venerdì 29 aprile 2011

Nella rassegna stampa di oggi:


 


 

WOJTYLA/ Scola: vi racconto il Giovanni Paolo II che ho conosciuto - INT. Angelo Scola - venerdì 29 aprile 2011 – il sussidiario.net


 

Domenica Benedetto XVI proclamerà beato papa Giovanni Paolo II, nel giorno che egli stesso volle intitolare alla Divina Misericordia e che si annuncia come una grande festa della fede.

«Per me Wojtyla è stato il papa della libertà ed è il santo della libertà» dice di Giovanni Paolo II il Patriarca di Venezia, Angelo Scola. «Una libertà però che ha continuamente bisogno di essere liberata». E solo la fede in Cristo può farlo. Una fede, spiega Scola in questa intervista a ilsussidiario.net, «divenuta lungo tutto l'arco della sua esistenza il fattore primario di conoscenza»: «di sé, degli altri e di Dio».


 

Eminenza, che ricordo personale ha di Giovanni Paolo II?


 

La prima volta che salii sull'altare con lui, nel 1979, rimasi colpito dal suo modo di celebrare. Giovanni Paolo II era un papa "mistico", che viveva un rapporto di straordinaria immediatezza con Dio. Non c'è da sorprendersi che la gente ne abbia invocato fin dal giorno della sua morte la santità. Bastava vederlo pregare. Quando si andava a pranzo da lui, si passava per la cappella a dire l'Angelus. Tutti noi pensavamo che fosse una questione di 30 secondi. A volte, invece, durava così a lungo che non si riusciva più a stare in ginocchio sul pavimento. Il papa si immergeva davvero nella preghiera, per lui non c'erano più né tempo né spazio. Lo si vedeva anche dal movimento delle labbra. Nella sua preghiera io ho percepito - o meglio, ho visto - un dialogo con Dio profondo, ininterrotto. Come un respiro, il Santo Padre emetteva dei suoni come il gorgogliare di un torrente che non si ferma mai. Una cosa impressionante.


 

«Cercano di capirmi dal di fuori, ma io posso solo essere capito dal di dentro», disse Karol Wojtyla. Che cosa unifica, in una delle personalità più ricche del novecento, l'uomo, il filosofo, il poeta, il sacerdote, il papa?

Certamente la fede. La fede intesa, in senso compiuto, come l'appoggiarsi totale a Cristo Gesù che spalanca a una concezione compiuta di tutto l'umano. La personalità, le diverse esperienze di vita di Giovanni Paolo II, la sua versatilità - fu appunto poeta, filosofo e teologo - si alimentarono fin dalla più tenera infanzia attraverso la liturgia, la preghiera, l'appassionato senso dei rapporti, l'apertura sempre curiosa della realtà, il dono totale di sé. Questa fede, respirata dai genitori, è divenuta lungo tutto l'arco della sua esistenza il fattore primario di conoscenza di sé, degli altri e di Dio. In lui tutto partiva veramente dal di dentro e, dopo aver attraversato tendenzialmente tutto il reale, ritornava potenziato al suo cuore.


 

Lei come si è accostato alla personalità di Karol Wojtyla e come si è approfondito, nel tempo, il suo «incontro» con il magistero di Giovanni Paolo II?


 

Io ho avuto modo di incontrare di sfuggita Karol Wojtyla nell'ambito della redazione internazionale di Communio, ma il mio rapporto si è andato approfondendo dopo l'elezione al soglio pontificio. Come le dicevo, il primo incontro con lui papa fu una concelebrazione con mons. Giussani e mons. Camisasca nel febbraio del 1979 nella sua cappella privata, seguita da una colazione. Le forme della collaborazione sono state in seguito legate soprattutto al mio insegnamento all'Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi sul Matrimonio e Famiglia, in qualità di consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e in quanto rettore della Pontificia Università Lateranense, nota come l'Università del papa. Ho avuto modo così di approfondire il Magistero nelle celebri catechesi sull'uomo-donna e sul corpo umano, nella Mulieris Dignitatem e più in generale nei problemi del matrimonio e della famiglia. Questo mi ha portato a studiare le opere filosofiche e antropologiche di Wojtyla (soprattutto Persona e atto) e a paragonarmi con quel capolavoro che è Amore e responsabilità così come, sul piano pastorale, con il celebre volume Alle fonti del rinnovamento. Il mio lavoro sul pensiero di Wojtyla è poi continuato con le encicliche trinitarie, con gli insegnamenti di carattere morale e sociale. Ho fatto confluire il mio debito, che è anzitutto umano prima ancora che dottrinale, nel volumetto L'esperienza elementare, pubblicato qualche anno fa.


 

Uno dei cliché più diffusi su Giovanni Paolo II è quello di «grande comunicatore» (esattamente come Benedetto XVI sarebbe il teologo, custode dell'ortodossia; quasi che Wojtyla non lo fosse). Non pensa che nella parziale verità di quella sbrigativa semplificazione ci sia a volte un'operazione ideologica?

Nell'ideologia, volente o nolente, ogni uomo cade. Per questo bisogna sempre liberarsene ricorrendo all'autocritica, così come ci si deve liberare dagli inevitabili pregiudizi. La semplificazione accennata è, appunto in quanto semplificazione, ideologica. Bisogna liberarsene. Una cosa è la differenza di personalità e di carismi che corre tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, altra cosa è la profonda unità e continuità nell'esercizio del ministero petrino di questi due papi. Uno sguardo libero e purificato dall'ideologia non può non riconoscere questa unità e salutare come un grande dono per la Chiesa l'originalità di ciascuno di questi due pontefici.


 

Nel metodo e nell'insegnamento filosofico e pastorale di Wojtyla, e poi nel suo magistero, l'esperienza occupa un posto fondamentale. Può spiegare in che cosa consiste questa centralità?


 

Consiste nel fatto che ogni uomo a qualunque tempo e luogo, cultura o religione appartenga, partecipa di un'«esperienza comune» a tutti. Wojtyla ha riflettuto profondamente su questa esperienza comune. In proposito vi è un passaggio decisivo in Persona e atto, a cui tutta la sua azione si è sempre ispirata. In esso egli afferma con forza che aldilà delle grandi diversità che caratterizzano gli uomini e anche aldilà delle visioni filosofiche e culturali spesso opposte che connotano il pensiero, esiste un'esperienza comune a tutti gli uomini sulla quale si può fondare sia una pratica di vita buona, che un'adeguata riflessione filosofica e religiosa. Del resto la teologia stessa altro non è se non una riflessione sistematica e critica sull'esperienza di fede della comunità cristiana. Ovviamente la storia del pensiero dimostra che la categoria di esperienza è assai delicata e va trattata con particolare cautela.


 

«Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è il centro del cosmo e della storia». Che cosa ha rappresentato per la Chiesa e per l'uomo contemporaneo l'annuncio col quale nel 1979 si apriva la prima enciclica di Giovanni Paolo II?


 


 

Posso dire che cosa ha rappresentato per tutto il mondo a partire dalla situazione italiana di allora: uscivamo dall'angoscioso 1978, anno legato alla tragedia di Moro e alla morte di Paolo VI. Con l'affermazione decisa «Gesù Cristo è il centro del cosmo e della storia», Giovanni Paolo II dava contenuto allo straordinario grido con cui spalancò l'umanità intera alla speranza nel giorno del suo inizio di pontificato: «Non abbiate paura».


 

Giovanni Paolo II ha scommesso molto sul protagonismo del fedele laico, il battezzato, per rendere contemporaneo Cristo all'uomo d'oggi. Addirittura nel 1998 ha parlato di coessenzialità tra movimenti e istituzione nella missione della Chiesa. Che cosa ha significato questa direttiva per la vita della Chiesa?


 

Certamente il papa, che era stato studente, operaio, attore, appassionato amico di ebrei, energico e intelligente contestatore sia dell'utopismo nazista che di quello marxista, nonché straordinario educatore e sacerdote, viveva in sé una pienezza di umanità. Incontrandolo si percepiva immediatamente che egli era veramente anzitutto un uomo e questo esaltava ancora di più la dimensione sacerdotale della sua persona. Un simile papa era quindi portato a percepire la decisività della vocazione e della missione del fedele laico. Si deve però sottolineare che nella Christifideles laici, il papa non parla semplicemente di «laico», ma parla di «fedele laico». Si tratta del cristiano che è chiamato, in ogni ambito dell'umana esistenza, a far trasparire sul suo volto la bellezza sempre rinnovatrice dell'incontro con Cristo.


 

E quanto ai movimenti?


 


 

L'intervista continua su angeloscola.it

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Te la do io la contraccezione di Francesco Agnoli, 29-04-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it


 

In una scuola francese, di fronte all'emergenza ragazze minorenni-incinte, qualcuno ha avuto la pensata: perché non distribuire anticoncezionali nell'infermeria della scuola? Così eviteremo che le ragazze rimangano incinte e, secondariamente, che siano "costrette" all'aborto.

Cos c'è che non funziona in questo ragionamento, apparentemente così banale?

Tutto, purtroppo. Cerchiamo di capire perché.


 

Anzitutto i dati scientifici dimostrano ormai molto bene che la disponibilità di anticoncezionali non favorisce la diminuzione dei concepimenti e degli aborti. Al contrario. Sappiamo che ormai la contraccezione è sempre più diffusa in molti paesi "moderni", dalla Francia, all'Italia, a Cuba, per citare un paese non europeo. Eppure ciò non toglie che specie in Francia e a Cuba, il numero degli aborti di minorenni sia sempre in costante crescita, oppure, in certi periodi, costante.


 

Questo per un principio banale: mettere a disposizione dei giovani metodi per non avere figli, in una cultura pansessualista come la nostra, non fa altro che incoraggiarli ad avere un maggioro numero di rapporti: "tanto, non c'è il pericolo di rimanere incinte". Si crea così un circolo vizioso: l'idea che si possa fare "sesso sicuro" determina una crescita del sesso tra minori, e, inevitabilmente, per la fallacia degli anticoncezionali, per incuria, e per mille altri motivi, questo facilita gravidanze indesiderate e premature.


 

Ma la questione di fondo è più profonda, ed è educativa. Ogni educatore sa che per ottenere x deve chiedere x+5. Cioè che per raggiungere ogni traguardo bisogna mirare in alto; bisogna offrire ai giovani modelli positivi; bisogna indicare non un presunto "male minore", ma il bene. Non diciamo ai nostri bambini piccoli: "Mi raccomando, se butti per terra le carte, per piacere, buttane poche"; e neppure: "Se proprio vuoi picchiare tuo fratellino, non in faccia, ma sul sederino, per favore".

Perché se lo facessimo, sapremmo molto bene che il figlio butterà per terra le carte, prima piccole, poi grandi; che continuerà a picchiare il fratellino, prima piano, poi magari più forte…


 

Insomma: educare significa far capire chiaramente che esiste una distinzione tra bene e male, tra giusto e sbagliato. Che occorre sempre tendere al bene, perché è esso che ci realizza, anche se costa fatica e richiede impegno.


 

Nell'ambito che stiamo analizzando significa far capire ai giovani che il rapporto carnale tra due persone non è un gioco, un passatempo qualsiasi, bensì qualcosa che esige amore vero, rispetto, maturità, senso di responsabilità… Citando Venditti: "Non c'è sesso senza amore, è dura legge nel mio cuore".


 

Cosa succede, allora, se in una scuola - dove i ragazzi si aspettano di ricevere segnali chiari; dove osservano il comportamento e ascoltano l'insegnamento di persone che ritengono dei modelli- si dice loro: "l'importante è l'anticoncezionale"? Che la scuola non avrà fatto che assecondare l'istinto più brutale, il pansessualismo imperante, la infinita serie di bisogni sessuali indotti propri di una società che propina sesso senza amore in tv, sui giornali, per radio…ad ogni ora del giorno.

Il giovane allora penserà: "L'importante non è l'amore, la responsabilità, ma l'anticoncezionale, l'importante è che non ci siano conseguenze (immediate)…". Così non solo finirà per avere rapporti carnali prima del tempo e con le persone sbagliate, ma addirittura per perdere per strada persino il concetto di amore.


 

Perché chi viene educato ad avere rapporti sin da giovane, purché "protetti" , diventerà quasi inevitabilmente un avido consumatore di sensazioni, un edonista, incapace un giorno, quando incontrerà la persona della sua vita, di riconoscere, la grandezza dell'unione sponsale; incapace di fedeltà, quando verranno i momenti difficili; incapace di auto-dominio, e dunque, di costruire la sua vita affettiva secondo l'ordine naturale e la legge di Dio.


 

L'unico vero controllo delle nascite, scriveva G. K. Chesterton, è l'autocontrollo. Nella società degli anticoncezionali, magari persino nelle scuole, invece, non aumentano solo le gravidanze premature; non aumentano solo, spesso, gli aborti, come "rimedio" all'errore; non aumenta solo l'incapacità di guardare ai figli come ad un dono e non come ad un impiccio; non aumentano solo, come accade oggi, la sterilità femminile, dovuta anche alla precocità dei rapporti, e l'impotenza, maschile, ovvia conseguenza di un eccesso di sesso, ma crescono anche i tradimenti, le separazioni, i divorzi: l'infelicità, insomma.


 

Negli ultimi trent'anni, in parallelo alla crescita di modelli affettivi deresponsabilizzati, separazioni e divorzi nel nostro paese sono quasi quadruplicati. Uno dei motivi è senz'altro la distruzione di quel periodo fondamentale di conoscenza tra un maschio e una femmina che è il fidanzamento: periodo in cui due persone si conoscono, non dal punto di vista fisico, sessuale, carnale, ma spirituale. Perché solo quando si saranno veramente conosciuti, apprezzati, compresi, ad un livello profondo, la loro unione carnale sarà vera, sentita, viva, e non un uso, momentaneo ed effimero, del corpo altrui, per piacere proprio.


 

Quando invece l'unione carnale, cosiddetta "sicura", diventa solo un gioco, si finisce per prendere abbagli colossali. Si arriva a credere che quella persona che soddisfa, in un dato momento, il nostro desiderio fisico, sia poi capace anche di essere anche il compagno o la compagna di una vita. E ci si sposa avendo conosciuto corpi, non persone, con il rischio di accorgersene quando è troppo tardi…


 

Radio Vaticana - notizia del 28/04/2011 - Ha infiammato il mondo con il fuoco dello Spirito Santo: la gioia di Cl e Nuovi Orizzonti per la Beatificazione di Papa Wojtyla


 

"Costruite la civiltà della verità e dell'amore": questo il mandato consegnato da Giovanni Paolo II a "Comunione e Liberazione", durante il Meeting di Rimini del 1982. Un'esortazione che, a due giorni dalla Beatificazione di Karol Wojtyla, risuona ancor più forte per il movimento fondato da don Luigi Giussani. In Piazza San Pietro, domenica prossima, saranno presenti 40 mila aderenti a "Comunione e Liberazione". Alessandro Gisotti ha chiesto al successore di don Giussani, don Julián Carrón, di raccontare con quali sentimenti Cl si prepari a questo grande evento del primo maggio:


 

R. - E' una grande gioia; abbiamo un'immensa gratitudine a Dio per averci dato un così grande testimone di Cristo, che ci ha fatto toccare con mano e vedere con i nostri occhi cosa vuol dire vivere la fede nelle attuali circostanze, in cui ci troviamo a vivere. Noi stiamo cercando di prepararci veramente con tutta la consapevolezza di cui siamo capaci. Abbiamo fatto una raccolta di pensieri - da distribuire fra di noi - con i passaggi fondamentali del Magistero di Giovanni Paolo II. C'è poi soprattutto una domanda che ci rivolgiamo: come imparare dalla sua testimonianza? Perché anche noi possiamo continuare a servire la Chiesa nel mondo con questa sua testimonianza!


 

D. - Per quasi trent'anni abbiamo guardato a Karol Wojtyla come Papa, come Pontefice: adesso lo invochiamo come Beato. Come guarda lei a questa nuova dimensione di Karol Wojtyla?


 

R. - Ci sarà ancora più compagno, perché adesso ci rivolgeremo a lui senza i limiti di spazio e di tempo e potremo sperimentare di più la sua forza e la sua compagnia, perché noi - in quella comunione dei Santi che viviamo - possiamo sentire e sperimentare la loro compagnia, ancora più potentemente rispetto a quando erano fra noi. Per questo noi siamo veramente gioiosi e contenti di poter sperimentare la sua compagnia, continuando ad imitarlo così che la Chiesa, a cui ha dato tutta la sua vita, possa continuare a generare i suoi frutti. (mg)


 

Anche i 150 mila "Cavalieri della Luce" della Comunità "Nuovi Orizzonti" attendono con trepidazione la Beatificazione di Giovanni Paolo II. La fondatrice di "Nuovi Orizzonti", Chiara Amirante, si sofferma – al microfono di Alessandro Gisotti – sull'importanza della figura di Karol Wojtyla per la sua comunità:


 

R. - Con tutta la Comunità "Nuovi Orizzonti" viviamo questo momento con grandissima gioia, profonda commozione e soprattutto immensa gratitudine al Signore per averci donato un padre pastore così straordinario come Giovanni Paolo II. E' stato per tutti noi una figura luminosissima a cui guardare non solo quando ce l'abbiamo avuto qui con noi, ma ancora oggi. Un profeta, un uomo unico che ha segnato la storia come pochi hanno fatto. Secondo me è un gigante di santità che ha saputo risvegliare la nostalgia di Dio nell'anima di molti e proclamare con forza quelle verità anche scomode che oggi il mondo non vuole tanto ascoltare ma di cui però il cuore di ogni uomo ha un immenso bisogno.


 

D. - Qual è il frutto che ci si può aspettare anche per una comunità come quella di "Nuovi Orizzonti" da questa Beatificazione?


 

R. - Credo che da questa Beatificazione non solo per la nostra comunità, ma anche per tanti che con grande affetto seguiranno questo momento storico, possiamo aspettarci come frutto che questo fuoco che ha infiammato così fortemente il cuore di Giovani Paolo II, il fuoco dello Spirito Santo, possa sempre di più infiammare tanti altri cuori. Lui davvero ha vissuto la consegna che ci ha dato. Lui è stato quello che doveva essere e ha messo fuoco in tutto il mondo. Ci possiamo aspettare che tanti altri guardando a questa stella luminosa, guardando a lui, potranno imparare a tenere vivo il fuoco dello Spirito e a portarlo in tutto il mondo, perché è l'amore di Cristo che può salvare il mondo. Credo che ci saranno grandissimi frutti dal cielo e anche tante grazie.(bf)


 


 

Comunicato Stampa - Almeno 40.000 aderenti a Comunione e Liberazione alla beatificazione di Giovanni Paolo II - «Se qualcuno ha un enorme debito di riconoscenza nei confronti di Giovanni Paolo II, questi siamo proprio noi» (don Julián Carrón)


 

Saranno almeno 40.000 gli aderenti a Comunione e Liberazione presenti a Roma, domenica 1° maggio, per la beatificazione di Giovanni Paolo II.

Per l'occasione i tradizionali Esercizi spirituali della Fraternità di CL, che erano stati programmati a Rimini dal 29 aprile al 1° maggio, termineranno anticipatamente la sera del 30 aprile, così che i 25.000 partecipanti e i liceali, gli universitari e gli adulti non presenti a Rimini − possano recarsi nella notte in pellegrinaggio a Roma, «per unirci al Papa e alla Chiesa − ha detto don Carrón − nel ringraziamento a Dio che ci ha dato un testimone così autentico di Cristo. Vogliamo stringerci attorno a Benedetto XVI, che nella sua lungimiranza ha deciso di indicare a tutto il mondo il beato Giovanni Paolo II come esempio di che cosa può fare Cristo di un uomo che si lascia afferrare da Lui», e per testimoniare che «se qualcuno ha un enorme debito di riconoscenza nei confronti di Giovanni Paolo II, questi siamo proprio noi».

Per partecipare più consapevolmente alla Beatificazione, dal sito di Tracce (www.tracce.it) sono stampabili (in formato pdf) due strumenti: il Libretto ufficiale della cerimonia, che permetterà di seguire l'evento, e il libretto «Cristo, centro del cosmo e della storia», antologia del magistero di Giovanni Paolo II (che è anche allegato all'ultimo numero del mensile).


 

In una lettera inviata a tutto il movimento, don Carrón ha scritto:

«Noi ci uniamo alla gioia di tutta la Chiesa nel ringraziare Dio per il bene che è stata la sua persona, con la sua testimonianza e la sua passione missionaria. Chi di noi non ha ricevuto tanto dalla sua vita? Quanti hanno ritrovato la gioia di essere cristiani, vedendo la sua passione per Cristo, il tipo d'umanità che scaturiva dalla sua fede, il suo entusiasmo contagioso! In lui abbiamo subito riconosciuto un uomo − con un temperamento e un accento investiti dalla fede − nei cui discorsi e gesti si documentava il metodo scelto da Dio per comunicarsi: un incontro umano che rende affascinante e persuasiva la fede.

«Tutti noi siamo ben consapevoli dell'importanza del suo pontificato per la vita della Chiesa e dell'umanità. In un momento particolarmente difficile ha riproposto davanti a tutti, con un'audacia che può avere solo Dio come origine, che cosa significhi essere cristiano oggi, offrendo a tutti le ragioni della fede e promuovendo instancabilmente i germi di rinnovamento della compagine ecclesiale posti in essere dal Concilio Vaticano II, senza cedere a nessuna delle interpretazioni parziali che volevano ridurne la portata in un senso o in un altro. Il suo contributo alla pace nel mondo e alla convivenza fra gli uomini mostra quanto sia decisiva per il bene comune una fede integralmente vissuta in tutte le sue dimensioni.

«Sappiamo quanto, fin dall'inizio del pontificato, fosse stretto il legame di Giovanni Paolo II con don Giussani e CL, fondato su una consonanza dello sguardo di fede a tutta la realtà, nella passione per Cristo "centro del cosmo e della storia" (Redemptor hominis). Egli ci ha offerto un insegnamento prezioso per comprendere e approfondire il nostro carisma nelle diverse e molteplici occasioni in cui ha parlato a tutti i movimenti, da lui indicati quali "primavera dello Spirito" in quanto nella Chiesa la dimensione carismatica è "coessenziale" a quella istituzionale. Si è rivolto anche direttamente a noi più volte, fino alle commoventi lettere indirizzate a don Giussani negli ultimi anni della loro vita, accomunata anche dalla prova della malattia.

«Nel discorso per il trentennale del movimento, nel 1984, ci ha detto: "Gesù, il Cristo, colui in cui tutto è fatto e consiste, è quindi il principio interpretativo dell'uomo e della sua storia. Affermare umilmente, ma altrettanto tenacemente, Cristo principio e motivo ispiratore del vivere e dell'operare, della coscienza e dell'azione, significa aderire a lui, per rendere presente adeguatamente la sua vittoria sul mondo. Operare perché il contenuto della fede diventi intelligenza e pedagogia della vita è il compito quotidiano del credente, che va realizzato in ogni situazione e ambiente in cui si è chiamati a vivere. E in questo sta la ricchezza della vostra partecipazione alla vita ecclesiale: un metodo di educazione alla fede perché incida nella vita dell'uomo e della storia. […] L'esperienza cristiana così compresa e vissuta genera una presenza che pone in ogni circostanza umana la Chiesa come luogo dove l'evento di Cristo […] vive come orizzonte pieno di verità per l'uomo. Noi crediamo in Cristo, morto e risorto, in Cristo presente qui ed ora, che solo può cambiare e cambia, trasfigurandoli, l'uomo e il mondo" (Roma, 29 settembre 1984). Sono parole di una attualità impressionante!.

«Con una paternità sorprendente e unica Giovanni Paolo II ha abbracciato la nostra giovane storia riconoscendo canonicamente la Fraternità di Comunione e Liberazione, i Memores Domini, la Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, le Suore di Carità dell'Assunzione, come frutti diversi sgorgati dal carisma di don Giussani per il bene di tutta la Chiesa. Il Papa stesso ci ha fatto capire la portata di tale gesto: "Quando un movimento è riconosciuto dalla Chiesa, esso diventa uno strumento privilegiato per una personale e sempre nuova adesione al mistero di Cristo" (Castelgandolfo, 12 settembre 1985).

«Perciò, se qualcuno ha un enorme debito di riconoscenza nei confronti di Giovanni Paolo II, questi siamo proprio noi. E non possiamo trovare un modo più adeguato di mostrare questa nostra riconoscenza che continuare a seguire il suo autorevole richiamo: "Non permettete mai che nella vostra partecipazione alberghi il tarlo dell'abitudine, della "routine", della vecchiaia! Rinnovate continuamente la scoperta del carisma che vi ha affascinati ed esso vi condurrà più potentemente a rendervi servitori di quell'unica potestà che è Cristo Signore!" (Castelgandolfo, 12 settembre 1985)».


 

l'ufficio stampa di CL

Milano, 28 aprile 2011


 


 

"EMERGENZA UOMO ", la risposta è un fatto. Come non diventare né "anoressici dell'umano" né cortigiani della storia. - Avvenire 27 APRILE 2011 di JULIAN CARRON

http://www.tracce.it/detail.asp?c=1&p=1&id=21688

L'imperatore si rivolse ai cristiani dicendo: " Strani uomini …ditemi voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi: che cosa avete di più caro nel cristianesimo?".(Solov'ev, il racconto dell'Anticristo). Sentirci rivolgere questa domanda ci scuote ora come la prima volta che tanti di noi l'hanno ascoltata pronunciare da don Giussani. Anzi,ancora di più, nella misura in cui è cresciuta in noi la consapevolezza della sua portata. Essa ci mette a nudo davanti a noi stessi.E' forsel'unica domanda a metterci veramente a nudo. Probabilmente perché ognuno sa che davanti a essa non può barare. Ed è inutile fingere: non si può nascondere dietro le solite cose che ci servono da alibi per non guardarla in faccia.

Mentre ci mette alle strette-sfidando al nostra ambiguità,perturbando la nostra tranquillità,i nostri compromessi- come la risposta dello starets Giovanni e rispose con dolcezza:"Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso.Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità". Non i valori, non l'etica, non le opere, ma Cristo stesso.

Le conseguenze sulla personalità del potere devastante che ci circonda si vedono chiaramente.

Don Giussani ne segnala soprattutto due.

La prima è una difficoltà a comprendere per colpa di una ragione fragile". Non dico che siamo stati impostori o mendaci, che abbiamo dato via il Volantone senza che vi aderissimo; vi abbiamo aderito, ma non l'abbiamo compreso, non ci ha provocati, non l'abbiamo capito. Una ragione fragile! C'è l'avessero chiesto , avremo detto:"Si, io ci credo, anch'io dico così !", ma astrattamente. Una ragione fragile".

La seconda conseguenza è "la divisione fra riconoscimento e affettività, fra il riconoscimento e l'essere attaccati al riconoscimento. L'io resta diviso fra il riconoscimento che resta astratto e l'affettività che fluttua. Come all'inizio dell'umanesimo, all'inizio dell'evo moderno: Petrarca ammetteva tutto il dottrinale cristiano, eccome, lo sentiva anche meglio di noi, ma la sua sensibilità o affettività fluttuava autonoma, ed era diviso. per questo dice:" Chi mi darà l'ali di colomba sì che m'inalzi, elevimi da terra , e sia unificato?"

Don Giussani insiste osservando che c'è una "divisione fra l'oggetto del desiderio e il reale che ho di fronte, perché " ciò che polarizza la mia affettività è il reale che ho di fronte, cioè l'apparenza, così che il rapporto con il reale, il gesto che è il rapporto con il reale, non testimonia Cristo, cioè non veicola come suo significato Cristo ( gesto, da gerere, vuol dire " portare il significato". Questo ci fa sperimentare sulla nostra pelle fino a che punto definire " Emergenza l'uomo" la situazione drammatica in cui si trovava, e si trova, l'io di ciascuno, non è per niente esagerato.Don Giussani ne è talmente certo che la descrive come una sorte di "anoressia dell'umano". In questa situazione, come la risposta dello starets Giovanni può diventare mia, nostra? Soltanto se c'è una presenza nella storia in grado di inquietare, provocare la presenza devastante del potere. Dice ,infatti , don Giussani: " La presenza della mentalità comune prodotta dal potere è devastante in noi la personalità e la ricchezza della proposta cristiana. E' come barbarie che si pone contro, che s'avventa contro la realtà nuova che il cristianesimo è .

E' devastante il contenuto, la sostanza, la struttura stessa del fatto cristiano".Questa è la sfida storica che il cristianesimo ha davanti a sé. Dall'esito di questa lotta dipende la nostra fortuna: La persona e il cristianesimo, da questo punto di vista, rischiano la stessa sorte. La carità di don Giussani nei nostri confronti arriva fino al punto di metterci in guardia da un pericolo: Andrea Emo, lanciato da la Repubblica come uno dei più grandi pensatori

noti della nostra epoca, dice in un suo pensiero: " La Chiesa è stata per secoli la protagonista della storia, poi ha assunto la parte non meno gloriosa di antagonista della storia; Oggi è soltanto la cortigiana della storia" . E ci indica anche la strada per non finire così: " Noi non vogliamo una Chiesa così ! ma per non volerla, dobbiamo noi essere protagonisti, perché la Chiesa è fatta di noi. Il rapporto con ciò che non appartiene al deserto è l'unico termine costitutivo di un personalità che sia protagonista e non cortigiana di ciò che la circonda. Allora occorre un lavoro, mettersi al lavoro, per essere protagonisti di una storia" . Questo lavoro – l'unico veramente degno di un uomo che non voglia diventare "cortigiano della storia" –è la strada che don Giussani ci ha consegnato, avendola percorsa prima di noi, per poter sfidare il mondo – che è dentro e fuori di noi – con la forza di ciò che abbiamo di più caro. E per fare la verifica che la fede è un flusso continuo di novità che rende la vita più piena, più grande e più felice. Così, possiamo finalmente dire come nostra la frase dello starets Giovanni.