Nella rassegna stampa di oggi:
1) MEDJUGORJE: Messaggio della S. Vergine Maria del 25 aprile 2008
2) SUCCESSO DEL TIBET, MA NON SOLO. UN PUNTO PER LA LIBERTÀ DI TUTTI
3) Ecco il cuore della questione: cerchiamo lo schietto e il buono
4) Film: Giorni e nuvole, di Silvio Soldini
MEDJUGORJE: Messaggio della S. Vergine Maria del 25 aprile 2008
"Cari figli, anche oggi vi invito tutti a crescere nell´amore di Dio come un fiore che sente i raggi caldi della primavera. Così anche voi, figlioli, crescete nell´amore di Dio e portatelo a tutti coloro che sono lontani da Dio. Cercate la volontà di Dio e fate del bene a coloro che Dio ha messo sul vostro cammino e siate luce e gioia. Grazie per aver risposto alla mia chiamata."
SUCCESSO DEL TIBET, MA NON SOLO. UN PUNTO PER LA LIBERTÀ DI TUTTI
Avvenire, 26 aprile 2008
VITTORIO E. PARSI
Il governo cinese si dice pronto a intavolare un dialogo col Dalai Lama, qualora «egli cessi di complottare a favore dell’indipendenza del Tibet, di appoggiare le violenze dei monaci e di sostenere il boicottaggio dei prossimi Giochi olimpici». Sono queste le scarne, ambigue righe battute dall’agenzia di stampa 'Nuova Cina' cui Pechino affida la propria offensiva diplomatica, nel tentativo di rompere il sostanziale isolamento e l’assedio dell’opinione pubblica democratica, in cui è precipitato dopo la violenta repressione delle pacifiche proteste tibetane.
Il tentativo è piuttosto goffo, e appare assai più strumentale che sostanziale. Ma rivela anche l’estrema difficoltà in cui si trovano i governanti cinesi. Come ha ribadito in ogni possibile occasione, il Dalai Lama ha esplicitamente rinunciato al progetto della restaurazione dell’indipendenza per il suo Paese. Egli è perfettamente consapevole che un simile disegno, ben più che anacronistico, equivarrebbe semplicemente a concedere alle autorità cinesi un ulteriore pretesto per schiacciare ogni anelito alla libertà che il popolo tibetano dovesse manifestare. L’indipendenza tibetana era maturata durante il periodo in cui il Celeste impero aveva toccato uno dei punti più bassi della sua parabola, indebolito e umiliato dall’azione aggressiva e priva di scrupoli delle potenze occidentali. Oggi che la Cina è la potenza emergente dell’Asia, la più seria candidata a sfidare il ruolo egemonico degli Stati Uniti nei prossimi vent’anni, non c’è nessuna ragionevole speranza che il Tibet riviva la breve stagione della sua piena indipendenza. Molto più realisticamente, il Dalai Lama chiede che cessi la politica di sistematico annichilimento della cultura e della lingua tibetana che dura da ormai mezzo secolo, e che negli ultimi anni ha conosciuto un nuovo vigore, grazie alle massicce ondate migratorie favorite dal governo centrale. Con un programma limitato alla difesa della cultura del suo popolo, privo di rivendicazioni politico-territoriali, è sempre apparso piuttosto difficile da credere per gli osservatori neutrali che i monaci avessero scelto la via della lotta armata, tanto più sotto la guida del loro leader spirituale.
Questo i cinesi lo sanno benissimo, per cui il fatto che chiedano, come precondizione per un ipotetico futuro dialogo, che il Dalai Lama cessi di fare ciò che non ha mai cominciato a fare suona decisamente fasullo. E la sensazione è rafforzata dall’ultima perentoria richiesta. Anche in tal caso basta scorrere le dichiarazioni rese dal Dalai Lama in tutte queste settimane per prendere atto di come egli si sia sempre espresso contro il boicottaggio dei Giochi, arrivando ad affermare che il «popolo cinese se li merita», e semmai chiedendo che i leader politici disertassero la cerimonia d’apertura.
Se tre indizi fanno una prova, allora è assai verosimile che la mossa cinese risponda semplicemente all’esigenza di rompere quell’assedio e quell’isolamento di cui si diceva in apertura. Ma proprio la goffaggine dell’iniziativa mette in luce le difficoltà in cui si dibatte il governo di Pechino, che in questi giorni si è visto mettere in scacco anche dai sindacati dei portuali africani, i quali, con un’azione di coordinamento transnazionale da far invidia alla ben più robusta e libera tradizione sindacale europea, stanno impedendo che venga scaricata del suo carico d’armi una nave diretta al presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, uno dei dittatori africani amici della Cina. Sembra proprio che i governanti della 'nuova Cina' abbiano qualche difficoltà a comprendere la forza e il peso delle idee e dell’opinione pubblica nel mondo contemporaneo, quando questa e quelle riescono a trovare un potere talmente ottuso da consentire loro di agglutinarsi, e di prendere forma e consistenza. Paradossale, per gli eredi succeduti senza soluzione di continuità ai protagonisti di quella rivoluzione che per le sue idee infiammò tanti cuori, proprio in Occidente.
In queste settimane sono bastate poche azioni di protesta non violenta, attuate da sparuti gruppi di attivisti dei diritti umani, per far mettere all’ordine del giorno dell’agenda dei governi democratici la questione della presenza alla cerimonia inaugurale dei Giochi e per costringere Pechino a prendere in considerazione l’opzione del dialogo con il Dalai Lama. È un punto per la libertà: dei tibetani, dei cinesi e di noi tutti. Vediamo di non sprecarlo e, magari, di segnarne qualcun altro.
Ecco il cuore della questione: cerchiamo lo schietto e il buono
Avvenire, 26 aprile 2008
MARINA CORRADI
Di San Giovanni Rotondo ti restano in mente gli sguardi dei pellegrini nella penombra della cripta, fissi su quel saio. E, all’opposto e come in contraddizione, le paraboliche delle televisioni puntate verso il cielo, e i cavi delle telecamere come tentacoli per terra, e i microfoni puntati alla bocca dei fedeli perché dicano, e raccontino del santo. Ma la più esaustiva diretta non riesce ancora a dire tutto, di quello che gli uomini hanno in testa.
Per esempio, quella gente in coda già dall’alba, o addirittura dalla notte, davanti alla porta del convento. Ci sono un invalido, ragazze, vecchi e anche un signore austero che nella lunga attesa racconta, a chi lo voglia ascoltare, di essere stato un famoso generale.
Aspettano tutti un frate di 92 anni, compaesano di Padre Pio, uno che non confessa ma semplicemente dice una parola buona, e dà una benedizione.
Per questo soltanto, vengono anche da lontano. Allora anche tu vuoi vedere il frate sconosciuto, e aspetti il tuo turno.
Passano due ore, e la coda di pellegrini alle tue spalle si allunga. La porta infine si apre su una stanzetta vuota e un vecchio frate seduto a un tavolino.
Vecchio sì, ma due occhi chiari e arguti ti si piantano in faccia. «Ma tu, perché non sorridi?», ti domanda benevolo dopo un istante di osservazione. (In effetti, riconosci fra te, a sorridere hai sempre fatto fatica). Domanda ancora il vecchio: «Hai dei figli?» Gli rispondi di sì. «Allora torna a casa e ricordati sempre di sorridere ai tuoi figli. Anche se non sei allegra. Ricordati che i figli imparano a guardare il mondo dalla faccia della loro madre».
Ringrazi e te ne riesci nella piazza affollata. Quello che il vecchio ti ha detto in una frase, sta anche nei testi di Donald Winnicott: negli occhi della madre, ha scritto il famoso pedagogista, il bambino si riflette come in uno specchio. Lo sguardo della madre modella l’essere del bambino. (E se la madre lo guarda incantata, il bambino si sentirà come qualcosa di bellissimo).
Di certo, pensi, quel frate del Sud non ha studiato queste cose. Ma ti colpisce come dalla esitazione a sorridere di una sconosciuta sia arrivato al cuore della questione: se hai dei figli, sorridigli, trasmetti già con lo sguardo la certezza che è bello essere vivi.
Già, certo quel frate non ha letto Freud.
È un figlio di contadini sanniti sopravvissuto alla fame delle sue valli, cresciuto a rosari e silenzio fra le mura di un convento. Non è un santo, nulla ha a che fare con i misteri e i miracoli di Padre Pio. E tuttavia ti pare di capire che cosa spinge la gente qui, per vedere anche lui. Cercano il dono di una parola semplice, di uno sguardo schietto, non complicato da troppa saggezza, né cinico come si può diventare nella cappa della informazione globale. Cercano la limpidezza di un uomo di cent’anni fa, fermo in una fede di roccia, e in una misericordia appresa nello sguardo di una madre contadina. L’humus del vecchio frate assomiglia a quello del santo. Soltanto quello: l’origine, e uno sguardo buono anche sull’ultimo sconosciuto.
E certo non chiedono Grazie al vecchio frate i pellegrini del Gargano.
Semplicemente vengono per un uomo che li guardi in faccia, e li guardi come dei figli. Nemmeno forse le parole sono importanti: vengono per sentirsi uno sguardo buono addosso. Per la faccia di un uomo. Che non trovano forse attorno a loro, né nell’oceano di mille canali televisivi. Per certe cose il digitale non basta, inutili quelle parabole ronzanti schierate come una falange di tolla qui dietro il convento.
Gli uomini, cercano ostinatamente la faccia di un uomo. Quella di un frate di 92 anni può valere centinaia di chilometri.
Giorni e nuvole
Autore: Tagliabue, Aurelio Curatore: Buggio, Nerella
venerdì 25 aprile 2008
Senza nessuna pretesa sociologica il film riesce a raccontare l’Italia dei giorni nostri, con il suo benessere precario, suscitando però riflessioni ed interrogativi su noi stessi.
Elsa e Michele hanno una figlia di vent'anni e vivono una vita agiata e serena. Dopo che Elsa realizza il sogno di laurearsi, Michele confessa di essere stato estromesso dalla società da lui fondata e di essere senza lavoro da due mesi. Il rapporto tra i due si incrina e rischia la rottura…
Silvio Soldini è un regista che ha saputo rinnovarsi nel corso della sua carriera, passando da film intimistici, talvolta condizionati da una ricerca intellettualistica, a commedie divertenti e caratterizzate da una certa leggerezza. Ma con GIORNI E NUVOLE ha operato un’ulteriore svolta, arricchendo il suo cinema di un realismo che finora non aveva molto considerato. Non si tratta ovviamente di una riproduzione documentaristica della realtà, ma è evidente come nella narrazione emerga la volontà di avvicinarsi alla vita quotidiana, attraverso riferimenti concreti. Anche lo stile ne risente: la macchina da presa sta addosso ai personaggi e le aperture paesaggistiche (il film è interamente girato in una Genova riconoscibile, ma mai oleografica) contribuiscono alla creazione dell’atmosfera che caratterizza la vicenda raccontata.
Soldinicostringe lo spettatore a “vivere”, a partecipare alle problematiche incontrate dai protagonisti, nei quali non è difficile riconoscersi: una coppia mediamente benestante, con una figlia ventenne alle prese con i consueti conflitti generazionali. La scelta degli interpreti è in funzione di questa immedesimazione; se Antonio Albanese ben rappresenta l’uomo “medio”, diverso è il discorso per Margherita Buy, il cui personaggio, con una felice invenzione della sceneggiatura, viene presentato in un momento di difficoltà, che suscita complicità emotiva nei suoi confronti. Così quando le certezze materiali della coppia precipitano, nel momento in cui lui perde il lavoro, è inevitabile provare una forte tensione e condividerne le preoccupazioni. Tuttavia Soldini non è un regista che si accontenta di suscitare sensazioni nello spettatore e nella narrazione dissemina, con disinvoltura e tocco d’artista, segni che vanno interpretati, poiché rimandano ad un livello di significazione più profondo: il mare, il cielo, il paesaggio in generale e soprattutto il lavoro di restauro della protagonista, vero ponte che proietta in un’altra dimensione, quella che permetterà forse alla coppia di ritrovasi e condividere ancora ogni esperienza. Il dipinto che torna alla luce è metafora del bisogno di non fermarsi alla superficie delle cose e della necessità di scavare dentro di noi per ritrovare ciò che più conta e che gli ostacoli della vita quotidiana rischiano di farci dimenticare. Così senza nessuna pretesa sociologica il film riesce a raccontare l’Italia dei giorni nostri, con il suo benessere precario, suscitando però riflessioni ed interrogativi su noi stessi.
GIORNI E NUVOLE
di Silvio Soldini
Interpreti: Margherita Buy, Antonio Albanese, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Carla Signoris.
Durata: 118 minuti
Origine: Italia/Svizzera, 2007
1) MEDJUGORJE: Messaggio della S. Vergine Maria del 25 aprile 2008
2) SUCCESSO DEL TIBET, MA NON SOLO. UN PUNTO PER LA LIBERTÀ DI TUTTI
3) Ecco il cuore della questione: cerchiamo lo schietto e il buono
4) Film: Giorni e nuvole, di Silvio Soldini
MEDJUGORJE: Messaggio della S. Vergine Maria del 25 aprile 2008
"Cari figli, anche oggi vi invito tutti a crescere nell´amore di Dio come un fiore che sente i raggi caldi della primavera. Così anche voi, figlioli, crescete nell´amore di Dio e portatelo a tutti coloro che sono lontani da Dio. Cercate la volontà di Dio e fate del bene a coloro che Dio ha messo sul vostro cammino e siate luce e gioia. Grazie per aver risposto alla mia chiamata."
SUCCESSO DEL TIBET, MA NON SOLO. UN PUNTO PER LA LIBERTÀ DI TUTTI
Avvenire, 26 aprile 2008
VITTORIO E. PARSI
Il governo cinese si dice pronto a intavolare un dialogo col Dalai Lama, qualora «egli cessi di complottare a favore dell’indipendenza del Tibet, di appoggiare le violenze dei monaci e di sostenere il boicottaggio dei prossimi Giochi olimpici». Sono queste le scarne, ambigue righe battute dall’agenzia di stampa 'Nuova Cina' cui Pechino affida la propria offensiva diplomatica, nel tentativo di rompere il sostanziale isolamento e l’assedio dell’opinione pubblica democratica, in cui è precipitato dopo la violenta repressione delle pacifiche proteste tibetane.
Il tentativo è piuttosto goffo, e appare assai più strumentale che sostanziale. Ma rivela anche l’estrema difficoltà in cui si trovano i governanti cinesi. Come ha ribadito in ogni possibile occasione, il Dalai Lama ha esplicitamente rinunciato al progetto della restaurazione dell’indipendenza per il suo Paese. Egli è perfettamente consapevole che un simile disegno, ben più che anacronistico, equivarrebbe semplicemente a concedere alle autorità cinesi un ulteriore pretesto per schiacciare ogni anelito alla libertà che il popolo tibetano dovesse manifestare. L’indipendenza tibetana era maturata durante il periodo in cui il Celeste impero aveva toccato uno dei punti più bassi della sua parabola, indebolito e umiliato dall’azione aggressiva e priva di scrupoli delle potenze occidentali. Oggi che la Cina è la potenza emergente dell’Asia, la più seria candidata a sfidare il ruolo egemonico degli Stati Uniti nei prossimi vent’anni, non c’è nessuna ragionevole speranza che il Tibet riviva la breve stagione della sua piena indipendenza. Molto più realisticamente, il Dalai Lama chiede che cessi la politica di sistematico annichilimento della cultura e della lingua tibetana che dura da ormai mezzo secolo, e che negli ultimi anni ha conosciuto un nuovo vigore, grazie alle massicce ondate migratorie favorite dal governo centrale. Con un programma limitato alla difesa della cultura del suo popolo, privo di rivendicazioni politico-territoriali, è sempre apparso piuttosto difficile da credere per gli osservatori neutrali che i monaci avessero scelto la via della lotta armata, tanto più sotto la guida del loro leader spirituale.
Questo i cinesi lo sanno benissimo, per cui il fatto che chiedano, come precondizione per un ipotetico futuro dialogo, che il Dalai Lama cessi di fare ciò che non ha mai cominciato a fare suona decisamente fasullo. E la sensazione è rafforzata dall’ultima perentoria richiesta. Anche in tal caso basta scorrere le dichiarazioni rese dal Dalai Lama in tutte queste settimane per prendere atto di come egli si sia sempre espresso contro il boicottaggio dei Giochi, arrivando ad affermare che il «popolo cinese se li merita», e semmai chiedendo che i leader politici disertassero la cerimonia d’apertura.
Se tre indizi fanno una prova, allora è assai verosimile che la mossa cinese risponda semplicemente all’esigenza di rompere quell’assedio e quell’isolamento di cui si diceva in apertura. Ma proprio la goffaggine dell’iniziativa mette in luce le difficoltà in cui si dibatte il governo di Pechino, che in questi giorni si è visto mettere in scacco anche dai sindacati dei portuali africani, i quali, con un’azione di coordinamento transnazionale da far invidia alla ben più robusta e libera tradizione sindacale europea, stanno impedendo che venga scaricata del suo carico d’armi una nave diretta al presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, uno dei dittatori africani amici della Cina. Sembra proprio che i governanti della 'nuova Cina' abbiano qualche difficoltà a comprendere la forza e il peso delle idee e dell’opinione pubblica nel mondo contemporaneo, quando questa e quelle riescono a trovare un potere talmente ottuso da consentire loro di agglutinarsi, e di prendere forma e consistenza. Paradossale, per gli eredi succeduti senza soluzione di continuità ai protagonisti di quella rivoluzione che per le sue idee infiammò tanti cuori, proprio in Occidente.
In queste settimane sono bastate poche azioni di protesta non violenta, attuate da sparuti gruppi di attivisti dei diritti umani, per far mettere all’ordine del giorno dell’agenda dei governi democratici la questione della presenza alla cerimonia inaugurale dei Giochi e per costringere Pechino a prendere in considerazione l’opzione del dialogo con il Dalai Lama. È un punto per la libertà: dei tibetani, dei cinesi e di noi tutti. Vediamo di non sprecarlo e, magari, di segnarne qualcun altro.
Ecco il cuore della questione: cerchiamo lo schietto e il buono
Avvenire, 26 aprile 2008
MARINA CORRADI
Di San Giovanni Rotondo ti restano in mente gli sguardi dei pellegrini nella penombra della cripta, fissi su quel saio. E, all’opposto e come in contraddizione, le paraboliche delle televisioni puntate verso il cielo, e i cavi delle telecamere come tentacoli per terra, e i microfoni puntati alla bocca dei fedeli perché dicano, e raccontino del santo. Ma la più esaustiva diretta non riesce ancora a dire tutto, di quello che gli uomini hanno in testa.
Per esempio, quella gente in coda già dall’alba, o addirittura dalla notte, davanti alla porta del convento. Ci sono un invalido, ragazze, vecchi e anche un signore austero che nella lunga attesa racconta, a chi lo voglia ascoltare, di essere stato un famoso generale.
Aspettano tutti un frate di 92 anni, compaesano di Padre Pio, uno che non confessa ma semplicemente dice una parola buona, e dà una benedizione.
Per questo soltanto, vengono anche da lontano. Allora anche tu vuoi vedere il frate sconosciuto, e aspetti il tuo turno.
Passano due ore, e la coda di pellegrini alle tue spalle si allunga. La porta infine si apre su una stanzetta vuota e un vecchio frate seduto a un tavolino.
Vecchio sì, ma due occhi chiari e arguti ti si piantano in faccia. «Ma tu, perché non sorridi?», ti domanda benevolo dopo un istante di osservazione. (In effetti, riconosci fra te, a sorridere hai sempre fatto fatica). Domanda ancora il vecchio: «Hai dei figli?» Gli rispondi di sì. «Allora torna a casa e ricordati sempre di sorridere ai tuoi figli. Anche se non sei allegra. Ricordati che i figli imparano a guardare il mondo dalla faccia della loro madre».
Ringrazi e te ne riesci nella piazza affollata. Quello che il vecchio ti ha detto in una frase, sta anche nei testi di Donald Winnicott: negli occhi della madre, ha scritto il famoso pedagogista, il bambino si riflette come in uno specchio. Lo sguardo della madre modella l’essere del bambino. (E se la madre lo guarda incantata, il bambino si sentirà come qualcosa di bellissimo).
Di certo, pensi, quel frate del Sud non ha studiato queste cose. Ma ti colpisce come dalla esitazione a sorridere di una sconosciuta sia arrivato al cuore della questione: se hai dei figli, sorridigli, trasmetti già con lo sguardo la certezza che è bello essere vivi.
Già, certo quel frate non ha letto Freud.
È un figlio di contadini sanniti sopravvissuto alla fame delle sue valli, cresciuto a rosari e silenzio fra le mura di un convento. Non è un santo, nulla ha a che fare con i misteri e i miracoli di Padre Pio. E tuttavia ti pare di capire che cosa spinge la gente qui, per vedere anche lui. Cercano il dono di una parola semplice, di uno sguardo schietto, non complicato da troppa saggezza, né cinico come si può diventare nella cappa della informazione globale. Cercano la limpidezza di un uomo di cent’anni fa, fermo in una fede di roccia, e in una misericordia appresa nello sguardo di una madre contadina. L’humus del vecchio frate assomiglia a quello del santo. Soltanto quello: l’origine, e uno sguardo buono anche sull’ultimo sconosciuto.
E certo non chiedono Grazie al vecchio frate i pellegrini del Gargano.
Semplicemente vengono per un uomo che li guardi in faccia, e li guardi come dei figli. Nemmeno forse le parole sono importanti: vengono per sentirsi uno sguardo buono addosso. Per la faccia di un uomo. Che non trovano forse attorno a loro, né nell’oceano di mille canali televisivi. Per certe cose il digitale non basta, inutili quelle parabole ronzanti schierate come una falange di tolla qui dietro il convento.
Gli uomini, cercano ostinatamente la faccia di un uomo. Quella di un frate di 92 anni può valere centinaia di chilometri.
Giorni e nuvole
Autore: Tagliabue, Aurelio Curatore: Buggio, Nerella
venerdì 25 aprile 2008
Senza nessuna pretesa sociologica il film riesce a raccontare l’Italia dei giorni nostri, con il suo benessere precario, suscitando però riflessioni ed interrogativi su noi stessi.
Elsa e Michele hanno una figlia di vent'anni e vivono una vita agiata e serena. Dopo che Elsa realizza il sogno di laurearsi, Michele confessa di essere stato estromesso dalla società da lui fondata e di essere senza lavoro da due mesi. Il rapporto tra i due si incrina e rischia la rottura…
Silvio Soldini è un regista che ha saputo rinnovarsi nel corso della sua carriera, passando da film intimistici, talvolta condizionati da una ricerca intellettualistica, a commedie divertenti e caratterizzate da una certa leggerezza. Ma con GIORNI E NUVOLE ha operato un’ulteriore svolta, arricchendo il suo cinema di un realismo che finora non aveva molto considerato. Non si tratta ovviamente di una riproduzione documentaristica della realtà, ma è evidente come nella narrazione emerga la volontà di avvicinarsi alla vita quotidiana, attraverso riferimenti concreti. Anche lo stile ne risente: la macchina da presa sta addosso ai personaggi e le aperture paesaggistiche (il film è interamente girato in una Genova riconoscibile, ma mai oleografica) contribuiscono alla creazione dell’atmosfera che caratterizza la vicenda raccontata.
Soldinicostringe lo spettatore a “vivere”, a partecipare alle problematiche incontrate dai protagonisti, nei quali non è difficile riconoscersi: una coppia mediamente benestante, con una figlia ventenne alle prese con i consueti conflitti generazionali. La scelta degli interpreti è in funzione di questa immedesimazione; se Antonio Albanese ben rappresenta l’uomo “medio”, diverso è il discorso per Margherita Buy, il cui personaggio, con una felice invenzione della sceneggiatura, viene presentato in un momento di difficoltà, che suscita complicità emotiva nei suoi confronti. Così quando le certezze materiali della coppia precipitano, nel momento in cui lui perde il lavoro, è inevitabile provare una forte tensione e condividerne le preoccupazioni. Tuttavia Soldini non è un regista che si accontenta di suscitare sensazioni nello spettatore e nella narrazione dissemina, con disinvoltura e tocco d’artista, segni che vanno interpretati, poiché rimandano ad un livello di significazione più profondo: il mare, il cielo, il paesaggio in generale e soprattutto il lavoro di restauro della protagonista, vero ponte che proietta in un’altra dimensione, quella che permetterà forse alla coppia di ritrovasi e condividere ancora ogni esperienza. Il dipinto che torna alla luce è metafora del bisogno di non fermarsi alla superficie delle cose e della necessità di scavare dentro di noi per ritrovare ciò che più conta e che gli ostacoli della vita quotidiana rischiano di farci dimenticare. Così senza nessuna pretesa sociologica il film riesce a raccontare l’Italia dei giorni nostri, con il suo benessere precario, suscitando però riflessioni ed interrogativi su noi stessi.
GIORNI E NUVOLE
di Silvio Soldini
Interpreti: Margherita Buy, Antonio Albanese, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Carla Signoris.
Durata: 118 minuti
Origine: Italia/Svizzera, 2007