mercoledì 30 aprile 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) La «libertas Ecclesiae», vero confine al totalitarismo moderno, di Mons. Luigi Negri
2) Il cambio di guardia al Campidoglio: i tanti significati di un risultato inatteso
3) Bologna, addio al progetto della nuova moschea
4) Leggere la Bibbia. Chi, quando, dove, come, perché
5) La Chiesa cattolica chiede il rispetto della libertà religiosa - Intervista al Direttore editoriale di "Mondo e Missione", Gerolamo Fazzini
6) EMERGENZA ALIMENTARE - NESSUNO ORMAI PUÒ FARE SOLO PER SÉ
7) Turco fa violenza alla legge 40?


La «libertas Ecclesiae», vero confine al totalitarismo moderno
Luigi Negri30/04/2008
Autore(i): Luigi Negri. Pubblicato il 30/04/2008 su IlSussidiario.net
La Chiesa ha maturato, nei vari secoli della sua storia e nelle circostanze più diverse, il concetto di libertas Ecclesiae non come una libertà da (non, ad esempio, come libertà dallo Stato), ma, fondamentalmente, come la possibilità di essere se stessa, di esprimere la sua originalità culturale ed etica, fino alle diverse conseguenze di carattere culturale, sociale e politico.
La libertà è caratteristica fondamentale della presenza della Chiesa e della sua missione, secondo la grande intuizione ambrosiana dell’«ubi fides, ibi libertas». In questo senso la libertà della Chiesa di essere se stessa, cioè di vivere la sua missione, rappresenta un grande fattore di inculturazione della fede e di creazione di una forma di società. Tale forma di società non si deduce meccanicamente dalla fede, ma è stata certamente, in alcuni momenti della storia della Chiesa, un'espressione significativa e singolare della novità dell'esperienza cristiana. Basti pensare allo straordinario insegnamento che Christopher Dawson ci ha lasciato sulla civiltà occidentale, che non è l'unica possibile civiltà cristiana, e non deve quindi essere né idealizzata né sacralizzata astrattamente, ma certamente è un'espressione particolarmente significativa e ben riuscita di una inculturazione della fede.
Da questo punto di vista, il concetto di libertas Ecclesiae è andato maturando lungo tutta la grande tradizione canonistica medioevale, fino ad arrivare all'inizio della società moderna. Allorquando lo Stato ha preteso di riprendersi una totalità di presenza nella vita della persona nella società, è proprio sul concetto di libertas Ecclesiae che la Chiesa ha ingaggiato la sua plurisecolare resistenza all'assolutismo e al totalitarismo moderno. Se la Chiesa deve essere libera di essere se stessa, e non può che tendere a questa libertà perché essa è condizione della sua presenza e della sua missione, allora è chiaro che deve denunciare tutti i tentativi che nel corso della storia si sono attuati per restringere questa libertà di missione: libertas Ecclesiae è sinonimo di libertà di missione, libertà di presenza.
La Chiesa attua questa sua libertà di presenza anche contestando quelli che essa ritiene non-valori, pur accettando che essi diventino operabili. I valori in quanto si negoziano in un dibattito politico o parlamentare, infatti, non ricevono da questo dibattito la loro validità, ma semplicemente la loro “operabilità” in un contesto. La positività o meno di un valore, sulla cui discussione si inserisce la libera azione di presenza e di testimonianza della Chiesa, è nella corrispondenza tra questo valore e la natura profonda dell’uomo.
Come già detto, la libertà nell'esperienza cattolica non è mai una libertà da, non è una libertà di fuga, ma una libertà di presenza. In che contesti questo concetto di libertas Ecclesiae è stato singolarmente sfidato, e quindi è maturato? Noi sappiamo, infatti, che le sfide della storia sono le sfide attraverso le quali un soggetto autenticamente storico matura, approfondisce la consapevolezza della sua identità e ne matura una capacità attuativa.
La sfida più grossa alla libertas Ecclesiae è venuta da quel fenomeno che globalmente possiamo chiamare totalitarismo moderno, da intendersi non come un modo di esercitare il potere, ma innanzitutto come un modo di concepire il potere. Nella civiltà occidentale cristiana, dominata dal concetto di libertas Ecclesiae, ci sono stati certamente dei modi autoritari di esercitare il potere, ma mai una concezione autoritaria del potere. Viceversa, nell'età moderna ci sono stati modi di pensare l'attuazione del potere singolarmente corretti dal punto di vista procedurale (ciò che Annah Arendt chiamava la "democrazia totalitaria"), ma la concezione del potere è, dall'età moderna in poi, una concezione totalitaria. Una concezione cioè secondo cui la società e quindi lo Stato si presentano come i valori definitivi della persona e della società stessa: la sintesi della personalità individuale, la sintesi dell'esperienza della socialità nella sua articolazione e variegazione trovano il loro contenuto definitivo nello Stato. È proprio a proposito di questo Stato autoritario che Pio IX, nel Sillabo, ebbe a dire che «lo Stato come fonte autonoma di tutti i diritti gode di un diritto che non conosce confini». Di fronte a questa concezione, la Chiesa ha affermato con forza che c'è un confine, che lo Stato non può superare: il confine della coscienza personale. E in questo senso è sorta una battaglia contro il totalitarismo di Stato o di partito.
Adesso, invece, la minaccia forse più grande è quella di un totalitarismo della tecnoscienza e della sua follia: la versione più terribile del totalitarismo di oggi (benché molti cattolici non se ne rendano conto) ha il volto terribile della follia della tecnoscienza.
Per questo come cattolici dobbiamo avere una grande gratitudine per Giuliano Ferrara; non perché ha presentato una lista (cosa che riguarda un aspetto tecnico-partitico che non intendo analizzare), ma perchè ha riproposto con chiarezza che l'attacco alla vita, e quindi l'attacco alla persona e alla sua libertà, oggi viene dalle follie della tecnoscienza.
Lavorando per la propria libertà, la Chiesa ha lavorato per la libertà di tutti, secondo l'espressione sintetica della Centesimus Annus fatta propria ripetutamente da Benedetto XVI. Se in Occidente, e non solo, si è salvata la libertà della coscienza e quindi la libertà dei popoli e delle nazioni contro questo totalitarismo omologatore di tutto ed eversore di tutte le differenze, è accaduto perchè la Chiesa ha difeso la sua libertà di essere Chiesa, cioè di non dover necessariamente confluire nel confine dello Stato, e di essere di fronte allo Stato una realtà non riducibile ad esso o in alternativa ad esso.
Quindi esiste una distinzione: ed è la Chiesa stessa, innanzitutto, a ritenere che Stato e Chiesa siano nel loro ordine «distinti e sovrani», come dice la Costituzione italiana, ripetendo peraltro una definizione data nel quinto secolo da Papa Gelasio. Ma proprio perché sono distinti c'è una irriducibilità per cui la Chiesa non diventa mai politica, e la politica non può mai diventare Chiesa. Nella sua essenza profonda, il ribadire che la Chiesa è e deve essere libera di esercitare una presenza missionaria nel mondo, ha significato anche affermare questo principio, poi ripreso dalla nostra Carta Costituzionale.


Il cambio di guardia al Campidoglio: i tanti significati di un risultato inatteso
Renato Farina29/04/2008
Pubblicato il 29/04/2008 – IlSussidiario.net
Quanti insegnamenti dalla vittoria a Roma di Alemanno. Li metto in fila, sicuro che altri potranno aggiungerne di più interessanti a mente meno agitata dalle emozioni.
1) Alemanno non ha impostato la sua proposta ai romani sull’ideologia, ma sull’unità tra le persone dinanzi ai problemi. Niente ideologia, molta presenza, e la proposta di un metodo. Si rifletta. I suoi avversari hanno visto in un successo di Alemanno la crescita della “marea nera”. Insomma, le persone che avessero votato il candidato del Pdl sarebbero nemici della libertà, complici di potenziali dittature, un fascio di interessi abietti. Anche Rutelli – persona per tanti versi stimabile – è caduta in questa trappola.
2) La paura. La partita si è giocata molto a proposito di questa parola. Alemanno ha spiegato che esiste il diritto a non avere paura, che la sicurezza è un bene che consente di vivere, ha chiamato tutti a collaborare ad una convivenza dove il nemico sia la violenza. Lo hanno accusato di cavalcare la paura, solo perché l’ha riconosciuta e offerto la possibilità di uscirne. Rutelli e i suoi compagni hanno invece individuato non una paura reale, e nemica della povera gente, ma la loro paura di perdere il potere. Indicare in Alemanno un uomo di cui avere paura in quanto esponente della “destra” è stato l’ultimo atto di una costruzione della realtà parametrata sugli interessi di quel giro di potere che tiene in mano Roma da 15 anni.
3) Interessante un fatto. Alemanno ha avuto la stampa contro, le televisioni contro. Nei duelli televisivi, a mio sommesso giudizio, ha pure perso le partite dal punto di vista dialettico: la tecnica di Rutelli era più affinata, eppure… Alla fine in questo mondo dominato da internet dove vince la legge della giungla e dell’etere e della carta stampata dove vince la cultura nichilista: ha vinto uno che è il loro bersaglio perfetto. Vuol dire che il potere non è onnipotente. Che esiste un potere dei senza potere, una serie di rapporti veri, di gente cui si suona il campanello, che è più forte e credibile del tam tam indistinto. Non è poca cosa. Dà speranza.
4) Adesso è il momento di una grande responsabilità. Occorre che la politica nel momento in cui s’insedia, s’incadrega, come si dice in Lombardia, non abbandoni il metodo che ha dato ragione al Popolo della libertà. Questo metodo è quello della fiducia in questi uomini che siamo noi italiani, noi romani, noi milanesi, noi palermitani. C’è qualcosa dentro di noi che desidera il bene. La tradizione cristiana di cui volenti o nolenti siamo figli, magari fedifraghi ma figli, è risuonata in questa campagna elettorale nella testimonianza di alcuni candidati, di alcuni leader. Essi – penso a Formigoni, ad Alemanno, anche in certi nuovi accenti di Berlusconi – non pretendono di essere i maghi che danno la felicità agli uomini e alle donne, ma persone che hanno fiducia nella capacità dei loro simili e del popolo di ricordarsi di quel desiderio originario che li porta a costruire qualcosa di buono.
5) Questa vittoria diventa una cosa seria se non creerà nuove camarille sul modello delle antiche, ma darà impulso alla risposta più necessaria che c’è: quella all’emergenza educativa. I sindaci sono importanti. Da certe parti si è passati dallo statalismo allo staterellismo. Anch’essi sono chiamati a lasciar spazio alle energie positive e finora soffocate che pur cercano di rialzarsi in questo disastrato Paese. Disastrato sì, ma con un desiderio magnifico di ripresa, di smettere di lamentarsi che anche le elezioni romane confermano.


Bologna, addio al progetto della nuova moschea
La nascita del centro era subordinata alla creazione di una fondazione e al distacco netto dall’Ucoii…
Dietro-front per il progetto della nuova moschea di Bologna, che da tempo ha provocato critiche e malumori in larga parte della cittadinanza. Il Centro di cultura islamica, l’ente che avrebbe dovuto gestire la struttura, ha infatti detto no alle due condizioni di trasparenza chieste dall’amministrazione comunale. Un doppio rifiuto che ha fatto dire all’assessore all’urbanistica Virginio Merola che «così viene meno la credibilità del nostro interlocutore. Per noi il progetto non esiste più». Merola aveva inviato, prima delle elezioni, una lettera al centro sollecitando la nascita della fondazione che avrebbe dovuto garantire la trasparenza dei fondi investiti nella moschea. L’idea, nata da Alleanza nazionale e appoggiata dal Comune, era stata condivisa anche dai cittadini del quartiere San Donato, dove la moschea sarebbe dovuta sorgere e che da tempo dibattevano la questione.
Inoltre l’assessore aveva chiesto al centro di tagliare ufficialmente i ponti con l’Ucoii.
Daniele Paracino, vicepresidente del centro islamico, ha confermato di non avere neanche risposto alla lettera di Merola. «I nostri rapporti con l’Ucoii non hanno niente a che vedere con questo progetto», ha spiegato, aggiungendo che, anche a riguardo della fondazione, il centro ha piani diversi: «Stiamo ragionando su una soluzione meno dolorosa dal punto di vista economico e più trasparente». Forse una Onlus, sicuramente non la fondazione richiesta dal Comune. Perentoria la reazione di Merola: «Se pensano che gli accordi raggiunti con i cittadini siano carta straccia, allora non siamo di fronte ad un interlocutore credibile».
Dunque, di fronte ad «una risposta così chiara», «non ci sono più le condizioni per andare avanti». E a Merola Cristina Marri, segretario provinciale dell’Udc, ricorda che le due condizioni – cioè rinnegare l’Ucoii e la fondazione – «non sono sufficienti perché lasciano irrisolto anche l’altro grande problema : quello della rappresentanza. Non si può pensare di realizzare un progetto come quello ipotizzato che resta, seppur ridimensionato, assolutamente ingiustificabile in un rapporto esclusivo con un interlocutore che non può certo essere rappresentativo del mondo musulmano». Da più parti si fa notare che la mossa dell’amministrazione comunale potrebbe essere legata alle prossime elezioni amministrative, e al timore di perdere consensi adottando una linea eccessivamente lassista.
Per Enzo Raisi, capogruppo di An al consiglio comunale di Bologna, «la richiesta della creazione di una fondazione per assicurare trasparenza nella provenienza dei fondi per costruire la moschea e quella circa un netto distacco dall’Ucoii erano proposte «di buon senso» che erano state formulate mesi fa come condizioni per avviare un percorso con la comunità islamica.
Avvenire 29 aprile 2008


Leggere la Bibbia. Chi, quando, dove, come, perché
Una grande inchiesta in tredici paesi del mondo. I primi risultati relativi a Stati Uniti, Regno Unito, Olanda, Germania, Francia, Spagna, Italia, Polonia, Russia. Il tutto in preparazione del prossimo sinodo dei vescovi

di Sandro Magister
ROMA, 30 aprile 2008 – Il sinodo dei vescovi che si terrà in Vaticano in ottobre avrà per tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Il precedente, nell'ottobre del 2005, aveva avuto per tema l'eucaristia.

In vista del prossimo sinodo la Federazione Biblica Cattolica ha promosso un'indagine in tredici paesi del globo su "La lettura delle Scritture". L'indagine è stata condotta da GFK-Eurisko e coordinata dal professor Luca Diotallevi, docente di sociologia all'Università di Roma 3.

I primi dati, relativi a nove dei tredici paesi esaminati, sono stati presentati il 28 aprile nella sala stampa vaticana dallo stesso Diotallevi, dal vescovo Vincenzo Paglia, presidente della Federazione Biblica Cattolica, e dall'arcivescovo Gianfranco Ravasi, biblista di fama mondiale e presidente del pontificio consiglio della cultura.

I dati sono stati ricavati da 13 mila interviste condotte negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Olanda, Germania, Francia, Spagna, Italia, Polonia, Russia. Riguardano l'insieme della popolazione adulta. I dati riguardanti i soli cattolici saranno resi noti in un secondo tempo.

I quattro paesi nei quali l'indagine è ancora in corso sono Argentina, Sudafrica, Filippine e Australia.

* * *

Una prima considerazione che emerge è che in Nordamerica e in Europa la Bibbia non è soltanto il libro di un particolare gruppo religioso, ma un testo di riferimento capitale per tutti.

Non in tutte le nazioni, però, la Bibbia è presente e incide allo stesso modo. L'ondata secolarizzante produce effetti molto differenziati da regione a regione. Negli Stati Uniti e in Italia tali effetti appaiono più contenuti che in altri paesi dell'Europa Occidentale, tra i quali la Francia risulta essere la nazione più scristianizzata. E poi c'è l'Europa Orientale, con i casi a loro volta distinti della Polonia e della Russia. Ogni paese, inoltre, ha una sua storia e un suo profilo religiosi.

Per questo, raramente le risposte all'indagine coincidono tra paese e paese.

Ad esempio, tranne che in Francia dove meno della metà hanno in casa una Bibbia, negli altri paesi la grande maggioranza della popolazione ne possiede una copia. In Italia il 75 per cento e negli Stati Uniti addirittura il 93 per cento.

Ma alla richiesta di dire se si è letto un brano della Bibbia negli ultimi dodici mesi, solo negli Stati Uniti le risposte sono diffusamente affermative. Lì i sì sono il 75 per cento, mentre in Italia scendono al 27 per cento e in Spagna al 20.

Alla lettura personale della Bibbia, in Germania, in Italia e in Polonia rispondono che preferiscono ascoltare un'omelia. In effetti, la partecipazione alla messa è per molti l'unico momento di contatto con le Sacre Scritture che vi vengono lette.

Anche il pregare utilizzando la Bibbia risulta più frequente negli Stati Uniti, col 37 per cento di risposte positive. E così in Polonia, col 32 per cento. Mentre in Italia si cala al 10 per cento e in Spagna all'8.

In genere, leggono di più la Bibbia coloro che partecipano a riti e gruppi che già praticano tale comportamento, E a sua volta chi legge personalmente la Bibbia è più portato a partecipare a tali riti e gruppi.

Alle domande se la Bibbia è vera o falsa, reale o astratta, interessante o noiosa, le risposte sono per lo più positive. Persino nella scristianizzata Francia il 62 per cento ritiene vero il contenuto delle Sacre Scritture. La tabella completa è riportata più sotto.

Quasi dovunque, però, la Bibbia è anche considerata un libro "difficile". Che quindi richiede di essere accompagnato e spiegato nella lettura.

Ai fini dell'interpretazione della Bibbia, la definizione più condivisa dappertutto – anche in Francia – è che essa è "parola ispirata da Dio, ma non tutto in essa deve essere interpretato alla lettera, parola per parola".

Subito dopo c'è chi dice che la Bibbia è solo "un antico libro di leggende, fatti storici e insegnamenti scritti dall'uomo" . A tale definizione i consensi più bassi sono in Italia e negli Stati Uniti.

Molti meno sono quelli che definiscono la Bibbia "parola diretta di Dio, che deve essere interpretata alla lettera, parola per parola". Tale definizione "fondamentalista" ha un seguito ovunque scarso, tranne che in Polonia, col 34 per cento, e negli Stati Uniti, col 27 per cento.

Circa la conoscenza di nozioni elementari riguardanti la Sacra Scrittura, i record di ignoranza se li aggiudicano la Russia e la Spagna. Mentre i punteggi migliori vanno a Germania, Polonia, Italia e Stati Uniti. Qui più di un terzo della popolazione adulta risponde correttamente che i Vangeli sono una parte della Bibbia, che Gesù non ha scritto alcun libro, che Mosè è un personaggio dell'Antico Testamento e che Paolo e Pietro non sono autori di Vangeli.

Curiosamente, i fondamentalisti mostrano di conoscere la Bibbia meno di quelli che la interpretano con spirito più critico.

Un'altra sorpresa data dall'indagine è il largo e quasi universale consenso all'idea che "nelle scuole si dovrebbe studiare la Bibbia", così come si studiano i grandi classici della letteratura. In Russia, ad esempio, i favorevoli sono il 63 per cento, in Italia il 62, nel Regno Unito il 60, in Germania il 56, mentre i contrari sono rispettivamente il 30 per cento, il 26, il 30 e il 27. L'unico paese in cui le posizioni si rovesciano è la Francia, dove i favorevoli sono il 24 per cento e i contrari il 60.

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Tutto vero, reale e interessante. Ma anche difficile

Dall'indagine SKA-Eurisko su "La lettura delle Scritture". Risposte in percentuale


PER LEI IL CONTENUTO DELLA BIBBIA È VERO O FALSO?

STATI UNITI – 88 vero 12 falso

REGNO UNITO – 66 vero 34 falso
OLANDA – 59 vero 41 falso
GERMANIA – 72 vero 28 falso
FRANCIA – 62 vero 38 falso
SPAGNA – 67 vero 33 falso

ITALIA – 86 vero 14 falso

POLONIA – 93 vero 7 falso
RUSSIA – 90 vero 10 falso


È REALE O ASTRATTO?

STATI UNITI – 75 reale 25 astratto

REGNO UNITO – 51 reale 49 astratto
OLANDA – 35 reale 64 astratto
GERMANIA – 59 reale 41 astratto
FRANCIA – 36 reale 64 astratto
SPAGNA – 39 reale 61 astratto

ITALIA – 64 reale 36 astratto

POLONIA – 66 reale 34 astratto
RUSSIA – 61 reale 39 astratto


È INTERESSANTE O NOIOSO?

STATI UNITI – 95 interessante 5 noioso

REGNO UNITO – 75 interessante 25 noioso
OLANDA – 66 interessante 34 noioso
GERMANIA – 83 interessante 17 noioso
FRANCIA – 75 interessante 25 noioso
SPAGNA – 74 interessante 26 noioso

ITALIA – 86 interessante 14 noioso

POLONIA – 91 interessante 9 noioso
RUSSIA – 81 interessante 19 noioso


È FACILE O DIFFICILE?

STATI UNITI – 44 facile 56 difficile

REGNO UNITO – 36 facile 64 difficile
OLANDA – 36 facile 64 difficile
GERMANIA – 30 facile 70 difficile
FRANCIA – 35 facile 65 difficile
SPAGNA – 39 facile 61 difficile

ITALIA – 38 facile 62 difficile

POLONIA – 32 facile 68 difficile
RUSSIA – 34 facile 66 difficile


La Chiesa cattolica chiede il rispetto della libertà religiosa - Intervista al Direttore editoriale di "Mondo e Missione", Gerolamo Fazzini
di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 29 aprile 2008 (ZENIT.org).- Il numero di aprile di “Mondo e Missione”, il mensile del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) dedica un servizio speciale di 16 pagine al tema della libertà religiosa, intitolato “Diritto di credere, diritto di vivere. La libertà religiosa sfida la politica”.
Utilizzando i dati forniti delle Nazioni Unite e dal Dipartimento di Stato americano, la rivista del PIME ha stilato una “Classifica sulla libertà religiosa negata”.
Iran, Arabia Saudita, Afghanistan e Pakistan, sono i 4 Paesi musulmani in testa alla poco onorevole classifica degli Stati nemici della libertà religiosa nel mondo.
Tra gli altri 10 Paesi più contrari alla libertà religiosa spiccano – oltre ad altri Stati a maggioranza islamica, come Bangladesh, Egitto, Turchia e Nigeria – una serie di Stati a guida comunista o socialista come Cina, Laos, Myanmar e Corea del Nord.
Per meglio comprendere i criteri e le ragioni che stanno alla base dello studio condotto da “Mondo e Missione”, ZENIT ha intervistato il Direttore editoriale, Gerolamo Fazzini, che è anche Coordinatore della FESMI (Federazione stampa missionaria italiana).
Qual è la situazione dei cristiani nei Paesi dove sono maggiori le violazioni alla libertà religiosa?
Fazzini: Difficile riassumere in poche parole una situazione complessa. Sinteticamente possiamo parlare, per quanto concerne i Paesi musulmani (Iran, Arabia Saudita, Afghanistan e Pakistan), di una condizione che oscilla fra l’esplicita persecuzione, a livello pratico, e la pesante discriminazione, sancita dalla legge.
I Paesi socialisti e comunisti (Cina, Corea del Nord, Myanmar e Laos), dal canto loro, in comune hanno normative assai rigide, che considerano la libertà di esprimere la propria fede pubblicamente come una concessione dello Stato e non come un diritto originario della persona.
Aggiungo che i cristiani sono vittime di un ostracismo culturale, legato a filo doppio alle vicende politiche (la guerra in Iraq e il conflitto israelo-palestinese): in molti contesti islamici, infatti, essi sono considerati strumentalmente dalle autorità nemici dell’islam in quanto “occidentali” o “crociati”; generalmente - invece - tra la gente comune i rapporti sono di tutt’altro segno.
Nel caso della Cina resiste, purtroppo, un pregiudizio anti-cristiano che considera il Vangelo una sorta di “prodotto di importazione” arrivato dall’Occidente non più di 400 anni fa (con Matteo Ricci), mentre è risaputo che la presenza di missionari cristiani in Cina è attestata fin dall’VIII secolo d.C.
In che modo le istituzioni internazionali ed il mondo che condivide e difende i diritti umani così come presentati dalla Dichiarazione universale del 1948 possono intervenire per difendere persone, famiglie e popoli i cui diritti sono violati, anche in ambito religioso?
Fazzini: Le istituzioni internazionali da tempo hanno cominciato a interessarsi di libertà religiosa, ma occorre che lo facciano con maggior convinzione e in maniera più sistematica, a partire dal presupposto che la libertà religiosa è un diritto umano fondamentale.
Attualmente esiste un “incaricato speciale” Onu che ha il compito di segnalare ai rispettivi governi le violazioni dei diritti in materia di fede che vengono compiute in un Paese determinato.
A mio parere un’evoluzione possibile di quest’azione potrebbe essere l’adozione di sanzioni economiche o di provvedimenti significativi di altro genere contro i Paesi che si macchiano di reati pesanti in questo campo.
Se ci si limita a deplorare, auspicando futuri cambiamenti di regimi tutt’altro che liberali, temo che il tempo non giocherà a favore di quanti hanno a cuore i diritti globali della persona.
La visita negli USA di Benedetto XVI è stata definita storica. Quali sono, secondo lei, i risultati dal punto di vista della difesa dei diritti umani e della libertà religiosa?
Fazzini: Dalla tribuna politica più prestigiosa del mondo, il Papa ha riaffermato un messaggio chiaro e inequivocabile: la libertà religiosa fa parte a pieno titolo dei diritti umani fondamentali e va garantita perché si possa parlare di vera civiltà.
“È inconcepibile, ha spiegato Benedetto XVI, che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti”.
Ancora: il Papa rivendica con forza il ruolo sociale dei credenti, a beneficio dell’intera società: “Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale”.
Cosa può fare la Chiesa di più e meglio su questo fronte?
Fazzini: A mio avviso c’è ancora molto da lavorare perché sia chiaro a tutti i credenti che difendere la libertà religiosa è una battaglia culturale e non una rivendicazione confessionale. Cito ancora il Papa: “Il diritto di libertà religiosa (va) compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente”.
Una filosofa americana laica, Matha Nussbaum, in una recentissima intervista all’insospettabile “Repubblica”, dice: “Limitare l’espressione religiosa equivale ad uno stupro dell’anima. Perché dico questo? Perché legittimo e doveroso prendersi cura dei cristiani perseguitati, ma non basta”.
Lo ricordava anche il presidente uscente di “Aiuto alla Chiesa che soffre” in una recente intervista proprio a “Mondo e Missione”. “Quanto più saremo capaci di farci carico della situazione globale dei credenti cui è negato il diritto a esprimere la loro fede, tanto più saremo credibili nella nostra richiesta di aiuto ai cattolici cinesi, ai cristiani d’Iraq e via dicendo”.
Sogno una campagna di sensibilizzazione promossa da cristiani delle varie denominazioni in difesa delle minoranze islamiche discriminate dai regimi musulmani al potere, come accade in vari Paesi.
Lei coordina la Federazione stampa missionaria italiana (Fesmi), che raduna una quarantina di testate. Ritiene che i missionari stiano facendo la loro parte su questo specifico tema?
Fazzini: Se ci sono testate attente alla questione della libertà religiosa queste sono le riviste e le agenzie legate a istituti missionari (penso ad Asia News del Pime, che fa un lavoro egregio su questo versante).
Ma non esiterei ad affermare che si tratta di un impegno che andrebbe ulteriormente rafforzato ed esplicitato. Se, cioè, le varie realtà missionarie provassero a unirsi per lanciare un messaggio forte su questo tema, come è accaduto in vari altri momenti per denunciare le storture della globalizzazione, il debito estero ecc, tale presa di posizione avrebbe un effetto molto maggiore di quanto non accada oggi.
Per farlo, però, occorre vincere un residuo di pregiudizio, che vuole il tema della libertà religiosa come qualcosa di vetusto o, peggio, connotato ideologicamente. Non è affatto così. Una volta di più Benedetto XVI ce lo ha ricordato.


EMERGENZA ALIMENTARE - NESSUNO ORMAI PUÒ FARE SOLO PER SÉ
Avvenire, 30 aprile 2008
FULVIO SCAGLIONE
È in crisi, lo abbiamo detto mille vol­te. Ha dei leader che non sempre brillano per audacia e creatività, e an­che questo è noto. Ma in certi mo­menti e su certi problemi tocca sem­pre all’Onu battere il primo colpo di u­na vera azione collettiva. È successo di nuovo proprio ieri, quando Ban Ki­moon, il segretario generale delle Na­zioni Unite, ha annunciato un piano d’azione per affrontare su un piano globale l’emergenza-cibo che nei soli ultimi due anni ha respinto 100 mi­lioni di persone nella povertà totale (ovvero, vivere con 1 dollaro al giorno) da cui si erano con lunghi e faticosi sforzi sollevate. Questo dopo settima­ne in cui tutti i Paesi interessati, dagli Usa che razionano il riso nei super­market ai produttori come l’India che ne bloccano l’esportazione, dall’Egit­to degli assalti ai forni respinti dall’e­sercito alla Russia del blocco dei prez­zi dei generi di prima necessità, sem­bravano decisi a correre ognuno per sé. Come se questo, tra l’altro, fosse ancora possibile in un mondo in cui le frontiere economiche sono ormai quasi solo un ricordo.
Il piano dell’Onu fa ben sperare pro­prio perché non promette miracoli, ma chiede (e non auspica) una presa di coscienza politica che comporta sa­crifici. Non quelli dell’intervento d’ur­genza, i 755 milioni di dollari da inve­stire nel Programma alimentare mon­diale per scongiurare una carestia pla­netaria. E nemmeno i quasi 2 miliar­di di dollari che bisognerà trovare per consentire alla Fao (l’agenzia dell’Onu per il Cibo e l’Agricoltura) di stimola­re la reale messa a profitto dei campi nei Paesi in via di sviluppo. Tutto que­sto è solo denaro, basterà aprire il por­tafogli. Bisognerà invece aprire la mente e la coscienza quando, come prevede la terza fase del Piano, l’Or­ganizzazione mondiale del commer­cio ( Wto) dovrà ridiscutere le regole in merito soprattutto ai sussidi che i Paesi sviluppati (Europa e Usa per pri­mi) concedono con larghezza agli a­gricoltori, impedendo il decollo di al­tre aree del pianeta e relegando le lo­ro popolazioni nella povertà perma­nente.
Ban Ki-moon ha ricordato che già og­gi, quando cioè la portata di questa crisi non è stata fino in fondo misura­ta, 3 milioni e mezzo di bambini l’an­no muoiono di fame. Ed è giusto ri­cordarlo per una questione morale ma anche per una questione economica. La crisi ha colpito una sessantina di Paesi, e nessuno di essi è noto per le sue carestie. In altre parole: il cibo c’è, sono le distorsioni del mercato, le biz­zarrie del clima (per esempio la siccità che ha colpito l’Australia, che produ­ce il 16% di tutto il grano del mondo), le speculazioni e l’impiego sempre più massiccio di cereali per biocarburan­ti a renderlo una merce meno libera e disponibile. Il che, da un certo punto di vista, può consolare: si può rime­diare, ma bisogna volerlo fare e saperlo fare in fretta.
Dei propositi dell’Onu lascia semmai perplessi la folla di organizzazioni, ben 27, a cui essi vengono affidati. È una questione da non sottovalutare, come insegna uno studio realizzato da Ho­mi Karas e Abdul Malik per la Brookings Institution. Intanto nel 2007, per la prima volta in 10 anni, gli aiuti allo sviluppo sono diminuiti, fer­mandosi a 103,7 miliardi di dollari. Di questi 103,7 miliardi, solo 48 sono an­dati in piani di sviluppo strutturali; di questi 48 miliardi, solo la metà è arri­vata alle popolazioni, il resto si è 'di­sperso' (eufemismo) per via. In più, gli aiuti sono troppo frammentati: nel 1997 il finanziamento medio per pro­getto era di 2,5 milioni di dollari, nel 2004 di 1,5. In sintesi: troppi piccoli donatori e troppe agenzie che lottano per i fondi. Speriamo che la gravità del­la situazione induca a una migliore e più seria divisione di risorse e ruoli.


Turco fa violenza alla legge 40?
Avvenire, 30 aprile 2008
Ci sono atti politici che qualificano in modo indelebile chi li compie. Quello che starebbe per compiere il ministro dimissionario della Salute Livia Turco è indubbiamente, e gravemente, un gesto di questo tipo. Il condizionale è d’obbligo, ma le voci sono insistenti e circostanziate.
Il ministro uscente della Salute, come ogni altro membro del governo senza fiducia di cui fa parte, è tenuto ad agire solo per l’ordinaria amministrazione. E, invece, avrebbe deciso di emanare linee guida per l’applicazione di una normativa. E non di una normativa qualunque, ma di quella importantissima legge 40 sulla fecondazione artificiale che ha posto fine all’era di 'provetta selvaggia', che lei – Livia Turco – aveva apertamente avversato ripromettendosi di riscriverla, ma che poi – a governo ancora nei suoi pieni poteri – non aveva potuto permettersi di manomettere o di aggirare. Si sarebbe impegnata a farlo adesso: fuori tempo massimo. E fuori da ogni regola, sia sul piano della responsabilità politica sia su quello, delicatissimo, della deontologia ministeriale. Ma c’è di più. Risulterebbe, infatti, che il testo delle linee guida sarebbe stato firmato già da qualche giorno; e non in un momento qualsiasi, ma l’11 aprile scorso, data di chiusura della campagna elettorale per il nuovo Parlamento e il nuovo Governo. Mentre la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale sarebbe stata disposta per le prossime ore, evidentemente all’indomani dell’esaurimento del secondo turno di ballottaggio a Roma e nelle altre realtà amministrative locali. Voci assai dettagliate, come si vede. E circostanze che parlano da sole. Anzi gridano.
Oggi, probabilmente, ne sapremo di più. E osiamo ancora sperare – per amore alle istituzioni e alla buona politica – che si tratti di boatos senza fondamento.