Nella rassegna stampa di oggi:
1) Chi salva la politica? - 03-02-2011 - L'editoriale di oggi è un commento che apparirà sul numero di febbraio del mensile di Comunione e Liberazione "Tracce", anticipato sul sito della rivista. – da http://www.labussolaquotidiana.it
2) Avvenire.it, 2 febbraio 2011 – Benedetto XVI - Udienza del mercoledì - Santa Teresa d'Avila, «vera maestra di vita cristiana»
3) «La centralità dell'umanità di Cristo» in Teresa d'Avila di Massimo Introvigne, 02-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
4) Degrado morale oltre i "bunga bunga" di Andrea Tornielli, 02-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
5) 02/02/2011 – PAKISTAN - Estremisti islamici contro i giudici: morte ad Asia Bibi e libertà per Mumtaz Qadri di Jibran Khan
6) MANUALE DI ISTRUZIONI PER ESSERE CRISTIANI NELL'ERA DI FACEBOOK - Intervista all'esperto Guillaume Anselin di Jesús Colina
7) 02/02/2011 – VATICANO - Papa: il relativismo della società esige dai religiosi una testimonianza luminosa e coerente
8) L'Islam e l'Occidente impreparato di Roberto Fontolan, giovedì 3 febbraio 2011, il sussidiario.net
9) 3 Febbraio San Biagio da http://www.pontifex.roma.it
10) LE VERE GRIDA, GLI SCHIAMAZZI, IL COMPITO DI INFORMARE - La responsabilità di dare voce non può perdersi in «urlo» di DAVIDE RONDONI, Avvenire, 3 febbraio 2011
11) Al Festival della «dolce morte» - di Lorenzo Fazzini - Il Sundance, la celebrata rassegna del cinema alternativo ideata da Robert Redford, assegna il premio per il miglior documentario a «How to die in Oregon», film che racconta la scelta eutanasica di una donna – Avvenire, 3 febbraio 2011
Chi salva la politica? - 03-02-2011 - L'editoriale di oggi è un commento che apparirà sul numero di febbraio del mensile di Comunione e Liberazione "Tracce", anticipato sul sito della rivista. – da http://www.labussolaquotidiana.it
«Sgomento». Ha usato questo termine, il cardinale Angelo Bagnasco, per accennare ai fatti che occupano le prime pagine da giorni. È una parola vera. Basta guardarci, per accorgersene. Sorprendere il primo effetto che ha su di noi questa valanga di fango e di caos. Prima della repulsione di fronte allo squallore che viene a galla. Prima della ribellione per una battaglia politica fatta via inchieste e provvedimenti giudiziari, che sta mettendo a rischio il bene di tutti. Forse addirittura prima della rabbia e della pena per un Paese che avrebbe bisogno di tutt’altro e si ritrova impantanato tra bungabunga ed annizero.
Prima di tutto questo, o comunque dentro tutto questo, se siamo leali il contraccolpo ha davvero quel nome: sgomento. Ovvero, malessere. Disagio. Per un modo di trattare cose e persone triste di suo, e reso ancora più amaro se accompagnato dall’illusione di potere tutto, anche sfuggire al tempo. Per la menzogna di chi si aspetta che «a cambiarci la vita» sia qualche busta piena di euro, intascati magari dando in cambio te stessa o spingendo tua figlia a sgomitare per farlo. E anche per come si usa di tutto ciò per attaccare un avversario che non si è riusciti a buttar giù a forza di voti ed elezioni. Sesso, soldi e politica. «Lussuria, Usura e Potere», come diceva Eliot.
In fondo, la vicenda è sempre lì. Le tentazioni eterne, di sempre e per tutti. Certo, sulle inchieste serve chiarezza. Se c’è ipotesi di reato (reato, non peccato: quello, fino a prova contraria, non riguarda i pm), si indaghi, e in fretta. Così come è urgente che ognuno torni a fare il suo mestiere, che politici, giudici e media si rimettano al servizio del bene comune - vocazione che in gran parte stanno smarrendo - anziché «tendersi tranelli», come ricordava il cardinale Bagnasco, aggiungendo che «dalla situazione presente nessuno ricaverà motivo per rallegrarsi né per ritenersi vincitore».
Ma non perdiamo l’occasione per prendere sul serio quel contraccolpo iniziale, quel turbamento. Non spostiamoci - o non lasciamoci spostare - sulla sempiterna “questione morale”, sull’incoerenza, sulla debolezza umana. Fatti serissimi, di cui tenere conto, ma che arrivano dopo, perché in fondo lo sappiamo che è difficile mettersi nei panni di chi scaglia per primo la pietra.
Un istante prima, invece, c’è quel disagio, quell’inquietudine profonda. Che, se viene presa sul serio, porta a una domanda: ma chi può salvarci da questo? Chi può tirarci fuori da un modo così avvilente di trattare se stessi e gli altri? C’è qualcosa che possa riempire la vita più di sesso, soldi e potere o tutto ciò a cui possiamo ridurre il nostro desiderio di felicità? Qualcuno capace di attirare tutto di noi a sé, perché - finalmente - basta al nostro cuore? Chi può salvare l’umanità di Berlusconi, di chi gli gira intorno, di chi gli dà addosso - e mia, qui e ora?
La salvezza, la pienezza dell’umano, non verrà dalla politica, se mai ci fosse stato bisogno di conferme. Né dai giudici. Ma da chi, allora? Qui lancia la sua sfida il cristianesimo. Qui, ancora una volta, ci provoca fino in fondo Cristo. L’Unico che ha la pretesa di rispondere al nostro bisogno di felicità. L’Unico che può generare una morale, cioè salvare l’umano: sfidarlo con un fascino più potente del resto - di tutto - e attrarlo a Sé, fino a cambiarlo. Perché è l’Unico che gli riempie il cuore.
Ma qui si capisce anche il realismo dei criteri che la Chiesa ha sempre usato per giudicare la politica e i politici: il bene comune, appunto, e la libertas Ecclesiae, prima e più della coerenza e dell’ineccepibilità morale del singolo. Sembrano non c’entrare nulla. Invece entrano nel merito fino in fondo. Perché se è solo Cristo che salva l’umano, salvaguardare la Sua presenza nella storia - la Chiesa - vuol dire lasciarGli spazio nel mondo, qui e ora. Vuol dire aprirsi alla possibilità che potenti e soubrette, magistrati e giornalisti (e noi, con loro) incontrino qualcosa per cui vale la pena vivere, e cambiare.
È questo che chiediamo alla politica. Non la salvezza, ma che lasci spazi di libertà a questo luogo che salva anche la politica, perché rende presente nel mondo qualcosa che non ha paragone con Usura, Lussuria e Potere. Qualcosa di infinitamente più grande. Qualcuno di vero.
Avvenire.it, 2 febbraio 2011 – Benedetto XVI - Udienza del mercoledì - Santa Teresa d'Avila, «vera maestra di vita cristiana»
Cari fratelli e sorelle,
nel corso delle Catechesi che ho voluto dedicare ai Padri della Chiesa e a grandi figure di teologi e di donne del Medioevo ho avuto modo di soffermarmi anche su alcuni Santi e Sante che sono stati proclamati Dottori della Chiesa per la loro eminente dottrina. Oggi vorrei iniziare una breve serie di incontri per completare la presentazione dei Dottori della Chiesa.
E comincio con una Santa che rappresenta uno dei vertici della spiritualità cristiana di tutti i tempi: santa Teresa d’Avila [di Gesù]. Nasce ad Avila, in Spagna, nel 1515, con il nome di Teresa de Ahumada. Nella sua autobiografia ella stessa menziona alcuni particolari della sua infanzia: la nascita da “genitori virtuosi e timorati di Dio”, all'interno di una famiglia numerosa, con nove fratelli e tre sorelle. Ancora bambina, a meno di 9 anni, ha modo di leggere le vite di alcuni martiri che le ispirano il desiderio del martirio, tanto che improvvisa una breve fuga da casa per morire martire e salire al Cielo (cfr Vita 1, 4); “voglio vedere Dio” dice la piccola ai genitori.
Alcuni anni dopo, Teresa parlerà delle sue letture dell'infanzia e affermerà di avervi scoperto la verità, che riassume in due principi fondamentali: da un lato “il fatto che tutto quello che appartiene al mondo di qua, passa”, dall'altro che solo Dio è “per sempre, sempre, sempre”, tema che ritorna nella famosissima poesia “Nulla ti turbi / nulla ti spaventi; / tutto passa. Dio non cambia; / la pazienza ottiene tutto; / chi possiede Dio / non manca di nulla / Solo Dio basta!”. Rimasta orfana di madre a 12 anni, chiede alla Vergine Santissima che le faccia da madre (cfr Vita 1, 7).
Se nell’adolescenza la lettura di libri profani l'aveva portata alle distrazioni di una vita mondana, l'esperienza come alunna delle monache agostiniane di Santa Maria delle Grazie di Avila e la frequentazione di libri spirituali, soprattutto classici di spiritualità francescana, le insegnano il raccoglimento e la preghiera. All’età di 20 anni, entra nel monastero carmelitano dell'Incarnazione, sempre ad Avila; nella vita religiosa assume il nome di Teresa di Gesù. Tre anni dopo, si ammala gravemente, tanto da restare per quattro giorni in coma, apparentemente morta (cfr Vita 5, 9). Anche nella lotta contro le proprie malattie la Santa vede il combattimento contro le debolezze e le resistenze alla chiamata di Dio: “Desideravo vivere - scrive - perché capivo bene che non stavo vivendo, ma stavo lottando con un'ombra di morte, e non avevo nessuno che mi desse vita, e neppure io me la potevo prendere, e Colui che poteva darmela aveva ragione di non soccorrermi, dato che tante volte mi aveva volto verso di Lui, e io l'avevo abbandonato” (Vita 8, 2). Nel 1543 perde la vicinanza dei famigliari: il padre muore e tutti i suoi fratelli emigrano uno dopo l'altro in America. Nella Quaresima del 1554, a 39 anni, Teresa giunge al culmine della lotta contro le proprie debolezze. La scoperta fortuita della statua di “un Cristo molto piagato” segna profondamente la sua vita (cfr Vita 9). La Santa, che in quel periodo trova profonda consonanza con il sant'Agostino delle Confessioni, così descrive la giornata decisiva della sua esperienza mistica: “Accadde... che d'improvviso mi venne un senso della presenza di Dio, che in nessun modo potevo dubitare che era dentro di me o che io ero tutta assorbita in Lui” (Vita 10, 1).
Parallelamente alla maturazione della propria interiorità, la Santa inizia a sviluppare concretamente l'ideale di riforma dell'Ordine carmelitano: nel 1562 fonda ad Avila, con il sostegno del Vescovo della città, don Alvaro de Mendoza, il primo Carmelo riformato, e poco dopo riceve anche l'approvazione del Superiore Generale dell'Ordine, Giovanni Battista Rossi. Negli anni successivi prosegue le fondazioni di nuovi Carmeli, in totale diciassette. Fondamentale è l'incontro con san Giovanni della Croce, col quale, nel 1568, costituisce a Duruelo, vicino ad Avila, il primo convento di Carmelitani Scalzi. Nel 1580 ottiene da Roma l'erezione in Provincia autonoma per i suoi Carmeli riformati, punto di partenza dell'Ordine Religioso dei Carmelitani Scalzi. Teresa termina la sua vita terrena proprio mentre è impegnata nell'attività di fondazione. Nel 1582, infatti, dopo aver costituto il Carmelo di Burgos e mentre sta compiendo il viaggio di ritorno verso Avila, muore la notte del 15 ottobre ad Alba de Tormes, ripetendo umilmente due espressioni: “Alla fine, muoio da figlia della Chiesa” e “E' ormai ora, mio Sposo, che ci vediamo”. Un’esistenza consumata all'interno della Spagna, ma spesa per la Chiesa intera. Beatificata dal Papa Paolo V nel 1614 e canonizzata nel 1622 da Gregorio XV, è proclamata “Dottore della Chiesa” dal Servo di Dio Paolo VI nel 1970.
Teresa di Gesù non aveva una formazione accademica, ma ha sempre fatto tesoro degli insegnamenti di teologi, letterati e maestri spirituali. Come scrittrice, si è sempre attenuta a ciò che personalmente aveva vissuto o aveva visto nell’esperienza di altri (cfr Prologo al Cammino di Perfezione), cioè a partire dall'esperienza. Teresa ha modo di intessere rapporti di amicizia spirituale con molti Santi, in particolare con san Giovanni della Croce. Nello stesso tempo, si alimenta con la lettura dei Padri della Chiesa, san Girolamo, san Gregorio Magno, sant'Agostino. Tra le sue opere maggiori va ricordata anzitutto l’autobiografia, intitolata Libro della vita, che ella chiama Libro delle Misericordie del Signore. Composta nel Carmelo di Avila nel 1565, riferisce il percorso biografico e spirituale, scritto, come afferma Teresa stessa, per sottoporre la sua anima al discernimento del “Maestro degli spirituali”, san Giovanni d'Avila. Lo scopo è di evidenziare la presenza e l'azione di Dio misericordioso nella sua vita: per questo, l'opera riporta spesso il dialogo di preghiera con il Signore. E’ una lettura che affascina, perché la Santa non solo racconta, ma mostra di rivivere l’esperienza profonda del suo rapporto con Dio. Nel 1566, Teresa scrive il Cammino di Perfezione, da lei chiamato Ammonimenti e consigli che dà Teresa di Gesù alle sue monache. Destinatarie sono le dodici novizie del Carmelo di san Giuseppe ad Avila. Α loro Teresa propone un intenso programma di vita contemplativa al servizio della Chiesa, alla cui base vi sono le virtù evangeliche e la preghiera. Tra i passaggi più preziosi il commento al Padre nostro, modello di preghiera. L'opera mistica più famosa di santa Teresa è il Castello interiore, scritto nel 1577, in piena maturità. Si tratta di una rilettura del proprio cammino di vita spirituale e, allo stesso tempo, di una codificazione del possibile svolgimento della vita cristiana verso la sua pienezza, la santità, sotto l'azione dello Spirito Santo. Teresa si richiama alla struttura di un castello con sette stanze, come immagine dell'interiorità dell'uomo, introducendo, al tempo stesso, il simbolo del baco da seta che rinasce in farfalla, per esprimere il passaggio dal naturale al soprannaturale. La Santa si ispira alla Sacra Scrittura, in particolare al Cantico dei Cantici, per il simbolo finale dei “due Sposi”, che le permette di descrivere, nella settima stanza, il culmine della vita cristiana nei suoi quattro aspetti: trinitario, cristologico, antropologico ed ecclesiale. Alla sua attività di fondatrice dei Carmeli riformati, Teresa dedica il Libro delle fondazioni, scritto tra il 1573 e il 1582, nel quale parla della vita del gruppo religioso nascente. Come nell'autobiografia, il racconto è teso a evidenziare soprattutto l'azione di Dio nell'opera di fondazione dei nuovi monasteri.
Non è facile riassumere in poche parole la profonda e articolata spiritualità teresiana. Vorrei menzionare alcuni punti essenziali. In primo luogo, santa Teresa propone le virtù evangeliche come base di tutta la vita cristiana e umana: in particolare, il distacco dai beni o povertà evangelica, e questo concerne tutti noi; l'amore gli uni per gli altri come elemento essenziale della vita comunitaria e sociale; l'umiltà come amore alla verità; la determinazione come frutto dell'audacia cristiana; la speranza teologale, che descrive come sete di acqua viva. Senza dimenticare le virtù umane: affabilità, veracità, modestia, cortesia, allegria, cultura. In secondo luogo, santa Teresa propone una profonda sintonia con i grandi personaggi biblici e l'ascolto vivo della Parola di Dio. Ella si sente in consonanza soprattutto con la sposa del Cantico dei Cantici e con l'apostolo Paolo, oltre che con il Cristo della Passione e con il Gesù Eucaristico.
La Santa sottolinea poi quanto è essenziale la preghiera; pregare, dice, “significa frequentare con amicizia, poiché frequentiamo a tu per tu Colui che sappiamo che ci ama” (Vita 8, 5) . L'idea di santa Teresa coincide con la definizione che san Tommaso d'Aquino dà della carità teologale, come “amicitia quaedam hominis ad Deum”, un tipo di amicizia dell’uomo con Dio, che per primo ha offerto la sua amicizia all’uomo; l'iniziativa viene da Dio (cfr Summa Theologiae II-ΙI, 23, 1). La preghiera è vita e si sviluppa gradualmente di pari passo con la crescita della vita cristiana: comincia con la preghiera vocale, passa per l'interiorizzazione attraverso la meditazione e il raccoglimento, fino a giungere all'unione d'amore con Cristo e con la Santissima Trinità. Ovviamente non si tratta di uno sviluppo in cui salire ai gradini più alti vuol dire lasciare il precedente tipo di preghiera, ma è piuttosto un approfondirsi graduale del rapporto con Dio che avvolge tutta la vita. Più che una pedagogia della preghiera, quella di Teresa è una vera "mistagogia": al lettore delle sue opere insegna a pregare pregando ella stessa con lui; frequentemente, infatti, interrompe il racconto o l'esposizione per prorompere in una preghiera.
Un altro tema caro alla Santa è la centralità dell'umanità di Cristo. Per Teresa, infatti, la vita cristiana è relazione personale con Gesù, che culmina nell'unione con Lui per grazia, per amore e per imitazione. Da ciò l'importanza che ella attribuisce alla meditazione della Passione e all'Eucaristia, come presenza di Cristo, nella Chiesa, per la vita di ogni credente e come cuore della liturgia. Santa Teresa vive un amore incondizionato alla Chiesa: ella manifesta un vivo “sensus Ecclesiae” di fronte agli episodi di divisione e conflitto nella Chiesa del suo tempo. Riforma l'Ordine carmelitano con l'intenzione di meglio servire e meglio difendere la “Santa Chiesa Cattolica Romana”, ed è disposta a dare la vita per essa (cfr Vita 33, 5).
Un ultimo aspetto essenziale della dottrina teresiana, che vorrei sottolineare, è la perfezione, come aspirazione di tutta la vita cristiana e meta finale della stessa. La Santa ha un'idea molto chiara della “pienezza” di Cristo, rivissuta dal cristiano. Alla fine del percorso del Castello interiore, nell'ultima “stanza” Teresa descrive tale pienezza, realizzata nell'inabitazione della Trinità, nell'unione a Cristo attraverso il mistero della sua umanità.
Cari fratelli e sorelle, santa Teresa di Gesù è vera maestra di vita cristiana per i fedeli di ogni tempo. Nella nostra società, spesso carente di valori spirituali, santa Teresa ci insegna ad essere testimoni instancabili di Dio, della sua presenza e della sua azione, ci insegna a sentire realmente questa sete di Dio che esiste nella profondità del nostro cuore, questo desiderio di vedere Dio, di cercare Dio, di essere in colloquio con Lui e di essere suoi amici. Questa è l'amicizia che è necessaria per noi tutti e che dobbiamo cercare, giorno per giorno, di nuovo. L’esempio di questa Santa, profondamente contemplativa ed efficacemente operosa, spinga anche noi a dedicare ogni giorno il giusto tempo alla preghiera, a questa apertura verso Dio, a questo cammino per cercare Dio, per vederlo, per trovare la sua amicizia e così la vera vita; perché realmente molti di noi dovrebbero dire: “non vivo, non vivo realmente, perché non vivo l'essenza della mia vita”. Per questo il tempo della preghiera non è tempo perso, è tempo nel quale si apre la strada della vita, si apre la strada per imparare da Dio un amore ardente a Lui, alla sua Chiesa, e una carità concreta per i nostri fratelli. Grazie.
«La centralità dell'umanità di Cristo» in Teresa d'Avila di Massimo Introvigne, 02-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
Benedetto XVI ha dedicato l'udienza generale del 2 febbraio a «uno dei vertici della spiritualità cristiana di tutti i tempi: santa Teresa d’Avila [1515-1582]».
Come di consueto, il Papa ha riassunto la biografia della santa, che affermava di avere scoperto già nell'infanzia «la verità, che riassume in due principi fondamentali: da un lato “il fatto che tutto quello che appartiene al mondo di qua, passa”, dall'altro che solo Dio è “per sempre, sempre, sempre”, tema che ritorna nella famosissima poesia “Nulla ti turbi / nulla ti spaventi; / tutto passa. Dio non cambia; / la pazienza ottiene tutto; / chi possiede Dio / non manca di nulla / Solo Dio basta"». Le stesse verità guideranno la sua carriera come religiosa carmelitana, superiora, autrice di opere che le hanno valso il titolo di dottore della Chiesa e riformatrice del suo Ordine.
Il Papa riassume in cinque punti essenziali la lezione di santa Teresa. «In primo luogo, santa Teresa propone le virtù evangeliche come base di tutta la vita cristiana e umana: in particolare, il distacco dai beni o povertà evangelica, e questo concerne tutti noi; l'amore gli uni per gli altri come elemento essenziale della vita comunitaria e sociale; l'umiltà come amore alla verità; la determinazione come frutto dell'audacia cristiana; la speranza teologale, che descrive come sete di acqua viva. Senza dimenticare le virtù umane: af fabilità, veracità, modestia, cortesia, allegria, cultura».
In secondo luogo, santa Teresa ha una spiritualità radicata nella Scrittura e «una profonda sintonia con i grandi personaggi biblici e l'ascolto vivo della Parola di Dio. Ella si sente in consonanza soprattutto con la sposa del Cantico dei Cantici e con l'apostolo Paolo, oltre che con il Cristo della Passione e con il Gesù Eucaristico».
Terzo aspetto: la santa «sottolinea poi quanto è essenziale la preghiera; pregare, dice, “significa frequentare con amicizia, poiché frequentiamo a tu per tu Colui che sappiamo che ci ama” (Vita 8, 5)». Per Teresa «la preghiera è vita e si sviluppa gradualmente di pari passo con la crescita della vita cristiana: comincia con la preghiera vocale, passa per l'interiorizzazione attraverso la meditazione e il raccoglimento, fino a giungere all'unione d'amore con Cristo e con la Santissima Trinità. Ovviamente non si tratta di uno sviluppo in cui salire ai gradini più alti vuol dire lasciare il precedente tipo di preghiera, ma è piuttosto un approfondirsi graduale del rapporto con Dio che avvolge tutta la vita. Più che una pedagogia della preghiera, quella di Teresa è una vera "mistagogia": al lettore delle sue opere insegna a pregare pregando ella stessa con lui; frequentemente, infatti, interrompe il racconto o l'esposizione per prorompere in una preghiera».
Quarto pilastro della spiritualità teresiana è «la centralità dell'umanità di Cristo. Per Teresa, infatti, la vita cristiana è relazione personale con Gesù, che culmina nell'unione con Lui per grazia, per amore e per imitazione. Da ciò l'importanza che ella attribuisce alla meditazione della Passione e all'Eucaristia, come presenza di Cristo, nella Chiesa, per la vita di ogni credente e come cuore della liturgia». Amare l'umanità di Cristo vuol dire amare senza condizioni la Chiesa: «Santa Teresa vive un amore incondizionato alla Chiesa: ella manifesta un vivo “sensus Ecclesiae” di fronte agli episodi di divisione e conflitto nella Chiesa del suo tempo. Riforma l'Ordine carmelitano con l'intenzione di meglio servire e meglio difendere la “Santa Chiesa Cattolica Romana”, ed è disposta a dare la vita per essa (cfr Vita 33, 5)».
Quinto «aspetto essenziale della dottrina teresiana [...] è la perfezione, come aspirazione di tutta la vita cristiana e meta finale della stessa. La Santa ha un'idea molto chiara della “pienezza” di Cristo, rivissuta dal cristiano. Alla fine del percorso del Castello interiore, nell'ultima “stanza” Teresa descrive tale pienezza, realizzata nell'inabitazione della Trinità, nell'unione a Cristo attraverso il mistero della sua umanità».
Alla fine, il messaggio di Santa Teresa si riassume in questo: se non lottiamo per essere santi, sprechiamo la nostra vita ma combattere seriamente questa battaglia richiede «dedicare ogni giorno il giusto tempo alla preghiera, a questa apertura verso Dio, a questo cammino per cercare Dio, per vederlo, per trovare la sua amicizia e così la vera vita; perché realmente molti di noi dovrebbero dire: “non vivo, non vivo realmente, perché non vivo l'essenza della mia vita”. Per questo il tempo della preghiera non è tempo perso, è tempo nel quale si apre la strada della vita, si apre la strada per imparare da Dio un amore ardente a Lui, alla sua Chiesa, e una carità concreta per i nostri fratelli».
Degrado morale oltre i "bunga bunga" di Andrea Tornielli, 02-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
Nonostante ciò che sta avvenendo in Egitto, nonostante siano diversi piuttosto gravi i problemi irrisolti del nostro Paese, il caso Ruby, il «bunga bunga» e lo squallore delle notti di Arcore continuano a tener banco su giornali e Tv. Bentinteso, la notizia c’è. L’ipotesi accusatoria di aver favorito la prostituzione minorile è grave per tutti, ma è gravissima per chi ricorpre cariche pubbliche, rappresenta il Paese, ha il compito di governarci. E lo «sgomento», per usare le parole del presidente dei vescovi italiani Angelo Bagnasco, non viene certo diminuito dal constatare l’ingente apparato investigativo messo in campo dalla Procura di Milano, dallo scontro tra poteri dello Stato che paralizza la nostra vita politica.
C’è una notizia, diffusa sul Web nelle ultime ore, che fa comprendere quanto sia realista lo sguardo della Chiesa su queste vicende e quanto sia urgente, e dunque da prendere assolutamente sul serio, l’appello dello stesso cardinale Bagnasco, il quale la scorsa settimana ha richiamato tutti alla responsabilità educativa nella nostra società. La notizia è la messa in rete (rilanciata da Dagospia) di un video quasi certamente girato all’interno di una classe in una scuola. Ci limiteremo a dire che è una scuola italiana, senza delimitare meglio l’area geografica, perché certo degrado è fenomeno diffuso in tutto il Paese.
Si tratta di una ripresa fatta col telefonino che ritrae una ragazza intenta a un rapporto orale con un ragazzo, sotto gli occhi, gli schiamazzi e le risate dei compagni. Non ci interessa fare i bacchettoni, indignarci rimpiangendo il tempo che fu. Ma non si può non rimanere sgomenti, anzi scioccati, dal constatare quanto si sia abbassata la soglia morale e sia ormai in via di estinzione il comune senso del pudore.
Ovvio che i rapporti sessuali precoci, il sesso staccato dall’affettività, come pure la sua mercificazione, non sono invenzioni delle nuove generazioni e accadevano anche venti o trent’anni fa. Ciò che appare nuovo, e in questo il Web mostra una delle sue caratteritiche peggiori, è il fatto che dei ragazzi, a scuola, non abbiano alcun pudore né alcuna remora morale a fare ciò che hanno fatto, di fronte ai loro compagni, lasciandosi pure filmare da almeno due di loro con i telefonini.
Senza nulla voler togliere allo sgomento per lo squallore delle notti di Arcore e al giro di giovani e giovanissime ragazze coinvolte e foraggiate, pare difficile attribuire questo degrado soltanto a Berlusconi, o alle sue Tv, al «Drive in» e alle veline (quelle in carne e ossa, non quelle fatte filtrare sui giornali).
C’è un degrado morale diffuso, c’è un’emergenza educativa che dovrebbe allarmarci ben al di là della sacrosanta richiesta di sobrietà e decoro da rivolgere a chi ci rappresenta e governa. Sarebbe sbagliato giustificare il Cavaliere derubricando Ruby con il classico «così fan tutti» o ritenendo che il semplice fatto di essere popolari e molto votati consenta qualsiasi cosa.
Sarebbe altrettanto sbagliato pensare che con le dimissioni di Berlusconi il nostro Paese tornerebbe a essere faro di moralità. L’emergenza, comunque vada, rimane. E sarà interessante vedere se e come la si continuerà ad avvertire e la si affronterà passato il «bunga bunga».
02/02/2011 – PAKISTAN - Estremisti islamici contro i giudici: morte ad Asia Bibi e libertà per Mumtaz Qadri di Jibran Khan
Aumentano le pressioni dei fondamentalisti per il rilascio dell’assassino di Salman Taseer, il governatore del Punjab che si è battuto contro la legge sulla blasfemia. Rimandato il trasferimento di prigione per la donna cristiana, minacciata di morte. Leader cattolici: il Pakistan ha abbracciato una deriva islamica, contraria ai principi di Ali Jinnah.
Lahore (AsiaNews) – I fondamentalisti islamici minacciano giudici e magistratura per ottenere la liberazione di Mumtaz Qadri, l’assassino reo-confesso dell’ex governatore del Punjab Salman Taseer. Intanto il trasferimento di prigione per Asia Bibi, la 45enne cristiana condannata a morte per blasfemia, è stato rimandato: attivisti e organizzazioni per i diritti umani chiedono che l’appello si svolga in cella e fra imponenti misure di sicurezza, ma i timori per la vita della donna sono sempre più fondati. Il Pakistan ha abbracciato una deriva islamica, affermano leader cattolici, che sconfessa il principio della laicità voluto dal fondatore Ali Jinnah nel 1947.
Salman Taseer rappresentava l’esatto contrario del cittadino pakistano medio, perché di idee liberali e istruito. Il suo omicidio – ad opera di una delle guardie del corpo – sottolinea come non vi sia spazio nel Paese per quanti promuovono la laicità e combattono norme aberranti, come la legge sulla blasfemia. Mumtaz Qadri ha confessato l’assassinio del 4 gennaio scorso, confermando che alla base del gesto vi era l’opposizione del governatore alla “legge nera” e il sostegno alla cristiana Asia Bibi. Nelle ultime settimane oltre 800 avvocati e partiti religiosi si sono adoperati per il rilascio di Qadri, esercitando pressioni sulla magistratura e la classe dirigente pakistana. Un avvocato ha presentato un’istanza per il rilascio alla Corte suprema, ma i giudici hanno respinto la richiesta. Nessuno è al di sopra della legge – scrivono i membri dell’Alta corte di Islamabad nel rinvio a giudizio dell’omicida – e fissano la prossima udienza del processo che si terrà il 4 febbraio.
Intanto le autorità del carcere non hanno ancora autorizzato il trasferimento di Asia Bibi nel carcere femminile di Multan. La Masihi Foundation continua a battersi per un processo a porte chiuse, per le minacce dei fondamentalisti islamici che vogliono morta la 45enne cristiana. Ashaiq Masih, marito di Asia, ringrazia gli attivisti perché “si sono occupati di ogni dettaglio del caso” e rappresentano “una raggio di speranza”.
Mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi, spiega ad AsiaNews che il Pakistan è nato come “nazione per i musulmani”, non come Stato islamico e lo stesso fondatore Ali Jinnah ha respinto l’idea di mischiare nazione e religione. Il prelato sottolinea che le questioni di fede sono sempre state considerate dalla politica come “assegni” da ritirare “al momento del voto”, ma gli esiti sono stati fallimentari perché le urne non hanno mai premiato i partiti islamici. P. Joseph Xavier aggiunge che è necessario ripristinare il valore della laicità dello Stato e consegnare alla giustizia gli estremisti, affinché “le persone equilibrate possano promuovere le loro idee”.
Il Ministro per le minoranze religiose Shahbaz Bhatti nega infine che esista un Comitato creato per promuovere emendamenti alla legge sulla blasfemia. Il ministro, le cui immagini sono state bruciate in piazza assieme a quelle di Benedetto XVI, chiarisce che il presidente Zardari era intenzionato a formare un gruppo di studio, chiamato a consultare esperti di islam e a proporre eventuali emendamenti alla “legge nera”. La reazione dei fondamentalisti ha fatto abortire l’iniziativa, che avrebbe creato “incomprensioni e malintesi” secondo il governo. Smentendo modifiche alla legge sulla blasfemia, Bhatti aggiunge che è necessario “prevenirne gli abusi” e conclude ribadendo l’innocenza di Asia Bibi, che andrebbe scarcerata.
MANUALE DI ISTRUZIONI PER ESSERE CRISTIANI NELL'ERA DI FACEBOOK - Intervista all'esperto Guillaume Anselin di Jesús Colina
ROMA, mercoledì, 2 febbraio 2011 (ZENIT.org).- La verità e l'autenticità sono il programma e il manuale di istruzioni che Benedetto XVI offre ai cristiani presenti in Internet e nelle reti sociali, spiega Guillaume Anselin, esperto francese di comunicazione di marchi e istituzioni.
In questa intervista, Anselin, che ha ricoperto ruoli direttivi in alcuni dei principali gruppi di comunicazione, come McCann Erickson, Ogilvy e Publicis, commenta con ZENIT il Messaggio che il Papa ha inviato in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
“Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa”, afferma Benedetto XVI. Ci troviamo di fronte a una post-cultura?
Guillaume Anselin: Il Santo Padre constata che “sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione”. In questo modo fa riferimento non solo a Internet, ma a una nuova “era digitale”, segno di una nuova cultura in cui siamo già entrati.
L'era digitale è una società di “omnicomunicazione”, costantemente connessa, in cui si ridefiniscono la relazione individuale con il mondo, con gli altri, e il modo di consumare o produrre informazioni. In questa era “digitale”, l'informazione circola principalmente attraverso “circoli sociali”, con il rischio di dare più credito a quelli più diffusi (“popolarizzati” dagli “amici” reali o virtuali) che alle fonti ufficiali. Il pericolo consiste evidentemente in una visione deformata della realtà.
Si presuppongono inoltre l'abolizione delle frontiere e delle distanze, una cultura dell'immagine più che della scrittura, una società “conversativa”, in cui il contenuto è l'oggetto stesso della conversazione in larga scala.
E' un fenomeno culturale inedito e recente: sociale, mediatico, di informazione immediata che non lascia tempo per respirare, con le sue comunità di interesse e circa duemila milioni di persone collegati in tutto il mondo. Basta ricordare che sei anni fa Facebook, YouTube, Twitter, così presenti nella nostra vita quotidiana, non esistevano.
Nel caso dei Paesi con un'intensa cultura mediatica, possiamo parlare davvero di post-cultura, nel senso di una virata verso una “società digitale”.
“Soprattutto i giovani stanno vivendo questo cambiamento della comunicazione, con tutte le ansie, le contraddizioni e la creatività proprie di coloro che si aprono con entusiasmo e curiosità alle nuove esperienze della vita”, spiega il Papa. Quali sono i rischi e le sfide?
Guillaume Anselin: L'era digitale implica evidentemente un salto generazionale. La televisione dei nostri genitori non è quella di oggi. Con l'avvento del “tutto multimediale” si verifica un'intensa migrazione di pubblici giovani verso il mondo digitale (Internet, telefonini...). Domani ci saranno intere generazioni che avranno conosciuto da sempre Facebook come canale principale per informarsi, parlare o incontrarsi.
Internet esercita fascino: ci troviamo di fronte a un mezzo personale in cui posso costruirmi l'identità che desidero, misurarmi con gli altri, essere “connesso” e parlare di ciò che voglio con chi voglio. Un luogo in cui posso creare qualcosa, immergermi in universi preesistenti, giocare, ascoltare musica, vedere video, leggere...
Internet viene percepito come l'“ultimo mondo libero”, democratico, perché permette l'espressione di tutte le opinioni minoritarie, senza obblighi né conseguenze... e in apparente sicurezza per chi lo usa.
Viene anche percepito come un luogo di contropotere rispetto alle autorità costituite (cosa particolarmente vera in questi tempi di crisi in Medio Oriente o con il caso di Wikileaks).
Il pericolo, come spiega il Papa, è quello della convivenza di due identità, una digitale (un avatar di se stessi) e l'altra reale, e di due vite parallele: una reale e contingente e l'altra virtuale e facile, pur se anche estremamente reale, perché occupa una parte importante delle mie giornate.
La sfida è la costruzione della persona, la sua unità di vita e la formazione della coscienza, grazie a un utilizzo equilibrato di Internet per ciò che ha di meglio: il fatto di essere un meraviglioso strumento pratico e ludico, quando lo sappiamo utilizzare. Trovare un'informazione in Internet non vuol dire trovare sempre una soluzione.
“Esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale”, osserva il Papa, che chiede al cristiano di “testimoniare con coerenza” il Vangelo nell'era digitale. Come rispondere a questo invito?
Guillaume Anselin: Il Papa ci offre un programma e un manuale di istruzioni molto chiari: la verità e l'autenticità. Quanto a strategia di comunicazione non potrebbe avanzare una proposta migliore! E' un incoraggiamento a impegnarsi senza avere paura e con lucidità. Possiamo considerare tre aspetti importanti per il comunicatore cristiano.
1. In primo luogo, la verità innanzitutto, perché in materia di fede noi cristiani non abbiamo niente di meglio da offrire in risposta a questa sete inscritta nel cuore degli uomini. In un'epoca sempre più satura di informazioni, ciò vuol dire essere presenti e dare ragioni: presentare fonti affidabili della dottrina (visibili, con un linguaggio accessibile) e testimoniare con semplicità ciò in cui crediamo e il modo in cui lo viviamo, con i mezzi a nostra disposizione (l'informazione, la narrazione, i video, i forum, i blog...).
Implica anche il fatto di ristabilire un equilibrio nell'ecosistema digitale e di dare ai giovani due elementi essenziali: il diritto di sapere e il diritto di scegliere. Essere “cooperatores Veritatis” [collaboratori della Verità, slogan di Benedetto XVI, ndr.] per annunciare il Vangelo, e favorire un incontro personale con Gesù che è la Via, la Verità e la Vita.
In altre parole: non essere decisamente presenti nel continente digitale è una controverità. E' un dovere di giustizia e un servizio alla carità in un mondo in fase di accelerazione, in cui spesso si cerca di cancellare la dimensione spirituale e il valore del messaggio cristiano.
2. Per riuscirci, il Santo Padre ci offre il manuale di istruzioni: bisogna essere autentici..., con coerenza, con costanza, per entrare in dialogo con l'Altro. Essere se stessi, senza cedere in nulla sulle questioni fondamentali, con un ascolto attivo per rendersi tutto a tutti.
Come ci ha detto in varie occasioni Benedetto XVI, lo stile cristiano non cerca di piacere, correndo il rischio di snaturare ciò che abbiamo ricevuto. La nostra comunicazione è affermazione gioiosa, positiva... e delicata. E' anche coerente, in tempi favorevoli e sfavorevoli. E' sociale, perché si integra nelle culture del nostro tempo. E' evangelizzazione per toccare i cuori e le intelligenze. E' unità per sostenere tutte le realtà pastorali ed ecclesiali.
Il Santo Padre, tuttavia, ci avverte anche della tentazione dell'“omnidigitale”, perché le tecnologie devono permettere l'avvicinamento a una pratica di fede, vissuta nelle nostre comunità cristiane, nella Chiesa.
3. La verità, infine, merita un nuovo atteggiamento. Per questo motivo, Benedetto XVI conclude invitandoci a una “responsabile creatività” e a un senso di “scrupolosa professionalità”.
Servono competenze particolari, perché oggi Internet richiede un atteggiamento del tutto professionale e mezzi adeguati. Dobbiamo costruire le cattedrali del sapere, gli atri e le piazze del continente digitale... formato da viali e piazze, ma anche da angoli in cui le persone si possono perdere.
“Mantenere vive le eterne domande dell'uomo”. Come dice Benedetto XVI, la ricerca di senso e di risposte sulla fede e la vita è intensa tra i nostri contemporanei. Che cosa offre in questo senso il continente digitale?
Guillaume Anselin: L'offerta è diversificata ma anche estremamente frammentata. Per molte iniziative è difficile trovare un pubblico per mancanza di risorse o di offerta editoriale, o perché hanno difficoltà ad andare al di là del pubblico tradizionale. Per entrare in una web cattolica bisogna esserlo, almeno un po'...
La forza dei grandi progetti su Internet è la loro dimensione multimediale e l'intelligenza connettiva, a partire da una necessità chiaramente identificata. Nel campo della fede, mancano iniziative in cui, al di là di pubblicare notizie di attualità, si offrano risposte semplici nei formati più vari alle domande che le persone si pongono sulla fede, la vita e la società.
Dobbiamo rispondere a questa eterna domanda dell'uomo, al suo desiderio di trascendenza, con progetti grandi, interattivi, che trasmettano ciò che abbiamo ricevuto.
Bisogna rispondere al “perché” e al “come” con creatività e modernità, e sostenere il lavoro pastorale delle persone sul campo: sacerdoti, educatori, religiosi, catechisti e tutti coloro che nel mondo investono le proprie energie nella produzione di blog e pagine web.
In fondo non è niente di nuovo, perché come i cristiani si sono impegnati un tempo a favore del progresso delle società nelle nostre città e campagne, il continente digitale aspetta ora anche la nostra presenza visibile, serena, all'altezza delle sfide di questa “società digitale”.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
02/02/2011 – VATICANO - Papa: il relativismo della società esige dai religiosi una testimonianza luminosa e coerente
Nella Giornata della vita consacrata, Benedetto XVI, commentando la Presentazione di Gesù definisce l’episodio evangelico “un’eloquente icona della totale donazione della propria vita per quanti, uomini e donne, sono chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, i tratti caratteristici di Gesù vergine, povero ed obbediente”.
Città del Vaticano (AsiaNews) - In un’epoca come questa, nella quale, soprattutto nelle società più sviluppate c’è una “radicale pluralità” con “una progressiva emarginazione della religione dalla sfera pubblica” e “un relativismo che tocca i valori fondamentali” da chi ha scelto la vita religiosa si “esige” una “testimonianza cristiana luminosa e coerente” e uno “sforzo educativo” che sia “sempre più attento e generoso”. E’ il mandato che Benedetto XVI ha dato oggi ai religiosi e alle religiose, nella festa della Presentazione del Signore e XV Giornata della Vita Consacrata.
Il Papa, celebrando i vespri in una basilica vaticano affollata di religiosi e suore, commentando il brano evangelico della Presentazione di Gesù al tempio, l’ha definita “un’eloquente icona della totale donazione della propria vita per quanti, uomini e donne, sono chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, i tratti caratteristici di Gesù vergine, povero ed obbediente”.
Ciò ha suggerito a Benedetto XVI “tre brevi pensieri per la riflessione in questa Festa. Il primo: l’icona evangelica della Presentazione di Gesù al tempio contiene il simbolo fondamentale della luce; la luce che, partendo da Cristo, si irradia su Maria e Giuseppe, su Simeone ed Anna e, attraverso di loro, su tutti. I Padri della Chiesa hanno collegato questa irradiazione al cammino spirituale. La vita consacrata esprime tale cammino, in modo speciale, come "filocalia", amore per la bellezza divina, riflesso della bontà di Dio. Sul volto di Cristo risplende la luce di tale bellezza”. “Ma un’esperienza singolare della luce che promana dal Verbo incarnato fanno certamente i chiamati alla vita consacrata. La professione dei consigli evangelici, infatti, li pone quale segno e profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo".
“In secondo luogo, l’icona evangelica manifesta la profezia, dono dello Spirito Santo. Simeone ed Anna, contemplando il Bambino Gesù, intravvedono il suo destino di morte e di risurrezione per la salvezza di tutte le genti e annunciano tale mistero come salvezza universale. La vita consacrata è chiamata a tale testimonianza profetica, legata alla sua duplice attitudine contemplativa e attiva. Ai consacrati e alle consacrate è dato infatti di manifestare il primato di Dio, la passione per il Vangelo praticato come forma di vita e annunciato ai poveri e agli ultimi della terra. In forza di tale primato nulla può essere anteposto all’amore personale per Cristo e per i poveri in cui Egli vive. La vera profezia nasce da Dio, dall’amicizia con Lui, dall’ascolto attento della sua Parola nelle diverse circostanze della storia. In questo modo la vita consacrata, nel suo vissuto quotidiano sulle strade dell’umanità, manifesta il Vangelo e il Regno già presente e operante”.
“In terzo luogo, l’icona evangelica della Presentazione di Gesù al tempio manifesta la sapienza di Simeone ed Anna, la sapienza di una vita dedicata totalmente alla ricerca del volto di Dio, dei suoi segni, della sua volontà; una vita dedicata all’ascolto e all’annuncio della sua Parola. ‘Faciem tuam, Domine, requiram»: il tuo volto, Signore, io cerco (Sal 27,8) … La vita consacrata è nel mondo e nella Chiesa segno visibile di questa ricerca del volto del Signore e delle vie che conducono a Lui (cfr Gv 14,8) … La persona consacrata testimonia dunque l’impegno, gioioso e insieme laborioso, della ricerca assidua e sapiente della volontà divina’ (cfr Cong. per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Istruz. Il servizio dell’autorità e l’obbedienza. Faciem tuam Domine requiram [2008], 1)”.
Ai religiosi, infine, Benedetto XVI ha raccomandato di essere “ascoltatori assidui della Parola, perché ogni sapienza di vita nasce dalla Parola del Signore! Siate - ha aggiunto - scrutatori della Parola, attraverso la lectio divina, poiché la vita consacrata ‘nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come sua norma di vita. Vivere nella sequela di Cristo casto, povero ed obbediente è in tal modo una «esegesi» vivente della Parola di Dio. Lo Spirito Santo, in forza del quale è stata scritta la Bibbia, è il medesimo che illumina di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola vuole essere espressione, dando origine ad itinerari di vita cristiana segnati dalla radicalità evangelica’ (Esort. ap. postsinodale Verbum Domini, 83)”.
L'Islam e l'Occidente impreparato di Roberto Fontolan, giovedì 3 febbraio 2011, il sussidiario.net
In questo scorcio di 2011 siamo messi davanti a grandi cambiamenti. Riuniti a Davos i potenti della terra si accorgono che probabilmente ciò che è sempre stato considerato il problema numero 1, la diseguaglianza tra Paesi ricchi e Paesi poveri, sta passando in secondo piano rispetto alla diseguaglianza tra uomini ricchi e uomini poveri all’interno degli stessi Paesi.
In più, si è scoperto che un gruppo di Paesi classificati come ultimi degli ultimi, e cioè Etiopia, Mozambico, Angola, Uganda e Tanzania (e poi anche Vietnam persino Bangladesh) sono in piena corsa economica, con tassi di crescita che partono dal 6% per arrivare all’8,5 (la zona euro è all’1,5). Chi parte da lontano ha molti più margini, è ovvio, ma l’Occidente deve abituarsi a cambiare parametri: non c’è solo il Bric a correre, ma anche le nuove tigri africane e asiatiche. Niente più può essere dato per scontato. “C’è un area del mondo –spiega l’economista Moises Naim- che non ha conosciuto le catastrofi del XXI secolo, dalle Torri Gemelle alla recessione”. Ma il cambiamento più clamoroso è la rivolta del mondo arabo.
Clamoroso perché totalmente inaspettato e repentino. Su questo uno stucchevole risvolto è rappresentato dal dibattito tra politologi sulle ragioni per cui i medesimi politologi non abbiano previsto avvenimenti di tale portata (lo stesso interrogativo che attanaglia gli economisti a proposito della crisi finanziaria). Che la realtà abbia preso il sopravvento sulle expertises è infatti piuttosto spiacevole.
Il regime tunisino, solidissimo fino a ieri, si è dissolto in due settimane. L’era di Mubarak, inclusa la sua proiezione nel futuro attraverso il figlio, è seppellita per sempre, qualunque cosa accada nelle prossime ore.
Il re di Giordania corre frettolosamente ai ripari cambiando il governo, la Siria restringe i già evanescenti spazi di libertà, temono Libia e Marocco, trema la terra sotto i piedi dei governanti di Algeria e Yemen, mentre i regnanti sauditi possono godersi lo spettacolo, per ora: i poveri e i senza diritti sono gli stranieri, difficile che si trasformino in minaccia.
Sopportata troppo a lungo, l’infelicità degli arabi, secondo la fulminante espressione di Samir Kassir (il giornalista assassinato in Libano) ha generato la rabbia degli arabi. I catalizzatori dello scontento? I social network, è stato detto, le leadership improvvisate e prepolitiche, il passaparola del desiderio giovanile.
Ma più di tutto va messo in luce il fenomeno arabo degli ultimi anni cominciato con Al Jazeera e seguito poi da svariati altri canali televisivi satellitari: penetranti e capillari strumenti di una globalizzazione araba sovranazionale, poco controllabile da governi e regimi che telegiornale dopo telegiornale a milioni di famiglie arabe dotate di parabole (quasi tutte, come l’Albania degli anni ’90, ricordate?) sono apparsi vecchi, ammuffiti, parassiti. La forza delle immagini e la “brutalità” insita nel nuovo linguaggio dell’informazione tv “libera” (ricordiamo bene i danni efferati provocati dalle tv arabe dopo il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI) hanno proiettato intere società dallo stato di minorità all’iperspazio.
Oggi l’intero mondo arabo è entrato in una fase storica nuova, che per chi ama periodicizzare potrebbe essere la sesta degli ultimi sessanta anni: lo shock seguito alla nascita dello Stato d’Israele, la conquista del potere da parte di Nasser (1952), la catastrofe della guerra del ’67, la frattura cristiano-musulmana aperta dalla guerra libanese e mai più ricomposta (1975 e oltre), l’Iran khomeinista (1979) e il diffondersi inesorabile dell’islamismo. In queste settimane l’esplosione devastante della realtà “così come è”, senza il “filtro” della politica e dell’ideologia, porta con sé una sfida pazzesca a tutti, dai risultati davvero imprevedibili.
Generali di transizione, Fratelli Musulmani, democrazie nascenti, un nuovo incontro tra cristiani e musulmani secondo lo spirito del CairoMeeting?
Tutto sta cambiando nel Sud del mondo, l’Africa riprende vita e gli arabi se la riconquistano. All’Occidente non basterà aggiornare la propria politica.
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La forza dei religiosi in un mondo relativista di Massimo Introvigne, 03-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
Ieri pomeriggio Benedetto XVI ha celebrato in San Pietro la Festa della Presentazione del Signore, che coincide con la Giornata della Vita Consacrata. Nell'omelia il Papa si è soffermato sulle difficoltà di essere religiosi oggi, in «una condizione segnata spesso da una radicale pluralità, da una progressiva emarginazione della religione dalla sfera pubblica, da un relativismo che tocca i valori fondamentali». Spesso questo relativismo rischia di penetrare anche nei conventi.
Come fare allora a essere buoni religiosi oggi? Il Papa ha invitato a meditare proprio sulla Presentazione di Gesù, un evento di grande significato per la storia della salvezza eppure passato quasi inosservato all'epoca nel tempio di Gerusalemme, presso «tante persone, prese dai loro impegni: i sacerdoti e i leviti con i loro turni di servizio, i numerosi devoti e pellegrini, desiderosi di incontrarsi con il Dio santo di Israele». «Gesù - ha detto il Papa - è un bambino come gli altri, figlio primogenito di due genitori molto semplici. Anche i sacerdoti risultano incapaci di cogliere i segni della nuova e particolare presenza del Messia e Salvatore. Solo due anziani, Simeone ed Anna, scoprono la grande novità. Condotti dallo Spirito Santo, essi trovano in quel Bambino il compimento della loro lunga attesa e vigilanza. Entrambi contemplano la luce di Dio, che viene ad illuminare il mondo».
La Presentazione ha un significato particolare per i religiosi, ha detto il Papa, e si presenta come «un'eloquente icona della totale donazione della propria vita per quanti, uomini e donne, sono chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, i tratti caratteristici di Gesù vergine, povero ed obbediente». Meditando più in profondità sull'evento della Presentazione, ricordato anche nel Rosario ma il cui significato ultimo spesso sfugge, il Pontefice ha sottolineato tre aspetti.
Il primo è che la Presentazione mostra «la sapienza di Simeone ed Anna, la sapienza di una vita dedicata totalmente alla ricerca del volto di Dio, dei suoi segni, della sua volontà; una vita dedicata all’ascolto e all’annuncio della sua Parola». I religiosi, in particolare, sono chiamati a essere «scrutatori della Parola, attraverso la lectio divina, poiché la vita consacrata nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come sua norma di vita».
Secondo: la Presentazione mostra «il simbolo fondamentale della luce; la luce che, partendo da Cristo, si irradia su Maria e Giuseppe, su Simeone ed Anna e, attraverso di loro, su tutti». «I Padri della Chiesa hanno collegato questa irradiazione al cammino spirituale», ha continuato il Papa: «la vita consacrata esprime tale cammino, in modo speciale, come "filocalia", amore per la bellezza divina, riflesso della bontà di Dio».
In terzo luogo la Presentazione mostra a tutti, ma specialmente ai religiosi, «la profezia, dono dello Spirito Santo»: «Simeone ed Anna, contemplando il Bambino Gesù, intravvedono il suo destino di morte e di risurrezione per la salvezza di tutte le genti e annunciano tale mistero come salvezza universale». Simeone ed Anna vivono anche loro in un tempo difficile, anche se diverso dal nostro, ma testimoniano in ogni cosa «il primato di Dio». Vivere questo primato, tenerlo sempre presente per Benedetto XVI è il segreto per essere buoni religiosi nell'epoca della dittatura del relativismo.
3 Febbraio San Biagio da http://www.pontifex.roma.it
La sua venerazione è molto diffusa sia in oriente che in occidente, per la sua festa si esegue il rituale della “benedizione della gola”; che si effettua incrociando due candele vicino alla gola e invocando l’intercessione del Santo. La tradizione che vede legato il Santo alla gola, si ricollega all’intervento miracoloso di San Biagio, che salvò un bambino che stava morendo soffocato da una spina di pesce. Era Vescovo della comunità di Sebaste, nell’odierna Armenia, durante il periodo in cui nell’impero romano si concede la libertà di culto ai cristiani. In quel tempo Costantino governava a occidente e Licinio ad oriente, nonostante questo periodo di pace, Biagio muore martire nel 316. Nessuno storico sa con precisione quali furono le circostanze che portarono al martirio del Santo tre anni dopo la fine delle persecuzioni. Si presume che una nuova persecuzione sia stata ideata da Licinio, peraltro cognato di Costantino, con cui ...
... sorsero numerosi dissidi e lotte, culminate con l’omicidio di Licinio a Tessalonica (Salonicco). Secondo lo storico Eusebio di Cesarea, infatti, questi dissidi portarono ad una nuova persecuzione, seppur limitata, che portò comunque a numerosi martiri e distruzione di luoghi sacri; nel mar Nero fu ucciso un altro Vescovo, Basilio di Amasea. Il corpo di Biagio fu deposto nella cattedrale di Sebaste, ma nel 732 una parte dei resti mortali furono imbarcati per Roma da parte di alcuni fedeli armeni.
Ma una terribile tempesta colpì i fedeli che naufragarono nei pressi di Maratea, qui i cristiani accolgono le reliquie del Santo ed edificheranno una Chiesa, che diventerà l’attuale Basilica sul monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta una statua del Redentore alta 21 metri.
Numerose città in Italia portano il nome di San Biagio, nome usato anche in Francia, Spagna, Svizzera e nelle Americhe. Per essere un Santo di cui si conosce davvero poco, bisogna dire che la devozione dei fedeli in tutto il mondo è veramente molto sviluppata. [Fonte Santiebeati.it]
LE VERE GRIDA, GLI SCHIAMAZZI, IL COMPITO DI INFORMARE - La responsabilità di dare voce non può perdersi in «urlo» di DAVIDE RONDONI, Avvenire, 3 febbraio 2011
F anno cagnara, mentre il mondo va in fiamme. Molto concentrati a sviscerare fino al parossismo e al disgusto vicende nostrane, non si accorgono che il mondo sta cambiando. Questi sono sembrati i nostri media nelle ultime settimane. Come se un certo gusto per il polverone, per il battibecco continuo avesse oscurato il mondo, che intanto stava drammaticamente cambiando. Alla fine, i grandi mutamenti del Nord Africa, dell’Egitto hanno guadagnato di forza l’onore delle cronache principali. Il mondo che grida è riuscito a farsi sentire in mezzo a pettegolezzi e intercettazioni, in mezzo a battibecchi che chiamano politica e invece ormai non si sa più come chiamare. Troppo spesso un giornalismo che chiamiamo 'urlato' perché alza inutilmente i toni copre il grido (o il canto) vero del mondo. Il capo dello Stato, ieri, ce lo ha ricordato assai bene, con il concetto prezioso, forse abusato ma certo poco usato di «responsabilità». Non si tratta solo di una questione di stile. Ed è banale invocare lo 'stile' quando si fa uso di termini volgari, di parole ignominiose e di bassezze per provare a dar sapore a una prosa altrimenti povera, esausta. Non si tratta di fare un giornalismo di un tipo o di un altro.
C’è un modo che copre, censura i problemi veri del mondo (e del nostro Paese) dietro una cortina di mezze notizie, di voci, di schiamazzi.
Non tutti i giornali e i media sono così, ma tutti – e non ci mettiamo certo in cattedra – rischiamo di perdere di vista il mondo, troppo occupati a rovistare nelle frattaglie.
Quando poi il mondo, per la evidente forza dei suoi drammi come delle sue speranze, in Egitto o in tante parti d’Italia, chiede la parola, chiede attenzione, trova spesso i media distratti, o impreparati. E trova spesso i lettori ormai distanti, o disgustati. Coloro che guardano tv e giornali lo fanno spesso perché vogliono sapere, vogliono capire. Non è vero che al pubblico piace pascersi di frivolezze. O almeno non nella misura in cui i media nostrani (non tutti) si prodigano a offrire. Il piatto apparentemente forte di un giornalismo tutto grida e scandali finisce per stancare presto. E non è un buon servizio né ai cittadini e nemmeno alle imprese giornalistiche e di media. C’è in tutti noi, per quanto sepolta da pigrizie e abitudini, una innata voglia di capire, di vedere il reale. Di viverlo intensamente. I media dovrebbero essere un aiuto all’occhio e al cuore, per vedere e per sentire di più il mondo. Non per opacizzarlo. Non per renderlo meno interessante, meno drammatico, meno avventuroso. Il distacco o addirittura il disgusto con cui molti guardano alla vita pubblica è in parte dovuto anche a una irresponsabile rappresentazione che se ne fa. Una irresponsabilità che si somma certo a quella di tanti esponenti pubblici, politici amministratori e altri che provvedono ad avvilire il già stremato cuore di tanti in mezzo a una vita grama o difficoltosa.
Ma i media possono, se vogliono, opporre alla irresponsabilità di tanti, il racconto della responsabilità di tantissimi, ed esercitare la propria, con senso critico e apertura, senza facili brodaglie servite, che paiono saporose e invece diventano insipide dopo pochi giorni. Se diventa consuetudine trattare tutto in modo 'vile' , il mondo non ci apparirà più nello splendore tremendo e affascinate dei suoi drammi e dei suoi tesori. Tutto sembrerà ridotto a confusa poltiglia, su cui gettare uno sguardo distratto e opaco. Non ci stancheremo di ripeterlo, prima di tutto a noi stessi.
Le parole con cui si descrive il mondo e la vita pubblica sono il segno di ciò che si guarda, sono il segno dell’orizzonte che si ha negli occhi e nel cuore.
Ridurre il racconto del mondo a poche banali cose è una colpa grave. Verso il mondo, che grida e piange e lotta. E verso i lettori, che prima o poi a questo modo di fare voltano le spalle, per insofferenza o noia. E se i media finiscono per comunicare noia nel descrivere la vita del mondo, allora significa che hanno proprio fallito.
Al Festival della «dolce morte» - di Lorenzo Fazzini - Il Sundance, la celebrata rassegna del cinema alternativo ideata da Robert Redford, assegna il premio per il miglior documentario a «How to die in Oregon», film che racconta la scelta eutanasica di una donna – Avvenire, 3 febbraio 2011
E’ considerato il film festival più glamour del mondo, anche perché nato sotto l’egida di un mostro sacro (progressista) del cinema americano come Robert Redford. Da quest’anno il «Sundance Festival» – che si tiene ogni anno a fine gennaio nello Utah – ha scelto di assumere anche una chiara coloritura eutanasica. Già, perché tra i film vincitori dell’ultima edizione vi è anche un documentario che presenta – in positivo, ovviamente – la vicenda di alcune persone che hanno chiesto l’eutanasia in Oregon, uno dei primi stati americani a legalizzare la 'dolce morte'.
Il documentario è un autentico spot per l’eutanasia, sebbene in questo caso, come spesso accade, si preferisca ricorrere a un eufemismo tipico dell’antilingua: il New York Times, di solito a favore della scelta eutanasica, ne ha parlato come di un film sul «suicidio medicalmente assistito». Costato 750 mila dollari e 4 anni di riprese, How to die in Oregon («Come morire in Oregon») è risultato choccante per la stessa casa di produzione che lo ha realizzato. Sheila Nevins, presidente della Hbo Documentary Films, ha infatti dichiarato che metà del suo staff («e non si tratta di gente non avvezza a trattare temi scottanti», come ha sottolineato il New York Times) si è addirittura rifiutata di guardare l’intero film. Il regista Peter D.
Richardson, al momento della premiazione al Sundance, ha tenuto a rendere omaggio «a quegli individui straordinari che mi hanno lasciato entrare nella loro vita e raccontarla negli ultimi quattro anni».
La vicenda è quella di Cody Curtis, una donna di 54 anni malata di tumore, alla quale un’oncologa, Katherine Morris, ha somministrato la dose per la 'dolce morte'. Ma già la reazione della Morris è paradossale: «La legge dell’Oregon sull’eutanasia supporta i miei valori – dichiara l’oncologa – ma io non avevo mai preso carta e penna e scritto una prescrizione per qualcosa che avrebbe messo fine alla vita di una persona».
Che il film di Richardson sia stato premiato grazie a un’accorta rete proeutanasia lo testimonia l’euforia del movimento «Death With Dignity», lobby americana a favore della legalizzazione del suicidio assistito per mano dei medici. Commentando il premio del Sundance Festival, il gruppo pro-eutanasia ha parlato di «un’ulteriore indicazione di come sta cambiando la comprensione degli americani e del crescente appoggio alla scelta di morire con dignità e alla possibilità di decidere quando e come morire nel momento in cui ci si trova di fronte a una malattia terminale».