1) BENEDETTO XVI INCONTRA A VENEZIA IL MONDO DELLA CULTURA E DELL'ECONOMIA
2) «Immigrati, all'accoglienza si unisca la missione» di Massimo Introvigne, 09-05-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
3) SANITA' TRASFUSIONE CON SANGUE CREATO IN LABORATORIO SALVA UNA TESTIMONE DI GEOVA. - GIORNO/RESTO/NAZIONE – 6 maggio 2011
4) Avvenire.it, 7 maggio 2011 - IL DOCUMENTO - Stati vegetativi cura e rispetto di Pier Luigi Fornari
5) IL CONSENSO INFORMATO-CONDIVISO: UN RAPPORTO DI RISPETTO E RELAZIONE di Pubblicato il 6 maggio 2011 da http://www.blogscienzaevita.org/
6) LE TRE SUPERMAMME CHE COMBATTONO IL CANCRO di Pappagallo Mario Corriere della Sera di sabato 7 maggio 2011
7) Rosaria Elefante, biogiurista – “Finalmente definizioni condivise tra medici, famiglie e associazioni» - Le Iinee guida garanzia innanzitutto peri pazienti. Fine della "migrazione" sanitaria - di Pino Ciociola, Avvenire, 7 maggio 2011
8) Giuliano Dolce, neurologo «Finita la confusione, adesso le Asl dovranno parlare una lingua comune» - Quattro commissioni, quattro governi. Poi il casa Englaro...Ed infine il testo - di Emanuela Vinai, Avvenire, 7 maggio 2011
9) ACCORDO TRA IL MINISTRO DELLA SALUTE, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO SULLE LINEE DI INDIRIZZO PER L’ASSISTENZA ALLE PERSONE IN STATO VEGETATIVO E STATO DI MINIMA COSCIENZA
10) LE STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE E LA SLA di Paolo De Lillo* - ROMA, domenica, 8 maggio 2011 (ZENIT.org)
11) Nepal, la fede in ostaggio degli estremisti indù di Danilo Quinto, 07-05-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
12) Uomini, non supereroi di Pigi Colognesi, lunedì 9 maggio 2011, il sussidiario.net
13) CRISTIANI UCCISI/ Farouq: ecco la regia politica che "guida" gli attacchi alle chiese - INT. Wael Farouq, lunedì 9 maggio 2011
14) 08/05/2011 – CINA - Ancora arresti, ancora repressione per i cristiani sotterranei di Shouwang di Wang Zhicheng da Pechino (AsiaNews)
15) Il mercato (impossibile) degli organi di Giuseppe Remuzzi, Corriere della Sera 8.5.11
BENEDETTO XVI INCONTRA A VENEZIA IL MONDO DELLA CULTURA E DELL'ECONOMIA
VENEZIA, domenica, 8 maggio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato questa domenica pomeriggio da Benedetto XVI nella Basilica di Santa Maria della Salute di Venezia incontrando i rappresentanti del mondo culturale, artistico e socioeconomico della città.
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Cari amici,
sono lieto di salutarvi cordialmente, quali rappresentanti del mondo della cultura, dell’arte e dell’economia di Venezia e del suo territorio. Vi ringrazio per la vostra presenza e la vostra simpatia. Esprimo la mia riconoscenza al Patriarca e al Rettore che, a nome dello Studium Generale Marcianum, si è fatto interprete dei sentimenti di tutti voi e ha introdotto questo nostro incontro, l’ultimo della mia intensa visita, iniziata ieri ad Aquileia. Vorrei lasciarvi alcuni spunti molto sintetici, che spero vi saranno utili per la riflessione e per l’impegno comune. Questi spunti li traggo da tre parole che sono metafore suggestive: tre parole legate a Venezia e, in particolare, al luogo in cui ci troviamo: la prima parola è acqua; la seconda è Salute, la terza è Serenissima.
Cominciamo dall’acqua – come appare logico per molti versi. L’acqua è simbolo ambivalente: di vita, ma anche di morte; lo sanno bene le popolazioni colpite da alluvioni e maremoti. Ma l’acqua è anzitutto elemento essenziale per la vita. Venezia è detta la "Città d’acqua". Anche per voi che vivete a Venezia questa condizione ha un duplice segno, negativo e positivo: comporta molti disagi e, al tempo stesso, un fascino straordinario. L’essere Venezia "città d’acqua" fa pensare ad un celebre sociologo contemporaneo, che ha definito "liquida" la nostra società, e così la cultura europea: una cultura "liquida", per esprimere la sua "fluidità", la sua poca stabilità o forse la sua assenza di stabilità, la mutevolezza, l’inconsistenza che a volte sembra caratterizzarla. E qui vorrei inserire la prima proposta: Venezia non come città "liquida" – nel senso appena accennato –, ma come città "della vita e della bellezza". Certo, è una scelta, ma nella storia bisogna scegliere: l’uomo è libero di interpretare, di dare un senso alla realtà, e proprio in questa libertà consiste la sua grande dignità. Nell’ambito di una città, qualunque essa sia, anche le scelte di carattere amministrativo culturale ed economico dipendono, in fondo, da questo orientamento fondamentale, che possiamo chiamare "politico" nell’accezione più nobile e più alta del termine. Si tratta di scegliere tra una città "liquida", patria di una cultura che appare sempre più quella del relativo e dell’effimero, e una città che rinnova costantemente la sua bellezza attingendo dalle sorgenti benefiche dell’arte, del sapere, delle relazioni tra gli uomini e tra i popoli.
Veniamo alla seconda parola: "Salute". Ci troviamo nel "Polo della Salute": una realtà nuova, che ha però radici antiche. Qui, sulla Punta della Dogana, sorge una delle chiese più celebri di Venezia, opera del Longhena, edificata come voto alla Madonna per la liberazione dalla peste del 1630: Santa Maria della Salute. Accanto ad essa, il celebre architetto costruì il Convento dei Somaschi, diventato poi Seminario Patriarcale. "Unde origo, inde salus", recita il motto inciso al centro della rotonda maggiore della Basilica, espressione che indica come sia strettamente legata alla Madre di Dio l’origine della Città di Venezia, fondata, secondo la tradizione, il 25 marzo del 421, giorno dell’Annunciazione. E proprio per intercessione di Maria venne la salute, la salvezza dalla peste. Ma riflettendo su questo motto possiamo coglierne anche un significato ancora più profondo e più ampio. Dalla Vergine di Nazaret ha avuto origine Colui che ci dona la "salute". La "salute" è una realtà onnicomprensiva, integrale: va dallo "stare bene" che ci permette di vivere serenamente una giornata di studio e di lavoro, o di vacanza, fino alla salus animae, da cui dipende il nostro destino eterno. Dio si prende cura di tutto ciò, senza escludere nulla. Si prende cura della nostra salute in senso pieno. Lo dimostra Gesù nel Vangelo: Egli ha guarito malati di ogni genere, ma ha anche liberato gli indemoniati, ha rimesso i peccati, ha risuscitato i morti. Gesù ha rivelato che Dio ama la vita e vuole liberarla da ogni negazione, fino a quella radicale che è il male spirituale, il peccato, radice velenosa che inquina tutto. Per questo, Gesù stesso si può chiamare "Salute" dell’uomo: Salus nostra Dominus Jesus. Gesù salva l’uomo ponendolo nuovamente nella relazione salutare con il Padre nella grazia dello Spirito Santo; lo immerge in questa corrente pura e vivificante che scioglie l’uomo dalle sue "paralisi" fisiche, psichiche e spirituali; lo guarisce dalla durezza di cuore, dalla chiusura egocentrica e gli fa gustare la possibilità di trovare veramente se stesso perdendosi per amore di Dio e del prossimo. Unde origo, inde salus. Questo motto richiama molteplici riferimenti; mi limito a ricordarne uno, la celebre espressione di sant’Ireneo: "Gloria Dei vivens homo, vita autem hominis visio Dei" (Adv. haer. IV, 20, 7). Che si potrebbe parafrasare così: gloria di Dio è la piena salute dell’uomo, e questa consiste nello stare in relazione profonda con Dio. Possiamo dirlo anche con i termini cari al neo-beato Giovanni Paolo II: l’uomo è la via della Chiesa, e il Redentore dell’uomo è Cristo.
Infine, la terza parola: "Serenissima", il nome della Repubblica Veneta. Un titolo davvero stupendo, si direbbe utopico, rispetto alla realtà terrena, e tuttavia capace di suscitare non solo memorie di glorie passate, ma anche ideali trainanti nella progettazione dell’oggi e del domani, in questa grande regione. "Serenissima" in senso pieno è solamente la Città celeste, la nuova Gerusalemme, che appare al termine della Bibbia, nell’Apocalisse, come una visione meravigliosa (cfr Ap 21,1 – 22,5). Eppure il Cristianesimo concepisce questa Città santa, completamente trasfigurata dalla gloria di Dio, come una meta che muove i cuori degli uomini e spinge i loro passi, che anima l’impegno faticoso e paziente per migliorare la città terrena. Bisogna sempre ricordare a questo proposito le parole del Concilio Vaticano II: "Niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo" (Cost. Gaudium et spes, 39). Noi ascoltiamo queste espressioni in un tempo nel quale si è esaurita la forza delle utopie ideologiche e non solo l’ottimismo è oscurato, ma anche la speranza è in crisi. Non dobbiamo allora dimenticare che i Padri conciliari, che ci hanno lasciato questo insegnamento, avevano vissuto l’epoca delle due guerre mondiali e dei totalitarismi. La loro prospettiva non era certo dettata da un facile ottimismo, ma dalla fede cristiana, che anima la speranza al tempo stesso grande e paziente, aperta sul futuro e attenta alle situazioni storiche. In questa stessa prospettiva il nome "Serenissima" ci parla di una civiltà della pace, fondata sul mutuo rispetto, sulla reciproca conoscenza, sulle relazioni di amicizia. Venezia ha una lunga storia e un ricco patrimonio umano, spirituale e artistico per essere capace anche oggi di offrire un prezioso contributo nell’aiutare gli uomini a credere in un futuro migliore e ad impegnarsi a costruirlo. Ma per questo non deve avere paura di un altro elemento emblematico, contenuto nello stemma di San Marco: il Vangelo. Il Vangelo è la più grande forza di trasformazione del mondo, ma non è un’utopia, né un’ideologia. Le prime generazioni cristiane lo chiamavano piuttosto la "via", cioè il modo di vivere che Cristo ha praticato per primo e che ci invita a seguire. Alla città "serenissima" si giunge per questa via, che è la via della carità nella verità, ben sapendo, come ci ricorda ancora il Concilio, che non bisogna "camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita" e che sull’esempio di Cristo "è necessario anche portare la croce; quella che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia" (ivi, 38).
Ecco, cari amici, gli spunti di riflessione che volevo condividere con voi. Per me è stata una gioia concludere la mia visita in vostra compagnia. Ringrazio nuovamente il Cardinale Patriarca, l’Ausiliare e tutti i collaboratori per la magnifica accoglienza. Saluto la Comunità ebraica di Venezia - che ha antiche radici ed è una presenza importante nel tessuto cittadino - con il suo Presidente, Prof. Amos Luzzatto. Un pensiero anche ai musulmani che vivono in questa città. Da questo luogo così significativo rivolgo il mio cordiale saluto a Venezia, alla Chiesa qui pellegrina e a tutte le Diocesi del Triveneto, lasciando, come pegno del mio perenne ricordo, la Benedizione Apostolica.
[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]
«Immigrati, all'accoglienza si unisca la missione» di Massimo Introvigne, 09-05-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
Le radici cristiane hanno fatto dell’Europa e dell’Italia quello che sono. Per grazia di Dio, queste radici si mostrano ancora nell’esperienza quotidiana della Chiesa e della società. Oggi diversi fattori rischiano di farle dimenticare o di soffocarle, creando una «società liquida» senza memoria e senza radici. Rimanere fedeli alle radici è difficile ma possibile. Questo schema in quattro passaggi ritorna in molti viaggi brevi di Benedetto XVI – come in quelli del beato Giovanni Paolo II (1920-2005) – e il Papa lo ha riproposto il 7 e 8 maggio ad Aquileia e Venezia.
Il primo passaggio è la memoria delle radici cristiane. Il Pontefice ha voluto ricordare in Piazza Capitolo anzitutto l’importanza tutta particolare della città di Aquileia, la quale «sorse nel 181 e prosperò nei secoli successivi, come canta il Vescovo poeta [san] Paolino [ca. 750-802]: “… bella, illustre, splendida di palazzi, famosa per le mura e più ancora per le innumerevoli folle dei tuoi cittadini. Tutte le città della Venezia ti erano soggette e ti avevano fatto loro capitale e metropoli, essendo tu fiorente per il tuo clero, e splendida per le chiese, che avevi dedicato a Cristo” (Poetae Latini aevi Carolini, in M.H.H., 1881, p. 142)». Comunità cristiana fecondata dal sangue dei martiri, Aquileia, ha ricordato il Papa, divenne «la nona città dell’Impero e la quarta dell’Italia», e la capitale del cristianesimo in una vasta regione.
Infatti, «la libertà di culto concessa nel IV° secolo al cristianesimo non fece altro che estendere il raggio d’azione della Chiesa di Aquileia, allargandolo oltre i naturali confini della Venetia et Histria fino alla Retia, al Norico, alle ampie Regioni danubiane, alla Pannonia, alla Savia. Andò così formandosi la provincia ecclesiastica metropolitana di Aquileia, a cui Vescovi di Chiese assai lontane offrivano la loro obbedienza, ne accoglievano la professione di fede, si stringevano ad essa nei vincoli indissolubili della comunione ecclesiale, liturgica, disciplinare e perfino architettonica. Aquileia era il cuore pulsante in questa Regione».
Benedetto XVI ha voluto specialmente ricordare il ruolo dei vescovi di Aquileia nella lotta contro l’eresia di Ario (256-336), secondo cui Gesù Cristo non è in senso proprio Dio ma solo la prima creatura di Dio. L’arianesimo sembra un’eresia dimenticata, ma anche oggi non manca di rivivere in chi vede in Gesù Cristo solo un saggio e un maestro, negando la sua divinità. il Papa ha invitato a rileggere il testo di una sua catechesi del 5 dicembre 2007 dedicata a san Cromazio (tra il 335 e il 340-407 o 408), uno dei santi vescovi di Aquileia che difesero la Chiesa «contro il dilagare dell’arianesimo». «Ciò che fece grande la Chiesa che Cromazio amò e servì, fu la sua professione di fede in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo.
Commentando il racconto evangelico della donna che profuma dapprima i piedi, quindi il capo di Gesù, egli afferma: “I piedi di Cristo indicano il mistero della sua incarnazione per cui si è degnato di nascere da una vergine in questi ultimi tempi; il capo, al contrario indica la gloria della sua divinità nella quale procede dal Padre prima di tutti i tempi…. Ciò significa che dobbiamo credere due cose di Cristo: che è Dio e che è uomo, Dio generato dal Padre, uomo nato da una vergine… Non possiamo essere salvati altrimenti, se non crediamo queste due cose di Cristo” (Cromazio di Aquileia, Catechesi al popolo, Città Nuova, 1989, p. 93)».
Nell’omelia di Mestre il Papa ha anche ricordato come dall’antica città veneta sia nato non solo un tessuto di Chiese locali ma una cristianità, una civiltà cristiana: «Attorno ad Aquileia si ritrovarono uniti popoli di lingue e culture diverse, fatti convergere non solo da esigenze politiche ma, soprattutto, dalla fede in Cristo e dalla civiltà ispirata dall’insegnamento evangelico, la Civiltà dell’Amore».
Nei secoli successivi ci fu una certa decadenza di Aquileia, ma emerse l’epopea di Venezia, che ci fa pensare alla navigazione e al commercio ma dove pure – ha detto il Pontefice salutando i veneziani al Molo di San Marco – la fede cattolica «si è radicata sempre più profondamente nel tessuto sociale, fino a diventarne parte essenziale. Ne sono visibile testimonianza le splendide Chiese e le tante edicole devozionali disseminate tra calli, canali e ponti. Vorrei ricordare, in particolare, i due importanti Santuari che, in tempi diversi, vennero edificati dai veneziani in ottemperanza ad un voto, per ottenere dalla Provvidenza divina la liberazione dalla piaga della peste: eccoli di fronte a questo Molo, sono la Basilica del Redentore e il Santuario della Madonna della Salute». E ancora, ha ricordato Benedetto XVI, tre patriarchi di Venezia sono diventati Papi nel secolo XX: san Pio X (1835-1914), «che con il suo esempio di santità continua a vivificare questa Chiesa particolare e tutta la Chiesa universale», il beato Giovanni XXIII (1881-1963) e il servo di Dio Giovanni Paolo I (1912-1978).
Nella basilica di San Marco, preclaro esempio di «catechesi per immagini», Benedetto XVI ha richiamato come proprio «il Servo di Dio Albino Luciani, che fu vostro indimenticabile Patriarca, così descrisse la sua prima visita in questa Basilica, da giovane sacerdote: “Mi trovai immerso in un fiume di luce … Finalmente potevo vedere e godere con i miei occhi tutto lo splendore di un mondo di arte e di bellezza unico e irripetibile, il cui fascino ti penetra nel profondo” (Io sono il ragazzo del mio Signore, Venezia-Quarto d’Altino, 1998)».
Il secondo tema trattato dal Papa è la presenza tuttora viva delle conseguenze delle radici cristiane in un tessuto sociale, quello del Nord Est, che sia pure tra luci e ombre rimane ancora caratterizzato da valori tradizionali e da un solido buon senso. Ha detto Benedetto XVI nella Basilica di Aquileia che «il Nord-est dell’Italia è testimone ed erede di una storia ricca di fede, di cultura e di arte, i cui segni sono ancora ben visibili anche nell’odierna società secolarizzata. L’esperienza cristiana ha forgiato un popolo affabile, laborioso, tenace, solidale. Esso è segnato in profondità dal Vangelo di Cristo, pur nella pluralità delle sue identità culturali». Nel Nord Est, grazie a Dio, «l’orizzonte della fede e le motivazioni cristiane hanno dato e continuano ad offrire nuovo impulso alla vita sociale, ispirano le intenzioni e guidano i costumi. Ne sono segni evidenti l’apertura alla dimensione trascendente della vita, nonostante il materialismo diffuso; un senso religioso di fondo, condiviso dalla quasi totalità della popolazione; l’attaccamento alle tradizioni religiose; il rinnovamento dei percorsi di iniziazione cristiana; le molteplici espressioni di fede, di carità e di cultura; le manifestazioni della religiosità popolare; il senso della solidarietà e il volontariato».
Il terzo tema su cui il Papa ha riflettuto è quello delle difficoltà che fanno ostacolo alla memoria e alla difesa delle radici e dell’identità cristiana. L’uomo moderno, ha detto il Pontefice a Mestre, è «sopraffatto non di rado da vaste ed inquietanti problematiche che pongono in crisi i fondamenti stessi del suo essere e del suo agire». L’eredità cristiana «rischia di svuotarsi della sua verità e dei suoi contenuti più profondi; rischia di diventare un orizzonte che solo superficialmente – e negli aspetti piuttosto sociali e culturali –, abbraccia la vita; rischia di ridursi ad un cristianesimo nel quale l’esperienza di fede in Gesù crocifisso e risorto non illumina il cammino dell’esistenza». Se pure le radici sono ancora presenti, «anche un popolo tradizionalmente cattolico può, tuttavia, avvertire in senso negativo, o assimilare quasi inconsciamente, i contraccolpi di una cultura che finisce per insinuare un modo di pensare nel quale viene apertamente rifiutato, o nascostamente ostacolato, il messaggio evangelico». Viviamo in altre parole – così il discorso al Polo della Salute a Venezia – in «un tempo nel quale si è esaurita la forza delle utopie ideologiche e non solo l’ottimismo è oscurato, ma anche la speranza è in crisi».
A Venezia, «città d’acqua», il Pontefice ha ricordato «un celebre sociologo contemporaneo, che ha definito “liquida” la nostra società, e così la cultura europea: una cultura “liquida”, per esprimere la sua “fluidità”, la sua poca stabilità o forse la sua assenza di stabilità, la mutevolezza, l’inconsistenza che a volte sembra caratterizzarla». Il sociologo – britannico di origine polacca – è Zygmunt Bauman, cui Benedetto XVI aveva già fatto cenno nel suo viaggio in Portogallo del 2010. «Nella storia – ha detto il Papa a Venezia – bisogna scegliere»: «si tratta di scegliere tra una città “liquida”, patria di una cultura che appare sempre più quella del relativo e dell’effimero, e una città che rinnova costantemente la sua bellezza attingendo dalle sorgenti benefiche dell’arte, del sapere, delle relazioni tra gli uomini e tra i popoli». La scelta, dunque, è fra una «città “della vita e della bellezza”», che riscopre le radici cristiane e se ne alimenta, e una «città “liquida”», dove nulla è stabile e tutto continuamente muta sommerso dai gorghi del relativismo. Dobbiamo scegliere: e tutto dipenderà «in fondo, da questo orientamento fondamentale, che possiamo chiamare “politico” nell’accezione più nobile e più alta del termine».
Nella Basilica di Aquileia Benedetto XVI ha fatto pure cenno alla «crisi sempre più diffusa della vita coniugale», al «crollo della natalità», e ancora alla «ricerca spesso esasperata del benessere economico, in una fase di grave crisi economica e finanziaria, il materialismo pratico, il soggettivismo dominante», «il processo di omologazione provocato dall’azione pervasiva dei mass-media». Vi è poi il delicato problema dell’immigrazione e della nascita di una società multireligiosa, in cui occorre non rinunciare ad annunciare a tutti il Vangelo. «In questo contesto, che in ogni caso è quello che la Provvidenza ci dona, è necessario che i cristiani, sostenuti da una “speranza affidabile”, propongano la bellezza dell’avvenimento di Gesù Cristo, Via, Verità e Vita, ad ogni uomo e ad ogni donna, in un rapporto franco e sincero con i non praticanti, con i non credenti e con i credenti di altre religioni. Siete chiamati a vivere con quell’atteggiamento carico di fede che viene descritto dalla Lettera a Diogneto: non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia». Venezia in particolare, ha detto il Papa al Molo di San Marco, ha sempre «corrisposto nei secoli alla speciale vocazione di essere ponte tra Occidente ed Oriente» e ha oggi una speciale opportunità di coniugare le ragioni dell’accoglienza e quelle della missione. E a Mestre ha riconosciuto come dato di fatto la presenza di una «paura degli altri, degli estranei e dei lontani che giungono nelle nostre terre e sembrano attentare a ciò che noi siamo»: una paura cui reagire sia operando per un «armonico e integrale sviluppo dell’uomo e della società», sia proponendo a tutti il Vangelo.
Il quarto passaggio del complessivo discorso del Papa in Veneto riguarda la necessità, perché le radici cristiane tornino a essere il vivo fondamento di una società più rispettosa dei diritti della persona e della legge di Dio, di quella che – come già aveva fatto nel viaggio a Cagliari del 2008 – non ha esitato a chiamare una nuova classe dirigente desiderosa e capace di non sottrarsi alla responsabilità della politica, che per i laici cristiani non è facoltativa. Parlando al Molo di San Marco il Papa ha raccomandato «anche a voi, come alle altre Chiese che sono in Italia, l’impegno a suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico. Esso ha più che mai bisogno di vedere persone, soprattutto giovani, capaci di edificare una “vita buona” a favore e al servizio di tutti. A questo impegno infatti non possono sottrarsi i cristiani, che sono certo pellegrini verso il Cielo, ma che già vivono quaggiù un anticipo di eternità». Ma – ha aggiunto il Papa nella Basilica di San Marco – per costruire questa nuova classe dirigente la preparazione tecnica non basta: «ci vogliono fedeli laici affascinati dall’ideale della “santità”, per costruire una società degna dell’uomo, una civiltà dell’amore». E «la “santità” non vuol dire fare cose straordinarie, ma seguire ogni giorno la volontà di Dio, vivere veramente bene la propria vocazione, con l’aiuto della preghiera, della Parola di Dio, dei Sacramenti e con lo sforzo quotidiano della coerenza».
S’inserisce qui la riflessione, nell’incontro al Polo della Salute di Venezia, sul titolo di «Serenissima» dato alla Repubblica Veneta, che ha offerto a Benedetto XVI l’occasione di riprendere il tema della politica come sforzo per elevare la città dell’uomo verso la Città di Dio, già accennato nel numero 7 dell’enciclica Caritas in Veritate. «Serenissima» è «un titolo davvero stupendo – ha detto il Papa –, si direbbe utopico, rispetto alla realtà terrena, e tuttavia capace di suscitare non solo memorie di glorie passate, ma anche ideali trainanti nella progettazione dell’oggi e del domani, in questa grande regione. “Serenissima” in senso pieno è solamente la Città celeste, la nuova Gerusalemme, che appare al termine della Bibbia, nell’Apocalisse, come una visione meravigliosa (cfr Ap 21,1 - 22,5). Eppure il Cristianesimo concepisce questa Città santa, completamente trasfigurata dalla gloria di Dio, come una meta che muove i cuori degli uomini e spinge i loro passi, che anima l’impegno faticoso e paziente per migliorare la città terrena. Bisogna sempre ricordare a questo proposito le parole del Concilio Vaticano II: “Niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo” (Cost. Gaudium et spes, 39)». A margine – riferendosi a controversie recenti sul Vaticano II – il Papa ha annotato qui che « i Padri conciliari, che ci hanno lasciato questo insegnamento, avevano vissuto l’epoca delle due guerre mondiali e dei totalitarismi. La loro prospettiva non era certo dettata da un facile ottimismo, ma dalla fede cristiana, che anima la speranza al tempo stesso grande e paziente, aperta sul futuro e attenta alle situazioni storiche».
L’obiettivo di chi costruisce speranza nella storia può essere riassunto nel termine «salute»: «una realtà onnicomprensiva, integrale: va dallo “stare bene” che ci permette di vivere serenamente una giornata di studio e di lavoro, o di vacanza, fino alla salus animae, da cui dipende il nostro destino eterno». La vera salute è liberazione «da ogni negazione, fino a quella radicale che è il male spirituale, il peccato, radice velenosa che inquina tutto». E l’autentica salute è Gesù Cristo, che «scioglie l’uomo dalle sue “paralisi” fisiche, psichiche e spirituali; lo guarisce dalla durezza di cuore, dalla chiusura egocentrica e gli fa gustare la possibilità di trovare veramente se stesso perdendosi per amore di Dio e del prossimo». Lo sapevano i veneziani del XVII secolo, che al centro della rotonda maggiore della Basilica della Salute incisero il motto Unde origo, inde salus, «Dov’è l’origine, lì è la salute». L’origine è Maria, che salvò i veneziani dalla peste del 1630, e che ancora oggi invochiamo perché ci salvi dalle tante nuove pesti sociali e spirituali della «società liquida».
SANITA' TRASFUSIONE CON SANGUE CREATO IN LABORATORIO SALVA UNA TESTIMONE DI GEOVA. - GIORNO/RESTO/NAZIONE – 6 maggio 2011
Sanità Trasfusione con sangue creato in laboratorio Salva una testimone di Geova. «Prima volta al mondo» AUSTRALIA Sacche di sangue (Castellani) SYDNEY. Per la prima volta un sostituto sintetico del sangue è stato utilizzato come salvavita. E` accaduto in Australia, all`Alfred hospital di Melbourne. Il prodotto, derivato dal sangue bovino, è stato autorizzato per uso compassionevole in una trasfusione ad una testimone di Geova. L`intervento, senza il quale la donna sarebbe morta, risale allo scorso ottobre, e si tratta del primo caso conosciuto in cui il sangue sintetico abbia permesso di ossigenare nuovamente il sangue, il cuore e gli altri organi, nella vittima di un trauma. La donna, Tamara Coakley (33 anni), era rimasta gravemente ferita in un incidente d`auto. Aveva perso molto sangue ed era pericolosamente vicina a un collasso cardiaco, ma in quanto testimone di Geova, non poteva ricevere trasfusioni di sangue. Le era permesso soltanto di accettare un sostituto. Così i medici hanno fatto il «miracolo». Per il direttore del Servizio traumatologico dell`ospedale, Mark Fitzgerald, «si tratta di un passo importante nello sviluppo di un`alternativa fattibile per affrontare la scarsezza di riserve di sangue su scala mondiale». [.]
Avvenire.it, 7 maggio 2011 - IL DOCUMENTO - Stati vegetativi cura e rispetto di Pier Luigi Fornari
Dopo l’approvazione lo scorso anno della legge sulle cure palliative e la terapia del dolore, e con il varo avvenuto giovedì sera delle linee guida per le Regioni sugli stati vegetativi, si viene a creare la situazione migliore perché la proposta di legge sul fine vita, che deve essere licenziata dalla Camera dopo le elezioni amministrative, sia applicata al meglio. «L’accusa pretestuosa rivolta al governo – sottolinea il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella – secondo cui vorrebbe far vivere i malati ma non assisterli si mostra del tutto infondata. Le linee guida dimostrano quanto ci stia a cuore l’assistenza dei pazienti e per farle arrivare in porto l’esecutivo si è impegnato al massimo».
Le linee guida recepiscono sia il "Libro bianco" elaborato con le associazioni dei familiari guardando in particolare alle «buone pratiche», sia i risultati della commissione di esperti sullo stato vegetativo e di minima coscienza presieduta dalla Roccella (prosecuzione di quella già guidata da Domenico Di Virgilio). Questo organismo, dopo aver esaminato tutte le novità scientifiche nel campo ed aver delineato anche un ampio quadro epidemiologico, ha dato precise indicazioni sui percorsi appropriati.
«Il problema principale degli stati vegetativi – spiega il sottosegretario – non sono infatti i costi, ma l’adozione di percorsi appropriati. Anche dalle segnalazioni delle famiglie, risulta che oggi c’è un’eccessiva permanenza in rianimazione, molto costosa, e non utile per il malato, che invece deve intraprendere quanto prima un percorso di riabilitazione».
Mancano – e a questo le linee guida pongono rimedio – strutture che seguono il paziente in un percorso gradualmente riabilitativo. L’assistenza ai pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite, è scritto nella introduzione alle linee di indirizzo, «si concentra soprattutto nelle fasi precoci dell’assistenza» mentre le fasi in cui si dovrebbe realizzare un’efficace integrazione ospedale-territorio «appaiono proporzionalmente meno ricche di provvedimenti». Inoltre si evidenzia che la percentuale di "morti evitabili" e delle disabilità gravi è più elevata «in assenza di strutture deputate al trattamento delle gravi cerebrolesioni acquisite e quando l’assenza di competenze specifiche comporta un’inadeguata gestione»
Superate infatti le fasi «acuta», e «post-acuta», nella cosiddetta «fase di stato», evidenziano le linee guida, «è indispensabile prevedere sia una soluzione di assistenza domiciliare integrata, sia una di assistenza residenziale in strutture extra-ospedaliere». Si prescrive, perciò, un cambiamento di prospettiva, regolando meglio il flusso dei pazienti con la riqualificazione dei percorsi assistenziali, e passando alla organizzazione di «un "sistema esperto" integrato a rete». La scelta della soluzione più adeguata in funzione delle condizioni della persona in stato vegetativo o di minima coscienza e dei suoi cari, inoltre, «deve essere prospettata dai servizi e condivisa dalle famiglie».
Le linee guida raccomandano comunque «particolare attenzione» nelle modalità di passaggio da una fase all’altra. Ogni Regione o Provincia autonoma dovrà definire «con un atto formale lo specifico percorso» da seguire per le persone in tali condizioni, partendo dalle "buone pratiche" già realizzate nel territorio. «Tali percorsi dovranno essere trasferiti nella carte dei servizi e comunicati con chiarezza alle famiglie».
«Ci sono anche le risorse economiche necessarie – rimarca la Roccella – perché il Ministero da due anni sta vincolando dei fondi adeguati negli obiettivi di piano, in modo da impegnare le regioni a utilizzare quelle risorse per quella destinazione», un compito dettato anche ovviamente dal complesso delle linee guida approvate giovedì. Un altro elemento caratterizzante di esse è il fatto che promuovono «a livello nazionale e regionale adeguate forme di consultazione con le associazioni di familiari». Esse, quindi da questo possono far leva su quanto affermato negli indirizzi approvati dalla conferenza unificata, per ottenere modi adeguati di interloquire con le Regioni.
«Comunque ogni anno – garantisce il sottosegretario alla Salute – l’occasione per fare il punto della situazione sarà offerto dalla giornata degli stati vegetativi, a partire da quanto elaborato dalla task force internazionale a questo proposito». Questo organismo è un coordinamento di esperti di livello internazionale, che si muovono verso obiettivi comuni: il primo è quello di cambiare la denominazione "stati vegetativi". «Si vuole adottare la denominazione "sindrome non responsiva" – chiarisce la Roccella – si vuole evitare di parlare del livello di coscienza, sulla quale la ricerca sa ancora poco, cercando invece di verificare la responsività». La giornata degli Stati vegetativi sarà anche un modo di verificare l’applicazione delle linee guida, dando la parola alle associazioni per vedere praticamente quali percorsi di assistenza e di riabilitazione siano stati adottati dalle singole regioni.
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IL CONSENSO INFORMATO-CONDIVISO: UN RAPPORTO DI RISPETTO E RELAZIONE di Pubblicato il 6 maggio 2011 da http://www.blogscienzaevita.org/
L’attuale crisi di fiducia nella classe medica, esposta in questi ultimi anni a una strisciante pressione per l’aumento del contenzioso legale da parte di pazienti sempre più insoddisfatti delle cure ricevute, sembra rimettere in discussione le modalità applicative di quel protocollo clinico detto “consenso informato”. La pratica dell’informazione corretta riguardo alle terapie a cui si intende sottoporre il malato è del resto necessaria e indispensabile, anche se il momento oggettivo- informativo non può, di fatto, esaurire tale protocollo, che altrimenti va compreso, discusso e ripreso attraverso un dialogo orale, ben più adatto ad interpretare i bisogni e le richieste del malato. Ogni sanitario sa, infatti, che il paziente più che di semplice informazione, ha bisogno di condivisione. Si aprono in questo scenario le potenzialità relazionali del consenso “informato e condiviso”, perché solo alle condizioni di una trattativa rasserenante e fiduciale è possibile si attui quella necessaria “consegna” fra due persone, vicine non per scelta ma per destino: da un lato il paziente che si affida al medico, dall’altra il clinico che, sorretto da questa fiducia, si impegna a realizzare terapeuticamente quanto insieme concordato. Il consenso informato-condiviso, oltre che a presentarsi come una carta dei diritti individuali, può diventare l’espressione di una tappa di crescita interpersonale, là dove solidarietà e finitezza, competenza e fragilità. Affidamento e rispetto infine si incontrano.
Paola Ricci Sindoni, Ordinario di Filosofia morale Università di Messina
LE TRE SUPERMAMME CHE COMBATTONO IL CANCRO di Pappagallo Mario Corriere della Sera di sabato 7 maggio 2011
Mamme ricercatrici di livello internazionale. E grazie all'Associazione per la ricerca sul cancro (Airc) capo progetto. Famiglia, laboratorio, corsia, sperimentazioni. Manager di team messi in piedi grazie ai loro progetti, promossi dai severi selezionatori Airc. Donne a capo di finanziamenti quinquennali Start Up (destinati a ricercatori sotto i 35 anni). Giovani scienziate che pubblicano i loro studi su riviste considerate al top in base al criterio dell'impact factor, in base cioè al peso che hanno sulla conoscenza a livello internazionale. In tutto cinque su un totale di 15 responsabili di progetto, ma da sole vantano 142 pubblicazioni nel quinquennio 2006-2010 con un impact factor medio di 8,14 e un punteggio totale di 1.155,20 (i io ricercatori maschi sommano 177 pubblicazioni e un impact factor medio di 7,48). Di queste cinque Start Up Airc, tre sono mamme. Chi sono? Katia Scotlandi, dell'Istituto Rizzoli di Bologna, è una dei massimi esperti italiani di tumori delle ossa. Una delle tre supermamme. Ha appena pubblicato un lavoro in cui indaga il rapporto tra i recettori per l'insulina e i fattori di crescita dei tumori. Due figli: Nicolò Luca, di 13 anni, e Anita Maria Luna, di 6. Anche tre gatti. Casa nel verde, sui colli a pochi chilometri da Bologna. I genitori di Katia sono figure essenziali anche nella gestione dei figli. «Mi tranquillizza saperli con i nonni — dice —. Da parte mia, cerco di essere molto presente, ma sono a mia volta figlia di donna lavoratrice, quindi non ho mai avuto l'ansia di esserci poco». A Chieti, presso il Centro di scienze dell'invecchiamento dell'università «G. D'Annunzio», lavora Rosa Visone. Napoletana, 35 anni, decine e decine di pubblicazioni e una lunga esperienza di ricerca negli Stati Uniti, università dell'Ohio, al fianco dello scienziato Carlo Maria Croce. Un cervello di fresco ritorno. Concilia la guida di un gruppo giovane e motivato (in una Start Up che coinvolge anche le università di Ferrara e di Londra) con la figlia piccolissima: Sofia, nata nell'ottobre del 2010. «Matteo è il mio migliore esperimento». La terza Start Up Airc si presenta così. Lucia Ricci Vittiani, 39 anni, mamma di Matteo nato a gennaio del 2011. Si occupa di cellule staminali, il cui studio ha «imposto» con grinta quando nessuno dava credito a queste cellule, presso l'Istituto superiore di sanità a Roma. Origini umili (i suoi genitori hanno la licenza elementare e suo padre è invalido da molti anni), per Lucia e suo fratello crescere non è stato facile e studiare non è mai stato scontato. Lei si è iscritta al liceo scientifico poi all'università, quasi per scommessa. Quando si è laureata, le è sembrato di aver raggiunto un traguardo incredibile. Così come il figlio tanto cercato. «A me piacciono le famiglie numerose», confida e lancia l'ennesima sfida: «Matteo non può restare figlio unico!». Così la ricerca italiana, già prevalentemente rosa (nei numeri), lo comincia a essere anche al vertice. L'azalea è un buon simbolo di questa realtà. Fiore della ricerca che l'Airc propone annualmente per raccogliere fondi, fiore che può degnamente rappresentare le giovani emergenti. Va sottolineato italiane, perché nel nostro Paese sono ancora le quote rosa di vertice a essere le più sbiadite. Ancor più se mamme. Quindi un 8 maggio da dedicare alle mamme lavoratrici. In un Paese dove il 27,1% delle donne occupate abbandona il lavoro dopo la maternità e solo 1'8% delle impiegate con figli è dirigente. In un Paese dove mancano gli aiuti, sia economici sia strutturali, per far sì che l'impegno familiare non sia lasciato interamente sulle spalle delle donne. In un Paese dove le risorse pubbliche per le famiglie sono tra le più basse d'Europa (1,36% contro, per esempio, il 3,02% della Francia) e dove meno del 10% dei bambini tra zero e due anni frequenta un asilo pubblico o privato. L'Airc ancora una volta è avanguardia. Basti pensare al «laboratorio G» del suo istituto di oncologia molecolare (Ifom), dove le ricercatrici in gravidanza possono lavorare senza rischi per il nascituro. Basti pensare al programma speciale di Oncologia molecolare clinica che ha arruolato in tutto 921 ricercatori, di cui circa il 60% donne. Basti pensare allo stesso Ifom, dove la percentuale femminile è del 62% su un totale di circa 208 ricercatori (età media 33 anni). E un record tra i record: Chit Fang Cheok, 32 anni, guida il super laboratorio dedicato allo studio di P53, la proteina chiave nella genesi di molti tumori. E' il super laboratorio che Ifom-Airc ha aperto a Singapore in associazione con il centro di ricerca pubblica A*Star. Il top a livello internazionale, guidato dallo scopritore di p53: il britannico David Lane. Quando lui scopriva P53, Chit Fang nasceva. Ma il destino ha voluto che dopo anni di ricerche con il «maestro» Lane sia anch'essa tornata a casa. A Singapore, ma sempre con l'Airc di mezzo.
Rosaria Elefante, biogiurista - «Finalmente definizioni condivise tra medici, famiglie e associazioni» - Le Iinee guida garanzia innanzitutto peri pazienti. Fine della "migrazione" sanitaria - di Pino Ciociola, Avvenire, 7 maggio 2011
L' approvazione di queste linee guida è un "risultato straordinario" e quasi "una sorta di rivoluzione", secondo Rosaria Elefante, avvocato e presidente dell'Associazione nazionale biogiuristi italiani.
Perché è cosi entusiasta, presidente Elefante?
E' la prima volta che vengono ottimizzate, e indirizzate nella giusta direzione, le soluzioni alle vere problematiche delle persone in stato vegetativo o di minima coscienza.
Per esempio queste stesse persone finora non avevano una sorta di precisa "classificazione".
Esattamente. Stato vegetativo e di minima coscienza non erano "riconosciuti": questi pazienti venivano cioè definiti attraverso una serie di patologie, ma non esisteva il codice identificativo di "stato vegetativo" o "minima coscienza". E dunque di persone col più elevato grado di disabilità.
Un gran bel punto di partenza. E non solo. Perché linee guida elaborate in questo, dopo avere messo i massimi esperti e le famiglie a lavorare allo stesso progetto, sono una garanzia soprattutto per i pazienti.
Ma che cosa cambia, dal punto
di vista giuridico,dopo l'approvazione di queste linee guida?
Sicuramente l'omogeneizzazione dei servizi a livello nazionale. Le regioni dovranno conformarsi ad uno standard minimo assistenziale che deve essere guale su tutto il territorio.
Cioè il percorsi terapeutici, ad esempio, offerti in Lombardia piuttosto che Sicilia dovranno essere gli stessi?
Certamente. E, poniamo, il numero delle ore da garantire per la fisioterapia di un paziente in stato vegetativo dovranno essere uguali dappertutto. Le linee guida sono appunto le linee fondamentali che ogni regione dove adottare nel proprio territorio.
Tanto più che esiste il diritto alla tutela della salute e alle cure...
Che deve essere e rimanere esattamente identico relativamente a qualsiasi zona.
Non può più esistere la "migrazione " sanitaria legata a migliori standard delle offerte, e con queste linee guida potrà cessare.
Dunque secondo lei quest'approvazione anche giuridicamente è poco meno che una rivoluzione?
Direi di si. Lo ripeto: aver fattto individuare queste linee guida dai maggiori esperti insieme alle famiglie significa volere fare esclusivamente l'interesse del paziente. E di questo credo vada dato atto al sottosegretario Roccella, che non ha voluto fare la solita "politica", ma provare a risolvere il problema in maniera autentica.
Giuliano Dolce, neurologo «Finita la confusione, adesso le Asl dovranno parlare una lingua comune» - Quattro commissioni, quattro governi. Poi il casa Eng|aro...Ed infine il testo - di Emanuela Vinai, Avvenire, 7 maggio 2011
Il professor Giuliano Dolce e direttore scientifico del Centro Ran (Ricerca avanzata in neuroriabilitazione) delllstituto S. Anna di Crotone e membro e promotore della European Task Force on Disorders of Consciousness.
Professore, che cosa succede dopo l'approvazione delle linee guida?
È stato approvato un buon documento, chiaro, lineare e soprattutto condiviso dalla Conferenza delle Regioni cui, a questo punto, va l'onere dell'applicazione. Ora c’e una situazione confusa, a macchia di leopardo, per cui alcune regioni sono meglio organizzate di altre. Da qui in poi sarà necessario unificare a livello nazionale i servizi.
Quanta importanza riveste il documento per gli operatori sanitari?
Molta, perché finalmente si comincia a parlare una lingua comune. Un rilievo maggiore l'ha nei confronti degli amministratori locali, delle Asl, che dovranno impegnarsi per strutturare un’adeguata assistenza extra ospedaliera sul territorio.
Queste linee guida sono un punto di arrivo o di partenza?
Entrambi. Un punto di arrivo, perché l'esperienza di alcuni pionieri ha portato all'elaborazione di questo documento. Siamo però consapevoli che tra cinque anni ne faremo uno diverso, perché la materia ha un'evoluzione continua.
Quali sono stati i passi fondamentali in questo senso?
Negli anni si sono succedute quattro commissioni che hanno lavorato sotto altrettanti governi per lo studio e l' elaborazione di un testo che contenesse linee di indirizzo condivise.
Nel frattempo c‘e stato il "caso Englaro", che ha impresso un’accelerazione alla vicenda e, contemporaneamente, sono state acquisite nuove risultanze scientifiche. Per esempio, non si sapeva che i pazienti in queste condizioni potessero provare dolore: ora lo sappiamo con certezza.
Quali sono le principali scoperte che hanno portato a una nuova definizione riguardo i cosiddetti "stati vegetativi' ?
Sono principalmente due. Il primo è la constatazione che lo stato vegetativo non è tale perché il paziente non è in una condizione fissa; e si è ampiamente dimostrato, con le cure adatte, si ottengono ottimi risultati di recupero. In secondo luogo, non è vero che durante questo stato non vi sia attività di coscienza. Il cervello non è fermo, lavora; noi non siamo ancora in grado di interpretarlo, solo di registrare i correlati elle funzioni.
E riguardo all'assistenza ai familiari?
Noi dobbiamo anzitutto curare e assistere i pazienti. I familiari sono importanti e necessitano di un'azione di supporto psicologico e logistico che può essere efficacemente gestita da una struttura parallela espressamente loro dedicata. Ma questo richiede un dispiego di risorse difficile da trovare.
ACCORDO TRA IL MINISTRO DELLA SALUTE, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO SULLE LINEE DI INDIRIZZO PER L’ASSISTENZA ALLE PERSONE IN STATO VEGETATIVO E STATO DI MINIMA COSCIENZA
LA CONFERENZA PERNIANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO, LE
REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
VISTO la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale;
VISTO il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, in particolare l'articolo 8-octies, che prevede che le Regioni e le Aziende unita sanitarie locali attivino un sistema di monitoraggio e controllo (.,.) sulla qualità dell‘assistenza e sull’appropriatezza delle prestazioni rese;
VISTO gli articoli 2, comma 1, lett. b) e 4, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che affidano a questa Conferenza il compito di promuovere e sancire accordi tra Governo e Regioni, in attuazione del principio di leale collaborazione, al fine di coordinate l’esercizio delle rispettive competenza e svolgere attività di interesse comune;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997 "Approvazione dell`atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private", che definisce le attività di valutazione c miglioramento della qualità in termini metodologici c prevede tra i requisiti generali richiesti alle strutture pubbliche e private che le stesse siano dotate di un insieme di attività e procedure relative alla gestione, valutazione e miglioramento della qualità;
VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 di "Delinizione dei Livelli Essenziali di Assistenza", nel quale viene indicata la necessita di individuare percorsi diagnostico-terapeutici sia per il livello di cura ospedaliero che per quello territoriale;
VISTO il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008. approvato con decreto del Presidente della Repubblica il 7 Aprile 2006 che, nel1’affrontare la grande problematica assistenziale della non autosufficienza e della disabilita, pone l’accento sulla necessita di agire sul potenziamento dell’assistenza territoriale, sull’integrazione dei servizi sanitari e sociali, anche mediante la realizzazione di reti assistenziali con i necessari supporti tecnologici
VISTO il decreto ministeriale del 12 settembre 2005 che ha istituito la Commissione tecnico scientifica sullo Stato Vegetative e State di Minima Coscienza per lo studio e la ricerca di carattere statistico, medico, scientifico e giuridico delle dimensioni del fenomeno connesso ai pazienti in Stato Vegetativo e/o minimamente cosciente nel nostro Paese;
VISTO il documento “Stato Vegetativo e Stato di Minima Coscienza" elaborato a conclusione dei lavori della predetta Commissione;
VISTO il D.M. 23 maggio 2008 "Delega di attribuzioni del Ministro del Lavoro. della salute e delle politiche sociali al Sottosegretario di State, On. Le Eugenia Roccella, per taluni atti di competenza dell’amministrazione;
VISTO il Decrcto Ministeriale l5 Ottobre 2008 istitutivo del "Gruppo di Lavoro sullo Stato Vegetativo e di Minima Coscienza", presiedute dal Sottosegretario di State, On. Le Eugenia Roccella;
CONSIDERATO che il numero e l’aspettativa di vita di soggetti in Stato Vegetativo e di minima coscienza è in progressivo aumento in tutti i paesi industrializzati;
CONSIDERATO che il progresso tecnico-scientifico e d’implementazione delle conoscenze c delle tecniche nel campo della rianimazione hanno determinato sia un miglioramento della qualità dell’assistenza che una prolungata sopravvivenza a patologie degenerative c cerebrali;
CONSIDERATO la necessità di definire percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali costruiti sulla appropriatezza e sulla centralità effettiva del paziente;
PRESO ATTO del risultato dell`attività svolta dal Gruppo di Lavoro istituito con D.M. l5 ottobre 2008, che ha prodotto il documento "Stato Vegetativo e di Minima Coscienza - Epidemiologia, evidenze scientifiche e modelli assistenziali", consultabile nel portale del Ministero della Salute;
PRESO ATTO che il documento illustra ed esamina aspetti di diagnosi, cura e assistenza deipazienti in Stato Vegetativo e li contestualizza all’interno di modelli di percorsi assistenziali delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite;
PRESO ATTO che, tramite un approccio multidisciplinare di qualificati professionisti, questi percorsi sono finalizzati ad assicurare la "presa in carico" del paziente e dei familiari dalla fase acuta al reinserimento domiciliare e che il percorso si articola come un sistema integrate “coma to community”
CONSIDERATO che il documento del gruppo di lavoro propone approcci clinici e suggerimenti operativi che scaturiscono dall’esperienza di esperti qualificati, con l’obiettivo di mettere a disposizione delle regioni, che ne valuteranno l’adattabilità alla propria specifica realtà, modelli e requisiti organizzativi, anche di eccellenza. che agevelino la realizzazione dei percorsi di diagnosi e cura prospettati in una logica di rete;
CONSIDERATO che nel corso dell`odierna seduta di questa Conferenza, i Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome hanno espresso avviso favorevole all’Accordo;
ACQUISITO l’assenso del Governo e dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome, espresso
ai sensi dell’articolo 4. comma 2 del decreto legislative 28 agosto 1997, 11. 28];
SANCISCE ACCORDO
tra il Ministro della Salute, i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano nei seguenti termini;
art. 1
il Ministro della Salute, i Presidenti delle Regioni, i Presidenti delle Province Autonome di Trento e Bolzano convengono sulla necessità che ciascuna Amministrazione definisca, con atto formale, lo specifico percorso assistenziale da seguire per le persone in condizione di S.V. e S.M.C. Tale percorso, partendo da quanto già attuato e in particolare dalle eventuali positive esperienze già realizzate nel proprio territorio, dovrà tener conto delle considerazioni cliniche contenute nelle
linee di indirizzo di cui all’art. 10, e inserirsi in modo strutturale all’interno dell’organizzazione e programmazione sanitaria caratterizzante ciascuna Regione e Provincia Autononia. Tali percorsi dovranno essere trasferiti nelle carte dei servizi e dovranno essere comunicati con chiarezza alle famiglie, in modo di accompagnarle e supportarle durante tutte le fasi dell’assistenza c presa in carico del proprio congiunto;
art. 2
i percorsi dovranno prevedere il tipo di assistenza erogata e la relativa organizzazione dalla fase iperacuta e critica, a quella post-acuta fino a quella di stato e di possibile rientro a domicilio della persona in condizione di S,V. e S.M.C, Particolare attenzione dovrà essere posta nelle modalità di passaggio da una fase all’altra e nelle modalità di dimissione protetta tra l’assistenza prestata in un determinato ambito o servizio e quella prestata nell’ambito o servizio successivo, in modo da evitare fratture nella continuità assistenziale e condizioni di improprio abbandono delle famiglie;
art. 3
nella fase acuta é necessario porre attenzione immediata agli aspetti funzionali e conseguentemente riabilitativi, fin dalla degenza in reparti critici, riducendo, per quanto c onsentito dalle condizioni cliniche del paziente, la permanenza in reparti di rianimazione e intensivi e collocando al più presto il paziente in ambienti anche sub intensivi, dove l`attenzione al suo stato funzionale possa essere affidata a professionisti particolarmente esperti nel settore delle gravi Cerebro Lesioni Acquisite;
art. 4
nella fase post-acuta è essenziale prevedere unità dedicate alla neuro—riabilitazione intensiva e alle gravi cerebro lesioni acquisite e il loro collegamento in rete con gli altri servizi di riabilitazione sia a breve sia a più lungo termine;
art. 5
nella fase di stato è indispensabile prevedere sia una soluzione di assistenza domiciliare integrata, sia una di assistenza residenziale in strutture extra-ospedaliere. La scelta della soluzione più adeguata. in funzione delle condizioni generali della persona in S.V. e S.M.C. e della sua famiglia deve essere prospettata dai servizi e condivisa dalle famiglie. Tale scelta potrà cambiare nel tempo in funzione dei possibili mutamenti della situazione della persona in S,V. e S.M.C. e delle condizioni della famiglia;
art. 6
in tutto il percorso assistenziale, fin dalle prime fasi, devono essere previste modalità adeguate di informazione e comunicazione con la famiglia, di supporto per i familiari più impegnati nell’assistenza, con particolare riguardo al caregiver, di aiuto nelle fasi più critiche e decisionali nella gestione del congiunto. Le strutture extra-ospedaliere dedicate all`assistenza residenziale delle persone in S.V. e S.M.C. potranno essere utilizzate anche per ricoveri di sollievo per le famiglie impegnate nell’assistenza domiciliare del familiare
art. 7
si conviene di promuovere a livello nazionale e regionale adeguate forme di consultazione con le associazioni dei familiari;
art. 8
si conviene di promuovere iniziative e interventi finalizzati al monitoraggio della qualità dell’assistenza erogata sulla base di idonei flussi informativi afferenti al NSIS e di specifiche indagini epidemiologiche
art. 9
si conviene di promuovere l`adozione di linee guida nazionali su aspetti clinici con particolare riferimento ai criteri di stabilizzazione clinica e di passaggio tra settings;
Art. 10
il Ministro della Salute, i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano convengono sulle linee di indirizzo di cui all’allegato l, che scaturiscono dall’esperienza di esperti qualificati e da esperti delle singole Regioni, con l’obiettivo di mettere a disposizione delle Regioni, che ne valuteranno l’adattabilità alla propria specifica realtà, modelli e requisiti organizzativi, anche di eccellenza, che agevolino la realizzazione dei percorsi di diagnosi e cura prospettati in una logica di rete.
Il documento allegato al presente accordo (Allegato l) ne costituisce il riferimento culturale e di contesto per quanto convenuto.
LE STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE E LA SLA di Paolo De Lillo* - ROMA, domenica, 8 maggio 2011 (ZENIT.org)
Il Professor Paul R. Sanberg e la sua équipe hanno pubblicato sul numero di Marzo 2011 dell'importante rivista scientifica Cell Transplantation le loro ricerche, che li portano ad attribuire alle staminali del cordone ombelicale umano un ruolo basilare nella terapia di alcune patologie del sistema nervoso, in particolare della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).
Lo studio è stato condotto presso il Center of Excellence for Aging & Brain Repair e il Department of Neurosurgery and Brain Repair, della University of South Florida, a Tampa (Stati Uniti), oltre che da collaboratori provenienti da tre gruppi di ricerca del settore privato, Saneron CCEL Therapeutics Inc. di Tampa, Cryo-Cell International Inc. di Oldsmar, sempre in Florida, e Cryopraxis, Cell Praxis, BioRio a Rio de Janeiro (Brasile). La University of South Florida è davvero la punta di diamante nella ricerca sulle staminali cordonali, avendo al suo attivo decine di studi di alto livello, che hanno approfondito le caratteristiche, i meccanismi e l' uso di queste preziose armi terapeutiche.
Gli altri coautori dello studio erano Cyndy Davis Sanberg e Nicole Kuzmin-Nichols del Saneron CCELL Therapeutics, Inc., e Alison E. Willing, Carmelina Gemma, Paula C. Bickford, Christina Miller e Robert Rossi, ricercatori della University of South Florida.
Secondo gli scienziati americani, le staminali del cordone ombelicale, come quelle derivate dal sangue mestruale, sono relativamente facili da ottenere, sembrano essere in grado di differenziarsi in molti tipi di cellule e sono immunologicamente immature, offrendo la possibilità di promuovere la sopravvivenza dei neuroni, grazie alla produzione di specifici citochine e fattori di crescita, piuttosto che svolgere un ruolo di sostituzione cellulare una volta trasfuse.
Il trapianto di staminali del cordone ombelicale in numerosi modelli animali di Sclerosi Laterale Amiotrofica, ictus, Alzheimer e Sindrome di San Filippo tipo B, con infusioni singole o multiple, ha ottenuto una buona percentuale di successi e ha dimostrato il loro potenziale terapeutico di riduzione dell'infiammazione, una componente chiave di molte malattie neurodegenerative.1
"I fattori secreti dalle cellule trapiantate erano in grado di offrire un effetto neuroprotettivo. Questo può riguardare le staminali del cordone ombelicale, secernenti fattori di crescita vascolare endoteliale (VEGF), i fattori di crescita derivati dal cervello (BDNF), e la neurotrofina-3 (NT-3), tutti potenzialmente benefici per il trattamento delle malattie neurodegenerative e dell'ictus", ha detto Cesar Borlongan, professore presso il Dipartimento di Neurochirurgia e Brain Repair. E' stata inoltre riscontrata un'azione protettiva contro la mancanza di ossigeno e di glucosio.
Allo stesso modo, studi su modelli animali hanno scoperto che le staminali cordonali svolgono anche un ruolo antinfiammatorio. Secondo Jun Tan, professore di psichiatria, e Robert A. Silver, capo del Laboratorio Rashid di Neurobiologia dello Sviluppo al U.S.F. Silver Child Development Center, ad esempio, una delle principali cause dell'Alzheimer è la deposizione di beta amiloide, una sostanza chimica che attiva la risposta immunitaria in un certo numero di tipi di cellule fondamentali del cervello, e ciò porta a uno stato flogistico .“E' probabile che le staminali del cordone ombelicale possano modificare questa risposta infiammatoria e fornire effetti benefici in modelli murini di patologie neurodegenerative”, ha detto Tan.
Quando è stato studiato, il trapianto delle staminali cordonali in modelli animali di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), una malattia neurodegenerativa che ha anche una componente flogistica, ha dimostrato di contribuire a regolare la reazione infiammatoria, riducendo la microglia, le cellule cerebrali che avviano una risposta flogistica. In questo caso, i benefici delle staminali del cordone ombelicale umano iniettate erano proporzionali alle dosi.2
Nel giugno 2008, sempre la University of South Florida aveva già portato a termine un fondamentale studio sulla terapia della Sclerosi Laterale Amiotrofica con le cellule staminali del cordone ombelicale, pubblicato on line nel sito del PloS ONE (Public Library of Science). In esso i ricercatori di Tampa dimostravano che trapianti di questo tipo di staminali avrebbero potuto aiutare pazienti sofferenti di SLA, anche conosciuta come malattia di Lou Gehring, patologia progressiva, in cui degenerano i neuroni motori nelle corna anteriori della sostanza grigia, soprattutto nella parte cervicale del midollo spinale e nel tronco cerebrale, ma anche colpendo la corteccia e con danni diffusi tra le restanti cellule motorie. Lascia le sue vittime con una debolezza crescente ed ipotonia, che iniziano dai muscoli della mano, paralisi ed, infine, un'insufficienza respiratoria da tre a cinque anni dopo la diagnosi.
Ogni anno nel mondo si manifestano 350.000 nuovi casi di questa gravissima malattia, ad eziologia sconosciuta e multifattoriale, senza terapie farmacologiche adeguate. Ha una maggior prevalenza tra i maschi prima dei 65 anni, militari, sportivi, fumatori, coloro che hanno subito ripetute lesioni alla testa, nonché chi è stato esposto a pesticidi, alluminio, piombo o formaldeide e persone con una dieta molto ricca di grassi e di glutammato, che causa un'iperattività del sistema nervoso. Importanti virus ed una componente autoimmunitaria.
In questo studio i ricercatori della U.S.F. hanno trapiantato staminali cordonali in un modello murino di SLA, utilizzando tre diverse dosi cellulari, basse, medie ed elevate. Tutto ciò per individuare la concentrazione di staminali cordonali ideale, per ritardare la progressione dei sintomi e aumentare il tempo di sopravvivenza. I dati sperimentali attestavano che le quantità intermedie erano le più efficaci nel prolungare la vita e nel diminuire l'evoluzione negativa della Sclerosi Laterale Amiotrofica.
“I nostri risultati dimostrano che il trattamento per la SLA con un'appropriata dose di staminali del cordone ombelicale umano può determinare un effetto protettivo sui motoneuroni, per mezzo del coinvolgimento attivo di queste cellule nella modulazione della risposta del sistema immunitario e quello infiammatorio dell' ospite”, ha dichiarato Svitlana Garbuzova-Davis, PhD, Dsc, autore coordinatrice dello studio, professoressa del Center of Excellence for Aging and Brain Repair presso la USF.
Secondo l'opinione di questi ricercatori, la regolazione dei fattori, che controllavano le reazioni immunitarie ed infiammatorie, grazie ai trapianti delle staminali cordonali, potrebbe aver portato ad un rafforzamento dei neuroni motori prossimi a morire. La stessa équipe aveva precedentemente dimostrato che l'infusione delle cellule staminali del cordone ombelicale umano diminuiva, in modo simile, la flogosi e favoriva la neuroprotezione in modelli di ictus e di morbo di Alzheimer.
“Questi studi preclinici indicano che le cellule staminali del cordone ombelicale umano potrebbero proteggere i motoneuroni, inibendo le risposte infiammatorie e di difesa, attraverso la diminuzione delle citochine pro-infiammatorie, attivando proteine nel cervello e nel midollo spinale, che giocano un ruolo importante nella risposta immune”, hanno scritto Garbuzova-Davis e i suoi colleghi. “Le citochine pro-infiammatorie potrebbero essere dei mediatori indiretti, che favoriscono il contributo delle cellule gliali alla morte dei motoneuroni, e la loro riduzione potrebbe essere collegata alla diminuzione della microglia attivata, l'insieme delle cellule, che danno vita al complesso di difesa immunitaria attiva nel sistema nervoso centrale”.
Il team di ricercatori notava, tuttavia, che i particolari dei meccanismi, che determinavano alcuni benefici effetti di riparazione cellulare da parte delle staminali nella SLA, necessitavano ancora di ulteriori approfondimenti.
Il fatto che la dose intermedia, e non quella più alta, di staminali cordonali ha dimostrato di essere maggiormente efficace fa riflettere sul fatto che “la quantità non vince necessariamente sulla qualità”. Gli studiosi della USF ipotizzavano che la concentrazione elevata potesse essere meno valida, perché avrebbe indotto un conflitto immunologico all' interno del modello murino.
“Studi futuri dovranno prendere in considerazione la possibilità di iniezioni multiple con dosi minori per aiutare a trasformare questi esperimenti in trials clinici”, ha affermato il coautore e direttore del Centro, Paul R. Sanberg, PhD, Dsc.
“Sviluppare un efficace terapia per la Sclerosi Laterale Amiotrofica è reso complesso dal carattere diffuso della morte dei neuroni motori”, ha concluso la Professoressa Garbuzova-Davis. “Tuttavia, la terapia cellulare con staminali cordonali potrebbe offrirci in futuro una nuova cura, davvero promettente.”3
1) Sanberg PR, Eve DJ, Willing AE, Garbuzova-Davis S, Tan J, Sanberg CD, Allickson JG, Cruz LE, Borlongan CV. - The treatment of neurodegenerative disorders using umbilical cord blood and menstrual blood-derived stem cells. - Cell Transplant. 2011;20(1):85-94. Epub 2010 Sep 30.
2) SiFy.com e Agenzia ANI – 08/03/2011
3) Svitlana Garbuzova-Davis, PhD, DSc, Paul R. Sanberg, PhD, DSc Cyndy Davis Sanberg and Nicole Kuzmin-Nichols , Alison E. Willing, Carmelina Gemma, Paula C. Bickford, Christina Miller, and Robert Rossi. - Improvement Seen in Mouse Model Of ALS Following Umbilical Cord Blood Cell Transplant - PloS ONE (Public Library of Science) - Jun 2008
* Paolo De Lillo è dottore in Farmacia.
Nepal, la fede in ostaggio degli estremisti indù di Danilo Quinto, 07-05-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
Il parroco della cattedrale di Kathmandu all’inizio del mese di aprile, ha chiesto a tutti i cattolici di non introdurre borse e contenitori all’interno delle Chiese, dopo una serie di esplosioni contro auto pubbliche registrate nella regione del Terai (Nepal meridionale), costate un morto e oltre 50 feriti. Negli ultimi anni, in questa regione si è registrata una grande attività degli estremisti indù legati al Nepal Defence Army (Nda). Il gruppo è responsabile dell’attentato alla cattedrale dell’Assunzione di Kathmandu - il 23 maggio 2009, persero la vita tre cristiani e tredici rimasero feriti - degli attacchi alla sede del Congress Central Party dell’11 agosto 2010 ed alla moschea di Birantnagar del 26 aprile 2010 ed è anche sospettato della morte di padre John Prakash, di origine indiana, rettore della scuola salesiana di Sirsya (Morang) - “primo martire della Chiesa nepalese” - ucciso nel luglio 2007 a Bandel, villaggio a 45 chilometri dalla città di Kolkata.
Il Rapporto di “Amnesty International” denuncia che nella Repubblica federale democratica del Nepal, si verificano centinaia di uccisioni e rapimenti da parte delle forze statali e dei gruppi armati e la polizia è ricorsa a un uso non necessario ed eccessivo della forza per disperdere manifestazioni politiche e di rivendicazione dei diritti, picchiando tra l'altro i manifestanti con lathis (lunghi bastoni di legno) e con i calci delle pistole. Sono stati riferiti casi di tortura e altri maltrattamenti di detenuti e uccisioni di persone sospettate di essere affiliate con gruppi armati, in "scontri" simulati. A parere di “Amnesty” sono rimasti disattesi gli impegni assunti dal Nepal con l'Accordo completo di pace del 2006 per l'affermazione dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. Entrambe le parti impegnate nel conflitto terminato nel 2006, si resero responsabili della sparizione forzata di persone, sembra piu’ di 1.300. È proseguito il clima di impunità per i perpetratori di violazioni dei diritti umani durante il conflitto e nessun caso è stato portato davanti a un tribunale ordinario. Le autorità non hanno provveduto a dare attuazione ai mandati d'arresto disposti dai tribunali nei confronti di personale militare accusato di violazioni dei diritti umani, né hanno provveduto a risolvere il problema di oltre 2.500 ex bambini-soldato, rimasti dopo il conflitto nei cosiddetti “accantonamenti”.
Oltre un centinaio di gruppi sono rimasti operativi dopo il conflitto armato nella regione nepalese del Terai, rendendosi responsabili di violazioni dei diritti umani, come rapimenti di membri della comunità pahadi (collina) e attentati dinamitardi in luoghi pubblici. Come quelli che hanno subito le comunità cattoliche. La Nepal Defence Army, in particolare, combatte contro la secolarizzazione dello Stato e contro le aperture alle religioni di minoranza – i musulmani, concentrati nella regione del Terai e i cristiani, alle quali si aggiunge una piccola comunità ebraica, composta da 1.500 persone – rispetto alle fedi tradizionali: l’induismo e il buddismo.
Le violenze contro i cattolici aumentano tra il 2008 e il 2009, soprattutto ad opera dell’estremismo di matrice indù, divenuto più violento dopo la caduta della monarchia nel 2007 e dopo la riduzione allo stato civile di re Gyanendra.
Nei mesi seguenti l’omicidio di padre John Prakash, gli estremisti inviano minacce di morte a sacerdoti e membri della comunità cattolica, ordinando la chiusura di tutti gli istituti cattolici. Le intimidazioni colpiscono anche mons. Anthony Sharma, vicario apostolico del Nepal e alla fine di luglio il prelato scrive una lettera al Ministero degli Interni, dove chiede maggiore sicurezza per i cristiani da parte del governo, avvertendo sulla possibile chiusura delle scuole cattoliche del Paese. Il governo risponde inviando la polizia a guardia e protezione di chiese e istituti religiosi, ma l’iniziativa non ferma la violenza.
Il 23 maggio 2009, Sita Thapa Shrestha, ragazza di 27 anni e membro del Nepal Defence Army, fa esplodere una bomba all’interno della cattedrale dell’Assunzione di Kathmandu. L’arresto dell’attentatrice avviene il 4 giugno 2009. Riferisce il rapporto di “Aiuto alla Chiesa che soffre” che durante l’interrogatorio della polizia, la donna giustificò l’attentato con “il profondo odio verso i cristiani e le religioni diverse da quella indù”. Il 6 settembre 2009 la polizia arresta nel distretto di Jhapa (est del Paese) Ram Prasad Mainali, mandante dell’attentato e leader dell’Nda. A tutt’oggi Mainali resta in carcere e alla fine del 2009 ha chiesto perdono a cattolici e musulmani per gli atti commessi.
Le violenze non hanno comunque fermato la crescita dei cattolici. Secondo mons. Anthony Sharma, gesuita e Vescovo del Nepal, ogni anno circa 300 persone si convertono al cattolicesimo. La comunità cristiana del Nepal conterebbe, in base ad alcune stime, due milioni di fedeli, ma l'unica cifra sicura è il numero di cattolici: circa 8.000, secondo i registri parrocchiali. La clausola 11 della Bozza preliminare della Commissione sui Diritti fondamentali e i Principi direttivi (CFRDP) dell'Assemblea costituente, nella quale non siede alcun rappresentante della comunità cristiana, recita così: "ogni persona avrà la libertà di professare, praticare e preservare la propria religione in conformità con la propria fede, o di astenersi da qualsiasi religione. A patto che nessuna persona sia autorizzata ad agire contrariamente alla salute pubblica, al contegno decente e alla moralità, abbandonandosi ad attività che mettano in pericolo la pace pubblica o convertendo una persona da una religione a un'altra, e nessuna persona agisca o si comporti in modo da violare la religione altrui”.
Numerosi cristiani di professione protestante si sono di recente impegnati in uno sciopero della fame per affermare il diritto di seppellire i loro morti nei pressi del tempio indù di Pashupatinath, nella periferia est di Kathmandu, uno dei più importanti dell'induismo, che sorge sulle rive del fiume sacro Bagmati.. Mentre in Nepal, secondo la tradizione induista, viene praticata la cremazione, alcune religioni minoritarie preferiscono l'inumazione, ma a causa di un "boom" edilizio, i terreni per la sepoltura si fanno sempre più rari nella capitale, un fenomeno che ha spinto alcuni gruppi, fra cui i cristiani e i Baha'i, a seppellire i loro morti nella foresta di Sleshmantak, nei pressi del tempio di Pashupatinath. Secondo i dati diffusi dalla Federazione cristiana, ci sono già 200 pietre tombali nell’area di Sleshmantak e i cristiani hanno pagato dai 6 ai 10 euro per ogni tomba (l’ha riferito “AsiaNews”).
Dopo le proteste della comunità indù, che considera sacra l'intera foresta, le autorità hanno proibito il 29 dicembre scorso le inumazioni a Sleshmantak e l'ente che gestisce il tempio - il Pashupati Area Development Trust (PADT) - ha cominciato a distuggere le prime tombe. In seguito alla protesta da parte delle minoranze religiose, fra cui il "Christian Advisory Committee for the New Constitution" (CACNC), il ministero della Cultura e degli Affari federali sembrava disposto ad autorizzare nuovamente le sepolture, ma poi è stato costretto a cambiare idea sulla scia delle reazioni dei gruppi indù radicali.
La crisi si è aggravata quando la polizia ha bloccato il funerale di un giovane membro della minoranza etnica Kiranti-Rai, che da lunghissimo tempo seppellisce i propri defunti nella foresta di Sleshmantak. In seguito alle manifestazioni di protesta dei Kiranti, il governo ha autorizzato nuovamente il 2 febbraio la sepoltura di Kiranti nella foresta ed ha annunciato la creazione di una commissione che dovrà risolvere la delicata questione delle sepolture dei defunti non indù. A sua volta, la United Christian Alliance of Nepal (UCAN) - un organismo ecumenico che raggruppa dieci denominazioni cristiane, fra le quali la Chiesa cattolica - ha pubblicato il 5 febbraio una dichiarazione chiedendo al nuovo governo di dedicare "tutta la sua attenzione alle comunità cristiane e alle persone che reclamano il diritto di poter seppellire i loro morti", sempre secondo l'EDA. In attesa di una soluzione, i cattolici di Kathmandu hanno cominciato già circa un anno fa a praticare a loro volta la cremazione. "Per risolvere questa situazione noi cattolici abbiamo iniziato a cremare i morti, mettendo una lapide commemorativa sulle pareti delle chiese", aveva annunciato il parroco della cattedrale dell’Assunzione di Kathmandu, padre George Karapurackal (“AsiaNews”, 22 febbraio 2010). Questa soluzione provvisoria comporta però nuove forme di discriminazione, come ha ricordato mons. Sharma, perché sulle piattaforme sulle quali avvengono le cremazioni si fa una distinzione fra le caste e i cristiani sono trattati come persone di bassa casta. Nel 2009 i cristiani protestanti hanno segnalato un incremento dell’attività dell’estremismo indù, lamentando continui casi di estorsione, minacce e violenze, coincise con gli attentati compiuti a danno della comunità cattolica. Oltre alle violenze, denunciano soprattutto una loro estromissione dalla vita sociale del Paese e restrizioni alle loro attività religiose.
Riferisce “Aiuto alla Chiesa che soffre” che Narayan Sharma, leader della chiesa protestante, afferma che fino a tre anni fa in Nepal c’era l’unica monarchia indù del mondo, dove i cristiani vivevano una discriminazione da parte dello Stato, erano ostracizzati dalla società e imprigionati se trovati in preghiera. “Ufficialmente – dice Sharma – il Paese è cambiato nel 2007, con il passaggio ad un regime democratico secolare: ma tre anni dopo, tutto era rimasto come prima. Tempo fa la nostra comunità ha comprato un pezzo di terra in una foresta, nel distretto di Gorkha (Nepal Occidentale) per avere un cimitero, ma quando la comunità locale ne è venuta a conoscenza, ci ha chiesto di restituire la terra, dicendoci che non volevano cadaveri tra loro perché attiravano gli spiriti maligni”.
Sharma afferma che per i cristiani l’unico modo di seppellire i morti è farlo vicino alle loro abitazioni e che per i cristiani è anche difficile costruire e mantenere i propri luoghi di culto: “Le chiese non possono essere registrate: di conseguenza non godono dell’assistenza dello Stato come i templi indù o le moschee islamiche. I templi hanno a disposizione tutta le terra che vogliono, hanno elettricità e acqua, anche le madrasse islamiche ricevono fondi dallo Stato e il governo fornisce sussidi per il pellegrinaggio annuale a la Mecca”.
I cristiani lamentano anche l’inadeguata rappresentanza all’interno delle Istituzioni politiche. Tra i 601 membri dell’Assemblea costituente non vi sono cristiani, anche se il governo ha il potere di nominare almeno un delegato per le minoranze prive di rappresentanza politica. “Nonostante i cristiani siano in Nepal da oltre 350 anni – afferma Sharma – sono come orfani. Non c’è nessuno che possa parlare per noi, e siamo discriminati oltre ogni immaginazione”.
Con la proclamazione dello Stato secolare si assiste ad un aumento delle violenze estremistiche indù anche contro la comunità islamica. Violenze, attentati e minacce si sono intensificate con le elezioni del 10 aprile 2008, proseguite anche nei mesi successivi.
Il 26 aprile 2008, a Birantnagar, il Nepal Defence Army (Nda) fa scoppiare una bomba nei pressi della locale moschea durante la preghiera del sabato sera. L’ordigno uccide due persone e ne ferisce altre due. Il 4 ottobre 2008 uno sconosciuto fa esplodere un potente ordigno davanti alla moschea di Morang, ferendo quattro persone.
Nel 2009 i musulmani hanno chiesto al governo maggiore sicurezza e la possibilità di avere spazio nella scrittura della nuova Costituzione. Essi sostengono la necessità di riconoscere una identità “separata” alla comunità islamica del Paese, in maggioranza nella regione meridionale del Terai, compresa l’applicazione della sharia.
Nel 2008 l’avvento al potere dei maoisti fa segnare in Nepal una diminuzione della storica influenza del governo indiano – da sempre punto d’appoggio per i tibetani - in favore di un avvicinamento del Paese al partito comunista cinese. Le restrizioni hanno inizio già nel marzo 2008, quando il governo maoista assicura a Pechino la volontà di impedire qualsiasi manifestazione anticinese per l’anniversario dell’invasione del Tibet (10 marzo 1959). In quei giorni, migliaia di tibetani scendono per le strade. La polizia arresta oltre 130 persone, picchiando e imprigionando anche chi manifesta in modo pacifico, suscitando la decisa protesta dei funzionari delle Nazioni Unite, di stanza nella capitale. La stessa scena si ripete nel 2009, con arresti e pestaggi arbitrari, mentre sul confine vengono arrestati oltre 140 tibetani che tentavano di passare nascostamente oltre confine.
A tutt’oggi, gli oltre 20mila profughi tibetani, da decenni in esilio in Nepal, lamentano l’incremento di discriminazioni e restrizioni anche nella vita quotidiana, inclusa l’interferenza della polizia nelle celebrazioni religiose, con conseguenti violenze e minacce. Le restrizioni coinvolgono anche le autorità locali che consentono lo svolgersi delle celebrazioni solo in luoghi privati e non in pubblico.
Uomini, non supereroi di Pigi Colognesi, lunedì 9 maggio 2011, il sussidiario.net
Chiedo scusa se torno ancora sulla beatificazione di Giovanni Paolo II; abbiamo già letto fin troppi commenti. Ma quando eravamo là a Roma, quel giorno, cosa abbiamo visto? Lasciamo per un momento da parte gli elementi per così dire di contorno: l’enorme folla, la parata di autorità ecclesiastiche e civili, le veglie di preghiera e le fatiche per arrivare a prendere un posto.
In che cosa è consistita, in sé, la beatificazione? Un gesto molto semplice, quasi prosaico. Il vescovo della diocesi in cui il candidato beato è morto ha salito i gradini che lo separavano dal seggio papale, ha preso il microfono e ha detto al Papa che la vita di un certo battezzato di nome Karol Wojtyla merita attenzione e ha spiegato il perché raccontandone i momenti principali. In conclusione, è stata una vita degna di essere ricordata come una vita riuscita, «beata» appunto.
E il Papa ha risposto che sì, quella vita d’uomo poteva proprio dirsi beata. Fine della cerimonia di beatificazione. In questo semplicissimo scambio di battute la Chiesa dimostra però un coraggio eccezionale. Dice che è possibile, oggi, essere uomini autentici, veri; essere un uomo guardando il quale si possa affermare senza ironia ma con sorpresa: «Beato lui». Il santo, in fondo, non è nient’altro che questo: un uomo vero.
Chi altro osa proporre una simile speranza alla nostra vita? Quando va bene, ci raccomandano di accontentarci di primeggiare in qualche settore dell’esistenza, ci suggeriscono di tenerci fisicamente in forma e di tentare di “star bene con noi stessi”, di evitare troppe complicazioni nella ricerca di amore, giustizia, verità. Il mondo, ci dicono, è una giungla, il tempo scorre inesorabile, le attese vengono sistematicamente deluse. Non è mica possibile essere veramente e compiutamente uomini. E che diamine, abbassiamo la mira: l’uomo vero è una chimera.
La Chiesa, invece, annuncia proprio che l’umanità realizzata - in tutte le sue dimensioni, compresa l’esigenza di eternità e la misteriosa salvezza dal male di cui ogni esistenza è intrecciata - è possibile. E non lo dice come auspicio o imperativo morale; lo dice mostrando l’esempio in cui questo è avvenuto: un uomo con nome e cognome, vissuto negli stessi anni in cui sono vissuto io, che ha respirato la mentalità, affrontato le difficoltà, sofferto i drammi che sono toccati anche a me.
Insomma, la beatificazione è un grande gesto di stima sull’uomo. Confermata dal fatto che la pienezza dell’umano non è considerata come l’esito di una particolare abilità della persona indicata ad esempio, ma di una cosa molto più semplice. «Beata te perché hai creduto» è la frase con cui il vangelo descrive Maria, la capostipite della schiera dei santi, e che Benedetto XVI ha usato per spiegare la pienezza umana del nuovo beato.
Nessun titanismo eroico da supereroe, ma la semplicità della fede. E quando abbiamo applaudito alla proclamazione del nuovo beato, in fondo, abbiamo esultato per la rinnovata, dolce speranza che riguarda la misera e grande umanità di ciascuno di noi.
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CRISTIANI UCCISI/ Farouq: ecco la regia politica che "guida" gli attacchi alle chiese - INT. Wael Farouq, lunedì 9 maggio 2011
«L’attacco dei salafiti alla Chiesa copta di Imbaba è una rappresaglia nei confronti dello storico accordo raggiunto sabato da tutti i partiti liberali egiziani», in grado di cambiare radicalmente i risultati delle prossime elezioni politiche di settembre. Lo afferma Wael Farouq, professore dell’American University del Cairo e vicepresidente del Meeting Cairo, in seguito alle violenze che hanno portato alla morte di una decina di persone, dopo che si era diffusa la voce che una donna convertitasi all’Islam sarebbe stata segregata in una chiesa. Per Farouq, i responsabili delle violenze sono persone che «condividono l’ideologia di Al Qaeda e hanno l’obiettivo di instaurare uno Stato islamico con la violenza», e chi li manovra sono i servizi segreti legati a Mubarak. Ma per Farouq «dopo le elezioni i partiti liberali modificheranno la Costituzione, in cui si afferma che “la Sharia è la fonte principale della legislazione”, indicando al suo posto che “i principi della Sharia sono una delle fonti insieme a quelli della dottrina cristiana”».
Professor Farouq, quali sono le cause di quanto è avvenuto sabato a Imbaba?
Gli attacchi alla chiesa sono stati una reazione all’accordo raggiunto tra le diverse forze liberali, e che rappresenta il più grande evento politico dalla rivoluzione a oggi. Cinquemila leader, esponenti della società civile, attivisti dei diritti umani, figure pubbliche, direttori di Ong, si sono riuniti insieme da tutto l’Egitto per combattere l’instaurazione di qualsiasi forma di Stato religioso o militare. Poche ore dopo i salafiti hanno scatenato le violenze.
Erano diversi giorni però che covava la tensione contro i cristiani…
Non dimentichiamoci che in Egitto la polizia sta funzionando al 20% delle sue effettive capacità. Dopo la fine del regime di Mubarak, la polizia ha perso infatti tutti i suoi privilegi, oltre alla credibilità nei confronti della gente. La maggior parte degli agenti quindi non vuole più lavorare, e guarda le persone ammazzarsi tra di loro senza muovere un dito. La scorsa settimana due famiglie musulmane si sono prese a fucilate in una via commerciale del centro del Cairo, e sette persone sono rimaste uccise. La polizia era presente alla scena, ma è rimasta a guardare senza intervenire.
Il Consiglio militare però ha promesso una punizione esemplare per chi ha attaccato la chiesa…
Il Consiglio militare che oggi governa l’Egitto ha un’autorità assoluta e può dunque opporsi ai salafiti in qualsiasi momento. Se non lo farà ora, significa che è a sua volta contro i principi della rivoluzione.
Ma di fatto i salafiti rappresentano Al Qaeda e Bin Laden?
La vera natura di Al Qaeda non consiste in una struttura impegnata sul piano organizzativo, quanto piuttosto in una ideologia che si identifica con Bin Laden e che punta a realizzare uno Stato islamico con la violenza. Se la sua domanda è quindi: «In Egitto esistono delle persone che credono nell’ideologia di Al Qaeda?», la mia risposta è «Sì». Ci sono molti gruppi salafiti che sono favorevoli ai principi di Bin Laden. Ma la stragrande maggioranza della società egiziana rifiuta queste persone.
Chi c’è dietro ai salafiti che hanno attaccato la chiesa?
In primo luogo, ci sono grandi flussi di denaro provenienti dall’estero che sostengono questi piccoli gruppi. Inoltre, in Egitto è risaputo che i salafiti sotto il regime di Mubarak collaboravano con la sua polizia segreta. Chiunque sia un minimo informato, sa quanto i salafiti fossero implicati con i servizi segreti che li hanno utilizzati ripetutamente, come in occasione dell’attacco bomba contro la chiesa di Alessandria. Per non parlare delle centinaia di persone presenti nei consigli comunali di tutte le città egiziane e degli ex membri del parlamento di Mubarak, che sono a loro volta coinvolte in questi eventi. E’ comunque sufficiente che il governo svolga delle normali indagini, per scoprire chi c’è dietro a questi attacchi.
In molti osservano però che dopo la caduta di Mubarak, la situazione per i cristiani non è migliorata…
Immaginiamo una persona che è rimasta in coma per 30 anni: se si sveglia adesso, è difficile che possa iniziare a correre. Per 30 anni il regime ha alimentato le tensioni religiose come una valvola di sfogo della rabbia politica. Difficile quindi che le cose migliorino da un giorno all’altro. Ma io sono convinto che entro uno o due anni, tutte le tensioni religiose scompariranno dall’Egitto.
Perché ne è così sicuro?
Perché vivo la realtà dell’Egitto dall’interno e sabato, il giorno stesso degli attacchi, durante l’incontro tra i rappresentanti dei partiti liberali ho constatato che il 90% dei leader della società egiziana sostiene i diritti dei cristiani come cittadini a tutti gli effetti. E’ questa l’autentica realtà dell’Egitto, e non 500 persone che hanno assalito una chiesa armati di fucili.
Lei però conosce la parte più educata della società. Ma le fasce più povere la pensano allo stesso modo?
Guardiamo a quanto è avvenuto lo scorso gennaio. Ogni giorno, in tutte le maggiori città egiziane, le persone affluivano dalle aree rurali e prendevano parte alle dimostrazioni. La maggior parte dei manifestanti erano musulmani, e si sono mobilitati con dimostrazioni pacifiche, cioè con un tipo di iniziativa contrario a tutto ciò che professano Al Qaeda e Bin Laden. Leggendo i programmi elettorali dei gruppi islamisti, come i Fratelli musulmani, si osserva che dopo la rivoluzione hanno completamente cambiato le loro idee, perché hanno compreso che alle persone egiziane interessa la democrazia, e non l’applicazione della legge islamica.
Come valuta invece l’atteggiamento della Chiesa copta ortodossa?
Per anni la Chiesa ortodossa è stata abituata ad agire come il rappresentante politico della comunità cristiana nella vita pubblica: ritengo che si sia trattato di un errore. E’ ora che i cristiani egiziani si coinvolgano nella società civile e nelle istituzioni, in modo da conquistare i loro stessi diritti senza che qualcun altro lo faccia per loro, fossero anche le gerarchie ecclesiastiche. Queste ultime infatti dovrebbe incoraggiare i cristiani a uscire dalle mura delle chiese e a integrarsi nella società. Fino a che non compiranno questo passo, non supereremo mai le divisioni della società egiziana.
I partiti liberali che si sono riuniti sabato cancelleranno la Sharia dalla Costituzione?
Non cancelleremo la Sharia, ma considereremo i suoi principi come «una delle fonti» della legislazione egiziana, e non più come «la fonte principale». Inoltre aggiungeremo un altro articolo in cui si affermerà che anche i principi della dottrina cristiana sono un punto di riferimento per la legge. Ma né la Sharia né la dottrina cristiana entreranno a far parte della Costituzione con i loro singoli dettami, bensì solo attraverso i loro principi fondamentali. Può apparire una distinzione capziosa, ma in realtà si tratta di una differenza decisiva. I principi della Sharia sono infatti giustizia, uguaglianza e misericordia, cioè i valori che si trovano alla base delle Costituzioni di tutto il mondo.
Come si organizzeranno i partiti liberali?
Non ci fonderemo in un unico partito, ma ci organizzeremo in modo da potere lavorare insieme. Vogliamo evitare la competizione tra diversi candidati liberali in un unico collegio elettorale. Tra i nostri candidati ci sarà Tahani al-Jibaly, presidente del Meeting Cairo, che ha chiesto di poter correre come vicepresidente dell’Egitto. Ed è stata sempre Al-Jibaly a presentare la Carta fondamentale del nuovo soggetto politico, che ha scelto di chiamarsi National Council.
(Pietro Vernizzi)
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08/05/2011 – CINA - Ancora arresti, ancora repressione per i cristiani sotterranei di Shouwang di Wang Zhicheng da Pechino (AsiaNews)
Arrestati ieri almeno 15 persone. Dal 10 aprile sono centinaia i cristiani arrestati perché hanno tentato di pregare in pubblico, dopo che il governo ha tolto loro l’uso di locali affittati. I fedeli imprigionati sono “felici” di pregare in prigione e di “annunciare il vangelo alle guardie”. La politica religiosa del governo è giudicata “obsoleta” da accademici cinesi. Pechino teme una “rivoluzione dei gelsomini”, dato che vari attivisti si sono convertiti al cristianesimo.
Pechino (AsiaNews) – Per la quinta settimana continua il braccio di ferro fra la comunità cristiana protestante di Shouwang e la polizia della capitale. Ieri altri 15 fedeli sono stati arrestati perché hanno tentato di tenere un servizio liturgico in un parco pubblico nella zona di Zhongguancun.
La comunità di Shouwang, di circa 1000 fedeli, è una comunità tecnicamente “illegale” (sotterranea) perché non registrata. Ma essi da anni chiedono di essere riconosciuti dal governo, il quale nega loro la registrazione. In più il governo ha di continuo fatto espellere la comunità dai luoghi di ritrovo: un piano intero in un edificio, che la comunità aveva affittato; la sala di un ristorante, che i fedeli affittavano ogni settimana.
La comunità di Shouwang ha deciso di tenere i suoi servizi liturgici all’aperto, in luoghi pubblici finché il governo non si deciderà a concedere loro la registrazione o un luogo di culto. Da allora ogni domenica centinaia di fedeli si presentano a Zhongguancun e vengono arrestati dalla polizia che in massa controlla l’area.
La prima domenica, il 10 aprile scorso, la polizia ha arrestato 169 fedeli; la domenica seguente altri 50; più di 30 nelle scorse due settimane; oltre 15 ieri. Dopo qualche giorno le persone vengono liberate, ma subiscono minacce e sono di fatto messi agli arresti domiciliari. Anche i pastori della chiesa sono agli arresti domiciliari.
Alcuni fedeli, usciti dalla prigione si sono detti “felici” per aver avuto la possibilità di pregare e cantare inni in cella, “annunciando il vangelo alle guardie della prigione”.
Diversi accademici pensano che ormai la politica religiosa del governo è obsoleta e che è tempo di cambiarla. Pechino permette libertà di culto solo a comunità ufficialmente registrate, in luoghi registrati e con personale registrato, sotto il controllo delle associazioni patriottiche, longa manus del partito.
Nel caso dei cristiani protestanti, Pechino vuole che tutti i fedeli appartengano al Movimento delle tre autonomie, l’organizzazione ufficiale che raduna tutte le chiese protestanti. Ma i fedeli dicono che tale organizzazione è “troppo sottomessa al Partito e non a Dio”. Solo 23 milioni di protestanti appartengono al Movimento delle tre autonomie. Più del doppio (e forse fino a 80 milioni) sono i fedeli che si radunano in chiese “domestiche” non registrate.
La serie di arresti verso i cristiani protestanti coincide con una serie di arresti verso attivisti democratici e avvocati per i diritti umani. Pechino teme che ogni movimento non controllato dal Partito possa scatenare la scintilla di una “rivoluzione dei gelsomini” simile a quella che sta scuotendo l’Africa del Nord e il Medio oriente. Tale timore è causato dal fatto che molti attivisti per i diritti umani si sono convertiti al cristianesimo. I membri della comunità di Shouwang hanno però sempre ripetuto che essi sono interessati solo alla religione e non alla politica.
Il mercato (impossibile) degli organi di Giuseppe Remuzzi, Corriere della Sera 8.5.11
«Ho due bambinimeravigliosi, mio marito ha perso il lavoro, vorrei dare un rene a una persona che ne ha bisogno, vado anche in America se serve» . Cosa si può rispondere a una lettera così? Le solite cose: «Quello che lei propone non si può fare per legge, né in Italia né negli Stati Uniti. Dove lo fanno come in India, Pakistan o Paesi Arabi non ci sono garanzie per chi dona ...» e poi «coraggio, le difficoltà si superano, vorrei poterla aiutare» . Ma cosa se ne fa una persona senza soldi con due bambini piccoli di una risposta del genere? Rispondo comunque, ma non mi sento a posto. Continuo a pensare alla signora dei due bambini poi me ne dimentico. Fino alla prossima lettera: «Ho 40 anni, bella, sana, pulita, ho 1 figlia bellissima e 1 figlio grande che guadagna 800 euro al mese, vorrebbe un bar piccolino tutto suo ma le banche non lo aiutano, con gli strozzini ho perso tutto, anche il marito. Vendo 1 rene, il prezzo è 254 mila euro. Mi chiami la prego, sono vicina a fare un brutto gesto» e c’è un numero di telefono. Cosa faccio, chiamo? E per dire cosa? Che non si può, che la legge lo proibisce, che non sarebbe giusto? Faccio finta di niente, in fondo quella lettera così vera — «1 figlia bellissima» , «1 rene» — potrei anche non averla ricevuta, alla fine non chiamo. Ma sto male, e anche adesso nel rileggerla (e se il brutto gesto l’avesse fatto davvero?). «Nella mia anima c’è un disperato bisogno di ricostruirmi un futuro» . Questa volta è un uomo di 40 anni che scrive. E io: «Lo tenga il suo rene, non si sa mai cosa può succedere» . C’è anche un donatore di sangue «sanissimo» che vuole vendere un rene: «Lei non può capire il mio calvario e le umiliazioni che ricevo ogni giorno» . Un signore non più giovane scrive: «Non sono mai stato malato, non bevo, non fumo, mangio quasi solo frutta e verdura» . E io di nuovo a tutti e due: «Vendere un rene in Italia non si può, non posso fare niente per aiutarla è un’attività illegale» . Se rispondo mi sento ridicolo, e se non lo faccio è come se togliessi a chi mi scrive anche l’ultima ragione per sperare. In questi giorni il Los Angeles Times ha pubblicato un articolo con questo titolo: «Cosa succederebbe se il mercato degli organi fosse regolamentato per legge?» . «Se i reni si potessero vendere e comperare e se fosse per legge, tante persone povere avrebbero di che vivere e molti ammalati risolverebbero i loro problemi, allora perché non farlo?» si chiede Jessica Ogilvie che ha scritto quell’articolo. Così prova a intervistare due esperti: «Negli Stati Uniti ci sono quasi 90 mila persone che aspettano un organo ma il trapianto lo fanno in meno di 18 mila all’anno — dice Benjamin Hippen, un nefrologo di Charlotte in North Carolina — per quanti sforzi facciamo per ottenere reni da cadavere non riusciremo mai a soddisfare le necessità di tutti. Se ci fosse una legge che regola la compravendita dei reni avremmo molti più organi, i medici potrebbero scegliere i donatori migliori e chi compra un rene avrebbe un organo sicuro. Non solo, il sistema sanitario risparmierebbe miliardi di dollari ogni anno» . Francis Delmonico che è professore di chirurgia alla scuola di medicina di Harvard la pensa in modo completamente diverso: «Capisco le buone intenzioni di chi vorrebbe regolamentare il mercato degli organi, ma se negli Stati Uniti lo facessimo per legge sarebbe come dire che lo si può fare dappertutto, India, Cina, Bangladesh per esempio. E allora i rischi di epatite, tubercolosi e tumori sarebbero molto alti. Questa cosa non va fatta, per nessuna ragione. Fra l’altro nel mercato degli organi ci guadagnano solo i ricchi, per i poveri è sempre un dramma» . Delmonico ha ragione. Ma se uno è disperato, ragione e buoni argomenti servono a poco. Una donna povera del Sud dell’India ha venduto un rene per 32.500 rupie, poco più di duemila euro, la storia si può trovare su Berkeley Organs Watch News. Lavora come domestica, il suo lavoro è pagato molto poco, il marito è disoccupato. La signora ha cinque figli piccoli. Da più di dieci anni vendere organi è fuori legge sia in India che in Pakistan. Il solo risultato è che adesso è tutto più difficile, comprare un rene costa di più: chi organizza questa attività, ora illegale, vuole più soldi e a chi vende un rene di soldi ne vanno sempre meno. La signora del Sud dell’India adesso vive ancora nei debiti. I soldi che le sono arrivati dalla vendita del rene sono finiti nel giro di pochi anni. Le è stato chiesto se, potendo tornare indietro, l’avrebbe rifatto. Lei, nonostante tutto, ha risposto: «Lo rifarei, e se di reni ne avessi tre, l’avrei fatto due volte» . No, non possiamo accettare che ci sia compravendita di organi, nemmeno regolamentata per legge.