Nella rassegna stampa di oggi:
1) Analisi di una sconfitta pazza - Persa la scommessa della politica, la politica farà i conti con i temi etici, dal Foglio.it
2) Ferrara: "Que rest-il de nos amours?"
3) Cosa sta succedendo in Inghilterra?
4) La scomparsa dei comunisti
5) "Eugenetica e altri malanni": il saggio di Chesterton per la prima volta in Italia
15 aprile 2008
Dal Foglio.it
Analisi di una sconfitta pazza - Persa la scommessa della politica, la politica farà i conti con i temi etici
La lista per la moratoria “Aborto? No, grazie” aveva chiesto agli italiani un voto per portare in Parlamento non soltanto il dibattito sul tema cruciale, ma anche un gruppo di persone capaci di promuovere con competenza la difesa della vita maltrattata. In attesa dei numeri precisi, che ancora non conosciamo, va riconosciuto senza indulgenza che così non è stato: il risultato delle urne è disastroso, anche se meritano un grazie tutte le persone che invece alla nostra scommessa politica hanno creduto. Ma scommessa politica era, appunto. E dunque sconfitta politica: non siamo riusciti a tradurre nel linguaggio di una competizione elettorale la forza di un dibattito culturale, civile, etico. Va riconosciuto l’errore di metodo: una lista “single issue” non era il modo efficace per fare politica attorno a una questione decisiva come l’aborto, l’eugenetica e la manomissione della vita umana. E’ stato un errore anche scommettere di potercela fare lottando a mani nude, con un’organizzazione volontaria e generosa ma largamente improvvisata. Senza l’apparentamento su cui si era inizialmente confidato, correre da soli, e anche con un certo orgoglio di farlo, è stata una scelta avventurosa, dunque imprudente, tanto più grave in una campagna a polarizzazione spinta e dominata all’orizzonte dal voto utile.
Que rest-il de nos amours? Tutto ovviamente, una volta pagato pegno al conteggio delle schede, per quel che riguarda ragioni, idee, passione di una battaglia che troverà la strada per proseguire sul terreno su cui è partita: cultura, idee, informazione, agitazione. Tutto resta della splendida avventura umana intrapresa con i candidati e i sostenitori di una lista che fin da subito abbiamo definito pazza. Gli italiani hanno dichiarato che non si fa partito sull’aborto. Ma la pillola Ru486, il testamento biologico, i protocolli applicativi della legge 194 e le linee guida della legge 40 sulla fecondazione artificiale saranno tra i primi temi con cui il governo dovrà misurarsi e su cui, in Parlamento, un cospicuo corpo trasversale darà battaglia. Insomma, i temi etici possono essere tenuti fuori dalla campagna elettorale, ma non dall’attività del governo e del Parlamento. Intorno alla vita maltrattata non si fa politica elettorale nel modo da noi scelto, ma si dovranno prendere decisioni dure e difficili. Speriamo buone decisioni e buone leggi. Resta, ultimo ma non ultimo, che l’insorgenza della biopolitica è un fattore destinato a crescere. Si tratta della sconfitta di una lista pazza, attraverso la quale è però stata rotta una opaca congiura del silenzio.
Ferrara: "Que rest-il de nos amours?"
Autore: Buggio, Nerella
Fonte: CulturaCattolica.it
martedì 15 aprile 2008
Que rest-il de nos amours? Tutto ovviamente, una volta pagato pegno al conteggio delle schede, per quel che riguarda ragioni, idee, passione di una battaglia che troverà la strada per proseguire sul terreno su cui è partita
Scrive Ferrara su Il Foglio di oggi: “Persa la scommessa della politica, la politica farà i conti con i temi etici
La lista per la moratoria “Aborto? No, grazie” aveva chiesto agli Italiani un voto per portare in Parlamento non soltanto il dibattito sul tema cruciale, ma anche un gruppo di persone capaci di promuovere con competenza la difesa della vita maltrattata. In attesa dei numeri precisi, che ancora non conosciamo, va riconosciuto senza indulgenza che così non è stato: il risultato delle urne è disastroso, anche se meritano un grazie tutte le persone che invece alla nostra scommessa politica hanno creduto. Ma scommessa politica era, appunto.”
Eppure, molti di noi hanno accarezzato, seppure per un attimo, l’idea di votare la “lista pazza”, si sono macerati tra la scelta di cuore e quella di testa, perché ogni singola parola detta in questi giorni da Ferrara ci trovava d’accordo, perché siamo grati al nostro elefantino di avere riportato alla ribalta il tema della vita, di averci costretti ad una riflessione su un tema che era diventato un tabù del terzo millennio, dove la parola “dramma” metteva un cerotto su uno squarcio.
“L’aborto è un dramma per ogni donna” si diceva, ma vietatissimo cercare soluzioni diverse dall’aborto a questo dramma.
Continua Ferrara: “Que rest-il de nos amours? Tutto ovviamente, una volta pagato pegno al conteggio delle schede, per quel che riguarda ragioni, idee, passione di una battaglia che troverà la strada per proseguire sul terreno su cui è partita: cultura, idee, informazione, agitazione. Tutto resta della splendida avventura umana intrapresa con i candidati e i sostenitori di una lista che fin da subito abbiamo definito pazza.
Gli italiani hanno dichiarato che non si fa partito sull’aborto.
Ma la pillola Ru486, il testamento biologico, i protocolli applicativi della legge 194 e le linee guida della legge 40 sulla fecondazione artificiale saranno tra i primi temi con cui il governo dovrà misurarsi e su cui, in Parlamento, un cospicuo corpo trasversale darà battaglia. (...) Speriamo buone decisioni e buone leggi. Resta, ultimo ma non ultimo, che l’insorgenza della biopolitica è un fattore destinato a crescere. Si tratta della sconfitta di una lista pazza, attraverso la quale è però stata rotta una opaca congiura del silenzio.”
Contiamo dunque su Ferrara e su tutti gli altri che hanno fatto parte della "lista pazza" perché insieme si continui su un cammino comune a difendere la vita a trovare soluzioni al dramma dell'aborto che resta un fatto che condiziona la società stessa, cambiandone nel profondo la mentalità, il modo di guardare alla vita non solo del concepito ma anche di coloro che hanno il privilegio di venire al mondo.
Mi permetto di aggiungere comunque un grazie a Giuliano Ferrara, perché con quello che ha fatto ha chiamato tutti a prendere posizione su un tema, quello della vita, così caro alla Dottrina sociale cristiana, che - si spera - non sarà più «tabù», e in termini di profonda ragionevolezza [Gabriele Mangiarotti]
Cosa sta succedendo in Inghilterra?
Multiculturalismo e "politically correctness" sono le due armi micidiali dei fautori del mondialismo anticristiano e antioccidentale. Il Paese dove stanno raccogliendo il più sconvolgente successo è senz'altro l'Inghilterra...
Giustizia avrebbe voluto che, con il crollo del comunismo alla fine degli anni Ottanta, tutti i movimenti occidentali d'ispirazione socialista sprofondassero nel discredito. Invece, grazie a un'abile operazione di riconversione ideologica, la sinistra è riuscita a conservare l'egemonia culturale passando dal marxismo al multiculturalismo.
La nuova sinistra multiculturalista non concentra più le sue critiche sulle strutture economiche della società capitalistica, come prescriveva il marxismo classico.
Quasi nessuno oggi ha più il coraggio di chiedere l'abolizione della proprietà privata o la collettivizzazione dei mezzi di produzione.
L' attacco prende invece di mira le "sovrastrutture" culturali della società, secondo la lezione di Antonio Gramsci e della Scuola di Francoforte.
Lo spopolamento degli inglesi
Il multiculturalismo rappresenta una continuazione della guerra fredda con altri mezzi, e dietro una facciata relativista si pone l'obiettivo di distruggere il retaggio tradizionale dell'Europa cristiana.
Quest'odio profondo per tutto ciò che appartiene al passato storico dell'Europa si manifesta con l'esaltazione acritica di ogni cultura estranea all'Occidente, comprese le più aberranti, e con il desiderio frenetico di ripopolare il vecchio continente con immigrati extraeuropei anche apertamente ostili ai valori culturali dei paesi ospitanti.
Il Paese dove l'applicazione dell'ideologia multiculturalista ha raggiunto le punte più avanzate è la Gran Bretagna. Nei lunghi anni di governo laburista, con Tony Blair e ora con Gordon Brown, il Regno Unito ha spalancato le frontiere ad un'immigrazione di massa prevalentemente musulmana, e ogni anno affluiscono più di 250.000 immigrati dal Terzo Mondo.
Gli inglesi autoctoni fanno pochi figli (l'attuale tasso di fertilità di 1,6 figli per donna è il più basso della storia inglese da quando si sono iniziate a raccogliere le statistiche nel 1924) e, spaventati dai rapidi mutamenti sociali, hanno iniziato ad emigrare in gran numero: ogni anno 200.000 inglesi lasciano la madrepatria per stabilirsi prevalentemente negli Stati Uniti, in Canada o in Australia.
Sulla base di questi trend i demografi hanno calcolato che entro la fine del secolo la popolazione inglese sarà ridotta in minoranza nella propria terra natale.
Un'arma per l'islamizzazione
I problemi maggiori nascono dal fatto che il processo di trasmissione della cultura nazionale è stato messo al bando in Gran Bretagna in omaggio alla "correttezza politica".
Secondo l'ideologia progressista dominante, infatti, trasmettere la cultura anglosassone agli immigrati rappresenterebbe un grave atto di "imperialismo culturale". Lo stesso erede al Trono, il principe Carlo, ha in più occasioni manifestato la sua ammirazione per l'islam, a suo dire capace di riempire il vuoto spirituale dell'Occidente.
In questo ambiente favorevole, la penetrazione della legge coranica nella società britannica è stata rapida. Negli ultimi anni a Londra dozzine di tribunali islamici hanno emesso migliaia di sentenze su matrimoni, divorzi e eredità. E nonostante la bigamia e la poligamia siano illegali in Gran Bretagna, il governo ha deciso di sostenere economicamente le famiglie poligamiche musulmane a condizione che i vari matrimoni siano avvenuti all'estero, in nazioni che riconoscano come legale la poligamia.
A Huddersfield, nel West Yorkshire, una locale scuola confessionale cristiana ha optato per censurare la celebre fiaba dei "Tre porcellini" per paura di offendere la locale comunità maomettana.
Inoltre, secondo un recente rapporto, in diverse scuole del Regno Unito verrebbero censurati gli studi riguardanti episodi considerati offensivi per la comunità islamica, come il genocidio ebraico e le crociate.
Molti docenti, infatti, avrebbero difficoltà a imporre lezioni che i possano infastidire il sentire degli alunni islamici. A Oxford, i genitori di bambini della Rose Hill Primary School sono furiosi, in quanto hanno ricevuto una lettera su cui c'era scritto che la carne hallal sarebbe stata servita a tutti i bambini e che questa decisione faceva parte di una "politica di integrazione a scuola".
D'altronde, alzare la voce contro queste situazioni appare alquanto difficile se si pensa che il vescovo anglicano di Rochester, Michael Nazir-Ali, ha subito minacce di morte per aver denunciato l'esistenza, in Inghilterra, di "no-go areas" in cui i non musulmani rischiano grosso se provano a entrarvi, mentre un lavoratore cattolico, Joseph Protano, è stato licenziato dal Royal Manchester Children's Hospital per aver litigato con degli islamici che avevano coperto il crocifisso e la statua della Madonna in una sala di preghiera.
Ci si mette pure il Primate anglicano
Infine, come se tutto questo non bastasse, è arrivata come una bomba la dichiarazione dell'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, secondo cui "pare inevitabile" l'adozione di parti della sharia nel sistema legale britannico.
L'alto prelato della chiesa di Stato inglese, ormai ridotta al lumicino a causa dei paurosi sbandamenti progressisti delle gerarchie (oggi in Inghilterra i cattolici praticanti sono diventati più numerosi degli anglicani praticanti), ha affermato che continuare a insistere sull'applicazione della legge britannica, piuttosto che autorizzare la legge islamica, causerebbe "un certo pericolo" per il Paese.
Il fatto che il leader spirituale di una nazione dalla storia illustre sia arrivato al punto di mettere a rischio la propria millenaria eredità culturale è sembrato troppo anche ai cittadini inglesi indottrinati da decenni di "correttezza politica".
A parte il sostegno di alcuni membri del sinodo vescovile anglicano, la reazione di condanna delle parole di Williams è stata quasi unanime a livello politico, giornalistico e popolare. Da più parti si è chiesta la sua rimozione, e Williams si è detto "sorpreso" e "scioccato" dall'enorme quantità di proteste. Il quotidiano Sun si è così espresso con un editoriale: «È facile denigrare l'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, trattandolo da vecchio idiota. In realtà, egli è una pericolosa minaccia per la nostra nazione».
In pratica, secondo l'Arcivescovo Williams, in Gran Bretagna le donne immigrate soggette a matrimoni forzati, mutilazioni genitali o violenze domestiche dovrebbero essere affidate al giudizio delle corte islamiche, invece che protette dalla Common Law inglese. Che si ricordi a memoria d'uomo, è la prima volta che una delle massime autorità spirituali dell'Europa propone di abbandonare delle vittime innocenti al loro destino.
Verso un suicidio organizzato
L'estremismo con cui gli inglesi hanno abbracciato l'ideologia multiculturalista è tanto più sorprendente, se si pensa che solo vent'anni fa il Regno Unito era la patria del conservatorismo thatcheriano. Questo radicale capovolgimento però non è stato solo ideologico, ma anche psicologico.
Nella loro storia gli inglesi non si sono mai fatti sottomettere da nessuno: basti ricordare l'ammirevole eroismo cui diedero prova durante la Seconda Guerra Mondiale. Oggi invece sembrano non avere altro desiderio che quello di arrendersi ai nuovi arrivati islamici. La nazione che ha resistito a Napoleone e Hitler si è fatta sconfiggere dal multiculturalismo.
Cento anni fa la Gran Bretagna era l'unica superpotenza mondiale. Oggi sta scomparendo perfino la sua cultura. Questa è la prima volta nella storia, ha rilevato il London Observer, che una popolazione indigena maggioritaria si è volontariamente ridotta in minoranza in assenza di guerra, carestie o epidemie.
Una cosa è certa: l'esperimento multiculturalista pianificato dalle élites inglesi finirà molto tragicamente, come tutte le utopie fallimentari del passato.
di Guglielmo Piombini
Radici Cristiane aprile 2008, pp. 24-26
La scomparsa dei comunisti
di Michele Brambilla
Non abbiamo nessuna intenzione di infierire contro Fausto Bertinotti: intanto perché non si uccide un uomo morto neppure quando la morte è solo politica; e poi perché, tra tanti spocchiosi maestrini dalla penna rossa, Bertinotti si distingue per intelligenza e simpatia. Bene ha fatto Umberto Bossi, ieri sera, a rendergli l’onore delle armi quando lo ha visto lì nel salotto di Vespa mentre offriva la propria faccia alla sconfitta.
Però quanto ci è parso rétro, l’ormai ex presidente della Camera, quando cercava di spiegare questa sconfitta. Rétro e anche un po’ patetico così come erano stati via via, lungo tutto il pomeriggio, i Giordano e i Russo Spena, i Cento e i Turigliatto. Tutti lì a invocare cause contingenti: siamo partiti tardi nella costruzione del soggetto unico, ha detto Bertinotti, e poi Veltroni ci ha segato le gambe con i suoi ripetuti appelli al voto utile. Quisquilie, spiegazioni del tutto inadeguate a rendere ragione di ciò che non è una semplice sconfitta elettorale ma l’incredibile perdita di tre milioni di voti su quattro; ed è soprattutto un evento storico, perché è la scomparsa dei comunisti dal parlamento dell’Italia, il Paese che per cinquant’anni aveva avuto il più forte partito comunista dell’Occidente.
È vero che Veltroni ha sfondato a sinistra perché - a causa dello sciagurato (per lui) accordo con i radicali - non è riuscito a far breccia nel centro cattolico. È vero anche che la Sinistra Arcobaleno paga le conseguenze di un percorso che ormai conduce inevitabilmente verso il bipolarismo. Ma Bertinotti e i suoi alleati dovrebbero appunto chiedersi come mai, sulla strada di questo bipolarismo, la sinistra più moderna - che è quella guidata da Veltroni - ha deciso di abbandonarli.
La risposta è semplice: è che al mondo di oggi, e perfino alla sinistra di oggi, chi si richiama ancora al comunismo non ha più nulla da dire, non ha più alcun contributo utile da dare. Così come è fuori dal tempo e dalla storia un ambientalismo estremista che si distingue solo per il suo ostinato e pregiudiziale dir di no a qualsivoglia progresso.
Non è stato Berlusconi, e non è stato neanche Veltroni a far sparire la falce e martello da Camera e Senato. È che ieri è suonata finalmente, anche in Italia, la campana della storia per un’ideologia che era già obsoleta e impresentabile quando Bertinotti, Cossutta, Diliberto e altri irriducibili si erano rifiutati di accettare la svolta del Pci, che il termine «comunista» lo aveva fatto sparire dal nome.
Il comunismo è nato con il nobile proposito di dare a ciascuno secondo il suo bisogno, e nell’Ottocento della Rivoluzione industriale prese le difese di chi in quel grande ma spietato processo di modernizzazione veniva usato come carne da macello. Ma la storia, la realtà, la prassi hanno poi mostrato che il comunismo - per usare le parole di Giovanni Paolo II - s’è rivelato una medicina peggiore del male che intendeva curare. Ovunque è salito al potere ha prodotto non solo repressione e terrore, lager e morti; ma anche un indicibile grigiore, un terrificante squallore intellettuale e morale. Il sistema politico che doveva dar vita all’«uomo nuovo» s’è dissolto lasciando dietro sé solo guerre, torture, disperazione, miseria. Non un’opera d’arte, non un poeta, non una scoperta scientifica degna di rilievo ci è stata consegnata da quel mondo.
I comunisti italiani e in genere occidentali si sono autoassolti attribuendo il fallimento a coloro che avrebbero, a loro dire, tradito l’idea. Ma con il trascorrere degli anni s’è visto che non v’era Paese in cui il comunismo non si trasformasse in tragedia: l’Urss, ma poi anche la Cina, il Vietnam, la Cambogia, Cuba. Ad uno ad uno, tutti i miti sono caduti. Perché il difetto non stava nell’errata applicazione dell’idea, ma nell’idea.
Lo stesso Bertinotti deve aver preso atto, qualche giorno fa, della non riproponibilità di un simile sistema di governo. È stato quando ha detto che il comunismo sopravviverà solo «come tendenza culturale». Ieri, da uomo d’onore, s’è dimesso. Ma lo sconfitto non è lui: è un’idea che non ha più nulla da dire all’uomo del terzo millennio.
Michele Brambilla
"Eugenetica e altri malanni": il saggio di Chesterton per la prima volta in Italia
di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 14 aprile 2008 (ZENIT.org).- Era il 1922 quando in Europa e negli Stati Uniti si diffuse l'entusiasmo per una nuova teoria, "l'eugenetica", che diceva di basarsi su solide basi scientifiche.
Ispirata al darwinismo sociale, con l'obiettivo di migliorare la specie umana attraverso la soppressione dei deboli, dei malati, dei disabili e dei meno adatti, l'eugenetica fu sostenuta e diffusa nei gruppi dirigenti della politica e dell'impresa, nella comunità scientifica, nelle università e nei mezzi di comunicazione di massa.
Chi si opponeva, come i Pontefici e la Chiesa cattolica, venne accusato di essere retrogrado e ignorante, contrario al progresso scientifico, oppositore dell'avanzamento dell'umanità.
La storia ha poi dimostrato come la teoria eugenetica abbia partorito e cresciuto il razzismo, le misure di selezione della razza, il pregiudizio e la discriminazione delle persone con argomentazioni genetiche, la soppressione di persone definite a priori non adatte o addirittura peggiorative della specie.
Milioni di persone sono state abortite, sterilizzate, imprigionate, recluse e uccise con programmi di eutanasia forzata a causa delle teorie eugenetiche.
Lo scrittore e giornalista Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) fu uno di quelli che capì subito l'orrore a cui avrebbe portato la teoria dell'eugenetica. A tal proposito, nel 1922 scrisse un libro che si è dimostrato profetico: "Eugenics and other evils" (Cassel and Company, Limited, London 1922).
Grazie all'editore Cantagalli, per la prima volta questo libro è stato tradotto in italiano ed è ora disponibile in libreria con il titolo "Eugenetica e altri malanni" (344 pagine, 22,00 Euro).
Nel testo, Chesterton denuncia le possibili conseguenze dell'eugenetica e accusa gli eugenetici di utilizzare la ricerca scientifica per imporre una tirannia.
Secondo l'autore britannico, attraverso l'eugenetica si voleva imporre una nuova forma di totalitarismo. Chesterton predisse che gli eugenetici avrebbero realizzato un mondo in cui il matrimonio sarebbe stato deciso, scelto e imposto secondo criteri genetici.
L'autore denuncia con decisione il fatto che con il pretesto dell'eugenetica si sarebbero violati i diritti al libero matrimonio e alla libera procreazione, con una pericolosissima invasione delle libertà civili.
Il noto scrittore critica Thomas Robert Malthus e Charles Darwin, colpevoli, a suo giudizio, di aver fornito le basi al movimento eugenetico con le teorie dell'esplosione demografica e il darwinismo sociale.
Nel libro Chesterton, seppure ironicamente, critica in maniera esplicita i socialisti Sidney Webb, fondatore della Fabian Society, Bernard Shaw e Herbert George Wells, tutti sostenitori dell'eugenetica addirittura come "nuova religione".
Nei documenti di appendice che accompagnano il libro di Chesterton, si riporta Bernard Shaw, il quale sostiene che "nulla se non una religione eugenica può salvare la nostra civiltà".
Per meglio comprendere la natura delle critiche di Chesterton, nel libro pubblicato da Cantagalli vengono riportati in appendice alcuni scritti dei suoi avversari, nonché diversi articoli della "Eugenics Review" e della "Birth Control News".
Impressionante risulta la crudeltà delle argomentazioni alla base della teoria eugenetica: barbarie come sterilizzazione forzata, aborti, eutanasia, discriminazione razziale e sociale vengono discussi e proposti con la più totale indifferenza, in un tipico esempio della "banalità del male".