mercoledì 2 giugno 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) IL PAPA: GESÙ, DONO DI CARITÀ DI MARIA AL MONDO - Nella Veglia per la conclusione del mese mariano, nei Giardini Vaticani
2) SUL CROCIFISSO, 10 PAESI SOSTENGONO L'ITALIA DAVANTI AL TRIBUNALE EUROPEO - Nell'elenco figura anche la Russia - di Jesús Colina
3) Pubblicità abortista - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 1 giugno 2010 - Martedì 24 maggio alle 22.10, per la prima volta nel Regno Unito, è andata in onda un’allusiva reclame abortista sulla rete televisiva Channel 4.
4) L'Aquinate e il pensiero contemporaneo - Il sistema aperto di san Tommaso - Pubblichiamo una sintesi di una delle lezioni tenute alla Pontificia Università Lateranense per la "Cattedra san Tommaso" diretta da monsignor Mario Pangallo. - di Antonio Livi - L'Osservatore Romano - 2 giugno 2010
5) Albert Einstein e la pace nel mondo - Vi spiego perché la fisica è molto più semplice della politica - di Arturo Colombo – L'Osservatore Romano - 2 giugno 2010
6) 01/06/2010 - ISRAELE - TURCHIA – ONU - Il Consiglio di Sicurezza Onu domanda un’inchiesta sull’attacco alle navi per Gaza - La dichiarazione, votata all’unanimità, è più blanda rispetto alle richieste. La Turchia aveva domandato scuse ufficiali da Israele e la fine del blocco a Gaza. Tel Aviv mostra filmati dove i suoi soldati vengono presi a bastonate. Diversi Paesi europei criticano l’uso eccessivo della forza da parte dei militari israeliani. Quasi 500 attivisti, presenti sulle navi sequestrate, sono stati arrestati ed è impossibile parlare con loro.
7) Israele.net - 02-06-2010 - “Venti fanatici mi hanno scaraventato dal ponte” - Nella prima intervista da quando è stato ferito, lunedì, nel corso del raid per fermare la flottiglia che mirava a forzare il blocco anti-regime di Hamas a Gaza, il capitano R., che guidava il commando calato dall’elicottero sul ponte superiore della nave Marmara, racconta la battaglia che ha avuto luogo sull’imbarcazione. - Secondo R., le persone che erano a bordo della Marmara hanno preso parte a centinaia all’aggressione contro di lui e i suoi soldati, al punto che sono stati costretti a usare le armi per salvarsi la vita.
8) Israele.net - 01-06-2010 - Video: i “pacifisti” pestano i soldati scesi a mani nude sulla Marmara
9) Il Santo Rosario e il Dragone - Carlo Di Pietro – dal sito pontifex.roma.it
10) Avvenire.it, 31 Maggio 2010 - GLI 80 ANNI DELLA STAR - La doppia vita di Clint che solo Welles intuì - Ilario Lombardo
11) polemica - Quando la biologia ha a che fare con Frankenstein - DI FRANCESCO GRIANTI - Il batterio con Dna sintetico è un’utile occasione per chiarire la differenza tra avanzamento tecnologico e scientifico – Avvenire, 2 giugno 2010

IL PAPA: GESÙ, DONO DI CARITÀ DI MARIA AL MONDO - Nella Veglia per la conclusione del mese mariano, nei Giardini Vaticani
ROMA, martedì, 1 giugno 2010 (ZENIT.org).- Il dono di Gesù al mondo rappresenta il vertice della carità della Vergine. Lo ha ricordato Benedetto XVI nella sera del 31 maggio, al termine della Veglia per la conclusione del mese mariano.
Questo lunedì, i Giardini Vaticani hanno accolto più di tremila fedeli e pellegrini nella tradizionale celebrazione mariana con cui si conclude il mese di maggio.
All'inizio c'è stata la tradizionale processione dalla Chiesa di Santo Stefano degli Abissini – la più antica del Vaticano, risalente al V secolo, situata vicino all’abside della Basilica vaticana – fino alla Grotta della Madonna di Lourdes (una replica su scala ridotta della grotta nella quale la Madonna apparve a santa Bernardette Soubirous), costruita all’inizio del XX secolo nello spazio che interrompe l’antica muraglia della Città Leonina, come offerta dei cattolici francesi.
Durante il percorso è stato recitato il Rosario, guidato dal Cardinale Angelo Comastri, Vicario del Papa per la Città del Vaticano, e intervallato di canti del coro della Città del Vaticano e dalle musiche eseguite dalla Banda della Guardia Palatina d'Onore.
Nel suo breve discorso al termine della Veglia, Benedetto XVI ha sottolineato il modello missionario per la Chiesa rappresentato dalla Vergine, “chiamata ad annunciare il Vangelo dappertutto e sempre, a trasmettere la fede ad ogni uomo e donna, e in ogni cultura”.
“La nostra – ha detto –, come singoli e come Chiesa, è un’esistenza proiettata al di fuori di noi. […] Ci è chiesto di uscire da noi stessi, dai luoghi delle nostre sicurezze, per andare verso gli altri, in luoghi e ambiti diversi”.
Maria si fa vicina all'uomo nel suo cammino come “compagna di viaggio e madre premurosa”, fornendo sempre un “aiuto concreto” come fece nei confronti dell’anziana cugina Elisabetta.
“Elisabetta – ha aggiunto – diventa così il simbolo di tante persone anziane e anche malate, anzi, di tutte le persone bisognose di aiuto e di amore. E quante ce ne sono anche oggi nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nelle nostre città! E Maria – che si era definita ‘la serva del Signore’ (Lc 1,38) – si fa serva degli uomini. Più precisamente, serve il Signore che incontra nei fratelli”.
E “Gesù – ha spiegato ancora il Papa – è il vero e unico tesoro che noi abbiamo da dare all’umanità. È di Lui che gli uomini e le donne del nostro tempo hanno profonda nostalgia, anche quando sembrano ignorarlo o rifiutarlo. È di Lui che hanno grande bisogno la società in cui viviamo, l’Europa, il mondo intero”.
“A noi è affidata questa straordinaria responsabilità. Viviamola con gioia e con impegno – ha infine esortato il Santo Padre –, perché la nostra sia davvero una civiltà in cui regnano la verità, la giustizia, la libertà e l’amore, pilastri fondamentali e insostituibili di una vera convivenza ordinata e pacifica”.


SUL CROCIFISSO, 10 PAESI SOSTENGONO L'ITALIA DAVANTI AL TRIBUNALE EUROPEO - Nell'elenco figura anche la Russia - di Jesús Colina
STRASBURGO, martedì, 1 giugno 2010 (ZENIT.org).- Per la prima volta nella storia della Corte europea dei Diritti dell'Uomo, dieci Stati membri, tra cui la Russia, si sono dichiarati "amicus curiae", cioè parte terza, davanti alla sentenza emessa contro lo Stato italiano che proibisce l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e che sarà vagliata dalla Gran Camera di questo Tribunale il 30 giugno prossimo.
Il Tribunale ha comunicato questo martedì allo European Centre for Law and Justice (ECLJ) la lista dei membri che si sono schierati in difesa dell'Italia: Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, San Marino, Romania e Federazione Russa.
Questi dieci Stati, che fanno parte delle 47 nazioni del Consiglio d'Europa, hanno chiesto formalmente al Tribunale di potersi presentare ufficialmente come "parte terza" quando verrà istruito il processo davanti alla Gran Camera. La condizione di "parte terza" permette agli Stati di poter presentare in forma ufficiale al Tribunale osservazioni scritte e orali.
Questi paesi intendono intervenire in appoggio dello Stato italiano che sta facendo di tutto per far annullare la sentenza del mese di novembre scorso che proibisce i crocifissi nelle scuole pubbliche. Allo stesso tempo, dodici organizzazioni non governative (ONG) sono state ammesse dal Tribunale come "parte terza". Finora nessuno Stato o ONG è intervenuto a sostegno della sentenza.
Oltre a questi dieci Stati membri, altri Stati si sono pronunciati contro la sentenza del 3 novembre 2009, come l'Austria o la Polonia che hanno rilasciato dichirazioni politiche rispettivamente il 19 novembre e il 3 dicembre 2009.
"Si tratta di un precedente importante per la vita del Tribunale, perché in generale gli Stati membri si astengono dall'intervenire o intervengono solo quando il caso colpisce un cittadino del proprio Stato", ha spiegato a ZENIT Gregor Puppinck, direttore dello European Centre for Law and Justice.
"Il 'caso del Crocifisso' è unico e non ha precedenti. Dieci Stati hanno deciso di spiegare alla Corte qual è il limite della sua giurisdizione e qual è il limite della sua capacità di creare nuovi 'diritti' contro la volontà degli Stati membri. In tutto ciò si può scorgere un controbilanciamento del suo potere", ha aggiunto Puppinck in alcune dichiarazioni a ZENIT.
Il "caso del Crocifisso”, noto anche come “caso Lautsi”, è stato rimesso alla Gran Camera del Tribunale dopo che il Governo italiano aveva presentato ricorso il 28 gennaio scorso contro la sentenza emessa dalla Sezione Seconda del Tribunale il 3 novembre 2009.
In questa prima istanza, il Tribunale si era espresso affermando che la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche è “contraria al diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e con il diritto dei bambini alla libertà di religione”, perché gli studenti potrebbero avvertire “di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione”.
Il Tribunale ha continuato con l'affermare che la presenza del crocifisso poteva risultare “sconvolgente emotivamente” per il figlio della signora Lautsi (colei che ha presentato il ricorso) e che non avrebbe permesso di “insegnare agli allievi un pensiero critico” o quel “pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica”.
Il Tribunale concluse che si trattava di una violazione dell'articolo 2 del Protocollo numero 1 (Diritto all'educazione), come dell'articolo 9 (libertà religiosa) della Convenzione.
Questa decisione è stata duramente criticata da parte di esperti politici e giuristi di vari Stati europei e giudicata come un'imposizione del "laicismo". In concreto, è stato detto che la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo non prevede che lo Stato “è tenuto alla neutralità confessionale nel quadro dell’istruzione pubblica obbligatoria” o in qualunque altro settore pubblico.
In realtà, vari Stati membri del Consiglio d'Europa sono "Stati confessionali", nel senso che hanno una religione ufficiale o riconoscono Dio nelle loro leggi e costituzioni.
Nel demandare lo scorso 2 marzo alla Gran Camera la decisione sul “caso Lautsi”, il Tribunale ha riconosciuto che la sentenza del novembre scorso solleva gravi problemi legali e deve essere riconsiderata per la formazione del tribunale.
Lo scorso 29 aprile, il Governo italiano ha presentato il suo memorandum al Tribunale spiegando che i giudici di Strasburgo non hanno competenze per imporre il laicismo ad un paese, in particolare all'Italia, una nazione caratterizzata in maggioranza da fedeli che praticano e si identificano nella religione cattolica.
La decisione del Tribunale, successiva all'udienza pubblica della Gran Camera che si terrà il 30 giugno, sarà pubblicata alla fine dell'anno.


Pubblicità abortista - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 1 giugno 2010 - Martedì 24 maggio alle 22.10, per la prima volta nel Regno Unito, è andata in onda un’allusiva reclame abortista sulla rete televisiva Channel 4.
L’occasione ghiotta è stata il debutto di una nuova trasmissione di gioco a premi, “The Million Pound Drop”, condotta dalla nota presentatrice Davina MacCall, destinata a far salire l’indice di ascolto alle stelle.
Con una cinica e astuta operazione di marketing, la potente lobby abortista Marie Stopes International (MSI) ha colto al volto l’opportunità di farsi pubblicità, approfittando dell’audience elevata e con il pretesto di «aiutare le donne a compiere una scelta più consapevole circa la propria gravidanza e salute sessuale».
Così tra un intervallo e l’altro della seguitissima trasmissione, si è reclamizzato l’aborto come fosse un normale detersivo. Solo che al posto di un fustino, l’immagine che è andata in onda era quella di una ragazza dallo sguardo preoccupato, ferma alla fermata dell’autobus, sulla quale campeggiava la scritta «Jenny Evans è in ritardo». Allusione, di pessimo gusto, al ciclo mestruale. Seguiva la scena, in pieno stile politically correct, di una donna frettolosa con due bimbi piccoli, accanto alla scritta «Katty Simons è in ritardo», e poi di una solitaria ragazza di colore seduta al bar, accompagnata dalla scritta «Shareen Butler è in ritardo». Seguivano, infine, i riferimenti per contattare telefonicamente o via e-mail MSI, mentre una voce fuori campo spiegava: «Se hai un ritardo mestruale potresti essere incinta, e se non sei sicura di cosa fare in caso di gravidanza, Maries Stopes International ti può aiutare». Tipico esempio di pubblicità ingannevole, dato che MSI non dà nessun’altro “aiuto” se quello di praticare l’interruzione di gravidanza, e per di più (circostanza occultata nello spot) a pagamento.
Per comprendere, del resto, le reali intenzioni dei promotori, è sufficiente leggere il titolo del comunicato stampa che annunciava l’iniziativa sul sito ufficiale di MSI: «Per la prima volta assoluta in Gran Bretagna una pubblicità televisiva sugli “abortion services”».
Questa vicenda impone alcune riflessioni.
La prima di carattere legale. E’ interessante, infatti, capire come sia stato aggirato il divieto di pubblicità commerciale per le cliniche abortive, espressamente previsto dal codice della pubblicità (advertising code). Il Broadcast Committee of Advertising Practice (BCAP), l’ente che si occupa della materia, in questo caso ha stabilito che il termine “commerciale” possa escludere l’applicazione del divieto alle organizzazioni non profit. Ciò significa, secondo il BCAP, che la stessa natura giuridica di Marie Stopes International, formalmente una fondazione senza scopo di lucro, la esclude dal divieto, nonostante il fatto che essa effettui anche servizi privati a pagamento. E’ grazie a questa generosa interpretazione benevola delle norme sulla pubblicità da parte del BCAP, che la sera del 24 maggio 2010 è potuta andare in onda la reclame abortista. Interpretazione tanto benevola, quanto decisamente forzata.
Per capire, infatti, l’esatta natura “non profit” di Marie Stopes International, basta considerare alcuni dati. I “volontari” dell’aborto pretendono ben 80 sterline per una consultazione telefonica. La cifra, ovviamente, aumenta in caso di consulto di persona. Inutile ricordare, peraltro, che tutte le consultazioni fatte dalle associazioni pro-life sono, invece, assolutamente gratuite.
I prezzi di MSI arrivano anche a 1.720 sterline per un aborto da eseguirsi tra le 19 e le 24 settimane. Gli ultimi dati ufficiali di bilancio relativi al 2008 indicano che l’organizzazione abortista riceve circa 100.000.000 di sterline l’anno, molte delle quali (circa 30 milioni) attraverso fondi pubblici, a titolo di rimborso per «servizi sanitari in campo sessuale e riproduttivo». Marie Stopes International pratica circa 65.000 aborti l’anno, più o meno un terzo di tutti gli aborti realizzati nell’Inghilterra e nel Galles, con un giro d’affari decisamente significativo.
Mi hanno colpito anche i numeri relativi alle retribuzioni degli operatori di MSI.
Ben ventidue di loro percepiscono uno stipendio superiore a 60.000 sterline l’anno (lo stipendio medio nel Regno Unito si aggira attorno alle 25.000 sterline), mentre un dirigente arriva a prendere persino 210.000 sterline l’anno. Niente male davvero per una Charity!
La seconda riflessione cui ci induce l’episodio di ieri sera è relativa all’opportunità di una simile reclame.
Bisogna innanzitutto partire dal dato statistico secondo cui in Gran Bretagna una gravidanza su cinque si conclude con un aborto. E’ difficile, pertanto, immaginare che le donne siano completamente all’oscuro in materia, e che sia necessaria un’adeguata opera di informazione. Il numero impressionante di 200.000 aborti l’anno dovrebbe, semmai, porre un problema contrario, ovvero quello di un’opportuna informazione circa le possibili alternative all’interruzione della gravidanza.
Per questo mi è apparsa davvero insopportabile la faccia di bronzo di Julie Douglas, Direttore Marketing (già questa carica la dice lunga sulla natura non profit) della Marie Stopes International, quando ha dichiarato che «nonostante il fatto che una donna su tre nel Regno Unito abbia avuto almeno un aborto nella propria vita, il tema non è ancora oggetto di un’aperta ed onesta discussione».
La pubblicità di ieri sera, a prescindere dal cinismo utilitaristico di chi l’ha commissionata, si è tradotta, di fatto, nell’inaccettabile banalizzazione di un tema estremamente delicato. Non è questo, certamente, il metodo più appropriato per affrontare la traumatica esperienza dell’interruzione di una gravidanza. Per non parlare dei rischi di una possibile escalation al ribasso. Chi può ora negare, ad esempio, alle organizzazioni pro-life di chiedere una pubblicità televisiva sui rischi dell’aborto per la salute delle donne? O sulle possibili alternative all’aborto? Dio ci risparmi lo squallido spettacolo di una guerra televisiva sulla tragedia dell’aborto, a colpi di spot nell’intervallo pubblicitario di una banale trasmissione a quiz.
Preoccupa anche il cupo futuro cui potrebbe condurci una simile deriva. Non mi meraviglierei, infatti, se il prossimo passo dovesse essere la pubblicità per l’eutanasia e per le cliniche in cui si pratica il suicidio assistito.
Quest’ultima affermazione introduce la terza riflessione che intendevo proporre.
In Italia, probabilmente, ad un’organizzazione come Marie Stopes International non sarebbe mai stato erogato un solo euro di fondi pubblici e sarebbe stata bandita dalla televisione di Stato, per il solo fatto del nome che porta.
Tutti dovrebbero sapere, infatti, che Marie Stopes (1880-1958) è stata una delle più deliranti figure nel campo dell’eugenetica del XX secolo. Nella sua opera Radiant Motherhood (1920), tanto per fare un esempio, la Stopes ha invocato la sterilizzazione «dei soggetti totalmente inadeguati alla riproduzione», mentre nell’altro suo capolavoro, The Control of Parenthood (1920), vero e proprio manifesto degli eugenisti, ha teorizzato il concetto di «purificazione della razza».
Letteralmente affascinata dalle farneticazioni eugenetiche naziste, nel 1935 Marie Stopes ha partecipato al Congresso Internazionale sulla Scienza della Popolazione tenutosi a Berlino ed organizzato dalla propaganda razzista del Terzo Reich. Anche le posizioni antisemite della Stopes furono aspramente criticate, persino da altri pionieri del movimento per il controllo delle nascite, tra cui Havelock Ellis. Non per nulla Marie Stopes si dichiarava una devota fan del Führer. Nel 1939, esattamente un mese prima che la Gran Bretagna entrasse in guerra con la Germania, la pasionaria della razza pura inviò al dittatore nazista alcune poesie accompagnandole da queste compiacenti parole: «Carissimo Herr Hitler, l’Amore è la più grande cosa del mondo: vorrebbe accettare da me questi versi e permettere ai giovani della Sua nazione di leggerli?».
Per capire meglio il personaggio, basti dire che Marie Stopes è arrivata a diseredare il proprio figlio Harry per il fatto di aver sposato una donna miope, ovvero un «essere geneticamente difettoso».
Non mostrò mai nessunissimo segno di pentimento neppure in punto morte, avvenuta nel 1958, e lasciò la maggior parte del suo patrimonio personale alla Eugenics Society, organizzazione i cui scopi ben traspaiono dal nome. Per chi voglia approfondire il tema consiglio la lettura dell’interessante articolo di Gerard Warner pubblicato sul Telegraph del 28 agosto 2008, dal titolo significativo: «A Marie Stopes si perdona il suo razzismo eugenetico perché era anti-life».
In Gran Bretagna, in realtà, non si sono limitati a perdonarla.
Nel 2008 le regie poste britanniche hanno dedicato un’emissione di francobolli celebrativi proprio a Marie Stopes, in quanto Woman of Distinction.
Ci si può ancora meravigliare di ciò che sta accadendo al di là della Manica?


L'Aquinate e il pensiero contemporaneo - Il sistema aperto di san Tommaso - Pubblichiamo una sintesi di una delle lezioni tenute alla Pontificia Università Lateranense per la "Cattedra san Tommaso" diretta da monsignor Mario Pangallo. - di Antonio Livi - L'Osservatore Romano - 2 giugno 2010
Già dagli ultimi decenni del 1900 e soprattutto in questo primo decennio del Duemila il panorama filosofico mondiale non è più caratterizzato solo dal pensiero "post-metafisico", ma registra anche una vigorosa ripresa della metafisica. Ciò si deve soprattutto alla passione teoretica e alla competenza storiografica di insigni studiosi europei e americani di ispirazione tomista che sono stati capaci di dimostrare criticamente la possibilità e la necessità della metafisica, in serrata polemica con i sostenitori del suo "oltrepassamento" (Überwindung) ma anche in dialogo costruttivo con le istanze teoretiche presenti nelle più importanti scuole filosofiche, da quella fenomenologica a quella ermeneutica e a quella analitica. È stato grazie a questo dialogo fecondo con il pensiero contemporaneo che la nuova fioritura di studi tomistici è stata in grado di riportare alla luce i fondamenti epistemologici della metafisica, dimostrandone criticamente l'incontrovertibilità come scienza e la necessità come sapienza. L'innegabile presenza del pensiero di Tommaso d'Aquino nel dibattito filosofico contemporaneo si deve appunto allo specifico contributo fornito dai pensatori cristiani alla soluzione dei problemi che stanno al centro della ricerca epistemologica moderna.
Tale contributo consiste nella soluzione data al problema della metafisica (se sia possibile o addirittura imprescindibile), ma presuppone i risultati cui è pervenuta la celebre querelle (iniziata nel 1931 alla Sorbona e alla quale parteciparono Maurice Blondel, Émile Bréhier, Léon Brunschivicg, Étienne Gilson e Jacques Maritain) sull'esistenza storica e sulla possibilità teorica di una filosofia cristiana. La discussione è continuata fino ai nostri giorni e ha finito per coinvolgere tutti i pensatori cristiani che ben comprendevano come essa implicasse la soluzione del problema se possa esserci un terreno d'incontro tra ragione e fede. Ma finora la possibilità della metafisica e la possibilità di una filosofia cristiana sono stati considerati come problemi separabili l'uno dall'altro, e di fatto sono stati affrontati separatamente, mentre andrebbero compresi come due aspetti della medesima questione. Già Giovanni Paolo ii li aveva opportunamente collegati tra loro nell'enciclica Fides et ratio (14 settembre 1998), la quale può considerarsi un intervento del magistero ecclesiastico a favore della metafisica proprio come struttura portante della filosofia cristiana, che Giovanni Paolo ii, riallacciandosi agli insegnamenti di Leone xiii (cfr. l'enciclica Aeterni Patris del 1879), considera indispensabile strumento dell'interpretazione teologica della verità rivelata. Insomma, il richiamo alla necessità della metafisica - e alla sua possibilità anche nell'epoca attuale - ha senso, in un'ottica teologica, all'interno del riconoscimento della possibilità e della necessità di una filosofia cristiana.
Riassumendo anni di studi e di discussioni sul problema della filosofia cristiana, la Fides et ratio ne prospetta la soluzione alla luce della storia della Chiesa, mostrando cioè il fecondo cammino della teologia dalle origini patristiche alle sintesi medioevali, per poi additare il metodo di Tommaso come il modello, oggi più che mai valido, di una speculazione capace di penetrare a fondo nel significato delle verità rivelate (accolte con assoluta certezza dalla fede) facendo ricorso anche a quelle verità naturali (certificate dalla ragione nella sua funzione critica) che risultano sostanzialmente connesse al contenuto razionale della rivelazione divina. Ciò che in Tommaso può chiamarsi "filosofia cristiana" altro non è, appunto, se non il necessario e congruo uso della filosofia in teologia: uso che risponde certamente a finalità primariamente teologiche ma anche al rilevamento critico (cioè filosofico) degli elementi di razionalità che sono comuni alla conoscenza delle realtà create e alla cono scenza dei misteri soprannaturali. In Tommaso d'Aquino l'autonomia formale e l'unità intenzionale di filosofia e teologia costituiscono un "sistema aperto", nel quale, come ha saputo dimostrare Gilson, la filosofia è autenticamente razionale e capace di giustificare dialetticamente i propri asserti, ma non può essere separata dal contesto teologico che le fornisce un'impareggiabile motivazione esistenziale alla ricerca filosofica.
Tornando al nesso tra il problema della filosofia cristiana e quello della metafisica, Giovanni Paolo ii non manca di rilevare che l'affermazione del principio dell'armonia di ragione e fede in teologia dipende in Tommaso d'Aquino da un fondamentale presupposto metafisico, quello dell'unità dell'ordine naturale (ordo creationis) e di quello soprannaturale (ordo gratiae) nella nozione cristiana di Dio Creatore e Redentore dell'uomo. A questo proposito la Fides et ratio riporta un celebre passo del Liber de veritate catholicae fidei (i, 7) e lo commenta osservando che Tommaso "argomentava a partire dal principio che la luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, e quindi non possono contraddirsi tra loro" ( 43). Proprio in virtù di questo fondamento metafisico - un fondamento reale e non arbitrario, incontrovertibile e non postulatorio - la filosofia cristiana è stata feconda di risultati propriamente razionali e ha segnato un effettivo progresso nella storia della filosofia. Già agli inizi del Novecento gli elementi più rilevanti di questo progresso erano stati individuati e valorizzati da Gilson sul piano storico-critico. Nella sua opera su L'Esprit de la philosophie médiévale (1931) Gilson dimostrava che le nozioni metafisiche più caratteristiche del pensiero medioevale sono tutte di derivazione teologica: esse fanno seguito alla rivelazione biblica e non ve n'è traccia nella filosofia pre-cristiana; inoltre, sono nozioni dalle quali il pensiero moderno non ha potuto più prescindere, anche se talvolta si è prefisso di contrapporsi al pensiero cristiano medioevale. Gilson poteva documentare questa sua tesi storiografica sulla base dei suoi studi, criticamente ineccepibili, sulla derivazione scolastica delle principali nozione metafisiche del sistema cartesiano. A distanza di oltre mezzo secolo, questa rilevazione gilsoniana ha trovato conferma nel magistero di Giovanni Paolo ii (cfr. Fides et ratio, 76). Ma allora non si deve perdere di vista il nesso intrinseco che esiste tra filosofia cristiana e metafisica. L'originalità e il valore propriamente filosofico della filosofia cristiana altro non è se non l'originalità e il valore propriamente filosofico della metafisica cristiana, che trova il suo culmine speculativo all'interno della teologia di Tommaso. Occorre dunque ricordare che la metafisica di Tommaso, incentrata com'è noto sulla nozione originalissima e feconda di esse ut actus, dipende totalmente dalla rivelazione biblica, grazie alla quale il rapporto tra mondo e Dio è inteso come rapporto tra creatura e Creatore, e Dio è l'Essere assolutamente trascendente (ipsum esse subsistens) che per amore dona l'essere a ogni cosa che noi vediamo esistere e che così è habens esse, un ente per partecipazione. Per sottolineare la derivazione biblica della metafisica creazionistica Gilson coniò l'espressione métaphysique de l'Exode, da molti non correttamente compresa e pertanto ingiustamente criticata. Tutta l'opera filosofica e teologica di Tommaso è in stretta connessione con il principio metafisico della creazione/partecipazione, dal quale derivano i criteri epistemologici fondamentali, come quello cui Tommaso si ispira nel formulare la sua dottrina dei praeambula fidei, ossia dei rapporti tra fede nella rivelazione e ragione naturale: Fides praesupponit rationem, sicut gratia naturam et perfectio perfectibile.
(©L'Osservatore Romano - 2 giugno 2010)


Albert Einstein e la pace nel mondo - Vi spiego perché la fisica è molto più semplice della politica - di Arturo Colombo – L'Osservatore Romano - 2 giugno 2010
Come geniale inventore della teoria della relatività Albert Einstein lo conoscono tutti (o quasi). Pochi, invece, sanno che Einstein occupa un posto anche nel pensiero politico del xx secolo: malgrado non sia stato, come qualcuno pretende, un "pacifista" intransigente. "Il mio ideale politico è l'ideale democratico" ha scritto in Come io vedo il mondo (1934), un suo libro fondamentale per capire che tipo fosse, compreso il suo anti-militarismo: "L'eroismo a comando - sosteneva nel 1930 - gli stupidi corpo a corpo, il nefasto spirito nazionalista, come odio tutto questo, e quanto la guerra mi appare ignobile e spregevole".
Ma appena avverte le ombre minacciose del nazismo di Hitler, Einstein rivela una notevole dose di realismo. E il 20 luglio del 1933 a un pacifista francese che sosteneva l'obiezione di coscienza, replica secco: "Devo dirle candidamente che nelle attuali circostanze, se io fossi un francese o un belga, non rifiuterei il servizio militare; piuttosto presterei un tale servizio di buon grado, convinto così di contribuire a salvare la civiltà europea". Poi abbandona per sempre il Vecchio Continente, non senza lanciare questa provocatoria domanda retorica: "Ma il mondo non vede che Hitler punta alla guerra?".
Di lì a pochi anni, è pronto a rivolgersi due volte - il 2 agosto 1939 e il 7 marzo 1940 - a Franklin D. Roosevelt, allora presidente degli Stati Uniti, per spingere quel Paese a intensificare le ricerche (e i relativi finanziamenti) intorno all'uso dell'uranio per fini bellici, così da annullare il rischio che gli scienziati tedeschi, al soldo di Hitler, riuscissero per primi a fabbricare una simile bomba - salvo confessare, a guerra finita: "Se avessi saputo che i tedeschi non sarebbero riusciti a costruire la bomba atomica, non avrei alzato un dito".
Già nel luglio del 1941 - in piena guerra - rispondeva a un altro pacifista che "la forza organizzata si può combattere soltanto con la forza organizzata", pur ammettendo con franchezza che "per quanto ciò mi dispiaccia moltissimo, non c'è altro modo". Ecco un'ulteriore conferma che Einstein non è mai stato un ingenuo visionario, incapace di misurarsi con la terribile realtà di quegli anni. Tant'è vero che all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale, non rinunciava a riconoscere che "fin quando ci saranno gli uomini, ci saranno le guerre" - parole che si ritrovano in un godibilissimo libro-antologia di Einstein, Pensieri di un uomo curioso a cura di Alice Calaprice (Milano, Mondadori, 1997).
Poi, a pochi mesi dalla fine della guerra, intervenendo su "Atlantic Monthly" con l'articolo "Guerra atomica o pace", Einstein aveva posto subito in chiaro che "la scoperta dell'energia atomica non ha creato un nuovo problema, ma ha solo reso urgente la necessità di risolverne uno già esistente". Che voleva dire non già illudersi di cancellare dal mondo il fenomeno bellico, quanto piuttosto affrontare il "nodo" degli Stati nazionali sovrani, che comportano il rischio, sempre incombente, di nuovi contrasti e nuovi scontri.
Sul "New York Times" del 15 settembre 1945 Einstein torna a ribadire che "l'unica salvezza per la civiltà e per la razza umana sta nel creare un Governo mondiale, che fondi sul diritto la salvezza delle nazioni". E dopo pochi mesi, sullo stesso giornale, insiste e aggiunge che "questo Governo mondiale deve essere fondato su una costituzione chiara, approvata dai Governi e dalle nazioni, e deve avere a disposizione l'uso esclusivo delle armi".
Da fermo individualista, Einstein ha sempre diffidato della politica, e soprattutto dello strapotere dei Governi, pur riconoscendo che "un Governo mondiale è preferibile al male, di gran lunga peggiore, rappresentato dalle guerre". E infatti, quando nell'ottobre del 1947 i delegati di cinquantacinque Governi si riuniscono nell'assemblea generale dell'Onu, in una "lettera aperta" preciserà: "Le Nazioni Unite oggi e un Governo mondiale domani devono porsi un unico scopo: la garanzia della sicurezza, della pace e del benessere per tutta l'umanità".
Einstein aveva anche un forte sense of humour, tant'è vero che nell'ultima intervista rilasciata al "New York Times", apparsa postuma il 22 aprile del 1955, a chi gli chiedeva perché si fosse riusciti a scoprire l'atomo, ma non si fosse ancora capaci di trovare i mezzi per controllarlo, aveva risposto: "È semplice, amico mio, perché la politica è più difficile della fisica".
(©L'Osservatore Romano - 2 giugno 2010)


01/06/2010 - ISRAELE - TURCHIA – ONU - Il Consiglio di Sicurezza Onu domanda un’inchiesta sull’attacco alle navi per Gaza - La dichiarazione, votata all’unanimità, è più blanda rispetto alle richieste. La Turchia aveva domandato scuse ufficiali da Israele e la fine del blocco a Gaza. Tel Aviv mostra filmati dove i suoi soldati vengono presi a bastonate. Diversi Paesi europei criticano l’uso eccessivo della forza da parte dei militari israeliani. Quasi 500 attivisti, presenti sulle navi sequestrate, sono stati arrestati ed è impossibile parlare con loro.
New York (AsiaNews/Agenzie) – Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha diffuso una dichiarazione domandando un’inchiesta sul raid israeliano contro la flottiglia di attivisti che volevano forzare il blocco su Gaza. Nel raid – avvenuto in acque internazionali - sono morte almeno 9 persone, ma diversi attivisti parlando di 19 vittime e decine di feriti.
L’inchiesta dovrà essere “veloce, imparziale, credibile e trasparente”. La dichiarazione è di tono molto più blando rispetto alle richieste e ai dibattiti che l’hanno preceduta, ma è stata sottoscritta da all’unanimità. Essa domanda anche la liberazione di tutti i civili arrestati nell'operazione e la libertà per le navi sequestrate dalla marina militare israeliana.
La riunione di emergenza era stata richiesta d’urgenza dalla Turchia, dato che quasi tutte le vittime sono turche. Molti Paesi arabi avrebbero voluto una condanna più forte di Israele e soprattutto l’obbligo a togliere il blocco su Gaza, che dura dal 2007.
Ahmet Davutoglu, ministro turco degli esteri ha definito il raid israeliano un “assassinio compiuto da uno Stato” e ha chiesto le scuse ufficiali di Israele, Oltre all’inchiesta e un’azione legale internazionale contro le autorità di Tel Aviv, egli domandava anche la fine del blocco a Gaza.
Israele è riuscito a dimostrare – attraverso filmati – che alcuni attivisti hanno colpito i suoi soldati con bastoni o sbarre, e che la missione della flottiglia era “tutt’altro che umanitaria”.
Diversi Paesi europei hanno criticato Israele per l’uso eccessivo della forza e hanno domandato un’inchiesta sui fatti. In alcuni Paesi della Ue – fra cui Spagna e Grecia, si sono tenute manifestazioni contro la violenza di Israele. Anche in alcuni Paesi arabi – come in Iraq – vi sono dimostrazioni contro Israele.
Intanto, la flottiglia assaltata è stata condotta ad Ashdod. Circa 480 passeggeri (tutti attivisti pro-palestinesi) sono stati trattenuti in prigione; altri 48 saranno espulsi nella giornata. Altri 45, per la maggior parte turchi, sono stati portati all’ospedale. Sei soldati rimangono anch’essi ricoverati. Il governo ha imposto la censura su tutta l’operazione e non è possibile avvicinare gli attivisti.
I detenuti vengono interrogati dalla polizia. Fra di essi vi è Kamal Khatib, presidente del comitato degli arabi israeliani e Raid Salah, capo della fronda radicale degli arabi israeliani.
Polizia ed esercito di Tsahal rimangono tuttora in allerta contro possibili manifestazioni. Gli arabi israeliani hanno dichiarato per oggi una giornata di sciopero.
Il premier Benjamin Netanyahu ha cancellato una visita a Washington, dove avrebbe incontrato il presidente Barack Obama e dal Canada, dov’era in visita, è ritornato nel Paese.


Israele.net - 02-06-2010 - “Venti fanatici mi hanno scaraventato dal ponte” - Nella prima intervista da quando è stato ferito, lunedì, nel corso del raid per fermare la flottiglia che mirava a forzare il blocco anti-regime di Hamas a Gaza, il capitano R., che guidava il commando calato dall’elicottero sul ponte superiore della nave Marmara, racconta la battaglia che ha avuto luogo sull’imbarcazione. - Secondo R., le persone che erano a bordo della Marmara hanno preso parte a centinaia all’aggressione contro di lui e i suoi soldati, al punto che sono stati costretti a usare le armi per salvarsi la vita.
“Decine di persone pestavano ogni soldato sul tetto della nave – racconta dal suo letto nell’ospedale Rambam di Haifa – Avevano spranghe, asce e coltelli. Io sono stato il secondo a scendere lungo la corda, uno del mio gruppo era già là sotto e ne aveva addosso diversi. All’inizio è stato un corpo a corpo, ma poi ne sono arrivati sempre di più. Mi sono trovato a lottare con un certo numero di fanatici, armati di pugnali e randelli”.
R. dice che i soldati erano preparati ad incontrare una resistenza passiva e magari anche forme di resistenza più violenta, ma certamente non un linciaggio di massa di quella portata. “Sapevamo che erano attivisti pacifisti – dice – Sebbene volessero forzare il blocco su Gaza, pensavamo che avrebbero opposto una resistenza passiva, magari anche forme di aggressione verbale: non ci aspettavamo nulla del genere. Erano tutti determinati ad ucciderci. Ci siamo trovati di fronte dei terroristi fanatici decisi ad ucciderci e abbiamo fatto tutto il possibile per evitare danni inutili”.
R. dice che almeno tre quarti di quelli che erano a bordo della nave hanno fatto ricorso alla violenza, “ciascuno con un coltello o una spranga in mano”.
R. è il soldato che è stato scaraventato dal ponte, come si vede distintamente in un filmato messo a disposizione dalle Forze di Difesa israeliane. “Mi trovavo davanti a un gruppo di persone armate di coltelli e spranghe. Ho armato il fucile quando ho visto che uno di loro stava venendo verso di me brandendo un pugnale e ho sparato un colpo. Allora una ventina di altri mi sono venuti addosso da ogni direzione e io mi hanno buttato sul ponte di sotto. A quel punto ho sentito una stilettata nello stomaco. Era un coltello. Sono riuscito a estrarre la lama, poi in qualche modo ho raggiunto il ponte inferiore, dove ce n’erano altri ancora. Questo avveniva quando i soldati avevano preso il controllo della nave eccetto il ponte inferiore. Io e un altro soldato siamo riusciti a districarci in tempo e a buttarci nell’acqua, dove poi le nostre forze ci hanno raccolto. Un altro soldato è stato pestato fino a perdere conoscenza. Altri hanno dovuto dargli copertura, finché siamo riusciti a tirarlo fuori di là.
Nonostante il tragico risultato, il capitano R. ritiene che i suoi soldati si siano comporti in modo legittimo. “Abbiamo operato bene – conclude – secondo quanto ci è stato insegnato e nel rispetto dei valori che ci sono stati instillati: abbiamo usato le armi solo contro coloro che minacciavano la nostra vita, solo in quel caso abbiamo sparato”.
(Da: YnetNews, Ha’aretz, 1.6.10)


Israele.net - 01-06-2010 - Video: i “pacifisti” pestano i soldati scesi a mani nude sulla Marmara
In un filmato diffuso lunedì dalle Forze di Difesa israeliane, relativo all’ abbordaggio dei soldati israeliani della nave Mavi Marmara, si vedono gli attivisti “pacifisti” che pestano selvaggiamente i primi soldati scesi con le funi da un elicottero senza alcuna atteggiamento aggressivo. Nel video si vede anche un soldato che viene afferrato da alcuni “pacifisti” e scaraventato su ponte sottostante, restando gravemente ferito, mentre altri loro compagni continuano a picchiare brutalmente i soldati.
“Abbiamo avuto una sensazione di rivivere il linciaggio di Ramallah” hanno raccontato alcuni soldati, facendo riferimento ai due riservisti disarmati che nell’ottobre 2000 vennero ammazzati di botte e gettati dalla finestra da una folla di poliziotti e civili palestinesi a Ramallah, sotto l’occhio delle telecamere.
“Ognuno di noi, appena sceso dall’elicottero – racconta uno dei soldati riamasti feriti – veniva circondato da tre o quattro di loro che lo afferravano e semplicemente si davano a pestarlo all’impazzata. Ci stavano linciando, erano muniti di coltelli, sbarre di ferro, fionde, bottiglie rotte. A un certo punto ci sono stati anche degli spari. Io sono stato uno degli ultimi a scendere – continua il soldato israeliano – e ho visto i miei compagni separati, in giro per il ponte, ciascuno isolato in un angolo con tre o quattro di loro addosso. Ho visto un soldato per terra con due che lo pestavano selvaggiamente. Ho cercato di allontanarli a spintoni e loro si sono rivolti contro di me, e hanno iniziato a picchiarmi con le spranghe. Deve essere lì che mi hanno rotto le ossa di una mano. In quel momento non impugnavo un’arma: come tutti i soldati che erano scesi con me lungo la corda, eravamo a mani nude con i nostri fucili a proiettili di vernice [un’arma non letale antisommossa] sulle spalle. Mi sono venuti addosso, li ho spinti per terra, ho fatto qualche passo indietro e mi sono tolto dalle spalle il fucile a proiettili di vernice. Mentre cercavo di sparargli alle gambe mi sono tornati addosso. Uno dei colpi di mazza ha spaccato il mio fucile, così ho impugnato la pistola, per non essere totalmente disarmato. Il mio braccio era già inservibile, e vedevo due miei compagni stesi a terra. A quel punto ci stavano anche sparando addosso con armi da fuoco, dal corridoio. Erano proiettili. Ho visto una canna spuntare da là e uno di noi ha sparato in quella direzione. Gli siamo corsi dietro ma non c’era più. Erano almeno in trenta – conclude il soldato – Sono chiaramente venuti per fare la guerra. Noi eravamo stati mandati a parlare con loro, a cercare di convincerli a scendere, ma ognuno di noi è stato selvaggiamente aggredito”.
(Da: YnetNews, 31.5.10)


Il Santo Rosario e il Dragone - Carlo Di Pietro – dal sito pontifex.roma.it
"Figli prediletti, nella battaglia in cui ogni giorno siete impegnati contro Satana e contro il potente esercito del Male, oltre all'aiuto speciale che vi danno gli Angeli del Signore, avete bisogno di usare un'arma sicura e invincibile: quest'arma è la vostra preghiera. Con la preghiera voi potete sempre liberare un numero immenso di anime che Satana è riuscito a far prigioniere. La preghiera che lo prediligo è il Santo Rosario. Per questo, nelle mie numerose appa-rizioni, lo invito sempre a recitarlo, mi unisco a coloro che lo dicono, lo domando a tutti con ansia e preoccupazione materna. Perché il Santo Rosario è così efficace? Perché è una preghiera semplice, umile e vi forma spiritualmente alla piccolezza e alla semplicità di cuore. Oggi Satana riesce a conquistare ogni cosa con lo spirito di superbia e di ribellione a Dio e ha terrore di coloro che seguono la vostra Mamma Celeste sulla strada della piccolezza ... e dell'umiltà. Mentre questa preghiera è disprezzata dai grandi e dai superbi, essa viene recitata, con tanto amore e con tanta gioia dagli umili e dai fedeli che hanno accolto il mio invito.

La superbia di Satana sarà ancora vinta dall'umiltà dei piccoli e il Dragone rosso si sentirà definitivamente umiliato e sconfitto quanto lo lo legherò non servendomi di una grossa catena, ma di una fragilissima corda: quella del Santo Rosario.

E' una preghiera che voi fate insieme con Me. Quando mi invitate a pregare per voi, lo esaudisco la vostra domanda e associo la mia voce alla vostra, unisco la mia alla vostra preghiera. Essa diventa perciò sempre più efficace, Perché la vostra Mamma Celeste è la onnipotenza supplice. Quando io domando sempre ottengo, Perché Gesù non può mai dire di no a quanto gli chiede sua Madre.

Con la contemplazione dei suoi misteri, venite a comprendere il disegno di Gesù che si delinea in tutta la sua vita, dall'Incarnazione al compimento della sua Pasqua gloriosa e così penetrate sempre più nel mistero della Redenzione.

Col Rosario venite formati alla perfetta Gloria del Padre, attraverso la frequente ripetizione della preghiera che Gesù vi ha insegnato: "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo Nome, venga il tuo Regno". Venite pure formati alla perenne adorazione della Santissima Trinità con la recita del "Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo".

La vostra Mamma Celeste oggi vi domanda dì usare il Santo Rosario come l'arma più efficace per combattere la grande battaglia agli ordini della "Donna vestita di sole". Allora il potente Dragone rosso sarà tutto legato da questa catena, il suo margine di azione diventerà sempre più ridotto e alla fine potrà essere reso impotente e inoffensivo. Apparirà a tutti il miracolo del trionfo del mio Cuore Immacolato " {La Madonna a don S. Gobbi, il 7/10/1983) [Tratto da un testo di Don Pasqualino Fusco]
Carlo Di Pietro


Avvenire.it, 31 Maggio 2010 - GLI 80 ANNI DELLA STAR - La doppia vita di Clint che solo Welles intuì - Ilario Lombardo
Il biglietto da visita glielo confezionò niente di meno che Orson Welles. «Credo che Clint Eastwood sia oggi il regista più sottovalutato del pianeta». Mica male portare in dote un elogio del genere da un genio del cinema. Tra l’altro in tempi non sospetti. Il vecchio Clint aveva quarant’anni, e una carriera da stereotipo. Faccia ingrugnita, sigaro che si muoveva di qua e di là nella smorfia dei denti, poncho e una strada polverosa. Oppure: abito grigio, capelli cotonati, sempre col broncio, Magnum facile, una metropoli e modi spicci. Lo straniero e l’ispettore Callaghan.

Due facce dello stesso mito. Quattro film da regista, di cui uno, Lo straniero senza nome, un esercizio di stile sul personaggio che lo lanciò nella famosa trilogia del dollaro. Ma l’ingombrante Welles aveva già capito tutto, e in quella storica frase disse ancora «essendo una star e un simbolo alla John Wayne non lo prendono sul serio dietro alla macchina da presa, così come accade per le belle ragazze marchiate come incapaci di recitare per la loro avvenenza.

Dopo aver visto per la quarta volta Il texano dagli occhi di ghiaccio sono sicuro che appartenga alla categoria dei grandi western, la stessa di Ford e di Hawks. E io, Orson Welles, mi tolgo il cappello». Il cappello, appunto. Si diceva di Eastwood, con un aforisma bruciante: «Ha solo due espressioni. Con il cappello e senza il cappello». Il riferimento era al cowboy immortalato dagli zoom di Sergio Leone. Ora, passati trent’anni, la profezia di Welles è compiuta. All’alba dei suoi ottanta Clint Eastwood è uno dei più grandi, se non il più grande regista vivente. Nella storia sarà ricordato più dietro alla macchina da presa che davanti. Ormai Clint Eastwood è una leggenda, e dal Texano cui prestò i suoi occhi «di ghiaccio», sono passati più di trent’anni e 27 film. Negli ultimi venti anni bellissimi, negli ultimi dieci molti capolavori. Con qualche gemma preziosa anche negli anni precedenti. Tutti comunque segnati da una capacità visiva e narrativa unica. Eastwood ha osservato e rubato l’arte ai suoi maestri, Leone e Don Siegel su tutti. Seguendo ancora la bussola di Welles: i suoi film hanno la misura epica dei classici, come un Ford o un Hawks, appunto, e per questo sono modernissimi. Senza tempo: inquadrature secche, forma asciutta e rigore. Ma con dentro una tale densità di storie e vissuti e personaggi e pensiero da lasciare molto spesso senza fiato.

Più è invecchiato più Eastwood è entrato nel cuore del cinema. Senza un genere prediletto, che non sia la vita. E l’America con le sue contraddizioni, le sue miserie e il suo eroismo, fatti di gloria e di fallimenti. Il suo sguardo è morale, ogni film, ogni storia è una discesa verso gli archetipi della Grande Storia Americana. Il mito della frontiera in frantumi (Gli Spietati, primo Oscar, nel 1990), la fuga folle dal Sogno consumistico (Un mondo perfetto), la verità fatta a pezzi per la Ragion di Stato (il dittico Flags of our Fathers e Lettere da Iwo Jima), la vendetta (in tanti film, ma su tutti Mystic River), la voglia di lottare, la malattia e il fine vita (The Million Dollar Baby, altri due Oscar personali), la guerra che è in casa prima di essere esportata, con tutti i suoi risvolti interraziali nel melting pot Usa (Gran Torino).

Poi c’è l’amore per la musica, che lo ha portato a comporre molte colonne sonore dei propri film, anche assieme al figlio Kyle: il jazz, la sua grande passione, espressa nella regia dello straziante Bird del 1988, sulla vita di Charlie Parker. Lo sport: dal pugilato che diventa sfida esistenziale al rugby trasformato in missione politica. «Umana», dirà Nelson Mandela/Morgan Freeman in Invictus. Aggettivo che dice tutto dell’autore: l’ultimo umanista che racconta senza giudicare, ma non rinunciando mai al proprio spessore. È già al lavoro dopo aver completato Hereafter, thriller soprannaturale in uscita tra qualche mese. Ottant’anni domani, e ancora la voglia di sperimentare, passare da un genere a un altro, sempre a suo agio, come se stesse aggiustando un tubo da un perdita, anziché girando l’ennesimo capolavoro. Dopotutto è stato lui a dire «fare film è un arte, ma anche l’idraulica lo è». A ciascuno la sua parte nel mondo.
Ilario Lombardo


polemica - Quando la biologia ha a che fare con Frankenstein - DI FRANCESCO GRIANTI - Il batterio con Dna sintetico è un’utile occasione per chiarire la differenza tra avanzamento tecnologico e scientifico – Avvenire, 2 giugno 2010
V i ricordate i primi film su Frankenstein impersonato da Boris Karloff, dove lo scienziato prendeva pezzi di cadavere, li ricuciva insieme e volendo poi dar vita al nuovo supercadavere 'Ikea' gli spediva nelle orecchie una scarica elettrica così forte, questa sì, da svegliare un morto? E su bito dopo con movimenti robotici Frankenstein si alzava dal suo lettino per andare a commettere i suoi delitti dato che gli mancava un pezzo fondamenta le, l’anima, che nessuno scienziato riu scirà mai a riprodurre? Elena Dusi, di Repubblica, ha riportato la parole di Venter di due anni fa: «Sto per creare un essere vivente sintetico». Ma qui Venter avrebbe dovuto dire: «Sto per realizzare un essere vivente dotato di un Dna sintetico». Infatti ciò che ha realiz zato non è un intero batterio sintetico, ma un batterio a cui è stato sostituito il suo originario Dna con uno identico rea lizzato sinteticamente in laboratorio. Fin qui sarebbe solo una grande scoperta tecnologica e non scientifica, perché le scoperte scientifiche sono le scoperte delle leggi con cui è costruito e organiz zato questo universo. La scoperta della ruota o del fuoco non sono scoperte scientifiche, ma scoperte tecnologiche che potevano fare anche gli animali. La differenza tra l’essere umano e l’anima le sta proprio nel carpire le leggi della natura, il logos immateriale che ci per mette di andare nello spazio conoscen do la legge di gravità senza averne do vuto fare prima esperienza sensibile. Og gi i nostri sensi, così come al Cern ed in qualsiasi campo scientifico, sono i sofi sticatissimi strumenti tecnologici di cui sono dotati i grandi laboratori. Ma la par te scientifica nella scoperta di Craig Ven ter dovrebbe essere quella sottolineata dalla Dusi, quando riporta le parole dei suoi collaboratori: «... quando parlano della loro difficoltà principale, gli scien­ziati di Rockville citano proprio 'l’ac censione dell’interruttore'», cioè il col­legamento che permette al batterio svuotato del suo Dna originario di in­nescare i processi riproduttivi seguendo il programma scritto nel Dna sintetico. Se è stata trovata questa legge allora si tratta di scoperta scientifica e non solo tecnologica, ma di questo non se ne par la. Ma se si vuol fare informazione è be ne che tutti sappiano, anche i più igno ranti in materia, che il Dna non é la vi ta, il Dna è solo il programma con cui la vita si manifesta nella sua infinità di for me. Ma quelle quattro bottiglie di cui parla la Dusi: «È partito da quattro bot tiglie di sostanze chimiche. Le ha me scolate in laboratorio e ha creato quella che è stata definita la prima 'vita artifi ciale'. Craig Venter, il controverso scien ziato americano che da vent’anni lavo ra smontando e rimontando i 'mattoni' del Dna, lo aveva annunciato due anni fa: 'Sto per creare un essere vivente sin tetico'. Ieri lo ha fatto davvero», innan zitutto non contengono sostanze chi miche, bensì le quattro basi del Dna (i mattoni) C, G, T e A; e come le ha otte nute Venter, partendo da atomi inani mati o spezzettandole da Dna preesi stenti? E la parte di batterio svuotato mentre attendeva di essere riempito dal Dna sintetico era mantenuto in condi zioni di 'vita' o era già 'morto'? Per po ter dire che il soffio vitale è in mano al l’uomo occorre partire da materia di sgregata ed inanimata per costruire un essere vivente anche come un solo bat terio. Fino ad allora costruiremo sem pre dei microFrankenstein sicuramen te utili all’umanità tutta, ma dove anco ra una volta sarà sempre l’uomo a deci dere come usare i frutti dell’albero del la scienza del Bene e del Male, sapendo comunque che per lui, come per qual­siasi essere dell’Universo, è impossibile raggiungere l’immortalità.