Nella rassegna stampa di oggi:
1) Domenica 20 febbraio 2011 - Anche se si soffre per ingiustizie, evitare rivincita e odio: così il Papa all’Angelus (Radio Vaticana) - Anche se si soffre per ingiustizie, evitare rivincita e odio: così il Papa all’Angelus
2) Uno sguardo dell'altro mondo di Andrea Tornielli, 21-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
3) OMOSESSUALISMO: il matrimonio omosessuale nel mondo - Articoli CR – Omosessualismo - CR n.1179 del 19/2/2011, da http://www.corrispondenzaromana.it
4) 19/02/2011 – PAKISTAN - Punjab: Sherry Rehman non verrà processata per blasfemia di Jibran Khan
5) GRAVIDANZA/ Donna in menopausa presta l'utero a sua figlia: mamma o nonna? – Redazione - sabato 19 febbraio 2011 – il sussidiario.net
6) STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE E NEUROLOGIA di Paolo De Lillo* - ROMA, domenica, 20 febbraio 2011 (ZENIT.org)
7) Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Ma ci voleva un comico per farci sentire un popolo? - Antonio Socci - Da Libero, 19 febbraio 2011
8) L'HUMANAE VITAE, UN “SEGNO DI CONTRADDIZIONE” ANCHE NELLA CHIESA - Credenti e non a confronto sullo “spirito profetico” di questa enciclica di Sergio Mora - ROMA, domenica, 20 febbraio 2011 (ZENIT.org)
9) Diffondiamo la cultura della vita (R. Cascioli - P. Marchionni - "La Quercia millenaria") - Autore: Mazza, Loredana Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 20 febbraio 2011
10) La falsa morale dei puritani di Pigi Colognesi, lunedì 21 febbraio 2011, il sussidiario.net
11) Avvenire.it, 19 febbraio 2011 - OTTANT'ANNI - Ruini: «La mia fede, rispettosa ma ferma nella verità» di Marina Corradi
12) LETTERA/ I moralisti di oggi sono quei libertini che ieri hanno rovinato i nostri figli? Di Carlo Bellieni - lunedì 21 febbraio 2011 – il sussidiario.net
13) LA BATTAGLIA PER LA VITA/1 - Una famiglia in prestito per chi non ce la fa - DANIELA POZZOLI, Avvenire, 21 febbraio 2011
14) Orrore in diretta sulla tv svizzera, di FEDERICA MAURI LUZZI, da LUGANO – Avvenire, 20 febbraio 2011
15) INGHILTERRA - Permesso accompagnare alla fine - DA LONDRA
16) Avvenire.it, 20 febbraio 2011, LA VITA DA DIFENDERE, Il nuovo affido: famiglie in prestito per mamma e bebè di Daniela Pozzoli
17) Avvenire.it, 20 febbraio 2011, La battaglia per la vita - Una famiglia in prestito per chi non ce la fa di Daniela Pozzoli
Domenica 20 febbraio 2011 - Anche se si soffre per ingiustizie, evitare rivincita e odio: così il Papa all’Angelus (Radio Vaticana) - Anche se si soffre per ingiustizie, evitare rivincita e odio: così il Papa all’Angelus
Chi accoglie Dio nella propria vita realizza un’esistenza nuova animata dall’amore: Benedetto XVI prende spunto dalle odierne letture bibliche per chiedere che quando si soffre per il male non si risponda con l’odio. E chiede a tutti i pastori “il nuovo stile” imposto dall’amore vero. Il servizio di Fausta Speranza.
“Quando si soffre per il male, la persecuzione, l’ingiustizia, evitiamo la rivincita, la vendetta e l’odio, e preghiamo per i persecutori”. Sono le parole, in polacco, di Benedetto XVI che prendono spunto dal Vangelo odierno in cui Gesù dice: “Amate i vostri nemici”. Benedetto XVI fa sua la preghiera di chi soffre per dire chiaramente: “Affidiamo a Dio tutte queste avversità per raggiungere la libertà e la pace spirituale”. E Benedetto XVI parla di legislazione fondata da Dio. Con i suoi precetti – spiega – Dio “fondava la legislazione sociale sul comandamento ”.
"Se ascoltiamo, poi, Gesù, nel quale Dio ha assunto un corpo mortale per farsi prossimo di ogni uomo e rivelare il suo amore infinito per noi, ritroviamo quella stessa chiamata, quello stesso audace obiettivo".
Benedetto XVI ripete il termine “audace” per ricordare l’invito di Dio a essere “perfetti come il padre”. E poi il Papa risponde alla domanda di ciascuno di noi: come imitare Gesù:
“Chi accoglie il Signore nella propria vita e lo ama con tutto il cuore è capace di un nuovo inizio. Riesce a compiere la volontà di Dio: realizzare una nuova forma di esistenza animata dall’amore e destinata all’eternità.”
Il Papa aggiunge:
«Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo»
Poi il pensiero in particolare ai pastori:
“Cari amici, dopodomani, 22 febbraio, celebreremo la festa della Cattedra di San Pietro. A lui, primo degli Apostoli, Cristo ha affidato il compito di Maestro e di Pastore per la guida spirituale del Popolo di Dio, affinché esso possa innalzarsi fino al Cielo. Esorto, pertanto, tutti i Pastori ad «assimilare quel “nuovo stile di vita” che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli»”
Nei saluti, il Papa in francese sottolinea che l’amore di cui parla Dio verso il prossimo “è capace di cambiare l’ordine del mondo rifiutando le falsità e gli idoli che ci vengono proposti”. In inglese, saluta i giovani cantori della Scuola di Londra intitolata alla memoria del Cardinale Herbert Vaughan, arcivescovo di Westminster e fondatore della Società missionaria di San Giuseppe di Mill Ill morto nel 1903. Il Papa ricorda il motto del cardinale: “Amare et Servire”. In spagnolo il pensiero al popolo colombiano e alle iniziative promosse per ricordare la visita 25 anni fa di Giovanni Paolo II in Colombia. Benedetto XVI invita il popolo della Colombia, così come altri in altre parti del mondo, a cercare di costruire “fraternità e concordia tra le persone senza eccezioni”.
In italiano, il saluto ai fedeli venuti da Poggiomarino, Modica, Cento di Ferrara e dalla parrocchia di Sant’Igino Papa in Roma, come pure alla Fondazione Petroniana di Bologna. E in particolare, alle Figlie di San Camillo, nel centenario della nascita al Cielo della loro Fondatrice, la Beata Giuseppina Vannini. A tutti l’augurio di una buona domenica.
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Uno sguardo dell'altro mondo di Andrea Tornielli, 21-02-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
All’Angelus di ieri Benedetto XVI ha ricordato l’«audace obiettivo» della perfezione cristiana. «Dice, infatti, il Signore: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Ma chi potrebbe diventare perfetto? La nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà. San Cipriano scriveva che “alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo”. In che modo possiamo imitare Gesù? Gesù stesso dice: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”. Chi accoglie il Signore nella propria vita e lo ama con tutto il cuore è capace di un nuovo inizio. Riesce a compiere la volontà di Dio: realizzare una nuova forma di esistenza animata dall’amore e destinata all’eternità».
Sono parole impegnative, per certi versi, dell’altro mondo. Eppure l’esperienza cristiana testimonia che è possibile, nonostante tutto, vivere così. È possibile amare i nemici e pregare per i persecutori. È possibile perdonare, essere capaci di un nuovo inizio. Non contando sulle nostre forze (più ci contiamo, più scopriamo di fare buchi nell’acqua), ma affidandoci quotianamente a un Altro che cambiando giorno dopo giorno la nostra vita, nonostante i macigni dei nostri limiti e dei nostri peccati, rende possibile uno sguardo diverso sulla realtà. Ogni logica umana e mondana viene stravolta da quelle parole di Gesù.
Quanto ci sarebbe bisogno di questo nuovo inizio nella vita di ciascuno, in un Paese come il nostro sempre più dilaniato a tutti i livelli da scontri, contrapposizioni, ingiurie. Quanto ci sarebbe bisogno di questo nuovo inizio nella vita di tanti Paesi nei quali regnano l’odio, la violenza, la guerra. Eppure il cammino verso la perfezione cristiana, verso uno sguardo dell’altro mondo sulla realtà, è qualcosa di veramente possibile per chiunque.
Dopo il processo diocesano celebrato a Parigi, stanno per arrivare a Roma gli atti della causa di beatificazione di Jacques Fesch, un giovane francese ghigliottinato 53 anni fa per aver ucciso un poliziotto e ferito un cambiavalute durante una rapina. Fesch in carcere si è convertito, ha ascoltato la voce di Dio, ha raggiunto le vette della spiritualità, ha affrontato senza ribellarsi la pena capitale alla quale era stato condannato. Aprendo la causa, l’allora cardinale di Parigi Jean-Marie Lustiger, disse spiegò che «dichiarare qualcuno santo non significa per la Chiesa far ammirare i meriti di questa persona ma dare l’esempio della conversione di qualcuno che, quale che sia il suo percorso umano, ha saputo ascoltare la voce di Dio e convertirsi. Non esistono peccati tanto gravi da impedire che Dio raggiunga l’uomo e gli proponga la salvezza».
Non esistono limiti o precondizioni per intraprendere il cammino della perfezione cristiana. Occorre che accada un fatto, che l’uomo riconosca di essere nulla, bisognoso di tutto. Riconosca di appartenere a un Altro, e permetta alla grazia di Dio di operare dicendo di sì.
OMOSESSUALISMO: il matrimonio omosessuale nel mondo - Articoli CR – Omosessualismo - CR n.1179 del 19/2/2011, da http://www.corrispondenzaromana.it
Belgio: i matrimoni tra omosessuali sono autorizzati da giugno 2003. Le coppie omosessuali hanno gli stessi diritti delle coppie eterosessuali, salvo in materia di filiazione. Nel 2006 hanno ottenuto il diritto di adottare bambini.
Spagna: il governo Zapatero ha legalizzato a luglio 2005 il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Queste coppie, sposate o no, possono anche adottare bambini.
Canada: la legge sul matrimonio delle coppie omosessuali e il diritto di adottare sono entrati in vigore a luglio 2005. Già in precedenza la maggioranza delle provincie canadesi autorizzava l’unione tra persone dello stesso sesso.
Africa del Sud: nel novembre 2006 l’Africa del Sud è diventata il primo Paese del continente africano a legalizzare l’unione tra due persone dello stesso sesso mediante il “matrimonio” o “partenariato civile”.
Norvegia: una legge del gennaio 2009 mette sullo stesso piano le coppie omosessuali ed eterosessuali, sia per il matrimonio e l’adozione di figli che per la possibilità di beneficiare di un’assistenza alla fecondazione. Dal 1993 avevano la possibilità di unirsi mediante un partenariato civile.
Svezia: pioniera in materia di diritto all’adozione, dal 2009 la Svezia consente alle coppie omosessuali di sposarsi civilmente o religiosamente. Dal 1995 queste erano autorizzate a unirsi mediante “partenariato”.
Portogallo: una legge dell’1 giugno 2010 modifica la definizione di matrimonio eliminando il riferimento al “sesso diverso”. Esclude il diritto all’adozione.
Islanda: il Primo ministro islandese, Johanna Sigurdardottir, ha sposato la sua compagna, il 27 giugno 2010, giorno dell’entrata in vigore della legge che legalizzava i matrimoni omosessuali. Fino ad allora gli omosessuali potevano unirsi legalmente ma l’unione non era un vero e proprio matrimonio.
Argentina: il 15 luglio 2010 l’Argentina è diventata il primo Paese ad autorizzare il matrimonio omosessuale in America latina, la più grande regione cattolica del mondo. Le coppie omosessuali possono adottare bambini e avere accesso agli stessi diritti degli eterosessuali.
Due Paesi che autorizzano i matrimoni gay su una parte del loro territorio sono gli Stati Uniti (Stati dell’Iowa, Connecticut, Massachusetts, Vermont, New Hampshire e la capitale Washington) e il Messico (la capitale federale). Altri Paesi hanno adottato legislazioni su un’unione civile che concede diritti più o meno estesi agli omosessuali; tra questi in particolare la Danimarca che ha dato il via nel 1989 creando un “partenariato registrato”, la Francia che ha instaurato il PACS (1999), la Germania (2001), la Finlandia (2002), la Nuova Zelanda (2004), il Regno Unito (2005), la Repubblica Ceca (2006), la Svizzera (2007), l’Uruguay e la Colombia.
19/02/2011 – PAKISTAN - Punjab: Sherry Rehman non verrà processata per blasfemia di Jibran Khan
Il tribunale ha deciso di stralciare il procedimento a carico della parlamentare del Ppp. L’azione iniziata per la querela di un commerciante di Multan, che ha giudicato blasfeme le opinioni espresse dalla donna in un talk-show. Le indagini della polizia hanno accertato che non vi sono violazioni alla legge.
Lahore (AsiaNews) – Il giudice distrettuale di Multan, città del Punjab, ha respinto la richiesta di accuse per blasfemia a carico di Sherry Rehman, parlamentare del partito di governo Pakistan People’s Party (Ppp). Il tribunale aveva incaricato la polizia di stendere un verbale con le accuse e trovare riscontri alla denuncia presentata da un privato cittadino contro la donna. Tuttavia, gli investigatori non hanno ravvisato elementi a sostegno dell’accusa e ne ha chiesto l’archiviazione. Fonti vicine alla Rehman confermano che resta precaria la sicurezza della donna, sulla quale pendono le minacce di morte degli estremisti islamici.
Nei mesi scorsi la Rehman aveva proposto modifiche alla “legge nera”, scatenando le ire dell’ala fondamentalista del Paese. In seguito la donna ha ritirato gli emendamenti, precisando di voler seguire la linea del proprio partito, piuttosto tentennante nel voler cambiare la norma. L’ultimo intervento risale alla scorsa settimana: Yousaf Raza Gilani, premier pakistano, ha “categoricamente escluso” emendamenti dell’esecutivo alla legge sulla blasfemia. Salman Taseer, governatore del Punjab e membro del Ppp è stato invece ucciso nel gennaio scorso per essersi schierato in pubblico contro la legge sulla blasfemia.
Il 7 febbraio scorso Fahim Akhtar Gul, commerciante di Multan, ha denunciato Sherry Rehman al tribunale di Multan, con l’accusa di blasfemia. La parlamentare avrebbe usato termini denigratori contro la “legge nera” durante un talk-show televisivo nel novembre 2010, e per questo va punita proprio in base alla controversa norma.
Mehr Nasir Hussain, giudice aggiunto del tribunale del distretto di Multan, ha incaricato i vertici delle forze dell’ordine di aprire un’inchiesta e redigere un rapporto, con le eventuali fonti di prova. Verificati i fatti, il funzionario di polizia Yousaf Khokhar ha chiarito che “la vicenda non rientra nei casi di blasfemia” perché “analizzando da vicino i filmati, non emergono violazioni alla legge”. Accogliendo le verifiche degli investigatori, il giudice ha deciso di archiviare il caso.
GRAVIDANZA/ Donna in menopausa presta l'utero a sua figlia: mamma o nonna? – Redazione - sabato 19 febbraio 2011 – il sussidiario.net
UTERO IN PRESTITO, DONNA 61ENNE PARTORISCE LA FIGLIA DI SUA FIGLIA - Un intreccio di parentele degno delle tragedie di Sofocle: in America una donna di 61 anni ha partorito la figlia di sua figlia. Niente di incestuoso però. La donna, Kristine Casey, ha concesso il proprio utero "in prestito" a sua figlia Sara, sterile. Un parto da record, non solo per il grado di parentela tra le due donne ma anche per l'età della partoriente, che era già in menopausa. L'ovulo di Sara è stato infatti impiantato in Kristine solo dopo massicchie cure ormonali.
Mercoledì scorso il parto cesareo. A tenere la mano di Kristine, durante l'operazione, c'era la mamma naturale del piccolo Sara. Il neonato, Finnean Lee Connel, subito dopo la nascita è stato consegnato nelle braccia della stessa Sara.
Sara e suo marito Bill Connell provavano ad avere figli dal 2004. Dopo anni di cure ormonali la donna era rimasta incinta di due gemelli, ma la gravidanza non era andata a buon fine: i due piccoli erano nati morti. Dopo un aborto naturale, la decisione di prendere in "prestito" un utero.
Ecco allora la proposta della madre, che ora spiega: «Volevo rivivere uno dei momenti più belli della mia vita e aiutare una persona a me molto cara». Kristine, da poco in pensione, era già madre di tre figlie (Sara inclusa). Ma la decisione non è stata semplice: i rischi della gravidanza per le donne sopra una certa età sono elevati.
«Quando il bambino ha pianto – ha raccontato la madre naturale – mi sono sciolta. È un tale miracolo». «In sala operatoria non ce n'era uno che non piangesse», ha raccontato al Chicago Tribune la dottoressa che ha praticato il cesareo.
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STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE E NEUROLOGIA di Paolo De Lillo* - ROMA, domenica, 20 febbraio 2011 (ZENIT.org)
ROMA, domenica, 20 febbraio 2011 (ZENIT.org).- In campo neurologico i trapianti di cellule staminali del cordone ombelicale riguardano il retinoblastoma, casi recenti di trauma cerebrale e anossia cerebrale, in regime sperimentale, e rari casi di disgenesia del corpo calloso, ma, soprattutto, diversi pazienti con neuroblastoma e paralisi cerebrale. Proprio il primo trapianto autologo da cordone ombelicale nel 1999 fu eseguito su un bambino colpito da neuroblastoma.
Il neuroblastoma è una rara neoplasia, ma una delle più frequenti nell' infanzia, e origina dalle cellule del tessuto nervoso simpatico localizzate nelle ghiandole surrenali, oppure in alcuni gruppi di cellule nervose, i gangli, presenti nel collo, nel torace e nell' addome ai lati della colonna vertebrale(1) . Fa parte di un gruppo più vasto di tumori, al quale appartiene anche il feocromocitoma, che istologicamente originano dalle cellule del primitivo tessuto neuroectodermico della cresta neurale. Il neuroblastoma produce spesso catecolamine, determinandone alti livelli nelle urine e nel sangue, utili per la diagnosi. Segni frequenti di malattia sono febbre, disappetenza, anemia, ecchimosi intorno alle orbite. Le metastasi, numerose e precoci, colpiscono le ossa, la regione dell' orbita ed i linfonodi, il fegato ed il midollo osseo.
E' fondamentale la diagnosi precoce, perché se si interviene nei primi stadi della malattia la sopravvivenza è elevata: vanno ricercati i metaboliti urinari delle catecolamine: acido vanilmandelico ed acido omovanillico; va valutata l' estensione della malattia con indagini radiologiche standard, TAC, risonanza magnetica nucleare, urografia ed, eventualmente, mielografia. Va eseguito, per confermare definitivamente la diagnosi, un esame del midollo osseo e, se necessario, un prelievo bioptico nella sede più facilmente aggredibile.
In passato la terapia era essenzialmente chirurgica, associata o meno a radioterapia e chemioterapia in base allo stadio clinico(2). Tuttavia dal 1999 ha un ruolo sempre più importante il trapianto delle staminali cordonali, in particolare nello stadio 4, quando il tumore ha dato metastasi nel midollo osseo, fegato, ossa. Esso deve seguire la chirurgia ed alte dosi di chemioterapia per ottenere un trattamento molto aggressivo. La prima a beneficiare di questa nuova terapia è stata una bambina di 19 mesi, poi guarita, che aveva conservato queste preziose cellule alla nascita perché il fratellino era malato di leucemia mieloide acuta(1).
Più recente è l' uso delle staminali del cordone ombelicale per la paralisi cerebrale infantile, ma con numerosi casi risolti positivamente, anche se va mantenuto il massimo della prudenza su terapie così innovative e in evoluzione. A questo scopo le cordonali sono state utilizzate negli Stati Uniti per la prima volta con successo nel trattamento di una bambina di due anni, Chloe Levine, nata con una grave paralisi cerebrale, che le impediva di muovere la parte destra del corpo. Dopo due mesi, grazie all' azione di queste staminali autologhe, Chloe aveva recuperato già il 50% delle proprie funzioni(3) . La Paralisi Cerebrale Infantile è una patologia che deriva da una lesione precoce del Sistema Nervoso Centrale, verificatasi in epoca prenatale, perinatale o postnatale, e comunque entro i primi 3 anni di vita del bambino. A causa delle lesioni alcune funzioni non si sviluppano o lo fanno solo parzialmente, causando invalidità permanente nelle aree sensoriali, cognitive e, soprattutto, motorie. Sebbene grazie alla riabilitazione ed alla chirurgia potessero verificarsi dei miglioramenti, per questa grave patologia non esisteva una vera e propria cura(4).
Complessivamente sono colpiti 1-2 bambini su 1.000 . Si tratta spesso di prematuri, nati da parto travagliato oppure da neonati copiti da malattie subito prima o subito dopo la nascita. I meccanismi induttori del danno sono vari: tossici, infettivi, legati al trauma del parto, soprattutto all' asfissia. Si dividono in 3 gruppi: 1) Neonati colpiti da ittero grave o da mancanza d' ossigeno, che causano danni ai centri del SNC che regolano i movimenti fini del corpo. L'attività motoria risulta turbata per un diminuito controllo del tono muscolare: presentano dapprima rilassamento dei muscoli, poi rigidità; compaiono movimenti involontari, bruschi, ampi, irregolari, che disturbano l' esecuzione di quelli volontari; 2) Neonati che nei primissimi mesi di vita presentano povertà dei movimenti e ritardo delle “posture di raddrizzamento”, espressione di uno scarso tono muscolare, e successivamente di una carente capacità a coordinare la posizione e gli spostamenti della testa, del tronco e degli arti. E' frequente la compromissione dell'intelligenza; 3) Bambini che prima d'iniziare a camminare, se messi in piedi, iperestendono gli arti, appoggiano sul piano la punta dei piedi, ma non i talloni, mentre le gambe sono incrociate a forbici. Questo è dovuto al fatto che i muscoli estensori ed adduttori, al contatto del piede con il piano d' appoggio, entrano in ipertono(2).
Dawn Vargo, esperto di biotica per la Focus on the Family Action, dopo questo primo successo con le staminali cordonali, ha dichiarato che “il recupero di Chloe dimostra che si possono raggiungere gli stessi risultati senza l' impiego distruttivo degli embrioni”(3). Una recente sperimentazione sugli animali ha dato risultati molto positivi: le staminali si sono dimostrate in grado di riparare le cellule cerebrali danneggiate e sostituire quelle morte. Per questo motivo la Food and Drug Administration ha avviato una sperimentazione presso l' Università della Georgia, per valutare gli effetti delle staminali sui pazienti colpiti da questa malattia selezionati correttamente e in doppio cieco. In questi ultimi anni i bambini trattati spesso sono migliorati vistosamente, ma nessuno aveva mai iniziato un trial vero e proprio. Sono state usate le cellule del cordone ombelicale autologhe perché evitano completamente il rischio di un rigetto(4).
Nello scorso mese di luglio una bambina italiana di 20 mesi, colpita da stroke perinatale, è stata sottoposta ad infusione delle staminali del suo cordone ombelicale crioconservate. Il trattamento è stato eseguito presso il dipartimento Blood and Marrow Transplant diretto dal dr. Joanne Kurtzberg del Medical Center della prestigiosa Duke University di Durham nella Carolina del Nord, dove viene portata avanti una sperimentazione del tutto analoga a quella della Geogia. In questa stessa università è stata curata Dallas Hextell: a 8 mesi gli è stata diagnosticata una paralisi cerebrale, dovuta ad una privazione d'ossigeno nell'utero o alla nascita. Una settimana dopo l' auto-trapianto il bambino ha iniziato improvvisamente a parlare, chiamando la mamma, era molto più cosciente di quanto accadesse intorno a sé.
Dopo alcune settimane è scomparso lo spasmo agli occhi. Ora che ha 2 anni è capace di camminare ed ha acquisito capacità motorie e cognitive impensabili per un paziente colpito da questo tipo di malattia(5,6).
1) Oxford University Press – vol. 100, issue 24 – 17/11/2008
2) Nuovo Roversi – Diagnosi e Terapia – Ariete Editore – 2006
3) Aduc Salute - 31/07/2008
4) Corriere. It - 06/03/2010
5) Corriere Della Sera – 03/03/2010
6) Baby Magazine – 04/03/2010
Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Ma ci voleva un comico per farci sentire un popolo? - Antonio Socci - Da Libero, 19 febbraio 2011
Roberto Benigni merita un grande “grazie!”. Certo, alcune baggianate le ha dette nella sua performance al festival di Sanremo.
Per esempio, se ho ben capito (perché affastellava argomenti con un eloquio sovraeccitato) ha detto che fu Mazzini, nel 1830, a inventare il Tricolore. E’ una sciocchezza.
Chissà come gli è venuta in mente: il Tricolore fu concepito da Luigi Zamboni e Giambattista De Rolandis, a Bologna nel 1794 (l’ho raccontato di recente su queste colonne). E fu poi ripreso – come tutti sanno – dalla Repubblica Cispadana nel 1797. Mazzini non era neanche nato.
Suggestivo è il riferimento benignesco alle origini del Tricolore dalla Divina Commedia (Purg. XXX, 30-33), ma purtroppo l’attore toscano ignora che i colori bianco, rosso e verde del vestito di Beatrice indicano le tre virtù teologali, Fede, Speranza e Carità e così il riferimento dantesco rimane monco.
Qualcuno poi dovrà spiegare a Bossi e alla Lega che il Tricolore nasce dallo stendardo della Lega lombarda (la croce rossa in campo bianco che proveniva dalle crociate) e che l’unità d’Italia è in gran parte un’ “impresa padana”.
Ma chissà se ascolteranno.
Per tornare a Benigni, ci sono poi le gaffe dovute all’ingarbugliamento verbale del comico, come quando ha detto che la cultura italiana esisteva prima della nazione: una cosa senza senso, chissà perché rilanciata dai tg come una geniale idea.
In realtà intendeva dire che la nazione e la cultura italiane esistevano prima dello Stato unitario (che è sorto appunto nel 1861).
Era uno spunto bello – quello della cultura italiana che precede lo Stato – che sarebbe stato da approfondire. Peccato che l’abbia lasciato cadere.
E peccato che l’orazione civile di Benigni abbia celebrato un Risorgimento da scuola elementare di cento anni fa.
E’ stato un alluvione di retorica da piccola vedetta lombarda. Ha narrato una favoletta piena di eroi giovani e forti (che sono morti) assai lontana dalla realtà dei fatti.
Non c’è stato nemmeno il sentore delle zone d’ombra, degli errori e pure degli orrori della “conquista piemontese”.
Detto questo credo che Benigni sia stato grande e abbia fatto comunque una grande cosa.
Prima di tutto per la sua emozione e la sua commozione che ci hanno toccato il cuore e che ci hanno fatto sentire come nostro perfino un inno nazionale improbabile e per certi aspetti imbarazzante.
Il caso Benigni è emblematico. Nessuno ha riflettuto su quanto sia singolare che a un comico sia di fatto affidata l’unica vera celebrazione del 150° dell’Unità d’Italia (in effetti la performance di Benigni a Sanremo era più attesa dei discorsi ufficiali del presidente Napolitano).
In realtà c’è una ragione profonda. E’ data dal fatto che, dopo il fascismo, che ridusse l’amor di patria a una macchietta comica prima e tragica poi (per il nazionalismo, il colonialismo e la catastrofe bellica), le sole due modalità che gli italiani, nel cinquantennio repubblicano, si sono concessi per essere patriottici sono state il calcio (lo stadio, dove giocava la Nazionale, è diventato l’unico posto dove sventolavamo il Tricolore) e la comicità (vedi “La grande guerra” interpretata da Gassman e Sordi, per fare un esempio).
Il registro comico ci permette infatti di dirci che siamo fieri di essere italiani (specie col mito “italiani brava gente”), ma con un sorriso rassicurante, col sottinteso cioè che non ci prendiamo troppo sul serio e nessuno si sogna più di emulare la Roma imperiale: infatti gli italiani possono essere solo “eroi involontari”, proprio come Gassman e Sordi in quel capolavoro di Monicelli.
Anche il palcoscenico della celebrazione di Benigni era emblematico: il festival di Sanremo e la Tv.
Emblematico perché (primo) Festival e Tv sono il tempio del sentimento nazional-popolare, (secondo) perché rientrano perfettamente nello stereotipo più diffuso e banale – gli italiani spaghetti e mandolino – e (terzo) perché confermano perfino lo stereotipo colto per il quale – in fin dei conti – la nostra arte e la nostra cultura ci fanno da duemila anni il cuore del mondo (del resto il Festival si vanta di essere “la musica italiana”).
C’è un’altra piccola rivoluzione memorabile compiuta da Benigni: per un cinquantennio la parola “patria” è stata un tabù per la Sinistra comunista e per la cultura ufficiale. Bastava pronunciarla per essere accusati di fascismo.
Non solo. I comunisti avevano certamente dato un grandissimo contributo alla liberazione del Paese dal nazifascismo, nella guerra partigiana, però il Pci era asservito a Stalin, a una potenza straniera minacciosa e nemica dell’Italia.
Per capire cosa significa ciò bisogna ricordare che nel momento più drammatico dello scontro fra mondo libero e Urss, attorno al 1948-1949, quando l’Armata Rossa si stava divorando mezza Europa, asservendo decine di Stati dell’Est europeo e arrivando fino a Trieste con mire fameliche e aggressive, uno come Enrico Berlinguer – il migliore di quel campo (a quel tempo leader della Fgci) – affermava che in caso di guerra i giovani non avrebbero combattuto contro l’Armata Rossa.
Fece indignare lo stesso De Gasperi che gli rispose di persona, con un suo duro discorso (il legame del Pci con l’Urss è durato a lungo: perfino i finanziamenti sovietici sono arrivati fino alla fine degli anni Settanta).
Ancora negli anni Ottanta – nella decisiva vicenda degli euromissili (che poi porterà tali cambiamenti a Mosca da provocare il crollo del comunismo) – il Pci, anziché schierarsi con la Nato per far fronte alla minaccia dei missili sovietici puntati sull’Europa, scelse un “pacifismo” che di fatto significava non difendere gli interessi nazionali e avvantaggiare l’Urss (chissà se il presidente Napolitano ricorda…).
Ciò detto che oggi si possa parlare di “patria” senza più i tabù ideologici del passato, come ha fatto Benigni, è una gran bella cosa. Che tutti insieme ci si possa riconoscere nel nostro passato e nel nostro Paese, come una sola famiglia è meraviglioso.
Tanto più in questo anniversario dei 150 anni dell’unità nazionale, nel quale il Paese sembra dilaniato dagli odi e il disprezzo reciproco quasi rende impossibile riconoscersi come un solo popolo.
Benigni si è trovato a svolgere un ruolo che non dovrebbe essere affidato a un attore, specialmente a un attore comico, ma ha trovato nella propria religiosità il modo per cantare un inno che ci ha unito e che nessuno avrebbe potuto restituire con eguale semplicità. Per qualche minuto sugli odi e sul disprezzo reciproco ha prevalso in tutti la sensazione di essere un popolo. E ha prevalso l’amore per quella cosa bellissima che si chiama Italia.
L'HUMANAE VITAE, UN “SEGNO DI CONTRADDIZIONE” ANCHE NELLA CHIESA - Credenti e non a confronto sullo “spirito profetico” di questa enciclica di Sergio Mora - ROMA, domenica, 20 febbraio 2011 (ZENIT.org)
ROMA, domenica, 20 febbraio 2011 (ZENIT.org).- A quarant'anni dalla pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae, quando ormai è divenuto chiaro il fallimento della rivoluzione sessuale, un libro che analizza il valore delle norme morali proposte dal documento di Paolo VI è stato presentato il 18 febbraio alla Pontificia Università Lateranense di Roma.
Il volume intitolato “Custodi della Vita. Attualità dell’enciclica Humanae Vitae” è stato curato dalla prof.ssa Lucetta Scaraffia dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Alla presentazione ha portato il suo saluto mons. Enrico dal Covolo, Rettore della Pontificia Università Lateranense, mentre hanno preso la parola come relatori Ritanna Armeni, giornalista de Il Riformista, Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, padre Hermann Geisler, della Congregazione per la Dottrina della Fede e la prof.ssa Scaraffia. A moderare l'incontro, mons. Luis F. Ladaria, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Mons. dal Covolo ha ricordato che l’Humanae Vitae, pubblicata il 29 luglio 1968, “alla luce delle scoperte scientifiche si fa sempre più attuale”.
“All’epoca – ha aggiunto – l’enciclica trovò resistenze anche all'interno della Chiesa”, ha spiegato raccontando poi un fatto inedito ai presenti: “Un presidente di una Conferenza episcopale di una importante nazione dell’America Latina aveva manifestato in un telegramma a Paolo VI, a nome dell'episcopato di quella nazione, una vibrata e decisa perplessità sul testo pubblicato. Sua Santità fece chiamare il Cardinale a Roma e gli chiese di mettersi in ginocchio e chiedere scusa”.
“Negli anni '60”, ha continuato esisteva una “sfrenata rivendicazione di libertà sessuale che coinvolgeva anche ampie frange di cattolici” precisando che “i dibattiti su aborto e divorzio erano pagine come bollettini di guerra”. Quindi “in quel momento il messaggio dell’Humanae Vitae è stato molto coraggioso”. E’ un’enciclica che “si mantiene attuale e restituisce alla sessualità il profondo senso spirituale come vera icona dell'Amore Trinitario”.
Dal canto suo la giornalista Ritanna Armeni, conosciuta per la sua partecipazione ad alcune manifestazioni contrarie all’aborto, ha precisato di essere una donna laica non credente, senza pretese filosofiche, ed ha detto che, a suo parere, si è verificato uno scontro “tra la coerenza della Chiesa e una società che è andata contro”.
Lo dimostra il fatto, ha continuato, che “si sono affermati la pillola, anche quella del giorno dopo, l’aborto, la separazione del concepimento dalla sessualità” Quindi l’enciclica “a questo punto assume un significato profetico” perché “predice l’uomo moderno” ha detto. Si è mostrata critica però con le posizioni della Chiesa su temi come le unioni tra le persone dello stesso sesso e le convivenze prematrimoniali.
Anche Giuliano Ferrara ha manifestato il suo parere da non credente, sottolineando come ogni mutamento rifletta un segno dei tempi, e in quest'ottica vanno inquadrate le famiglie allargate, le nuove forme di convivenza e i Pacs. “Se l’uomo evolve in questa direzione, deve far scaturire questo ottimismo progressista”, ha detto. Al di là di queste opinioni ha poi spiegato il perché ha deciso di pubblicare l’enciclica sul suo giornale: “ho creduto che fosse possibile operare dinanzi al rigetto della vita, che non può essere ridotta e maltrattata a questo punto”.
Per padre Hermann Geisler la Humanae vitae è “un grande sì di valori umani e cristiani”, divenuta ben presto “‘segno di contraddizione’: non solo per le società occidentali segnate dalla rivoluzione sessuale, ma anche per vasti settori della Chiesa troppo influenzati dallo spirito del mondo”.
Ha indicato inoltre come “I vari contributi del presente volume mettano in evidenza” che “l’Humanae Vitae, come tutta la morale cattolica, è un grande 'sì' alla vita, alla dignità della persona e soprattutto all’amore coniugale”.
Questo è avvenuto, ha precisato, attraverso cinque ‘sì’: “al progresso veramente umano; alla dignità della donna e dei figli; all’amore coniugale; alla paternità responsabile e quindi un sì a Dio Creatore”. A conclusione del suo intervento ha qualificato l’Humanae Vitae come “uno dei documenti più profetici del magistero pontificio postconciliare”.
La curatrice del volume, Lucetta Scaraffia, ha ricordato che ancora al giorno d'oggi prevale una difficoltà di analisi dovuta al fatto che quaranta anni sono “tempi ancora brevissimi mentre la Chiesa guarda tutto con millenaria saggezza”. Tuttavia, ha aggiunto, in questo periodo si sono viste infrante “le promesse di tante utopie del 900”. E la rivoluzione del '68, il naufragio della famiglia, il dilagare del divorzio alla fine hanno fatto capire chi aveva ragione.
Si prometteva “una famiglia più felice, mariti più attenti a non perdere la moglie, una società più felice e pacifica”. Invece abbiamo visto “come si sia indebolita la qualità umana della società”. Per non parlare del fatto che prima i ragazzi volevano sposarsi per avere una vita sessuale, mentre ora “i maschi sono bambinoni eterni”. La Scaraffia ha quindi concluso ricordando come “Paolo VI aveva capito in quale direzione stavano andando le società occidentali”.
Diffondiamo la cultura della vita (R. Cascioli - P. Marchionni - "La Quercia millenaria") - Autore: Mazza, Loredana Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 20 febbraio 2011
Senza la difesa e la promozione della vita non c’è educazione. E la Chiesa è impegnata nella lotta fra la cultura della vita e quella della morte, non per difendere una ideologia, ma per sostenere la vita umana e il mistero della vita che rende l’uomo più grande di se stesso.
Queste sono alcune indicazioni per la riflessione che il Vescovo di San Marino-Montefeltro, Mons. Luigi Negri, ha dato in apertura dell’incontro dedicato al messaggio che i Vescovi hanno pensato in occasione della XXXIII Giornata nazionale per la Vita: EDUCARE ALLA PIENEZZA DELLA VITA.
L’incontro, svoltosi l’11 febbraio 2011 a Domagnano, è stato organizzato dagli Uffici della Pastorale Giovanile e della Pastorale della Famiglia della Diocesi di San Marino-Montefeltro e dalla Caritas diocesana, con la collaborazione delle Giunte di Castello di Domagnano e di Serravalle e di diverse Associazioni Cattoliche.
E’ stato un momento di approfondimento sulle tematiche legate alla vita non solo dal punto di vista culturale e socio-politico, ma anche con riferimento all’attività che tante persone e Associazioni svolgono nell’aiutare ed essere a fianco di chi è nel bisogno. Infatti il titolo della serata “La speranza nasce dall’accoglienza della vita” vuol essere il messaggio positivo che ci deve guidare in una società dove appare forte, invece, la cultura della morte.
Due i relatori della serata: il Dott. Riccardo Cascioli, Presidente del CESPAS (Centro Europeo di Studi su Popolazione, Ambiente e Sviluppo), capo redattore de La Bussola Quotidiana, un quotidiano on line pensato per offrire un orientamento tra le notizie del giorno e autore di numerosi libri e il Dott. Paolo Marchionni, dirigente medico-legale della zona territoriale n. 1 di Pesaro, dal marzo 2007 esperto di bioetica nel Comitato Etico di Area Vasta Romagna, docente di bioetica presso l’Istituto di Scienze Religiose di Pesaro e Direttore scientifico dei Quaderni dell’Associazione Scienza e Vita.
Il Dott. Cascioli ci ha fatto una panoramica, a livello internazionale, relativa alla mentalità che emerge nelle società di diversi paesi in relazione al valore dell’uomo e della vita umana. Per esempio: in Giappone il valore dell’uomo è determinato dal suo ruolo lavorativo, in India è, in parte, ancora il sistema delle caste che stabilisce il valore umano, in alcuni paesi dell’Africa l’appartenenza a una tribù o a un’altra fa la differenza, a volte anche fra la vita e la morte.
Per il cristiano la questione della vita, come ha detto Giovanni Paolo II, è la questione fondamentale: la mia vita ha un valore assoluto in sé, la vita è un mistero più grande dell’uomo stesso! Allora si comprende quanto sia importante dare le ragioni della vita oltre che salvare e difendere la vita. E qui il discorso diventa delicato e complicato perché, se non si riconosce la vita come sacra, inviolabile e indisponibile, occorre fissare dei limiti e chi li pone questi limiti? Il Potere, nelle sue varie forme, dittatoriale, assolutista, di totalitarismo religioso o ideologico e anche sotto la forma di una maggioranza democratica. Questi limiti, stabiliti dal potere, spesso vengono presentati come libertà ma, in verità, sono violazione di diritti umani. In Cina, per esempio, la legge sulla pianificazione familiare, che impone il figlio unico, diventa controllo delle nascite applicato con aborti forzati, villaggi incendiati, infanticidi, soprattutto di bambine in ragione del loro sesso! Ma questa è violazione del diritti umani, mentre l’ONU tace o quasi!
Un altro esempio: in Olanda c’è, da anni, la legge sull’eutanasia che stabilisce la libertà di ciascuno di decidere quando e come morire. A parte il fuggi fuggi delle persone anziane dall’Olanda alla Francia dove si sentono al riparo dall’applicazione di questa legge, una indagine del Governo olandese ha dimostrato che il 30% dei malati soppressi con l’eutanasia non avevano scelto loro di morire, ma erano stati i medici a decidere se la loro vita era o no sostenibile. In questo caso la libertà è un’apparenza che non garantisce il diritto di scelta che promette.
Dopo un quadro alquanto fosco sulla cultura che propone e diffonde una mentalità non a favore della vita, il Dott. Cascioli ha però sottolineato che fortunatamente c’è anche una cultura della vita a cui fare riferimento, che declina la propria attività in vari ambiti e attraverso l’impegno di tante persone e Associazioni. Proprio su questo aspetto si è concentrato l’intervento del Dott. Paolo Marchionni.
Rifacendosi all’Enciclica di Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, il Dott. Marchionni ci ha parlato, appunto, del Vangelo della vita, un messaggio di speranza in un mondo dove la cultura della morte è trasversale, dove c’è un eclissi del senso di Dio e, laddove si perde il senso di Dio, si perde il senso dell’uomo. Ma anche se si perde il senso dell’uomo, si perde il senso di Dio, perché “L'uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio” (Evangelium Vitae).
Dobbiamo saper cogliere i segnali di speranza che ci vengono dall’impegno per la vita che la Chiesa e tante persone e associazioni svolgono. Ci fermeremmo ad uno sterile scoraggiamento se, come scrive Giovanni Paolo II nella citata Enciclica, “alla denuncia delle minacce alla vita non si accompagnasse la presentazione dei segni positivi operanti nell'attuale situazione dell'umanità”.
Quei segni positivi sono così descritti: “Sono ancora molti gli sposi che, con generosa responsabilità, sanno accogliere i figli come «il preziosissimo dono del matrimonio». Né mancano famiglie che, al di là del loro quotidiano servizio alla vita, sanno aprirsi all'accoglienza di bambini abbandonati, di ragazzi e giovani in difficoltà, di persone portatrici di handicap, di anziani rimasti soli. Non pochi centri di aiuto alla vita, o istituzioni analoghe, sono promossi da persone e gruppi che, con ammirevole dedizione e sacrificio, offrono un sostegno morale e materiale a mamme in difficoltà, tentate di ricorrere all'aborto. Sorgono pure e si diffondono gruppi di volontari impegnati a dare ospitalità a chi è senza famiglia, si trova in condizioni di particolare disagio o ha bisogno di ritrovare un ambiente educativo che lo aiuti a superare abitudini distruttive e a ricuperare il senso della vita.
La medicina, promossa con grande impegno da ricercatori e professionisti, prosegue nel suo sforzo per trovare rimedi sempre più efficaci: risultati un tempo del tutto impensabili e tali da aprire promettenti prospettive sono oggi ottenuti a favore della vita nascente, delle persone sofferenti e dei malati in fase acuta o terminale. Enti e organizzazioni varie si mobilitano per portare, anche nei Paesi più colpiti dalla miseria e da malattie endemiche, i benefici della medicina più avanzata. Così pure associazioni nazionali e internazionali di medici si attivano tempestivamente per recare soccorso alle popolazioni provate da calamità naturali, da epidemie o da guerre. Anche se una vera giustizia internazionale nella ripartizione delle risorse mediche è ancora lontana dalla sua piena realizzazione, come non riconoscere nei passi sinora compiuti il segno di una crescente solidarietà tra i popoli, di un'apprezzabile sensibilità umana e morale e di un maggiore rispetto per la vita?”.
Il Dott. Marchionni ha concluso il suo intervento richiamando la nostra attenzione sul pericolo di ciò che ritiene contrario all’educazione, cioè l’assuefazione, un appiattimento ormai globalizzato, che non produce più non solo idee ma neanche emozioni, che vengono cercate in ciò che artificialmente le può produrre, come l’alcol o la droga. Mentre invece anima dell’educazione e della vita è una “speranza affidabile”, quella rappresentata dal Vangelo della vita.
A conclusione della serata abbiamo vissuto un momento veramente toccante ed emozionante: la testimonianza della famiglia Gasparre, rappresentata da Laura, membro dell’Associazione La Quercia Millenaria, una Rete di Famiglie e Medici che vedono in ogni figlio un essere prezioso, portatore di un dono speciale. La Quercia Millenaria è l’unico Hospice Perinatale presente in Italia.
Ci vorrebbe molto più spazio per raccontare l’esperienza di Laura, quella di una gravidanza desiderata da lei e suo marito che diventa presto un incubo: il feto ha una grave malformazione al cranio, che non può svilupparsi e rende il feto stesso in stato vegetativo. Diagnosi medica: feto incompatibile con la vita. Terapia medica: interruzione di gravidanza, aborto. Possiamo immaginare il dolore di questa famiglia, il dramma della scelta, la ferita subita dalla vita! La via più breve sarebbe stata, per usare una espressione informatica come ha fatto Laura, resettare tutto, chiudere il file (sua figlia, perché era femmina) senza salvare e aprirne uno nuovo. Ma una domanda si sono posti: se non amiamo noi questa bambina che è nostra figlia, chi l’amerà? Che mamma sarei, si è chiesta Laura, se non amassi questa creatura che ha più bisogno di altri di essere amata?
La proposta dei medici (di quei medici, perché ci sono anche medici per la vita) era rispondere alla ferita inferta dalla malattia con le stesse armi: la ferita dell’aborto. La logica della guerra. Ma c’era e c’è anche un’altra scelta: accettare la vita e, se non si può curarla, prendersene cura. Laura ci ha detto che non è stato facile, ma, anche con l’aiuto di medici che operano per la vita e di Associazioni amiche come La Quercia Millenaria, hanno ritrovato serenità ed anche gioia. La bambina è nata, è stata battezzata e chiamata Marianna. Hanno vissuto con amore e gratitudine ogni momento di vita di Marianna da quando era nella pancia della mamma e per loro non è mai stata terminale, perché tutti siamo terminali, cioè la vita di tutti è destinata a finire. La vita, ci ha detto Laura, non si misura in giorni, ma dalla qualità di come si ama.
Vorrei concludere con le parole di Giovanni Paolo II: “Questo orizzonte di luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la «cultura della morte» e la «cultura della vita». Ci troviamo non solo «di fronte», ma necessariamente «in mezzo» a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l'ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita”. (Enciclica Evangelium vitae).
A conclusione delle iniziative promosse in occasione della Giornata Nazionale per la vita 2011, domenica 13 febbraio c’è stata una festa popolare al Centro Commerciale Azzurro.
Un modo di dire GRAZIE ALLA VITA con il linguaggio della musica, della manualità, delle immagini, dell’amicizia, dei libri e riviste che aiutano ad approfondire e conoscere i vari aspetti dell’accoglienza della vita.
Per poter costruire un mondo più umano che inizia dall’accogliere la vita sempre.
Una occasione per preparare il nostro cuore all’accoglienza del Santo Padre Benedetto XVI, in visita alla diocesi San Marino - Montefeltro il 19 giugno 2011, il primo difensore del “valore non negoziabile”, quello della vita.
La falsa morale dei puritani di Pigi Colognesi, lunedì 21 febbraio 2011, il sussidiario.net
Si sta discutendo molto di moralità (pubblica e privata), di puritanesimo e libertinismo, di lassismo e rigorismo. La confusione non manca, in particolare quando si tira in ballo il ruolo del cattolicesimo.
Di solito, si accusa la Chiesa cattolica di essere l’arcigna custode e la rigida propagatrice di una morale repressiva, fatta di divieti, triste. In questi giorni, la frittata è stata capovolta. La Chiesa cattolica, in realtà, sarebbe lassista, chiuderebbe spesso gli occhi sui difetti morali dei suoi fedeli, lascerebbe facilmente correre, evitando la giusta condanna del reo, soprattutto se potente. La prova? Il sacramento della confessione.
Che moralità può mai salvaguardare una religione che consente al peccatore di liberarsi della sua colpa col semplicissimo ricorso all’assoluzione sacramentale? Che garanzia di purezza può mai dare se, col facile ricorso al confessionale, si può cancellare il proprio peccato? Sarebbe questa, tra l’altro, la causa per cui nel nostro Paese l’etica pubblica è così malconcia. Ci è mancata una robusta iniezione di protestantesimo, quello che avrebbe forgiato il ferreo rigore delle popolazioni nordiche.
Ovviamente, la Chiesa cattolica - dicono - non è così tenera coi peccatori per profonda convinzione. La sua natura rimane quella di rigorosa moralista. Se accetta un po’ di elasticità è perché ne trae vantaggi di carattere politico, benefici mondani. Il cardinal Federigo Borromeo dei Promessi sposi non ha perdonato l’Innominato perché così gli impone la sua missione sacerdotale e perché in questo modo cerca come può di imitare l’atteggiamento del Maestro che perdona tutti, lui per primo.
Il furbo cardinale sa bene che il peccatore che ha davanti, in un momento di crisi di coscienza, è un signorotto potente e perdonarlo è il modo per assicurarsene i servigi, per aggiungere un importante tassello al proprio potere. La sentenza di perdono che viene emessa nel tribunale della confessione è uno stratagemma tattico finalizzato al tornaconto della struttura ecclesiastica. Che di per sé tratterebbe tutti col rigore fosco con cui ha costretto nel chiostro la Monaca di Monza. Insomma, il Cardinal Federigo non sarebbe altro che un Grande Inquisitore di piccola taglia, senza neppure la luciferina grandezza del personaggio di Dostoevskij.
Io credo che chi sostiene queste tesi non si sia mai confessato veramente neanche una volta. La certezza di essere perdonati non alleggerisce affatto il dolore del proprio male. Anzi, l’approfondisce, gli dà quella fitta che si prova solo quando si è ferito chi si ama e non tanto trasgredito una norma. I grandi peccatori - l’Innominato stesso oppure Miguel Mañara - si stupiscono che essere perdonati sia così semplice.
E ne piangono, di un dolore acuto e stranamente gioioso; quello che il puritano attaccato ai propri calcoli di perfezione non conoscerà mai. Da questo stupore pieno di gratitudine prende le mosse, indomabile e continuo, il cammino del cambiamento.
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Avvenire.it, 19 febbraio 2011 - OTTANT'ANNI - Ruini: «La mia fede, rispettosa ma ferma nella verità» di Marina Corradi
Il Pontificio Seminario Minore è dietro al Vaticano, addossato alle sue mura. Il suo studio al quarto piano è tappezzato da una biblioteca imponente: patristica, teologia, filosofia. Alcuni libri sono un po’ consunti, lungamente negli anni compitati. Lui è uguale a sempre, gli occhi chiari e acuti sul viso magro. Oggi, sono ottant’anni. «Sto bene – sorride – solo l’insonnia mi disturba un po’». Non sembra curarsi granché, di questo compleanno. Troppo da fare: la responsabilità del Progetto culturale, la Fondazione Benedetto XVI, la presidenza della Commissione su Medjugorje, «E poi studio» dice. Cosa, Eminenza? «Studio attorno al tema di Dio. In autunno comincerò a scrivere un libro sulla ragionevolezza della fede in Dio».
Camillo Ruini, classe 1931, sacerdote a ventitré anni, vescovo, poi cardinale, presidente della Cei per 16 anni, dal 1991 al 2007. Una vita per la Chiesa. Eppure la sua vocazione somiglia più a quelle dei seminaristi di oggi, che del passato. Sassuolo, provincia di Reggio Emilia, anni Trenta: una famiglia borghese, una dinastia di medici. Credenti, ma non ferventi praticanti. Il ragazzo Ruini legge a 13 anni, nella Vulgata, in latino, i Vangeli. Ne resta affascinato. A sedici anni entra nell’Azione Cattolica. Poi improvvisamente sceglie, sarà sacerdote. I genitori ostili a quell’idea, e angosciati: si aspettavano un medico, o una laurea, una sicura professione. E invece prevale la seduzione di una fede liberamente riscoperta, e difesa in appassionate discussioni, al liceo, con il professore di filosofia.
Fai il conto: aveva 14 anni alla fine della guerra, entrava in Ac nel 1947. Anni pesanti. Cosa ricorda, di quell’alba della Repubblica? «In Emilia, negli anni 1944-46, il clima da guerra civile. Dieci preti assassinati in pochi mesi. Il dolore del vescovo di Reggio, Socche, contro questa strage, il suo pastorale battuto contro il pavimento del Duomo, nel grido: "Basta!"». In questo clima a 18 anni Ruini decide che con Dio vuole mettere tutto se stesso in gioco. Laureato alla Gregoriana, ordinato, torna a Reggio a insegnare filosofia e teologia.
È il 1983, quando viene nominato vescovo ausiliare della città da Giovanni Paolo II. «Il ricordo che ho di lui è prima di tutto quello di un uomo che sembrava vivere sempre al cospetto di Dio; nel pregare come nel fare, Dio c’entrava sempre per lui, non era mai estraneo alla realtà. Mi colpiva la passione con cui stava ad ascoltare chi aveva davanti, nel desiderio di capire; e quanto poco invece amava ascoltarsi e compiacersi di sé. Mi sbalordiva la sua sollecitudine pastorale, l’attenzione alle parrocchie di Roma e a ogni uomo. Come quando, già malato, lo vidi salutare tutti, uno per uno, 600 malati dell’Unitalsi».
Sedici anni alla guida della Chiesa italiana. Quale impronta pensa di avere lasciato?
«Io mi ritengo solo un interprete fedele della volontà del Papa, prima di Giovanni Paolo II, poi di Benedetto XVI. In questo senso, ciò che spero di aver trasmesso è la certezza che la secolarizzazione non è l’ultima parola sul cristianesimo, e che la fede in Cristo conserva intatta la sua giovinezza e la sua verità. Quindi ho desiderato una fede rispettosa, ma non timida; fondata nella carità, ma ben ferma nella verità – verità non posseduta, ma ricevuta in dono. Una fede che parla, che si manifesta nell’arena pubblica».
"Inculturazione della fede", è un concetto cardine del Progetto culturale. Perché?
«Più esattamente, evangelizzazione della cultura e inculturazione della fede. Perché la fede cristiana non è mai esistita "nuda", ma si è incarnata di volta in volta nelle culture dei popoli convertiti. La storia d’Italia è anche duemila anni di storia di fede cristiana incarnata. Ma, come già notava il Concilio Vaticano II, nella modernità i mutamenti sono sempre più rapidi; e il cristianesimo non vuole né deve fermare, ma orientare questi mutamenti».
La "sfida educativa" è un altro tema su cui lei insiste. Recentemente il cardinale Bagnasco ha parlato di un «disastro antropologico» di natura educativa. L’analisi è la stessa?
«Sì. Condivido questa preoccupazione, alla prima origine della quale vedo un oscuramento dell’orizzonte antropologico; oscuramento che consiste nel mettere in discussione la differenza qualitativa fra l’uomo e il resto dei viventi. Ma noi non siamo riducibili alla natura. L’uomo è intelligenza e libertà, e dunque responsabilità. Senza di ciò, non avrebbe senso la croce di Cristo».
Se le chiedessero lo stato di salute della fede in Italia?
«La situazione non è facile, benché sia migliore che nel resto dell’Occidente. Confrontandoci con il Nord dell’Europa, credo sia stata giusta la scelta di reagire con energia alla secolarizzazione e di mantenere salda la tradizione. C’è in Italia uno "zoccolo duro" della fede che permane; il problema è la trasmissione della fede ai giovani. È questa la grande sfida».
E l’Italia, Eminenza? Per l’Italia lei non è preoccupato?
«Lo sono prima ancora per l’Europa. Che ha perso la sua centralità economica e politica nel mondo, ma non può rinunciare alla sua vitalità spirituale e culturale. E questo è possibile solo superando ciò che Benedetto XVI ha chiamato un "odio di se stessa" dell’Europa; è possibile, inoltre, invertendo l’attuale trend demografico. Questo non significa affatto evocare uno scontro fra civiltà, ma avere coscienza della propria missione: l’Europa deve ricordarsi di essere la patria di quell’umanesimo cristiano che ha messo al suo centro l’uomo».
E quanto all’Italia invece, in questi giorni tumultuosi?
«Anche l’Italia ha prima di tutto una vocazione, che è quella indicata da Giovanni Paolo II nel ’94, al tempo della grande preghiera per la nostra Nazione: la vocazione di mantenere vivo, per l’intera Europa, il patrimonio di fede e di cultura innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo. Poi ci sono le difficoltà contingenti, politiche e economiche, che ben conosciamo. Credo siano difficoltà superabili se si evitano le crisi istituzionali; e se ogni istituzione ha rispetto delle altre istituzioni. Quanto alla crisi economica, non dimentichiamo la solidità sostanziale mantenuta dal Paese in questo difficile periodo, solidità che fa sperare per il futuro. Senza però dimenticare che conseguenza inevitabile della globalizzazione è la redistribuzione delle risorse con quello che era il terzo mondo, cosa che non lascerà intatti i nostri tenori di vita occidentali. E tuttavia io sono ottimista per l’Italia: se smettessimo di autoflagellarci e autocommiserarci potremmo guardare realisticamente ai problemi, per risolverli».
L’ottimismo di chi ha visto molto, anche il peggio, e ha più degli altri memoria. Di chi con i suoi anni può dire: passeremo anche questo momento. Oggi, per il cardinale sono ottanta. In buona salute: molto da lavorare, un libro da scrivere. Sveglia alle 6.30, alle 7.15 dice Messa, ogni mattina. Nessun rimpianto, Eminenza? Rifarebbe tutto? Ride: «Ma certo che no. Vorrei non rifare i miei peccati, non ripetere gli errori. Ma in un bilancio, io devo dire grazie. Grazie a Dio, per ottant’anni passati, bene o male, a servirlo».
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LETTERA/ I moralisti di oggi sono quei libertini che ieri hanno rovinato i nostri figli? Di Carlo Bellieni - lunedì 21 febbraio 2011 – il sussidiario.net
caro direttore,
due parole da pediatra, perché i risvegli di “decenza” e moralismo, cui assistiamo in questi giorni da parte di chi strombazza il liberismo più selvaggio in campo sessuale, ci fanno prima sorridere, e poi piangere per i riflessi sui più piccoli. Anche perché il primo messaggio che passa loro è che la morale si fa solo quando torna comodo, dato che sanno bene che oggi si parla di decenza, mentre fino a ieri si raccontava che il matrimonio è una convenzione, e che è normale fare sesso col primo arrivato. E i nostri bambini bevevano tutto questo, lo assorbivano e lo assorbono.
Avete idea di quante ore di pornografia si sorbiscano i nostri bambini quando scarrellano sulla tv o su internet? E non vi siete mai stupiti perché le vostre bambine a 10 anni magari si truccano, o vogliono le scarpe coi tacchi, o usano termini come “sexy” o “fashion”, per descrivere un’amichetta? E vogliono abiti firmati, sanno tutto delle trasgressioni sessuali delle star di Hollywood che poco a poco diventano loro idoli, tanto più sono dedite a eccessi pornografici. E in ogni edicola da decenni campeggiano immagini di donne spogliate e messe in vendita sulle copertine dei giornali, e sono alla portata di tutti. E si svegliano oggi e parlano oggi di decenza avvilita?
Sono o non sono icone del cinema “progressista” i film Colazione da Tiffany e Pretty Woman, che parlano come niente fosse di prostitute tanto da farle considerare vere e proprie icone? E vi scandalizzate oggi? Tanti hanno chiesto per anni la prostituzione equiparata a qualsiasi altro lavoro, mentre noi gridavamo che era inaccettabile, e sono diventati i primi moralizzatori.
Bastava leggere il Newsweek del Febbraio 2007 per capire come l’allarme è planetario, dato che, vi si legge, stiamo allevando una generazione di baby-prostitute! E i neomoralisti di oggi non li sentivamo scandalizzati a leggere che bimbe si fanno foto nude e le vendono, che vanno a fare le sexy-cubiste minorenni, che fanno sesso quando hanno i primi brufoli e sono invitate a farlo da quasi tutte le star che vanno in tv.
Eppure erano usciti libri come Ancora dalla parte delle bambine (Loredana Lipperini, 2007), che lanciava un allarme forte e chiaro da vera femminista verso la diffusione dell’indecenza tra i minori; e allarmi verso modelli di cartoons e bambole dove le eroine non sono anoressiche, ma hanno un vitino di 10 cm di circonferenza, e delle cosce lunghe e slanciate, ombelico di fuori e chili di mascara, ombretto e lucidalabbra. Eppure esistevano La sindrome di Lolita di Anna Olivero Ferraris, (2008) o Sporche femmine Scioviniste (2006), in cui Ariel Levy, voce del femminismo, denuncia le contraddizioni, l’ambiguità e l’incongruenza di quello che viene spacciato per il “nuovo potere delle donne”. Ma finora i guru progressisti non sembravano né averli letti, né aver preso coscienza dell’orrore.
E si svegliano ora a parlare di “decenza”? Gli araldi ormai anziani del ‘68 - quelli che solo ora si scandalizzano - hanno creato una generazione di figli senza ideali, capace da vent’anni di vendersi per un jeans, la generazione degli “echo-boomers”, cioè di quelli che vivono solo di riflesso degli ideali dei genitori, ma senza ideali propri.
Il moralismo e il richiamo alla “decenza” di chi ha distrutto il cuore e il cervello di questa generazione farebbe ridere, se non fosse tragico richiamo a un orrore: quello di una generazione senza fede e senza speranza, che ha inquinato il cuore dei figli, che li ha buttati a gozzovigliare senza senso e senza coraggio, e ha chiamato tutto questo “libertà”.
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LA BATTAGLIA PER LA VITA/1 - Una famiglia in prestito per chi non ce la fa - DANIELA POZZOLI, Avvenire, 21 febbraio 2011
Uno dei padri della prima legge sull’adozione in Italia, che risale a quarantaquattro anni fa, era solito dire che accoglienza e gratuità non si imparano né si insegnano ai figli. Si possono solo vivere.
Devono pensarla così anche le famiglie – ancora poche, vista la novità della proposta – che hanno deciso di aprire la loro casa e il loro cuore a una mamma in difficoltà, spesso minorenne, senza familiari e con una storia già pesante alle spalle, e al figlio, prendendoli entrambi in affido. Ospitare in casa un bimbo molto piccolo, ben sapendo che presto (al massimo nel giro di sei mesi, un anno) se ne andrà, e non per questo lesinargli cure, attenzioni e amore, è però l’aspetto meno complicato in questa esperienza. Dai racconti delle coppie intervistate in uno studio appena pubblicato risulta evidente che il momento del distacco dal bambino non è facile per nessuno. Né per la coppia di genitori affidatari ai quali ha rivolto magari le sue prime parole, né per i loro figli che in tutti i casi esaminati si sentono coinvolti ed esaltati fin dal suo arrivo, e poi lacerati dallo «strappo» emotivo quando se ne va. Ma se questo è l’aspetto più facile della vicenda – con tutte le implicazioni che comporta affezionarsi a un essere indifeso pur sapendo che non è né sarà mai «nostro» – la prova più impegnativa per le famiglie che accolgono è farsi carico anche della madre naturale, spesso fragile e confusa.
Significativo il racconto di una donna affidataria intervistata che nota «l’estremo disordine nel quale la ragazza tiene la sua camera». Come a dire che quella presenza ancora «estranea» lì dentro, sta in qualche modo rompendo un equilibrio familiare consolidato. L’immaturità della giovane madre spesso è tale da far pensare agli affidatari di doversi prendere cura «di due minori», seppure di età diversa. La difficoltà sta proprio qui: non trattare la mamma come un’altra figlia a tempo, ma come una persona adulta che non è ancora capace di stare
di fronte al figlio, prendendola per mano e insegnandole la strada da percorrere per realizzare fino in fondo la sua vocazione di genitore. Spesso addirittura aiutandola a rivedere, come in un film, «spezzoni» della sua vita per non commettere più gli stessi errori. Una soluzione non semplice da realizzare, ma più adeguata rispetto alla comunità perché permette a madre e figlio di fare «esperienza di famiglia» e garantisce la continuità di un rapporto speciale nato fin dalle prime settimane di gestazione. È nel pancione che il feto riconosce il battito del cuore della madre e il suono della sua voce: tutto questo gli rimarrà come «eredità». Ed è all’insegna del riconoscimento di questo «filo rosso», non solo biologico ma anche emotivo, che si sceglie di salvaguardare quel legame facendosene carico attraverso l’affido di entrambi.
È compito impegnativo e insieme gratificante, per una famiglia affidataria, aprirsi all’accoglienza di due fragili e preziose esistenze. E confrontarsi con una madre che ha smarrito l’ordine delle cose e il senso segreto della relazione col figlio. Una madre che chiede una seconda chance, resa possibile solo dalla gratuità con cui si sente accolta.
Orrore in diretta sulla tv svizzera, di FEDERICA MAURI LUZZI, da LUGANO – Avvenire, 20 febbraio 2011
André Rieder, 56 anni, si ferma davanti alla tomba dei genitori. «Sulla lapide c’è lo spazio per scrivere il mio nome e la mia data di nascita e di morte», afferma. I suoi genitori - ammette - avrebbero sicuramente difficoltà a comprendere la sua scelta, ma per lui è importante giungere ad una fine. Inizia così il documentario shock andato in onda lo scorso 17 febbraio su Sf1, la tv pubblica svizzera in lingua tedesca. È la storia di un medico, da anni maniaco depressivo, che ha un solo implacabile desiderio: morire. Per raggiungere il proprio scopo si è rivolto all’organizzazione di aiuto al suicidio zurighese “Exit”. In 48 minuti lo spettatore segue l’ultimo mese di vita di André prima del suicidio programmato, avvenuto lo scorso primo dicembre 2010. La telecamera riprende i preparativi che l’uomo con maniacale meticolosità porta a termine; perfino gli strazianti addii ai vari amici, i quali ognuno a modo suo, tentano di dissuaderlo da questo gesto estremo. Invano. A colpire è soprattutto la freddezza di André, che non si scompone neppure all’evidente dolore di chi lo circonda. Anzi, a tratti trova pure la forza di ridere.
André non è un malato terminale. Le sue condizioni di salute sono stabili. Alle spalle ha una vita agiata. Una bella casa, una Bentley in garage, grazie al denaro guadagnato con la sua società di marketing per aziende farmaceutiche. Poi negli anni ’90 si susseguono i ricoveri, a volte coatti, in cliniche psichiatriche, e con essi il lento declino dovuto alle sue manie. Sfrattato, viene accolto in casa da un’amica che da allora lo ospita e si prende cura di lui. A marzo il medico omosessuale si rivolge ad Exit. Dopo diversi incontri e tre perizie psichiatriche, l’organizzazione accetta di assecondare i suoi desideri suicidi. Come mai però nessuno dei tre psichiatri che ha incontrato André accetta di essere ripreso? E questo sebbene Exit sottolinei che ogni cosa sia stata fatta nel pieno rispetto delle direttive della Commissione nazionale d’etica e della giurisprudenza, che autorizza il suicidio assistito anche per i malati psichici. Ma a stupire ancor di più sono le risposte imbarazzate della Tv pubblica, che per bocca del suo addetto stampa difende la scelta di realizzare tale documentario, sostenendo che la redazione ha affrontato con sensibilità e tatto un tema molto controverso, partendo da un caso concreto segnalato alla redazione da un amico di André Rieder. Anche la scelta della messa in onda dicono - era stata presa da tempo. Guarda caso però nelle prossime settimane il Governo svizzero dovrebbe esprimersi su un progetto di legge che introduce una regolamentazione restrittiva per il suicidio assistito.
La vita in bilico – inchiesta di LORENZO SCHOEPFLIN – la posizione su eutanasia, Avvenire, 20 febbraio 2011
«Dolce morte» inganno mondiale - In Europa e in America si moltiplicano i Paesi dove c’è il rischio che l’eutanasia diventi legge
Si avvicina in Italia la data in cui il Parlamento voterà la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, ad oggi fissata ad inizio marzo. Il testo esclude la possibilità di interruzione di alimentazione ed idratazione artificiale, chiudendo le porte ad atti omissivi volti a procurare la morte del paziente, ovvero all’eutanasia passiva. Senza dubbio il clima in cui si inserisce il dibattito sulla legge non è esente da pressioni in senso permissivo. È ancora vivissima la memoria di Eluana Englaro, la donna morta dopo 17 anni di stato vegetativo proprio a causa della sospensione di alimentazione ed idratazione. Recentemente è arrivato in Italia, grazie ai radicali, lo spot che 'Exit International' ha realizzato per promuovere il diritto di morire. Il Coordinamento laico nazionale, che raccoglie al suo interno molte sigle da sempre impegnate per la legalizzazione dell’eutanasia, tra cui la Consulta di bioetica, per domani ha organizzato un sit-in in piazza Montecitorio contro la legge, definita 'liberticida'. Non manca chi, come il senatore Ignazio Marino, lotta per l’approvazione di un testo che consenta la sospensione di alimentazione e idratazione. In Europa e in tutto il mondo, come documentato in questa pagina, sono costanti le spinte dal punto di vista mediatico, giuridico e legislativo, con ripetuti tentativi di legalizzare la 'dolce morte'. Nel nostro continente, già Olanda, Belgio e Lussemburgo hanno approvato leggi per la depenalizzazione di eutanasia e suicidio assistito. Dalla Svizzera giunge l’ultima notizia clamorosa in tema di 'fine vita': è stato trasmesso un documentario sull’ultimo giorno di vita di un uomo affetto da depressione, recatosi a morire in una clinica di Dignitas, la nota organizzazione che fornisce assistenza al suicidio.
FRANCIA - Cure palliative contro l’eutanasia - DA PARIGI
Risale a meno di un mese fa la bocciatura della legge sull’eutanasia da parte del Senato francese. Il 26 gennaio, con 170 voti contrari su 312 totali, non è stato approvato il testo che prevedeva “l’assistenza medicalizzata alla morte” per tutte le persone allo stadio terminale di una malattia o con gravi disabilità. Il giorno precedente al voto parlamentare, il Primo Ministro francese Francois Fillon si era espresso in modo negativo sull’opportunità di una legge in materia, anche in considerazione dell’attenzione che alle cure palliative viene dedicata fin dal 2008. Proprio in quell’anno la Francia era stata scossa dal caso di Chantal Sebire, una donna sfigurata al volto da un cancro, che aveva avanzato una richiesta mai accolta di eutanasia. Il caso Sebire era stato usato dalla lobby proeutanasia per esercitare pressioni per la legalizzazione della morte procurata su richiesta.
GERMANIA - Una legge per rifiutare le terapie - DA BERLINO
In Germania il dibattito sull’eutanasia è da sempre legato a doppio filo alla memoria dell’Aktion T4, il piano con il quale i nazisti misero in atto lo sterminio sistematico di soggetti ritenuti un peso per la società tedesca.
Tra il giugno e il luglio del 2009 viene approvata la legge sul testamento biologico, dopo ben sei anni di dibattito. Con la legge viene modificato il Codice civile: una persona capace di decidere autonomamente può rifiutare terapie anche se da esse dipende la sopravvivenza del diretto interessato. Un anno dopo, nel giugno scorso, arriva la sentenza che riguarda il caso di Erika Kuellmer, una donna in stato vegetativo morta dopo la sospensione dell’alimentazione artificiale.
Con l’assoluzione dell’avvocato che aveva consigliato di recidere il sondino per l’alimentazione, di fatto si compie il passo decisivo verso l’eutanasia passiva, non più punibile penalmente.
INGHILTERRA - Permesso accompagnare alla fine - DA LONDRA
In Inghilterra la prima apertura all’eutanasia passiva risale al 1993.
Anthony Bland muore a nove giorni dalla sospensione di alimentazione e idratazione artificiale, dopo quattro anni di stato vegetativo. Con una sentenza dell’Alta Corte inglese, fu assecondata la volontà del medico e dei parenti di Bland, dal momento che, fu affermato nel dispositivo di Stephen Brown della Divisione famiglia della Corte, Bland è morto e ciò che rimane «è solo il guscio del suo corpo». Più recentemente, il direttore della Procura generale, Keir Starmer, ha emanato linee guida che hanno trovato applicazione: sia nel caso di Daniel James, un giovane paralizzato accompagnato nel 2009 dai genitori in Svizzera per suicidarsi, che in quello di Michael Bateman, che ha assistito la moglie durante il suicidio, è stato deciso di non procedere con azioni penali.
Secondo le linee guida, l’aiuto a morire costituisce reato solo se si trae beneficio economico dalla morte del suicida.
STATI UNITI D’AMERICA - Eutanasia assistita legale in due Stati - DA WASHINGTON
Negli Stati Uniti sono stati molti i casi recenti che hanno riguardato le tematiche di “fine vita”. Il più significativo si è registrato ad inizio anno, quando l’amministrazione Obama ha fatto dietrofront in merito al provvedimento, inserito nella riforma sanitaria, che prevedeva un colloquio con un medico per tutti gli ultrasessantacinquenni. Si sarebbe trattato di una sorta di testamento biologico, dal momento che il paziente avrebbe potuto esprimere le proprie volontà sul rifiuto di trattamenti medici. Da segnalare anche le recenti battute d’arresto di leggi che avrebbero depenalizzato eutanasia e suicidio assistito in Montana e nelle Hawaii. In New Hampshire, l’anno scorso, una netta maggioranza ha respinto il tentativo di approvare una legge sull’eutanasia, che pochi giorni fa è stata ripresentata in una versione del tutto simile. L’Oregon e lo Stato di Washington sono dotati di leggi specifiche su eutanasia e suicidio assistito.
SPAGNA - Sotto esame la legge sul fine vita - DA MADRID
In Spagna la lotta per l’eutanasia è legata al nome di Ramon Sampedro, l’uomo morto nel 1998 dopo trent’anni di paralisi dovuta ad un trauma durante un tuffo in mare. Sampedro, autore di scritti di successo sulla sua storia, aveva più volte chiesto di essere aiutato a morire, senza mai ricevere una risposta positiva. Nel 2005 una donna ha ammesso di avergli somministrato una dose di cianuro, ma il reato è caduto in prescrizione. Nel 2007 ha invece ottenuto il distacco del respiratore Inmaculada Echevarria, malata di distrofia muscolare: il caso fece molto discutere e non mancò chi parlò apertamente di un primo passo verso l’eutanasia. Una legge sulle questioni di 'fine vita' è attualmente in discussione in Spagna: il testo, che dovrebbe promuovere le cure palliative ed escludere il 'diritto a morire', ha scontentato le associazioni che lottano per la legalizzazione dell’eutanasia.
SVEZIA - Vale il “desiderio” del paziente - DA STOCCOLMA
È il 6 maggio del 2010 quando in Svezia si compie il primo passo verso l’eutanasia passiva. Una donna di 32 anni muore dopo aver ottenuto il via libera al distacco del respiratore al quale era attaccata da 26 anni. La ragazza aveva dichiarato pubblicamente il suo desiderio di morire, nonostante l’assistenza della famiglia, augurandosi che la sua scelta potesse fungere da apripista per tutte quelle persone che vogliono scegliere il momento della loro morte.
Ingemar Engstrom, della divisione di Etica medica della Società svedese di medicina, nell’occasione aveva dichiarato che è immorale non attenersi ai desideri del paziente in merito alla sospensione di trattamenti medici. Già nel 2007 il Consiglio di sanità, proprio su invito della Società svedese di medicina, si era espresso a favore del rifiuto dei trattamenti, una volta che il paziente fosse stato adeguatamente informato circa le conseguenze.
CANADA - Diritto a morire, la politica frena - DA OTTAWA
In Canada le pressioni per legalizzare l’eutanasia non sono mancate, ma si sono concluse con un sonoro fallimento ad aprile scorso.
La legge che avrebbe dovuto apportare modifiche sostanziali al Codice penale, introducendo il “diritto a morire con dignità”, è stata bocciata dal parlamento canadese con 228 voti contrari e 59 favorevoli. Il testo consentiva ai medici di aiutare a morire malati terminali che avessero compiuto la maggiore età, ma aveva suscitato molte critiche per una mancata definizione esatta dei criteri di applicabilità di eutanasia e suicidio assistito. Alcuni parlamentari, pur favorevoli alla “dolce morte”, manifestarono il loro dissenso per un testo troppo permissivo. Il voto era arrivato dopo continui rinvii, nel tentativo di raggiungere il consenso, anche grazie al pronunciamento favorevole del Collegio dei medici del Quebec. Anche in Canada è arrivato lo spot proeutanasia di Exit, che si è però scontrato con i divieti dell’autorità delle telecomunicazioni.
Avvenire.it, 20 febbraio 2011, LA VITA DA DIFENDERE, Il nuovo affido: famiglie in prestito per mamma e bebè di Daniela Pozzoli
Sono ancora piccoli numeri quelli che riguardano l’affido madre-bambino in Italia. Non solo perché si tratta di una strada poco conosciuta e poco battuta, ma anche perché «tenere tra le braccia un figlio piccolo e non tuo non è un’impresa da poco», soprattutto quando c’è anche la madre di cui farsi carico, come spiega Ondina Greco, psicoterapeuta di coppia e della famiglia che lavora presso il Servizio di psicologia clinica dell’Università Cattolica di Milano.
In un momento in cui, dopo la sentenza della Cassazione, si è acceso il dibattito se sia giusto o no dare in adozione un bimbo a un single, sembra quasi controcorrente questa forma di affido che tira in ballo la più assoluta gratuità e apertura all’altro. Anzi, agli «altri», perché si tratta di due genitori che decidono di misurarsi con i problemi legati a un bimbo piccolo e a un adulto, e questo duplice «arrivo» potrebbe anche finire per scombussolare l’equilibrio familiare. «L’affido madre-figlio – spiega Ondina Greco – è però la formula migliore affinché i due restino in una continuità relazionale che li faccia crescere. È un intervento complesso che si basa su un’ipotesi mirata: quella che salvaguardando fin dall’inizio la relazione madre-bambino, venga facilitata la crescita delle capacità genitoriali della madre in difficoltà, fino a permetterle di vivere meglio e gestire i bisogni concreti e affettivi del bambino». Dunque prendere in affido per dare un’altra possibilità alla famiglia naturale e non con l’intenzione di allargare la propria.
Insieme con due colleghe psicologhe, Ivana Comelli e Raffaella Iafrate, Ondina Greco ha condotto un’indagine partita nel 2007 e pubblicata da FrancoAngeli con il titolo <+corsivo_bandiera>Tra le braccia un figlio non tuo<+tondo_bandiera> (pagg. 206, euro 24,50). «Spesso l’affidamento di neonati senza la madre – prosegue la psicologa – scatta quando la situazione della famiglia d’origine è già molto carente. Anche in questo caso, come per quello dell’affido della "coppia" madre-figlio, si tratta di una sfida ricca e complessa sia per gli operatori che per gli affidatari: è fondamentale infatti che madre e padre (quando c’è) naturali siano sempre presenti nell’orizzonte di tutti».
L’indagine in questione ha coinvolto 37 coppie scelte tra chi ha avviato l’affido di neonati tra Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. In un caso su due il bambino dopo l’affido è andato in adozione. È chiaro nel «contratto» con i «genitori a tempo» che il bambino, conclusa l’esperienza, trovi una famiglia tutta sua. «Nel 24% dei casi – spiega la Greco – l’affido si è trasformato in un affido a lungo termine, mentre solo uno su cinque riesce a tornare dai genitori naturali».
In generale la durata dell’intervento con i neonati, proprio per la sua delicatezza e per le gravi ripercussioni che potrebbe avere per tutti un distacco tardivo, va dai 6 ai 12 mesi. «Si scelgono genitori che hanno già accolto altri bambini: sanno a cosa vanno incontro e possono affrontare al meglio il momento della separazione». Nelle interviste e nei disegni delle coppie affidatarie, tra l’altro, emerge che i figli naturali sono molto coinvolti nella scelta di tutta la famiglia di aprirsi all’affido, ma anche nell’accoglienza del neonato o di madre e bambino: «Provano sani sentimenti di tristezza e di dolore alla fine del periodo – continua la psicologa – quando il piccolo se ne va».
Ma affido madre-figlio significa anche che gli operatori sociali devono compiere un «salto», «rivalutando il bambino come "figlio di..." e quindi seguendo la madre (o i genitori naturali) che deve sempre essere tenuta presente, anche nell’eventualità più diffusa che all’affido non prenda parte. Se la famiglia d’origine con tutti i suoi problemi non è aiutata a cambiare – la Greco insiste molto su questo punto – come sarà possibile che quel bimbo le venga restituito?».
Un legame, quello con la mamma, che è forte anche se si tratta ancora di neonati (studi e ricerche sul rapporto tra madre e figlio nella sua vita fetale lo mostrano bene fin dalle prime settimane di vita). È per questo che si sceglie di salvaguardare questa unione attraverso l’affidamento di entrambi, anche se è difficile per operatori e affidatari confrontarsi con chi ancora fatica a stare di fronte a suo figlio.
Avvenire.it, 20 febbraio 2011, La battaglia per la vita - Una famiglia in prestito per chi non ce la fa di Daniela Pozzoli
Uno dei padri della prima legge sull’adozione in Italia, che risale a quarantaquattro anni fa, era solito dire che accoglienza e gratuità non si imparano né si insegnano ai figli. Si possono solo vivere. Devono pensarla così anche le famiglie – ancora poche, vista la novità della proposta – che hanno deciso di aprire la loro casa e il loro cuore a una mamma in difficoltà, spesso minorenne, senza familiari e con una storia già pesante alle spalle, e al figlio, prendendoli entrambi in affido. Ospitare in casa un bimbo molto piccolo, ben sapendo che presto (al massimo nel giro di sei mesi, un anno) se ne andrà, e non per questo lesinargli cure, attenzioni e amore, è però l’aspetto meno complicato in questa esperienza.
Dai racconti delle coppie intervistate in uno studio appena pubblicato risulta evidente che il momento del distacco dal bambino non è facile per nessuno. Né per la coppia di genitori affidatari ai quali ha rivolto magari le sue prime parole, né per i loro figli che in tutti i casi esaminati si sentono coinvolti ed esaltati fin dal suo arrivo, e poi lacerati dallo «strappo» emotivo quando se ne va. Ma se questo è l’aspetto più facile della vicenda – con tutte le implicazioni che comporta affezionarsi a un essere indifeso pur sapendo che non è né sarà mai «nostro» – la prova più impegnativa per le famiglie che accolgono è farsi carico anche della madre naturale, spesso fragile e confusa. Significativo il racconto di una donna affidataria intervistata che nota «l’estremo disordine nel quale la ragazza tiene la sua camera». Come a dire che quella presenza ancora «estranea» lì dentro, sta in qualche modo rompendo un equilibrio familiare consolidato.
L’immaturità della giovane madre spesso è tale da far pensare agli affidatari di doversi prendere cura «di due minori», seppure di età diversa. La difficoltà sta proprio qui: non trattare la mamma come un’altra figlia a tempo, ma come una persona adulta che non è ancora capace di <+corsivo_bandiera>stare<+tondo_bandiera> di fronte al figlio, prendendola per mano e insegnandole la strada da percorrere per realizzare fino in fondo la sua vocazione di genitore. Spesso addirittura aiutandola a rivedere, come in un film, «spezzoni» della sua vita per non commettere più gli stessi errori.
Una soluzione non semplice da realizzare, ma più adeguata rispetto alla comunità perché permette a madre e figlio di fare «esperienza di famiglia» e garantisce la continuità di un rapporto speciale nato fin dalle prime settimane di gestazione. È nel pancione che il feto riconosce il battito del cuore della madre e il suono della sua voce: tutto questo gli rimarrà come «eredità». Ed è all’insegna del riconoscimento di questo «filo rosso», non solo biologico ma anche emotivo, che si sceglie di salvaguardare quel legame facendosene carico attraverso l’affido di entrambi.
È compito impegnativo e insieme gratificante, per una famiglia affidataria, aprirsi all’accoglienza di due fragili e preziose esistenze. E confrontarsi con una madre che ha smarrito l’ordine delle cose e il senso segreto della relazione col figlio. Una madre che chiede una seconda chance, resa possibile solo dalla gratuità con cui si sente accolta.