domenica 10 aprile 2011

1)    LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 10.04.2011 - Alle ore 12 di oggi, IV Domenica di Quaresima, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
2)    In Arizona l’aborto selettivo diventa un crimine, 7 aprile, 2011. Da http://www.uccronline.it
3)    Avvenire.it, 7 aprile 2011, «Obbligare» a vivere? - Le Dat salvano l'umano - Michele Aramini
4)    Avvenire.it, 7 aprile 2011 – INTERVISTA - Cascavilla: «Una legge necessaria per i miei malati fragili», di Emanuela Vinai
5)    07/04/2011 – PAKISTAN - Asia Bibi è malata: si teme per la sua vita. Da tre mesi è in cella di isolamento 24 ore su 24 di Jibran Khan
6)    Che cosa penso del ddl sulle DAT - Di Renzo Puccetti - 07/04/2011 - Eutanasia – da http://www.libertaepersona.org/
7)    La nuova mossa di Obama di Lorenzo Albacete - venerdì 8 aprile 2011 – il sussidiario.net
8)    La Corte Costituzionale del Perù a favore del crocifisso e della Bibbia nei tribunali - 7 aprile, 2011 – da http://www.uccronline.it
9)    LETTURE/ Flannery O’Connor e il conto salato della realtà di Martino Sartori - venerdì 8 aprile 2011 – il sussidiario.net
10)                      Per la Littizzetto il premio di Napolitano, per i preti che si fanno in quattro nel servire i più poveri il dileggio… dal Blog di Antonio Socci - Da “Libero”, 7 aprile 2011
11)                      Un microchip genetico per la caccia al feto Down di Carlo Bellieni, 08-04-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
12)                      Hollywood e la fecondazione eterologa - April 8th, 2011 - Quando il cinema racconta la verità - Osservatore Romano, 9 aprile 2011 di Carlo Bellieni, da http://carlobellieni.com/
13)                      Nel Laos, dove i cristiani muoiono di fame di Danilo Quinto, 09-04-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/
14)                      Hawking, l'universo e la «grande scoreggia» di Fabio Spina°, 09-04-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
15)                      Il centro pastorale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore ha ospitato una due giorni di studio sul tema della creazione. Pubblichiamo alcuni stralci di una delle relazioni di PIERGIORGIO PICOZZA (©L'Osservatore Romano 10 aprile 2011)
16)                      Prosegue l'iter parlamentare della legge sulla bioetica criticata dai vescovi - Sì del Senato francese alla ricerca sull'embrione  (©L'Osservatore Romano 10 aprile 2011)
17)                      L’antropologo Facchini: «biologia dimostra finalismo e teleologia evolutiva», 9 aprile, 2011, da http://www.uccronline.it
18)                      Negli Usa si combatte l’aborto selettivo. In Europa neanche se ne parla - April 10th, 2011 di Carlo Bellieni, da http://carlobellieni.com/
19)                      La questione del gender 4 - La scissione corpo-spirito - Autore: Laguri, Innocenza  Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 9 aprile 2011 - La scissione antropologica corpo-spirito
20)                      Avvenire.it, 9 aprile 2011, L'OSPITE - Perché dire sì alle norme sulle Dat - Una legge per arginare la giustizia creativa - Francesco Rutelli - senatore e presidente di Alleanza per l’Italia

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 10.04.2011 - Alle ore 12 di oggi, IV Domenica di Quaresima, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Mancano solo due settimane alla Pasqua, e le Letture bibliche di questa domenica parlano tutte della risurrezione. Non ancora di quella di Gesù, che irromperà come una novità assoluta, ma della nostra risurrezione, quella a cui noi aspiriamo e che proprio Cristo ci ha donato, risorgendo dai morti.

In effetti, la morte rappresenta per noi come un muro che ci impedisce di vedere oltre; eppure il nostro cuore si protende al di là di questo muro, e anche se non possiamo conoscere quello che esso nasconde, tuttavia lo pensiamo, lo immaginiamo, esprimendo con simboli il nostro desiderio di eternità.

Al popolo ebraico, in esilio lontano dalla terra d’Israele, il profeta Ezechiele annuncia che Dio aprirà i sepolcri dei deportati e li farà ritornare nella loro terra, per riposarvi in pace (cfr Ez 37,12-14). Questa aspirazione ancestrale dell’uomo ad essere sepolto insieme con i suoi padri è anelito ad una “patria” che lo accolga al termine delle fatiche terrene. Questa concezione non contiene ancora l’idea di una risurrezione personale dalla morte, che compare solo verso la fine dell’Antico Testamento, e ancora al tempo di Gesù non era accolta da tutti i Giudei. Del resto, anche tra i cristiani, la fede nella risurrezione e nella vita eterna si accompagna non raramente a tanti dubbi, a tanta confusione, perché si tratta pur sempre di una realtà che oltrepassa i limiti della nostra ragione, e richiede un atto di fede. Nel Vangelo di oggi – la risurrezione di Lazzaro – noi ascoltiamo la voce della fede dalla bocca di Marta, la sorella di Lazzaro. A Gesù che le dice: “Tuo fratello risorgerà”, ella risponde: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno” (Gv 11,23-24). Ma Gesù replica: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25-26). Ecco la vera novità, che irrompe e supera ogni barriera! Cristo abbatte il muro della morte, in Lui abita tutta la pienezza di Dio, che è vita, vita eterna. Per questo la morte non ha avuto potere su di Lui; e la risurrezione di Lazzaro è segno del suo pieno dominio sulla morte fisica, che davanti a Dio è come un sonno (cfr Gv 11,11).

Ma c’è un’altra morte, che è costata a Cristo la più dura lotta, addirittura il prezzo della croce: è la morte spirituale, il peccato, che minaccia di rovinare l’esistenza di ogni uomo. Per vincere questa morte Cristo è morto, e la sua Risurrezione non è il ritorno alla vita precedente, ma l’apertura di una realtà nuova, una “nuova terra”, finalmente ricongiunta con il Cielo di Dio.

Per questo san Paolo scrive: “Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). Cari fratelli, rivolgiamoci alla Vergine Maria, che già partecipa di questa Risurrezione, perché ci aiuti a dire con fede: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio” (Gv 11,27), a scoprire veramente che Lui è la nostra salvezza.

DOPO L’ANGELUS

Chers pèlerins francophones, avec l’évangile de ce dernier dimanche de Carême nous voici face au mystère ultime de notre existence: «Je suis la résurrection et la vie… Le crois-tu?» La communion avec le Christ, aujourd’hui, nous prépare à franchir l’obstacle de la mort pour vivre éternellement en Lui. Ainsi se révèle le sens ultime de notre vie terrestre et sa dimension authentique et définitive: notre vocation est unique, à savoir divine. Confions-nous à la Vierge Marie pour nous plonger comme elle dans la mort et la résurrection de son Fils et avoir la vie éternelle! Je vous bénis de grand cœur ainsi que vos familles!

I offer a warm greeting to all the English-speaking visitors present for this Lenten Angelus prayer, including those from the Cathedral School of Skara, Sweden. In today’s Gospel, Jesus raises Lazarus from the dead as a sign that he himself is “the resurrection and the life” (Jn 11:25). Let us renew our faith in Christ’s promises as we prepare to unite ourselves to the Church’s celebration of the Paschal Mystery. Upon you and your families I invoke the Lord’s abundant blessings!

Ganz herzlich grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher auf dem Petersplatz. Das Evangelium dieses fünften Fastensonntags berichtet vom gläubigen Bekenntnis der Marta und der Auferweckung ihres verstorbenen Bruders Lazarus. Beides steht in einem tiefen Zusammenhang: Wer sich zu Christus, dem Sohn Gottes, bekennt, erhält das Leben. Auch zu uns sagt der Herr: „Wer an mich glaubt, wird leben, auch wenn er stirbt“. Durch die Taufe haben wir Anteil an diesem neuen Leben in Christus; so wollen wir unseren Mitmenschen bezeugen: Christus ist die Auferstehung und das Leben für die Welt. Der Herr schenke euch sein Licht auf allen euren Wegen.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, y en particular a los fieles de diversas parroquias de la Diócesis de Tenerife, a los profesores y alumnos de los Institutos de Arganda del Rey y de Fuensalida, Toledo. En el Evangelio de este quinto domingo de Cuaresma, contemplamos a Jesús que devuelve a la vida a su amigo Lázaro, después de haber llorado su muerte. En estos días, y ante la proximidad del comienzo de la Semana Santa, pidamos a la Virgen María que nos ayude en nuestro camino de preparación espiritual, para que, a través de la oración, las obras de caridad y de penitencia cuaresmal, podamos participar con fruto en la Pascua de Aquel que es la resurrección y la vida. Feliz domingo.

Zo srdca pozdravujem pútnikov zo Slovenska, osobitne z Beluše, Bratislavy a Smolníckej Huty. Bratia a sestry, táto doba prípravy na Veľkú noc nech je pre každého z vás vzácnou príležitosťou na vzrast a posilnenie vašej viery v Krista. S láskou vás žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

[Saluto di cuore i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Beluša, Bratislava e Smolnícka Huta. Fratelli e sorelle, questo tempo di preparazione alla Pasqua sia per ciascuno di voi occasione preziosa per accrescere e rinvigorire la fede in Cristo. Con affetto vi benedico. Sia lodato Gesú Cristo!]

Drodzy Polacy, bracia i siostry! Dzisiaj, gdy obchodzicie rocznicę katastrofy lotniczej pod Smoleńskiem, w której zginął Prezydent waszego kraju i inne osoby udające się na uroczystości w Katyniu, łączę się z wami w tej szczególnej narodowej modlitwie. Niech Chrystus, który jest naszym życiem i zmartwychwstaniem przyjmie ich do swojej chwały i umocni wasze serca w przeżywaniu tego bolesnego doświadczenia. Waszej Ojczyźnie i wszystkim Polakom z serca błogosławię.

[Cari fratelli e sorelle polacchi! Oggi mentre celebrate l’anniversario della catastrofe aerea nei pressi di Smoleńsk, nella quale ha perso la vita il Presidente del vostro Paese e altre personalità che si recavano alla commemorazione a Katyń, mi unisco a voi in questa particolare preghiera della vostra nazione. Cristo, la nostra vita e risurrezione li accolga nella sua gloria e vi conforti in questa dolorosa esperienza. Di cuore, benedico la vostra Patria e tutti i Polacchi.]

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i responsabili dell’UNITALSI in Lombardia, i fedeli provenienti da Gela, i ragazzi di Milano che fanno la loro Professione di Fede e i cresimandi del Mugello. Saluto la rappresentanza degli operai della Eurallumina di Portovesme, in Sardegna, con l’augurio di una positiva soluzione dei problemi che rendono precaria la vostra attività lavorativa. Saluto la Sezione di Manerbio dell’Associazione Nazionale Carabinieri, i giovani del Rione San Michele di Pescia e i ciclisti venuti da Bellaria-Igea Marina. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana. Grazie a voi, buona domenica.
© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana


In Arizona l’aborto selettivo diventa un crimine, 7 aprile, 2011. Da http://www.uccronline.it

Jan Brewer, governatore dell’Arizona, ha firmato un disegno di legge con il quale vieta l’aborto per motivi di razza o di sesso. Diventa così reato finanziare o praticare aborti selettivi.

Steve Montenegro, rappresentante dei Repubblicani in Arizona, colui che ha progettato la legislazione, ha dichiarato che questa legge è necessaria e rappresenta una importante affermazione in favore della vita e contro la discriminazione.

La Planned Parenthood -si legge su Life News- ha invece criticato il governatore per il suo sostegno a quella che ha definito una legge specificamente progettata dagli oppositori dell’aborto e destinata a polarizzare l’opinione pubblica.


Arizona: Brewer Signs Ban on Sex-Selection, Race-Based Abortions
by Steven Ertelt – 30.3.2011

Governor Jan Brewer lengthened her pro-life record today by signing a bill that would ban abortions that are sex-selection or race-based in nature by targeting girls or ethnic minorities.

The legislation would ban sex-selection abortions and require women seeking abortions to sign a statement saying they are not obtaining the abortion because of the gender of the unborn baby. The bill also prohibits abortions based on the race of the unborn child. The father of the unborn child or the parents of a minor girl would be able to file a lawsuit for civil damages against abortion practitioners that do race-based or sex-selection abortions.

The bill makes it a felony to provide financing for such an abortion and supporters of the measure say it is important to root out discrimination that comes in the form of destroying unborn children for gender or racial reasons.

Abortion advocates opposed the bill and claimed it was a way to works towards banning all abortions and they claim there is no evidence in Arizona that such abortions are performed.

Although the practice of sex-selection is frequently seen in Asian nations like China, India and Vietnam, it has crossed the Pacific Ocean as Asian immigrants have come to the United States and brought with them their cultural preference for sons.

A majority of the Arizona House of Representatives agreed to the bill and voted for House Bill 2443 on a 41-18 vote. Then, the state Senate added a provision to make it a felony to perform or provide financing for an abortion sought because of the race of the baby, the sex, or also the race of the parent. The House bill did not include the criminal penalties and only allowed a civil lawsuit and civil fines against abortion practitioners who did such abortions.

The Senate passed the bill 21-5 and the House voted to the changes the state Senate made.

Brewer has signed every pro-life measure on abortion she has received during her time as governor.

Sen. Don Shooter, a Republican, supported the measure and cited figures from the Frederick Douglass Foundation saying 30 percent of abortions are done on black women and children even though census figures show blacks make up a much lower percentage of the population.

Rep. Steve Montenegro, the sponsor of the bill, said, “No one should be subjected to abortion because they’re the wrong sex or race.” Montenegro pointed to a 2010 Economist magazine article on “gender-cide” that documented a bias against black babies and said many abortions on black babies are done because of the race of the child.

Sen. Linda Lopez, a Tucson Democrat, opposed the bill and called banning sex-selection and race-based abortions “offensive.”

Senate President Russell Pearce responded:  “We have an obligation to protect the most innocent among us, the unborn. Whatever we can do to limit the number of deaths of these unborn children, I’m always a ‘yes’ vote.”

U.S. Rep. Trent Franks, an Arizona congressman, also supports the bill and has been pushing for similar legislation on the federal level. “Sex-selection abortion is a growing tragedy in our state,” he said in a letter Montenegro read to his colleagues.


Avvenire.it, 7 aprile 2011, «Obbligare» a vivere? - Le Dat salvano l'umano - Michele Aramini

La delicata materia delle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) è discussa non solo in Parlamento ma è all’attenzione dei media e fa parte anche dei discorsi della vita quotidiana. È proprio nell’ambito dei discorsi amichevoli che, tra tante altre, emerge la domanda se nella posizione cattolica sulle Dat non ci sia un eccesso di protezione nei confronti della vita delle persone che si trovano nella fase terminale dell’esistenza. Alcuni obiettano di fronte all’idea che i cattolici sembrano sostenere un certo accanimento terapeutico, quando ormai c’è un accordo generale sulla necessità di evitarlo. A complemento e rafforzamento della domanda, spesso si citano le parole «lasciatemi andare alla casa del Padre» di Giovanni Paolo II.

È giusto chiarire questi aspetti della massima importanza. Lo facciamo innanzitutto in riferimento alle parole del Papa, prossimo beato. È noto che la lunga malattia e le condizioni di Giovanni Paolo II avevano fatto approntare nel suo appartamento una serie di presidi medici degni di un ospedale avanzato, per la ovvia ragione di non dover ricoverare il Papa in ospedale ad ogni crisi. In questo contesto, negli ultimi giorni di vita, Giovanni Paolo II ebbe tutte le cure necessarie senza che né lui né i medici sospendessero qualche trattamento necessario. Come i medici curanti hanno più volte testimoniato, le sue famose parole avevano un preciso senso spirituale e non medico.

Quanto al secondo aspetto, cioè il presunto dovere per un cattolico di sostenere forme di vero accanimento terapeutico, la dottrina della Chiesa è chiarissima: basta leggere il n. 2278 del Catechismo: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza o la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».

Come si può vedere con facilità la posizione cattolica è lontanissima da un insensato accanimento terapeutico. Al contrario, proprio perché è una dottrina piena di umanità e attenta alla realtà complessiva della persona che sta per morire, sa che viene il momento in cui il decorso della malattia diventa inarrestabile e diviene inutile affliggere il paziente con cure vane. Occorre però precisare che la sospensione delle terapie mediche quando esse si rivelino inutili o dannose non significa dismissione della cura per il paziente in condizione terminale o in stato vegetativo persistente. Tutti sappiamo che non sempre si può guarire, ma sempre si può curare. La dimenticanza di questa distinzione è fonte di una grande confusione e tocca spesso la questione del cibo e dell’acqua. L’idratazione e l’alimentazione in quei pazienti che non sono in grado di assumerle autonomamente non sono forme di accanimento terapeutico ma soddisfacimento – questo sì obbligatorio – delle ordinarie e umanissime necessità della persona.


Avvenire.it, 7 aprile 2011 – INTERVISTA - Cascavilla: «Una legge necessaria per i miei malati fragili», di Emanuela Vinai

Coniugando una assistenza adeguata al paziente e alle sue necessità con un sostegno efficace alle famiglie e ai caregivers, la richiesta di morte scompare. Questa equazione, solo apparentemente banale, è la chiave di volta per ogni operatore sanitario che, secondo laicità e ragione, voglia fornire una risposta concreta a ogni possibile deriva eutanasica. Ne è convinto il dottor Leandro Cascavilla, geriatra all’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e responsabile del centro Uva. (unità valutativa Alzheimer).

Dottor Cascavilla, ogni giorno si confronta con la fragilità di pazienti che ai crucci dell’età spesso aggiungono i disagi di una terribile malattia neurodegenerativa. In base alla sua esperienza, che cosa chiedono i malati e le loro famiglie?
«La richiesta è una sola: non essere lasciati soli. Come geriatra mi occupo non soltanto dei problemi clinici, ma anche di quelli assistenziali e socioeconomici. E, in aggiunta, questo centro è l’unico presidio sul territorio per questo tipo di patologie: diventiamo quindi il solo riferimento per i pazienti e i famigliari che si fanno carico del gravosissimo onere dell’assistenza. Nessuno chiede di accelerare la morte, tutti chiedono di non essere abbandonati».

Chi soffre di Alzheimer non è più in sé, non si riconosce. Su queste basi c’è chi sostiene che non sia più dignitoso vivere. Cosa risponde?
«Dobbiamo interrogarci costantemente su quale dignità abbiano questi malati. Se io lego il riconoscimento della dignità a una presunta "qualità della vita" è ovvio che si rischia di scivolare verso derive pericolosissime. Se invece lo saldo alla persona, alla sua stessa esistenza in vita, come bene non disponibile e non negoziabile, allora come medico ho il preciso dovere di fornire tutta l’assistenza possibile a chi ne ha bisogno e dipende in tutto e per tutto da chi gli sta intorno. E questo è un valore universale, assolutamente non confessionale: parlo da medico, non da cattolico».

La fragilità e la sofferenza, la paura di non essere più indipendenti, di non avere più alcun controllo sulla propria vita, possono ingenerare la richiesta di eutanasia?
«Gli anziani incorrono nel concreto pericolo di scivolare nelle tre "d": demenza, dolore e disabilità. A queste va aggiunto sicuramente l’abbandono. L’uomo vive di relazioni, e l’anziano in misura ancora maggiore. Molte volte l’abbandono deriva dalla mancanza di assistenza, soprattutto alle famiglie. E spesso le istituzioni sono carenti. In questo senso occorrerebbe una politica di welfare più orientata. Lo ripeto: nessuno adeguatamente assistito e inserito in una rete di cura e di cure chiede di morire».

Perché è utile una legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento? E con quali punti fermi?
«Una legge è necessaria perché tutela il più debole, perché quando ci si trova in una situazione di totale dipendenza e disagio non si può far decidere qualcun altro. Soprattutto nel caso di malattie come l’Alzheimer, che hanno una progressione inevitabile, l’alleanza terapeutica è fondamentale per il decorso della malattia, ma non può prescindere dalla valutazione della situazione nell’attualità del momento dell’intervento. Nel tenere conto delle volontà precedentemente espresse, il medico non può essere strettamente vincolato a esse, ma deve poter agire in scienza e coscienza secondo etica. Inoltre, a mio parere, non può mai essere oggetto di Dat il rifiuto di un sostegno vitale come l’alimentazione e l’idratazione».


07/04/2011 – PAKISTAN - Asia Bibi è malata: si teme per la sua vita. Da tre mesi è in cella di isolamento 24 ore su 24 di Jibran Khan

La cristiana condannata a morte per blasfemia si è ammalata di varicella, probabilmente a causa delle condizioni igieniche della cella in cui è rinchiusa. La preoccupazione dei cristiani per la violenza crescente contro di loro. Il vescovo Rufin Anthony: “Questa Quaresima preghiamo per la pace in Pakistan. Un Pakistan in cui possiamo vivere tutti liberamente”.

Lahore (AsiaNews) – Asia Bibi è malata, in cella di isolamento, e cresco le preoccupazioni per la sua vita. La cristiana condannata a morte per blasfemia su false prove è malata di varicella, e le condizioni igieniche in cui vive sono disastrose. La denuncia viene da Haroon Barket Masih, presidente della Masih Foundation, che oggi ha rilasciato una dichiarazione: “Ad Asia Bibi è stata diagnosticata la varicella; è in cella di isolamento da più di tre mesi. Noi abbiamo espresso preoccupazione per quanto riguarda la sua salute, dal momento che passa 24 ore al giorno chiusa nella cella. Ha bisogno di cure mediche, e di condizioni igieniche sane. Si è ammalata di varicella a causa dell’ambiente sporco; non ha la possibilità di lavare la sua stanza, o le lenzuola in cui dorme. Nonostante le sue condizioni di salute passa il tempo digiunando e pregando per tutti, trascura le sue condizioni di salute e prega per tutti gli altri. E’ preoccupata per la situazione attuale del Pakistan. Stiamo cercando di organizzare una visita medica, e di assicurarle condizioni igieniche accettabili. Fino ad ora non ha nessuna assistenza medica”.
Masih ha dichiarato inoltre: “Di recente il giorno della donna è stato celebrato in Europa; tutti abbiamo celebrato il giorno della donna, la gente mandava auguri e cartoline, ma quanti hanno ricordato questa donna malata che pregava e digiunava nella sua cella? Non avrebbe voluto essere con i suoi figli? E’ una madre. Ha pregato per i suoi figli. Per favore, continuiamo a pregare per Asia Bibi che prega e digiuna”.

Ma la situazione per i cristiani in Pakistan sembra peggiorare di giorno in giorno. Perviaz Masih, residente a Lala Musa, una piccola città a 75 km da Lahore, è stato minacciato per essere cristiano. Pervaiz Masih è il padre di tre figli e lavora alle ferrovie pakistane a Lala Musa. Tutto è cominciato quando è stato bruciato il Corano in Florida. Masih ha difeso la sua fede, in una discussione sul posto di lavoro. Ha affermato: “Il cristianesimo è una religione di pace e noi condanniamo questo gesto”. Ma i suoi colleghi non sono rimasti convinti, e hanno cominciato a minacciarlo. Pervaiz Masih e la sua famiglia sono fuggiti di casa il 4 aprile scorso e sono nascosti da allora. Gli elementi estremisti  nella società stanno diventando violenti e la situazione in Pakistan peggiore di giorno in giorno. Il crescente estremismo in Pakistan è una preoccupazione non solo per le minoranze, ma anche per il governo.

Il vescovo Rufin Anthony ha dichiarato ad AsiaNews: “Sono rattristato dalle notizie su Asia Bibi, sulle sue condizioni di salute e quelle in cui vive. La Chiesa cattolica prega per la sua salvezza, e preghiamo affinché possa tornare in salute. E’ un momento difficile per le minoranze in Pakistan; gli episodi di violenza diventano più numerosi, per quanto tempo dovremo vivere nella paura? Quanti Pervaiz Masih in più dovranno vivere nascosti? Dobbiamo lavorare insieme per una campagna di promozione dell’armonia e della tolleranza. Questa Quaresima preghiamo per la pace in Pakistan. Un Pakistan in cui possiamo vivere tutti liberamente”.


Che cosa penso del ddl sulle DAT - Di Renzo Puccetti - 07/04/2011 - Eutanasia – da http://www.libertaepersona.org/

Avvertenza prima dell’uso: le righe che seguono non sono destinate ai troppo freddi, ma ai tiepidi. Quanti infatti sostengono la bontà dell’eutanasia avranno qualche difficoltà a reperire qualcosa che si possa dire maggiormente inconciliabile con le loro posizioni. Oso sperare che queste righe possano aiutare a riflettere anche qualche sincero difensore della vita fragile ed indifesa, che forse vive con sconcerto l’attuale divaricazione delle posizioni pro-life anche all’interno del cattolicesimo non adulto.

Di questa opportunità non posso che ringraziare i responsabili del sito “Libertà e Persona” per avermi concesso la loro ospitalità. Qui non affronterò il tema delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT) nel suo insieme, impresa che richiederebbe un ambito espositivo completamente diverso, ma vorrei concentrarmi sull’attualità, su quella che è la materia del contendere, il disegno di legge (ddl) in discussione alla Camera dei Deputati, conosciuto come ddl Calabrò-Di Virgilio, dal nome dei parlamentari che ne sono stati relatori nei due rami del parlamento.

Mi scuso anticipatamente perché non potrò essere succinto, come dice Nicolás Gómez Dávila, “quello che non è complicato è falso” (1) e qui si tratta di porsi alla ricerca della verità. È possibile anche che le mie parole possano dispiacere a più di un amico, ma confido nella capacità dei veri amici di comprendere che qui non si tratta affatto di questioni personali, è stato infatti detto: “amicus Plato, sed magis amica veritas”.

A tal fine il contributo migliore che possa offrire è quello di procedere cercando di sottrarmi alla tentazione del “botta e risposta” e dal coinvolgimento emotivo che necessariamente ne seguirebbe, ma avanzare piuttosto tenendo in considerazione la cronologia dei fatti, in modo da comprenderne meglio il senso.

Note anamnestiche

Nonostante una non chiusura pregiudiziale nei confronti di dichiarazioni che raccogliessero i desiderata delle persone riguardo la futura condotta clinica in caso di sopraggiunta incapacità di comunicare (2), il concretizzarsi all’orizzonte della prospettiva eutanasica, aveva progressivamente reso i pro-life uniti nell’opporsi alle DAT.

Un articolo del 6 Dicembre 2006 su Avvenire, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), già nel titolo esprimeva la diffidenza del mondo cattolico riguardo a tali dichiarazioni (3). Sullo stesso giornale un anno dopo si raccolgono le dichiarazione critiche nei confronti del testamento biologico della dottoressa Silvie Menard, oncologa, collaboratrice del prof. Veronesi, ammalatasi di cancro (4).

Si tratta di indizi inequivocabili delle posizioni pro-life: il testamento biologico sarebbe stata la breccia per consentire la progressiva penetrazione nell’ordinamento dell’eutanasia.

Il caso di Eluana Englaro: lo spartiacque

 Il 9 luglio 2008 la I sezione della corte d’appello di Milano autorizza a disporre l'interruzione del trattamento di sostegno vitale di Eluana Englaro, realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino naso-gastrico.

Nell’ambiente pro-life il provvedimento costituisce un vero e proprio shock che cancella una seppur provvisoria e parziale fiducia riposta nelle numerose sentenze contrarie all’istanza di interruzione dei sostegni vitali per la povera ragazza. Nel caso Englaro c’è un elemento oggettivo che non può essere trascurato da quanti si oppongono a qualsiasi legislazione in materia: l’accoglimento da parte di un tribunale di volontà espresse in forma orale, ricostruite a posteriori da una sola delle parti.

Si potrebbe dire che nel caso Englaro i giudici hanno messo in atto un dispositivo fondato su testimonianze che riferiscono neppure un testamento biologico orale, ma elementi narrativi da cui è stata desunta una specifica volontà, cioè quanto di più ampio si possa concepire. Risulta interessante notare una delle prime reazioni che argomenta contro la decisione della corte di Milano non tanto appoggiandosi al concetto di indisponibilità della vita umana, esito che, sebbene giudicato “sgradevole e conturbante”, viene comunque ritenuto “ineludibile”.

Fatto salvo “l’assoluto rispetto per la volontà dei malati” (ma si dimentica che le DAT si possono redigere anche da sani?), sono due diverse contestazioni quelle che vengono in quell’articolo rivolte alla decisione dei giudici milanesi: la nutrizione e idratazione non sarebbero una cura medica e l’assenza di una prova certa della volontà di Eluana (5). In un articolo dello stesso autore di qualche giorno dopo si comincia a delineare la strategia di riduzione del danno: no alle direttive, sì a dichiarazioni non vincolanti per il medico (6).

Quel pensiero traccia con quell’asserto la prima, decisiva linea di frattura all’interno del mondo pro-life. Ancora in quei giorni è ben diversa la prospettiva con cui altri esponenti di spicco del mondo pro-life affrontano la questione. Il prof. Pessina, Direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica, esprimeva interamente la propria preoccupazione circa la capacità di arginare le istanze eutanasiche, una volta messa in moto la macchina di riconoscimento giuridico delle DAT (7).

Quanto all’interno del mondo cattolico la posizione del prof. Pessina trovasse largo sostegno emerge chiaramente dall’opposizione di Scienza & Vita al testamento biologico mediante un comunicato ufficiale ripreso dal quotidiano Avvenire (8) e dalle parole inequivocabili del co-presidente di allora della stessa Scienza & Vita, la professoressa Maria Luisa Di Pietro, che, pur dichiarandosi pronta a discutere una legge sulle problematiche del fine-vita, definiva esplicitamente il testamento biologico “non solo pericoloso, ma anche inutile” e ribadiva chiaramente la linea non negoziabile: “Il principio di indisponibilità della vita umana” (9).

Il 22 Settembre 2008 si apre la consueta riunione del consiglio permanente della CEI con la prolusione del suo presidente. Quell’intervento ci pare segni un altro momento centrale per comprendere alcune dinamiche: “Si è imposta così una riflessione nuova da parte del Parlamento nazionale, sollecitato a varare, si spera col concorso più ampio, una legge sul fine vita che – questa l’attesa − riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito – fuori da gabbie burocratiche − di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza. Dichiarazioni che, in tale logica, non avranno la necessità di specificare alcunché sul piano dell’alimentazione e dell’idratazione, universalmente riconosciuti ormai come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie. Una salvaguardia indispensabile, questa, se non si vuole aprire il varco a esiti agghiaccianti anche per altri gruppi di malati non in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi” (10).

Si deve ricordare che in quello stesso intervento, in continuità col discorso di S.S. Benedetto XVI del 17 Luglio 2008 ai giovani a Sidney, non si manca di ricordare il fine che dovrebbe muovere “ogni coscienza illuminata”: il favor vitae che ispira l’ordinamento italiano e la conseguente necessità di evitare “forme mascherate di eutanasia” sulla base del principio centrale della inviolabilità ed indisponibilità della vita umana. Se niente quindi si può eccepire riguardo al finis operantis, molto più perplessi lascia la strada indicata in quelle poche righe per realizzare quel giusto fine.

Non stupiscono certi consensi per quella road-map che alimentano umanamente comprensibili impulsi a volare alto ed attingere persino a Kierkegaard per manifestare l’entusiasmo (11). Tutto l’impegno successivo di una parte rilevante del fronte cattolico italiano (12) a sostegno del progetto di legge, ci pare abbia ricevuto dall’intervento del presidente della CEI un indubbio forte impulso.

Eppure, con argomenti davvero ben strutturati pochi mesi dopo il prof. Pessina ripeteva che la questione centrale non solo per i cattolici, ma per tutti quanti si riconoscono nelle radici solidaristiche alla base della costituzione italiana, è il principio di indisponibilità della vita umana (13).

Il principio di realtà

Giunti a questo punto è possibile tracciare un primo bilancio provvisorio. Interventi di importanti rappresentanti della Chiesa Cattolica Italiana esigono risposte rispettose nella forma e nel contenuto.

Ciò non toglie che i singoli passaggi non possano reclamare un assenso dettato dalla fede, essendo ben distinte da essi le fonti cui attingere per apprendere l’insegnamento del Magistero. Sostenere la necessità di una legge sul fine-vita ritengo proceda da un elemento innegabile: il caso Eluana, con il suo drammatico epilogo, ha mostrato che né il codice penale, né il codice deontologico medico costituiscono una sicura barriera che impedisca i comportamenti eutanasici.

Benché il caso Englaro costituisca un singolo episodio giurisprudenziale e come tale siano possibili decisioni difformi in casi simili, nonostante siano state poste argomentazioni giuridiche (a mio giudizio eccessivamente ottimistiche) per sostenere che non si deve essere precipitosi nel legiferare, che si può ancora confidare nel fatto che in Italia l’eutanasia continui ad essere illegale (14), il clima culturale vigente nella società e nelle aule di tribunale, il convergente sostegno alla decisione della corte di appello di Milano giunto dai successivi livelli di giudizio, l’individuazione nella figura dell’amministratore di sostegno di un soggetto autorizzato ad impedire o sospendere i sostegni vitali delle persone da loro delegate (15), sono tutte circostanze che dovrebbero fare considerare un intervento legislativo volto non ad “arginare”, ma ad impedire le condotte eutanasiche come un agire improntato ad un uso prudenziale del principio di precauzione (16).

Se però la libera interpretazione delle leggi da parte di una componente significativa della magistratura è la causa che ha portato a questa situazione, non si comprende perché proprio coloro che a gran voce difendono il ddl sulle DAT e con giusta veemenza criticano a posteriori le sentenze “creative”, diventano improvvisamente così timidi, muti e inerti nel farsi promotori di interventi volti a ricondurre la magistratura nell’alveo che gli compete ed individuare strumenti sanzionatori dei comportamenti abusivi di certi magistrati.

Perché i sostenitori pro-life del ddl Calabrò non si uniscono all’esortazione a muovere iniziative in tal senso proveniente dalle colonne del quotidiano Il Foglio? (17) Il saggio Chesterton consigliava di non urlare dopo, ma prima che la mannaia colpisca. Quali iniziative hanno messo in piedi i sostenitori dell’attuale disegno di legge per evitare che il loro progetto legislativo, una volta approvato non sia preda del tritacarne giurisprudenziale che ha già polverizzato la legge sulla fecondazione artificiale? Confidano che per magia dichiarazioni oniriche sulla legge 40 si estendano all’approvanda legge sul fine-vita per il solo fatto di formularle? (18)

Consola che simile preoccupata disillusione riguardo al destino di tale futura legge sia espressa da don Michele Aramini, bioeticista e docente di teologia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, particolarmente esperto di tali questioni (19)

Sì alla legge, ma non questa legge

1. Come ammoniva un'altra brillante mente, quella di Clive Staples Lewis, non basta fare il bene, occorre anche fare bene. Non dubito che questo ddl intenda fare il bene, ma giudico non lo faccia affatto bene. Già una prima preoccupazione nasce dal leggere nell’elenco dei promotori della legge, i nomi di tanti protagonisti politici che non fanno mistero di puntare alla distruzione del principio di indisponibilità della vita umana.

È vero che nel testo (che qualcuno ha ardito sostenere essere ossequioso del Magistero della Chiesa) all’articolo 1 si afferma il divieto di eutanasia, ma diversamente da quanto fanno i testi magisteriali (20), ci si dimentica di fornire una definizione esatta di eutanasia. Come osserva John Keown, giurista emerito alla facoltà di legge dell’Università di Cambridge, “Molta della confusione alla base del dibattito contemporaneo sull’eutanasia può essere ascritta ad una sfortunata imprecisione nella definizione” (21).

Questa importante omissione nel testo del disegno di legge è rilevata anche dal Cardinale Sgreccia (22). Allo stesso modo si deve fare notare che non attribuire una definizione legale anche ad altri termini, tra cui “accanimento terapeutico”, “trattamenti straordinari”, “trattamenti non proporzionati”, offre il fianco ad un florilegio di interpretazioni da parte dei giudici.

È un po’ strano che questo aspetto sembri essere sfuggito ad alcuni preclari esperti di biodiritto nel loro appello formulato dalle colonne di Avvenire in cui si raccomandava che questa legge “va fatta e va fatta adesso”. Si pone nel testo grande attenzione alla nutrizione ed idratazione assistita (NIA), per evitare che attraverso la sua sospensione la persona sia condotta a morte, ma è forse diverso se si muore perché si è scritto che non si vuole essere sottoposti a ventilazione, dialisi, defibrillazione, interventi chirurgici o farmacologici? (23) L’originaria espressione utilizzata, dichiarazioni inequivocabili, costituisce un ossimoro; per loro stessa natura le DAT sono equivocabili.

Ci tocca in sorte di avere dedicato studi alquanto approfonditi e conoscere piuttosto bene la letteratura medico-scientifica sull’argomento per non sentirci obbligati a farlo rispettosamente presente (24). Ma al di là delle pur importanti riserve su singoli punti del disegno di legge, è l’impianto complessivo che va nella direzione sbagliata e questo avviene perché il testo rinuncia ad affermare l’unica cosa veramente in grado di mettere al riparo dalla ripetizione del modello Englaro: il primato conferito al principio di beneficialità/non maleficienza nelle decisioni mediche dei pazienti non più competenti, una preminenza da concretizzare obbligando i medici a conformare la propria condotta a criteri di appropriatezza clinica al singolo caso.

Nel testo manca l’affermazione che taglia la testa al toro: il principio di autonomia del paziente viene meno nel momento in cui questi non è più capace di intendere e di volere. Non è possibile sapere quale trattamento vorrebbe davvero il paziente se fosse capace di decidere in quel momento, le DAT sono strumenti altamente inaffidabili (25), allora in dubio pro vita, perché meglio curare un po’ più del desiderato che un po’ meno.

Un solo articolo, nessun appiglio per contestazioni riguardo a specifiche fattispecie, nessuna differenza fra idratazione, nutrizione, ventilazione e tutti i possibili trattamenti salva-vita, nessun obbligo di metterli in atto o di continuarli se cessano di essere clinicamente adeguati alla situazione clinica. La pura, semplice, antica riaffermazione del principio medico sfigurato dalla giustizia creativa: primum non nocere.

Com’è stato sostenuto dal prof. Paul Ramsey “Per sapere quale trattamento è moralmente indicato si deve solo stabilire quale trattamento sia clinicamente indicato” (26).

Una legge che dia forza giuridica alle DAT non può che fondarsi su una fictio iuris, trasferendo i criteri per risolvere la problematica etica della legittima astensione o interruzione delle cure da parte dei soggetti consapevoli (27) ai soggetti non più capaci di decidere per se stessi.

Perché si dovrebbe scrivere, mentre si è perfettamente sani, che in caso di coma protratto non si vorrebbe ricevere un determinato trattamento, se non perché si reputa che in determinate condizioni la vita non sia più meritevole di essere vissuta? Perché si dovrebbe acconsentire che nel nostro ordinamento passi tale principio attraverso la surrettizia modalità delle interruzione delle cure? (28) Che cosa impedirebbe ad un tale desiderio di trovare accoglienza qualora le cure fossero affidate ad un medico favorevole all’eutanasia? Forse si opporrebbe una legge come questa in cui che cosa si intenda per eutanasia è affidato de facto all’interpretazione del singolo giudice?

O piuttosto si confida negli interpreti della deontologia che però non hanno avuto alcunché da eccepire ai protagonisti medici dei noti casi, non rinvenendo nella loro condotta alcuna violazione del codice medico che all’articolo 17 vieta l’eutanasia (ci pare che ciò sia stato reso possibile perché l’eutanasia è stata intesa nella sola dimensione commissiva e l’azione dell’interrompere i supporti vitali è stata considerata invece un’omissione)?

 Non hanno perso di attualità le parole scritte quindici anni fa dal prof. Antonio Spagnolo, oggi ordinario di bioetica all’Università Cattolica di Roma: “Occorre, pertanto, ripensare al problema in sé del testamento di vita cercando modalità alternative alle dichiarazioni anticipate di volontà, che salvaguardino la dignità del morire che e' anche la dignità della persona come bene individuale e sociale. […] dovrebbe essere il medico, al limite, e non il paziente, ad essere incoraggiato a sottoscrivere una dichiarazione che lo impegni a non somministrare consapevolmente, in alcun modo, trattamenti futili o che prolunghino la sofferenza dei pazienti senza alcuna reale speranza di ripresa” (29)

Invece di andare in rotta di collisione con quanto deciso dalla magistratura creativa (30), forse per un’inconsapevole od inconfessata aspirazione alla conciliazione, con l’attuale ddl sulle DAT si è scelta maldestramente la strada di seguire il sentiero predisposto dai battitori radicali per spingere la preda là dove essi stessi vogliono: il riconoscimento delle volontà anticipate con i paletti. Questo è tutto quanto serve loro, il resto del lavoro lo faranno gli avvocati. Non avrei mai potuto esprimere meglio questo concetto di quanto ha fatto il prof. Pessina, inopinatamente da un giornale diverso da Avvenire: “A mio avviso soltanto indebolendo il valore giuridico delle dichiarazioni anticipate e rafforzando i criteri che permettano di riconoscere e vietare i casi di suicidio assistito e di eutanasia si potrebbe evitare ogni futuro abuso interpretativo delle dichiarazioni stesse, che pure moralmente hanno un loro specifico valore” (31).

Sogni d’oro

Quando leggo interventi a sostegno della legge rassicurati dall’opposizione ad essa dei “paladini dell’assolutezza dell’autodeterminazione” (32), rimango turbato; il pensiero va infatti alle lode di Gesù per l’uso della scaltrezza ed al suo ammonimento ad usarne nelle cose di Dio: “I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” (33); si assume infatti come autentica la contrarietà al ddl sulle DAT, senza includere nel novero delle possibilità un’opposizione tattica per favorire la promulgazione di una legge che consenta ai giudici di sollevare questioni di costituzionalità in punti strategici.

Un minuto dopo che la legge dovesse essere approvata sono convinto che dall’accampamento della “buona morte” si leverebbero brindisi, essendo già pronti i piani per il successivo smantellamento di tutti i limiti a partire da quelli della non vincolatività e della esclusione della NIA.

Sono considerazioni già pubblicamente e chiaramente esposte dall’on.le Alfredo Mantovano: “Non sono certo che quella parte di magistratura ostile alla vita non trovi anche nel testo del Senato margini per riprodurre sentenze di morte […] C’è una sola ragione per la quale vale la pena che un Parlamento attento alla tutela del diritto alla vita vari delle norme sul “testamento biologico”: quella di riaffermare che l’esistenza di ogni uomo è intangibile, qualunque sia la sua età, le sue condizioni, il suo stato; e che è intangibile anche quando volessero permetterlo i giudici” (34).

Parafrasando Samuel Johnson, affermare che l’impiego nella legge del termine “direttive anticipate” al posto di “testamento” dovrebbe garantire la volontà del legislatore e la conseguente tenuta della legge davanti ai giudici, è l’indubbio trionfo della speranza sull’esperienza (35)



Non era forse chiaro ai giudici della corte costituzionale la volontà del legislatore, laddove all’articolo 1 della legge 40 si affermava la volontà di compenetrare i diritti dei soggetti coinvolti, compresi quelli del concepito? Allora perché oggi si è ripreso a congelare gli stessi concepiti decidendo deliberatamente di abbassarne ulteriormente le già ridotte probabilità di sopravvivenza?

Non è forse scritto nella legge 194 che per accedere all’aborto vi deve essere un “serio rischio per la salute della donna”? Com’è successo allora che i giudici abbiano interpretato la clausola in modo così esteso da accettare che una gravidanza ogni 4 o 5 configuri un tale rischio? non è dunque vero che quella stessa ipocrita legge ha nel titolo la “tutela della maternità”, una maternità così tutelata da avere condotto a 5 milioni di aborti legali?

E tutto questo confidare nella coscienza del medico è davvero ben riposto? “Houston, abbiamo un problema”: duole dirlo, ma la coscienza di molti medici non è immune dalla cultura della morte; 5 milioni di aborti sul fronte dell’inizio vita non consentono di dormire sonni tranquilli sul fine-vita. Stupisce che le criticità del ddl qui solamente accennate sembrino non preoccupare, tanto da far considerare gli opportuni emendamenti migliorativi dei semplici “dettagli che non toccano il cuore della proposta Calabrò-Di Virgilio” (36).

Not in my name

In un editoriale sul giornale Avvenire si afferma: “Una legge `buona e giusta` quella sulle Dat? Si è lavorato al Senato e si sta lavorando alla Camera perché sia così. Ricordiamoci, però, che ogni legge è sottoposta al vaglio delle maggioranze – a volte trasversali, come in questo caso, e comunque transitorie in un regime di alternanza politica. E per tutte le maggioranze, presenti e future, dovrebbe valere il criterio di garantire, a ogni singola legge, una volta approvata, un periodo di rodaggio. È civile e necessario, insomma, che a queste disposizioni non venga riservato il trattamento ostile e la propaganda deformante già riservati, ad esempio, alla legge 40 sulla fecondazione artificiale, altra normativa `non cattolica` ma accettata dai credenti per chiudere l’era di `provetta selvaggia`. Abbiamo già visto una parte dell’opinione pubblica, più ideologizzata e meno disponibile ad accettare il voto (trasversale, torniamo a ricordarlo) di un libero Parlamento, allearsi con una frazione della magistratura per tentare di demolire o, comunque, manomettere la legge sin dal giorno seguente la sua entrata in vigore” (37).

Si tratta di un passaggio di non univoca lettura. Non so se interpreto bene il pensiero dell’autore, a cui peraltro mi sento legato da vincoli di amicizia e stima personale, ma esso sembrerebbe condividere le preoccupazioni di cui, ultimo rispetto ad altri più profondi e qualificati di me, ho cercato di farmi portavoce.

Si potrebbe anche cogliervi una supplica rivolta al fronte eutanasico perché pietosamente conceda un minimo di tregua (rodaggio) prima d’iniziare l’attacco alla legge; si potrebbe infine cogliere una criptica giustificazione delle tante deviazioni di questo disegno di legge rispetto ai principi cattolici nella necessità di elaborare un testo quanto più largamente condiviso proprio per evitare la sorte che è toccata alla legge 40. Qualora questa motivazione fosse reale (spero vivamente che non lo sia), mi sentirei obbligato a rispondere che se è vero che talora si può tollerare un male per evitare un male peggiore, è altrettanto vero che in nessun caso si può fare il male, anche se facendolo si ha l’intenzione di fare del bene (38).

Non si può chiedere di difendere una cattiva legge, sperando che sia sufficientemente cattiva da non indurre ad un suo ulteriore peggioramento allorquando dovesse cambiare la maggioranza politica. Chi si è ostinato a rimanere sordo a tutti i buoni e saggi consigli che sono giunti da molteplici voci dell’accampamento pro-life, talora sottovoce, talora urlati, sperando almeno così di ottenere un po’ più di attenzione, ma sempre con grande amore per la difesa della vita umana, dovrà farsi carico di portare sino in fondo la paternità delle decisioni.

Renzo Puccetti, Scienza & Vita Pisa e Livorno



[1] In: M. Tangheroni. Della storia. In margine ad aforismi di Nicolás Gómez Dávila. Sugarco ed. Milano, 2008. [2] Il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica del 18 Dicembre 2003 sulle DAT ricevette l’approvazione anche dei membri di orientamento personalista, in larga parte cattolici, a partire dal presidente, il prof. Francesco D’Agostino.
[3] L. Liverani. Testamento biologico: «Più rischi che benefici» Avvenire, 6-12-2006, p. 10. Si legge: “Testamento biologico, maneggiare con cautela. Perché nel migliore dei casi è un doppione di norme già esistenti, come la donazione di organi. Oppure è inutile, perché già oggi l’accanimento terapeutico esula dalle corrette pratiche mediche. Più realisticamente è il traguardo a cui punta chi vuole eliminare terapie efficaci e proporzionate quali l’idratazione o l’alimentazione in pazienti in coma. Un grimaldello giuridico, insomma, per introdurre nell’ordinamento l’eutanasia nuda e cruda”.
[4] M. Corradi. «Io, oncologa con il cancro, dico no all’eutanasia». Avvenire, 28-11-2007. Si legge: “Io, il "testamento biologico", da sana, lo avrei sottoscritto. Ora no. Quando hai un cancro, diventi un’altra persona, e ciò che pensavi prima non è più vero”.
[5] F. D’Agostino. «Una sentenza di morte dai giudici: ma si può?». Avvenire, 11-7-2008.
[6] F. D’Agostino. «Una legge sul fine vita? “Dichiarazioni” per aiutare i medici a decidere». Avvenire, 8-8-2008.
[7] V. Daloiso. «Prof. Pessina: “Testamento biologico: attenti al rischio eutanasia”». Avvenire, 3-9-2008.
[8] G. Isola. Scienza & Vita: «No a una legge su testamento biologico» Avvenire, 5-8-2008.
[9] F. Rosicano. «Possono gli uomini decidere di anticipare la morte? Colloquio con Maria Luisa Di Pietro». Liberal, 12-8-2008.
[10] Angelo Card. Bagnasco, Presidente Cei. Prolusione al Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. 22-9-2008.
[11] F. D’Agostino. «Il testamento c’è già: ora bisogna arginare e cambiare». Avvenire, 25-9-2008.
[12] Il quotidiano Avvenire ha davvero speso rilevanti energie a questo scopo, giungendo a negare l’accesso a qualsiasi voce critica ed anzi prestando il proprio autorevole spazio ad interventi unidirezionalmente volti ad accreditare la bontà dell’attuale ddl. Tra i contributi più significativi il mini-manifesto a favore del ddl Calabrò pubblicato su Avvenire del 12-3-2011; benché sottoscritto da personalità di indubbio prestigio, il loro numero risulta un po’ troppo esiguo per potere essere accreditato quale espressione univoca della posizione cattolica fedele al Magistero, citato peraltro in modo quanto meno criticabile.
[13] A. Pessina. . «Il diritto di rifiutare la cura è l’altra faccia dell’indisponibilità della vita: tolta questa diventa eutanasia». Il Foglio del 22-1-2009.
[14] M. Micaletti. «Perché nel nostro Paese l'eutanasia e' ancora illegale». 4-3-2011. http://www.comitatoveritaevita.it/pub/editoriale_read.php?read=291




[15] G. Mommo. Testamento biologico: applicabili le disposizioni sull’amministrazione di sostegno. http://www.altalex.com/index.php?idnot=43586




[16] L’associazione Medicina & Persona ha espresso maggiore fiducia nella formazione etica dei medici piuttosto che nella elaborazioni di leggi per salvare le prossime Eluana. Medicina & Persona. «Continuiamo a fare i medici». 25-2-2011.
[17] Lector quidam. «Contro l’inganno del fine vita». Il Foglio del 16-3-2011. p. 8.
[18] E. Roccella. Si legge: “E' evidente che prosegue l'attacco ideologico alla legge sulla procreazione assistita che invece ha già resistito perché è stata sostanzialmente confermata dalla pronuncia della Corte Costituzionale del 2009 e ha ormai dimostrato di dare buoni risultati", commenta invece il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella che si è detta comunque "fiduciosa" rispetto alla nuova pronuncia che dovrà arrivare dalla Suprema corte "che già ha mantenuto l'impianto della legge”. Repubblica del 22-10-2010.
[19] M. Aramini. «Fine vita: si faccia la legge ma il problema è culturale». La Bussola Quotidiana del 29-3-2001. http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-fine-vita-si-faccia-la-leggema-il-problema--culturale-1410.htm




[20] “Per un corretto giudizio morale sull’eutanasia, occorre innanzi tutto chiaramente definirla”. Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 65.
[21] J. Keown. Eutanasia, Ethics and Public Policy. An Argument Against Legalisation. Cambridge University Press. Cambridge 2002. p. 16.






[22] P.L. Fornari. «Sgreccia: legge necessaria stop agli itinerari di morte». Avvenire del 11-3-2011. p. 3.
[23] La definizione di eutanasia del Magistero amplia le condotte eutanasiche non solo alla rimozione della nutrizione ed idratazione, ma ad ogni “azione od omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore”. Vd Congregazione per la Dottrina della Fede. Dichiarazione sull’eutanasia Iura et Bona. 5 Maggio 1980.
[24] Puccetti R, Del Poggetto MC, Costigliola V, Di Pietro ML. Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT): revisione della letteratura. Medicina & Morale. 2009; 14(3): 461-498.


[25] Perkins H. Controlling death: the false promise of advance directives. Ann Intern Med. 2007; 147(1): 51-7.






[26] P. Ramsey. Ethics at the edges of life. New Haven ; Yale University Press, 1978 p. 155.






[27] Vd. a proposito della posizione del Magistero il testo di M. Calidari. «Curarsi e Farsi Curare: tra Abbandono del Paziente e Accanimento Terapeutico». San Paolo ed. Cinisello Balsamo (Mi), 2006.
[28] Con onestà intellettuale lo ammette il prof. Maurizio Mori nel descrivere la valenza del caso Englaro: “Come Porta Pia è importante non tanto come azione militare quanto come atto simbolico che ha posto fine al potere temporale dei papi e alla concezione sacrale del potere politico, così il caso Eluana apre una breccia che pone fine al potere (medico e religioso) sui corpi delle persone e (soprattutto) alla concezione sacrale della vita umana. Sospendere l' alimentazione e l' idratazione artificiali implica abbattere una concezione dell‘umanità e cambiare l' idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria che affonda le radici nell' ippocratismo e anche prima nella visione dell' homo religiosus, per affermarne una nuova da costruire. Come Porta Pia segna la fine del papa re e di un paradigma del ruolo sacrale della religione in politica, gettando le basi di un' aurorale democrazia in Italia, così il caso Eluana segna la fine (sul piano teorico) del paternalismo in medicina e di un paradigma medico fondato sul vitalismo ippocratico, gettando le basi di un aurorale controllo della propria vita da parte delle persone”. M. Mori. « Il caso Eluana Englaro. La “Porta Pia” del vitalismo ippocratico ovvero perché è moralmente giusto sospendere ogni intervento». Pendragon ed. 2008.


[29] A.G. Spagnolo. «Il bene del paziente e i limiti dei testamenti di vita». Orizzonte Medico n. 6, 1996.
[30] Nella sentenza N° 21748/07 della Corte di Cassazione riguardo al caso Englaro, il termine “dignità” ricorre undici volte giungendo ad affermare, in nome del pluralismo dei valori, che la vita con attributi soggettivi di indegnità costituisce un diritto esigibile.




[31] A. Pessina. «Controindicazioni di una legge che non fermerà l'eutanasia». Il Foglio del 22-3-2011.


[32] A. Gambino «Questa legge s’ha da fare». Avvenire del 4-3-2011. p. 1.


Lo stesso pensiero è stato sorprendentemente ripreso da un uomo di grande esperienza nelle questioni biopolitiche: “Tutta la cultura radicale, abortista, sostenitrice di una idea corrotta di libertà e del diritto alla morte, favorevole all’eutanasia, preme affinché non si approvi la legge che ha raggiunto la soglia del voto finale alla Camera. Non è già questo fatto un’indicazione di quale deve essere la nostra scelta? È evidente che la legge disturba i progetti eutanasici”.  C. Casini. «La legge di fine vita». Zenit del 3-4-2011.






[33] Lc. 16,8.
[34] On.le A. Mantovano. «Lettera a Il Foglio». del 25 febbraio 2011.




[35] C. Casini. «Quanta distanza tra “bio-testamento” e “Dichiarazioni anticipate”». Avvenire del 25-2-2011.
[36] C. Casini. Vd. rif. 32.
[37] D. Delle Foglie. Per una legge che sia utile. Avvenire del 31-3-2011.
[38] Giovanni Paolo II. Veritatis Splendor n. 80.



L’attuale dibattito sulle prossime elezioni presidenziali sembra essere dominato dai problemi dell’economia, relegando sullo sfondo i temi sociali e culturali che dividono gli americani, la cui importanza sarebbe bene, tuttavia, non sottovalutare.
Si prenda, ad esempio, il tema della legalizzazione dei matrimoni tra appartenenti allo stesso sesso, o “matrimoni gay”. Un articolo di Sandhya Somashekhar e Peyton Craighill, apparso sul Washington Post of Sunday del 20 marzo, afferma che una maggioranza sia pure limitata di americani sostiene ora il matrimonio gay, almeno stando ad un sondaggio condotto da Washington Post-Abc News. Questo sondaggio rispecchia le opinioni sempre più tolleranti degli americani verso l’omosessualità e va in parallelo con una serie di recenti vittorie legali e legislative dei sostenitori dei diritti dei gay. Cinque anni fa, l’appoggio ai matrimoni gay si limitava a un po’ più di un terzo degli americani, il 36%; ora, il 53% dichiara che dovrebbero essere legali, segnando così per la prima volta nei sondaggi Post-Abc una maggioranza favorevole.
“I dati sono coerenti con quelli di molti altri sondaggi che abbiamo visto e con l’atteggiamento generale riscontrato nell’ultimo anno e mezzo”, ha detto Evan Wolfson, presidente di Freedom to Marry, un importante gruppo pro matrimonio gay. “Una volta che uno capisce che si tratta di amore, un difficile impegno familiare in questi tempi duri, come per ciascuno, allora capisce anche come sia ingiusto trattarli in modo diverso”.
L’articolo riporta anche che chi si oppone al matrimonio gay critica il modo in cui è stata posta la domanda, e cioè: “Secondo lei, il matrimonio tra coppie gay o lesbiche dovrebbe essere legale o illegale?”. Brian Brown, presidente del National Organization for Marriage, sostiene che il termine “illegale” potrebbe indurre a pensare a un possibile arresto dei trasgressori, cosa che la maggior parte degli americani considererebbe eccessiva. Brown, la cui organizzazione è un importante gruppo contrario al matrimonio gay, fa notare che il matrimonio tra appartenenti allo stesso sesso è stato bocciato in tutti i 31 stati in cui è stato sottoposto a votazione. “L’unico sondaggio che conta è una libera e corretta votazione da parte del popolo”, ha detto. “Abbiamo visto più e più volte questi sondaggi viziati, proprio prima di votazioni in cui il matrimonio gay è stato rigettato. È assurdo. La popolazione di questo Paese non ha cambiato opinione sul matrimonio”.
Tuttavia, in tutti i loro sondaggi sul matrimonio gay, Post-Abc News hanno sempre utilizzato i termini “legale o illegale”, fin dal 2003, quando la percentuale in favore della legalizzazione era di parecchio inferiore. Anche altri sondaggi, condotti da Pew Research Center, Associated Press e Cnn, hanno mostrato tendenze simili. Nel nuovo sondaggio Post-Abc, lo spostamento è stato causato dal forte aumento in favore di queste unioni in alcuni segmenti della popolazione. Gli uomini, che in precedenza si mostravano molto meno favorevoli delle donne nei confronti del matrimonio gay, ora lo sostengono con le stesse proporzioni. Anche il sostegno tra i bianchi con istruzione superiore, gli indipendenti dal punto di vista politico e chi non si dichiara religioso è aumentato in modo significativo. I Repubblicani, i conservatori e i cristiani evangelici bianchi rimangono i gruppi che più si oppongono alla legalizzazione dei matrimoni tra appartenenti allo stesso sesso.
La ricerca mostra anche cambiamenti nell’intensità delle opinioni sull’argomento. In passato, il numero degli americani che ritenevano fortemente che il matrimonio gay dovesse essere vietato era di gran lunga superiore a quelli che invece volevano fortemente che venisse legalizzato. Ora, i due gruppi sono alla pari, con il 35% fortemente contro e il 36% fortemente in favore della legalizzazione.
La decisa opposizione al matrimonio gay è in parte responsabile della non rielezione in Iowa di tre giudici della Corte Suprema statale, che avevano votato in favore della legalizzazione di questo matrimonio. In Minnesota, Indiana, Pennsylvania e Carolina del Nord si sta pensando a provvedimenti per vietare il matrimonio gay. Queste vittorie degli oppositori sono state recentemente offuscate da diverse sconfitte. Lo scorso marzo, il Distretto Federale di Columbia si è aggiunto ai cinque stati che riconoscono il matrimonio gay. Più recentemente, un giudice federale ha stroncato il divieto dei matrimoni gay approvato dagli elettori dello stato: il caso è stato portato davanti alla Corte di appello ed è probabile che approdi alla Corte Suprema.
In estate, un giudice federale in Massachusetts ha bloccato il divieto del governo federale di riconoscimento dei matrimoni tra appartenenti allo stesso sesso secondo la legge del 1996, Defense of Marriage Act, conosciuta come Doma. Anche qui si andrà molto probabilmente davanti alla istanza superiore. Inoltre, segnando una grande vittoria per i sostenitori dei matrimoni gay, l’Amministrazione Obama ha annunciato che non difenderà più nei tribunali la legge in difesa del matrimonio.
I parlamentari Repubblicani hanno giurato di difendere la legge loro stessi e criticato Obama per aver sollevato un problema così socialmente dirompente in un momento in cui l’attenzione dovrebbe essere concentrata sull’economia e sull’occupazione. Questa settimana, i Democratici hanno presentato proposte di legge per abrogare il Defense of Marriage Act, prendendo atto di come il vento stesse cambiando (il sondaggio telefonico è stato condotto tra il 10 e il 13 marzo, su un campione nazionale casuale di 1005 adulti. I risultati sull’intero campione presentano un margine di errore di campionamento del 3,5% circa).
In un articolo sull’ultimo numero della rivista The American Conservative, Justin Raimondo argomenta dal punto di vista del secolarismo “libertario” contro la legalizzazione del matrimonio gay. La sua tesi, comunque, è più basata sull’opposizione libertaria alla legalizzazione in sé (in nome della libertà personale) che non sul significato intrinseco del matrimonio.
Sembra che, ancora una volta, sia la Chiesa cattolica che può districare la realtà dell’affettività umana e del bisogno di compagnia dal nodo ideologico che oscura il vero cammino verso la felicità che tutti gli uomini cercano.


© Riproduzione riservata.


La Corte Costituzionale del Perù a favore del crocifisso e della Bibbia nei tribunali - 7 aprile, 2011 – da http://www.uccronline.it

La Corte Costituzionale del Perù ha stabilito che la Bibbia e il crocifisso non violano la laicità del paese. Il 22 marzo il giudice ha respinto una denuncia presentata da un avvocato peruviano, Jorge Manuel Linares Bustamante, che esigeva che crocifissi e bibbie fossero rimossi dalla aule del tribunale. Analoghe decisioni sono state prese recentemente dalla Corte costituzionale austriaca (cfr. Ultimissima 19/3/11) e italiana (cfr. Ultimissima 14/3/11)

Nella sentenza il giudici peruviani hanno dichiarato: «Abbiamo uno Stato non confessionale o laico, di norma, ma la stessa Costituzione stabilisce all’articolo 50 che all’interno di questo regime di autonomia dello stato, la Chiesa è una parte fondamentale del patrimonio storico, culturale e morale del Perù». I simboli religiosi in un’aula di tribunale non costituiscono dunque un’approvazione della religione, ma piuttosto sottolineano il legame storico e culturale di questi simboli per lo Stato come tale.

Su Living In Perù si ricorda che la sentenza peruviana arriva solo pochi giorni dopo la decisone del Tribunale dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che ha legittimato la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane (cfr. Ultimissima 18/3/11) Uno dei giudici, Eto Cruz, ha detto che le sentenze erano molto simili. Come si vede dunque, la decisione presa dall’UE contro la mezzofinlandese uaarina Lautzi ha creato un fondamentale precedente a livello internazionale. Non smetteremo mai di ringraziare, per questo, l’UAAR e tutte le ateocongregazioni militanti.


LETTURE/ Flannery O’Connor e il conto salato della realtà
Martino Sartori


venerdì 8 aprile 2011

C’era una volta un ragazza della Georgia del sud che abitava in una casa di mattoni rossi circondata da pavoni e ogni sorta di volatile pennuto. Questa ragazza che cuciva maglioni colorati per i suoi polli si chiamava Mary Flannery O’Connor e sarebbe stata la più grande scrittrice cattolica del secondo Novecento. Stroncata a trentanove anni dal lupus, riscoperta da una parte della critica nell’ultimo decennio.
È sempre stata un personaggio difficile da accettare per la sua radicalità nell’essere cattolica, e nel descrivere l’esperienza dello scrivere. Dirà in una conferenza tenuta ad universitari: «Ci si lamenta sempre che il romanziere moderno non nutre speranze e che il mondo da lui dipinto è insopportabile. L’unica risposta è che chi non nutre speranze non scrive romanzi. Scrivere un romanzo è un’esperienza terribile, durante la quale spesso cadono i capelli e i denti si guastano. Mi manda sempre in bestia chi insinua che lo scrivere narrativa sia una fuga dalla realtà. È invece un tuffo nella realtà ed è davvero traumatizzante per l’organismo. Chi è senza speranza non solo non scrive romanzi, ma, quel che più conta, non ne legge. Non ferma a lungo lo sguardo su nulla, perché gliene manca il coraggio. La via per la disperazione è rifiutare ogni tipo di esperienza, e il romanzo è senz’altro un modo di fare esperienza».
Nella stessa lezione dirà allora che cosa è lo scrivere: «I Manichei separavano spirito e materia. Per loro tutte le cose materiali erano male. Ricercavano lo spirito puro e tentavano di avvicinare l’infinito direttamente, senza alcuna mediazione della materia. Questo è quanto mai lo spirito moderno, e per la sensibilità che ne è contagiata, è difficile se non impossibile scrivere narrativa, poiché la narrativa è più che mai un’arte incarnatoria».
Che cosa è questa incarnazione? Emerge prepotentemente nel racconto Un brav’uomo è difficile da trovare. È la storia di una normalissima famiglia che durante una gita domenicale in Florida viene assassinata dal Balordo criminale da poco evaso dalla prigione. La Nonna è il fulcro su cui ruota la sorte della famiglia, è lei che spinge per imboccare la piccola strada inghiaiata ed è sempre lei che porta il gatto causa dell’incidente e della morte di tutta la famiglia.
I personaggi sono tutti messi di fronte alla morte in modo inaspettato, quasi grottesco. Rispondendo a questa accusa l’autrice dirà che invece che grottesco è semplicemente letterale, letterale come può essere il disegno di un bambino. Questa è la forza delle brevi storie raccontate dalla O’Connor: la semplicità con cui viene trasmessa la realtà, la facilità con cui viene messo in mostra il male, senza nessun problema morale  o esagerazione. Ed è attraverso questo schianto che i personaggi vengono preparati alla grazia: per Parker era l’incidente contro un albero e la rischiata incenerizione, qui è la pistola puntata alla tempia.«Hanno la testa così dura che non c’è quasi altro sistema. L’idea che la realtà sia qualcosa alla quale dobbiamo essere ricondotti a caro prezzo è di rado compresa dal lettore superficiale, ma è un’idea implicita nella visione cristiana del mondo».
In questo caso la grazia emerge nel dialogo finale una volta che il Balordo e la Nonna rimangono soli, si sentono in lontananza due spari e le grida dei due nipotini. E la radicale posizione dei due personaggi: «“Gesù” gridò la nonna. “Lei ha buon sangue! Io so che non ucciderebbe mai una signora!... Le darò tutti i soldi che ho!” “Signora” sospirò il Balordo, “non c’è mai stato un morto che abbia dato la mancia al becchino”. “Gesù è stato l’unico a resuscitare i morti”, riprese il Balordo. “E non avrebbe dovuto farlo. Ha mandato tutto a gambe all’aria. Se ha fatto quello che ha detto, allora non ci resta che gettare tutto e seguirlo; se non l’ha fatto, allora non ci resta che goderci meglio che possiamo i pochi minuti che ci avanzano: uccidendo qualcuno, bruciandogli la casa.. Non c’è piacere al di fuori della cattiveria”».
Il dialogo prosegue ma non possiamo riportarlo qui, vale la pena scoprirlo e leggerlo tutto d’un fiato, ed essere grati della schiettezza con cui la O’Connor ci riporta alla vera dimensione esistenziale, del dialettica tra il vero Bene e il vero Male.

© Riproduzione riservata.


LETTURE/ Flannery O’Connor e il conto salato della realtà di Martino Sartori - venerdì 8 aprile 2011 – il sussidiario.net

C’era una volta un ragazza della Georgia del sud che abitava in una casa di mattoni rossi circondata da pavoni e ogni sorta di volatile pennuto. Questa ragazza che cuciva maglioni colorati per i suoi polli si chiamava Mary Flannery O’Connor e sarebbe stata la più grande scrittrice cattolica del secondo Novecento. Stroncata a trentanove anni dal lupus, riscoperta da una parte della critica nell’ultimo decennio.
È sempre stata un personaggio difficile da accettare per la sua radicalità nell’essere cattolica, e nel descrivere l’esperienza dello scrivere. Dirà in una conferenza tenuta ad universitari: «Ci si lamenta sempre che il romanziere moderno non nutre speranze e che il mondo da lui dipinto è insopportabile. L’unica risposta è che chi non nutre speranze non scrive romanzi. Scrivere un romanzo è un’esperienza terribile, durante la quale spesso cadono i capelli e i denti si guastano. Mi manda sempre in bestia chi insinua che lo scrivere narrativa sia una fuga dalla realtà. È invece un tuffo nella realtà ed è davvero traumatizzante per l’organismo. Chi è senza speranza non solo non scrive romanzi, ma, quel che più conta, non ne legge. Non ferma a lungo lo sguardo su nulla, perché gliene manca il coraggio. La via per la disperazione è rifiutare ogni tipo di esperienza, e il romanzo è senz’altro un modo di fare esperienza».
Nella stessa lezione dirà allora che cosa è lo scrivere: «I Manichei separavano spirito e materia. Per loro tutte le cose materiali erano male. Ricercavano lo spirito puro e tentavano di avvicinare l’infinito direttamente, senza alcuna mediazione della materia. Questo è quanto mai lo spirito moderno, e per la sensibilità che ne è contagiata, è difficile se non impossibile scrivere narrativa, poiché la narrativa è più che mai un’arte incarnatoria».
Che cosa è questa incarnazione? Emerge prepotentemente nel racconto Un brav’uomo è difficile da trovare. È la storia di una normalissima famiglia che durante una gita domenicale in Florida viene assassinata dal Balordo criminale da poco evaso dalla prigione. La Nonna è il fulcro su cui ruota la sorte della famiglia, è lei che spinge per imboccare la piccola strada inghiaiata ed è sempre lei che porta il gatto causa dell’incidente e della morte di tutta la famiglia.
I personaggi sono tutti messi di fronte alla morte in modo inaspettato, quasi grottesco. Rispondendo a questa accusa l’autrice dirà che invece che grottesco è semplicemente letterale, letterale come può essere il disegno di un bambino. Questa è la forza delle brevi storie raccontate dalla O’Connor: la semplicità con cui viene trasmessa la realtà, la facilità con cui viene messo in mostra il male, senza nessun problema morale  o esagerazione. Ed è attraverso questo schianto che i personaggi vengono preparati alla grazia: per Parker era l’incidente contro un albero e la rischiata incenerizione, qui è la pistola puntata alla tempia.«Hanno la testa così dura che non c’è quasi altro sistema. L’idea che la realtà sia qualcosa alla quale dobbiamo essere ricondotti a caro prezzo è di rado compresa dal lettore superficiale, ma è un’idea implicita nella visione cristiana del mondo».
In questo caso la grazia emerge nel dialogo finale una volta che il Balordo e la Nonna rimangono soli, si sentono in lontananza due spari e le grida dei due nipotini. E la radicale posizione dei due personaggi: «“Gesù” gridò la nonna. “Lei ha buon sangue! Io so che non ucciderebbe mai una signora!... Le darò tutti i soldi che ho!” “Signora” sospirò il Balordo, “non c’è mai stato un morto che abbia dato la mancia al becchino”. “Gesù è stato l’unico a resuscitare i morti”, riprese il Balordo. “E non avrebbe dovuto farlo. Ha mandato tutto a gambe all’aria. Se ha fatto quello che ha detto, allora non ci resta che gettare tutto e seguirlo; se non l’ha fatto, allora non ci resta che goderci meglio che possiamo i pochi minuti che ci avanzano: uccidendo qualcuno, bruciandogli la casa.. Non c’è piacere al di fuori della cattiveria”».
Il dialogo prosegue ma non possiamo riportarlo qui, vale la pena scoprirlo e leggerlo tutto d’un fiato, ed essere grati della schiettezza con cui la O’Connor ci riporta alla vera dimensione esistenziale, del dialettica tra il vero Bene e il vero Male.

© Riproduzione riservata.


Per la Littizzetto il premio di Napolitano, per i preti che si fanno in quattro nel servire i più poveri il dileggio… dal Blog di Antonio Socci - Da “Libero”, 7 aprile 2011

I cattolici sono indignati con Rai 3. Si sentono bersagliati ingiustamente e si sono stancati di subire in silenzio.

Prendo a simbolo un giovane prete, che chiamerò don Gianni, un bravissimo sacerdote che – fra le altre cose, insieme ad altri – si fa in quattro e dà letteralmente la vita, per aiutare immigrati, emarginati, “barboni” e tossicodipendenti.

L’ultimo episodio che ha fatto indignare lui e molti altri come lui, è stata l’incredibile invettiva contro la Chiesa fatta da Luciana Littizzetto a “Che tempo che fa”, domenica sera (che sta pure su Youtube).

E’ considerato un caso emblematico della tendenza di Rai 3, la rete simbolo dell’Italia ideologica. Il programma è quello di Fabio Fazio, programma cult della sinistra salottiera.

E’ noto che ogni domenica sera la Littizzetto fa le sue concioni  avendo come spalla lo stesso Fazio.

Ebbene domenica, parlando di Lampedusa, a un certo punto – senza che c’entrasse nulla – la Luciana si è lanciata in un attacco congestionato contro la Chiesa, a proposito dell’arrivo dei clandestini tunisini, e ha urlato ai vescovi “dicano qualcosa su questa questione”.

I vescovi, a suo parere, stanno sempre a rompere “e adesso stanno zitti… fate qualcosa! Cosa fanno?”.

A me pare che non esista affatto l’obbligo per la Chiesa di farsi carico di tutti i clandestini che vengono dall’Africa.

In ogni caso il quotidiano dei vescovi, Avvenire, ieri ha sommessamente obiettato alla Littizzetto che la Chiesa non ha taciuto affatto e che proprio la scorsa settimana il segretario generale della Cei, monsignor Crociata ha convocato una conferenza stampa per informare che 93 diocesi hanno messo a disposizione strutture capaci di ospitare 2500 immigrati, caricando sulla Chiesa tutte le spese.

Ma questa risposta di Avvenire è uscita in ultima pagina, sussurrata e con un tono benevolo, sotto il titolo: “Chissà se Lucianina chiede scusa”.

Fatto sta che attacchi come quelli della Littizzetto sono stati visti e ascoltati da milioni di telespettatori e ben pochi avranno letto la documentata risposta di “Avvenire”.

Forse si può e si deve rispondere anche più energicamente. C’è chi vorrebbe pretendere le scuse del direttore di Rai 3 e soprattutto il diritto di replica.

In nome dei tantissimi sacerdoti, suore e cattolici laici che in questo Paese da sempre, 24 ore al giorno, sputano sangue per servire i più poveri ed emarginati e che poi si vedono le Littizzetto e tutta la congrega di intellettualini e giornalisti dei salotti progressisti che, dagli schermi tv, impartiscono loro lezioni di solidarietà.

Sì, perché la Littizzetto non si è limitata a questo assurdo attacco (condito di battute sul cardinal Ruini).

Poi, fra il dileggio e il rimprovero morale, si è addirittura impancata a seria maestra di teologia e ha preteso persino di evocare il “discorso della montagna” – citato del tutto a sproposito – per strillare ai vescovi e alla Chiesa:  “ero nudo e mi avete vestito, ero malato e mi avete visitato, avevo sete e mi avete dato da bere… Il discorso della montagna lì non vale perché sono al mare?”.

E poi, sempre urlando, ha tuonato: “c’è la crisi delle vocazioni, ci sono seminari e conventi vuoti: fate posto e metteteli lì, che secondo me poi sono tutti contenti”. 

Non sarebbe neanche il caso di segnalare che l’ignoranza della Littizzetto è pari alla sua arroganza, perché il “discorso della montagna” sta al capitolo 5 del Vangelo di Matteo, mentre i versetti citati da lei – che non c’entrano niente – stanno addirittura al capitolo 25 (quelli sul giudizio finale che non piacerebbero proprio alla comica di Rai 3).

Non sarebbe il caso di sottolineare la gaffe se la brutta sinistra che ci ritroviamo in Italia non avesse elevato comici come lei al rango di intellettuali e addirittura di maestri di etica e di civiltà.

Apprendo addirittura (da Internet) che “il 22 novembre 2007 Luciana Littizzetto ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il prestigioso premio De Sica, riservato alle personalità più in luce del momento nel mondo dello spettacolo e della cultura”.

Se queste sono le “personalità della cultura” che vengono premiate addirittura da Napolitano è davvero il caso di dire “povera Italia!”.

viene in mente Oscar Wilde: “Chi sa, fa. Chi non sa insegna”.

Chi conosce il Vangelo e lo vive, come il mio amico don Gianni, si fa in quattro per dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati.

Chi invece non lo conosce, pretende di insegnarlo, lautamente pagato per le sue scenette comiche su Rai 3, e si lancia all’attacco dei “preti”.

Visto che sia la Littizzetto che Fazio – il quale ha assistito a questa filippica sugli immigrati senza obiettare, facendo ancora la spalla – mi risulta siano ben retribuiti e non vivano affatto nell’indigenza, vorrei sapere, da loro due, di quanti immigrati si fanno personalmente carico. Quanti ne ospitano a casa loro? Quanto danno o sono disposti a dare, dei loro redditi, per accogliere e spesare tunisini, libici e altri clandestini?

Considerata l’invettiva della Littizzetto e il suo pretendere che altri (la Chiesa) ospitino gli immigrati a casa loro, non posso credere che lei per prima non faccia altrettanto.

Sarebbe veramente una spudoratezza inaccettabile.

Vorrebbe allora – gentile signora Luciana – mostrarci la sua bella casa piena di tunisini che lei avrà sicuramente ospitato?

La Chiesa non ha certo bisogno delle lezioni di “Che tempo che fa” per spalancare le sue braccia a chi non ha niente. Lo fa da duemila anni.

E dà pure per scontato che il mondo non se ne accorga e neanche la ringrazi. Ma che addirittura debba essere bersagliata dalle lezioncine è inaccettabile, soprattutto poi se a farle fossero persone che non muovono dito per i più poveri.

Intellettuali, comici e giornalisti dei salotti progressisti che spesso schifano l’italiano medio (e anzitutto i cattolici), che stanno sempre sul pulpito, col ditino alzato, a impartire lezioni di morale, di solito non vivono nell’indigenza.

Molti di loro trascorrono le giornate fra gli agi, in belle case e al riparo di cospicui conti in banca. Qualcuno – come si è saputo di recente – si avventura pure in investimenti sbagliati. Temerari.

Io non so come vivano loro la solidarietà. Ma a me personalmente non è mai capitato di trovarne uno che fosse disposto a coinvolgersi in iniziative di solidarietà e di carità verso i più infelici quando le ho proposte loro.

Ce ne saranno, ma io non ne ho mai trovati. Prima di impancarsi a maestri e censori degli altri, non sarebbe il caso che anzitutto testimoniassero ciò che fanno loro personalmente?

Noi cattolici educhiamo i nostri figli alla carità come dimensione vera della vita.

Mio figlio di 14 anni trascorre il sabato mattina con altri coetanei, insieme a don Andrea, a portare generi alimentari a barboni e famiglie indigenti. E a far loro compagnia.

Don Andrea educa i suoi ragazzi portandoli anche con le suore di Madre Teresa che vanno a cercare i clochard, se ne prendono cura, li lavano, li medicano, mi rifocillano.

Io non ho mai visto un solo intellettuale di sinistra lavare un barbone. Invece i preti, le suore e i cattolici che lo fanno sono tantissimi.

Sono persone che fin da giovani hanno deciso di donare totalmente la loro vita, per amore di Gesù Cristo.

rinunciato a una propria famiglia, vivono nella povertà (i preti, titolati con studi ben superiori alla media, vivono con 800 euro al mese) e servono l’umanità per portare a tutti la carezza del Nazareno.

La Chiesa sono questi uomini e queste donne. E’ di questi che straparlano spesso certi intellettuali da salotto.

Non so quanto se ne rendano conto, soddisfatti e compiaciuti come sono di se stessi. Non so se sono ancora in grado di provare un po’ di vergogna.

Ma so che questa sinistra intellettuale (quella – per capirci – che se la prende con i crocifissi e che sta sempre contro la Chiesa) fa davvero pena, fa tristezza.

Certamente è quanto ci sia di più lontano dai cristiani.


Un microchip genetico per la caccia al feto Down di Carlo Bellieni, 08-04-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Continua la ricerca accanita e perpetua del feto Down: attraverso un microchip genetico è ora possibile ’scovare’ 150 patologie genetiche o difetti di sviluppo come ritardi mentali, molto più di quanto possa ’vedere’ l’amniocentesi classica oggi in uso. La novità si chiama ’Amniochip’ ed è stata messa a punto dall’azienda Genetadi Biotech che l’ha presentata al XXVI Congresso Nazionale di Genetica Umana tenutosi a Murcia in Spagna. Clinicamente non cambia nulla, e la donna si sottopone a una normalissima amniocentesi; poi però, in laboratorio, il materiale prelevato dal liquido amniotico viene analizzato con un sistema più sensibile che moltiplica la risoluzione dell’esame di 100 volte.

Molto raffinato; ma cosa dire dal punto di vista della difesa della vita? E’ giusto andare a conoscere il DNA del figlio prima che nasca se non serve a curarlo e se il rischio che muoia è di 10 ogni 1000 amniocentesi?

Leggiamo cosa dice l’istruzione Donum Vitae. La diagnosi prenatale genetica “è gravemente in contrasto con la legge morale quando contempla l’eventualità, in dipendenza dai risultati, di provocare un aborto (…); la donna che richiedesse la diagnosi con l'intenzione determinata di procedere all'aborto nel caso che l'esito confermi l'esistenza di una malformazione o anomalia, commetterebbe un'azione gravemente illecita. (…) Così pure sarebbe responsabile di illecita collaborazione lo specialista che nel condurre la diagnosi e nel comunicarne l'esito contribuisse volutamente a stabilire o favorire il collegamento tra diagnosi prenatale e aborto”. (Donum Vitae Parte I).

Inoltre, sempre nella Donum Vitae leggiamo: ”Tale diagnosi è lecita se i metodi impiegati, con il consenso dei genitori adeguatamente informati, salvaguardano la vita e l'integrità dell'embrione e di sua madre, non facendo loro correre rischi sproporzionati” (ibidem). Vi sembra che il rischio di morte di 10 feti su 1000 sia sproporzionato o proporzionato?

Ma quello che più ci inquieta è l’accanita ricerca di sistemi di diagnosi prenatale, senza che vediamo altrettanto accanimento di terapie prenatali. Non è un bel mondo se sei concepito con un’anomalia genetica: nessuno – quasi- pensa a curarti e tanti ti scrutano per eliminarti; e se nasci, ti guarderanno come un errore dei genitori.

Il 5 aprile il senato francese ha rigettato l’emendamento proposto da alcuni senatori, tra cui Jean Leonetti, che mirava a far uscire la diagnosi prenatale genetica dalla routine, e renderla disponibile solo su indicazione medica, per evitare proprio una corsa verso l’eugenetica. Il dr Patrick Leblanc, capo del comitato “Per La Salvezza della Medicina Prenatale” ha così commentato la bocciatura: “Il senato rischia di innestare la diagnosi prenatale negli spiriti”.

In Italia di fatto è già così: tra esami per la ricerca della plica nucale, dell’osso nasale, triplo e quadri test, amniocentesi e villo centesi, quante donne italiane non hanno fatto diagnosi genetica prenatale, che diventa nei fatti routine, innestata nella mentalità, sentita come un obbligo?


Hollywood e la fecondazione eterologa - April 8th, 2011 - Quando il cinema racconta la verità - Osservatore Romano, 9 aprile 2011 di Carlo Bellieni, da http://carlobellieni.com/

Colpisce positivamente che la Hollywood “disincantata e liberal” si interroghi sulla fecondazione eterologa. Certo, nessuna condanna, ma tanti dubbi e perplessità. Il film The Back-up Plan, con Jennifer Lopez, racconta la storia di una donna che per rabbia verso gli uomini vi ricorre, ma per ironia della sorte e con sommo imbarazzo, subito dopo trova l’amore e l’uomo giusto. Invece in “Due Cuori e una Provetta”, con Jennifer Aniston, il “donatore” è un amico della futura mamma, che furtivamente senza che lei lo sappia ha messo il suo “seme” al posto di quello prescelto: il film mostra il rammarico di quest’uomo per ciò che ha fatto, per non poter dire al bambino che lui è suo padre, mentre il piccolo tristemente colleziona foto di sconosciuti per immaginare un genitore che non ha.

Nella popolarissima serie “dr House”, poi, il protagonista – nell’episodio intitolato “Chi è Tuo Padre?” - sconsiglia in tutti i modi la collega Lisa Cuddy dal ricorrere alla fecondazione in vitro eterologa, fino a violare il segreto professionale  per mostrarle chi è il “donatore” segreto, rivelandole che si tratta di una persona ridicola e odiosa. “Non mi importa se lo sposi o se ci vai a cena” dice Gregory House a Lisa, “ma dovresti sapere chi è! I geni contano e conta chi siamo. Cerca uno più evoluto; uno che ti piace.”

Piccoli segni indicano quindi un disagio verso una pratica che non pochi politici vorrebbero introdurre diversi Paesi. Ma perché questo disagio? Può essere dovuto all’assenza del padre o alla presenza di un padre diverso dal padre biologico; ma si può restare senza padre per cause naturali, e in caso di adozione il padre con cui si vive e da cui si è amati è diverso da quello che ha concepito, senza che questo ci turbi.

Il fatto è che nella fecondazione eterologa, del padre compare solo il seme, lasciando un vuoto, ma un vuoto pianificato, voluto, “normale”, tanto che al figlio viene sottratto anche il diritto di piangerne l’assenza. Il padre eterologo è diverso dal padre fuggiasco: il secondo è più colpevole, ma il primo ferisce di più perché, a differenza dell’altro, non ha voluto avere a che fare neanche con il concepimento; non ha mai amato, neanche in maniera sbagliata; è un padre per il quale il figlio è solo una fonte di reddito.

C’è anche il disagio legato alla consapevolezza che il seme usato per la fecondazione eterologa è ultra-manipolato, dato che oltre alle solite manovre passa attraverso un lungo inverno di congelamento; la manipolazione che assimila il concepire umano alla riproduzione animale – come accenna Jennifer Lopez nel film The Backup Plan - ovviamente lascia molti perplessi. Sono operazioni che sollevano perplessità anche tra gli studiosi, consci che l’ambiente e i trattamenti possono cambiare il modo in cui il DNA si esprime. Pochi studi esistono per mostrare se nei bambini concepiti dopo passaggi a varie temperature dello spermatozoo ci siano conseguenze: una revisione dei soli due studi disponibili fatta nel 2001 sembra rassicurare; ma recenti studi fatti su animali mostrano che  nel seme congelato si producono radicali liberi che alterano la motilità degli spermatozoi (Oxidative Medicine and Cellular Longevity, luglio 2009) e che la motilità e la qualità degli spermatozoi scongelati è bassa per un’azione anche sui loro mitocondri (Theriogenology, ottobre 2010). Massima cautela dunque: già nel 2004 la rivista Obstetrics and Gynecology, commentando i rischi fisici dei bimbi concepiti con tecniche medicalmente assistite, metteva in guardia dalla disinvoltura di chi suole “prima sparare e solo dopo farsi domande” in campo riproduttivo. Insomma, l’ingresso della medicina nella sfera delicata e segreta della fecondazione desta perplessità; sopratutto quando si esce dal rapporto di coppia con le gravidanze delle single. I film USA raccontano questo spaccato di vita, e spesso sono davvero eloquenti.

Ma le criticità non interessano solo il campo della fecondazione eterologa. La serie “dr House” aveva mostrato perplessità sul tema generale della fecondazione in vitro, mostrandone in modo drammatico alcune possibili conseguenze, nell’episodio in cui descriveva gli incubi cui un bambino andava incontro per via del riassorbimento nel suo corpo dell’embrione concepito ed impiantato nell’utero insieme a lui. E nel film “La custode di mia sorella”, con Cameron Diaz, in cui una bambina selezionata in vitro per donare il suo midollo alla sorella malata, si ribella al suo destino di “donatore su misura” e denuncia i genitori, ribellandosi al suo ruolo di bimbo nato per curarne un altro.

E’ una cinematografia che non condanna, ma rappresenta con efficacia il disagio su un tema che in genere viene invece esaltato dai media. Racconta un mondo in cui i bambini sono un optional, racconta i rischi delle scelte procreative alla moda, e soprattutto la solitudine e la paura, che sono la principale causa di tante scelte eticamente sbagliate. E’ uno spaccato di vita che fa riflettere, e di cui c’era bisogno: la verità non ha sempre bisogno di essere “spiegata”: spesso basta raccontarla.


Nel Laos, dove i cristiani muoiono di fame di Danilo Quinto, 09-04-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/

Siamo nel 2008, a Katin, nel distretto di Saravan, nel sud del Laos. Un gruppo di abitanti convertito al cristianesimo celebra il funerale di uno di loro, morto per asfissia. Le autorità locali si scatenano quando vedono che i familiari mettono una croce di legno sulla sua tomba: li accusano di “praticare i rituali dei nemici dello Stato” e confiscono un maiale ed un bufalo come punizione. Un maiale equivale a circa sei settimane di salario per un abitante della provincia di Saravan. Uccidere il bestiame di proprietà di famiglie cristiane è una tecnica molto usata per ridurre in stato di indigenza i cristiani e costringerli ad abbandonare la fede.

Nel luglio del 2009, i capi villaggio mettono al bando il cristianesimo. L’unica forma di prassi religiosa autorizzata è il culto degli spiriti. Nonostante le intimidazioni, undici famiglie resistono, senza abbandonare la fede. Davanti al loro rifiuto, la risposta del villaggio è durissima. E’ il 10 gennaio del 2010. Un funzionario per gli affari religiosi, tre poliziotti e quindici membri di un'unità di volontari, puntano le pistole alla testa di quarantotto cristiani, adulti e bambini,  ordinando loro di abiurare la fede. Ricevendo un rifiuto, li hanno fatti camminare per sei chilometri lasciando le famiglie sul ciglio di una strada senza viveri o mezzi per sopravvivere. La polizia si apposta poi davanti al villaggio per impedire ai cristiani di ritornare alle loro case. I loro beni personali vengono confiscati e le loro case distrutte. La loro colpa è quella di essere stati sorpresi durante una cerimonia religiosa. Riferiscono l’episodio sia l'osservatorio “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” che l'”International Christian Concern”.

Per alleviare la precaria situazione alimentare, le famiglie cristiane seminano il riso fuori stagione, ma i capi villaggio, lo scorso 26 dicembre, fanno distruggere i “paddies” (come vengono chiamati i campi di riso), fanno bruciare le recinzioni e fanno calpestare le piantine per evitare ogni eventuale ricrescita. Tre giorni prima, erano state espulse con la forza altre sette famiglie cristiane di Katin, che si sono aggiunte alle undici cacciate in precedenza, rendendo drammatica in questo modo l’emergenza alimentare. Fonti cristiane in Laos, citate da Christian Solidarity Worldwide (CSW), riferiscono che i capi del villaggio impediscono ai contadini di tornare nelle loro case e riprendere possesso delle terre. I funzionari hanno imposto alle famiglie della zona di non aiutare i cristiani o fornire loro cibo. Il timore è che le autorità vogliano “affamare” le persone, fino a che “non abbandoneranno il cristianesimo”.

Nata nel 1975, dopo una guerra civile durata 15 anni, la Repubblica Popolare Democratica del Laos – uno dei Paesi dove è piu’ alto l’indice della malnutrizione infantile, con metà dei bambini delle campagne sotto i cinque anni cronicamente malnutriti e un numero ancora maggiore nelle zone isolate e tra i gruppi di etnia diversa dalla laotiana-thailandese - è governata dal Partito rivoluzionario del popolo del Laos. In base a quanto denuncia il rapporto dell’Istituto di Diritto Pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre, il Governo controlla in modo capillare le attività religiose dei laotiani.

Il cristianesimo è visto come una religione straniera, propria degli Stati occidentali. La Chiesa cattolica del Laos – i cattolici sono poco piu’ di 46mila su una popolazione di circa 6,5 milioni di persone - è divisa in quattro vicariati apostolici (Luang Prabang, Paksé, Savannakhet e Vientiane) e conta appena quindici sacerdoti ed un centinaio di suore. Nel 2010, migliaia di cattolici hanno partecipato a Thakhek all’ordinazione del nuovo vescovo del vicariato apostolico di Savannakhet, monsignor Jean Marie Prida Inthirath, parroco di Khoksang e Keng Kasi ed inoltre rettore dell’unico Seminario maggiore del paese asiatico, quello di San Giovanni Maria Vianney, sempre a Thakhek. I cattolici sono concentrati nei maggiori centri urbani delle regioni del centro e del sud, dove sono generalmente liberi di professare la propria fede. Al nord, la presenza cattolica è molto limitata. Il governo impedisce da almeno 20 anni al vescovo che si occupa del nord del Laos di insediarsi a Luang Prabang, ma gli permette di viaggiare a intermittenza per visitare le comunità di fedeli presenti. Negli ultimi anni il governo sta allentando la morsa che limita il cattolicesimo al nord, anche se ancora non ha restituito diverse proprietà della Chiesa, tra cui una scuola, confiscate dopo il 1975. Recentemente, lo scorso 29 gennaio, dopo quaranta anni, si è potuta svolgere la prima ordinazione sacerdotale nel nord Laos. La cerimonia per Pierre (Pietro) Buntha Silaphet avrebbe dovuto avvenire il 12 dicembre, ma è stata spostata di quasi due mesi.L’ordinazione è avvenuta a Takhek. Il nome laotiano del sacerdote (“Buntha”), è identico a quello dell’ultimo sacerdote di etnia K’hmù, ordinato a Luang Prabang nel 1970, 41 anni fa, da mons. Alessandro Staccioli, vicario apostolico dal febbraio 1968 al 1975: fu imprigionato nel 1975 - in quell’anno il governo decise l’espulsione di tutti i missionari stranieri, senza possibilità di rientrare nel Paese - e liberato nel 1989.

Più critica rispetto alla situazione dei cattolici, è quella dei protestanti, contro i quali, nel 2009, sono avvenuti diversi casi di aggressione e soprusi. Il 3 settembre è stato arrestato Thao Oun, anziano della Chiesa Boukham, nel villaggio di Liansai. La polizia gli ha puntato la pistola alla testa ordinando di abiurare “la religione straniera”. Davanti al suo rifiuto, il capo del sottodistretto della polizia gli ha detto che quel trattamento sarebbe finito “solo dopo la morte di tutti i fedeli della Chiesa Boukham”. Il 5 settembre è stato arrestato Thao Aom, cristiano convertito da soli 10 mesi. Dopo aver rifiutato di abiurare le autorità lo hanno bandito dal suo villaggio. Il giorno dopo, la polizia ha circondato la locale chiesa Boukham, nel villaggio Lainsai ed ha impedito ai fedeli di entrare per pregare. Nella zona le autorità impediscono ai cristiani di mandare i loro figli a scuola e negano loro l’acqua, le cure mediche e la protezione della legge. Il 19 marzo, nel villaggio di Nomsomboon, le forze di sicurezza hanno distrutto la chiesa locale mentre i cristiani si trovavano a Burikan, dove la polizia aveva chiesto di incontrarli. Il 12 giugno sono stati arrestati 13 cristiani senza che venisse data loro nessuna spiegazione. L’11 luglio, nel villaggio di Katin, è stato comunicato ai 53 cristiani presenti in quella comunità che se non avessero cominciato ad adorare gli spiriti locali, seconda la tradizione laotiana, avrebbero rischiato di perdere i diritti e le proprietà.

Ancora più grave – rileva Aiuto alla Chiesa che soffre - è la sorte dei cristiani dell’etnia hmong, oggetto di ricorrenti discriminazioni e repressioni. La testimonianza più lontana di questo gruppo etnico si può far risalire a circa 2000 anni fa. Vivono in piccoli villaggi sulle montagne, sostenendosi con agricoltura (riso e frumento) e allevamento (suini, bovini). Al momento la popolazione è distribuita fra Cina (3milioni), Vietnam (800mila), Laos (450mila); inoltre vari esodi hanno caratterizzato questa etnia che possiamo ritrovare in Thailandia, Usa, Francia.

La seconda guerra di Indocina terminata negli anni 1973-75 e perdurata per 15 anni circa ha condotto i Hmong, abitanti delle zona sul confine fra Laos e Vietnam, a combattere a fianco dell'esercito franco-americano. Quando la guerra terminò, i Hmong vennero accusati da parte del governo Laotiano, conquistato dal Pathet Lao, di "collaborazionismo" e "resistenza alla rivoluzione" contro il popolo. Nonostante l'indole pacifica dei laotiani e le proteste della comunità internazionale molti combattenti e non furono internati nei campi di rieducazione "Samana" lungo il confine lao-vietnamita. L'esodo di massa fu di fatto dovuto a tali persecuzioni e fu attuato in modo segreto.

Nel villaggio di Xunya, nella provincia di Luang Namtha, più di 200 persone, soprattutto hmong, hanno dovuto rinunciare alla fede dopo che la polizia per due anni ha continuato in modo ininterrotto a fare pressioni e minacce. Nel mese di novembre, 23 hmong cristiani sono stati uccisi dal Lao people’s army (Lpa) nella provincia di Xieng Khouang. I 23 civili erano disarmati. Il 3 aprile, i soldati dell’Lpa hanno ucciso almeno 9 bambini hmong, insieme a decine di altre persone, nascosti nell’area montuosa di Phou Da Phao nella provincia di Xieng Khouang per sfuggire alla persecuzione. Il 12 e il 13 marzo, un commando composto da truppe laotiane e vietnamite ha aperto il fuoco sul gruppo hmong Young Chue Vang, uccidendo decine di persone e lasciandone ferite senza cibo né cure molte altre. Secondo quanto pubblicato da “Media Newswire”, circa 6500 civili hmong potrebbero essere rimasti uccisi tra marzo e aprile.

A causa delle persecuzioni, molti hmong cercano di fuggire verso la Thailandia. Una volta varcato il confine, molti vengono però imprigionati dal governo tailandese sotto richiesta e pressione delle autorità laotiane. A dicembre del 2009, il governo thailandese ha confermato l’intenzione di rimandare in Laos un gruppo di 4506 hmong, nonostante le proteste di vari gruppi per la difesa dei diritti umani. Da tre anni, 158 hmong, soprattutto donne e bambini, si trovano in prigione in Thailandia in condizioni igieniche e sanitarie “orribili”. Questo gruppo era sfuggito alla persecuzione in Laos, ma è stato imprigionato in Thailandia dopo le pressioni fatte dal governo laotiano. Sempre a causa delle pressioni, il governo thailandese non ha ancora liberato i prigionieri né è riuscito a spostare i rifugiati in una terza nazione.


Hawking, l'universo e la «grande scoreggia» di Fabio Spina°, 09-04-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Questa settimana due eventi hanno proposto all’opinione pubblica una riflessione cosmologica: la dichiarazione dell’astrofisica atea Margherita Hack, la quale ha affermato che spiegherà ai bambini il “Big Bang” come “una grande scoreggia dell’universo”, la prossima pubblicazione in Italia del nuovo libro di Stephen Hawking in cui sostanzialmente si afferma che il “big bang” deriva solo dalle leggi della fisica e quindi non c’è bisogno di un Creatore.

Stephen Hawking è il famoso fisico colpito da ragazzo da una malattia che logora le cellule nervose (una forma di atrofia muscolare progressiva), nonostante questa difficoltà attualmente ricopre la cattedra universitaria che fu di Newton. Viene da domandarsi, se tale malattia fosse stato possibile prevederla con un esame embrionale, quanti avrebbero deciso che la sua vita era inutile?

Hawking da tempo si dedica a problematiche cosmologiche, con libri molto venduti e speriamo anche letti nello stesso numero. Nel 1986 il Papa lo nominò membro della “Pontificia Accademia delle Scienze” (questa trae le sue origini dalla prima accademia scientifica al mondo detta “Accademia dei Lincei” fondata il 17 agosto 1603 a Roma sotto l’auspicio del Papa Aldobrandini Clemente VIII) , un forum di cui fanno parte eminenti personalità del campo scientifico di diverse fedi religiose ed atei, un consesso che ad alcuni potrà sembrare impossibile in un’epoca in cui si torna a raccogliere le firme affinché un cattolico, per quanto afferma in campo religioso, non possa ricoprire incarichi di direzioni in un ente scientifico come il CNR.

Del nuovo testo di Hawking il quotidiano “La Repubblica” ha pubblicato alcune parti dandogli il titolo provocatorio:”La filosofia è morta non ci resta che la fisica”. Nel testo è affermato, senza dimostrazione, che per secoli la risposta agli interrogati di senso sulla realtà, la sua origine ed evoluzione sono stati “di pertinenza della filosofia, ma la filosofia è morta non avendo tenuto il passo degli sviluppi più recenti della scienza ed in particolare della fisica”. La soluzione proposta è:”oggi disponiamo di una candidata al ruolo di teoria ultima del tutto, ammesso che ne esista effettivamente una, e questa candidata è chiamata teoria M”.

Ora come la scienza del quantitativo e sperimentale da sola divenga la soluzione per problematiche non misurabili e spesso non ripetibile, lascia dei dubbi. Purtroppo la cultura moderna si è “separata” in umanistica e scientifica, pensando che ognuna da sola potesse arrivare a delle verità senza tener conto dell’altra, a tal punto che grandi scienziati pensano che si possa far a meno della filosofia. Invece è quest’ultima l’unica, ad esempio, che può mediare per stabilire le relazioni tra la verità della natura e quelle della rivelazione.


Leggiamo una frase di Stephen Hawking, secondo cui il nostro diviene solo uno degli universi possibili, un multiverso: ”La loro creazione non richiede l’intervento di un essere soprannaturale o di un dio, in quanto questi molteplici universi derivano in modo naturale dalla legge fisica: sono una predizione della scienza”. Non abbiamo qui lo spazio per approfondire i temi legati al “Big Bang”, mi preme solo provocatoriamente far notare che tali argomentazioni assumono rilevanza per l’autorità da cui provengono e la sede in cui vengono fatte.

Riprendendo l’esempio di Margherita Hack pensate a quanti in ascensore con uno scienziato, sentendo un cattivo odore, con quale ilarità accoglierebbero la spiegazione che tali eventi non hanno bisogno di un creatore. Voi gli credereste?

*Fisico


La scienza come esperienza religiosa
Ai confini primi e ultimi
dell'universo



Il centro pastorale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore ha ospitato una due giorni di studio sul tema della creazione. Pubblichiamo alcuni stralci di una delle relazioni di PIERGIORGIO PICOZZA (©L'Osservatore Romano 10 aprile 2011)

Per lo scienziato, dopo un primo momento in cui domina l'emozione della scoperta arriva il momento della riflessione sul ruolo dell'uomo in questo universo in cui noi ci sentiamo soli o solitari, guidati solo dalla nostra intelligenza.
Scriveva il grande fisico Stephen Weinberg: "La terra è solo una piccolissima parte di un universo ostile e opprimente. Più l'universo sembra comprensibile, più ancora esso sembra inutile". Però anche per Weinberg noi uomini, sebbene insignificanti sulla scala del cosmo, siamo i veri i signori dell'universo. "Ma se non vi è alcun sollievo nei frutti della ricerca - prosegue Weinberg - vi è almeno qualche consolazione nella ricerca stessa".
Noi uomini siamo considerevolmente privilegiati, essendo capaci di intraprendere lo studio scientifico delle leggi che governano l'universo. Ma a quale livello questa posizione speciale è rilevante o anche determinante per la comprensione dell'universo? E ancora: Cosa è la conoscenza, cosa è la verità? Come conosciamo ciò che noi conosciamo? Come comunica l'uomo con l'universo? Il poeta, l'uomo di fede, il filosofo, il teologo, lo scienziato, cercano di entrare in contatto con l'universo con l'arte, la religione, la filosofia, la scienza. Quale genere di conoscenza potranno produrre? Cosa significa il termine verità scientifica?
La ricerca scientifica procede con due strumenti fondamentali: la misura, che permette di determinare valori numerici associati a un dato fenomeno, e la teoria che formula modelli matematici del fenomeno stesso e permette di stabilire le relazioni tra i valori associati a un dato fenomeno che la misura può confermare o negare.
Questo è il "metodo scientifico". La formulazione di una teoria in forma matematica punta alla ricerca di leggi fondamentali che governano la trattazione fisica del cosmo. Anche se la realtà si trova nella descrizione fenomenologica del mondo che ci circonda, la verità si trova nelle leggi fondamentali. Ma procedendo in questa maniera possiamo noi dire di conoscere il mondo esterno, come invece possiamo dire dei nostri pensieri, delle nostre sensazioni? Cosa ci comunica lo scienziato? La certezza, l'incertezza, procede solo per modelli sempre più raffinati, ci aiuta a scoprire la realtà? È chiaro a ogni scienziato che non vi è un rapporto diretto tra la sua mente e il mondo, che tutto viene mediato dagli strumenti e nulla lo potrà assicurare che al di là delle apparecchiature esista realmente un mondo indipendente. Pur tuttavia, il ricercatore delle grandi leggi della natura vive la sua ricerca come metodo per conoscere il mondo. Per Einstein "senza la convinzione che con le nostre costruzioni teoriche è possibile raggiungere la realtà, senza la convinzione nell'intima armonia del nostro mondo, non potrebbe esserci scienza".
Forse però dovremo rassegnarci a che la nostra ricerca della verità non abbia mai fine, ma con la certezza che la scienza continuerà inesorabilmente ad avanzare verso la verità.
È questa non chiara individuazione di un confine invalicabile alla conoscenza che spiega l'attendismo di molti scienziati di fronte al problema di Dio. Partendo da queste basi, cosa può dire la scienza nei riguardi della creazione?
Per le teorie più moderne nessuna legge di conservazione conosciuta impedirebbe all'universo osservato di essersi evoluto da una condizione di completa assenza di materia, cioè dal nulla. La somma dell'energia positiva dovuta alle masse di tutte le galassie uguaglia all'incirca l'energia gravitazionale negativa che si ha dalla mutua attrazione dei corpi. L'energia totale dell'Universo è nulla. Rimane, in verità, il problema della misteriosa energia del vuoto. Inoltre nella teoria del Big Bang la somma di tutte le grandezze delle particelle che caratterizzavano l'universo al suo sorgere dà il nulla come risultato.
Anche la questione del tempo prima dell'inizio dell'Universo viene privata di significato dalle moderne teorie. Nei primissimi istanti di vita del cosmo la forza di gravità è stata talmente forte da creare una distorsione del tempo tale da farlo comportare come una quarta dimensione spaziale. Questo è quanto richiede l'unificazione della relatività con la meccanica quantistica. La storia dell'Universo si svolgerebbe quindi in una superficie chiusa a quattro dimensioni, senza contorni. Come su una superficie di una sfera anche il tempo non avrebbe confini. Il concetto usuale di spazio e di tempo viene allora a perdere la sua applicabilità. Le mie scarse competenze filosofiche mi lasciano qualche perplessità su una simile visione dell'Universo. Mi sembra che si passi dalla proposta cartesiana di identificare l'atto della creazione con le "condizioni iniziali" dell'evoluzione di un universo che manterrebbe immutate nel corso del tempo, dall'inizio a oggi, le sue strutture fondamentali spazio temporali, il demiurgo che pone ordine nel caos, che detta le sue leggi, alla legge come causa e spiegazione dell'Universo.
Perché quella legge? Anche la visione dei multi-universi, ognuno guidato dalle sue leggi, non mi sembra una risposta sufficiente. Non mi sembra essere il nulla metafisico di cui parlano la teologia e la metafisica delle tre grandi religioni bibliche, la completa assenza di tutto, "materia" e "forma".
Come si pone lo scienziato, anche credente, di fronte alla creazione? Il fisico, in quanto fisico, non incontrerà mai nel suo cammino l'atto della creazione, ma per Einstein vi è una sorta di religiosa riverenza che rende impossibile allo scienziato immaginare di essere lui il primo ad aver meditato sui fili estremamente delicati che connettono le sue percezioni.
Quale ruolo dare all'uomo? Forse non è tanto dall'accettazione del metodo scientifico come sola base della conoscenza, in assenza di altri metodi razionali, che viene l'agnosticismo di molti scienziati, in genere non portati alla filosofia. È proprio la centralità dell'uomo che viene rifiutata. D'altra parte bisogna essere uomini di fede o grandi teologi o filosofi per tentare di comprendere come il Dio dell'universo possa aver posato i suoi occhi su di un oscuro pianeta che gira intorno a una piccola stella che si trova in una posizione marginale di una insignificante galassia. La scienza afferma che l'umanità è sola, nel senso spirituale del termine, in un universo immenso e impersonale.
Trovare un significato all'esistenza dell'uomo non è facile per la scienza. L'uomo è destinato a morire e l'arco della sua vita si svolge per un tempo infinitesimo rispetto alla vita dell'Universo. Che ruolo spetta all'uomo in questo Universo? Quale sarà stata la sua funzione quando sarà sparito per sempre, mentre anche l'intero Universo andrà inesorabilmente verso il freddo più assoluto? E anche se l'uomo riuscisse nel tempo finito della sua esistenza a comprendere l'intero Universo, conoscerne le leggi, e in parte dominarlo, che senso avrebbe tutto questo se poi è destinato a sparire?
Ma può allora la scienza diventare anche un'esperienza religiosa? Nel desiderio della mente di conoscere vi è una spinta a superare ogni limitazione verso l'Assoluto. E le questioni religiose nascono agli orizzonti della conoscenza o nelle situazioni limiti dell'esperienza umana. Nella vita di ogni giorno, questi limiti sono incontrati nelle esperienze di ansietà e di confronto con il dolore e con la morte, come anche nella gioia e nel sentimento di completa fiducia. Nella vita dello scienziato quando egli si imbatte nelle grandi connessioni di una teoria da lui formulata, definitivamente fissate in un sistema assiomatico e provata dall'osservazione, il suo occhio interiore vede improvvisamente una connessione che è sempre stata là, anche senza di noi, e che non è stata creata dall'uomo.
Vorrei concludere con una bella considerazione di Einstein che mette in luce, forse più di molte considerazioni filosofiche e teologiche, l'intima aspirazione dell'uomo di credere in qualcosa oltre la sua esistenza: "L'esperienza più bella che ci è dato di avere è il mistero della vita; il sentimento profondo che troviamo alla radice della vera arte e della vera scienza. Ignorarlo, perdere il senso dello stupore e della meraviglia significa quasi morire, cessare di vedere. Sapere che esiste qualcosa che ci è impenetrabile, conoscere le manifestazioni dell'intelligenza più profonda e della bellezza più sublime, accessibili alla nostra ragione nelle loro forme più primitive, questo forma il contenuto della religiosità".


Prosegue l'iter parlamentare della legge sulla bioetica criticata dai vescovi - Sì del Senato francese alla ricerca sull'embrione  (©L'Osservatore Romano 10 aprile 2011)

PARIGI, 9. Il Senato francese ha adottato ieri, in prima lettura, il progetto di legge sulla bioetica teso a modernizzare la legge del 2004 sulla pratica della biomedicina. In particolare, contro il parere del Governo, ha autorizzato la ricerca regolamentata sull'embrione e sulle cellule staminali embrionali. Il testo è passato grazie alla sinistra, che ha votato compatta il provvedimento, mentre la maggioranza di centro-destra si è divisa, nonostante avesse presentato due emendamenti (entrambi respinti), con i quali intendeva mantenere il divieto di ricerca, irrigidendo la normativa in materia.
I senatori, modificando il testo adottato dall'Assemblea nazionale il 15 febbraio, hanno deciso di passare dall'attuale regime di proibizione (con possibilità di deroga) della ricerca sugli embrioni e sulle cellule staminali embrionali, a un'"autorizzazione regolamentata". In estrema sintesi, la ricerca sulle cellule staminali embrionali potrà essere condotta solo se quella operata su altri tipi di cellule staminali non offrirà le stesse potenzialità in termini di cura. Il Senato ha inoltre esteso l'assistenza medica alla procreazione, aprendola a "tutte le coppie", quindi, di fatto, anche a quelle formate da donne. Resta invece l'anonimato per i donatori di gameti, mentre è stata respinta la richiesta di autorizzare la maternità surrogata. Ma la battaglia sulla legge è tutt'altro che finita: mentre il testo è stato inviato all'Assemblea nazionale per la seconda lettura, il ministro del Lavoro, dell'Impiego e della Sanità, Xavier Bertrand, ha annunciato che il Governo tornerà sui due punti più controversi - ricerca sull'embrione e allargamento dell'assistenza medica alla procreazione - durante il nuovo passaggio parlamentare.
Erano dunque fondati i timori del cardinale André Vingt-Trois, che, martedì scorso, aprendo i lavori dell'assemblea plenaria dei vescovi di Francia, aveva auspicato che i senatori non aggravassero le disposizioni votate dalla maggioranza dei deputati e non aprissero la strada a un "eugenismo di Stato", all'autorizzazione generale di utilizzare l'embrione umano come materiale di ricerca e alla strumentalizzazione del corpo delle donne. "Cedere a queste tentazioni - aveva detto il porporato - farebbe violenza al rispetto dovuto a ogni essere umano, sarebbe un'aggressione nei confronti dei principi fondamentali che garantiscono il patto sociale".
Il presidente della Conferenza episcopale, nel suo discorso, aveva esaltato i risultati prodotti dall'ampio dibattito sulla bioetica tenuto l'anno scorso nel Paese, che ha permesso di sottolineare come "la valutazione etica dei programmi di ricerca non possa limitarsi al parere degli specialisti o alle pressioni degli interessi economici". Qualsiasi ricerca "non è giustificata dalla generosità annunciata o reale dei suoi obiettivi e delle sue intenzioni. Mai il fine giustifica i mezzi", ha concluso Vingt-Trois. Non c'è ancora una reazione ufficiale da parte dei vescovi francesi alle decisioni prese in Senato, ma nei giorni scorsi, sulle pagine di "Le Monde", il vescovo ausiliare di Parigi, Jérôme Beau, direttore del Collegio dei Bernardini, e padre Brice de Malherbe, co-direttore del dipartimento di etica biomedica del Collegio nonché consultore del Pontificio consiglio per la famiglia, avevano duramente risposto a un violento attacco sul ruolo dei cattolici nel dibattito sulla bioetica, condotto da due responsabili dell'Istituto delle cellule staminali per il trattamento e lo studio delle malattie monogeniche di Evry, Marc Peschanski e Cécile Martinat. Nel loro articolo, intitolato L'Eglise a sa place dans les débats sur l'éthique médicale, monsignor Beau e padre de Malherbe affermano che i cattolici "accettano volentieri il confronto con punti di vista differenti" ma non di "essere trattati da nemici della scienza e da bugiardi". Il fatto che l'embrione sia un essere umano fin dal concepimento, scrivono, "non è un'opinione ma una realtà antropologica sostenuta dai dati della scienza". La pratica della procrezione medicalmente assistita, la ricerca sull'embrione e sulle cellule staminali embrionali "sollevano importanti questioni etiche". La Chiesa vi vede una "questione di umanità".


L’antropologo Facchini: «biologia dimostra finalismo e teleologia evolutiva», 9 aprile, 2011, da http://www.uccronline.it

E’ inevitabile che l’interesse verso la scienza, ai limiti dell’idolatria, sia spronato dal voler appagare gli interrogativi che sorgono sul senso della esistenza. Alla faccia di chi vuole illudersi aver risolto il problema una volta per tutte. Fiorenzo Facchini, sacerdote e ordinario di Antropologia presso l’Università di Bologna, docente di Paleontologia Umana nella Scuola di specializzazione in Archeologia, membro di varie Società scientifiche italiane e internazionali, tra cui l’Istituto Italiano di Antropologia, l’Accademia delle Scienze di Bologna e la New York Academy of Sciences. Si è soffermato ancora una volta sul dibattuto argomento dell’evoluzione, tra i più usati per estrapolazioni filosofiche ed esistenzialiste, interessandosi in particolare sull’innegabile direzione presente nella crescita della complessità. Lo aveva già fatto recentemente, come segnalato in Ultimissima 28/3/11 e lo ha ribadito in questi giorni sul quotidiano Avvenire.

Dice: «Nella crescita della complessità è fuori discussione che vi siano delle direzioni [...]. Tuttavia la pura casualità degli eventi non può spiegare la crescita della complessità». Infatti, alla base dei processi evolutivi, ci sono leggi e regole d’ordine, come viene sempre più messo in evidenza dagli studi della biologia dello sviluppo. Facchini avverte che «il problema è complesso e dovrebbero evitarsi certe semplificazioni in cui cadono molti darwinisti riferendo tutta l’evoluzione a un modello evolutivo che ben si adatta alla genetica di popolazioni (microevoluzione)». La casualità esiste certamente, anche se non è un Legge evolutiva. Inoltre, a volte ci sono eventi che «consideriamo casuali perché non ne conosciamo le cause o non sono prevedibili con i mezzi a disposizione (come le mutazioni geniche)». Questa casualità però può acquisire un significato: «la conformazione spaziale delle molecole che consentono la vita, le strutture ordinate o programmate, il rapporto tra struttura e funzione, presuppongono un principio finalistico o teleologico che nessuno può contestare». Monod e Jacob parlano di teleonomia per evitare possibili riferimenti a un finalismo della natura, Ayala ammette una teleologia interna, escludendo una intenzionalità esterna. Non usa mezzi termini l’antropologo: «Se vi sono leggi è da ammettersi una intenzionalità esterna riconducibile al Creatore. Il naturalismo riduzionista lo esclude, ma non con delle prove scientifiche».

D’altraparte, ricorda Facchini, è la stessa opinione di molti celebri filosofi e scienziati: Einstein, Flew, Davies, Barrow, Lennox, Collins, eccetera, i quali non esitano a riferire la realtà a una mente superiore. Così, «la natura dimostra una razionalità intrinseca e potenzialità di cambiamento in relazione anche all’ambiente. L’insieme che ne risulta finisce per acquistare un senso aprendo a una visione finalistica». E’ certo un’interpretazione filosofica, ma emerge inevitabilmente se guardiamo all’uomo: la sua direzione evolutiva è tutta peculiare ed è segnata da una crescita di cerebralizzazione che non ha confronti con le altre specie (cfr. Teilhard de Chardin, Jean Piveteau, Dobzhansky ecc…). Ad essa si congiunge il comportamento segnato dalla cultura, che denota intelligenza astrattiva e autodeterminazione e fa dell’uomo l’unico essere che ha coscienza di sé e delle cose. Conclude Facchini: «in una visione teologica che riconosce alla creazione un’autonomia nelle cause seconde, si può cogliere a posteriori un finalismo generale che si realizza secondo un progetto superiore, inclusivo della casualità. Resta la peculiarità dell’evento uomo in cui le causalità di ordine naturale vengono arricchite da Dio della dimensione spirituale con modalità non descrivibili dalle scienze naturali».


Negli Usa si combatte l’aborto selettivo. In Europa neanche se ne parla - April 10th, 2011 di Carlo Bellieni, da http://carlobellieni.com/

In Arizona il Governatore dello Stato, Jan Brewer, ha firmato una legge per la quale le donne che chiedono di abortire dovranno dichiarare che non lo fanno per eliminare i feti femmine o quelli il cui padre è di un’etnia che a loro non piace. Sembra chiedere poco; ma le Planned Parenthood USA, i centri per il diritto all’aborto, sono insorti dicendo che se una vuole abortire non deve rendere conto di nulla a nessuno; anche se vuole far fuori un feto perché è femmina come lei; o perché il padre è ebreo o afroamericano. Ma è come un motore che si ingrippa: quando la contraddizione stride, il motore (la legge ingiusta) si fonde: come si può reclamare la libertà della donna e al tempo stesso la libertà di uccidere dei feti perché donne?

Stop all’aborto sessista e razzista in Arizona, dunque: quando in Europa? Ce lo domandiamo, perché le conquiste delle donne non possono essere viste come progresso solo quando piacciono ai massmedia e ai politici che si autoproclamano progressisti. Oltretutto, molti di noi che fanno ricerca scientifica per il progresso della medicina o dell’arte sono molto più progressisti di quelli che “se la cantano e se la suonano”, che si definiscono liberal e invece bloccano vecchie leggi pro aborto in un conservatorismo che non accetta dialogo.

In India il divieto di aborto sessista già esiste; anzi è espressamente vietato fare diagnosi prenatale per vedere il sesso del nascituro, dato che a quelle latitudini si fa strage di bambine-feti. In realtà il divieto sarebbe già previsto dall’organizzazione mondiale della sanità (OMS), che vuole che la diagnosi prenatale non venga fatta per scoprire il sesso se non in caso di necessità di escludere delle malattie che solo le femmine o solo i maschi possono avere. Ma le raccomandazioni dell’OMS evidentemente valgono solo quando si tratta di togliere i diritti agli embrioni umani, perché questa di non estendere oltre il ragionevole la diagnosi prenatale, non la rispetta da noi proprio nessuno.

Perché non passa in Europa un provvedimento siffatto? Perché in Europa l’aborto è un tabù: nessuno ne deve parlare: non tanto per metterlo in discussione, ma nemmeno per descriverlo, per misurarlo numericamente, per sapere quanti feti abortiti sopravvivono, quanti nascono vivi: tabù dei tabù. Occhio non vede, cuore non duole, si dice: ma il cuore duole tanto che molti studi mostrano quanto le donne che abortiscono risentano poi psichiatricamente della loro scelta. Ed è un dato di fatto, che a qualcuno dovrà prima o poi interessare.


La questione del gender 4 - La scissione corpo-spirito - Autore: Laguri, Innocenza  Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 9 aprile 2011 - La scissione antropologica corpo-spirito

La questione della libertà conferma quanto osserva Scaraffia quando dice che è in gioco un aspetto antropologico: la definizione di essere umano (oltre a un aspetto politico, cioè la realizzazione dell’uguaglianza e la libertà di scelta totale; e a un aspetto storico sociale, cioè la giustificazione della fine del ruolo femminile).
Proprio sulla questione antropologica vale la pena di valorizzare altri contributi.
Cominciamo con un’osservazione contenuta nell’articolo di Carmine Di Martino (I quaderni della Sussidiarietà, n 1, Fondazione per la Sussidiarietà): se l’identità sessuale viene di principio separata dal possesso di un corpo sessuato, ciò che si produce è una frattura dell’umano che dà luogo da un lato a una riduzione oggettivistica (biologistica) del corpo, e dall’altro a una forma estrema di soggettivismo, cioè ad un immagine di soggetto come assoluta possibilità di dominio, di arbitrio incondizionato (e qui ci si ricollega all’idea di libertà sopra analizzata). Che cosa infatti diviene il corpo se gli organi sessuali vengono separati dalla sessualità? Diviene qualcosa di insensato, pertanto, osserva Di Martino, all’opposto di quanto si potrebbe supporre, la libertà nichilistica dai vincoli di una struttura originaria (quel sesso, ma anche quel corpo, quei piedi, quelle mani) non celebra il trionfo del corpo, ma la sua soppressione. Il corpo non ha più valore identificativo e si offre ad una continua manipolazione, diviene un congegno biologico da smontare e rimontare, tecnologicamente riproducibile, puro strumento sia della volontà del soggetto che di quella del mercato.
Il corpo viene trasformato in puro materiale di sperimentazione. Il soggettivismo onnipotente produce dunque un corpo da cui il soggetto si allontana, un corpo trattato come oggetto di scienza.
Il risultato è quello di disincarnare l’uomo.
Botturi esprime lo stesso concetto della disincarnazione parlando di negazione del qualitativo, di non rilevanza del carattere soggettivo dell’esperienza e ricorda che invece tutta una corrente contemporanea di pensiero ha recuperato la tematica del corpo vissuto (Husserl, Merleau Ponty, Marcel, Sartre, Henry). Questi filosofi colgono l’unità psicofisica entro la nuova prospettiva esperienziale del vissuto, cioè in una prospettiva in cui il dramma della corporeità non viene ridotto ma esaltato in quanto il corpo è avvertito come vissuto, come realtà partecipe della coscienza di sé del soggetto.
Ancora: Di Martino afferma che pensare il soggetto fuori dalla sua caratterizzazione corporea concreta significa non riconoscere la trama strutturale di dipendenze che il corpo porta con sé.
E, in merito a questo non riconoscimento, Botturi usa giustamente l’espressione “dramma della corporeità”. Infatti, nella realtà dell’esperienza , il corpo e’ “esposto agli altri” è segnato dalla dipendenza, dalla vulnerabilità, l’infanzia è una evidentissima prova del corpo come realtà legata alla relazione di dipendenza, ma ne è un’altra prova, nonostante le rimozioni e manipolazioni, il fatto che il corpo si ammali e, soprattutto che muoia. Botturi osserva: ”L’ultima datità oggettiva del corpo è la sua mortalità… La drammaticità della condizione corporea ha il suo apice nella catastrofe della morte”.
Questa sfida enorme è quella che ultimamente si vuole negare attraverso la manipolazione del corpo e attraverso la negazione dei dati oggettivi che il corpo porta con sé, come quelli sessuali.


Avvenire.it, 9 aprile 2011, L'OSPITE - Perché dire sì alle norme sulle Dat - Una legge per arginare la giustizia creativa - Francesco Rutelli - senatore e presidente di Alleanza per l’Italia

È giusto approvare in tempi rapidi una legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento? Sì. Il Parlamento deve migliorarne il testo, ma non rinunciare alla propria precisa responsabilità.

Altrimenti, ogni giudice italiano si troverà a dover interpretare 'creativamente' questa difficile materia. E, proprio per l’assenza di una specifica disciplina, nell’orizzonte di principi troppo generali ed astratti, determinare decisioni contrastanti.

Nei primi anni Duemila – allora presiedevo la Margherita – ho proposto le convergenze più larghe possibili, in Parlamento, per regolare gli effetti del progresso scientifico e tecnologico in diversi settori eticamente sensibili: oltre alla procreazione assistita, le Dat, le banche dati del Dna ed altre questioni biopolitiche. Non ci sono riuscito. Ricordo che proprio sulle Dat disponevamo di una buona base di partenza, grazie al parere formulato nel dicembre 2003, all’unanimità, dal Comitato nazionale di bioetica. Ma il tema ha attirato l’attenzione della classe politica – ed emozione e partecipazione nell’opinione pubblica – solo a seguito delle dolorosissime vicende Welby ed Englaro. Così, oggi, il legislatore si trova a reagire agli eventi, e non a guidare i processi, in mezzo a cambiamenti che si fanno via via più complessi: il terreno migliore per chi non vuole risolvere, ma strumentalizzare; per chi vuole costruire le proprie piccole fortune politiche su un campo di crescenti asprezze, incomprensioni, denigrazioni.

Non si tratta di materie che riguardano solo i cattolici. Un cristiano concorre a questi dibattiti con un’ispirazione coerente ed esigente. Si tratta di temi che attraversano la filosofia da venticinque secoli, e che indicano la funzione più alta della politica. Essa dovrebbe occuparsi degli ultimi; anche di chi è solo in un letto d’ospedale, con un soffio persistente di vita e magari abbandonato dal prossimo. È qui che scatta una speciale responsabilità pubblica. È qui che si misura un dovere squisitamente laico di ascoltare, e di servire. Sono alcune migliaia le persone attualmente in stato vegetativo. Poco sappiamo circa la loro soglia di comprensione, ma sappiamo che molte volte con sguardi, cenni, movimenti corporei interpellano l’umana solidarietà di quanti li circondano. Sono accuditi, lavati, nutriti da familiari, assistenti, infermieri, suore. Non è infrequente che queste persone si risveglino. Si eserciterebbe verso di loro la pretesa di accanirsi? Di imporre loro, come si legge spesso, un «sondino di Stato»? È necessario valutare bene se quella persona, che talvolta nessuno reclama più, in quel letto in fondo alla sala, debba vedersi interrotto il supporto vitale. In tempi nei quali la considerazione verso la dignità dell’esistenza umana sembra impennarsi verso il basso, non dobbiamo accettare a cuor leggero, secondo un’impostazione dogmatica dell’autodeterminazione, la pretesa di pianificare, come in un supermercato, le decisioni che toccano responsabilità e costi del fine vita.

A Montecitorio, ci sono ancora dei nodi irrisolti nel testo della legge sulle Dat; in particolare, riguardano alcuni aspetti del consenso informato, che non deve diventare l’alibi 'burocratico' per mancate assunzioni di responsabilità mediche, né può imporre al sanitario scelte contro scienza e coscienza. Deve definirsi meglio cosa sia possibile scrivere – e cosa no – nelle Dat, distinguendo in particolare tra le situazioni di stato vegetativo e le patologie degenerative progressive: i malati di Alzheimer e Parkinson, pur cadendo in stadi di inconsapevolezza, richiedono trattamenti sanitari diversificati. Le settimane che la Camera ha davanti a sé prima delle votazioni sulla legge devono indurre il relatore a rendere il testo più semplice e più concretamente applicabile, così da evitare contenziosi che porterebbero proprio nella direzione di consentirne interpretazioni "creative" (con i successivi, ineluttabili conflitti e contenziosi giurisdizionali).

Su molti punti c’è una larga condivisione: non si deve aprire la porta ad alcuna forma di eutanasia. È intoccabile la prerogativa decisionale del paziente cosciente. Non si può stabilire un principio di autodeterminazione assoluto che spinga ad obbligare il servizio sanitario alla soppressione della vita umana. Si devono affermare il ruolo e la responsabilità crescenti del medico di fronte alle rapide trasformazioni scientifiche. La buona applicazione di cure palliative è in grado di accompagnare in modo dignitoso, evitando e limitando le sofferenze, gli ultimi tratti di una vita umana che si concluda senza accanimenti.

Una maggioranza di parlamentari, che include diversi colleghi di Alleanza per l’Italia, condivide anche il divieto generale di interrompere il sostentamento al paziente incosciente. I miei personali convincimenti sono noti, e li ho espressi nelle votazioni al Senato. Tutti sappiamo che questa materia non è riconducibile a vincoli di partito; sarebbe riduttivo, perché ci coinvolge tutti, nel nostro ruolo di rappresentanti delle istanze generali e dei bisogni sociali dei cittadini, e interpella le coscienze libere e responsabili di ciascuno.

Ora tocca alla Camera dei Deputati: decida di decidere, senza altri rinvii.