Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI: il Regno dei cieli si apre a chi “rinasce dall’alto”
2) Benedetto XVI alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
3) GRAVE VIOLAZIONE DELLA LEGGE - L’EUGENETICA RIENTRA DALLA FINESTRA
4) Il presidente dei banchi alimentari europei: l'Ue aumenti le risorse o sarà crisi
5) Laicità, “processo di argomentazione sensibile alla verità”
Benedetto XVI: il Regno dei cieli si apre a chi “rinasce dall’alto”
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 4 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica mattina da Benedetto XVI in occasione della recita del Regina Caeli con gli appartenenti all’Azione Cattolica, i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
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Cari fratelli e sorelle,
oggi si celebra in vari Paesi, tra cui l’Italia, la solennità dell’Ascensione di Cristo al cielo, mistero della fede che il Libro degli Atti degli Apostoli colloca quaranta giorni dopo la risurrezione (cfr At 1,3-11), ed è perciò che in Vaticano e in alcune Nazioni del mondo esso è già stato celebrato giovedì scorso. Dopo l’Ascensione i primi discepoli restano riuniti nel Cenacolo intorno alla Madre di Gesù, in fervida attesa del dono dello Spirito Santo, promesso da Gesù (cfr At 1,14). In questa prima domenica di maggio, mese mariano, riviviamo questa esperienza anche noi, sentendo più intensamente la presenza spirituale di Maria. E Piazza San Pietro si presenta oggi quasi come un "cenacolo" a cielo aperto, gremito di fedeli, in gran parte soci dell’Azione Cattolica Italiana, ai quali mi rivolgerò dopo la preghiera mariana del Regina Caeli.
Nei suoi discorsi di addio ai discepoli, Gesù ha molto insistito sull’importanza del suo "ritorno al Padre", coronamento di tutta la sua missione: Egli infatti è venuto nel mondo per riportare l’uomo a Dio, non sul piano ideale – come un filosofo o un maestro di saggezza – ma realmente, quale pastore che vuole ricondurre le pecore all’ovile. Questo "esodo" verso la patria celeste, che Gesù ha vissuto in prima persona, l’ha affrontato totalmente per noi. E’ per noi che è disceso dal Cielo ed è per noi che vi è asceso, dopo essersi fatto in tutto simile agli uomini, umiliato fino alla morte di croce, e dopo avere toccato l’abisso della massima lontananza da Dio. Proprio per questo il Padre si è compiaciuto in Lui e Lo ha "sovraesaltato" (Fil 2,9), restituendoGli la pienezza della sua gloria, ma ora con la nostra umanità. Dio nell’uomo – l’uomo in Dio: questa è ormai una verità non teorica ma reale. Perciò la speranza cristiana, fondata in Cristo, non è un’illusione ma, come dice la Lettera agli Ebrei, "in essa noi abbiamo come un’àncora della nostra vita" (Eb 6,19), un’àncora che penetra nel Cielo dove Cristo ci ha preceduto.
E di che cosa ha più bisogno l’uomo di ogni tempo se non di questo: di un saldo ancoraggio per la propria esistenza? Ecco allora nuovamente il senso stupendo della presenza di Maria in mezzo a noi. Volgendo lo sguardo verso di Lei, come i primi discepoli, siamo immediatamente rinviati alla realtà di Gesù: la Madre rimanda al Figlio, che non è più fisicamente tra noi, ma ci attende nella casa del Padre. Gesù ci invita a non restare a guardare in alto, ma a stare insieme uniti nella preghiera, per invocare il dono dello Spirito Santo. Solo infatti a chi "rinasce dall’alto", cioè dallo Spirito di Dio, è aperto l’ingresso nel Regno dei cieli (cfr Gv 3,3-5), e la prima "rinata dall’alto" è proprio la Vergine Maria. A Lei pertanto ci rivolgiamo nella pienezza della gioia pasquale.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare le Suore dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento, la cui fondatrice Maria Maddalena dell’Incarnazione ieri è stata proclamata beata. Saluto inoltre i giovani dell’Oratorio Sacra Famiglia di Cinisello Balsamo, i ragazzi che si preparano a ricevere la Cresima, il Centro "Grazie alla vita" di Mezzolombardo, la scolaresca di Sènnori e i fedeli provenienti da Villa Garibaldi, da Coste e Madonna della Salute e da Scandicci. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
Benedetto XVI alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 4 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, ricevuti in udienza sabato mattina.
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Cari Fratelli nell'Episcopato e nel sacerdozio,
Signore e Signori,
Sono lieto di avere l'occasione di incontrarvi mentre vi riunite nella quattordicesima sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Negli ultimi venti anni, l'Accademia ha offerto un contributo prezioso all'approfondimento e allo sviluppo della dottrina sociale della Chiesa e alla sua applicazione nelle aree del diritto, dell'economia, della politica e di varie altre scienze sociali. Ringrazio la professoressa Margaret Archer per le cortesi parole di saluto che mi ha rivolto ed esprimo sincero apprezzamento a tutti voi per l'impegno profuso nella ricerca, nel dialogo e nell'insegnamento affinché il Vangelo di Gesù Cristo possa continuare a fare luce sulle situazioni complesse di questo mondo in rapido mutamento.
Nella scelta del tema «Perseguire il bene comune: come solidarietà e sussidiarietà possono operare insieme» avete deciso di esaminare l'interrelazione fra quattro principi fondamentali della dottrina sociale cattolica: la dignità della persona umana, il bene comune, la sussidiarietà e la solidarietà (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 160-163). Queste realtà chiave, che emergono dal contatto diretto fra il Vangelo e le concrete circostanze sociali, costituiscono una base per individuare e affrontare gli imperativi dell'umanità all'alba del XXI secolo, come la riduzione delle ineguaglianze nella distribuzione dei beni, l'estensione delle opportunità di educazione, la promozione di una crescita e di uno sviluppo sostenibili e la tutela dell'ambiente.
In che modo la solidarietà e la sussidiarietà possono operare insieme nella ricerca del bene comune in un modo che non solo rispetti la dignità umana, ma le permetta anche di prosperare? Questo è il fulcro del problema che vi interessa. Come hanno già dimostrato i vostri dibattiti preliminari, una risposta soddisfacente potrà emergere solo dopo un attento esame del significato dei termini (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, capitolo 4). La dignità umana è un valore intrinseco della persona creata a immagine e somiglianza di Dio e redenta in Cristo. L'insieme delle condizioni sociali che permettono alle persone di realizzarsi collettivamente e individualmente, è il bene comune. La solidarietà è la virtù che permette alla famiglia umana di condividere in pienezza il tesoro dei beni materiali e spirituali e la sussidiarietà è il coordinamento delle attività della società a sostegno della vita interna delle comunità locali.
Tuttavia, queste definizioni non sono che l'inizio e possono essere comprese adeguatamente solo se vengono collegate organicamente le une alle altre e considerate di sostegno reciproco. All'inizio possiamo tratteggiare le interconnessioni fra questi quattro principi ponendo la dignità della persona nel punto di intersezione di due assi, uno orizzontale, che rappresenta la «solidarietà» e la «sussidiarietà», e uno verticale, che rappresenta il «bene comune». Ciò crea un campo su cui possiamo tracciare i vari punti della dottrina sociale cattolica che formano il bene comune.
Sebbene questa analogia grafica ci offra un'immagine approssimativa di come questi principi siano imprescindibili gli uni dagli altri e necessariamente interconnessi, sappiamo che la realtà è più complessa. Infatti, le profondità insondabili della persona umana e la meravigliosa capacità dell'umanità di comunione spirituale, realtà queste pienamente dischiuse solo attraverso la rivelazione divina, superano di molto la possibilità di rappresentazione schematica. In ogni caso, la solidarietà che unisce la famiglia umana e i livelli di sussidiarietà che la rafforzano dal di dentro devono essere posti sempre entro l'orizzonte della vita misteriosa del Dio Uno e Trino (cfr Gv 5, 26; 6, 57), in cui percepiamo un amore ineffabile condiviso da persone uguali, sebbene distinte (cfr Summa Theologiae, I, q. 42).
Amici, vi invito a permettere a questa verità fondamentale di permeare le vostre riflessioni: non solo nel senso che i principi di solidarietà e di sussidiarietà sono indubbiamente arricchiti dal nostro credere nella Trinità, ma in particolare nel senso che tali principi hanno la potenzialità di porre uomini e donne lungo il cammino che conduce alla scoperta del loro destino ultimo e soprannaturale. La naturale inclinazione umana a vivere in comunità è confermata e trasformata dalla «unità dello Spirito» che Dio ha conferito alle sue figlie e ai suoi figli adottivi (cfr Ef 4, 3; 1 Pt 3, 8). Di conseguenza, la responsabilità dei cristiani di operare per la pace e per la giustizia e il loro impegno irrevocabile per il bene comune sono inseparabili dalla loro missione di proclamare il dono della vita eterna, alla quale Dio ha chiamato ogni uomo e ogni donna.
A questo proposito, la tranquillitas ordinis di cui parla sant'Agostino si riferisce a «tutte le cose», sia alla «pace civile», che è «concordia fra i cittadini», sia alla «pace della città celeste» che è «godimento armonioso e ordinato di Dio, e reciproco in Dio» (De Civitate Dei, XIX, 13). Gli occhi della fede ci permettono di vedere che le città terrena e celeste si compenetrano e sono intrinsecamente ordinate l'una all'altra in quanto appartengono entrambe a Dio, il Padre, che è «al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4, 6). Al contempo, la fede evidenzia maggiormente la legittima autonomia delle realtà terrene che hanno ricevuto «la propria stabilità, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine» (Gaudium et spes, n. 36).
Quindi, siate certi che i vostri dibattiti saranno al servizio di tutte le persone di buona volontà e contemporaneamente ispireranno i cristiani a compiere con maggiore prontezza il loro dovere di migliorare la solidarietà con i propri concittadini e fra di loro e ad agire basandosi sul principio di solidarietà, promuovendo la vita familiare, le associazioni di volontariato, l'iniziativa privata e l'ordine pubblico che facilita il corretto funzionamento delle comunità basilari della società (cfr Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 187).
Quando esaminiamo i principi di solidarietà e di sussidiarietà alla luce del Vangelo, comprendiamo che non sono semplicemente «orizzontali»: entrambi possiedono un'essenziale dimensione verticale. Gesù ci esorta a fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi (cfr Lc 6, 31), ad amare il nostro prossimo come noi stessi (cfr Mt 22, 35). Questi comandamenti sono iscritti dal Creatore nella natura stessa umana (cfr Deus caritas est, n. 31). Gesù insegna che questo amore ci esorta a dedicare la nostra vita al bene degli altri (cfr Gv 15, 12-13). In questo senso la solidarietà autentica, sebbene cominci con il riconoscimento del pari valore dell'altro, si compie solo quando metto volontariamente la mia vita al servizio dell'altro (cfr Ef 6, 21). Questa è la dimensione «verticale» della solidarietà: sono spinto a farmi meno dell'altro per soddisfare le sue necessità (cfr Gv 13, 14-15), proprio come Gesù «si è umiliato» per permettere agli uomini e alle donne di partecipare alla sua vita divina con il Padre e lo Spirito (cfr Fil 2, 8; Mt 23, 12).
Parimenti, la sussidiarietà, che incoraggia uomini e donne a instaurare liberamente rapporti donatori di vita con quanti sono loro più vicini e dai quali sono più direttamente dipendenti, e che esige dalle più alte autorità il rispetto di tali rapporti, manifesta una dimensione «verticale» rivolta al Creatore dell'ordine sociale (cfr Rm 12, 16, 18). Una società che onora il principio di sussidiarietà libera le persone dal senso di sconforto e di disperazione, garantendo loro la libertà di impegnarsi reciprocamente nelle sfere del commercio, della politica e della cultura (cfr Quadragesimo anno, n. 80). Quando i responsabili del bene comune rispettano il naturale desiderio umano di autogoverno basato sulla sussidiarietà lasciano spazio alla responsabilità e all'iniziativa individuali, ma, soprattutto, lasciano spazio all'amore (cfr Rm 13, 8; Deus caritas est, n. 28), che resta sempre la «via migliore di tutte» (1Cor 12, 31).
Nel rivelare l'amore del Padre, Gesù ci ha insegnato non solo come vivere da fratelli e sorelle qui, sulla terra, ma anche che egli stesso è la via verso la comunione perfetta fra noi e con Dio nel mondo che verrà, poiché è per mezzo di Lui che «possiamo presentarci al Padre in un solo Spirito» (cfr Ef 2, 18). Mentre vi adoperate per elaborare modi in cui uomini e donne possano promuovere al meglio il bene comune, vi incoraggio a sondare le dimensioni «verticale» e «orizzontale» della solidarietà e della sussidiarietà. In tal modo, potrete proporre modalità più efficaci per risolvere i molteplici problemi che affliggono l'umanità alla soglia del terzo millennio, testimoniando anche il primato dell'amore, che trascende e realizza la giustizia in quanto orienta l'umanità verso la vita autentica di Dio (cfr Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace 2004). Con questi sentimenti, vi assicuro delle mie preghiere e estendo di cuore la mia Benedizione Apostolica a voi e ai vostri cari quale pegno di pace e di gioia nel Signore Risorto.
[Traduzione a cura de L'Osservatore Romano]
GRAVE VIOLAZIONE DELLA LEGGE - L’EUGENETICA RIENTRA DALLA FINESTRA
E’ un dovere per tutti, anche per i ministri e le ministre, rispettare la legge. È doveroso rispettarne la lettera e, ancor più, lo spirito…
di Francesco D’Agostino
E’ un dovere per tutti, anche per i ministri e le ministre, rispettare la legge. È doveroso rispettarne la lettera e, ancor più, lo spirito. E soprattutto è doveroso per tutti, anche per le ministre, praticare l’onestà intellettuale: non ci si può ad esempio vantare di applicare «rigorosamente » una legge (come ha fatto la ministra Livia Turco nel comunicato che accompagna l’emanazione delle nuove Linee guida di applicazione della legge sulla Procreazione assistita), quando se ne viola lo spirito – e con ogni probabilità anche la lettera.
La legge 40/2004 – che invano, ricordiamocelo, si è cercato di abrogare tramite referendum – prende le mosse da due principi fondamentali: la doverosa tutela dell’interesse procreativo delle coppie sterili, che intendano ricorrere alle tecniche di procreazione assistita; la doverosa garanzia, nell’applicazione di queste tecniche, dei diritti del nascituro, primo tra tutti quello di venire al mondo. Il riferimento che la legge fa alla sterilità, come presupposto per l’accesso alle pratiche di procreazione, è essenziale, per mantenere loro un doveroso carattere terapeutico ed escluderne qualunque uso a fini di mera manipolazione. Per garantire il diritto alla vita del nascituro, la legge impone (salvo casi eccezionali) di produrre in provetta solo quegli embrioni (al massimo tre) per i quali la donna sia disposta ad accettare il trasferimento in utero e vieta rigorosamente qualsiasi forma a carico degli embrioni di selezione eugenetica.
Le nuove Linee guida violano palesemente ambedue questi principi. Innovando alla precedente regolamentazione, esse ammettono alla fecondazione assistita coppie, il cui partner maschile sia portatore di patologie sessualmente trasmissibili. L’argomento utilizzato dalla ministra per giustificare questa disposizione è che a tali uomini andrebbe riconosciuto «uno stato di infertilità di fatto »: categoria, questa, scientificamente priva di senso (dato che costoro sono comunque in grado di procreare) e giuridicamente ambigua: un uomo potrebbe ad esempio essere ritenuto «di fatto » non fertile, solo perché privo di partner femminile (magari intenzionalmente, come può avvenire nel caso degli omosessuali). La realtà è che alterando con le nuove Linee guida l’ancoraggio della legge 40 alla sterilità, si muta in radice tutto lo spirito della legge.
Ancora più grave un’altra innovazione delle Linee guida appena pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Si ribadisce la disposizione che proibisce di sottoporre gli embrioni creati in provetta a diagnosi pre-impianto a finalità eugenetica, ma si cassano i paragrafi delle vecchie linee guida che limitavano le indagini sullo stato di salute degli embrioni a quelle strettamente «osservazionali». La posta in gioco è chiara: aprire la strada a test genetici pre-impiantatori. Con due risvolti: il primo concerne la salute degli embrioni, perché qualunque diagnosi che non sia meramente osservazionale ne pone a rischio la sopravvivenza (contraddicendo dunque lo spirito della legge, che vuole salvaguardare il loro diritto alla vita). Il secondo risvolto è ancora più grave: vengono ad essere di fatto consentite le diagnosi a finalità eugenetica, pur formalmente proibite dalla legge. Quando infatti, grazie a un test genetico, si informasse la donna che dei due o tre embrioni procreati in provetta uno solo è portatore di una qualsiasi patologia (anche se pienamente compatibile con la sopravvivenza) l’esito probabile sarebbe la richiesta della donna di accogliere in utero solo gli embrioni 'sani' e di escludere dall’impianto l’ embrione 'malato' (e basterebbe già sottolineare il carattere solo probabilistico dei test genetici per rilevare la gravità bioetica di simili pratiche, che portano inevitabilmente alla distruzione di embrioni sani). La stessa strada potrebbe essere percorsa per selezionare il sesso del nascituro, trasferendo in utero, dopo un adeguato test genetico, solo l’embrione del sesso desiderato.
L’eugenetica, tenuta fuori dalla porta, rientra così dalla finestra. È innegabile che esista in molte coppie un desiderio di selezione eugenetica dei nascituri (desiderio in alcuni casi, come quelli di patologie estremamente gravi, anche umanamente comprensibile), ma è altrettanto innegabile che questo desiderio non è compatibile col rispetto per le vite create in provetta. Non solo la lettera, ma anche e soprattutto lo spirito della legge 40 a favore della tutela della vita embrionale sono inequivocabili: le nuove Linee guida alterano significativamente l’una e l’altro.
Eppure dovremmo tutti, anche le ministre – e soprattutto le ministre di un Governo giunto alla fine del suo mandato –, rispettare con onestà intellettuale la legge vigente, sia nella sua lettera che nel suo spirito.
Avvenire 1 maggio 2008
Il presidente dei banchi alimentari europei: l'Ue aumenti le risorse o sarà crisi
Int. a Jean Delmelle05/05/2008
Autore(i): Int. a Jean Delmelle. Pubblicato il 05/05/2008 – ILSussidiario.net
Qual è la Sua opinione sulla recente iniziativa del segretario dell’ONU Ban Ki-Moon di costituire una task force presso le Nazioni Unite per far fronte all’emergenza alimentare?
La situazione è talmente grave che rende ben accetta ogni idea che possa portare ad una riduzione dell’emergenza e possa venire incontro ai bisogni di chi soffre la fame. A mio parere, questa iniziativa non è solo un segnale per richiamare l’attenzione internazionale su questo grave problema, ma anche un invito ad agire, almeno spero. Il rilievo che i mezzi di comunicazione stanno dando a questa emergenza è grande, ma occorre fare qualcosa di concreto, e quindi ogni iniziativa intrapresa dall’ONU o da altri paesi non può che essere ben accetta.
Quali sono secondo Lei le ragioni profonde di questa crisi?
Non sono forse nella posizione per poter rispondere a questa difficile domanda. Noi, come Banchi alimentari, possiamo agire solo sulle conseguenze, che sono spesso drammatiche e che cerchiamo di alleviare. Le cause possono essere molteplici, ma la questione di fondo rimane comunque un problema di domanda e offerta, secondo i più elementari principi economici. Le disponibilità alimentari non sono più sufficienti per far fronte a una domanda sempre più crescente, anche per le crisi produttive che stanno investendo diversi paesi.
Qual è il Suo giudizio sulle politiche che l’Unione Europea sta adottando?
Vorrei partire dalla filosofia che sta alla base dell’attività dei Banchi alimentari, che consiste nell’utilizzare gli sprechi del mercato, industrie, supermercati, ristoranti, recuperandoli per destinarli ai bisognosi. Sotto questo profilo, sono state finora molto importanti le eccedenze agricole dell’Unione Europea che venivano assegnate ai paesi membri del Programma Europeo di aiuto alimentare ai più bisognosi (PEAD). Oggi queste eccedenze si stanno azzerando e questo impone dei cambiamenti, perchè il cibo è una delle esigenze primarie, direi un diritto naturale. L’attuale scarsità di offerta pone anche un problema di prezzo, che deve rimanere sostenibile. Attualmente il budget stanziato nell’Unione Europea per il PEAD è, approssimativamente, di circa 300 milioni di euro, che consente di aiutare molte persone. Se un domani aderissero al programma grandi Stati come la Germania o la Gran Bretagna, che attualmente ne sono fuori, si dovrebbero stanziare molte più risorse, come si è dovuto già fare con l’adesione della Romania e della Bulgaria. Certo, dipende dal livello di povertà nei vari Stati ma, tenendo conto che anche i paesi scandinavi sono fuori dal programma, se tutti aderissero il budget dovrebbe essere fortemente aumentato.
Pensa che un cambiamento nelle politiche agricole a livello europeo potrebbe modificare questo andamento?
Le soluzioni possono essere solo due: o si cerca di avere meno persone povere, aumentando in qualche modo il reddito disponibile, o si incrementa l’offerta di prodotti alimentari. Anche l’Unione Europea può agire solo su questi due versanti, tenendo conto che il primo è più difficile, se non altro perché richiede tempo.
Per il secondo aspetto quindi si parla di iniziative sociali in senso più generale...
Sicuramente gli interventi di carattere sociale tendono a diminuire il livello di povertà, ma non è detto che il problema fondamentale dell’alimentazione divenga prioritario in queste iniziative. L’accento potrebbe essere posto su altri bisogni, come per esempio quello della casa. Così si rischierebbe di veder ridotti gli stanziamenti a favore di quel bene primario, di base, che è il cibo, rispetto al quale anche gli altri bisogni, pur importantissimi, vengono dopo.
Cosa pensa della consultazione promossa dalla UE su internet che si chiuderà il 14 maggio: può essere utile?
Penso sia positivo che l’UE abbia preso questa iniziativa, perché un sondaggio sulle opinioni dei cittadini, sui vari aspetti del problema e sulle priorità può essere molto utile. È anche un modo per coinvolgere l’opinione pubblica. La speranza è che le risposte siano numerose, come sta accadendo nel mio paese, e credo nel vostro, grazie all’impegno di molte organizzazioni. Il rischio è, come in tutti i sondaggi, che se le risposte non sono statisticamente sufficienti, anche i risultati vengano falsati e quindi conducano a scelte non giuste. Comunque, rimane un’iniziativa utile anche perché vi è stato il coinvolgimento delle organizzazioni attive nel settore. Anche la FEBA ha partecipato alla elaborazione del questionario. Quindi ci si sta muovendo nella giusta direzione, anche per l’azione di diversi parlamentari europei come, tra gli altri, Mario Mauro.
Qual è la Sua opinione sui vouchers, cioè sui buoni acquisto di beni alimentari da distribuire a chi ha bisogno?
Il problema dei vouchers è che così ci si limita a consentire alle persone bisognose di comprare del cibo, senza neppure la possibilità di controllare la sua qualità. È quanto succede negli Stati Uniti con i cosiddetti food stamp, dove la gente finisce per comprare cibo non salutare (junk food), con una dieta poco variata e bilanciata, con problemi quindi anche per la salute. Un altro approccio è quello che ho visto in alcuni paesi, particolarmente in Italia, dove non ci si limita a fornire cibo, ma si cerca di dare attenzione a tutta la persona, creando quindi un rapporto più profondo che può essere di grande aiuto per aiutare a uscire da situazioni di povertà. Questo richiede l’impegno di molte persone, che facciano questo per un ideale.
Un’ultima domanda. Vi è qualche differenza tra l’Italia e il resto dell’Europa?
Non sono nella posizione di comparare tutti i paesi. Sono stato in Spagna, in Germania, in Italia. Mi ha colpito in Italia, come già accennato, qualcosa di speciale, cioè la grande partecipazione: per esempio, il grande risalto che riesce ad avere la “Colletta”. E poi sono rimasto colpito dal numero di persone che lavorano per il Banco settimana dopo settimana. A Milano, Napoli e Roma. Il livello è molto alto, e questa è più che un’impressione. Anche il management del Banco Alimentare italiano è di prima classe. Inoltre, vi è un elevato senso di solidarietà, che vi è anche in Belgio, che non si ritrova invece in altri paesi. Forse perché sia da voi che da noi vi sono grandi differenze di ricchezza e benessere tra le varie regioni, e ciò stimola la solidarietà.
Un’importante iniziativa da sostenere
La petizione a favore dei banchi alimentari
I consigli della Feba per compilare la petizione
Laicità, “processo di argomentazione sensibile alla verità”
Stefano Alberto05/05/2008
Autore(i): Stefano Alberto. Pubblicato il 05/05/2008 – IlSussidiario.net
E’ più che mai valida la tesi, formulata nell’ormai lontano 1967, dal grande giurista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde secondo cui “lo Stato liberale e secolarizzato si nutre di premesse normative che da solo non può garantire”. Lo stesso studioso ha più di recente osservato che “i processi di globalizzazione, europeizzazione e individualizzazione, rodendo le basi politiche della modernità,…rischiano seriamente di innescare una crisi irreversibile della nozione stessa di autonomia politica”. Di fronte a questa crisi occorre ripensare in termini nuovi la nozione stessa di laicità dello Stato e riconsiderare in termini più obiettivi e aperti di quanto spesso non accada nel dibattito attuale le sue relazioni con quella presenza originale nella vita del mondo che è la Chiesa.
Molti ormai avvertono i limiti di una visione che in fondo resta debitrice di quella che Paolo Grossi ha definito la “riduzione del paesaggio giuridico moderno” a due soggetti: da una lato il macro-soggetto politico, lo stato, dall’altro il micro-soggetto privato, l’individuo. Si rende sempre più evidente così quel singolare paradosso, osservato dal card. Scola, di una crescente contrapposizione tra questi soggetti: “da una parte i singoli individui che godono di una gamma crescente e indefinita di diritti nei confronti dello Stato che è chiamato, dall’altra parte a garantirli legiferando prolissamente su ogni materia” (cfr. Una nuova laicità, p.33).
Nella mai pronunciata allocuzione alla Sapienza Benedetto XVI ha ripreso la visione di Jürgen Habermas sul duplice fondamento di una carta costituzionale quale presupposto della legalità: la partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e la “forma ragionevole” in cui i contrasti politici vengono risolti. Questa “ragionevolezza” non può ridursi a una “lotta per le maggioranze aritmetiche” in una democrazia, ma deve caratterizzarsi come “processo di argomentazione sensibile alla verità”. Percorso assai arduo nella pratica, spesso sopraffatto dalla “sensibilità per gli interessi” individuali o collettivi, proprio a partire da una visione del diritto esclusivamente come potere e della conseguente riduzione della democrazia, non più considerata quale ordinamento, ma a un insieme di procedure e a utilitaristico bilanciamento di interessi attraverso la legge. Con la domanda “come si individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo?” Benedetto XVI si dimostra fiducioso sulla possibilità di recuperare la dimensione conoscitiva (veritativa) nel tentativo continuo di dare giusta forma alla libertà umana, che è sempre “libertà nella comunione reciproca” all’interno della comunità politica. Appare pertanto riduttiva una concezione di laicità esclusivamente e formalisticamente riferita alla legalità, separata dalla esigenza originale di giustizia che è costitutiva dell’”esperienza elementare” (così Giussani) di ogni uomo, da quel “comune senso di giustizia, basato primariamente sulla solidarietà tra i membri della società”, il cui frutto sono i diritti umani “validi per tutti i tempi e per tutti i popoli” (cfr. Benedetto XVI, Discorso all’ONU).
Emerge in positivo una concezione di laicità dunque che vede lo Stato non come istanza potestativa assoluta, ma come istituzione regolativa (cioè di tutela e promozione secondo i principi di sussidiarietà e solidarietà) della complessità originale della comunità politica e sociale che, a sua volta, ha il suo fondamento nella singola persona, nella sua duplice polarità di irriducibile identità e originale relazione, da cui scaturiscono non solo diritti, ma anche doveri nel perseguimento del bene comune. Si apre così lo spazio educativo e la possibilità del confronto per quella “cultura della responsabilità”, di cui parlò don Giussani ad Assago nel 1987, che “deve mantenere vivo quel desiderio originale dell’uomo da cui scaturiscono desideri e valori: il rapporto con l’infinito”.
In questo senso la presenza originale della Chiesa, la sua dimensione e valenza anche pubblica, attraverso la distinzione e l’autonomia reciproca dallo Stato (la novità sostanziale portata da Cristo stesso nel rapporto con il potere, tra ciò che è di Dio e ciò che è di Cesare, cfr. Mt 22,21) offre l’instancabile contributo a quel dialogo (che suppone il reciproco riconoscimento) visto da Benedetto XVI “quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori e obiettivi particolari” (Discorso all’ONU). Così la effettiva “libertas Ecclesiae” risulta essere, oltre che più sicura garanzia per la libertà di ogni persona e formazione sociale, anche criterio di verifica più immediato e significativo di una reale dinamica di giustizia nel rapporto tra la persona, la società e lo Stato.
La Chiesa non è, e non intende essere un agente politico, non rivendicando nessun privilegio in tal senso e affidando ai fedeli laici il compito di agire per costruire in tale ambito, sotto propria responsabilità, un giusto ordine nella società. Nella missione della Chiesa, che ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la novità della fede cristiana viene proposta, mai imposta, quale contributo, lo ricorda Benedetto XVI in “Deus caritas est” n.28, “alla purificazione della ragione”, recando il proprio aiuto “per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato”.
1) Benedetto XVI: il Regno dei cieli si apre a chi “rinasce dall’alto”
2) Benedetto XVI alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
3) GRAVE VIOLAZIONE DELLA LEGGE - L’EUGENETICA RIENTRA DALLA FINESTRA
4) Il presidente dei banchi alimentari europei: l'Ue aumenti le risorse o sarà crisi
5) Laicità, “processo di argomentazione sensibile alla verità”
Benedetto XVI: il Regno dei cieli si apre a chi “rinasce dall’alto”
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 4 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica mattina da Benedetto XVI in occasione della recita del Regina Caeli con gli appartenenti all’Azione Cattolica, i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
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Cari fratelli e sorelle,
oggi si celebra in vari Paesi, tra cui l’Italia, la solennità dell’Ascensione di Cristo al cielo, mistero della fede che il Libro degli Atti degli Apostoli colloca quaranta giorni dopo la risurrezione (cfr At 1,3-11), ed è perciò che in Vaticano e in alcune Nazioni del mondo esso è già stato celebrato giovedì scorso. Dopo l’Ascensione i primi discepoli restano riuniti nel Cenacolo intorno alla Madre di Gesù, in fervida attesa del dono dello Spirito Santo, promesso da Gesù (cfr At 1,14). In questa prima domenica di maggio, mese mariano, riviviamo questa esperienza anche noi, sentendo più intensamente la presenza spirituale di Maria. E Piazza San Pietro si presenta oggi quasi come un "cenacolo" a cielo aperto, gremito di fedeli, in gran parte soci dell’Azione Cattolica Italiana, ai quali mi rivolgerò dopo la preghiera mariana del Regina Caeli.
Nei suoi discorsi di addio ai discepoli, Gesù ha molto insistito sull’importanza del suo "ritorno al Padre", coronamento di tutta la sua missione: Egli infatti è venuto nel mondo per riportare l’uomo a Dio, non sul piano ideale – come un filosofo o un maestro di saggezza – ma realmente, quale pastore che vuole ricondurre le pecore all’ovile. Questo "esodo" verso la patria celeste, che Gesù ha vissuto in prima persona, l’ha affrontato totalmente per noi. E’ per noi che è disceso dal Cielo ed è per noi che vi è asceso, dopo essersi fatto in tutto simile agli uomini, umiliato fino alla morte di croce, e dopo avere toccato l’abisso della massima lontananza da Dio. Proprio per questo il Padre si è compiaciuto in Lui e Lo ha "sovraesaltato" (Fil 2,9), restituendoGli la pienezza della sua gloria, ma ora con la nostra umanità. Dio nell’uomo – l’uomo in Dio: questa è ormai una verità non teorica ma reale. Perciò la speranza cristiana, fondata in Cristo, non è un’illusione ma, come dice la Lettera agli Ebrei, "in essa noi abbiamo come un’àncora della nostra vita" (Eb 6,19), un’àncora che penetra nel Cielo dove Cristo ci ha preceduto.
E di che cosa ha più bisogno l’uomo di ogni tempo se non di questo: di un saldo ancoraggio per la propria esistenza? Ecco allora nuovamente il senso stupendo della presenza di Maria in mezzo a noi. Volgendo lo sguardo verso di Lei, come i primi discepoli, siamo immediatamente rinviati alla realtà di Gesù: la Madre rimanda al Figlio, che non è più fisicamente tra noi, ma ci attende nella casa del Padre. Gesù ci invita a non restare a guardare in alto, ma a stare insieme uniti nella preghiera, per invocare il dono dello Spirito Santo. Solo infatti a chi "rinasce dall’alto", cioè dallo Spirito di Dio, è aperto l’ingresso nel Regno dei cieli (cfr Gv 3,3-5), e la prima "rinata dall’alto" è proprio la Vergine Maria. A Lei pertanto ci rivolgiamo nella pienezza della gioia pasquale.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare le Suore dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento, la cui fondatrice Maria Maddalena dell’Incarnazione ieri è stata proclamata beata. Saluto inoltre i giovani dell’Oratorio Sacra Famiglia di Cinisello Balsamo, i ragazzi che si preparano a ricevere la Cresima, il Centro "Grazie alla vita" di Mezzolombardo, la scolaresca di Sènnori e i fedeli provenienti da Villa Garibaldi, da Coste e Madonna della Salute e da Scandicci. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]
Benedetto XVI alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 4 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, ricevuti in udienza sabato mattina.
* * *
Cari Fratelli nell'Episcopato e nel sacerdozio,
Signore e Signori,
Sono lieto di avere l'occasione di incontrarvi mentre vi riunite nella quattordicesima sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Negli ultimi venti anni, l'Accademia ha offerto un contributo prezioso all'approfondimento e allo sviluppo della dottrina sociale della Chiesa e alla sua applicazione nelle aree del diritto, dell'economia, della politica e di varie altre scienze sociali. Ringrazio la professoressa Margaret Archer per le cortesi parole di saluto che mi ha rivolto ed esprimo sincero apprezzamento a tutti voi per l'impegno profuso nella ricerca, nel dialogo e nell'insegnamento affinché il Vangelo di Gesù Cristo possa continuare a fare luce sulle situazioni complesse di questo mondo in rapido mutamento.
Nella scelta del tema «Perseguire il bene comune: come solidarietà e sussidiarietà possono operare insieme» avete deciso di esaminare l'interrelazione fra quattro principi fondamentali della dottrina sociale cattolica: la dignità della persona umana, il bene comune, la sussidiarietà e la solidarietà (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 160-163). Queste realtà chiave, che emergono dal contatto diretto fra il Vangelo e le concrete circostanze sociali, costituiscono una base per individuare e affrontare gli imperativi dell'umanità all'alba del XXI secolo, come la riduzione delle ineguaglianze nella distribuzione dei beni, l'estensione delle opportunità di educazione, la promozione di una crescita e di uno sviluppo sostenibili e la tutela dell'ambiente.
In che modo la solidarietà e la sussidiarietà possono operare insieme nella ricerca del bene comune in un modo che non solo rispetti la dignità umana, ma le permetta anche di prosperare? Questo è il fulcro del problema che vi interessa. Come hanno già dimostrato i vostri dibattiti preliminari, una risposta soddisfacente potrà emergere solo dopo un attento esame del significato dei termini (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, capitolo 4). La dignità umana è un valore intrinseco della persona creata a immagine e somiglianza di Dio e redenta in Cristo. L'insieme delle condizioni sociali che permettono alle persone di realizzarsi collettivamente e individualmente, è il bene comune. La solidarietà è la virtù che permette alla famiglia umana di condividere in pienezza il tesoro dei beni materiali e spirituali e la sussidiarietà è il coordinamento delle attività della società a sostegno della vita interna delle comunità locali.
Tuttavia, queste definizioni non sono che l'inizio e possono essere comprese adeguatamente solo se vengono collegate organicamente le une alle altre e considerate di sostegno reciproco. All'inizio possiamo tratteggiare le interconnessioni fra questi quattro principi ponendo la dignità della persona nel punto di intersezione di due assi, uno orizzontale, che rappresenta la «solidarietà» e la «sussidiarietà», e uno verticale, che rappresenta il «bene comune». Ciò crea un campo su cui possiamo tracciare i vari punti della dottrina sociale cattolica che formano il bene comune.
Sebbene questa analogia grafica ci offra un'immagine approssimativa di come questi principi siano imprescindibili gli uni dagli altri e necessariamente interconnessi, sappiamo che la realtà è più complessa. Infatti, le profondità insondabili della persona umana e la meravigliosa capacità dell'umanità di comunione spirituale, realtà queste pienamente dischiuse solo attraverso la rivelazione divina, superano di molto la possibilità di rappresentazione schematica. In ogni caso, la solidarietà che unisce la famiglia umana e i livelli di sussidiarietà che la rafforzano dal di dentro devono essere posti sempre entro l'orizzonte della vita misteriosa del Dio Uno e Trino (cfr Gv 5, 26; 6, 57), in cui percepiamo un amore ineffabile condiviso da persone uguali, sebbene distinte (cfr Summa Theologiae, I, q. 42).
Amici, vi invito a permettere a questa verità fondamentale di permeare le vostre riflessioni: non solo nel senso che i principi di solidarietà e di sussidiarietà sono indubbiamente arricchiti dal nostro credere nella Trinità, ma in particolare nel senso che tali principi hanno la potenzialità di porre uomini e donne lungo il cammino che conduce alla scoperta del loro destino ultimo e soprannaturale. La naturale inclinazione umana a vivere in comunità è confermata e trasformata dalla «unità dello Spirito» che Dio ha conferito alle sue figlie e ai suoi figli adottivi (cfr Ef 4, 3; 1 Pt 3, 8). Di conseguenza, la responsabilità dei cristiani di operare per la pace e per la giustizia e il loro impegno irrevocabile per il bene comune sono inseparabili dalla loro missione di proclamare il dono della vita eterna, alla quale Dio ha chiamato ogni uomo e ogni donna.
A questo proposito, la tranquillitas ordinis di cui parla sant'Agostino si riferisce a «tutte le cose», sia alla «pace civile», che è «concordia fra i cittadini», sia alla «pace della città celeste» che è «godimento armonioso e ordinato di Dio, e reciproco in Dio» (De Civitate Dei, XIX, 13). Gli occhi della fede ci permettono di vedere che le città terrena e celeste si compenetrano e sono intrinsecamente ordinate l'una all'altra in quanto appartengono entrambe a Dio, il Padre, che è «al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4, 6). Al contempo, la fede evidenzia maggiormente la legittima autonomia delle realtà terrene che hanno ricevuto «la propria stabilità, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine» (Gaudium et spes, n. 36).
Quindi, siate certi che i vostri dibattiti saranno al servizio di tutte le persone di buona volontà e contemporaneamente ispireranno i cristiani a compiere con maggiore prontezza il loro dovere di migliorare la solidarietà con i propri concittadini e fra di loro e ad agire basandosi sul principio di solidarietà, promuovendo la vita familiare, le associazioni di volontariato, l'iniziativa privata e l'ordine pubblico che facilita il corretto funzionamento delle comunità basilari della società (cfr Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 187).
Quando esaminiamo i principi di solidarietà e di sussidiarietà alla luce del Vangelo, comprendiamo che non sono semplicemente «orizzontali»: entrambi possiedono un'essenziale dimensione verticale. Gesù ci esorta a fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi (cfr Lc 6, 31), ad amare il nostro prossimo come noi stessi (cfr Mt 22, 35). Questi comandamenti sono iscritti dal Creatore nella natura stessa umana (cfr Deus caritas est, n. 31). Gesù insegna che questo amore ci esorta a dedicare la nostra vita al bene degli altri (cfr Gv 15, 12-13). In questo senso la solidarietà autentica, sebbene cominci con il riconoscimento del pari valore dell'altro, si compie solo quando metto volontariamente la mia vita al servizio dell'altro (cfr Ef 6, 21). Questa è la dimensione «verticale» della solidarietà: sono spinto a farmi meno dell'altro per soddisfare le sue necessità (cfr Gv 13, 14-15), proprio come Gesù «si è umiliato» per permettere agli uomini e alle donne di partecipare alla sua vita divina con il Padre e lo Spirito (cfr Fil 2, 8; Mt 23, 12).
Parimenti, la sussidiarietà, che incoraggia uomini e donne a instaurare liberamente rapporti donatori di vita con quanti sono loro più vicini e dai quali sono più direttamente dipendenti, e che esige dalle più alte autorità il rispetto di tali rapporti, manifesta una dimensione «verticale» rivolta al Creatore dell'ordine sociale (cfr Rm 12, 16, 18). Una società che onora il principio di sussidiarietà libera le persone dal senso di sconforto e di disperazione, garantendo loro la libertà di impegnarsi reciprocamente nelle sfere del commercio, della politica e della cultura (cfr Quadragesimo anno, n. 80). Quando i responsabili del bene comune rispettano il naturale desiderio umano di autogoverno basato sulla sussidiarietà lasciano spazio alla responsabilità e all'iniziativa individuali, ma, soprattutto, lasciano spazio all'amore (cfr Rm 13, 8; Deus caritas est, n. 28), che resta sempre la «via migliore di tutte» (1Cor 12, 31).
Nel rivelare l'amore del Padre, Gesù ci ha insegnato non solo come vivere da fratelli e sorelle qui, sulla terra, ma anche che egli stesso è la via verso la comunione perfetta fra noi e con Dio nel mondo che verrà, poiché è per mezzo di Lui che «possiamo presentarci al Padre in un solo Spirito» (cfr Ef 2, 18). Mentre vi adoperate per elaborare modi in cui uomini e donne possano promuovere al meglio il bene comune, vi incoraggio a sondare le dimensioni «verticale» e «orizzontale» della solidarietà e della sussidiarietà. In tal modo, potrete proporre modalità più efficaci per risolvere i molteplici problemi che affliggono l'umanità alla soglia del terzo millennio, testimoniando anche il primato dell'amore, che trascende e realizza la giustizia in quanto orienta l'umanità verso la vita autentica di Dio (cfr Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace 2004). Con questi sentimenti, vi assicuro delle mie preghiere e estendo di cuore la mia Benedizione Apostolica a voi e ai vostri cari quale pegno di pace e di gioia nel Signore Risorto.
[Traduzione a cura de L'Osservatore Romano]
GRAVE VIOLAZIONE DELLA LEGGE - L’EUGENETICA RIENTRA DALLA FINESTRA
E’ un dovere per tutti, anche per i ministri e le ministre, rispettare la legge. È doveroso rispettarne la lettera e, ancor più, lo spirito…
di Francesco D’Agostino
E’ un dovere per tutti, anche per i ministri e le ministre, rispettare la legge. È doveroso rispettarne la lettera e, ancor più, lo spirito. E soprattutto è doveroso per tutti, anche per le ministre, praticare l’onestà intellettuale: non ci si può ad esempio vantare di applicare «rigorosamente » una legge (come ha fatto la ministra Livia Turco nel comunicato che accompagna l’emanazione delle nuove Linee guida di applicazione della legge sulla Procreazione assistita), quando se ne viola lo spirito – e con ogni probabilità anche la lettera.
La legge 40/2004 – che invano, ricordiamocelo, si è cercato di abrogare tramite referendum – prende le mosse da due principi fondamentali: la doverosa tutela dell’interesse procreativo delle coppie sterili, che intendano ricorrere alle tecniche di procreazione assistita; la doverosa garanzia, nell’applicazione di queste tecniche, dei diritti del nascituro, primo tra tutti quello di venire al mondo. Il riferimento che la legge fa alla sterilità, come presupposto per l’accesso alle pratiche di procreazione, è essenziale, per mantenere loro un doveroso carattere terapeutico ed escluderne qualunque uso a fini di mera manipolazione. Per garantire il diritto alla vita del nascituro, la legge impone (salvo casi eccezionali) di produrre in provetta solo quegli embrioni (al massimo tre) per i quali la donna sia disposta ad accettare il trasferimento in utero e vieta rigorosamente qualsiasi forma a carico degli embrioni di selezione eugenetica.
Le nuove Linee guida violano palesemente ambedue questi principi. Innovando alla precedente regolamentazione, esse ammettono alla fecondazione assistita coppie, il cui partner maschile sia portatore di patologie sessualmente trasmissibili. L’argomento utilizzato dalla ministra per giustificare questa disposizione è che a tali uomini andrebbe riconosciuto «uno stato di infertilità di fatto »: categoria, questa, scientificamente priva di senso (dato che costoro sono comunque in grado di procreare) e giuridicamente ambigua: un uomo potrebbe ad esempio essere ritenuto «di fatto » non fertile, solo perché privo di partner femminile (magari intenzionalmente, come può avvenire nel caso degli omosessuali). La realtà è che alterando con le nuove Linee guida l’ancoraggio della legge 40 alla sterilità, si muta in radice tutto lo spirito della legge.
Ancora più grave un’altra innovazione delle Linee guida appena pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Si ribadisce la disposizione che proibisce di sottoporre gli embrioni creati in provetta a diagnosi pre-impianto a finalità eugenetica, ma si cassano i paragrafi delle vecchie linee guida che limitavano le indagini sullo stato di salute degli embrioni a quelle strettamente «osservazionali». La posta in gioco è chiara: aprire la strada a test genetici pre-impiantatori. Con due risvolti: il primo concerne la salute degli embrioni, perché qualunque diagnosi che non sia meramente osservazionale ne pone a rischio la sopravvivenza (contraddicendo dunque lo spirito della legge, che vuole salvaguardare il loro diritto alla vita). Il secondo risvolto è ancora più grave: vengono ad essere di fatto consentite le diagnosi a finalità eugenetica, pur formalmente proibite dalla legge. Quando infatti, grazie a un test genetico, si informasse la donna che dei due o tre embrioni procreati in provetta uno solo è portatore di una qualsiasi patologia (anche se pienamente compatibile con la sopravvivenza) l’esito probabile sarebbe la richiesta della donna di accogliere in utero solo gli embrioni 'sani' e di escludere dall’impianto l’ embrione 'malato' (e basterebbe già sottolineare il carattere solo probabilistico dei test genetici per rilevare la gravità bioetica di simili pratiche, che portano inevitabilmente alla distruzione di embrioni sani). La stessa strada potrebbe essere percorsa per selezionare il sesso del nascituro, trasferendo in utero, dopo un adeguato test genetico, solo l’embrione del sesso desiderato.
L’eugenetica, tenuta fuori dalla porta, rientra così dalla finestra. È innegabile che esista in molte coppie un desiderio di selezione eugenetica dei nascituri (desiderio in alcuni casi, come quelli di patologie estremamente gravi, anche umanamente comprensibile), ma è altrettanto innegabile che questo desiderio non è compatibile col rispetto per le vite create in provetta. Non solo la lettera, ma anche e soprattutto lo spirito della legge 40 a favore della tutela della vita embrionale sono inequivocabili: le nuove Linee guida alterano significativamente l’una e l’altro.
Eppure dovremmo tutti, anche le ministre – e soprattutto le ministre di un Governo giunto alla fine del suo mandato –, rispettare con onestà intellettuale la legge vigente, sia nella sua lettera che nel suo spirito.
Avvenire 1 maggio 2008
Il presidente dei banchi alimentari europei: l'Ue aumenti le risorse o sarà crisi
Int. a Jean Delmelle05/05/2008
Autore(i): Int. a Jean Delmelle. Pubblicato il 05/05/2008 – ILSussidiario.net
Qual è la Sua opinione sulla recente iniziativa del segretario dell’ONU Ban Ki-Moon di costituire una task force presso le Nazioni Unite per far fronte all’emergenza alimentare?
La situazione è talmente grave che rende ben accetta ogni idea che possa portare ad una riduzione dell’emergenza e possa venire incontro ai bisogni di chi soffre la fame. A mio parere, questa iniziativa non è solo un segnale per richiamare l’attenzione internazionale su questo grave problema, ma anche un invito ad agire, almeno spero. Il rilievo che i mezzi di comunicazione stanno dando a questa emergenza è grande, ma occorre fare qualcosa di concreto, e quindi ogni iniziativa intrapresa dall’ONU o da altri paesi non può che essere ben accetta.
Quali sono secondo Lei le ragioni profonde di questa crisi?
Non sono forse nella posizione per poter rispondere a questa difficile domanda. Noi, come Banchi alimentari, possiamo agire solo sulle conseguenze, che sono spesso drammatiche e che cerchiamo di alleviare. Le cause possono essere molteplici, ma la questione di fondo rimane comunque un problema di domanda e offerta, secondo i più elementari principi economici. Le disponibilità alimentari non sono più sufficienti per far fronte a una domanda sempre più crescente, anche per le crisi produttive che stanno investendo diversi paesi.
Qual è il Suo giudizio sulle politiche che l’Unione Europea sta adottando?
Vorrei partire dalla filosofia che sta alla base dell’attività dei Banchi alimentari, che consiste nell’utilizzare gli sprechi del mercato, industrie, supermercati, ristoranti, recuperandoli per destinarli ai bisognosi. Sotto questo profilo, sono state finora molto importanti le eccedenze agricole dell’Unione Europea che venivano assegnate ai paesi membri del Programma Europeo di aiuto alimentare ai più bisognosi (PEAD). Oggi queste eccedenze si stanno azzerando e questo impone dei cambiamenti, perchè il cibo è una delle esigenze primarie, direi un diritto naturale. L’attuale scarsità di offerta pone anche un problema di prezzo, che deve rimanere sostenibile. Attualmente il budget stanziato nell’Unione Europea per il PEAD è, approssimativamente, di circa 300 milioni di euro, che consente di aiutare molte persone. Se un domani aderissero al programma grandi Stati come la Germania o la Gran Bretagna, che attualmente ne sono fuori, si dovrebbero stanziare molte più risorse, come si è dovuto già fare con l’adesione della Romania e della Bulgaria. Certo, dipende dal livello di povertà nei vari Stati ma, tenendo conto che anche i paesi scandinavi sono fuori dal programma, se tutti aderissero il budget dovrebbe essere fortemente aumentato.
Pensa che un cambiamento nelle politiche agricole a livello europeo potrebbe modificare questo andamento?
Le soluzioni possono essere solo due: o si cerca di avere meno persone povere, aumentando in qualche modo il reddito disponibile, o si incrementa l’offerta di prodotti alimentari. Anche l’Unione Europea può agire solo su questi due versanti, tenendo conto che il primo è più difficile, se non altro perché richiede tempo.
Per il secondo aspetto quindi si parla di iniziative sociali in senso più generale...
Sicuramente gli interventi di carattere sociale tendono a diminuire il livello di povertà, ma non è detto che il problema fondamentale dell’alimentazione divenga prioritario in queste iniziative. L’accento potrebbe essere posto su altri bisogni, come per esempio quello della casa. Così si rischierebbe di veder ridotti gli stanziamenti a favore di quel bene primario, di base, che è il cibo, rispetto al quale anche gli altri bisogni, pur importantissimi, vengono dopo.
Cosa pensa della consultazione promossa dalla UE su internet che si chiuderà il 14 maggio: può essere utile?
Penso sia positivo che l’UE abbia preso questa iniziativa, perché un sondaggio sulle opinioni dei cittadini, sui vari aspetti del problema e sulle priorità può essere molto utile. È anche un modo per coinvolgere l’opinione pubblica. La speranza è che le risposte siano numerose, come sta accadendo nel mio paese, e credo nel vostro, grazie all’impegno di molte organizzazioni. Il rischio è, come in tutti i sondaggi, che se le risposte non sono statisticamente sufficienti, anche i risultati vengano falsati e quindi conducano a scelte non giuste. Comunque, rimane un’iniziativa utile anche perché vi è stato il coinvolgimento delle organizzazioni attive nel settore. Anche la FEBA ha partecipato alla elaborazione del questionario. Quindi ci si sta muovendo nella giusta direzione, anche per l’azione di diversi parlamentari europei come, tra gli altri, Mario Mauro.
Qual è la Sua opinione sui vouchers, cioè sui buoni acquisto di beni alimentari da distribuire a chi ha bisogno?
Il problema dei vouchers è che così ci si limita a consentire alle persone bisognose di comprare del cibo, senza neppure la possibilità di controllare la sua qualità. È quanto succede negli Stati Uniti con i cosiddetti food stamp, dove la gente finisce per comprare cibo non salutare (junk food), con una dieta poco variata e bilanciata, con problemi quindi anche per la salute. Un altro approccio è quello che ho visto in alcuni paesi, particolarmente in Italia, dove non ci si limita a fornire cibo, ma si cerca di dare attenzione a tutta la persona, creando quindi un rapporto più profondo che può essere di grande aiuto per aiutare a uscire da situazioni di povertà. Questo richiede l’impegno di molte persone, che facciano questo per un ideale.
Un’ultima domanda. Vi è qualche differenza tra l’Italia e il resto dell’Europa?
Non sono nella posizione di comparare tutti i paesi. Sono stato in Spagna, in Germania, in Italia. Mi ha colpito in Italia, come già accennato, qualcosa di speciale, cioè la grande partecipazione: per esempio, il grande risalto che riesce ad avere la “Colletta”. E poi sono rimasto colpito dal numero di persone che lavorano per il Banco settimana dopo settimana. A Milano, Napoli e Roma. Il livello è molto alto, e questa è più che un’impressione. Anche il management del Banco Alimentare italiano è di prima classe. Inoltre, vi è un elevato senso di solidarietà, che vi è anche in Belgio, che non si ritrova invece in altri paesi. Forse perché sia da voi che da noi vi sono grandi differenze di ricchezza e benessere tra le varie regioni, e ciò stimola la solidarietà.
Un’importante iniziativa da sostenere
La petizione a favore dei banchi alimentari
I consigli della Feba per compilare la petizione
Laicità, “processo di argomentazione sensibile alla verità”
Stefano Alberto05/05/2008
Autore(i): Stefano Alberto. Pubblicato il 05/05/2008 – IlSussidiario.net
E’ più che mai valida la tesi, formulata nell’ormai lontano 1967, dal grande giurista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde secondo cui “lo Stato liberale e secolarizzato si nutre di premesse normative che da solo non può garantire”. Lo stesso studioso ha più di recente osservato che “i processi di globalizzazione, europeizzazione e individualizzazione, rodendo le basi politiche della modernità,…rischiano seriamente di innescare una crisi irreversibile della nozione stessa di autonomia politica”. Di fronte a questa crisi occorre ripensare in termini nuovi la nozione stessa di laicità dello Stato e riconsiderare in termini più obiettivi e aperti di quanto spesso non accada nel dibattito attuale le sue relazioni con quella presenza originale nella vita del mondo che è la Chiesa.
Molti ormai avvertono i limiti di una visione che in fondo resta debitrice di quella che Paolo Grossi ha definito la “riduzione del paesaggio giuridico moderno” a due soggetti: da una lato il macro-soggetto politico, lo stato, dall’altro il micro-soggetto privato, l’individuo. Si rende sempre più evidente così quel singolare paradosso, osservato dal card. Scola, di una crescente contrapposizione tra questi soggetti: “da una parte i singoli individui che godono di una gamma crescente e indefinita di diritti nei confronti dello Stato che è chiamato, dall’altra parte a garantirli legiferando prolissamente su ogni materia” (cfr. Una nuova laicità, p.33).
Nella mai pronunciata allocuzione alla Sapienza Benedetto XVI ha ripreso la visione di Jürgen Habermas sul duplice fondamento di una carta costituzionale quale presupposto della legalità: la partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e la “forma ragionevole” in cui i contrasti politici vengono risolti. Questa “ragionevolezza” non può ridursi a una “lotta per le maggioranze aritmetiche” in una democrazia, ma deve caratterizzarsi come “processo di argomentazione sensibile alla verità”. Percorso assai arduo nella pratica, spesso sopraffatto dalla “sensibilità per gli interessi” individuali o collettivi, proprio a partire da una visione del diritto esclusivamente come potere e della conseguente riduzione della democrazia, non più considerata quale ordinamento, ma a un insieme di procedure e a utilitaristico bilanciamento di interessi attraverso la legge. Con la domanda “come si individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo?” Benedetto XVI si dimostra fiducioso sulla possibilità di recuperare la dimensione conoscitiva (veritativa) nel tentativo continuo di dare giusta forma alla libertà umana, che è sempre “libertà nella comunione reciproca” all’interno della comunità politica. Appare pertanto riduttiva una concezione di laicità esclusivamente e formalisticamente riferita alla legalità, separata dalla esigenza originale di giustizia che è costitutiva dell’”esperienza elementare” (così Giussani) di ogni uomo, da quel “comune senso di giustizia, basato primariamente sulla solidarietà tra i membri della società”, il cui frutto sono i diritti umani “validi per tutti i tempi e per tutti i popoli” (cfr. Benedetto XVI, Discorso all’ONU).
Emerge in positivo una concezione di laicità dunque che vede lo Stato non come istanza potestativa assoluta, ma come istituzione regolativa (cioè di tutela e promozione secondo i principi di sussidiarietà e solidarietà) della complessità originale della comunità politica e sociale che, a sua volta, ha il suo fondamento nella singola persona, nella sua duplice polarità di irriducibile identità e originale relazione, da cui scaturiscono non solo diritti, ma anche doveri nel perseguimento del bene comune. Si apre così lo spazio educativo e la possibilità del confronto per quella “cultura della responsabilità”, di cui parlò don Giussani ad Assago nel 1987, che “deve mantenere vivo quel desiderio originale dell’uomo da cui scaturiscono desideri e valori: il rapporto con l’infinito”.
In questo senso la presenza originale della Chiesa, la sua dimensione e valenza anche pubblica, attraverso la distinzione e l’autonomia reciproca dallo Stato (la novità sostanziale portata da Cristo stesso nel rapporto con il potere, tra ciò che è di Dio e ciò che è di Cesare, cfr. Mt 22,21) offre l’instancabile contributo a quel dialogo (che suppone il reciproco riconoscimento) visto da Benedetto XVI “quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori e obiettivi particolari” (Discorso all’ONU). Così la effettiva “libertas Ecclesiae” risulta essere, oltre che più sicura garanzia per la libertà di ogni persona e formazione sociale, anche criterio di verifica più immediato e significativo di una reale dinamica di giustizia nel rapporto tra la persona, la società e lo Stato.
La Chiesa non è, e non intende essere un agente politico, non rivendicando nessun privilegio in tal senso e affidando ai fedeli laici il compito di agire per costruire in tale ambito, sotto propria responsabilità, un giusto ordine nella società. Nella missione della Chiesa, che ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la novità della fede cristiana viene proposta, mai imposta, quale contributo, lo ricorda Benedetto XVI in “Deus caritas est” n.28, “alla purificazione della ragione”, recando il proprio aiuto “per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato”.