti dalla memoria? Bisognerebbe allora per coerenza purificare il panorama dalle croci, ripulire i quadri dei musei, i libri di arte, strappare dal petto le medagliette dei bambini e dei vecchi.
Questo fa capire che razza di mondo assurdo, senza fremiti, senza passione e amore, si figurino come culla dei diritti questi magistrati la cui bilancia deve avergli schiacciato il cuore e la testa quand’erano piccoli.
Intanto mandiamo la petizione. Facciamoci sentire.
Il “ricatto” repubblicano a Obama - Lorenzo Albacete giovedì 12 novembre 2009 – ilsussidiario.net
Qualche giorno fa sembrava che la notizia della settimana sarebbero stati i risultati delle elezioni del 3 novembre e ciò che ne sarebbe emerso circa la popolarità e il consenso politico del presidente Obama a un anno dalla sua elezione.
Invece, ora che le elezioni sono avvenute, quasi nessuno ne parla. L’opinione prevalente è che abbiano messo in rilievo una diminuzione nel potere politico del presidente, ma la sua popolarità personale rimane un po’ più alta di quella di altri presidenti. Alla fine della settimana, l’approvazione del progetto di legge sulla riforma sanitaria da parte della Camera dei Rappresentanti ha dimostrato che in realtà il capitale politico di Obama non si è esaurito.
La maggioranza dei commentatori concorda sul fatto che durante le elezioni della scorsa settimana gli elettori non sono stati spinti dalla loro ideologia politica, ma piuttosto dalla rabbia e frustrazione per la situazione economica e dalla volontà di punire il partito al governo. Infatti, molti di coloro che hanno votato non avevano particolari affiliazioni partitiche e, inoltre, la coalizione che aveva sostenuto Obama nella sua campagna non ha partecipato a queste elezioni con la stessa energia e zelo di un anno fa.
Le due sconfitte più gravi per il Partito Democratico sono state nel New Jersey e in Virginia. Nel New Jersey, il governatore uscente Jon Corzine ha ottenuto solo il 45% dei voti, nonostante Obama avesse visitato tre volte lo stato per sostenere la sua campagna. Il vincitore, il Repubblicano Chris Christie, è un ex procuratore federale e ha promesso di ripulire lo stato dalla diffusa corruzione, che coinvolge anche alleati di Corzine.
In Virginia, il Repubblicano Bob McDonnel ha condotto una campagna molto pragmatica, ottenendo un forte appoggio dagli elettori indipendenti che gli ha consentito di raggiungere il 59% dei voti. Dall’altro lato, nello stato di New York il candidato Repubblicano ha dovuto ritirarsi sotto gli attacchi dei conservatori che lo accusavano di essere troppo progressista. Così, per la prima volta, un Democratico ha vinto contro il candidato conservatore, appoggiato da un personaggio nazionale come Sarah Palin.
Una sfida interessante è stata l’elezione del sindaco di New York City. Il sindaco uscente, l’indipendente Michael Bloomberg, ha sconfitto il candidato Democratico Bill Thompson, ma nonostante abbia speso una fortuna e utilizzato qualche trucco legale per superare le richieste di limitare il numero delle legislature e poter così correre per la terza volta, ha ottenuto solo il 51% dei voti. Al momento, non si vedono possibili risvolti nazionali a seguito di questo risultato, anche perché una larga parte degli aventi diritto al voto non ha partecipato alle elezioni cittadine.
Per riassumere, quanto si può dire su questa tornata di elezioni è che gli elettori indipendenti e conservatori hanno iniettato nuova vita nel Partito Repubblicano, dando così qualche preoccupazione ai Democratici, specialmente nelle zone conservatrici, per la loro rielezione nel 2010. Questo si è visto chiaramente in occasione dell’approvazione del progetto di legge sulla riforma sanitaria alla Camera dei Rappresentanti, dove la dirigenza Democratica è dovuta scendere a compromessi (specialmente circa il diritto all’aborto) per poter vincere, ma perdendo ugualmente il consenso di molti Democratici conservatori e facendo infuriare la base progressista del partito.
Tra le elezioni e la vittoria sulla riforma sanitaria, è arrivata la notizia della tragedia di Fort Hood, la base militare nel Texas, che ha scosso a fondo la nazione che ha cominciato a chiedersi veramente cosa stia succedendo in questo Paese. Sebbene alcuni pazzi conservatori abbiano persino cercato di addossare in parte la responsabilità a Obama, la maggior parte degli americani ha lasciato da parte la politica per chiedersi se vi è una ferita più profonda nella società americana. Per quanto ne so, tuttavia, non vi è stata nessuna discussione pubblica a livello nazionale sulle conseguenze del peccato originale.
Gameti artificiali. E l’uomo non serve più - di Michele Aramini – Avvenire, 12 novembre 2009
Qual è il senso delle notizie circolate nei giorni scorsi sulla possibilità di ottenere ovuli e spermatozoi a partire da cellule staminali tratte dal corpo umano? Anche se l’obiettivo di avere ovuli e spermatozoi artificiali è lontano, crediamo che alcuni esperti di fecondazione artificiale stiano preparando il terreno perché anche questa insensatezza venga digerita dall’opinione pubblica. Naturalmente si dovrà abbellire la tecnica presentandola come uno strumento efficace contro l’infertilità. Fa parte dell’abbellimento pure il far credere che non ci siano problemi etici, in quanto non si distruggono embrioni; infatti le cellule di partenza sono prelevate dal corpo dell’adulto, probabilmente dalla pelle.
Su queste pagine sono già state messe in evidenza le aberrazioni a cui potrebbe condurre la produzione e la commercializzazione dei gameti umani.
Ora vogliamo vedere se è vero che esistano problemi etici per la tecnica annunciata. La creazione di gameti artificiali a partire da cellule somatiche dell’adulto, con la successiva creazione di embrioni da impiantare in utero, si configura come sostituzione dell’atto coniugale destinato alla procreazione. Siamo nello stesso ambito della fecondazione in vitro.
Bisogna chiedersi se questo modo di far nascere l’uomo sia rispettoso della dignità del nascituro, ma anche della dignità dei genitori. Come nel caso della Fivet, anche la creazione dei gameti artificiali rende inutile l’attività sessuale ai fini della procreazione. Ma la separazione tra atto sessuale e procreazione è moralmente accettabile? Per coloro che ormai vedono la persona umana solo sotto il profilo biologico ovviamente non c’è alcun problema: il materiale biologico lo prendiamo dove è disponibile, direbbe Flamigni. Ma per coloro che – come noi – si ostinano a pensare che la generazione dell’uomo non sia un evento materiale ma abbia una sua verità oggettiva, le cose stanno diversamente. C’è bisogno di ricordare che l’unione sessuale dei coniugi non ha solo un aspetto fisico-genitale, quello che biologicamente è necessario perché possa nascere una nuova vita. Essa significa fusione psicologica e spirituale delle persone dei due coniugi: una fusione che è posta in essere dal dono che ciascuno fa di sé all’altro. Solo questo atto è degno di dare origine a una nuova vita: ogni altro modo è gravemente illecito. Infatti tra la persona umana e l’atto che le dà origine deve esserci una adeguata corrispondenza.
Quale atto possiede questa adeguata corrispondenza? Quale atto, cioè, vuole la persona in se stessa e per se stessa? È solo un atto di amore, poiché questa è precisamente la definizione stessa dell’amore: volere l’altro in sé e per sé. Ogni altro modo di dare la vita è inadeguato al valore della persona.
In secondo luogo, occorre richiamare la distinzione, di fondamentale importanza in etica, tra fare e agire. A prescindere dal vissuto psicologico di chi le compie, le nostre azioni si collocano sempre a uno di questi livelli: o esse tendono alla produzione di un effetto esterno al soggetto che agisce; oppure restano nel soggetto che agisce. Il modello che possiede una corrispondenza adeguata con l’origine di una nuova persona umana è solo quello che si colloca nell’ambito dell’essere, come è appunto l’atto coniugale, che è atto di amore e appartiene perciò all’agire dell’uomo.
La serie di atti in cui consistono la Fivet e la produzione di embrioni da gameti artificiali hanno invece la natura del fare e originano un prodotto. La riduzione del figlio a prodotto non è solo una eventualità, ma un esito connesso a queste pratiche. È nell’ordine delle cose che si arrivi alla manipolazione delle più fondamentali caratteristiche dei figli da parte dei genitori, tecnici e altre persone interessate, gruppi e governi. Quindi non è neppure vero che non si distruggeranno embrioni, perché quelli prodotti e non corrispondenti agli standard desiderati verranno eliminati. La risposta alla domanda che abbiamo posto è chiara: si tratta di tecniche illecite che privano il bambino dell’atto fondatore, il dono che si realizza attraverso l’atto sessuale dei genitori. Solo questo atto garantisce il figlio dall’essere ridotto a oggetto. Una pratica del genere muta anche lo status dei genitori, i quali assumono il carattere di fabbricatori e giudici sul valore del figlio ridotto a oggetto.
Omofobia, anche l’Onu ci prova - di Tommaso Gomez – Avvenire, 12 novembre 2009
E’ il costume a dettare le leggi o sono le leggi a plasmare il costume?
Sciocca finché volete, irrisolvibile pure, ma la domanda sorge spontanea di fronte allo stillicidio di leggi e leggine – quasi tutte da matita blu – che sospingono la società occidentale in una sola direzione. Con qualche ragguardevole eccezione. In Gran Bretagna, scrive Carolina Stupino sul Messaggero (7 novembre), «il ministro dell’Istruzione Ed Balls ha annunciato che l’educazione sessuale diverrà obbligatoria per tutti gli allievi dai 15 anni in su. Coloro che, per via della loro religione o delle loro convinzioni, si ostineranno a non presentarsi in classe, verranno puniti secondo le regole della scuola, né più né meno come se avessero marinato la lezione». E i genitori? «Dai rilevamenti di opinione condotti dal ministero è emerso che ben il 79% dei genitori è contrario al fatto che le lezioni divengano obbligatorie». E pensare che i politici sono accusati di fare politica a colpi di sondaggi.
Non è ancora una legge, ma aspira a diventare tante leggi, una per ogni nazione. È la Raccomandazione n. 20 di un Rapporto presentato all’Assemblea generale dell’Onu, che – spiega Luca Volonté su Libero (6 novembre) – «descrive una nuova categoria di discriminazione fondata su 'orientamento sessuale e identità di genere'». Il relatore, l’avvocato indiano Anad Grover, parla di «facilitare l’accesso di coloro che desiderano nel proprio corpo modifiche relative alla rassegnazione di genere». Conclude Volonté: «All’Onu albeggia un nuovo diritto, quello del cambiamento di sesso, naturalmente pagato dai cittadini contribuenti».
Il fronte abortista segna il passo invece negli Usa. Le polizze sanitarie acquistate con i sussidi governativi non copriranno le interruzioni di gravidanza. Soddisfatto il Tempo : «E i cattolici esultano: passa una norma che limita l’aborto». Più compassato il Corriere: «Clausola anti-aborto. Una ferita aperta in casa democratica».
Intanto Carlo Bellieni ( Osservatore Romano , 5 novembre) rispolvera una proposta di legge fatta al Parlamento scozzese nel 2008, che chiede l’eutanasia legalizzata anche per quanti «non sono in stato terminale, non soffrono di malattia degenerativa, non sono inaspettatamente resi disabili, ma trovano la loro vita intollerabile». I paradossi fioccano, perlopiù agghiaccianti: «Se il diritto a terminare la vita quando si è stufi viene sancito, quale agente di polizia o quale semplice passante si azzarderà più a fermare un suicida, magari malato o sofferente?».
Viene in mente la scena iniziale del cartoon Gli incredibili , con il supereroe citato in giudizio dall’aspirante suicida che lo denuncia per averlo salvato senza chiedergli il permesso. Ma Bellieni mette anche in evidenza che «c’è un punto nodale: il contrasto stridente tra il tanto parlare sui media di come e quando morire e, al contrario, il parlare in sordina di come far vivere meglio chi soffre per malattia o solitudine (...). Si combatte per la dignità della morte, mentre si dovrebbe combattere per la dignità della vita».
Camillianum - Biomedicina: verità e bugie sull’inizio vita – Avvenire, 12 novembre 2009
Il corpo dell’essere umano «fin dai primi stadi di esistenza non è mai riducibile all’insieme delle sue cellule».
L’embrione, infatti, si sviluppa «progressivamente secondo un programma ben definito e con un proprio fine, che si manifesta con la nascita di ogni bambino».
Monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, ieri, nella sua lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione a Roma del nuovo anno accademico del Camillianum, l’Istituto internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria, lo ha ammesso: «Il valore della vita umana è uno dei problemi più complessi degli ultimi anni». Ed è pure di difficile soluzione, visto che ormai il relativismo etico è talmente accettato che sullo stesso argomento si danno risposte opposte.
Ecco perché la prima sfida da affrontare, ha sottolineato monsignor Zimowski, «riguarda l’inizio della vita umana», cioè l’embrione, cui si deve riconoscere la stessa dignità di un «essere umano». Secondo la biomedicina attuale, in realtà, «si potrebbe parlare di una vita umana embrionale dopo la blastula, cioè dopo l’impianto» e quindi «l’inizio del carattere autonomo dell’embrione umano» non avverrebbe prima dell’impianto completo, cioè 15 giorni dopo la fecondazione. C’è poi chi, in base al criterio biologico, sostiene che «si possano distinguere tre stadi nel processo embrionale e fetale» e quindi tre gradi etici, a seconda dello sviluppo della massa di cellule, fino al raggiungimento dell’individualità ed autonomia biologica. «Se la vita umana iniziasse soltanto dopo l’impianto – ha rimarcato monsignor Zimowski – ciò significherebbe un nulla osta etico per l’aborto»: essendo necessari infatti 15 giorni «dal momento della fecondazione dell’ovulo fino al momento dell’impianto nell’utero materno» la gestazione vera e propria non sarebbe ancora iniziata.
Da qui, la risposta della Chiesa alle sfide della biomedicina: «Il valore ontologico dell’embrione-persona si basa sul carattere sacro della vita umana, che possiede il genoma umano completo in ogni momento del suo sviluppo», ed è pertanto «illecito ogni artificiale discontinuum biologico». In sostanza, ha concluso il presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, gli sviluppi delle scienze mediche «meritano di essere sostenuti quando servono a superare o a correggere patologie e concorrono a ristabilire il normale svolgimento dei processi generativi», ma «non si possono condividere quando implicano la soppressione di esseri umani oppure sono adottati per finalità contrarie al bene integrale dell’uomo».
Un invito alla difesa della vita, quello di monsignor Zimowski, che il Camillianum ha rilanciato in un’iniziativa formativa. «Per il nuovo anno – ha anticipato il preside dell’Istituto, padre Luciano Sandrin – abbiamo in cantiere un master di secondo livello in bioetica e diritti umani in collaborazione con la Lumsa». A dirigerlo, Laura Palazzani, direttore del Centro studi biogiuridici della Lumsa. Il master prevede 300 ore di lezione in sei settimane da febbraio e luglio.
Graziella Melina