venerdì 18 febbraio 2011

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    «La storia è in marcia anche in Iran» di Elisabetta Galeffi, 17-02-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
2)    Blasfema la donna contro la legge antiblasfemia - 17-02-2011 – http://www.labussolaquotidiana.it
3)    Oggi Berlusconi incontra Bertone e Bagnasco di Andrea Tornielli, 18-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
4)    I fratelli Coen firmano il remake del film di Henry Hathaway - Ritorna il Grinta - Oltre il western è un vero e proprio racconto di formazione di EMILIO RANZATO  (©L'Osservatore Romano - 18 febbraio 2011)
5)    Un altro muro è crollato di Mario Mauro - venerdì 18 febbraio 2011 – il sussidiario.net
6)    Avvenire.it, 18 febbraio 2011, A proposito di adozioni da concedere ai single - Educare non è «generare» - Rispettiamo il ruolo della coppia di Francesco Riccardi
7)    Avvenire.it, 17 febbraio 2011 - IL CORTILE DEI GENTILI - Földényi: Senza Dio la ragione scopre il lato oscuro di Lorenzo Fazzini

«La storia è in marcia anche in Iran» di Elisabetta Galeffi, 17-02-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

“L’Iran è l’unico paese dove le tombe dei poeti sono più conosciute di quelle dei re”. Ne “Il Paese delle stelle nascoste”, libro uscito in Italia due anni fa, Sara Yalda  racconta l’affascinante capacità degli iraniani di vivere la realtà quotidiana. La memoria e la poesia sono i protagonisti del libro, rivelano il coraggio e la forza spirituale di un popolo di gran carattere. Sara Yalda è una giovane scrittrice iraniana trasferita da anni a Parigi, opinionista di “Le Figaro” e sceneggiatrice di teatro. Nel suo paese ritorna ogni volta che ha bisogno di ispirazione. Le abbiamo fatto qualche domanda  sulla nuova protesta che infiamma le piazze iraniane in questi giorni.

La protesta di questi giorni porterà cambiamenti nella società iraniana?
Certo. L’onda egiziana è arrivata fino all’Iran e di conseguenza, dopo più di un anno di silenzio ha risvegliato la fede dei manifestanti. Migliaia di persone hanno coraggiosamente sfidato il divieto governativo e sono scesi in strada a manifestare, lunedì 14 febbraio. Non solo per le strade di Teheran, ma anche per quelle d’Ispahan e di Chiraz. Quale sarà la conquista della contestazione? Il governo se ne andrà o farà delle concessioni politiche e sociali?  Per il momento la situazione è difficile e dura: gli ultraconservatori hanno accusato i leader dell’opposizione, Moussavi e Karoubi, e adesso loro sono tenuti agli arresti domiciliari. La storia è in marcia, ma non avanzerà nella stessa maniera che al Cairo e a Tunisi. L’Iran è un paese di chiari-scuri, una società che poggia sulla dissimulazione e s è evoluta in maniera sotterranea senza decodificare mai del tutto le forze che l’attraversano. Un paese che può improvvisamente passare dall’apparenza e dal nascondiglio alla luce.

Quali differenze fra la protesta iraniana di oggi e quella del 2009?
Nel 2009 i manifestanti contestavano le elezioni presidenziali. Allora c’è stata la nascita del movimento verde. Oggi il movimento c’è, anche se molto giovane e poco strutturato, però esiste e fa riferimento a quanto è avvenuto in Egitto e in Tunisia. 

Quali sono le somiglianze e le differenze tra la protesta iraniana e quelle in Egitto e in Tunisia?
Il fenomeno comune è che la protesta, anche in Iran, nasce dalla borghesia istruita che comunica attraverso le tecnologie moderne, usa le televisioni satellitari, socializza tramite internet e sfugge in questo modo alla censura. Oltre a ciò, motore comune delle proteste è una economia debole accompagnata da problemi sociali e dalle esigenze democratiche delle nuove generazioni. Il contagio però non è uniforme. Le differenze tra le rivolte egiziana, tunisina e iraniana sono molte. Le differenze sono di più dei punti in comune. Il movimento egiziano è caratterizzato da una fierezza nazionale ferita, da un antagonismo sempre più visibile con gli Stati Uniti e Israele ed è evidente l’importanza del ruolo dei Fratelli Musulmani. In Iran, non bisogna mai dimenticare che gli iraniani sono gli antichi persiani, appartenenti ad una storia a loro molto, molto cara. Per ciò gli iraniani non chiederanno al movimento verde, da buoni musulmani, come sono veramente in gran  maggioranza, di rimettere in causa la legittimità della repubblica islamica, vogliono solo elezioni pluraliste e libere. Inoltre sono stanchi dell’embargo economico che pesa fortemente sull’economia della popolazione: l’idea di un riavvicinamento all’Occidente attraversa gli spiriti. Si, l’Egitto potrà rivedere le sue alleanze internazionali, l’Iran cercherà di ritrovarle.

Pensa che le dichiarazione del presidente americano e del segretario di stato americano a favore della protesta iraniana aiutino la piazza?
Le dichiarazioni degli americani a favore della protesta in Iran potranno servire come pretesto a manifestare o contro gli oppositori. Ma i giovani non hanno aspettato Monsieur Obama o Madame Clinton per scendere in strada. Il movimento è iraniano e appartiene agli iraniani dell’Iran. Gli Stati Uniti si sono finalmente decisi a sostenere la “primavera araba”. Ma come reagiranno se l’onda delle proteste arriverà al regime saudita?   

Proteste senza veri leader è una caratteristica comune alle rivolte?
Certo, è chiaro che  internet e i social networks hanno, considerevolmente, cambiato la realtà. Hanno reso il vasto mondo un villaggio planetario. Ma, d’altro canto, la tecnologia non può rimpiazzare gli uomini. Accelera il processo, ma senza capi i movimenti rischiano di perdersi in una spirale di vuoto.


Blasfema la donna contro la legge antiblasfemia - 17-02-2011 – http://www.labussolaquotidiana.it

Lahore (Agenzia Fides) – Sherry Rehman [nella foto], parlamentare del Pakistan People’s Party, la donna che aveva presentato al Parlamento pakistano una mozione per modificare la legga sulla blasfemia, è stata indagata per blasfemia. La decisione è stata presa da un tribunale di Multan, che ha dato incarico alla polizia locale di registrare l’accusa di blasfemia contro la Rehman. La Corte ha accolto la denuncia di un commerciante locale, che accusa la donna di blasfemia per un discorso tenuto in televisione nel novembre 2010. La polizia locale, per ora, si è dichiarata non competente per giurisdizione. Nelle scorse settimane vi erano stati altri tentativi di incriminarla, ma altri tribunali pakistani avevano negato l’autorizzazione.

La notizia crea “sconforto e profondo sconcerto nella comunità cristiana” che, come conferma una autorevole fonte locale di Fides, vede realizzarsi i suoi timori: che passi l’idea di definire “blasfemo”, e dunque di poter incriminare, chiunque si opponga alla legge sulla blasfemia.

Intanto si moltiplicano i casi in cui i gruppi estremisti islamici inneggiano apertamente alla “guerra santa”, alla disobbedienza civile, all’omicidio. Fonti di Fides nella società civile pakistana esprimono crescenti preoccupazioni per questi atteggiamenti che tuttavia “non producono alcuna reazione concreta da parte del governo pakistano”, che “dovrebbe fermare questi predicatori di odio e di illegalità”. Numerosi mullah utilizzano la predica del venerdì per veicolare messaggi ostili, per alimentare tensioni sociali e interreligiose, per calpestare lo stato di diritto.
“Alcuni chiedono perfino l’uso della bomba nucleare contro l’India, in nome della guerra santa in Kashmir” si legge in un nota inviata a Fides dell’Asian Human Rights Commission. Di recente lo ha fatto a Lahore Hafiz Saeed, leader del gruppo radicale islamico Jamaat-ud-Dawah (JuD), parlando a una platea di oltre 20mila militanti. Sebbene il leader sia ricercato per terrorismo, ha potuto arringare la folla indisturbato.

“E’ davvero incomprensibile che il governo pakistano chiuda gli occhi e permetta a questi terroristi di circolare a piede libero diffondendo idee radicali” nota una fonte di Fides. “Le autorità non possono continuare in questa politica conciliante verso gli estremismi religiosi. Incitare alla guerra di religione è un crimine contro l’umanità”. Il forum della società civile pakistana “Cittadini per la democrazia”, in una nota inviata a Fides, chiede al governo di fermare e perseguire legalmente quanti incitano all’odio religioso all’omicidio. (PA) (Agenzia Fides 17/2/2011)


Oggi Berlusconi incontra Bertone e Bagnasco di Andrea Tornielli, 18-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

I vescovi italiani dedicheranno una messa all’unità d’Italia. La presidenza della Cei ha comunicato ieri pomeriggio che promuoverà una celebrazione eucaristica, in occasione del 150° anniversario dell’unità nazionale. Si svolgerà a Roma, nella basilica di Santa Maria degli Angeli e sarà presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco.

Attraverso la preghiera i vescovi italiani intendono rilanciare l’auspicio espresso da Benedetto XVI, in occasione della Settimana Sociale di Reggio Calabria: «Possa emergere un comune sentire, frutto di un’interpretazione credente della situazione del Paese; una saggezza propositiva, che sia il risultato di un discernimento culturale ed etico, condizione costitutiva delle scelte politiche ed economiche. Da ciò dipende il rilancio del dinamismo civile, per il futuro che sia – per tutti – all’insegna del bene comune».

L’annuncio di Bagnasco arriva a poche ore dal ricevimento e dal tradizionale vertice per festeggiare i Patti lateranensi, in programma questo pomeriggio a palazzo Borromeo, nell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. Sarà il primo incontro de visu tra il presidente del Consiglio e i cardinali Bertone e Bagnasco dopo l’esplodere del caso Ruby.

La delegazione vaticana – composta dal Segretario di Stato, dal presidente della Cei e dal cardinale Nicora – incontrerà la delegazione del governo italiano, guidata da Berlusconi e nella quale ci sono i ministri Franco Frattini e Giulio Tremonti. Dopo la prima mezz’ora di colloqui dedicati ai temi di politica interna e ai rapporti tra Italia e Santa Sede (in agenda ci sono le intese per l’assistenza spirituale negli ospedali e nelle carceri, la legge sul fine vita, la scuola paritaria e il quoziente familiare), arriverà il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano insieme ai presidenti di Senato, Camera e Corte costituzionale. Si parlerà per un’altra mezz’ora, questa volta di politica internazionale (crisi mediorientale e persecuzioni dei cristiani).

Infine si aggiungeranno altri ospiti, tra i quali una quindicina di cardinali. Il nuovo ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco, ha lavorato perché il summit di questo pomeriggio, che avviene nell’anno del 150° dell’unità, non risenta delle polemiche del caso Ruby.

Non sono previsti faccia a faccia a porte chiuse tra Berlusconi e Bertone, e l’accordo tra tutti è di mantenere la cerimonia nell’ambito del profilo istituzionale, senza strumentalizzazioni di alcun genere. Ieri alcuni organi di stampa avevano scritto che il Segretario di Stato Bertone sarebbe stato tentato di cancellare la sua presenza per non trovarsi in imbarazzo davanti al premier. La notizia è destituita di qualsiasi fondamento: il cardinale non ha mai pensato di non essere presente.


I fratelli Coen firmano il remake del film di Henry Hathaway - Ritorna il Grinta - Oltre il western è un vero e proprio racconto di formazione di EMILIO RANZATO  (©L'Osservatore Romano - 18 febbraio 2011)

Quando arriva a Fort Smith, Mattie Ross (Hailee Steinfeld) è ancora una ragazzina di quattordici anni, ma sa già il fatto suo. E soprattutto, sa qual è il suo obiettivo: vendicare l'uccisione del padre per mano di Tom Chaney (Josh Brolin), ora fuggito in territorio indiano. L'unica cosa che le serve è l'uomo giusto da ingaggiare per sbrigare il lavoro. Dopo un rapido vaglio di opportunità, sembra trovarlo nel vecchio ubriacone Rooster Cogburn (Jeff Bridges), sceriffo sempre col colpo in canna e insofferente agli angusti vincoli posti dalla legge. L'improbabile coppia inizia così un viaggio attraverso territori selvaggi, cui si unirà anche il Texas Ranger LaBoeuf (Matt Damon), intenzionato a incassare la taglia sul criminale.
Malgrado nei titoli di testa venga menzionato come fonte di partenza unicamente il romanzo True grit (1968) di Charles Portis, non è difficile immaginare che ad aver pungolato la curiosità di due registi cinefili e da sempre interessati alla rappresentazione della violenza come i Coen, sia stato soprattutto il film che ne è stato tratto più di quarant'anni fa, dalla cui sceneggiatura fra l'altro la loro versione si discosta solo sporadicamente.
Pur lontano dal rientrare nei capolavori del cinema western, il primo Il grinta firmato da Henry Hathaway nel 1969 era un film degno d'interesse non solo per la presenza titanica d'un ormai anziano John Wayne - che per l'occasione vinse anche il suo unico Oscar - ma per essere un'opera tanto demodé all'apparenza quanto sottilmente al passo coi tempi nei contenuti.
In quegli stessi mesi, infatti, il western celebrava definitivamente la sua elegia con l'allucinato Il mucchio selvaggio, il revisionista Soldato blu, il già ludico e autoreferenziale Butch Cassidy. Mentre con Easy Rider nasceva un cinema che avrebbe accolto una nuova coscienza collettiva, e individuato in vari episodi della storia del Paese le cause del suo malessere contemporaneo. Da evento inevitabile e addirittura fondante della nazione, la violenza sarebbe stata additata di lì in avanti come crimine e fonte di tragedie. Un assunto ideologico che già da solo significava la fine del western.
Stilisticamente reazionaria, col suo aspetto ancora vecchio stampo, l'opera di Hathaway si ritrovava a percorrere, in realtà, un crinale scosceso. A costituire, forse casualmente, un singolare trait d'union fra vecchio e nuovo cinema. E non soltanto per la presenza in ruoli minori di due icone del nuovo corso come Robert Duvall e Dennis Hopper. Ma per quello che, dietro la facciata della novella d'avventure e i toni da commedia, si rivelava invece un racconto di formazione nient'affatto innocuo, la storia di un rito d'iniziazione alla violenza sconvolgente e senza ritorno, condita da una simbologia biblica discreta ma molto efficace. Una parabola solo superficialmente rosea che iniziava con una impiccagione e finiva in un cimitero, e in cui la perdita dell'innocenza che veniva descritta, all'epoca poteva essere tranquillamente interpretata come quella dell'America stessa, al di là degli effettivi propositi allegorici del film.
I Coen non potevano rimanere indifferenti a questo gioco di contrasti. E il merito maggiore del loro remake è proprio quello di enfatizzare il lato tragicomico della vicenda, di esplicitarne i significati più reconditi con un piglio esegetico quasi didattico. Tutte le scene di violenza vengono rese più cruente, e pervase da quel senso di follia e banalità del male che il duo ha già collaudato alla perfezione nelle prove precedenti. Inoltre, non manca nemmeno stavolta uno sguardo colto. Ecco quindi che nel bosco in cui protagonisti si ritrovano a vagare si aprono squarci degni del teatro dell'assurdo, così come la sequenza iniziale dell'impiccagione è calata in una fosca atmosfera oscurantista che sembra uscire direttamente da una pagina di Hawthorne. Tutto il film, infine, è attraversato dalla cristallina pulizia stilistica ed espressiva cui i geniali fratelli ci hanno ormai abituato.
Ma al pubblico - presumibilmente ampio - che non conosce il libro e il prototipo cinematografico, o che non coglie, legittimamente, gli acuti e mai gratuiti rimandi culturali, cosa rimane? Di certo un buon film, ma anche una prova minore all'interno di una filmografia di altissimo livello. Se non altro, più cerebrale e meno coinvolgente del solito. E questo perché il cinema dei Coen raramente si prende cura dell'interiorità dei propri personaggi, preferendo muoverli come pedine su una scacchiera non euclidea in cui i conti non tornano mai, e ogni mossa si porta dietro conseguenze ben più gravi di quanto si potesse prevedere.
Uno sguardo filosofico, antropologico, distaccato perfetto per i capricci del destino del noir, di cui infatti i due sono maestri indiscussi, ma che mal si sposa con le storie della frontiera, con le loro traiettorie narrative lineari, il loro vitalismo di fondo. Soprattutto, con i loro personaggi, di solito sufficientemente vivi e veri da attraversare un intero itinerario morale, ben più periglioso di quello che compiono fisicamente. E tutto ciò, naturalmente, vale anche e soprattutto per l'ingannevole favola di una bambina che sta per perdere l'innocenza.


Un altro muro è crollato di Mario Mauro - venerdì 18 febbraio 2011 – il sussidiario.net

Nell’ultimo mese, quasi seimila persone, provenienti dalla Tunisia, sono approdate sulle coste italiane; tremila di queste nei giorni tra l’11 e il 14 febbraio. Questi numeri, che come sappiamo accompagnano la tempesta istituzionale delle scorse settimane, indicano con estrema chiarezza che ci troviamo di fronte a un’emergenza vera e propria. Se non verrà affrontata con i mezzi e nei tempi adeguati, produrrà conseguenze incontrollabili.

Viste le caratteristiche di un fenomeno le cui proporzioni sono destinate a dilatarsi in maniera consistente, è più che mai urgente che l’Europa elabori una strategia mirata ad aiutare quei Paesi che da soli non riusciranno mai a sopportare il peso degli sconvolgimenti in atto nell’area del Mediterraneo. In quest’ottica, un contributo di 100 milioni di euro all’Italia sarebbe solo un inizio. Il grande obiettivo deve essere la realizzazione di un sistema unico di asilo a livello Ue entro il 2012.

Nel dibattito svoltosi martedì scorso a Strasburgo, il Commissario europeo Cecilia Mallstrom è intervenuta dimostrando un’incoraggiante disponibilità nei confronti delle richieste di aiuto inoltrate dal Ministro Maroni. Per affrontare l’emergenza l’Unione europea deve iniziare con l’utilizzo degli strumenti già esistenti, come quello di Frontex, che deve immediatamente elaborare un rapporto di analisi sull’attuale situazione d’instabilità del nord Africa e sugli scenari migratori a essa connessi.

Si applichi subito il burden sharing tra gli Stati membri, con riferimento sia ai rifugiati, o a coloro che hanno diritto alla protezione internazionale, sia agli immigrati irregolari. Non dobbiamo sottovalutare che l’instabilità creatasi nel Maghreb può dare linfa alla criminalità e al terrorismo, per questo è necessario un coinvolgimento di Europol, per sviluppare analisi specifiche circa le infiltrazioni criminali e terroristiche nel territorio dell’Unione.

Dobbiamo renderci conto che la storia ci pone di fronte a una sfida che deve essere affrontata con la stessa determinazione messa in campo in questi anni per la transizione democratica e l’integrazione dei paesi dell’est europeo. L’Unione europea si deve fare portavoce a livello mondiale di una grande iniziativa politica ed economica in favore dei Paesi che si affacciano sulla sponda meridionale del Mediterraneo.
La proposta che deve essere portata avanti è quella di rimodulare equamente nei prossimi anni i fondi a disposizione per l’Europa orientale in favore dell’area mediterranea, con una divisione almeno alla pari delle risorse. L’Unione europea deve inoltre promuovere mirati programmi regionali di assistenza, con un adeguato coinvolgimento dell’Unhcr, considerata anche la radicata presenza dell’organismo Onu sul territorio tunisino e nella regione.

La vera emergenza non è l’immigrazione, questa è solo una conseguenza. La vera emergenza è nel sommovimento epocale che sta completamente sconvolgendo gli equilibri nell’area del Maghreb. Eventi che per intensità e dimensioni del fenomeno sono paragonabili al 1989, alla caduta del blocco sovietico.

L’Europa è apparsa fino a oggi inadeguata e incapace di rifondare una propria strategia per il Mediterraneo, più volte tentata e sempre fallita. Basti pensare alla Strategia di Barcellona e all’Unione per il Mediterraneo. Purtroppo spesso non abbiamo una visione adeguata delle problematiche che abbiamo davanti. Nel 1989 ci siamo mobilitati per l’est europeo e ci siamo uniti per la stabilizzazione dell’area. Dobbiamo fare lo stesso per il Mediterraneo.


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Avvenire.it, 18 febbraio 2011, A proposito di adozioni da concedere ai single - Educare non è «generare» - Rispettiamo il ruolo della coppia di Francesco Riccardi

Sulla (pre-sunta) apertura della Cassa-zione alle adozioni da parte dei single resta da sottolineare un aspetto niente affatto secondario. L’ennesimo tentativo di separare la genitorialità dal generare e il generare dalla complementarietà di una coppia. Si è "genitori", infatti, in quanto si "genera": i bambini sono figli non di una famiglia, ma di una coppia. Quelli procreati in maniera naturale, ma non meno quelli adottati. Alla base della nascita di un figlio o del suo accoglimento dall’esterno, infatti, c’è un amore, una condivisione fra due persone, una complementarietà, che è appunto ciò che genera poi il progetto di vita, il concepimento fisico o anche solo di apertura all’accoglienza di una vita proveniente da un’altra origine.

Aprire in maniera programmatica (al di là delle giuste eccezioni) l’adozione alle persone sole recide invece questo legame essenziale e sposta l’asse dal generare all’educare. Non a caso, tra i vari commenti all’indomani della sentenza, c’era chi già decretava che «la capacità genitoriale non è il risultato di un rapporto di coppia, ma in primo luogo una capacità che emerge e sviluppa nella interazione con un bambino». Derivandone che il rapporto di coppia o, peggio, il matrimonio non danno alcuna garanzia, la condizione delle persone prescinde dalla loro capacità "genitoriale" e che quindi l’adozione andrebbe permessa ad ogni tipologia di persona: single, conviventi, etero od omosessuali, giovani o anziani.

Per molti versi questa interpretazione ricorda ciò che sta avvenendo con le tecniche più spinte di fecondazione artificiale, con le quali si fanno nascere bambini da persone singole o da coppie omosessuali, con gameti acquistati e madri surrogate, esaudendo desideri più che realizzando progetti di vita. Generare un figlio – o ri-generarlo nell’adozione – è invece qualcosa di estremamente prezioso, da preservare e tenere ben distinto rispetto ad altre forme di rapporto, che rischiano di assomigliare più a partenogenesi e clonazioni di sé, che non al nascere di una nuova vita da un "noi", condiviso e vissuto fino a farsi esso stesso carne.

Vorrei non essere frainteso e non ferire alcuno: ho perso mio padre quando ero ancora un bambino e penso che mia madre abbia cresciuto noi 5 figli da sola con un amore eccezionale. Non ho perciò dubbi sul fatto che anche i single possano avere grandi potenzialità educative, come dimostrano peraltro tanti casi concreti, pure di sacerdoti che hanno dedicato la vita a questo scopo. E così pure è ovvio che nessun genitore è automaticamente un buon educatore. Ma educare è una cosa, generare è un’altra.

Se – attraverso una norma – si spezza il legame tra genitorialità e generazione, tra quest’ultima e la coppia femmina-maschio si aprono scenari davvero inquietanti per il futuro dell’uomo: figlio non più generato, ma proiezione ricreata, prodotta, assegnata.
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Avvenire.it, 17 febbraio 2011 - IL CORTILE DEI GENTILI - Földényi: Senza Dio la ragione scopre il lato oscuro di Lorenzo Fazzini

Si definisce «persona non religiosa» ma ammette che, senza il pensiero di Dio e la metafisica, «non possiamo più fidarci della storia». László Földényi, intellettuale di Budapest, riconosce nell’elemento religioso un contributo senza il quale l’Europa si muta in un corpo privo d’anima.
Professore, in «Dostoevskij legge Hegel in Siberia e scoppia a piangere» lei scrive: Dio è «sconosciuto e non ha limiti». Benedetto XVI ha affermato che alcuni non credenti vogliono approcciare Dio come «Sconosciuto». Oggi constatiamo un diffuso sospetto verso Dio. Perché mantenersi aperti al Trascendente?
«Non sono credente, però tutti i momenti importanti nella mia vita sono stati religiosi. Questo significa che, anche se non si ha fede in Dio, ciascuno di noi fa l’esperienza ricorrente, insita nella vita umana, di una profonda coerenza oltre le strutture sociali ed economiche: possiamo chiamarla metafisica. Viviamo in un’era post-religiosa in cui è stata realizzata la predicazione di Nietzsche: abbiamo ucciso Dio, cioè perduto il senso della metafisica. Però in un’era secolare tale senso può essere mantenuto vivo: ci è donato dall’unicità della nostra vita e dall’eccezionalità della nostra esistenza nell’universo. Leszek Kolakowski in Orrore metafisico nota che l’uomo non può mai liberarsi dal desiderio per la trascendenza, anche se tutto vuole convincerlo diversamente».
La metafisica come pietra di scandalo?
«La linea di demarcazione non passa fra credenti e non credenti, bensì fra chi nega ogni tipo di metafisica e quanti cercano di tenerne vivo il senso. Nikolai Berdjaiev scriveva che l’Anticristo ha infestato l’Europa per così tanto tempo che tutti ci si è stufati di lui. Così l’Anticristo ha ideato un nuovo trucco: indossa l’attraente maschera della gentilezza. La cultura dominante può essere vista come una maschera dell’Anticristo. Gli intellettuali che pensano criticamente devono smascherarlo».
Hegel paladino della ragione e Dostoevskij della fede, è il suo giudizio. Vi è spazio per un’alleanza tra le due dimensioni?
«'Se qualcuno mi provasse che Cristo è fuori della verità e che la verità stesse realmente fuori di Cristo, preferirei essere con Cristo e non con la verità', scrisse Dostoevskij nel 1854. Egli ha toccato il punto nevralgico della moderna cultura europea. La prigionia in Siberia lo aiutò a cercare il criterio essenziale della libertà. Dal Romanticismo un ostinato affidamento alla ragione e al progresso ci ha spinti ad essere inquieti rispetto all’assenza di Dio. Cosa può prendere il posto di Dio quando egli viene esiliato e non possiamo fidarci della storia? Come praticare la libertà se non vi è un rifugio trascendentale sopra di noi? Questa fu la domanda per Dostoevskij, attuale anche nel XXI secolo. Testimone dei grandi sistemi totalitari del ’900, organizzati in maniera razionale, Theodor Adorno sottolineava che la ragione possiede un lato oscuro. Quanti fanno conto sulla ragione, e non ne indagano i limiti, cadono vittima dell’irrazionalità. La ragione non è la creatrice della libertà, essa vi partecipa soltanto. Subordinando la storia, Dio e lo spirito alla ragione, Hegel ha voltato le spalle alla libertà. Per Dostoevskij la ragione non possiede l’ultima parola; perciò criticava Hegel, perché quest’ultimo aveva dimenticato gli orizzonti metafisici della ragione, mutandola in qualcosa di strumentale».
La religione può giocare un ruolo importante nello spazio pubblico?
«Abitiamo un’era post-religiosa, ma resto convinto che esista una chance per riguadagnare il senso della metafisica. La tradizione spirituale europea comprende la misura (ereditata dai greci), la morale (proveniente dalla cultura ebraico­cristiana) e il dinamismo (frutto delle migrazioni del I millennio). La crisi finanziaria attuale in Europa è sintomo del venir meno dello spirito europeo e della nostra tradizione metafisica. Abbiamo perso la misura: la tensione eccessiva verso il profitto è senza limiti; abbiamo smarrito il senso morale: il consumismo edonista è la nostra prima preoccupazione e ci priva di ogni responsabilità. La civiltà europea adora il consumo come venerava Dio. Solo il dinamismo si sta sviluppando, ma privato di morale e misura. Nessuna meraviglia che tanti guardino alla tecnica come unica soluzione».
Affrontando la teodicea, lei ha affermato che anche nell’«inferno» si può trovare redenzione. Perché?
«'Redenzione' significa venir sollevato da qualcosa. Secondo Dostoevskij esiste redenzione dall’inferno, non senza l’inferno. Come disse Vsevolod Soloviev, fratello di Vladimir, per lui in Siberia 'ci fu una grande felicità' perché 'nella schiavitù del carcere' iniziò a vivere felicemente e a comprendere Cristo. Raskalnikov considera redentrice la Siberia: la sua vita là 'è la storia di un costante rinnovamento di un uomo e della graduale conoscenza di una nuova realtà': così termina Delitto e castigo. La redenzione è un processo dinamico. L’inferno non è la redenzione, ma questa non è immaginabile senza quello. In Pensieri disordinati sull’amore di Dio Simone Weil si chiede: quando uno inizia ad amare Dio? Risposta: negli abissi, dove uno non può andare ancora più in basso».
A marzo si tiene il «Cortile dei gentili» a Parigi: quali le urgenze?
«La fine del XX secolo, con l’unificazione dell’Europa e la conclusione della guerra fredda, non hanno aiutato il continente a ritornare in sè. Con il 1989 l’Europa è stata derubata di una grande illusione. L’intero continente credeva nella democrazia civile e nell’uguaglianza politica: molti di noi si aspettavano la realizzazione di tali valori. Invece l’utopia del capitalismo è diventata senza confini e ha vinto lo spirito della finanza. Invece di aiutare l’Europa a ritrovare se stessa, la fine del XX secolo, con l’ausilio dei mass media, ha eliminato la possibilità di ogni auto-riflessione. La pervasività aggressiva del capitale ha causato l’inutilità delle frontiere e quello della misura».
Da dove ripartire?
«Il 'conosci te stesso' e il 'niente senza misura' sono parole incise sull’oracolo di Delfi. Il nuovo millennio contrasta con la tradizione greca che ha continuato a vivere grazie al cristianesimo. Dichiarando guerra ad ogni trascendenza, il mondo presente ci ha sospinti nella completa schizofrenia. Non esiste più armonia: ogni decisione politica viene derisa dallo straripante potere del denaro, considerata una divinità imperitura. Slavoj Žižek afferma: 'È possibile che la vita cessi sulla terra, ma il capitalismo andrà avanti anche dopo'. Non esiste più la trascendenza senza la quale, sosteneva Mircea Eliade, la libertà diventa inconcepibile e l’idea di storia risulta invalidata valida. Per ripartire va mantenuto vivo l’antico senso della metafisica, compito comune a cristiani e atei. La libertà individuale risulta vera quando si accetta la sua dipendenza dalla trascendenza».