Nella rassegna stampa di oggi:
- La politica non salva l'uomo – Redazione - martedì 31 maggio 2011, il sussidiario.net
- Divorzio a Malta, vincono i sì Ma la battaglia non è finita di Massimo Introvigne, 30-05-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
- Scommettere sull'Iraq di Mario Mauro, lunedì 30 maggio 2011, il sussidiario.net
- NEUROSCIENZE/ L'arte del cervello che riconosce la bellezza di Nadia Correale, lunedì 30 maggio 2011, il sussidiario.net
- Nuovi studi: importanza della famiglia e problemi per i figli delle coppie di fatto - 27 maggio, 2011, da http://www.uccronline.it
- Cassandra aveva ragione: ma se fossimo tutti Cassandre il mondo non andrebbe da nessuna parte. - Fonte: la Repubblica, di Angelo Aquaro N.Y., 30 maggio 2011
- IL PAPA ALLA PLENARIA DEL DICASTERO PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE - CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 30 maggio 2011 (ZENIT.org)
- IL PAPA: "ESSERE CATTOLICI VUOL DIRE ESSERE MARIANI" - Nell'udienza a una delegazione della Congregazione mariana di Ratisbona
- «La missione è la stessa, le circostanze cambiano» di Massimo Introvigne, 30-05-2011, da http://www.labussolaquotidiana.i
- L'idea di preghiera nel pensiero di John Henry Newman - Ci vuole allenamento per avvicinarsi a Dio di Keith Beaumont, Oratorio di Francia, 30 maggio 2011, da http://www.osservatoreromano.va
- J'ACCUSE/ La Francia uccide gli embrioni e la libertà del medico di Filippo Vari - martedì 31 maggio 2011 – il sussidiario.net
La politica non salva l'uomo – Redazione - martedì 31 maggio 2011, il sussidiario.net
Può darsi che, dopo la sconfitta ai ballottaggi, il governo Berlusconi cerchi di tirare avanti per un altro po'. All'ultimo comizio di Napoli il presidente del Consiglio ha garantito che nulla sarebbe cambiato nella sua tabella di marcia anche nel caso di un ko elettorale. Come se non fosse stato lui a trasformare un voto amministrativo in un test nazionale sulla sua persona, e quindi sulla solidità dell'esecutivo.
Il destino del premier sembra comunque segnato, e così anche il destino del «berlusconismo». Un governo sostenuto da un Pdl frantumato nei personalismi, da una Lega tentata di fare il passo indietro per riconquistare i voti perduti al Nord, e da una pattuglia di «responsabili» raccogliticci non può fare tanta strada. È una questione di tempo, se poco o tanto si capirà in fretta; a poco a poco il leader incontrastabile del centrodestra si farà da parte, e tutto cambierà.
Ma la caduta di Berlusconi non riguarda soltanto lui. La sconfitta tocca anche la sinistra, che pure esulta per la conquista dei municipi, e fra un po' anche i nuovi miti spuntati dal nulla e acclamati come il «nuovo», cioè Grillo e De Magistris. Sono miti che incarnano un idolo, un totem illusorio: che la politica possa risolvere tutto. Da quasi vent'anni Berlusconi incarna questo mito della politica da cui dipendono i destini dell'Italia.
Questo mito coinvolge tutti gli attori di questa politica: i berlusconiani, che si preoccupano di sostenere a ogni costo il leader taumaturgico, ma anche gli antiberlusconiani, coloro che gli sparano addosso, gli editorialisti di Repubblica e del Fatto, gli avversari politici convinti che tutto ripartirà per il meglio una volta sistemato il Cavaliere. Oggi se la prendono ancora con lui, domani torneranno a prendersela con qualcun altro, magari con gli stessi che sostengono oggi, perché non sarà cambiato lo schema di sperare il cambiamento della politica.
È un gioco alimentato da una classe di intellettuali cinici e lontani dalla realtà, che prima hanno creato questo mondo e questa illusione, e ora facendo finta di niente pensano sempre a buttare giù uno piuttosto che un altro, e continuano a fare in modo che il popolo non capisca qual è il problema reale, che è il darsi da fare per uscire dalla crisi. Creano i miti, una realtà virtuale cui attribuiscono poteri quasi sovrumani e che poi distruggono, mentre lavorano per occultare qual è la «realtà reale».
Sono quelli che alcuni anni fa imputavano al governatore di Bankitalia Fazio la radice di ogni disastro finanziario, e hanno impedito di vedere i prodromi della vera crisi economica, ben più grave e più devastante per la vita reale di milioni di persone. Guardiamo a Napoli, un altro esempio clamoroso: un personaggio che non esiste, un ex magistrato sconfessato dalla magistratura per le sue inchieste fallite ma dagli effetti destabilizzanti, che è diventato il nuovo eroe del popolo semplicemente perché è stato inventato da programmi televisivi come Annozero. De Magistris è questo.
Sono questi i personaggi che oggi dovrebbero fare l'esame di coscienza. Sono gli intellettuali separati dal popolo, gli inventori dei nuovi miti, che agiscono con l'appoggio della televisione e della stampa, di qualunque proprietà e orientamento: un sistema mediatico che non è più a servizio della gente ma si preoccupa di completare l'opera di alimentare la confusione. Da servire il popolo a stordire il popolo. Da questo punto di vista, destra e sinistra sono uguali.
Il risultato delle amministrative è dunque il fallimento di un'idea di politica miracolosa, risolutiva, rimedio universale alla complessità della vita. L'esito del voto a Milano e Napoli è la caduta dell'illusione che si possa fare politica senza partire dall'esperienza dell'io, dal basso, dalle opere, dall'incontro con i reali bisogni della gente; e chi non ne prenderà atto, andrà incontro a nuove delusioni, ora da una parte ora dall'altra.
La campagna elettorale di Milano, nelle migliaia di persone che l'hanno fatta tra la gente e lontano dalle telecamere sfidando il clima violento e quasi intollerante verso una presenza che si pone, ha fatto riscoprire i veri bisogni: il lavoro che non c'è, il futuro incerto, la solitudine che dilaga. Riscoprire i bisogni e cominciare a rispondervi. Allora il problema è continuare a costruire sull'esperienza, sulle opere. L'esperienza è l'unica che nel tempo cambia la storia. Rimane solo in piedi chi ha costruito dal basso, chi ha un'esperienza, chi lavora.
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Divorzio a Malta, vincono i sì Ma la battaglia non è finita di Massimo Introvigne, 30-05-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
A Malta il matrimonio indissolubile non ce l'ha fatta. Nel referendum di sabato 28 maggio che proponeva ai maltesi l'introduzione del divorzio il «sì» ha ottenuto il 53% dei voti – 122.547 voti validi su 230.518 –, il «no» si è fermato al 47%: 107.971 voti. I votanti sono stati il 72%, una percentuale bassa per le abitudini dell'arcipelago. Secondo alcuni osservatori, responsabili dell'astensionismo sono stati in particolare elettori di sinistra personalmente contrari al divorzio, i quali hanno ascoltato gli appelli di alcuni loro dirigenti secondo cui una vittoria antidivorzista avrebbe danneggiato il Partito Laburista.
Al di là degli aspetti più strettamente politici, il 28% di astenuti – all'interno dei quali si annida certamente quel tre per cento che, sommato ai no e sottratto ai sì, avrebbe fatto la differenza – mostra il successo dell'argomento più usato dal fronte divorzista, nel 2011 a Malta come già nel referendum del 1974 in Italia: «Tu, cattolico, resterai libero di non divorziare, ma perché vuoi impedire di divorziare a chi non la pensa come la Chiesa?». Così molti, contrari al divorzio ma reticenti sia a «imporre agli altri» una scelta ritenuta tipica dei soli cattolici sia a votare esplicitamente a favore della proposta divorzista, sono rimasti a casa.
Come abbiamo spiegato su La Bussola Quotidiana, e come hanno ribadito i vescovi di Malta, che a urne chiuse ma a risultati non ancora noti hanno sia perdonato a coloro che li hanno ingiuriati sia chiesto scusa se qualcuno nella Chiesa avesse involontariamente offeso gli oppositori – un gesto di riconciliazione nazionale erroneamente scambiato da qualcuno per un pentimento rispetto alle posizioni molto nette ufficialmente assunte –, l'argomento centrale della campagna divorzista è falso. Benché per i cattolici l'indissolubilità del matrimonio sia anche un principio religioso, si tratta anzitutto di un principio di quel diritto naturale che la ragione può riconoscere, che è la regola comune del gioco chiamato società e che vincola tutti a prescindere dalla loro appartenenza a una specifica religione o a nessuna. Grazie anche ai soliti «cattolici per il divorzio», che non mancano mai in questi casi e hanno seminato confusione e divisione, non è arrivato alla maggioranza degli elettori il messaggio fondamentale secondo cui occorre dire no al divorzio in nome del bene comune e della retta ragione, non solo della fede, e dunque non si tratta d'imporre una scelta «cattolica» ai non cattolici.
Che fare, ora? Sul piano giuridico, il referendum non introduce immediatamente il divorzio e sarà il Parlamento a dover decidere. Il primo ministro nazionalista Lawrence Gonzi ha affermato che, benché non si tratti del risultato che si augurava, la volontà del popolo sarà rispettata. Il problema, però, è più complicato. Non ci si può certamente nascondere il peso del voto del 28 maggio. Tuttavia ogni deputato maltese ostile al divorzio mantiene il diritto e il dovere di votare secondo coscienza, tenendo conto del risultato del referendum ma ancor più della legge morale naturale. Se è cattolico, dovrà avere chiaro l'insegnamento della Chiesa riassunto da Benedetto XVI nell'importante Discorso ai Membri della Commissione Teologica Internazionale del 5 ottobre 2007: la Chiesa e la retta ragione non accettano la «concezione positivista del diritto» secondo cui «la maggioranza dei cittadini, diventa la fonte ultima della legge civile». «Ma – spiega Benedetto XVI (i corsivi sono miei) – se fosse così, la maggioranza di un momento diventerebbe l'ultima fonte del diritto. La storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare. La vera razionalità non è garantita dal consenso di un gran numero, ma solo dalla trasparenza della ragione umana alla Ragione creatrice e dall'ascolto comune di questa Fonte della nostra razionalità. Quando sono in gioco le esigenze fondamentali della dignità della persona umana, della sua vita, dell'istituzione familiare, dell'equità dell'ordinamento sociale, cioè i diritti fondamentali dell'uomo, nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore nel cuore dell'uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che costituisce la sua base irrinunciabile. La legge naturale diventa così la vera garanzia offerta ad ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità, e difeso da ogni manipolazione ideologica e da ogni arbitrio e sopruso del più forte. Nessuno può sottrarsi a questo richiamo. Se per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo e il relativismo etico giungessero a cancellare i principi fondamentali della legge morale naturale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe ferito radicalmente nelle sue fondamenta».
La battaglia sul divorzio a Malta, dunque, non è finita. Si trasferisce dalle urne al Parlamento. Ma rimane anche dov'è sempre stata, cioè nella cultura e nell'educazione. L'argomento «Se sei cattolico sei libero di non divorziare ma non puoi impedire di farlo a chi non è cattolico» è un'autentica maledizione culturale e civile, perché apre la strada a qualunque presunto «nuovo diritto». Basta sostituire la parola «divorziare» con «abortire», «sposare una persona dello stesso sesso», «chiedere di essere ucciso con l'eutanasia se consideri le tue sofferenze intollerabili», e il gioco è fatto.
A Malta molti divorzisti hanno affermato sia di essere personalmente contrari all'aborto, sia che il legame tra divorzio e aborto è un'invenzione dei loro avversari. Non metto in dubbio la sincerità della prima affermazione. Ma la seconda è falsa.
C'è in Europa tutta una cultura che vuole avanzare a passi spediti dal divorzio all'aborto, dall'aborto al matrimonio omosessuale, dal matrimonio omosessuale all'eutanasia. In Italia sono state le stesse forze politiche, spesso le stesse persone, a proporre questi presunti «nuovi diritti», uno dopo l'altro. Lo stesso è avvenuto in altri Paesi. Nell'enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI descrive puntualmente la sequenza della marcia per rivendicare «presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario», talora diritti «alla trasgressione e al vizio», «con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche». Quando si nega la legge morale naturale si apre la strada a un percorso – afferma il Papa – che propone sempre nuove «ingiustizie inaudite»: contro la famiglia, contro la vita e giù giù fino all'eutanasia e «la fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilità della clonazione e dell'ibridazione umana». «La legge naturale, nella quale risplende la Ragione creatrice – conclude l'enciclica – indica la grandezza dell'uomo, ma anche la sua miseria quando egli disconosce il richiamo della verità morale».
E tuttavia questi passaggi non sono ineluttabili. Sbaglierebbero i maltesi se pensassero che la deriva verso la «miseria» della negazione della verità naturale e verso nuove «ingiustizie inaudite» è inarrestabile. Proprio il caso italiano dimostra che non è così. L'Italia ebbe il suo referendum sul divorzio nel 1974. I sostenitori della famiglia lo persero. Appena chiuse le urne, alcuni di quegli stessi divorzisti che avevano sostenuto che «l'aborto non c'entra» si affrettarono a promuovere la legalizzazione dell'aborto. La ottennero nel 1978, dopo soli quattro anni dal referendum sul divorzio. Nel 1981 si tenne un referendum sull'aborto, nato male anche quanto al quesito e agli argomenti e finito peggio. Mentre nel 1974 il 40,7% aveva votato contro il divorzio, nel 1981 solo il 32% votò a favore della proposta del Movimento per la Vita di abrogare alcune norme della legge abortista.
Quattro anni, dunque, dal divorzio all'aborto. Via libera al matrimonio gay, o almeno al riconoscimento delle unioni omosessuali, e all'eutanasia? Alcuni cominciarono a pensarlo pochi anni dopo. Ma non è andata così. Dal referendum sull'aborto del 1981 sono passati trent'anni. Molti dei divorzisti del 1974 e degli abortisti del 1981 sono in agitazione permanente ed effettiva per il riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso e dell'eutanasia, ma – pur avendo convinto qualche giudice – non hanno ottenuto le leggi che desiderano in Parlamento. I pericoli ci sono – tutti i giorni – ma la deriva delle «ingiustizie inaudite» in Italia è stata per ora frenata.
Dopo il referendum sull'aborto del 1981 qualcuno scrisse che i cattolici e coloro che credono nella legge naturale dovevano «ricominciare da trentadue», da quel trentadue per cento degli italiani che aveva inteso votare – prescindendo dalla qualità del quesito e della campagna referendaria, su cui ancora si discute – contro l'aborto. Quelle intenzioni, quei voti non furono dispersi. Tra mille difficoltà, il fronte della vita e della famiglia è cresciuto e ha per ora impedito leggi sul riconoscimento delle unioni omosessuali – il 12 maggio 2007 la grande manifestazione del Family Day fermò la deriva in questo senso del governo di centro-sinistra allora al potere – e sull'eutanasia.
I maltesi possono ricominciare da quarantasette, dal quarantasette per cento che ha votato per la famiglia. E possono ricominciare da Gozo, la seconda isola del loro arcipelago, dove il no al divorzio ha prevalso con una maggioranza schiacciante del 67,8%. Se non si faranno prendere dallo scoraggiamento – normale in questo momento di tristezza, ma che dovrebbe durare il meno possibile – e sapranno ripartire dalla cultura, dall'educazione, dalla formazione sul tema tanto caro a Benedetto XVI della legge naturale e del diritto naturale, i maltesi che hanno votato no potranno riconquistare una maggioranza che, come i dati hanno alla fine mostrato, non è irraggiungibile.
Difenderanno, così, anche la loro identità nazionale. Su Twitter – che ha certamente avuto un ruolo nella campagna, e dove la presenza divorzista è stata più forte – il giornalista favorevole al divorzio Karl Stagno-Navarra ha riferito l'atteggiamento in sala stampa del cronista del quotidiano italiano Repubblica, che rivolto ai promotori della legge sul divorzio ha gridato «Bravi! Avete sconfitto la potente Chiesa» e poco dopo ha chiesto al leader del movimento antidivorzista Arthur Galea Salomone se non si vergognasse. Sono esempi di un'arroganza «europea» che vorrebbe imporre il suo modello non solo divorzista ma abortista e che spinge per tante altre «ingiustizie inaudite» anche a Malta, il Paese europeo con la più alta percentuale di cattolici praticanti. Chi, in Europa, non la pensa come Repubblica ha il dovere di aiutare i maltesi a ripartire da quarantasette.
Scommettere sull'Iraq di Mario Mauro, lunedì 30 maggio 2011, il sussidiario.net
Durante la missione in Iraq alla quale ho partecipato alla fine del mese di aprile, in mezzo ai tantissimi problemi che tormentano il Paese, è emersa particolarmente la questione della sicurezza: In Iraq si muore perché si ha voglia di vivere.
Le persone hanno il desiderio di vivere e condurre una vita normale. Ogni giorno andare a scuola, fare la spesa, andare a lavorare, le azioni più comuni rappresentano una sfida, mossa dalla volontà di riscattare la storia di un popolo.
Uno sviluppo delle relazioni commerciali fra i due paesi a condizione di un maggiore riconoscimento dei diritti: è questo in sintesi lo spirito di quello che sarà il primo accordo di cooperazione tra Unione europea e Iraq, di cui sono relatore in Commissione Affari esteri. Questo accordo ha l'ambizione di pianificare la collaborazione futura tra noi e gli iracheni. Ossia stabilire quante risorse, come vogliamo destinarle, che tipo di scambi nei diversi settori svilupperemo e come far nascere uno sviluppo duraturo - e non solo economico ma anche sociale - basato sulla pace, in questo Paese così strategico per l'Europa.
Ne abbiamo discusso mercoledì scorso durante un'audizione a Bruxelles dal titolo "Le sfide sociali, economiche e politiche in Iraq", alla quale hanno partecipato importanti esponenti della società civile irachena. Tra questi era presente Salma Jabbo, del Centro per la formazione e lo sviluppo per le vedove (sostegno alla partecipazione delle donne nelle riforme socio-economiche). Anche gli altri relatori erano tutte donne. Ho voluto dare a questa audizione un'impostazione tutta al femminile perché dalla mia visita di pochi giorni fa in Iraq ho avuto la percezione che senza il contributo e l'attiva partecipazione delle donne il Paese non potrà risollevarsi e crescere.
L'Iraq è oggi un Paese che cambia velocemente, in continua evoluzione, e che ha una grande volontà di rafforzare i propri legami con l'Unione. L'Ue ha oggi in Iraq solamente due funzionari e un ambasciatore. Tre persone che operano nel compound britannico. A Bahamas ci sono sette funzionari Ue. La domanda che l'Europa si deve porre è essenzialmente se ci siamo dotati di strutture adeguate. Le istituzioni Ue sono in grado di soddisfare al meglio le aspettative degli iracheni? Io dico che l'Ue deve ripensare i termini della propria presenza nel Paese.
Se ha senso parlare di una politica estera europea e se l'Ue vuole essere protagonista sullo scenario della pace e della guerra dobbiamo farlo soprattutto su questioni come l'Iraq, dove in passato ci siamo spaccati e divisi. Questioni sulle quali il nostro bagaglio di democrazia, di libertà e di amore per il bene comune possono davvero essere sventolati come la nostra bandiera.
È una sfida per noi rilevantissima dal punto di vista dell'immagine e della credibilità di una politica estera che prosegue tra tentennamenti e illusioni. Ovviamente non va trascurata l'importanza strategica di questa sfida: ottenere la fiducia del popolo iracheno grazie a una politica di aiuti che possa davvero fare intravedere loro spiragli di pace e benessere smorzerebbe in un solo colpo buona parte dell'ostilità esistente nei confronti del mondo occidentale.
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NEUROSCIENZE/ L'arte del cervello che riconosce la bellezza di Nadia Correale, lunedì 30 maggio 2011, il sussidiario.net
Le neuroscienze possono costituire un punto di vista che ci permette di comprendere meglio l'arte e la nostra percezione estetica? Il neurologo Stefano Cappa - ospite nella seconda serata del ciclo di incontri sulle neuroscienze organizzata dal Centro Culturale di Milano, dal titolo: "Percezione, memoria e bellezza" - sostiene di sì e lo afferma non solo in qualità di Direttore della Divisione Neurologica della Fondazione San Raffaele, ma anche a partire dalla sua passione per l'arte. L'importante è non ridurre la produzione artistica, e ciò che essa suscita in noi, alle conoscenze ottenute sfruttando i metodi neuroscientifici.
In base a essi, spiega Cappa, due sono gli approcci possibili. Il primo, il cui principale esponente è il neurofisiologo inglese Semir Zeki, consiste nel concepire il complesso processo della visione non disgiungibile dal significato dell'espressione artistica; motivo per cui occorre conoscere bene il primo per comprendere appieno il secondo. In base a questo punto di vista, vengono studiate le modifiche della produzione artistica in correlazione alle patologie di natura cerebrale dell'artista: lesioni o malattie progressive come l'Alzheimer.
In molti casi, da parte di persone affette da demenza fronto-temporale, si evidenzia perfino uno sviluppo di espressività artistiche che prima non si possedevano. L'ipotesi di Cappa è che le distorsioni o alterazioni nelle forme e nelle dimensioni di molte immagini corporee presenti nell'arte possano rappresentare un riverbero di particolari esperienze interiori degli artisti; infatti, chi è affetto da determinati disturbi psicologici, come la bulimia o l'anoressia, è indotto a percepire una falsa immagine del proprio corpo.
Un altro approccio possibile dal punto di vista neuroscientifico è quello che va a indagare la risposta estetica del cervello, la sua reazione fisica al "potere delle immagini" (è il titolo di uno dei libri più noti su questo tema, del neurologo David Freedberg). Esso si basa sulla recente scoperta di particolari neuroni, definiti "a specchio", che si attivano non solo se il soggetto osserva un'azione motoria, predisponendolo a copiarla, ma anche in presenza di semplici immagini e quindi di opere d'arte.
Ad esempio, si è riscontrato che la visione di una statua classica ingenera l'attivazione delle aree frontali e parietali, dove hanno sede questi neuroni; inoltre, se la statua è ben proporzionata, l'insula - ossia quella parte della corteccia cerebrale più nascosta ove convergono e si integrano informazioni provenienti sia dall'esterno che dall'interno - si attiva di più; tale effetto è stato definito di canonicità.
Si è osservato che se un'immagine è bella si attiva di più l'amigdala (un'area coinvolta nei sistemi di memoria emozionale), se è brutta si attiva di più la corteccia motoria. Secondo studi portati avanti dallo stesso Cappa, confrontando il comportamento del cervello sottoposto alla visione delle statue con quanto avviene di fronte a dei giocatori di rugby, si è riscontrata la presenza di un'attivazione specifica, posizionata anch'essa nell'insula di destra. Quest'area potrebbe perciò rappresentare la sede dell'esperienza estetica. Inoltre, in questo caso il lobo temporale superiore è più sollecitato, mentre non si riscontra l'effetto di canonicità.
Il secondo relatore, Giovanni Maddalena, Docente di Filosofia Teoretica presso l'Università del Molise, ha spiegato l'incidenza del pensiero ipotetico sull'atto creativo, caratteristica essenziale di qualsiasi espressione artistica. Secondo questa prospettiva la creatività si qualifica come un genere di razionalità non sistematico e non deterministico, suscitata da eventi nuovi che costituiscono degli indizi preziosi in quanto predispongono il soggetto a considerare nuove ipotesi, nuove vie possibili diverse da quelle già collaudate.
È quanto emerge sfruttando un metodo logico di tipo abduttivo, introdotto dal logico-matematico Charles S. Peirce. Esso si distingue nettamente sia dal metodo deduttivo - secondo cui il punto di partenza è la legge generale e che di per sé non esplicita da dove possano sorgere le nuove scoperte - sia da quello induttivo, il quale, partendo da singoli casi osservati, è incapace di fornire leggi generali. In sostanza, consente di non sottovalutare tutti quegli aspetti non definibili o formalizzabili, eppure presenti, che permettono a un uomo - che sia un ricercatore, che sia un'artista, che sia una persona comune - di orientarsi in modo ragionevole nelle proprie scelte artistiche o nell'ideazione di ipotesi creative e libere attraverso l'interpretazione dei segni circostanti, che altrimenti non avrebbero alcun significato.
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Nuovi studi: importanza della famiglia e problemi per i figli delle coppie di fatto - 27 maggio, 2011, da http://www.uccronline.it
Mentre gli atei razionalisti esultano per ogni divorzio in più (cfr. Ultimissima 30/7/10), la società sta tornando a schierarsi sempre di più a favore della famiglia, pietra angolare della comunità umana e principale strumento di benessere degli individui.
L'importanza della famiglia, rivela l'agenzia Zenit.it, emerge anche in un recente rapporto sulle famiglie dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) afferma che «le famiglie forniscono identità, amore, attenzione, un ambiente per la crescita e lo sviluppo dei loro membri e costituiscono il nucleo portante di molte strutture sociali». Il rapporto, intitolato "Doing Well for Families", riconosce inoltre che la povertà è in aumento per le famiglie di quasi tutti i Paesi membri dell'OCSE ed invita i Governi ad adottare politiche di sostegno, sopratutto verso la procreazione (oggi la media attuale di figli per donna è 1,7).
Un secondo studio, valutato su un ampio campione di famiglie nel Regno Unito, è stato pubblicato dall'Institute of Social and Economic Research dell'Università di Essex. Tra le conclusioni figurano anche questi due punti: sulla base di una serie di fattori indicativi, risulta che le persone conviventi sono significativamente meno felici nel loro rapporto rispetto alle persone sposate, i figli che vivono con un solo genitore sono meno propensi a dirsi del tutto felici della loro situazione.
Nel commentare un terzo studio, pubblicato negli Stati Uniti dall'ente di ricerca Child Trends dal titolo "Parental Relationship Quality and Child Outcomes Across Subgroups", Elizabeth Marquardt, redattrice del sito Internet FamilyScholars.org, ha spiegato che esaminando le tabelle e le statistiche dello studio, i figliastri hanno una probabilità doppia, rispetto ai figli che vivono con i propri genitori sposati, di sviluppare problemi comportamentali. La problematicità è ancora superiore per i figli che vivono con una coppia di fatto, i quali presentano una probabilità tre volte superiore di avere problemi. Queste macrodifferenze sono confermate anche per altre categorie come i rapporti sociali e la condotta a scuola.
Un quarto studio, realizzato dal dr. John Gallacher e David Gallacher della Cardiff University's School of Medicine, pubblicato sulla rivista BMJ Student e apparso anche in sintesi sul quotidiano Independent, ha preso in esame la questione se il matrimonio sia un bene per la salute: «Il dato di fondo è che, dal punto di vista medico, il gruppo che presenta la maggiore longevità è quello degli sposati», ha afferamto il dr. Gallacher. Secondo anche questo studio, i figli che vivono con la sola madre presentano maggiori problemi comportamentali rispetto a quelli che vivono con due genitori, e questi problemi peggiorano con ogni rottura di un rapporto e instaurazione di uno nuovo.
Cassandra aveva ragione: ma se fossimo tutti Cassandre il mondo non andrebbe da nessuna parte. - Fonte: la Repubblica, di Angelo Aquaro N.Y., 30 maggio 2011
Per questo siamo tutti ottimisti per natura: anche chi è così pessimista da nasconderselo. Non è un mito: è scienza. La scienza dell'ottimismo che proprio nell'annus horribilis di tsunami e alluvioni - per tacere della recessione - scoppia improvvisamente di salute. Libri. Studi. Inchieste. Tranquilli: non è l'ennesima moltiplicazione di opinabilissimi psicologi. Il mondo ci appare rosa perché così ha deciso nel corso della nostra milionaria evoluzione l'unico demone a cui dobbiamo davvero - nel bene e nel male - obbedienza assoluta: il cervello. Finalmente abbiamo le prove: quella fotografia particolare che si chiama risonanza magnetica e ricostruisce il gran da fare della nostra corteccia cerebrale. È l'area che si sviluppa dietro alla fronte e che in quel primate da primato chiamato uomo è molto più grande che tra i cuginetti più pelosi. È l'area formatasi più recentemente: quella che sovrintende alle funzioni del linguaggio e dell'individuazione di uno scopo. Ed è qui che - adesso si scopre - si nasconde anche il segreto della positività.
L'insostenibile leggerezza dell'ottimismo è stata messa in discussione per anni dagli scienziati che spingono invece dall'altra parte: "Optimism Bias" contro "Pessimism Bias". Bias è una parolina pericolosa che in inglese ha un significato biforcuto: come quel farmacon che già nell'antica Grecia voleva dire "droga" e "medicina". Bias vuol dire "pregiudizio" ma anche "influenza". E "The Optimism Bias" si chiama il libro di Tali Sharot che il settimanale Time ha celebrato con un'inchiesta di copertina. Sharot è una neuroscienziata che lavora tra gli Usa e l'Inghilterra. Ma la scienza dell'ottimismo ha varcato da tempo i confini delle neuroscienze. The Rational Optimist è il titolo con cui l'esperto di evoluzione e genetica Matt Ridley racconta perché il mondo è destinato a inseguire - malgrado quello che siamo tentati di pensare - le sue magnifiche sorti e progressive. E il futuro in rosa ha conquistato perfino due economisti come Manju Puri e David T. Robinson che hanno dato forse la definizione più colorita ma efficace del mistero. L'ottimismo è come un buon bicchiere di vino rosso: un bicchiere al giorno fa bene ma una bottiglia potrebbe essere pericolosa.
La cosa più curiosa è che la superiorità "genetica" dell'ottimismo - il fatto cioè che si sia dimostrato più utile all'evoluzione e per questo è uscito vincente nella furiosa battaglia della selezione - è paradossalmente dimostrata dall'esistenza del meccanismo appunto opposto: il pessimismo. La fotografia della corteccia cerebrale segnala l'attività che si configura soprattutto in due aree: l'amigdala e la corteccia cingolare anteriore. La prima è responsabile delle emozioni. La seconda delle motivazioni. Gli studi e le "foto" dimostrano che l'attività e l'interconnessione tra queste due aree aumentano nelle persone più ottimiste: mentre diminuisce in quelle più depresse. L'equazione tra depressione e pessimismo non deve trarre in inganno. "La gente depressa tende a essere più precisa nella previsione del futuro: vede il mondo così com'è" scrive Sharot. Che conclude: "In assenza di questi meccanismi neuronali, che generano l'irrealistico ottimismo, gli esseri umani sarebbero tendenzialmente più depressi". Eccolo dunque il segreto: quei meccanismi neuronali che ci portano a vedere il mondo non com'è realmente ma come vorremmo che fosse. Insomma quelle vituperate "lenti rosa" della tradizione popolare: senza le quali resteremmo rinchiusi nel nostro grigiore.
Il nostro innato ottimismo è tradito anche dalla statistica. Uno su dieci crede di poter vivere fino a cent'anni. La realtà è molto meno rosea - la percentuale è dello 0,02 per cento: ma perché non provare a crederci? Gli americani, che sono culturalmente più ottimisti di tanti altri popoli, riducono addirittura a zero la percentuale di probabilità di divorzio: ma questo nel momento in cui si sposano, quando cioè scommettono su una scelta che cambia la vita. In realtà, dagli anni '60 a oggi la percentuale dei divorzi è passata dal 5 al 14 per cento. Confermando l'aforisma di Samuel Johnson: il matrimonio come trionfo della speranza sull'esperienza.
Proprio l'incapacità della maggioranza di intravedere il baratro su cui si affaccia ha portato però Nassim Taleb a elaborare la teoria del "cigno nero": l'avvenimento così altamente imprevedibile da essere conseguentemente ineluttabile. La risposta di Taleb - che l'altra sera ha riassunto la sua teoria all'Istituto italiano di cultura di New York - è pedagogica. Di fronte all'ineluttabile imprevedibile l'unica difesa è la riduzione del danno: quindi l'allargamento delle opzioni di scelta. Taleb è filosofo ma anche investitore: arricchitosi - alla vigilia della recessione che ottimisticamente nessuno aveva voluto prevedere - scommettendo su tavoli multipli. Cigno nero contro lenti rosa: chi ha ragione?
La verità è che troppo ottimismo stroppia: portandoci appunto a sbagliare calcoli. Lo dice anche Tali Sharot elencando le banalità che ci fanno male. Il check-up medico? Non servirà. La crema solare? Precauzione inutile. Eppure per progredire l'uomo ha bisogno di ingannarsi: un altro mondo è possibile. Quanta retorica sull'esperienza e la necessità di non dimenticare? Tutto giusto. Eppure proprio lavorando sui superstiti dell'11 settembre gli studiosi hanno scoperto quegli straordinari meccanismi che Sigmund Freud aveva già chiamato di rimozione: e che la moderna neuroscienza spiega individuando l'area dell'ippocampo. È quella parte del cervale fondamentale nella costruzione dei meccanismi della memoria: ma anche nella costruzione del futuro. E gli ultimi studi hanno dimostrato che il nostro sistema non è disegnato per rivolgersi al passato: ma per partire da qui (dall'esperienza appunto) per elaborare mappe del futuro. Ecco perché dopo appena 11 mesi i ricordi dei superstiti di Ground Zero erano accurati solo al 63 per cento. Il sistema cancella ricordi (negativi) per fare spazio all'elaborazione del futuro (positivo).
Non solo. Malgrado i cigni neri l'ottimismo sarebbe un meccanismo così forte da influenzare i mercati finanziari: con il boom che naturalmente può trasformarsi in bolla. Benedetto De Martino è un studioso che ha lavorato anche con Tali Sharot ma è più orientato a scoprire i meccanismi motivazionali che agiscono per esempio nel capo finanziario. "Il nostro cervello produce continuamente credenze per conseguire azioni particolari. E le azioni sono frutto di scelte che non sono mai neutre". Ottimismo e pessimismo si sfidano su questa scena. E la finanza è uno di quei mondi in cui davvero l'ottimismo può determinare il futuro. "Le nozze di Kate e William hanno risollevato, anche se di poco, la sterlina sull'euro". La gente "ci crede" e la sterlina va davvero su perché la domanda di un prodotto tiene alto il prezzo. Poi, certo, avrà ragione la solita Cassandra. Ma intanto l'economia s'è data una mossa.
Terapie alternative, l'unica certezza è il business Il settore cresce più di qualunque altro comparto nella sanità, e ha ormai superato i 50 miliardi di euro di giro d'affari in tutto il mondo di Catia Barone – La Repubblica - Affari & Finanza, del 30 maggio 2011 di Catia Barone
L'ipnosi per dimagrire, la meditazione contro il dolore, pediluvi in grado di assorbire le tossine dall'organismo, gioielli e cristalli curativi, olio di serpente. E poi aghi, infusi, massaggi, pietre e magneti per combattere la depressione, lo stress e altri malesseri. Dove la medicina convenzionale non riesce a dare risposte, siamo disposti ad abbracciare qualsiasi tipo di trattamento pur di guarire. A raccontarlo è la storia, con le terapie a base di sanguisughe, salassi, erbe e radici di ogni genere. A dimostralo sono le innumerevoli soluzioni alternative sul mercato che rendono la medicina non convenzionale un business. In alcuni Paesi oltre la metà della popolazione ricorre a rimedi alternativi in una forma o nell'altra: si stima che con oltre 50 miliardi di euro di spesa globale annua sia il settore in crescita più rapida della medicina (Trick or treatement? Alternative Medicine on Trial, 2008, di Simon Singh e Edzard Ernst). In base al Rapporto Eurispes 2010 gli italiani che fanno uso di medicine non convenzionali sono passati dal 10,6% del 2000 al 18,5 dell'anno scorso con 11,1 milioni in tutto, ma secondo altre stime la quota si avvicina al 25%, una buona fetta dei circa 100 milioni di affezionati europei. La terapia complementare più diffusa, secondo l'Istat, è l'omeopatia (7%) seguita da osteopatia e chiropratica (6,4%), fitoterapia (3,7%) agopuntura (1,8 %). Solo per i prodotti omeopatici siamo il terzo mercato in Europa, dopo Francia e Germania, con un fatturato annuale di circa 300 milioni di euro (dati Eurispes, Omeoimprese).
Non è semplice orientarsi nella medicina complementare e alternativa. E ancor meno identificare quali rimedi siano davvero efficaci e quali semplici placebo, che funzionano solo grazie a buone strategie di marketing. C'è un uomo che ha dedicato tutta la sua vita professionale a far luce su queste zone in ombra, sottoponendo le terapie non convenzionali a test scientifici, come quelli obbligatori per tutti gli altri farmaci, con l'intento di verificarne la validità: è Edzard Ernst, il primo professore al mondo di medicina complementare ma anche il suo più attento critico. Nel corso di ben 18 anni Ernst e il suo gruppo di ricercatori del Peninsula Medical School in Inghilterra, hanno eseguito studi clinici e pubblicato più di 160 metaanalisi (una metaanalisi è una tecnica statistica per estrarre informazioni da serie e blocchi di prove che non avrebbero di per sé affidabilità statistica).
Non parla a nome della lobby farmaceutica, tiene a chiarire: il professore ha riassunto le sue conclusioni nella Guide to Complementary and Alternative Medicine. I risultati sono da brivido: il 95% dei trattamenti esaminati in campi come l'agopuntura, la fitoterapia, l'omeopatia e di riflessologia sono risultati statisticamente indistinguibili da trattamenti placebo. Solo nel 5% dei casi i ricercatori ne hanno riscontrato l'efficacia (l'erba di San Giovanni, per esempio, può aiutare persone affette da depressione lieve mentre l'artiglio del diavolo per i dolori muscoloscheletri). Le conclusioni del professore sono nette: «L'agopuntura funziona quasi solo per la nausea, la chiropratica per alcune forme di mal di schiena; l'omeopatia non è plausibile e non è riuscita a dimostrare di esserlo dopo due secoli e quasi 200 studi clinici; la fitoterapia offre certamente alcuni rimedi interessanti, ma quelli dubbi, sconfessati e addirittura pericolosi che si trovano in commercio sono di gran lunga più numerosi».
In un altro libro, Trick or treatement? Alternative Medicine on Trial, Ernst riporta i risultati delle sue analisi con casi concreti. Incrociando gli studi a disposizione, il professore ha rilevato una scarsa efficacia dei rimedi fitoterapici a base di mirtillo per le malattie degli occhi, le vene varicose, la flebite e i dolori mestruali, così come quelli a base di timo per la bronchite e di vischio per il cancro. Quanto alle candele auricolari, lungi da eliminare il cerume dalle orecchie, lascerebbero invece secondo Ernst un deposito ceroso che prima non c'era, e poi sono state riscontrate ustioni, occlusioni del canale uditivo, perforazioni del timpano. Nessuna controindicazione, ma solo effetto placebo, per i Fiori di Bach, ovvero degli infusi di piante estremamente diluiti e mirati a curare squilibri emotivi, usati per un'infinità di malattie. Identica conclusione, ovvero effetto placebo, per le diverse forme di guarigione spirituale come le preghiere d'intercessione, il tocco terapeutico, il sistema di guarigione di Johari, il reiki, addirittura gli incantesimi per guarire le verruche praticati in certe zone della Gran Bretagna 8dove per la medicina alternativa si spendono 350 milioni di sterline l'anno). Particolarmente dura l'analisi per la pranoterapia, e in generali per i casi in cui ci sarebbe una non meglio precisata energia curativa incanalata nel corpo del paziente dal guaritore. E pericolosa viene definita la medicina ortomolecolare, l'uso in alte dosi di vitamine o minerali per prevenire il tumore.
Non è finita. Ernst ritiene potenzialmente nociva e del tutto priva di prove scientifiche l'ossigenoterapia, cioè l'applicazione diretta o indiretta di ossigeno o ozono al corpo umano utilizzata da alcuni per trattare una varietà di malattie, compresi il cancro (contro il quale ci sono anche inutili terapie a base di vischio), l'aids, le infezioni, le malattie cutanee, i problemi cardiovascolari e reumatici. Stesse conclusioni per l'idrocolonterapia (ovvero l'uso di clisteri per ripulire l'organismo via rettale) nell'ambito delle cure disintossicanti usate nella medicina alternativa. Tra le terapie più discutibili, la magnetoterapia: «Oggi il mercato mondiale dei magneti ammonta ad oltre un miliardo di dollari all'anno – scrive il professore e comprende braccialetti, solette da scarpe, collane, guanciali: i fabbricanti vantano le proprietà terapeutiche dei magneti sistemati vicino al corpo per la cura di vari disturbi come accelerare la guarigione di fratture, migliorare la circolazione sanguigna, alleviare il dolore, ma rigorose ricerche condotte sulla magnetoterapia non suffragano alcuna di queste affermazioni». E poi c'è chi ricorre alla cristalloterapia, l'uso di cristalli come quarzo o altri minerali allo scopo di "curare l'energia", ma anche a tecniche diagnostiche alternative, spesso costose, che possono portare a diagnosi erronee. Insomma, rimedi da prendere in considerazione ma con cautela e senza dimenticare di consultare il medico.
IL PAPA ALLA PLENARIA DEL DICASTERO PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE - CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 30 maggio 2011 (ZENIT.org)
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 30 maggio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo del discorso che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questo lunedì mattina ricevendo in udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
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Signori Cardinali,
Venerati fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Fratelli e Sorelle,
quando lo scorso 28 giugno, ai Primi Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo annunciai di voler istituire un Dicastero per la promozione della nuova evangelizzazione, davo uno sbocco operativo alla riflessione che avevo condotto da lungo tempo sulla necessità di offrire una risposta particolare al momento di crisi della vita cristiana, che si sta verificando in tanti Paesi, soprattutto di antica tradizione cristiana. Oggi, con questo incontro, posso costatare con piacere che il nuovo Pontificio Consiglio è diventato una realtà. Ringrazio Mons. Salvatore Fisichella per le parole che mi ha rivolto, introducendomi ai lavori della vostra prima Plenaria. Un saluto cordiale a tutti voi con l'incoraggiamento per il contributo che darete al lavoro del nuovo Dicastero, soprattutto in vista della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che, nell'ottobre 2012, affronterà proprio il tema Nuova evangelizzazione e trasmissione della fede cristiana.
Il termine "nuova evangelizzazione" richiama l'esigenza di una rinnovata modalità di annuncio, soprattutto per coloro che vivono in un contesto, come quello attuale, in cui gli sviluppi della secolarizzazione hanno lasciato pesanti tracce anche in Paesi di tradizione cristiana. Il Vangelo è il sempre nuovo annuncio della salvezza operata da Cristo per rendere l'umanità partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore e aprirla ad un futuro di speranza affidabile e forte. Sottolineare che in questo momento della storia la Chiesa è chiamata a compiere una nuova evangelizzazione, vuol dire intensificare l'azione missionaria per corrispondere pienamente al mandato del Signore. Il Concilio Vaticano II ricordava che "i gruppi in mezzo ai quali la Chiesa si trova, spesso, per varie ragioni, cambiano radicalmente, così che possono scaturire situazioni del tutto nuove" (Decr. Ad Gentes, 6). Con sguardo lungimirante, i Padri conciliari videro all'orizzonte il cambiamento culturale che oggi è facilmente verificabile. Proprio questa mutata situazione, che ha creato una condizione inaspettata per i credenti, richiede una particolare attenzione per l'annuncio del Vangelo, per rendere ragione della propria fede in situazioni differenti dal passato. La crisi che si sperimenta porta con sé i tratti dell'esclusione di Dio dalla vita delle persone, di una generalizzata indifferenza nei confronti della stessa fede cristiana, fino al tentativo di marginalizzarla dalla vita pubblica. Nei decenni passati era ancora possibile ritrovare un generale senso cristiano che unificava il comune sentire di intere generazioni, cresciute all'ombra della fede che aveva plasmato la cultura. Oggi, purtroppo, si assiste al dramma della frammentarietà che non consente più di avere un riferimento unificante; inoltre, si verifica spesso il fenomeno di persone che desiderano appartenere alla Chiesa, ma sono fortemente plasmate da una visione della vita in contrasto con la fede.
Annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, oggi appare più complesso che nel passato; ma il nostro compito permane identico come agli albori della nostra storia. La missione non è mutata, così come non devono mutare l'entusiasmo e il coraggio che mossero gli Apostoli e i primi discepoli. Lo Spirito Santo che li spinse ad aprire le porte del cenacolo, costituendoli evangelizzatori (cfr At 2,1-4), è lo stesso Spirito che muove oggi la Chiesa per un rinnovato annuncio di speranza agli uomini del nostro tempo. Sant'Agostino afferma che non si deve pensare che la grazia dell'evangelizzazione si sia estesa fino agli Apostoli e con loro quella sorgente di grazia si sia esaurita, ma "questa sorgente si palesa quando fluisce, non quando cessa di versare. E fu in tal modo che la grazia tramite gli Apostoli raggiunse anche altri, che vennero inviati ad annunciare il Vangelo… anzi, ha continuato a chiamare fino a questi ultimi giorni l'intero corpo del suo Figlio Unigenito, cioè la sua Chiesa diffusa su tutta la terra" (Sermo 239,1). La grazia della missione ha sempre bisogno di nuovi evangelizzatori capaci di accoglierla, perché l'annuncio salvifico della Parola di Dio non venga mai meno, nelle mutevoli condizioni della storia.
Esiste una continuità dinamica tra l'annuncio dei primi discepoli e il nostro. Nel corso dei secoli la Chiesa non ha mai smesso di proclamare il mistero salvifico della morte e risurrezione di Gesù Cristo, ma quello stesso annuncio ha bisogno oggi di un rinnovato vigore per convincere l'uomo contemporaneo, spesso distratto e insensibile. La nuova evangelizzazione, per questo, dovrà farsi carico di trovare le vie per rendere maggiormente efficace l'annuncio della salvezza, senza del quale l'esistenza personale permane nella sua contraddittorietà e priva dell'essenziale. Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità, è importante far comprendere che l'essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante, capace di assumere tutto ciò che di buono vi è nella modernità. Mi auguro che nel lavoro di questi giorni possiate delineare un progetto in grado di aiutare tutta la Chiesa e le differenti Chiese particolari, nell'impegno della nuova evangelizzazione; un progetto dove l'urgenza per un rinnovato annuncio si faccia carico della formazione, in particolare per le nuove generazioni, e sia coniugato con la proposta di segni concreti in grado di rendere evidente la risposta che la Chiesa intende offrire in questo peculiare momento. Se, da una parte, l'intera comunità è chiamata a rinvigorire lo spirito missionario per dare l'annuncio nuovo che gli uomini del nostro tempo attendono, non si potrà dimenticare che lo stile di vita dei credenti ha bisogno di una genuina credibilità, tanto più convincente quanto più drammatica è la condizione di coloro a cui si rivolgono. E' per questo che vogliamo fare nostre le parole del Servo di Dio Papa Paolo VI, quando, a proposito dell'evangelizzazione, affermava: "È mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41).
Cari amici, invocando l'intercessione di Maria, Stella dell'evangelizzazione, perché accompagni i portatori del Vangelo e apra i cuori di coloro che ascoltano, vi assicuro la mia preghiera per il vostro servizio ecclesiale e imparto su tutti voi la Benedizione Apostolica.
[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]
IL PAPA: "ESSERE CATTOLICI VUOL DIRE ESSERE MARIANI" - Nell'udienza a una delegazione della Congregazione mariana di Ratisbona
ROMA, lunedì, 30 maggio 2011 (ZENIT.org).- "La cattolicità non può esistere senza un atteggiamento mariano". E' quanto ha detto questo sabato Benedetto XVI nel ricevere in Vaticano alcuni membri della Congregazione mariana maschile di Ratisbona.
Nel corso dell'udienza il Papa ha ricordato che, all'età di 14 anni, venne accolto da questa Congregazione. Erano gli anni bui in cui Hitler aveva già sottomesso gran parte dell'Europa. "Sembrava – ha osservato il Pontefice – che il continente fosse nelle mani di questo potere che poneva in forse il futuro del cristianesimo".
Poco dopo essere stato accolto in seminario, era iniziata però la guerra contro la Russia e dunque la Congregazione era stata "dispersa ai quattro venti". Essa, ha affermato, è tuttavia scomparsa solo esteriormente, rimanendo "come data interiore della vita".
Questo "perché - ha detto Benedetto XVI - da sempre è stato chiaro che la cattolicità non può esistere senza un atteggiamento mariano, che essere cattolici significa essere mariani, che l'amore per la Madre significa che nella Madre e per la Madre troviamo il Signore".
Una convinzione confermata nel Papa dagli studi di mariologia compiuti nel dopoguerra, e dall'influenza che hanno avuto Romano Guardini e il libro del parroco Joseph Weiger, "Maria, Mutter der Glaubenden".
Benedetto XVI ha quindi rivelato che dopo la guerra, "la mariologia che si insegnava nelle università tedesche era un po' aspra e sobria". Una situazione, ha aggiunto, che credo "non sia cambiata molto" anche se ciò che spicca in Maria è la sua fede.
"Beata te che hai creduto!", con le parole di Elisabetta il Papa ha sottolineato che Maria "è la grande credente", colei che "ha concretizzato la fede di Abramo nella fede in Gesù Cristo, indicando così a noi tutti la via della fede".
Maria, ha aggiunto, "ci ha indicato il coraggio di affidarci a quel Dio che si dà nelle nostre mani, la gioia di essere suoi testimoni", il "coraggio di stare dalla parte del Signore quando egli sembrava perduto e proprio così rendere quella testimonianza che ha portato alla Pasqua".
Il Papa ha affermato ancora che, specie durante le visite "ad limina" dei vescovi da tutte le parti del mondo, ha potuto sperimentare come le persone si affidino a Maria, la amino e attraverso di Lei "imparano a conoscere, a comprendere e ad amare Cristo".
Imparano a capire che Maria continua "a mettere al mondo il Signore", a portare Cristo nel mondo
«La missione è la stessa, le circostanze cambiano» di Massimo Introvigne, 30-05-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
A quasi un anno dall'annuncio, il 28 giugno 2010, dell'istituzione del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il 30 maggio 2011 i partecipanti alla plenaria del nuovo Consiglio, cui ha offerto importanti precisazioni sulla nozione di nuova evangelizzazione.
Il Consiglio, ha detto il Papa, vuole essere «uno sbocco operativo alla riflessione che avevo condotto da lungo tempo sulla necessità di offrire una risposta particolare al momento di crisi della vita cristiana, che si sta verificando in tanti Paesi, soprattutto di antica tradizione cristiana». E l'istituzione del nuovo organismo prelude alla XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che, nell'ottobre 2012, affronterà proprio il tema «Nuova evangelizzazione e trasmissione della fede cristiana».
Il termine «nuova evangelizzazione», ha spiegato il Pontefice, non deve ridursi a uno slogan. Piuttosto, «richiama l'esigenza di una rinnovata modalità di annuncio, soprattutto per coloro che vivono in un contesto, come quello attuale, in cui gli sviluppi della secolarizzazione hanno lasciato pesanti tracce anche in Paesi di tradizione cristiana».
Il Papa ha trattato in particolare tre punti relativi alla nozione di nuova evangelizzazione.
Il primo è che la nuova evangelizzazione non è affatto nuova quanto al contenuto. Se è vero che «annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, oggi appare più complesso che nel passato», proprio questa complessità deve anzitutto portarci a ribadire con chiarezza e vigore che «il nostro compito permane identico come agli albori della nostra storia. La missione non è mutata, così come non devono mutare l'entusiasmo e il coraggio che mossero gli Apostoli e i primi discepoli. Lo Spirito Santo che li spinse ad aprire le porte del cenacolo, costituendoli evangelizzatori (cfr At 2,1-4), è lo stesso Spirito che muove oggi la Chiesa per un rinnovato annuncio di speranza agli uomini del nostro tempo».
Già altre volte nella Chiesa si pensò, sbagliando, che i tempi fossero talmente mutati che l'annuncio stesso dovesse mutare o avesse esaurito la sua forza evangelizzatrice. «Sant'Agostino [354-430] – ricorda il Papa – afferma che non si deve pensare che la grazia dell'evangelizzazione si sia estesa fino agli Apostoli e con loro quella sorgente di grazia si sia esaurita, ma "questa sorgente si palesa quando fluisce, non quando cessa di versare. E fu in tal modo che la grazia tramite gli Apostoli raggiunse anche altri, che vennero inviati ad annunciare il Vangelo… anzi, ha continuato a chiamare fino a questi ultimi giorni l'intero corpo del suo Figlio Unigenito, cioè la sua Chiesa diffusa su tutta la terra" (Sermo 239,1)». «Nelle mutevoli condizioni della storia» la sostanza dell'annuncio non muta e non può mutare. «Esiste una continuità dinamica tra l'annuncio dei primi discepoli e il nostro. Nel corso dei secoli la Chiesa non ha mai smesso di proclamare il mistero salvifico della morte e risurrezione di Gesù Cristo».
E tuttavia – è il secondo punto sottolineato dal Pontefice – le condizioni esterne sono davvero molto cambiate. Il Papa ha rivendicato al Concilio Ecumenico Vaticano II il merito di avere intuito, con anticipo, il cambiamento. «Il Concilio Vaticano II ricordava che "i gruppi in mezzo ai quali la Chiesa si trova, spesso, per varie ragioni, cambiano radicalmente, così che possono scaturire situazioni del tutto nuove" (Decr. Ad Gentes, 6). Con sguardo lungimirante, i Padri conciliari videro all'orizzonte il cambiamento culturale che oggi è facilmente verificabile».
Questo cambiamento ha molti aspetti negativi. «L'uomo contemporaneo [è] spesso distratto e insensibile. La crisi che si sperimenta porta con sé i tratti dell'esclusione di Dio dalla vita delle persone, di una generalizzata indifferenza nei confronti della stessa fede cristiana, fino al tentativo di marginalizzarla dalla vita pubblica. Nei decenni passati era ancora possibile ritrovare un generale senso cristiano che unificava il comune sentire di intere generazioni, cresciute all'ombra della fede che aveva plasmato la cultura. Oggi, purtroppo, si assiste al dramma della frammentarietà che non consente più di avere un riferimento unificante; inoltre, si verifica spesso il fenomeno di persone che desiderano appartenere alla Chiesa, ma sono fortemente plasmate da una visione della vita in contrasto con la fede». «Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità» spesso il cristianesimo si riduce a «una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni», non a una testimonianza continua e pubblica. È un dramma, perché senza l'annuncio pieno della salvezza «l'esistenza personale permane nella sua contraddittorietà e priva dell'essenziale».
Terzo punto: in che modo la nuova evangelizzazione può rispondere a questo dramma, cioè può essere veramente se stessa? Deve trattarsi, ha detto Benedetto XVI, di «un progetto dove l'urgenza per un rinnovato annuncio si faccia carico della formazione, in particolare per le nuove generazioni, e sia coniugato con la proposta di segni concreti in grado di rendere evidente la risposta che la Chiesa intende offrire in questo peculiare momento». Da una parte, dunque, formazione per un annuncio esplicito; dall'altra, testimonianza di una vita credibile. «Se, da una parte, l'intera comunità è chiamata a rinvigorire lo spirito missionario per dare l'annuncio nuovo che gli uomini del nostro tempo attendono, non si potrà dimenticare che lo stile di vita dei credenti ha bisogno di una genuina credibilità, tanto più convincente quanto più drammatica è la condizione di coloro a cui si rivolgono».
Benedetto XVI ha citato le parole del servo di Dio Paolo VI (1897-1978), «quando, a proposito dell'evangelizzazione, affermava: "È mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41)». È impossibile? È difficile? Certo oggi non mancherebbero le occasioni di scoraggiamento. Ma nulla è impossibile a chi confida nel Signore e si affida a «Maria, Stella dell'evangelizzazione».
L'idea di preghiera nel pensiero di John Henry Newman - Ci vuole allenamento per avvicinarsi a Dio di Keith Beaumont, Oratorio di Francia, 30 maggio 2011, da http://www.osservatoreromano.va
Pubblichiamo alcuni stralci di una delle relazioni tenute alla Pontificia Università Gregoriana nel simposio internazionale «Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman» organizzato dall'International Centre of Newman Friends.
Per esaminare l'idea di preghiera in Newman come forma di esercizio spirituale o formazione spirituale, occorre inserire il tema nel più ampio contesto di tutto il suo insegnamento. Molti testi trattano aspetti del suo pensiero teologico, ma Newman non è soltanto un teologo nel senso moderno del termine. È anche un teologo nel senso attribuito alla parola durante i primi secoli cristiani, quando il teologo era una persona che cercava Dio attraverso una meditazione orante delle Scritture. Non solo un pensatore, dunque, ma un cercatore di Dio. V'è una famosa definizione di Evagrio Pontico, monaco del iv secolo: «Se preghi veramente, allora sei un teologo e se sei un teologo, allora sarai un uomo di preghiera». Non dico che Newman pensi esplicitamente in questi termini, ma è evidente, quando esaminiamo i suoi scritti e la sua predicazione, che pone la teologia, nel senso moderno, al servizio della spiritualità. Ci invita sempre a passare dal mero pensare a Dio all'attivo cercare Dio. Quindi non è solo un teologo, ma anche una guida spirituale straordinariamente preziosa.
L'espressione «esercizi spirituali» risale ai primi tempi del cristianesimo. Il latino exercitia spiritualia è la traduzione del termine greco askèsis, che i primi cristiani utilizzarono ispirandosi agli esempi del soldato e dell'atleta, che si sottopongono a un allenamento rigoroso per prepararsi a combattere e a vincere. L'espressione è entrata rapidamente in uso, in particolare nei circoli monastici, per indicare sia l'autodisciplina rigorosa a cui il monaco deve sottoporsi sia, in maniera più specifica, la pratica della preghiera contemplativa. Data la sua conoscenza della Chiesa primitiva e degli scritti dei Padri della Chiesa, è impossibile che Newman ignorasse queste idee.
Newman pone al centro della sua predicazione la dottrina che i teologi definiscono, per usare la terminologia di san Giovanni, il dimorare dello Spirito Santo. Questa stessa dottrina è al centro della sua idea di salvezza in una delle sue opere teologiche più importa nti, Lezioni sulla Dottrina della giustificazione. Illustra con costanza anche l'insegnamento di Paolo secondo cui dovremmo sforzarci di diventare il tempio dello Spirito Santo. In un altro dei suoi più bei sermoni, La rettitudine non nostra, ma in noi (1840), dichiara che Cristo salva ciascuno individualmente, qui e ora, con la forza trasformatrice della sua presenza in noi. In breve, Newman pone la teologia al servizio della spiritualità.
Nessuno di questi aspetti è però automatico. Richiede un processo costante di auto-trasformazione volta a renderci sempre più attenti a questa presenza di Dio in noi. A questo fine, Newman sottolinea l'importanza della consapevolezza di sé e dell'abnegazione come strumenti di allenamento della volontà. Evidenzia l'importanza dell'amore per la famiglia e per gli amici nonché di quello fra coniugi come strumenti di allenamento nell'amore di Dio, l'importanza del tempo nella crescita spirituale, l'importanza dell'umiltà, di cui è esempio supremo il suo santo patrono Filippo Neri. Riconosce che la grazia non distrugge la natura, ma, trasformandola dall'interno, la porta alla perfezione. Sottolinea l'importantissimo tema della coscienza, non solo come agente morale, ma anche come consapevolezza della presenza misteriosa di Dio in noi, nel profondo della nostra coscienza.
Essere attenti alla «legge della coscienza» è quindi molto diverso dal semplice constatare i propri pensieri e desideri più intimi. Implica nutrire un atteggiamento interiore di attenzione a Dio e di ricettività. Ascoltare la voce della coscienza implica, dunque, da parte nostra, un'opera per illumini la nostra coscienza.
In questo senso, anche la preghiera è un'opera che si intraprende per ottenere determinati risultati. Di fatto, Newman ci invita a considerare la preghiera un dovere, una forma di allenamento spirituale che dobbiamo compiere per acquisire un privilegio, quello della comunione con Dio.
Vorrei illustrare questo avvalendomi di estratti da alcuni sermoni. Un'osservazione preliminare riguarda il posto della preghiera nella vita cristiana. Come sappiamo, la prima Chiesa ha costituito per Newman il modello della Chiesa e della vita cristiana. Non sorprende che egli sottolinei il posto centrale della preghiera in questa Chiesa. Le due attività legate fra loro, ovvero la preghiera e ciò che chiama vigilanza, fanno parte della sua definizione della vita cristiana dei primi secoli. «Ecco la definizione vera e propria del cristiano: una persona che cerca Cristo».
Dalla vigilanza Newman passa poi alla preghiera, alla quale essa è intimamente legata: san Pietro, che una volta mancava di vigilanza, ripete la lezione: «La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera» (1 Pietro, 4, 7). Come Pietro afferma in questo testo, la preghiera è dunque un'altra caratteristica dei cristiani delle Scritture.
Infine, è chiaro che preghiera qui non significa solo implorazione e richiesta di intercessione, ma intima comunione con Cristo presente nei nostri cuori. Per Newman è stata questa l'esperienza dei primi cristiani apostolici: «Non c'erano barriere, nubi né cose terrene a interporsi fra l'anima del primo cristiano il suo Salvatore e Redentore. Cristo era nel suo cuore, e quindi tutto ciò che proveniva dal suo cuore i suoi pensieri, le sue parole e le azioni, sapevano di Cristo. Il Signore era la luce e quindi il cristiano risplendeva».
Una seconda osservazione riguarda il rapporto fra predicazione e preghiera. Il sermone inedito, pronunciato due volte in occasione dell'anniversario della sua nomina presso St. Mary's, dal titolo Sugli oggetti e gli effetti della predicazione, è una riflessione su tale rapporto. È paradossale: Newman, che di lì a poco sarebbe diventato il predicatore più celebrato della sua epoca, considerava la predicazione meno importante della preghiera collettiva. «Se chiedessimo qual è la ragione principale per cui si viene in chiesa, molte persone, penso, risponderebbero senza esitazione "per ascoltare la predicazione della parola di Dio", ma è una risposta errata. (...) Il grande compito, quello difficile, e il più benedetto e gioioso del Vangelo, è costituito dalla preghiera e dalla lode di molte persone insieme. Cristo promette alla preghiera collettiva una benedizione speciale che non ha promesso alla preghiera privata».
Quanto agli elementi specifici dell'insegnamento di Newman sulla preghiera, il primo riguarda la preghiera come dovere. Egli applica alla pratica della preghiera la terminologia della morale o dell'etica. Quindi descrive la preghiera come un dovere che tutti i cristiani devono compiere volontariamente per acquisire ciò che egli chiama un privilegio. Il sermone Tempi di preghiera privata (1829) insiste sulla necessità di autodisciplina spirituale espressa nella pratica di tempi fissi e regolari di preghiera. L'accento qui cade sulla nozione di dovere: Newman insiste sul fatto che è solo con l'esperienza di quel dovere che possiamo sapere quali privilegi ne scaturiscono. «Fino a quando non abbiamo esperienza dei doveri della religione non riusciremo a comprendere doverosamente i privilegi».
V'è poi il tema della preghiera come forma di disciplina spirituale. Nel sermone citato, Newman sostiene che l'abitudine alla preghiera regolare ha un effetto calmante su mente e anima: «Tempi precisi di preghiera sono necessari, in primo luogo come strumento per rendere la mente serena e l'indole generale più religiosa, in secondo luogo come strumento per praticare una fede seria e quindi ricevere in risposta una benedizione più certa di quella che si potrebbe ottenere in qualsiasi altro modo». In particolare, si rivolge a quei cristiani che hanno la convinzione evangelica che l'essenza della religione stia nella sua intensità emotiva, mentre, sostiene, la vera vita cristiana, di cui fa parte la preghiera, richiede autodisciplina. «Colui che smette di pregare con regolarità perde il mezzo principale per ricordarsi che la vita spirituale è obbedienza al Legislatore, non un semplice sentimento o gusto».
Lo stesso tipo di argomentazione è presente nel sermone Culto religioso un rimedio all'eccitazione (1835). Anche l'esperienza della gioia improvvisa per la scoperta del Vangelo, dichiara Newman, è una condizione eccitante, e tutti gli stati di eccitazione hanno tendenze pericolose. Quindi non si può mai stare tranquilli con un nuovo convertito perché nello stato di eccitazione in cui si trova all'inizio, le emozioni hanno molta più influenza della ragione o della coscienza e, a meno che egli non se ne curi, esse possono trascinarlo, come fa il vento, in una direzione sbagliata.
Il predicatore condanna il consiglio che viene dato spesso e che è lungi dall'essere irrilevante oggi, in particolare fra i giovani e in certi circoli «carismatici» e «revivalistici»: «indulgi nell'entusiasmo». Al contrario, Newman invita «le persone inquiete» a «concentrarsi sul culto della Chiesa, che armonizzerà la loro mente con la legge di Cristo e la alleggerirà». La persona che «desidera portare nel suo cuore la presenza di Cristo deve solo "lodare Dio" e far sì che le parole del santo salterio di Davide le siano familiari, un servizio quotidiano, sempre ripetute e tuttavia sempre nuove e sempre sacre. Preghi e soprattutto permetta l'intercessione. Non dubiti del fatto che la forza della fede e della preghiera agisce su tutte le cose con Dio».
Ecco dunque la funzione definitiva della preghiera per Newman. È uno strumento che ci permette di avvicinarci a Dio e di accogliere la sua presenza nel nostro cuore oppure, e forse è anche più esatto, serve a Dio per avvicinarsi di più a noi.
J'ACCUSE/ La Francia uccide gli embrioni e la libertà del medico di Filippo Vari - martedì 31 maggio 2011 – il sussidiario.net
Dopo mesi di dibattito l'Assemblea nazionale francese è sul punto di approvare una nuova normativa in tema di bioetica. Il progetto contiene norme che violano il diritto alla vita e suscitano una vivace e grave discussione: tra di esse la disposizione che consente, sia pure in casi particolari, di svolgere attività di ricerca - anche distruttiva - su embrioni concepiti in vitro mediante procreazione artificiale, che non formano più oggetto di un "projet parental".
Il paradosso della norma è evidente. Si consente la sperimentazione solo sugli embrioni prodotti in vitro, implicitamente ammettendosi che quelli concepiti in vivo siano uomini. Ma qual è la differenza tra i primi e i secondi? L'uomo, sia pure concepito artificialmente, è ridotto a strumento rispetto al fine della ricerca, a oggetto, secondo una prassi - per riprendere l'analisi di Habermas, ne Il futuro della natura umana - "di reificazione" "oscena" che finisce per trasformare, ulteriormente stravolgendola, "la percezione culturale della vita umana prenatale".
Altra norma al centro delle polemiche è quella che stabilisce che, nel corso della visita, il medico abbia l'obbligo di proporre alla gestante lo svolgimento di esami al fine di valutare la salute del concepito. La disposizione ha una chiara impronta eugenetica, ordinando uno screening sistematico di tutta la popolazione, in controtendenza rispetto al codice civile francese, che sancisce, invece, il divieto di "toute pratique eugénique tendant à l'organisation de la sélection des personnes".
Nonostante tale divieto già oggi in Francia il 96% dei bambini con la trisomia 21 (cosiddetta sindrome di Down) è eliminato prima della nascita.
La nuova norma che l'Assemblea potrebbe introdurre - oltre a costituire una violazione della libertà di coscienza del medico e dei suoi obblighi deontologici - dà vita a una grave discriminazione, giacché essa sottende l'ingiusta idea che la vita di un malato valga meno di quella di una persona sana. Tornano, così, alla mente le parole di un grande giurista del secolo scorso, Francesco Carnelutti, il quale, sia pure ad altro proposito, sessant'anni or sono, criticamente annotava: anche "se un malato vale meno di un sano, a fortiori la vita, anche di un malato, vale qualcosa mentre la non vita non vale nulla. E questo, badiamo, non è un gioco dialettico ma il riconoscimento della più alta verità: a prescindere dalle possibilità sempre maggiori di guarire (… su cui ci si impegnerà sempre meno, visto che vi è un rimedio - terribile, nda - che consente di risolvere il problema con minor sforzo) per chi non confonde il male col morbo e col dolore, proprio la vita d'un malato può raggiungere le vette più alte: se Leopardi fosse stato un atleta, mancherebbe, assai probabilmente, al mondo una delle sue bellezze più pure".
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