mercoledì 23 aprile 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) "Sapevamo che avrebbe avuto un viso speciale" - Donne, basta con il freddo! Sarah Palin, governatrice dell'Alaska, ha dato alla luce il quinto figlio, Trig, affetto da sindrome di Down, dal Foglio.it
2) Aborto, le solite felicitazioni, dal Foglio.it
3) Casini: «Rivedere la 194». Ferrara: «Aiutare la maternità»
4) IL RAPPORTO DELLA TURCO SULLA LEGGE 194 - Relazione zelante nei tempi ma piena di lacune nei dati
5) «Volevo un figlio mio e davo la morte Adesso mi spendo solo per la vita»
6) L’esperto di Ru486:«Promuovere la pillola abortiva non fa diminuire il numero di aborti»
7) Un milione e mezzo di cristiani perseguitati in Iraq. L'appello: «Accogliamoli in Europa», di Mario Mauro
8) Gli studenti di Napoli e la camorra: la ricerca della felicità ridotta a «protezione»
9) Nessuno può chiedere a un ospedale cattolico aborto o eutanasia - Avverte padre Mozzetta in una tavola rotonda del dicastero per la Salute

23 aprile 2008
"Sapevamo che avrebbe avuto un viso speciale" - Donne, basta con il freddo!
Sarah Palin, governatrice dell'Alaska, ha dato alla luce il quinto figlio, Trig, affetto da sindrome di Down.
Dal Foglio.it
Sarah Palin, quarantaquattrenne governatrice dell'Alaska, era incinta del quinto figlio, Trig. Dai test fatti durante la gravidanza Sarah sapeva che Trig sarebbe stato affetto dalla sindrome di Down. Nonostante che molti le suggerissero di abortire ha deciso di andare avanti, e cinque giorni fa ha dato alla luce Trig. Lunedì era già in ufficio, dove ha incontrato i suoi collaboratori impegnati a seguire la costruzione di un gasdotto che attraverserà l'Alaska. Alle persone che l'aspettavano ha detto, parlando del figlio: "Sapevamo da dei test fatti in precedenza che il suo viso sarebbe stato speciale, siamo orgogliosi che Dio ci abbia affidato un regalo come lui".
Il Foglio aveva già raccontato la storia di Sarah Palin, dedicandole la prima pagina del 7 marzo scorso con questa foto e queste parole:
"Il quinto figlio nascerà a maggio, la fame è ormai insaziabile, i vestiti si fanno stretti, il sorriso si fa largo e rassicurante. Un bimbo che arriva quando sei felicemente in carriera è un regalo di cui andare fieri. Sarah Palin, la governatrice “più hot” dello stato americano più freddo, l’Alaska, dice che “Dio non manderebbe mai qualcuno di cui non possiamo occuparci”, non c’è un momento giusto e uno sbagliato, anche se hai quarantaquattro anni, anche se sei finita nella lista dei candidati vicepresidenti alla Casa Bianca del repubblicano John McCain. Sarah inganna l’attesa mettendo al mondo il quinto figlio. Sorride, la maternità la rende più forte, ancora più bella, le fa venir voglia di guidare il suo stato con quel piglio arguto e dolce che l’ha resa famosa in tutta l’America, di parlare col pancione agli eventi pro life, di passeggiare nella neve col marito operaio. Soprattutto, di andare a caccia di caribù".


23 aprile 2008
I dati del ministro Turco
Aborto, le solite felicitazioni
Il capo della burocrazia sanitaria si congratula per il lieve decremento

Dal Foglio.it
Un serio rapporto sull’aborto, che non abbia una mera funzione ideologica di copertura dell’accettazione del fenomeno, dovrebbe partire dalle cause delle interruzioni volontarie di gravidanza. Il primo compito di politiche pubbliche umane e razionali, capaci di assicurare la tutela sociale della maternità e di difendere la vita sin dal suo inizio (due espressioni contenute nella legge 194 del 1978), sarebbe quello di accertare perché si abortisce. Senza questo dato, completamente assente dai rendiconti festosi che ogni anno registrano un lieve decremento del numero degli aborti, di cui è ovvio essere contenti come di un male minore, ma non soddisfatti e pacificati finché persista lo scandalo maggiore, non è possibile aggredire le cause dell’aborto di massa (e nemmeno valutare seriamente una curva discendente del cosiddetto tasso di abortività). Ma è proprio questo che i governi e le burocrazie sanitarie non fanno da molti anni. Fotografano la situazione e si compiacciono, come ha fatto ieri il ministro Livia Turco. Rifiutano di aggredire le cause, di rimuovere per quanto possibile la spinta sociale alla negazione della maternità, di comportarsi responsabilmente allo scopo di dare un contenuto eticamente significativo alla libertà di scelta, in una parola mettere sempre più donne in condizione di decidere per il parto e contro la avvilente pratica autolesionista e nichilista del dare la morte in pancia a una creatura concepita e ancora non nata. Negli ultimi anni è cresciuto l’aborto tra le donne immigrate, ci ripetono: non sarà perché sono tra le più povere, le meno integrate socialmente, le più deboli tra le donne? E non è un fallimento da gridare, questo, e al quale mettere riparo? C’è poi la questione dell’aborto selettivo, eugenetico, sulla quale si glissa invece di chiarire come stiano le cose. Dove è contato il bambino abortito per la sindrome di Klinefelter alla ventunesima settimana? Le statistiche non lo dicono, e non dicono niente su che cosa si faccia o non si faccia per favorire le adozioni, per sostenere le donne, ascoltarle, insomma per lottare contro la scandalosa indifferenza che circonda l’aborto di massa. E’ questo il tipo di relazione annuale che servirebbe, non il conto consolatorio dei sommersi per il benessere dei salvati.


Casini: «Rivedere la 194». Ferrara: «Aiutare la maternità»
Avvenire, 23 aprile 2008
DA ROMA
N ormativa efficace e lungimirante? «L’ideologia è più forte della realtà». È la risposta del presiden­te del Movimento per la Vita, Carlo Casini, alle va­lutazioni positive espresse dal ministro della Salute Li­via Turco nella sua relazione sulla legge 194. Valutazioni condivise nel Pd ad esempio da Vittoria Franco e da Bar­bara Pollastrini. Quest’ultima si rammarica che le linee guida del ministro siano state bloccate dalla Lombardia. Il riferimento probabilmente è anche alle misure per fronteggiare l’obiezione di coscienza. A questo proposi­to Giovanni Monni, presidente dell’Associazione oste­trici e ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi), sostiene che «i ginecologi preferiscono fare un parto rispetto ad un a­borto, non solo per le implicazioni etiche, ma anche per­ché nei concorsi questo intervento dà meno punteggio per la casistica operatoria». Ma l’udc Luca Volonté si schiera per la «libertà di coscienza come diritto di tutti i cittadini, compresi medici e farmacisti». «Nessuno pen­si di piegare la volontà di chi, secondo scienza e co­scienza » obietta, concorda Isabella Bertolini del Pdl. «A noi appare evidente che, per tutti questi soggetti, la mi­sura ormai sia colma – così l’associazione Scienza&Vita, commenta l’incremento della obiezione – e che sia sem­pre più difficile e problematico chiedere o pretendere prestazioni professionali che violino il principio della di­fesa della vita. Sta maturando la convinzione che il no al­la vita, mediante l’aborto, faccia dav­vero male al Paese». L’associazione af­ferma poi: «Come cittadini italiani non riusciamo ad essere soddisfatti della riduzione degli aborti a 'soli' 127mi­la », cioè «127mila esseri umani a cui è stata negata la possibilità di nascere».
«Senza dire – spiega Scienza&Vita – che dietro quelle migliaia di aborti (il 2,9% del totale) che si realizzano dopo i 90 giorni, con ogni probabilità si annida una scelta eugenetica, causata da una malattia o da una malformazione del feto. Pensate al solo fatto che non nascono più bambini con la sin­drome di Down». «Ancora non sappiamo perché si a­bortisce _ incalza Giuliano Ferrara – invece di festeggia­re si dovrebbe cercare di rendere più facile la scelta del­la maternità, rimuovere le cause che la impediscono, pre­parare il personale, far funzionare i consultori». Casini e­videnzia poi che dalla relazione «sono censurate accu­ratamente le parole 'diritto alla vita' e 'fin dal concepi­mento', che invece dovrebbero indicare il criterio di giu­dizio su quanto sta accadendo nel nostro Paese». Il pre­sidente del MpV «apprezza» l’auspicio della Turco di misure che rimuovano le cause della Ivg, ma questo dovrebbe convincere della necessità della «rivi­sitazione della legge». Poi a proposito di contraccezione, Casini ricorda che nei Paesi dove è diffusa più che da noi «gli aborti sono in continua crescita». Invece in Italia il contenimento degli a­borti è dovuto all’azione della Chiesa e di MpV, che la re­lazione non menziona. Per Casini infine è «indimostra­bile la diminuzione dell’abortività clandestina». La dif­fusione dell’obiezione di coscienza, infine, «è la più au­torevole testimonianza che il bambino è bambino an­che prima della nascita e che quindi qualcosa nel suo in­teresse e nel suo diritto deve cambiare».
Scienza & Vita: «Gli aborti sono 'solo' 127mila? Sono esseri umani a cui è stata tolta la possibilità di vivere»



IL RAPPORTO DELLA TURCO SULLA LEGGE 194 - Relazione zelante nei tempi ma piena di lacune nei dati

ASSUNTINA MORRESI
Avvenire, 23 aprile 2008
I l prossimo ministro della Salute troverà sul tavolo, fresca di stampa, la Relazione annuale sull’attuazione della legge 194 sull’aborto con i dati definitivi per il 2006 e quelli preliminari del 2007, rilasciata ieri dopo soli sei mesi da quella precedente, in largo anticipo rispetto alle attese.
Molte le conferme, qualche novità. Ritroviamo innanzitutto un andamento noto da tempo: gli aborti tendono a diminuire fra le donne italiane, mentre aumentano fra le straniere e, in misura minore, fra le minorenni. Il dato disaggregato per regioni, poi, conferma quanto osservato l’anno scorso. Le regioni con il maggior rapporto di abortività – cioè il numero di aborti per mille nati vivi – sono sostanzialmente invariate: guida la classifica la Liguria (304.7 aborti per mille nati vivi), seguita a ruota da Puglia, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Umbria e Lazio, tutte con numeri ben al di sopra della media nazionale (235.5 per mille nati). E se il personale medico che dichiara obiezione di coscienza aumenta di molto in tutto il Paese, quando si va a esaminare il dato nel dettaglio si nota che all’interno delle regioni in cui si abortisce di più non c’è omogeneità: Liguria e Puglia, ad esempio, hanno un rapporto di abortività quasi uguale, ma se in Liguria la quota di ginecologi obiettori è del 56.3%, in Puglia sale al 79.9% (più che in Veneto), al di sotto e al di sopra, rispettivamente, della media nazionale, che è al 70%. Lo stesso si potrebbe dire per altre regioni ( Toscana e Umbria, per esempio, o anche Emilia Romagna e Lazio).
Quindi l’obiezione non è correlata alle politiche regionali, ma neppure al numero di aborti effettuati. L’aumento consistente degli obiettori di coscienza non equivale alla creazione di un ostacolo all’aborto, e neppure si può imputare a orientamenti politici locali. Va letto piuttosto come un segno di stanchezza, una decisione di singoli operatori sanitari di fronte a una pratica che, pur diffusa da trent’anni, rimane sempre una soppressione di una vita umana e una sconfitta per tutti, alla quale nel tempo non si abitua mai nessuno, neppure chi la accetta e addirittura la pratica, ammettendola fra le possibili scelte personali di ogni donna.
Ma c’è un altro aspetto che merita la massima attenzione. Nel presentare il rapporto il ministro uscente Livia Turco ha dato grande spazio agli aborti effettuati in Italia con la pillola abortiva – della quale ancora non è stata concessa l’autorizzazione al commercio –, pari allo 0,9% del totale. Viene spiegato che questa procedura è seguita da un quarto delle donne in tre Paesi europei – Francia, Gran Bretagna e Svezia – ma ci si dimentica di specificare che in tutti gli altri in cui la Ru486 è registrata la percentuale di donne che la sceglie per abortire è irrisoria. L’iter seguito per la registrazione del farmaco è illustrato con dovizia di particolari; purtroppo però degli aborti italiani con la Ru486 conosciamo solamente i numeri complessivi, e neppure aggiornati. Non sappiamo per quante donne il metodo è fallito, non conosciamo il tempo impiegato per abortire, e soprattutto non viene comunicato quante donne hanno abortito all’esterno delle strutture ospedaliere, cioè al di fuori della legge: un dato importante, che ha determinato l’interruzione della sperimentazione della pillola a Torino e le indagini della magistratura.
Che senso ha parlare dell’aborto farmacologico in Italia fornendo pochissimi numeri, senza alcun dato sulla modalità e sull’efficacia delle procedure seguite dalle regioni che hanno scelto di introdurlo ( Trentino, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Puglia)? Da una relazione sull’applicazione della legge 194 non ci aspettavamo sicuramente di leggere simili messaggi promozionali.


L’ex medico abortista
«Volevo un figlio mio e davo la morte Adesso mi spendo solo per la vita»
Avvenire, 23 aprile 2008

DA PALERMO ALESSANDRA TURRISI
P rima sopprimeva i figli degli al­tri, adesso si dichiara aperta­mente “amico della vita”. Quel­la di Antonio Oriente, medico oste­trico- ginecologo di 53 anni, che vive nel Messinese, è la storia di una con­versione.
Tutto comincia nel 1984, quando An­tonio sposa Maria Carmela Savio, u­na pediatra che cura i bambini, ma che nei primi anni di matrimonio non riesce ad avere la gioia di strin­gere in braccio un figlio proprio. An­tonio non presta molta attenzione al dolore della moglie, è troppo impe­gnato nel suo lavoro di ginecologo, corre da un paese all’altro, da un’e­mergenza all’altra. «Oltre ad aiutare le donne a partorire, uccidevo i figli degli altri – racconta - . Praticavo l’a­borto, come un qualsiasi altro com­pito della mia professione. Non per interessi economici. Credevo di fare il bene delle donne che incontravo: aiutavo la ragazza non sposata che a­veva avuto un 'disavventura' e vole- va disfarsi del bambino, oppure il pa­dre di famiglia con tre figli che, dopo essersi invaghito di una ragazza più giovane della moglie, l’aveva messa incinta e poi voleva farla abortire per non creare scandali». Ma passano gli anni, e quel figlio desiderato non ar­riva. Una sera Antonio, triste e avvili­to, si attarda nei locali del consulto­rio. All’improvviso arriva una coppia che lui segue per u­na terapia contro l’infertilità e lo trova in lacrime. Antonio sente il desiderio di aprire il suo cuore a quella coppia. Così i due giovani gli rac­contano il proprio percorso, di come si sono avvicinati a Dio attraverso la parteci­pazione al movimento Rinnova­mento nello Spirito. Comincia così un suo percorso di ricerca. «Dopo un periodo di riflessione capii che il mio desiderio di avere un figlio contra­stava con la mia azione di medico a­bortista », ammette. Così chiama l’a­mico Benedetto, il marito di quella coppia infertile, e gli consegna un bi­glietto con un testamento spirituale: «Mai più morte fino alla morte. Fra­tel Antonio».
Da quel giorno Oriente lascia la cul­tura della morte per spendersi in fa­vore della vita. Quindici giorni dopo la moglie scopre di aspettare il suo primo figlio. Dopo nove mesi nasce Do­menico. Due anni dopo arriva Luigi. L’approccio alla pro­fessione cambia ra­dicalmente. Dal 1991 è responsabile del consultorio pub­blico di Santo Stefa­no di Camastra, nel Messinese, e ha ap­pena aperto un consultorio di ispira­zione cattolica nella diocesi di Patti. «Non autorizzo più interruzioni di gravidanza, ma accolgo le donne e cerco di trovare con loro una solu­zione che rispetti la vita».
Antonio Oriente di Messina ha cambiato vita dopo l’incontro con «Rinnovamento» Adesso ha aperto un consultorio cattolico


L’esperto di Ru486:«Promuovere la pillola abortiva non fa diminuire il numero di aborti»
Avvenire, 23 aprile 20080
DA PISA ANDREA BERNARDINI
L’ aborto farmacologico non sfonda. Ma, purtroppo, qualche danno l’ha già pro­dotto. Renzo Puccetti, 42 anni, pisa­no, medico internista, ha appena da­to alla stampa il suo libro 'L’uomo indesiderato'. Dalla pillola di Pin­cus alla Ru486 (Società editrice fio­rentina) che questa sera presenterà a Bientina in una conferenza. Legge e rilegge la relazione sull’applica­zione della legge 194 presentata dal ministro uscente Livia Turco. E scuo­te la testa.
Cosa c’è che non va?
Il ministro, dati alla mano, vuol di­mostrare che la promozione della contraccezione previene il ricorso all’aborto. Ma non è così. Il Gutt­macher Institute ha pubblicato una relazione dalla quale emerge che in nessuno degli undici studi scientifi­ci presi a prestito gli interventi di pro­mozione della contraccezione han­no ridotto le gravidanze indesidera­te.
E la diffusione della pillola del gior­no dopo?
L’idea che la promozione della pil­lola del giorno dopo possa avere ri­durre il numero degli aborti è ormai smentita dagli studi.
Parliamo della Ru486…
Gli stessi dati forniti dal ministro Tur­co non ne decretano il successo… smaltito l’effetto-novità, il ricorso al­l’aborto chimico ot­tenuto con l’uso combinato di Mife­pristone (Ru486) e Misoprostol, si è fer­mato intorno ai mil­le casi negli ospeda­li di Trento, Emilia Romagna, Toscana e Marche dove è stato adottato.
L’effetto-novità da cosa è stato determinato?
Dall’idea che quello farmacologico rendesse l’aborto semplice, persino banale. Tanto è vero che è indicati­vo come, in Toscana, la regione con maggior diffusione ed impiego del­l’aborto farmacologico, il rapporto di abortività (cioè il numero di aborti per ogni mille donne in età fertile) si sia ridotto, nell’ultimo anno, molto meno che nel resto d’Italia. Poi, però, i nodi… sono venuti al pettine. I re­port delle aziende ospedaliere rac­contano come molte delle donne che avevano assunto la Ru486 han­no comunque dovuto completare l’aborto con il meto­do chirurgico.
Gli sponsor della pillola abortiva vo­gliono introdurla appellandosi all’ar­ticolo 15 della legge 194 (promuovere tecniche meno ri­schiose per la don­na).
Non capisco come si possa invocare questo articolo per un farmaco che presenta una mor­talità almeno 10 volte maggiore, un tasso di fallimenti quasi triplo ed un numero di effetti collaterali mag­giore rispetto all’aborto chirurgico.
Renzo Puccetti di Pisa presenta stasera il suo libro sul farmaco: «Mortalità dieci volte superiore rispetto al metodo chirurgico»



Un milione e mezzo di cristiani perseguitati in Iraq. L'appello: «Accogliamoli in Europa»
Mario Mauro23/04/2008
Autore(i): Mario Mauro. Pubblicato il 23/04/2008 - Letto 98
Da IlSussidiario.net
Si calcola che dall'inizio della guerra in Iraq la metà del milione e mezzo di cristiani residenti nel Paese sia fuggita per sottrarsi alle violenze di matrice islamica. I numeri parlano chiaro, essi costituiscono un bersaglio privilegiato e sono sicuramente più vulnerabili rispetto a tutte le altre minoranze in Medio Oriente.
Arrivano anche in occidente le marce silenziose dei cristiani iracheni che chiedono giustizia per la persecuzione di cui sono vittime nella loro patria. Mentre tutti i giorni nei villaggi della Piana di Niniveh si continua a chiedere la verità sull’uccisione dell’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Faraj Rahho, anche in Olanda, in Germania e in Canada gli emigrati iracheni scendono in piazza con striscioni e foto dei loro martiri. Intanto nel Paese dei due fiumi continuano quelli che sembrano veri e propri “omicidi mirati”, voluti per terrorizzare i cristiani e indurli alla fuga. Il 23 marzo, giorno di Pasqua, è morto in ospedale un giovane caldeo, Zahar Oshana, ricoverato dopo essere stato raggiunto da colpi d’arma da fuoco mentre usciva dalla parrocchia di S. Elia a Baghdad.
Altri esempi sono il rapimento di due sacerdoti cattolici, padre Pius Afas e padre Mazen Ishoa, il 14 ottobre 2007 a Mosul; l'uccisione di due cristiani assiri, Zuhair Youssef Astavo Kermles e Luay Solomon Numan, entrambi membri dell'organizzazione National Union of Bet- Nahrin, avvenuta a Mosul il 28 giugno 2007; l'uccisione di un sacerdote caldeo, padre Ragheed Ganni, e dei tre diaconi che lo assistevano, avvenuta il 3 giugno 2007 a Mosul. Questa è solo una piccola parte di una situazione ormai insostenibile. Questi segnali sconfortanti ci suggeriscono che non c'è più tempo da perdere: l'Europa deve accogliere subito le migliaia di profughi che rischiano la vita in Iraq a causa della sempre crescente discriminazione nei confronti delle minoranze che è in corso in quell' area. Non sarebbe una novità: la Germania in passato ha già offerto asilo ad esuli provenienti da Paesi martoriati dalla guerra, negli anni ’70, ad esempio durante la guerra del Vietnam, giunsero in Germania migliaia di profughi vietnamiti, mentre negli anni ’90 venne offerto aiuto a molti esuli che fuggivano dalla Bosnia.
Si tratterebbe della prima azione concreta, di una prima traduzione nella realtà della Risoluzione che ho promosso e che è stata approvata il 12 novembre 2007 dal Parlamento europeo. In essa si invitava espressamente la Commissione europea, il Consiglio e gli Stati membri a contribuire ulteriormente al rafforzamento dei diritti umani e dello stato di diritto attraverso gli strumenti di politica estera dell'UE, si chiedeva inoltre di prestare particolare attenzione alla situazione delle comunità religiose, ivi comprese le comunità cristiane, in quei paesi dove sono minacciate, nel momento dell'elaborazione ed implementazione di programmi di cooperazione ed aiuto allo sviluppo con quegli stessi paesi.
Anche le Nazioni Unite hanno sollevato il problema, infatti la relatrice speciale sulla libertà di religione e di credo richiama l'attenzione su situazioni preoccupanti di violazione della libertà di adottare una religione o un credo, di cambiarli o di rinunciare ad essi, oltre a segnalare numerosi casi di discriminazione e violenza tra religioni diverse, di uccisioni e di arresti arbitrari per ragioni legate alla religione o al credo.
Gli strumenti ci sono: adesso è compito dei leader politici e religiosi, a tutti i livelli, combattere l'estremismo e promuovere il rispetto reciproco. Sono contento di non essere solo in questa battaglia, come dimostrano ad esempio i continui appelli del ministro Federale dell’Interno tedesco, Wolfgang Schaeuble.
Sia ben chiaro: l'accoglienza è solo la prima e la più urgente delle azioni che in concreto possono aiutare le minoranze in difficoltà. La nostra storia e i valori che essa ci ha consegnato ci danno una responsabilità enorme ed incessante nei confronti di chi è costretto a convivere quotidianamente con la morte, con la fame e con la povertà, sia esso cristiano o non cristiano. In questo momento nel mondo chi ha più bisogno del nostro contributo sono i cristiani, quindi non si tratta di preferire l'accoglienza dei cristiani in quanto "nostri fratelli", è un'emergenza impostaci dalla realtà delle cose, dalla terribile prospettiva che le comunità cristiane irachene siano in via di estinzione.


Gli studenti di Napoli e la camorra: la ricerca della felicità ridotta a «protezione»
Da IlSussidiario.net Redazione22/04/2008
Autore(i): Redazione. Pubblicato il 22/04/2008 - Letto 128
La notizia su "il Mattino" on line
Alcuni studenti della scuola media “Salvo D’Acquisto” del quartiere Miano di Napoli hanno scritto nei loro temi che la camorra li protegge: il quotidiano "Il Mattino" ha riportato i testi di questi giovani studenti, TGCOM ha diffuso la notizia (ripresa poi anche dai telegiornali serali), lanciando l'allarme. Questi ragazzi che guardano alla camorra in modo positivo perché offre loro sicurezza e protezione sono di certo una spina nel fianco della realtà di Napoli, ma non solo, perchè segnalano una questione che interroga tutti gli educatori. E' la riduzione del bisogno umano ciò che preoccupa in questa triste vicenda, non tanto che la camorra protegga questi ragazzi, perchè dalla sua comparsa la camorra ha sempre pensato a proteggere e a favorire coloro che vi si sono legati.
La camorra vince grazie ad un'assenza: è questo il problema vero. È che un'assenza di educazione ha favorito la riduzione del desiderio, fino a sostituire l'esigenza di felicità con il bisogno di protezione, come se fosse sufficiente la sicurezza per poter vivere. La camorra fa presa sui giovani che hanno smarrito il loro desiderio vero, che non lo sanno più riconoscere, e non solo perchè la realtà sia cattiva, ma anche perchè hanno vissuto a contatto con adulti che hanno smorzato la loro tensione con miseri surrogati. Questo non è un problema di Napoli, riguarda ogni educatore in quanto tale, perché spesso, e senza arrivare alla camorra, genitori e insegnanti pensano di poter rispondere al bisogno dei figli o degli studenti proteggendoli dall'urto con la realtà. Ciò di cui un giovane d'oggi ha bisogno non è di qualcuno che lo protegga, ma di una proposta che ridesti il desiderio vero del suo cuore, quello di essere felice.
Per questo di fronte alla notizia schock che viene da Napoli serve poco stracciarsi le vesti; urge ridestare il bisogno vero di ogni giovane, la sua domanda di senso, la sua esigenza di vero e di bello. La camorra non è vinta da protezioni più forti, è vinta dal desiderio di felicità. È questo il compito che urge a Napoli, e in ogni realtà educativa.

Gianni Mereghetti

Nessuno può chiedere a un ospedale cattolico aborto o eutanasia - Avverte padre Mozzetta in una tavola rotonda del dicastero per la Salute
di Marta Lago
ROMA, martedì, 22 aprile 2008 (ZENIT.org).- Mantenere la propria identità e la concezione dell'uomo e apportare il valore aggiunto proprio del cristianesimo: questo deve caratterizzare la presenza della sanità cattolica sul mercato, ha affermato padre Aurelio Mozzetta in una tavola rotonda organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute (www.healthpastoral.org).
“Ospedali cattolici, quale futuro?” è stato il tema di questa convocazione svoltasi a Roma giovedì scorso, in occasione della diffusione degli atti del III Congresso Mondiale dell'Associazione Internazionale delle Istituzioni Sanitarie Cattoliche (AISAC), celebrato dal 3 al 5 maggio 2007.
Invitato dal dicastero, il generale della Congregazione [ospedaliera] dei Figli dell'Immacolata Concezione ha affrontato, partendo dalla propria esperienza, la questione “La sanità cattolica tra carismi e mercato”.
Esiste un “valore aggiunto cristiano da offrire sul mercato”, ha ricordato padre Mozzetta: è proprio della sanità cattolica fornire “un servizio religioso puntuale e accurato, ed una consapevole prassi d'accoglienza del malato, mutuata da una esplicita 'filosofia cristiana' (pastorale) della salute”.
“Non vogliamo essere accomunati a coloro che fanno della salute una merce – aggiunge –: a parità di prestazioni, oggetto di libera concorrenza, la sanità cattolica si deve caratterizzare per la sua visione dell'uomo e dell'uomo infermo”.
E' dovuta la “competenza e qualità” dell'ospedale cattolico nella sua presenza sul mercato, “ma, nel rispetto della libertà religiosa e di pensiero, nessuno ci può chiedere di rinunciare alla nostra concezione di uomo e di Dio – avverte il sacerdote –, né di contraddire la nostra identità ecclesiale, né di eseguire aborti o praticare eutanasia”.
Concentrandosi sul vincolo tra sanità cattolica e congregazioni religiose, padre Mozzetta ha precisato alcuni concetti: le congregazioni compiono le opere della Chiesa. “Noi, che ci occupiamo di malati, possiamo farlo o perché la comunità ecclesiale ci dà le risorse per farlo oppure perché lavorando, secondo l'esempio dei Fondatori [di ogni congregazione], non solo ci prendiamo cura del malato, ma ricaviamo dalla nostra attività anche i mezzi per la sussistenza”.
Attualmente, ad ogni modo, la situazione è di crisi: di fronte alla complessità della permanenza sul mercato, i religiosi tendono a ridurre il proprio impegno diretto, restringendosi alle cappellanie, e “dichiarano la propria impossibilità a confrontarsi in termini competitivi, poiché ritengono che il mercato non sia cosa per loro e che essi non siano per il mercato”, osserva il superiore.
“Le istituzioni cattoliche perdono progressivamente la capacità di stare sul mercato, così che si finisce per cedere le strutture al business privato”.
Ad ogni modo, “lo specifico dei religiosi in sanità è molto di più della sola proprietà e della cappellania, e ci impegna ad una presenza capace d'accettare la sfida del mercato”, ha avvertito padre Mozzetta di fronte a rappresentanti – convocati dal dicastero per la Salute – di ordini religiosi ospedalieri, istituzioni vaticane ed ecclesiastiche, associazioni sanitarie cattoliche, istituti sanitari, istituti universitari e a esponenti dei media.
“Non vogliamo rinunciare alla 'proprietà', perché non siamo solo gestori o operai, ma depositari d'un mandato, e la proprietà è ricchezza nata dall'austerità e non da sfruttamento, ed è finalizzata alla carità; non vogliamo rinunciare alla 'gestione', perché non siamo solo padroni o dipendenti, ma portatori di valori altri e alti; né vogliamo rinunciare alla 'prestazione d'opera', la vicinanza al malato, perché non siamo solo padroni o gestori, ma apostoli della carità”.
Secondo padre Mozzetta, la presenza dei religiosi in campo sanitario significa un intervento realmente integrale che implichi “accoglienza e cura del malato, vicinanza, accompagnamento, attenzione spirituale, preparazione, professionalità, gestione, management, ricerca scientifica e produzione di farmaci, impegno di cultura ed anche presenza nella politica sanitaria”.
“Le congregazioni possono intervenire nello spazio di mercato se sanno stare in esso – sottolinea il sacerdote –, nel rispetto delle leggi economiche e con management preparati e competenti, dando per scontato che i singoli religiosi sappiano fornire prestazioni d'opera con qualificata competenza”.
“Unità, completezza e integralità dell'intervento sono i reali must della sanità religiosa, emergenti dalla radice dei nostri carismi e non da banali mosse di ripiego contro la crisi, l'invecchiamento, o la negazione dei nostri diritti da parte degli organismi pubblici”.
La vita religiosa è capace di “fare l'ospedale e gestirlo adeguatamente”, “metterlo sul mercato”, “prestare opera diretta, assistenza medica e assistenza spirituale”, “aggregare laici e religiosi intorno a un progetto” e “promuovere una nuova cultura della sanità”, osserva.
Consapevole del fatto che la questione “sanità e mercato” è una sfida per tutta la vita religiosa, ad esempio nella questione imprenditoriale, padre Mozzetta propone alcune soluzioni, partendo dal fatto che “una comunità religiosa non è un'impresa, ma può possedere e dirigere un'impresa”, con i dovuti requisiti etici e legali.
“Se i religiosi e i loro carismi vogliono stare sul mercato, devono confrontarsi con l'impresa”, constata.
In uno stesso contesto e luogo, nessuna congregazione vuole perdere la sua identità, così che “quello che dobbiamo unire non sono le congregazioni, ma le imprese delle congregazioni”, suggerisce.
Queste imprese “sono di proprietà delle diverse congregazioni, da esse dirette, ma da esse legalmente distinte”, così che “si può pensare a un progetto che le raccordi, che razionalizzi il sistema proprietario”, “che unifichi il management”, “che elimini le concorrenze indebite”.
Ciò, ha concluso, darebbe “maggior potere contrattuale verso gli enti pubblici, il sistema creditizio e le organizzazioni dei lavoratori” e “una più efficiente organizzazione del lavoro e dei servizi”, e supporrebbe un soggetto economico “in grado di valorizzare il patrimonio immobiliare, il risparmio e gli investimenti di tutti coloro che sono interessati a una finanza non solo genericamente etica, ma specificamente e dichiaratamente 'cattolica'”.