mercoledì 20 aprile 2011

1)    L'INGANNO DELLA LEGGE SULLE DAT - prima parte - da Comitato Verità e Vita - http://www.riscossacristiana.it/
2)    Una preghiera contro la blasfemia di Riccardo Cascioli, 20-04-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/
3)    Il popolo dei santi di Massimo Camisasca - mercoledì 20 aprile 2011, il sussidiario.net
4)    HABEMUS PAPAM/ Il segreto di Moretti che batte le congiure di Dan Brown di Massimo Bernardini – il sussidiario.net - mercoledì 20 aprile 2011
5)    Habemus Papam: sì o no? - Di Giulia Tanel - 19/04/2011 - Cinema – da http://www.libertaepersona.org/
6)    Strabiliante. Oggi sono ungherese Di Massimo Viglione - 19/04/2011 - Attualità – da http://www.libertaepersona.org
7)    Ecoterapie contro la depressione di Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 11 aprile 2011, www.ilmattino.it
8)    Staminali, network online - L'associazione First lancia una piattaforma per mettere in rete i risultati significativi dei ricercatori italiani, da Milano Enrico Negrotti – Avvenire, 19-APR-2011
9)    La follia di fermare la pubertà con la siringa - Una puntura ferma lo sviluppo dei bimbi che hanno disturbi di identità. Ma così creiamo dei mostri di Giordano Teodoldi – Libero del 19 Aprile 2011
10)                      UN ALTRO CASO Englaro? CERTAMENTE SI' di Giacomo Rocchi - Comitato Verità e Vita http://www.comitatoveritaevita.it
11)                      Il Papa in tv, l'anima e lo stato vegetativo, di Andrea Tornielli, La Stampa, 20 aprile 2011
12)                      A COSA SERVE L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO? di Giacomo Rocchi da http://www.comitatoveritaevita.it/
13)                      Mario Palmaro - Presidente del Comitato Verità e Vita - RIANIMARE I NEONATI PREMATURI? di Giacomo Rocchi, da http://www.comitatoveritaevita.it
14)                      IL (LIBERO?) CONSENSO (INFORMATO?) E IL TESTAMENTO BIOLOGICO DELL’ANZIANO ABBANDONATO di Giacomo Rocchi, da http://www.comitatoveritaevita.it
15)                      LE DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO DEL GIOVANE PALESTRATO di Giacomo Rocchi, da http://www.comitatoveritaevita.it/

L'INGANNO DELLA LEGGE SULLE DAT - prima parte - da Comitato Verità e Vita - http://www.riscossacristiana.it/

Siamo grati agli amici del Comitato Verità e Vita, perché ci aiutano a capire meglio i rischi insiti nel testo del progetto di legge sulle c.d. DAT. Pubblichiamo qui il primo intervento, UN ALTRO CASO WELBY? CERTAMENTE SI’, di Giacomo Rocchi, al quale ne seguiranno altri, tutti improntati a grande chiarezza.

PD



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“La legge sulle DAT è una buona legge. Come la legge 40 sulla fecondazione artificiale, e come la legge 194 sull’aborto”. Sono in molti, all’interno del mondo cattolico e delle associazioni pro-life, a pensare che la legge sulle dichiarazioni anticipate sia un provvedimento necessario per impedire svariate forme di eutanasia. Fatta salva la buona fede di molti, purtroppo questa tesi è gravemente erronea. Verità e Vita ha spiegato da anni, con analisi molto dettagliate, perché questa legge va nella direzione opposta alla difesa del diritto alla vita. Per dimostrarlo, abbiamo preparato una sorta di fiction a puntate - “The DAT After” – che affronta ogni volta un caso diverso, partendo da una simulazione: che la legge in discussione sia stata effettivamente approvata e sia diventata una legge dello Stato italiano. Queste storie dimostrano che, purtroppo, la legalizzazione delle DAT è una trappola colossale. A scriverle non è stato un filosofo o un teorico del diritto, ma un magistrato, che conosce molto bene il diritto così com’è e come esso viene applicato nelle nostre aule giudiziarie. Speriamo che la lettura di questi brevi racconti possa aprire gli occhi a molte persone."

Mario Palmaro - Presidente del Comitato Verità e Vita





UN ALTRO CASO WELBY? CERTAMENTE SI’.



di Giacomo Rocchi



Il caso:

Pier Giorgio Welby riuscì a farsi uccidere da Mario Riccio che, su sua disposizione, gli staccò il respiratore artificiale che lo teneva in vita e, per non farlo soffrire mentre moriva soffocato, gli iniettò dei sedativi.

Il Giudice penale prosciolse Riccio dall’accusa di omicidio volontario affermando che egli aveva agito nell’adempimento di un dovere: come medico curante di Welby (che lo aveva nominato qualche giorno prima) egli aveva infatti l’obbligo di interrompere la “terapia”, perché Welby aveva revocato il consenso.

Cosa succederà con la nuova legge?

I medici saranno obbligati ad interrompere la respirazione artificiale ai pazienti che lo chiedono.

I medici saranno obbligati anche ad interrompere la respirazione artificiale ai bambini o agli incapaci se i genitori o i legali rappresentanti lo pretenderanno.

Non è prevista per i medici la possibilità di sollevare obiezione di coscienza. Se, comunque, il medico si rifiutasse, il paziente potrà nominare un altro medico curante.

Motivazione giuridica.

La respirazione (o ventilazione) artificiale non è menzionata dalla legge come “sostegno vitale” (come la nutrizione e l’idratazione artificiale) e, quindi, viene considerata terapia (articolo 3 comma 5).

In quanto terapia i medici non possono attivarla in mancanza del previo consenso informato scritto dell’interessato (articolo 2 comma 1).

Il consenso informato può essere sempre revocato, anche parzialmente (articolo 2 comma 5).

Non esiste nessuna norma che prevede che il rifiuto di terapie salvavita da parte dell’interessato sia inefficace.

(La legge recepisce due principi affermati nella sentenza nei confronti di Mario Riccio: che la respirazione artificiale è terapia e non sostegno vitale e che il consenso inizialmente dato può essere revocato. Si trattava di principi incerti che ora vengono sanciti per legge).


Quanto ai minori e agli incapaci: per ogni terapia occorre il previo consenso informato scritto dei genitori o del tutore (articolo 2 commi 6 e 7). Il consenso può essere rifiutato o revocato (articolo 2 comma 5).

Non esiste una norma che sancisca l’inefficacia del rifiuto o della revoca del consenso da parte del rappresentante legale nel caso l’omissione della terapia possa portare a morte il minore o l’incapace (un emendamento della sen. Bianconi che prevedeva: “Il consenso di cui ai commi precedenti non può contenere il rifiuto di trattamenti sanitari utili alla vita e alla salute del paziente. Il medico, ove ritenga che il consenso contenga indicazioni in contrasto con il comma 8-bis, le disattende indicando per iscritto i motivi nella cartella clinica” è stato bocciato al Senato, su parere contrario del relatore e del governo.

L’unica eccezione riguarda “una grave complicanza” o un “evento acuto” (articolo 2 comma 9).

Di fronte al rifiuto dei legali rappresentanti degli incapaci di prestare il consenso, il medico può (non è obbligato) ricorrere al Giudice (articolo 8 comma 2): se, comunque, è d’accordo con il legale rappresentante e stacca la respirazione non è responsabile della morte dell’incapace (perché la terapia non poteva proseguire per la revoca del consenso).


Una preghiera contro la blasfemia di Riccardo Cascioli, 20-04-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/

Asia Bibi. Ormai è un nome che dovremmo conoscere bene. Oggi tutto il mondo è chiamato a pregare per lei, in carcere perché cristiana. Dal Pakistan l’iniziativa della preghiera si è estesa a tutto il mondo, attraverso agenzie di stampa e organizzazioni non governative che si sono unite e hanno rilanciato l’adesione a questo gesto. Si tratta di un gesto semplice: un momento di preghiera in famiglia, nei posti di lavoro, una candela accesa sul davanzale della finestra, un lume virtuale sui social network. Anche noi della Bussola Quotidiana aderiamo e invitiamo tutti i nostri lettori a farlo. Per Asia Bibi e per tutte le vittime della Legge sulla Blasfemia in Pakistan.

E’ un gesto importante, e non è un caso che alla Legge sulla Blasfemia abbia dedicato un’attenzione particolare papa Benedetto XVI lo scorso 10 gennaio nel discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, affermando che essa merita una “menzione particolare tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa”, e invitando le autorità pakistane  “a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose”.

Ricordiamo allora anzitutto cos’è la Legge sulla Blasfemia. Essa è stata inserita negli anni ’80 del secolo scorso nel Codice penale pachistano che il governo britannico varò nel 1860. Si tratta  di un’aggiunta alla sezione 295 che nelle intenzioni originarie proteggeva i sentimenti religiosi delle diverse comunità. Nel 1927, quando ancora India e Pakistan formavano un unico territorio sotto il controllo britannico e c’erano già stati incidenti, fu aggiunto l’articolo 295-A, che citava espressamente i cittadini del Pakistan come soggetti per cui veniva rafforzata la tutela. Così la sanzione massima per chi violava questa legge (minimo era una multa) saliva da 2 a 10 anni di detenzione. Ma negli anni ’80 il generale golpista  Zia ul-Haq nel promuovere l’islamizzazione delle istituzioni pachistane (considerava necessario l’appoggio dei mullah per rafforzare il suo potere), aggiunse due successivi emendamenti alla sezione 295. Nel 1982 il 295-B prevedeva la prigione a vita per chiunque dissacrasse una copia del Corano o la citasse per scopi illegittimi.

Ma ai fondamentalisti non bastava ancora, così nel 1986 fu aggiunto il 295-C che prevede l’obbligatorietà della condanna a morte per chiunque usa parole irrispettose nei confronti di Maometto. Non solo, per la prima volta fu introdotta la norma per cui i reati riferiti al 295-C possono essere giudicati soltanto da un giudice islamico. Peraltro bastano due testimoni per confermare l’accusa in giudizio, senza bisogno di indagini volte ad accertare la veridicità dei fatti contestati.
Sebbene alla fine degli anni ’80 si sia restaurato un processo democratico, tutti i governi che si sono succeduti, pur di impostazione laica, non hanno mai rimesso in discussione questa legge. E chi ci ha provato, ci ha rimesso con la vita. L’ultimo caso noto è quello del ministro per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico, massacrato da un commando integralista il 2 marzo scorso.

Tra il 1984 e il 2004 sono state oltre 5mila le denunce di blasfemia e, oltre ai cristiani, hanno riguardato gli ahmadi (una comunità religiosa che nasce dall’islam ma che viene considerata eretica), gli stessi musulmani e, in misura minore, gli indù che pure sono la minoranza più grossa presente in Pakistan. Inoltre i fondamentalisti non si accontentano delle condanne, tanto che nel corso di questi anni si sono registrate alcune decine di esecuzioni extra-giudiziali, vale a dire l’assassinio di persone accusate di blasfemia ma il cui giudizio non era stato ancora emesso. E, neanche a dirlo, nessuno ha mai pagato per questi omicidi.

La Legge sulla Blasfemia è allo stesso tempo conseguenza e origine di un clima politico-religioso sempre più violento e oppressivo verso le minoranze, a conferma che la libertà religiosa è davvero la madre di tutte le libertà.

Perché dedicare una giornata di preghiera a questa causa? Essenzialmente per due motivi. Il primo è immediato, quasi ovvio: per far conoscere a tutti la situazione, per sensibilizzare e fare pressione sulle autorità pachistane, che sentano il peso di un’opinione pubblica mondiale che considera come un’offesa a tutti questa sistematica violazione della dignità umana. Tenere alta l’attenzione, tenere costantemente puntati i riflettori sul Pakistan e su questa famigerata legge, dà anche dei risultati positivi, come dimostra la scarcerazione, il 17 aprile, di Arif Masih, che era stato arrestato dodici giorni prima con l’accusa di aver strappato pagine dal Corano. Ma era solo il desiderio di regolare vecchi conti da parte del suo vicino di casa. Il suo caso era diventato subito noto e anche questo ha contribuito al felice, per ora, esito della vicenda. Vogliamo ora che venga liberata anche Asia Bibi, in carcere da due anni, dove ha subito violenze di ogni tipo, ormai un simbolo di questa battaglia per la libertà religiosa. E con la sua liberazione vogliamo che venga finalmente cancellata questa legge vergognosa, che offende tutta l’umanità.

C’è anche un secondo motivo per unirsi oggi alla preghiera. Perché infatti è stato scelto questo strumento, la preghiera, e non invece dimostrazioni di piazza, sit-in davanti alle ambasciate del Pakistan e quant’altro?

Perché sappiamo che la preghiera è il metodo più efficace, è ciò che permette ad Asia Bibi e ai cristiani del Pakistan di vivere nelle condizioni tremende in cui sono; è ciò che ha permesso al ministro Shahbaz Bhatti di dare la propria vita a difesa della verità, non per un astratto ideale ma perché reputava come suo ideale “avere un posto ai piedi di Gesù”. Sappiamo che la vera libertà, la giustizia, vengono da Dio non dai potenti di questo mondo. Rivolgendoci a Lui, chiedendoGli di sostenere nella prova i nostri fratelli pachistani e di illuminare coloro che hanno in mano la giustizia umana, per ciò stesso invitiamo anche i governanti del Pakistan a voltarsi verso Colui a cui dovranno rendere conto l’ultimo giorno.

In questa Settimana Santa, in cui siamo chiamati a misurarci con l’amore di chi, innocente, si è lasciato crocifiggere per salvarci, non abbiamo nulla da rivendicare. Desideriamo soltanto la nostra conversione e la conversione di tutti gli uomini, ben sapendo per esperienza, che questo è l’unico modo per realizzare la giustizia.


Il popolo dei santi di Massimo Camisasca - mercoledì 20 aprile 2011, il sussidiario.net

Benedetto XVI conclude il suo ultimo libro su Gesù di Nazaret indicando nelle grandi figure dei santi la visibilità della resurrezione. Attraverso le loro vite, i loro volti trasfigurati (come non pensare al corpo di Giovanni Paolo II, soprattutto durante gli ultimi anni di vita, attraversati dal paradosso di una grande fragilità unita ad una forza espressiva eccezionale!), le loro opere, le loro parole siamo catturati dentro l’esperienza di Gesù risorto.
I santi non sono solo coloro che la Chiesa riconosce come tali con atto formale. Sono intorno a noi, camminano sulle nostre strade, ci parlano. Insieme formano quel popolo che è la Chiesa, miracolosamente unito, pur nelle difficoltà delle invidie reciproche, dei malintesi, dei peccati più gravi e ripugnanti.
L’evento della resurrezione si rende accessibile a noi in «un presente che ci provoca e percuote», come disse qualche anno fa don Giussani. Esiste su questa terra un popolo di gente che cammina verso la santità, che accetta di cambiare, di lasciarsi plasmare dal dono della fede. Sono persone come noi, peccatori come noi, ma portatori di speranza. Attraverso la loro testimonianza sperimentiamo la vicinanza di Dio, comprendiamo un po’ di più che ogni istante può essere un passo verso il Bene e che ciò che è veramente definitivo non è il male che compiamo, ma, dentro i nostri limiti, l’abbraccio luminoso del Cristo risorto.
Alla luce di queste esperienze, possiamo comprendere che la liturgia non è soltanto un succedersi di momenti, lungo il corso dell’anno, che ripresentano le tappe fondamentali della vita di Gesù e che ci permettono di entrare nella sua esperienza. Essa ci rivela soprattutto la dimensione definitiva della nostra esistenza, ciò per cui siamo fatti.
Vidi ritto in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato (Ap 5,6). Questa splendida immagine dell’Apocalisse di san Giovanni, l’Agnello in piedi e trafitto allo stesso tempo, ripresenta i tratti del corpo di Cristo così come appare nelle sue manifestazioni dopo la resurrezione: sereno e con i segni della sua passione. Il senso di tutta la storia, degli avvenimenti che accadono attorno a noi e nel mondo, è racchiuso in questa immagine.
Attraverso il dono dello Spirito, il corpo di Cristo ci raggiunge oggi chiamandoci, da una parte, a partecipare della sua passione: anche noi siamo trafitti dalle divisioni che ci allontanano, dai tradimenti degli amici, dalle catastrofi naturali che colpiscono i nostri fratelli… Dall’altra il Risorto continua la sua esperienza nelle nostre vite donandoci la forza di restare “in piedi” di fronte alle prove, di affrontare le sfide quotidiane portando negli occhi la luce dell’immortalità.
Questi due tratti del corpo risorto di Cristo, luminoso e al tempo stesso piagato, non possono essere disgiunti. La vita dell’uomo su questa terra è partecipazione alla resurrezione di Cristo e alla sua croce, gioia e dolore, pena e letizia. Sono un solo mistero, come appare chiaro in ogni amore, dove passione e gloria si uniscono e quasi si confondono.
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HABEMUS PAPAM/ Il segreto di Moretti che batte le congiure di Dan Brown di Massimo Bernardini – il sussidiario.net - mercoledì 20 aprile 2011

Imprevisto. Habemus Papam di Nanni Moretti c’è arrivato fra capo e collo come non ce l’aspettavamo, tenero e amaro insieme, sapido e strambo allo stesso tempo. Sinceramente, dopo la pesantezza confusa de Il caimano (ma alla luce dell’attualità ci piacerebbe rivederlo) temevamo applicasse alla Chiesa e a chi la guida certi brutti vizi del Moretti cittadino, spesso tentato dal demone della superiorità morale.
Invece, il film ci ha del tutto spiazzati, nel suo voler raccontare la Chiesa - e la Chiesa istituzione in uno dei suoi passaggi più sensibili: l’elezione di un ipotetico nuovo successore di Pietro - al di là delle mura vaticane. Poteva scegliere la strada di un racconto sul potere, sulla ricchezza, sugli scandali, sulle segrete nefandezze alle quali una certa ossessione laicista si ostina a ridurre il cattolicesimo. Invece, ha scelto di ritrarla attraverso una semplice compagnia di uomini, il collegio cardinalizio, fatta di anziani preti acciaccati ma sostanzialmente sereni, nessuno dei quali brama il soglio pontificio come compimento della propria “carriera”, portatori di piccoli vizi tutto sommato innocenti, figli del proprio tempo e della propria latitudine di provenienza, rispettosi gli uni degli altri e consci del gravoso compito che li aspetta (casting strepitoso fra l’altro, quasi tutto composto di grandi vecchi della scena teatrale italiana).
Poi c’è lui, il prescelto, che ha il viso stanco e i grandi occhi malinconici di un grandissimo Michel Piccoli. È il candidato a sorpresa su cui convogliano i voti dopo varie votazioni di stallo, che accetta senza sapere fino in fondo cosa lo aspetta e che al momento decisivo, la prima apparizione al balcone di San Pietro, cadrà in una profonda crisi depressiva.
Moretti guarda con toccante partecipazione all’avventura umana di questo novello Celestino V figlio della nostra modernità. E pur senza credere mai che proprio nelle ambasce di quella drammatica scelta possa farsi largo quella Presenza pur amata e riconosciuta dal nuovo Papa, ne indaga i rovelli con mano felice. Quel vecchio tremante e commosso, fragile e incerto, è un uomo come noi. Ha una storia personale e delle preferenze (il grande amore per il teatro di Cechov, i cui versi sa a memoria); chiede aiuto e ha bisogno di restare solo; scappa dal Vaticano, ma solo per immergersi in una quotidianità che forse non ricordava più.
I suoi confratelli del Sacro Collegio hanno per lui mille attenzioni, e anche se non capiranno la sua scelta finale di passare la mano fanno di tutto per sostenerlo, ricorrendo persino alla psicanalisi del dottor Moretti e della sua ex consorte.
In attesa poi che il Santo Padre ritorni lucido e all’altezza del suo compito, si fanno coinvolgere in un surreale torneo di pallavolo nei cortili vaticani (Moretti’s touch), facendo emergere con libertà i loro caratteri e persino la loro allegra competitività. È una Chiesa fatta di stanzette modeste, di medicine contro l’insonnia, di guardie svizzere molto prosaiche ma dai costumi spartani.
E poi c’è il fuori, coi soliti media effervescenti e tontoloni, la tv chiacchierona e ignorante, un responsabile delle PR alle prese con la più imprevista delle emergenze, ma soprattutto il popolo della piazza che aspetta giorno e notte con ansia di sapere chi sarà il suo nuovo padre. Qui il laico Moretti è pieno di rispetto e curiosità, intuisce l’abissale distanza fra le aspettative di questa massa in attesa e la fragilità di quella piccola compagnia di uomini cui lo Spirito affida compiti così colossali.
Ma il suo viaggio-interrogativo si arresta qui, al “gran rifiuto” di un uomo travolto dall’ansia e dall’impotenza. Che ne sarà di quei vecchi addolorati e sorpresi dalla sua scelta, che ne sarà di questa Chiesa madre e insieme figlia della fragilità dei suoi figli? Davvero, se non fosse frutto dell’iniziativa misteriosa di un Altro, non potrebbe che essere scomparsa da tempo, assediata com’è dalla crisi di tanti dei suoi. Moretti sa che anche oggi, dietro quelle mura sempre meno impenetrabili, ci sono dei santi. Ma non lo dice o forse non li ha mai incontrati. Forse basterebbe un appuntamento…
© Riproduzione riservata.


Habemus Papam: sì o no? - Di Giulia Tanel - 19/04/2011 - Cinema – da http://www.libertaepersona.org/

Il nuovo film di Nanni Moretti, Habemus Papam, sta suscitando un forte dibattito, come sempre quando un artista ateo o agnostico si avventura a parlare di tematiche inerenti la Chiesa e la Fede.
Dispiace vedere che anche questa volta il mondo cattolico si sia diviso nel giudizio sul film di Moretti. Vi è chi, come Daniele Venturi (presidente nazionale dell’Associazione Papaboys) e Salvatore Izzo, si è scagliato sul film proponendo di sabotarlo al botteghino; e nel contempo vi sono altrettante personalità del mondo cattolico – quali, solo per citarne un paio, Vittorio Messori e padre Fantuzzi – che non hanno bollato il film di Moretti come “anti-cattolico” e “offensivo”, bensì si sono limitati a constatare che Habemus Papam è un film simpatico e rispettoso, dove la Fede non è la protagonista principale, in linea con la condizione di ateo vissuta dal regista Moretti. Personalmente, ritengo che questa seconda posizione corrisponda meglio alla realtà.

Habemus Papam si apre con le immagini del funerale di Giovanni Paolo II, per poi soffermarsi a descrivere il Conclave. Le scene girate durante le votazioni per l’elezioni del nuovo pontefice, che descrivono una situazione che tutti noi abbiamo solo potuto immaginare, sono volte essenzialmente a mettere in luce gli stati d’animo dei vari cardinali che vi prendono parte. Tutti, infatti, nel loro intimo si rivolgono a Dio, pregando: “Non io, per favore, fa che non sia scelto io”…
Finalmente, dopo molte votazioni, viene eletto l’anziano cardinale Melville (Michel Piccoli) risponde il quale risponde affermativamente alla domanda con cui gli viene chiesto se accetta di essere il nuovo pontefice. Al momento dell’annuncio ad una piazza San Pietro gremita di gente, però, il papa neo-eletto non riesce a reggere di fronte alla responsabilità che ha assunto su di sé e si ritira a pregare all’interno della Cappella Sistina, lasciano tutto il mondo in uno stato di febbrile attesa. La situazione è quanto mai fantomatica: c’è stata la fumata bianca, ma per giorni dal balcone del Vaticano non si affaccia nessuno. La perplessità domina, i giornalisti cercano di captare ogni minimo dettaglio, le stesse gerarchie ecclesiastiche non sanno più come muoversi…
Intanto, nell’animo di Melville si è creato il vuoto: non ricorda più nulla e non sa cosa fare; l’unica cosa di cui pare consapevole è che non si sente la persona adatta per un sostenere l’impegnativo compito di essere pastore della Chiesa di Dio.
Per aiutarlo a superare questo momento di debolezza, in Vaticano decidono di rivolgersi ad uno psicanalista (Nanni Moretti), specificando però molto bene, per bocca di un cardinale italiano, quale sia il giudizio scettico della Chiesa in materia. Inutile dire che neanche questo stratagemma porta i frutti sperati. Il cardinale Melville rimane preda dei dubbi e delle incertezze per giorni, e con lui il mondo intero.
Infine, dopo essersi forse dilungato anche una ventina di minuti di troppo, il film volge al termine. Dopo giorni di attesa, Melville si affaccia al balcone e annuncia ai fedeli di tutto il mondo, comprensibilmente stupiti, che non si sente degno di essere la guida del popolo cristiano. Detto ciò si ritira, chiedendo a tutti di pregare per lui e per la sua anima.

Insomma, Habemus Papam ha il grande pregio di mostrare il lato umano dei religiosi: i loro pregi, i loro vizi, le loro paure, i loro tentennamenti, il loro modo di divertirsi… e lo fa in modo simpatico e rispettoso, senza accusare o dissacrare nessuno e, anzi, suscitando pure qualche benevola risata. Inoltre, le idee della Chiesa su determinati temi (Darwin, la psicoanalisi, e altro) vengono definite in modo chiaro, per non lasciare spazio a fraintendimenti.
Naturalmente, poi, è innegabile che nel film non viene data una risposta soddisfacente in materia di fede: perché il papa neo-eletto non si fida (a affida) di Dio e del Suo aiuto? Qual è il ruolo dello Spirito Santo nell’elezione di un Pontefice? Però, in definitiva, non sono queste le risposte che devono essere ricercate in un film di un regista ateo: sarebbe veramente pretendere troppo.


Strabiliante. Oggi sono ungherese Di Massimo Viglione - 19/04/2011 - Attualità – da http://www.libertaepersona.org

Mi sembra che in queste ultime ore non si stia dando molto risalto a una strabiliante notizia, una di quelle che aspetti da una vita intera.

La notizia di una vittoria politica completa delle forze cristiane e della vita. Forse troppo completa, al punto da creare imbarazzo in alcuni ambienti cattolici e conservatori sempre buoni a lamentare gli errori delle forze dominanti laiche o laiciste che siano, ma subito tremebondi non appena qualcosa di concretamente positivo avviene.

 Il Parlamento ungherese ha votato a stragrande maggioranza una serie di provvedimenti che prevedono:

1) il cristianesimo come religione base del popolo ungherese;

2) la protezione della vita del feto sin dal concepimento;

3) la promozione della famiglia, rappresentata dall’unione in matrimonio fra un uomo e una donna;

4) la proibizione delle pratiche eugenetiche;

5) limitazioni ai poteri della Corte Costituzionale, specie in materia finanziaria;

6) doveri dei genitori verso i figli ma anche doveri dei figli verso i genitori anziani;

7) limitazione costituzionale all’indebitamento dello Stato non oltre il 50% del Pil e l’obbligo di una maggioranza dei due terzi per l’introduzione di nuove tasse;

8) invocazione della responsabilità di fronte a Dio dei parlamentari che approvano la Costituzione;

9) formalizzazione costituzionale dello stemma nazionale centrato sulla Santa Corona e su Santo Stefano, simboli dell’eredità storica cristiana dell’Ungheria;

10) la “nazione su base etnica”. Il lettore potrà adesso capire meglio lo strano silenzio che circola su questa notizia… Nessuno dei provvedimenti è “politicamente corretto”, anzi, sono assolutamente politicamente scorrettissimi, uno più scorretto dell’altro. Si potrebbe immaginare una sorta di classifica della scorrettezza, dove ognuno metterebbe al primo posto il provvedimento a lui più sgradito e poi via via a scendere. Le accuse che si possono portare sono evidenti: discriminazione religiosa, razzismo, oscurantismo moralista e antifemminismo, antimodernità, ecc.

E infatti si sono già scatenate le proteste delle associazioni abortiste, gay, femministe, e di Amnesty International. In realtà, diciamolo senza peli sulla lingua, per un cattolico vero questa è una strepitosa vittoria, in ognuno dei vari provvedimenti. Per tutti i secoli passati, per ogni Stato di quella che fu l’Europa cristiana, dall’alto Medioevo fino alla Rivoluzione Francese e per molti Paesi fino al XX secolo, il Cristianesimo fu la religione unica delle singole popolazioni. Ciò vuol dire che in Ungheria si è semplicemente detta la verità e ribadita una realtà di fatto, spudoratamente misconosciuta dalle menzogne laiciste dei nostri decenni e di quel coacervo di insubordinazione morale e relativismo accecante che è l’Unione Europea. Al di là delle immani tragedie del XX secolo, che uno delle componenti essenziali per l’esistenza di una nazione sia il ceppo etnico comune, è una verità tanto basilare da essere banale. Ciò che fa una nazione non è l’ideologia politica dominante (concezione utopista della nazione, sulle orme di Mazzini), bensì l’eredita comune di etnia, di lingua, di religione, di cultura, di tradizioni.

Naturalmente, occorre vigilare che da questi elementari principi non si precipiti in pericolose derive razziste, ma, come noto, l’abuso non toglie l’uso; e l’uso è che gli ungheresi costituiscono da mille e passa anni una precisa e individuabile entità etnica con una sua lingua, una sua religione, una sua cultura e le sue tradizioni. Riguardo poi la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e la difesa della famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna, ebbene, questa per un cattolico di oggi è veramente la più grande delle vittorie. Ed è strabiliante.

Come è strabiliante che nessuno festeggi, nessuno ne parli. Dovremmo fare festa per giorni, parlarne per anni, sentirci tutti ungheresi. A cosa è dovuto l’imbarazzato silenzio? Forse al fatto che noi cattolici abbiamo ancora (a stento) il diritto di protestare ma non quello di vincere? Forse al fatto che i primi a tremare (o anche ad essere arrabbiati) sono proprio molti dei nostri leader e intellettuali “cattolici”? E che dire della diminuzione del potere della magistratura in materia finanziaria e dello stesso potere esecutivo e legislativo in materia di tassazione? Non è anche tutto ciò un modo concreto di diminuire lo strapotere statalista e di aiutare le famiglie e un’economia più ordinata e meno soggetta ai poteri forti internazionali? E per finire, la condanna dell’eugenetica, l’invito alla solidarietà fra le generazioni, l’invocazione dei politici alla responsabilità agli occhi di Dio dei loro atti e delle loro leggi, il richiamo all’identità cattolica e monarchica della grande Ungheria del passato. Quale cattolico potrebbe mai condannare tutto questo? E come mai allora non se ne parla? Forse perché da oggi gli ungheresi sono politicamente “eretici”.

 E per la prima volta in vita mia, io, che, nonostante tutti i miei peccati e limiti, mi ritengo un cattolico e mi sforzo di esserlo ogni giorno meglio, sono felice di sentirmi “eretico” con tutti gli ungheresi.


Ecoterapie contro la depressione di Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 11 aprile 2011, www.ilmattino.it

Siete depressi? Fate una bella camminata nella natura, vi farà meglio della maggior parte delle pillole a disposizione. È questo l’orientamento di una buona parte della nuova psicoterapia anglosassone che ritiene lo sviluppo di buona parte dei nostri disturbi depressivi provocato dalla vita artificiale e sedentaria che facciamo. Ricerche psichiatriche e osservazioni cliniche confermano questa convinzione. La depressione aumenta nei quartieri poco verdi e senza giardini.
A Milano, al recente convegno Grandi città e salute mentale, sono state presentate le correlazioni tra la zona urbana in cui la persona vive e la sua salute psichica. Nelle zone periferiche più degradate, dove manca il verde e la sicurezza è carente, si sviluppa più depressione. Soprattutto, ma non solo, tra le donne (il 66% è in cura, contro il 34% degli uomini), e gli anziani.
La riscoperta della relazione tra degrado e carattere artificiale dell’ambiente in cui si vive, e sviluppo di forme depressive segna un cambiamento rispetto agli orientamenti terapeutici degli ultimi quarant’anni, che avevano guardato alla depressione come a una malattia di natura organica e biologica. Secondo questi nuovi orientamenti si torna a osservare anche l’aspetto sociale di questi disturbi, derivante dal modello di cultura delle società postindustriali e dagli stili di vita proposti.
I disturbi depressivi, come tutti i principali disagi psicologici, non sono d’altronde riducibili a inferiorità economiche e sociali. Anche nelle zone ad alto reddito compaiono forme di depressione e malessere psichico, quando gli stili di vita adottati non prevedano una sufficiente cura di sé e abitudini fisiche che sviluppino energie, ma al contrario le distruggano. Come accade nel frequente consumo di alcolici e droghe da parte dei giovani dei gruppi più agiati della popolazione, spesso residenti in zone urbane particolarmente servite e attrezzate anche dal punto di vista del verde. Parchi e giardini però in questi casi non vengono per niente utilizzati, per via di un ritmo sonno- veglia capovolto e dello stordimento cronico in cui si trovano le persone dove la ricchezza non è accompagnata da sufficiente attenzione al benessere fisico e a un’adeguata relazione con la forza rigenerante della natura.
Le verifiche sperimentali sembrano confermare che il movimento, praticato sistematicamente nell’ambiente naturale, può curare altrettanto bene che farmaci sintetici, ma con un effetto più duraturo per via delle modifiche profonde che queste abitudini provocano negli stili di vita delle persone. Ricerche svolte, ad esempio, nell’Università di Essex, in Inghilterra, hanno dimostrato che una “dose” di movimento quotidiano nella natura, durante una depressione leggera o media, può essere altrettanto efficace che una cura farmacologica.
L’esercizio fisico nella natura, che può essere anche una semplice camminata, purché fatta regolarmente e col pensiero rivolto allo sviluppo di un maggior benessere psicologico, cura anche per via dell’attivazione dei centri della gratificazione cerebrale, e la produzione di endorfine.
La maggiore attenzione alle ragioni ambientali della depressione, nell’insieme, spinge le persone ad assumere un atteggiamento più attivo verso l’ambiente e il proprio corpo. Si tratta di una posizione più produttiva dell’affidamento passivo a farmaci, il cui uso è indispensabile, ma non serve se non ci si prende cura di sé.
Al di là di traumi, o fattori genetici, la depressione si evita difendendo i due partner della nostra psiche: l’ambiente, e il corpo.


Staminali, network online - L'associazione First lancia una piattaforma per mettere in rete i risultati significativi dei ricercatori italiani, da Milano Enrico Negrotti – Avvenire, 19-APR-2011

La ricerca italiana sulle cellule staminali mesenchimali cresce e segna nuovi progressi, puntualmente registrati al terzo convegno dell'associazione First (Forum of italian researchers on mesenchymal and stromal stem cells), svoltosi ieri a Milano. All'insegna della trasparenza e della condivisione, First punta a creare una piattaforma online permettere in rete i risultati più significativi, ha riferito la presidente Lorenza Lazzari (Policlinico di Milano): «La comunicazione sul web ci permette di promuovere incontri periodici interattivi tra tutti i ricercatori impegnati in questo campo, favorendo anche quei giovani Italiani che,'pur portando avanti ricerche all’avanguardia, continuano ad avere nel nostro Paese ancora scarsa visibilità». E tre di loro sono stati premiati ieri per le loro ricerche.
Particolare interesse dalle relazioni sug1i ultimi progressi – per lo più preclinici - degli studi sulle cellule staminali mesenchimali. Patrizia Bossolasco (fondazione Matarelli, Università di Milano) ha riferito di uno studio, realizzato in collaborazione con l'Auxologico di Milano e il Mondino» di Pavia, che ha mostrato le potenzialità rigenerative in vitro e in vivo (sui ratti) delle staminali mesenchimali da midollo osseo per il morbo di Parkinson:
«Non si differenziano in neuroni dopaminergici, ma hanno un effetto protettivo sulla neurodegenerazione e nell'animale hanno mostrato la capacità di stimolare la neurogenesi endogena». Benedetta Bussolati (Università di Torino) ha illustrato gli esperimenti che, nell'insufficienza renale acuta, utilizzando «vescicole» che contengono materiale genetico preso dal rene danneggiato aiutano le cellule a rigenerarsi. Da Giorgio Te. renghi (Università di Mancliester) le notizie sulle ricerche con cellule mesenchimali prelevate dal tessuto adiposo, che inserite in un biopolimero che unisce i nervi danneggiati da un incidente ne favoriscono la rigenerazione. Massimiliano Gnecchi (Policlinico San Matteo di Pavia) ha evidenziato che dall'infusione di staminali mesenchimali nel cuore, si ottengono fattori che proteggono il miocardio che possono essere studiati per diventare farmaci.






La follia di fermare la pubertà con la siringa - Una puntura ferma lo sviluppo dei bimbi che hanno disturbi di identità. Ma così creiamo dei mostri di Giordano Teodoldi – Libero del 19 Aprile 2011

In una clinica di Londra, la Tavistock and Portman, specializzata in trattamenti per disturbi della personalità, deficit educativi, e i cosiddetti Gid, Gender Identity Disorders, disturbi dell'identità di genere, ora è possibile ricoverare, con il consenso della famiglia, ragazzini fin dai dodici anni e, con l'iniezione di un farmaco che inibisce gli ormoni sessuali, bloccarne la pubertà. In parole semplici: impedire a un dodicenne di diventare fisicamente maschio o femmina con tutte le caratteristiche sessuali sviluppate: La giustificazione terapeutica della siringa anti-pubertà è che chi soffre di Gid non ha ancora mentalmente deciso se vuol essere maschio o femmina e così, per evitare dolorose e dispendiose correzioni chirurgiche quando ormai il corpo si è sviluppato, è più opportuno arrestare la pubertà in attesa che il soggetto si sia chiarite le idee circa il proprio essere maschio o femmina.
E a quel punto procedere con una cura ormonale corrispondente. Finora i trattamenti medici su pazienti affetti da Gid erano autorizzati solo a partire dai 16 anni, cioè negli ultimi stadi della pubertà, è la prima volta che viene concessa un'autorizzazione a intervenire prima che i caratteri sessuali completino il loro sviluppo. Dopo quello del parto naturale, la medicina rompe un altro tabù: quello del casuale e duplice maturare dei tratti psichici e somatici. Ci eravamo abituati che tra corpo e mente. c'è dualismo, un'opposizione che, in vario grado, non è sentita solo dai transgender ma è conseguenza della ambiguità umana.
Essere donna in un corpo maschile o viceversa, anomalia sessuale e comportamentale da lungo tempo accettata e diventata a tutti gli effetti naturale, grazie alla siringa antipubertà verrà cancellata: agli adolescenti verrà concessa una "finestra di tempo" in cui decidersi: sei maschio o femmina? Dopodiché anche l'esterno corrisponderà all'interno, e avremo così il nuovo uomo integrale, dove ogni barlume di femminilità si rifletterà perfettamente in un corpo di donna e ogni sospetto di mascolinità sarà prontamente esibito da tratti virili.
Mestruazione e sviluppo dei seni per chi si sente donna e pomo d'Adamo, voce grave e peluria facciale per chi sceglie la mascolinità.
Una follia di cui colpisce l'ipocrita e tipicamente scientifica presunzione con cui al paziente verrebbe lasciata la scelta. Come se chi soffrisse di disturbi circa la percezione della propria sessualità possa essere in grado di scegliere (è proprio il suo disturbo a impedirglielo, evidentemente, e come se tale scelta possa essere libera, quando è circondata dalle influenze familiari, dalle urgenze tecniche e mediche, dal dover rispondere a una domanda che, finora, restava nella propria mente, senza esibirla al mondo. L'apparente sollecitudine con cui la medicina vuole abolire ogni tensione, ogni conflitto - un conto è uno screening prenatale su malfonnazioni o malattie ereditarie, un conto è risolvere con l'ago un dissidio psicologico - va sempre più di pari passo con questa superba glorificazione della libertà di scelta, dell'autodetenninazione, il che diventa una parodia bella e buona quando il soggetto decidente è un ragazzino di dodici anni. Controllare il testosterone o gli estrogeni degli adolescenti non farà di loro degli adulti felici, farà di loro delle perfette cavie da laboratorio, pressati a entrare fin da ragazzini nelle trafile burocratiche della libertà di scelta, del deci di chi sei veramente e cosa vuoi essere, quando la risposta a queste domande non la si matura nemmeno dopo aver visto spuntare i primi capelli grigi. L'oracolo di Delfi raccomandava: "Conosci te stesso», ed era un quesito arduo persino per un tìlosofo greco: Ora, in una clinica londinese all'avanguardia, i medici bloccano la pubertà di chi non sappia rispondere alla domanda, di chi esiti a definirsi maschio o femmina, e magari è semplicemente, la gioia di non voler essere classificato come un insetto non "disturbo di identità di genere".

6 Aprile 2011
The DAT After - Episodio II: UN ALTRO CASO ENGLARO? CERTAMENTE SI’.
Comunicato Stampa N. 105


“ La legge sulle DAT è una buona legge. Come la legge 40 sulla fecondazione artificiale, e come la legge 194 sull'aborto”. Sono in molti, all'interno del mondo cattolico e delle associazioni pro-life, a pensare che la legge sulle dichiarazioni anticipate sia un provvedimento necessario per impedire svariate forme di eutanasia. Fatta salva la buona fede di molti, purtroppo questa tesi è gravemente erronea. Verità e Vita ha spiegato da anni, con analisi molto dettagliate, perché questa legge va nella direzione opposta alla difesa del diritto alla vita. Per dimostrarlo, abbiamo preparato una sorta di fiction a puntate - “ The DAT After ” – che affronta ogni volta un caso diverso, partendo da una simulazione: che la legge in discussione sia stata effettivamente approvata e sia diventata una legge dello Stato italiano. Queste storie dimostrano che, purtroppo, la legalizzazione delle DAT è una trappola colossale. A scriverle non è stato un filosofo o un teorico del diritto, ma un magistrato, che conosce molto bene il diritto così com'è e come esso viene applicato nelle nostre aule giudiziarie. Speriamo che la lettura di questi brevi racconti possa aprire gli occhi a molte persone. "

Mario Palmaro - Presidente del Comitato Verità e Vita


UN ALTRO CASO Englaro? CERTAMENTE SI' di Giacomo Rocchi - Comitato Verità e Vita http://www.comitatoveritaevita.it

Il caso:
Beppino Englaro è stato autorizzato dalla Corte d’Appello di Milano, su indicazione della Cassazione, a sospendere la nutrizione e l’idratazione artificiale alla figlia Eluana (di cui era stato nominato tutore), provocandone la morte. Egli ha più volte affermato di avere ritenuto la figlia – che si trovava in stato vegetativo persistente – morta fin dal giorno dell’incidente stradale.
La Cassazione aveva affermato che, poiché non vi era nessuna possibilità che la disabile tornasse allo stato di coscienza, il padre/tutore poteva esprimere il rifiuto alla nutrizione e idratazione artificiale – considerati terapia e non sostegno vitale – in sua vece, sia pure rispettando la sua volontà presunta.
Cosa succederà con la nuova legge?
Il tutore può rifiutare ogni forma di terapia per il soggetto in stato vegetativo (che, in quanto mancante di coscienza, può essere interdetto).
Può quindi rifiutare:
l’inserimento e l’avvio di qualsiasi forma di nutrizione artificiale (ad esempio, la piccola operazione necessaria per l’inserimento della PEG);
qualunque altra terapia (ad esempio antibiotici in caso di influenza). Il suo rifiuto – anche se porta alla morte del disabile – è direttamente efficace, senza alcuna necessità di promuovere una causa.
Prima che il soggetto cada nella condizione di stato vegetativo, quando è ancora in coma, il genitore o il tutore può rifiutare respirazione artificiale e terapie di rianimazione.
Il tutore non può chiedere che alimentazione e idratazione artificiale già intraprese vengano interrotte. Tuttavia i medici autonomamente o su azione giudiziaria del tutore possono sospendere la nutrizione e idratazione artificiale se non sono più efficaci.
Ancora: i medici in autonomia (o costretti da un’azione giudiziaria del tutore) possono (o debbono) sospendere ogni terapia nei confronti del disabile incosciente se ritenuti “trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati”.
Motivazione giuridica.
Tra le tante forzature del “caso Englaro” vi era quella di attribuire al padre/tutore il potere di decidere di terapie e sostegno vitale per l’interdetto, anche con conseguenze mortali, come se non si trattasse di diritto “personalissimo”, che quindi può essere esercitato solo dal diretto interessato.
Il progetto di legge conferma questa forzatura e sancisce che i medici, di fronte al rifiuto del legale rappresentante dell’incapace e alla sua richiesta di interrompere le terapie, devono ottemperare, salvo ricorrere al Giudice (se lo ritengono opportuno: ma se medici e tutore saranno d’accordo, non ci sarà nessun ricorso al Giudice).
Come si è detto, il rifiuto del legale rappresentante può anche portare alla morte dell’assistito: è vero che la legge gli impone di avere come “scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita dell’incapace” (articolo 2 comma 6, ultima frase) ma, ancora una volta, chi giudicherà delle motivazioni che lo spingono, se il ricorso al Giudice non è obbligatorio?
La legge fa un’eccezione quanto al mantenimento dell’alimentazione e idratazione per via artificiale che “devono essere mantenute fino al termine della vita” (articolo 3 comma 5): è una “norma simbolo” per impedire il ripetersi di un altro caso Englaro. Ma, quanto all’attivazione dell’alimentazione e idratazione, conterà il rifiuto opposto dai genitori o dal tutore.
Insomma: si tratta di un’eccezione isolata (un “paletto”) destinato ben presto a cadere; e infatti, alla Camera dei Deputati è già stata approvata l’eccezione alla regola, così generica che, si può presumere, sarà molto ampliata nella sua attuazione.

Più in generale, nei confronti di disabili che si trovano nello stato in cui si trovava Eluana Englaro, ma anche di altre “categorie” di soggetti in stato di incoscienza (ad esempio: neonati prematuri, anziani in stato di demenza), la legge – che li definisce in stato di “fine vita”, anche se non sono affatto in punto di morte – attribuisce ai medici il potere/dovere di “astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obbiettivi di cura” (articolo 1 comma 1 lettera e). Insomma: i medici possono smettere di curarli (in tutto o in parte) sulla base di questa valutazione. Non solo: i legali rappresentanti degli incapaci – se non riusciranno a far interrompere le terapie – potranno far causa ai medici, accusandoli di accanimento terapeutico e ottenendo dai Giudici l’ordine di interruzione delle terapie.
Questo potere/dovere dei medici di interrompere terapie “sproporzionate” rispetto agli “obbiettivi di cura” vale anche se, nella Dichiarazione anticipata di trattamento, il soggetto avrà dato il consenso (o l’ordine) di usare tutti i mezzi e i medicinali utili a mantenerlo in vita!

Il Papa in tv, l'anima e lo stato vegetativo, di Andrea Tornielli, La Stampa, 20 aprile 2011

Le persone che vivono in stato vegetativo percepiscono l'amore di chi li circonda. E l'anima di coloro che si trovano in questa condizione non si stacca dal loro corpo.
Lo dirà Benedetto XVI nell'intervista trasmessa da «A Sua immagine» su Raiuno il pomeriggio del 22 aprile, Venerdì santo, rispondendo alla domanda della madre di Francesco Grillo, un giovane di Busto Arsizio affetto da sclerosi multipla e da due anni in coma.
La donna ha chiesto al Papa: «Dove si trova l'anima di mio figlio?».
Per la prima volta un Pontefice partecipa a un programma televisivo e affronta quesiti raccolti tra j fedeli. Nel giorno . in cui la Chiesa rivive la passione di Gesù, Ratzinger parlerà della sofferenza, del dramma del dolore innocente, delle difficoltà dei cristiani perseguitati.
L'intervista, programmata da tempo, è stata realizzata da Rosario Carello, il conduttore di «A Sua immagine» ed è stata registrata lo scorso venerdì in Vaticano' nella biblioteca del palazzo apostolico.
Inizialmente era stato annunciato che il Papa avrebbe risposto a tre soli quesiti sul suo nuovo libro dedicato a Gesù. Visto l'interesse suscitato dall'iniziativa e il numero considerevole richieste raccolte dalla redazione - ne sono arrivate oltre duemila - gli è stato proposto allungare i tempi e di allargare l'orizzonte.
Lui ha accettato, mostrando ancora una volta di non volersi sottrarre alle domande più spinose e all'occhio della telecamere, L'intervista tv arriva pochi mesi dopo quella realizzata dal giornalista tedesco Peter Seewald e trasformata nel best seller Luce del mondo.
La domanda sull'anima di chi vive in stato vegetativo, registrata dalla madre di Francesco Grillo accanto al letto del figlio assistito all'ospedale della Fondazione Raimondi di Gorla Minore, è stata la più toccante. Maria ha chiesto a Benedetto XVI se l'anima di Francesco abbia già abbandonato il suo corpo o sia ancora accanto a lui, malgrado la sua condizione di incoscienza.
Il Papa teologo ha spiegato che l'anima non abbandona il corpo, anche se la persona è in stato di incoscienza. Ma ha insistito sul fatto che le persone in coma, anche quelle che vivono in questo stato da molti anni, possono percepire l'amore, l'affetto, l'attenzione di chi sta loro intorno. Un affetto con il quale Francesco è continuamente a contatto. A visitarlo, ogni giorno, arriva la sorella del giovane, spesso accompagnata dalle tre figlie di 4, 6 e 8 anni. «Sono davvero attaccatissime allo zio, gli parlano, lo accarezzano, gli chiedono di svegliarsi».
Non meno commovente, sarà la prima domanda a cui Ratzinger risponderà, quella di una bambina giapponese di 7 anni, Elena, che ha il padre italiano.
La piccola durante il recente terremoto era in Giappone, ha visto morire molti bambini, è ancora spaventata. E ha scritto al Papa chiedendo perché queste cose accadano. Anche questo un tema dibattuto, al centro di recenti polemiche per le dichiarazioni del vicepresidente del Cnr Roberto De Mattei. Alle catastrofi naturali Benedetto XVI ha fatto cenno domenica durante la messa delle Palme, quando ha ricordato: i nostri limiti sono rimasti: basti pensare alle catastrofi che in questi mesi hanno afflitto e continuano ad affliggere l'umanità».
Tra le domande ci sarà quella di una mamma musulmana che vive in Costa d'Avorio, e quella di sette studenti cristiani di Baghdad, Il Papa affronterà anche il tema della «discesa agli inferi» di Gesù dopo la sua morte.



8 Aprile 2011
The DAT After - Episodio III: A COSA SERVE L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO?
Comunicato Stampa N. 106


“ La legge sulle DAT è una buona legge. Come la legge 40 sulla fecondazione artificiale, e come la legge 194 sull'aborto”. Sono in molti, all'interno del mondo cattolico e delle associazioni pro-life, a pensare che la legge sulle dichiarazioni anticipate sia un provvedimento necessario per impedire svariate forme di eutanasia. Fatta salva la buona fede di molti, purtroppo questa tesi è gravemente erronea. Verità e Vita ha spiegato da anni, con analisi molto dettagliate, perché questa legge va nella direzione opposta alla difesa del diritto alla vita. Per dimostrarlo, abbiamo preparato una sorta di fiction a puntate - “ The DAT After ” – che affronta ogni volta un caso diverso, partendo da una simulazione: che la legge in discussione sia stata effettivamente approvata e sia diventata una legge dello Stato italiano. Queste storie dimostrano che, purtroppo, la legalizzazione delle DAT è una trappola colossale. A scriverle non è stato un filosofo o un teorico del diritto, ma un magistrato, che conosce molto bene il diritto così com'è e come esso viene applicato nelle nostre aule giudiziarie. Speriamo che la lettura di questi brevi racconti possa aprire gli occhi a molte persone. "

Mario Palmaro - Presidente del Comitato Verità e Vita



A COSA SERVE L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO? di Giacomo Rocchi da http://www.comitatoveritaevita.it/

Il caso:
Poco tempo fa ha fatto scalpore un decreto del Giudice tutelare di Firenze che ha autorizzato l’amministratore di sostegno di una persona attualmente capace di intendere e di volere di rifiutare terapie e cure quando l’assistito si troverà in condizione di incapacità.
Si è detto: i Giudici si arrogano un potere che la legge non dà loro! La legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento risolverà anche questa questione!
Cosa succederà con la nuova legge?
L’amministratore di sostegno cui è attribuita la rappresentanza dell’assistito in ordine alle situazioni di carattere sanitario potrà rifiutare tutte le terapie e cure (allo stesso modo del tutore o dei genitori del figlio minore): il suo rifiuto sarà efficace, anche se porterà a morte l’assistito.
Motivazione giuridica.
Il potere dell’amministratore di sostegno è previsto (con gli stessi poteri del tutore) dall’articolo 2 comma 6 del progetto di legge.
Perché tanto scandalo per quanto deciso a Firenze? Forse per nascondere che la legge autorizza esattamente la stessa cosa?
Comitato Verità e Vita


11 Aprile 2011
The DAT After - Episodio IV: RIANIMARE I NEONATI PREMATURI?
Comunicato Stampa N. 107


“La legge sulle DAT è una buona legge. Come la legge 40 sulla fecondazione artificiale, e come la legge 194 sull'aborto”. Sono in molti, all'interno del mondo cattolico e delle associazioni pro-life, a pensare che la legge sulle dichiarazioni anticipate sia un provvedimento necessario per impedire svariate forme di eutanasia. Fatta salva la buona fede di molti, purtroppo questa tesi è gravemente erronea. Verità e Vita ha spiegato da anni, con analisi molto dettagliate, perché questa legge va nella direzione opposta alla difesa del diritto alla vita. Per dimostrarlo, abbiamo preparato una sorta di fiction a puntate - “ The DAT After ” – che affronta ogni volta un caso diverso, partendo da una simulazione: che la legge in discussione sia stata effettivamente approvata e sia diventata una legge dello Stato italiano. Queste storie dimostrano che, purtroppo, la legalizzazione delle DAT è una trappola colossale. A scriverle non è stato un filosofo o un teorico del diritto, ma un magistrato, che conosce molto bene il diritto così com'è e come esso viene applicato nelle nostre aule giudiziarie. Speriamo che la lettura di questi brevi racconti possa aprire gli occhi a molte persone. "

Mario Palmaro - Presidente del Comitato Verità e Vita - RIANIMARE I NEONATI PREMATURI? di Giacomo Rocchi, da http://www.comitatoveritaevita.it

Il caso:
Da molti anni una parte del mondo scientifico propone di non rianimare e lasciar morire quei neonati che, in conseguenza di un parto prematuro, possono sì, essere assistiti con una buona probabilità di successo, con l’aiuto delle nuove tecniche di rianimazione neonatale, ma rischiano di riportare handicap permanenti. Il tristemente noto “protocollo di Groningen” divide i bambini in categorie, a seconda della settimana in cui sono nati, e dispone che i più sfortunati non vengano rianimati.
Qualche tentativo di introdurre questo sistema è stato fatto anche in Italia, ma è stato sonoramente bocciato da due documenti del Comitato Nazionale di Bioetica e del Consiglio Superiore di Sanità che hanno ribadito che ogni bambino (sempre che abbia qualche chance di sopravvivenza) deve essere adeguatamente assistito.
Cosa succederà con la nuova legge?
I genitori dei bambini potranno rifiutare il consenso alle terapie (talvolta lunghe, sicuramente intense) che i neonatologi potranno approntare. In mancanza del loro consenso scritto i medici non potranno procedere (salvo ricorrere al giudice).
Chi deciderà davvero? I genitori stravolti dalla nascita prematura e terrorizzati dalla vista del loro figlio tanto piccolo sottoposto a terapie intense o i medici che rappresenteranno loro le probabilità di sopravvivenza e quelle di avere un figlio disabile per tutta la vita?

Motivazione giuridica
La norma di riferimento è l’articolo 2 comma 7. Il fatto che il parto prematuro avvenga all’improvviso potrà essere considerato un “evento acuto” che permetterà ai medici di intraprendere le prima terapie rianimatorie (articolo 2 comma 9): ma una volta stabilizzata la situazione, i genitori potranno chiedere di interrompere i trattamenti.
Il caso dei neonati prematuri è simbolico per dimostrare quanto conti davvero l’autodeterminazione: quei bambini non potranno certo dire la loro!
Anche la posizione dei medici è esemplare: essi non correranno nessun rischio nel caso i genitori dispongano la cessazione delle terapie ma saranno in grado di influenzare in modo decisivo la decisione. Non dimentichiamo che, tra coloro che auspicano l'eutanasia neonatale vi sono anche dei medici!
I neonatologi volenterosi (il cui impegno di questi decenni ha prodotto un avanzamento tecnico e medico eccezionale, permettendo di salvare bambini che, fino a pochi decenni orsono erano destinati a morte certa) avranno le mani legate.

Comitato Verità e Vita



13 Aprile 2011
The DAT After - Episodio V: IL (LIBERO?) CONSENSO (INFORMATO?) E IL TESTAMENTO BIOLOGICO DELL’ANZIANO ABBANDONATO
Comunicato Stampa N. 108


“La legge sulle DAT è una buona legge. Come la legge 40 sulla fecondazione artificiale, e come la legge 194 sull'aborto”. Sono in molti, all'interno del mondo cattolico e delle associazioni pro-life, a pensare che la legge sulle dichiarazioni anticipate sia un provvedimento necessario per impedire svariate forme di eutanasia. Fatta salva la buona fede di molti, purtroppo questa tesi è gravemente erronea. Verità e Vita ha spiegato da anni, con analisi molto dettagliate, perché questa legge va nella direzione opposta alla difesa del diritto alla vita. Per dimostrarlo, abbiamo preparato una sorta di fiction a puntate - “ The DAT After ” – che affronta ogni volta un caso diverso, partendo da una simulazione: che la legge in discussione sia stata effettivamente approvata e sia diventata una legge dello Stato italiano. Queste storie dimostrano che, purtroppo, la legalizzazione delle DAT è una trappola colossale. A scriverle non è stato un filosofo o un teorico del diritto, ma un magistrato, che conosce molto bene il diritto così com'è e come esso viene applicato nelle nostre aule giudiziarie. Speriamo che la lettura di questi brevi racconti possa aprire gli occhi a molte persone. "

Mario Palmaro - Presidente del Comitato Verità e Vita

IL (LIBERO?) CONSENSO (INFORMATO?) E IL TESTAMENTO BIOLOGICO DELL’ANZIANO ABBANDONATO di Giacomo Rocchi, da http://www.comitatoveritaevita.it

Il caso:
Il rapporto tra un medico e un paziente è un'esperienza umana che non si può definire in termini esatti e giuridici: comprende fiducia, informazione, paura, sostegno umano, conoscenza medica, psicologia … Quello che è stato bollato come “ medico paternalista ” è un professionista che sa accompagnarci nelle sofferenze e nelle malattie, ci conosce, sa come spiegarci e cosa spiegarci, ci aiuta a scegliere: una persona di cui ci possiamo fidare.

Il rapporto con il medico, però, presuppone un patto tacito: il medico non lascerà morire e non farà morire il paziente fino a quando è giunto il momento della morte naturale.

Cosa succederà con la nuova legge?
Il rapporto tra medici e pazienti è reso formale e rigido, fatto di diritti e obblighi.

Il paziente ha il diritto di prestare o rifiutare il consenso alle terapie, ha il diritto di revocare il consenso prestato per farle interrompere, ha il diritto di rifiutare le informazioni, ha il diritto di fare una dichiarazione anticipata di trattamento e nominare un fiduciario, ha diritto a chiedere in giudizio l'interruzione di cure che ritiene costituire accanimento terapeutico. Analogamente il fiduciario da lui nominato o i suoi parenti avranno diritti ed azione verso i medici: il fiduciario, addirittura, potrà instaurare una controversia contro il medico curante davanti ad un collegio di specialisti.

L'esercizio di questi diritti è sempre esplicitato con atti scritti: il consenso alle terapie, la revoca, la scelta di non essere informato, la dichiarazione anticipata di trattamento.

I medici, dal canto loro, hanno obblighi e divieti: l'obbligo di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati, il divieto di trattamenti straordinari per i pazienti in stato di “fine vita”, il divieto di attivare trattamenti sanitari in mancanza del previo consenso scritto del paziente, l'obbligo di interromperli in caso di revoca.

Ma queste regole (che sono già tutte scritte nel codice deontologico dei medici, ma che ora diventano regole giuridiche) non garantiscono affatto il paziente di essere davvero informato e davvero libero; e, soprattutto, il medico, ora, può farlo morire, se lui lo chiede.

Un esempio? La legge impone che “ l'espressione del consenso è preceduta da corrette informazioni rese dal medico curante al paziente in maniera comprensibile circa diagnosi, prognosi, scopo e natura del trattamento sanitario proposto, benefici e rischi prospettabili, eventuali effetti collaterali, nonché circa le possibili alternative e le conseguenze del rifiuto del trattamento ”: in sostanza, ogni volta che ci prescriverà un medicinale, il medico, prima di farci firmare il foglio di consenso informato, dovrà elencarci tutto quello che è scritto nel “ bugiardino ” che troviamo nella confezione.

Sarà davvero così? O forse il modulo che ci faranno firmare riporterà la frase standard: “ il sottoscritto dichiara di essere stato correttamente informato su diagnosi, prognosi, scopo e natura del trattamento ecc. ecc.”? Ma il consenso che avremo prestato, firmando il foglio, sarà ugualmente valido.

E cosa succede se il medico non propone al paziente “ i trattamenti sanitari più appropriati ”?

Per il medico niente: non essendovi consenso ai trattamenti sanitari che egli non ha proposto, non sarà responsabile per gli effetti della mancata terapia.

Ma soprattutto: con che spirito l'anziano abbandonato in un ospizio insisterà per una terapia salvavita la cui decisione, ora, ricade su di lui? Sarà veramente libero di dire “ sì ” o “ no ”?

Certamente ha perso il suo alleato, il medico.

E quanto alle Dichiarazioni anticipate di trattamento? Come avrà la forza di opporsi a coloro che gli diranno (o gli faranno intendere): “ Non vorrai mica gravare ancora sulla tua famiglia e sulla società, pretendendo di restare vivo quando sarai malato e incosciente? ”

Motivazione giuridica
La legge vieta l'eutanasia e richiama i divieti di omicidio, omicidio del consenziente e aiuto al suicidio (articolo 1 comma 1 lettera c) ma, riconoscendo efficace il rifiuto alle terapie salvavita, non impedisce che la morte venga procurata per omissione di terapie o sostegno vitale; ribadisce che la vita umana è “ diritto inviolabile e indisponibile ” (articolo 1 comma 1 lettera a), ma conferma che “ nessun trattamento sanitario – quindi anche quello salvavita – non può essere attivato a prescindere dal consenso informato ” (articolo 1 comma 1 lettera e).

Non c'è dubbio che – trasformando gli obblighi deontologici in regole giuridiche – il rapporto tra medico e paziente cambia: la forma scritta è prescritta dall'art. 2 comma 3 che è una norma ipocrita: “ L'alleanza terapeutica costituitasi all'interno della relazione fra medico e paziente ai sensi del comma 2 si esplicita in un documento di consenso informato, firmato dal paziente, che diventa parte integrante della cartella clinica ”: viene “ sbandierata ” l'alleanza terapeutica, ma l'unica cosa che conta è la firma in calce al documento. La forma scritta è prevista anche dall'articolo 2 comma 4 e, per le dichiarazioni anticipate di trattamento, dall'articolo 4.

Nessuna sanzione (nemmeno l'invalidità del consenso prestato da paziente) è prevista nel caso che il medico non abbia proposto i trattamenti sanitari più appropriati (articolo 1 comma 1 lettera d) o non abbia reso le “ corrette informazioni ” previste dall'articolo 2 comma 2.

Allo stesso modo consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento devono essere scritte “ in piena libertà e consapevolezza ” (articolo 2 comma 1 per il consenso informato, articolo 4 comma 2 per le DAT) e, naturalmente, “in stato di piena capacità di intendere e di volere ” (articolo 4 comma 1), ma nessuna sanzione (tanto meno l'invalidità delle DAT o del consenso prestato) è prevista se il paziente non si trova davvero in piena libertà psicologica (magari è spinto dai suoi familiari a firmare le DAT), oppure è affetto da depressione, oppure, ancora, si è ingannato (o è stato ingannato) sull'effettivo contenuto del foglio che va a firmare.
Comitato Verità e Vita


15 Aprile 2011
LE DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO DEL GIOVANE PALESTRATO
Comunicato Stampa N. 109


“La legge sulle DAT è una buona legge. Come la legge 40 sulla fecondazione artificiale, e come la legge 194 sull'aborto”. Sono in molti, all'interno del mondo cattolico e delle associazioni pro-life, a pensare che la legge sulle dichiarazioni anticipate sia un provvedimento necessario per impedire svariate forme di eutanasia. Fatta salva la buona fede di molti, purtroppo questa tesi è gravemente erronea. Verità e Vita ha spiegato da anni, con analisi molto dettagliate, perché questa legge va nella direzione opposta alla difesa del diritto alla vita. Per dimostrarlo, abbiamo preparato una sorta di fiction a puntate - “ The DAT After ” – che affronta ogni volta un caso diverso, partendo da una simulazione: che la legge in discussione sia stata effettivamente approvata e sia diventata una legge dello Stato italiano. Queste storie dimostrano che, purtroppo, la legalizzazione delle DAT è una trappola colossale. A scriverle non è stato un filosofo o un teorico del diritto, ma un magistrato, che conosce molto bene il diritto così com'è e come esso viene applicato nelle nostre aule giudiziarie. Speriamo che la lettura di questi brevi racconti possa aprire gli occhi a molte persone. "
Mario Palmaro - Presidente del Comitato Verità e Vita


LE DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO DEL GIOVANE PALESTRATO di Giacomo Rocchi, da http://www.comitatoveritaevita.it/

Il caso:
Attualmente i nostri figli diciottenni non possono disporre in nessun modo sulle terapie che, se e quando, nella vita che li attende, saranno colpiti da malattie o da traumi, potranno essere loro erogate.

Non pare davvero che, fino ad oggi, questi ragazzi si siano sentiti lesi in qualche diritto …

Cosa succederà con la nuova legge?
Per firmare le dichiarazioni anticipate di trattamento bastano 18 anni. A quell'età un soggetto potrà, con una semplice firma in calce ad un modulo dattiloscritto, così disporre: “Io sottoscritto, nel pieno delle mie facoltà mentali e in totale libertà di scelta, dispongo quanto segue: in caso di a) malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante, b) malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione, chiedo di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico o di sostegno” (si tratta del modulo proposto da Umberto Veronesi; attualmente la rinuncia al trattamento di sostegno è parzialmente inefficace): potrà, quindi, ad esempio, disporre che, nel caso in cui si trovi in coma, vengano staccate le attrezzature di rianimazione.

Ma se le DAT sono un'estensione del consenso informato alle terapie, quel ragazzo che tipo di informazione avrà?

Come si fa ad essere davvero informati di una malattia (nemmeno nominata!) se siamo in piena salute e abbiamo la vita davanti a noi?

Ci penserà il medico di famiglia ad informare compiutamente il ragazzo?

Motivazione giuridica
L'articolo 4 comma 1 del progetto di legge prevede che “Le DAT non sono obbligatorie, sono redatte in forma scritta con atto avente data certa e firma del soggetto interessato maggiorenne, in piena capacità di intendere e di volere dopo una compiuta e puntuale informazione medico-clinica , e sono raccolte esclusivamente dal medico di medicina generale che contestualmente le sottoscrive”.

Come fa il medico di base a dare ad un diciottenne in piena salute una compiuta e puntuale informazione medico-clinica che riguardi il suo futuro?

Dovrebbe rappresentare al ragazzo tutte le malattie da cui potrebbe essere affetto nei prossimi 80 anni, di qualunque tipo (e se il ragazzo da grande viaggerà? Sarà meglio anche parlare delle malattie tropicali …), nonché di tutti gli incidenti ed accidenti che gli potrebbero capitare nella vita; dovrà poi descrivere i sintomi di ciascuna malattia o trauma, le possibili evoluzioni, la percentuale di guarigione, gli effetti della malattia sul corpo e sulla mente, lo stato della ricerca scientifica sulle malattie (in 80 anni qualche progresso ci sarà!) ecc. ecc.

La “compiuta informazione medico clinica” nelle DAT è palesemente una finzione.

Giacomo Rocchi

Comitato Verità e Vita