sabato 26 giugno 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Medjugorje - Messaggio, 25. giugno 2010 – “Cari figli, con gioia vi invito tutti a vivere i miei messaggi con gioia, soltanto così figlioli, potrete essere più vicini al mio Figlio. Io desidero guidarvi tutti soltanto a Lui e in Lui troverete la vera pace e la vera gioia del vostro cuore. Vi benedico tutti e vi amo con amore immenso. Grazie per aver risposto alla mia chiamata."
2) Avvenire.it, 26 giugno 2010 - Da Londra testi ambigui e sconcertanti - Cancellano il dolore e la vita nascente - Carlo Bellieni
3) IL BLITZ NELLA CATTEDRALE BELGA - OLTRAGGIO CHE NULLA RIPARA E MOLTO SVELA - MARINA CORRADI – Avvenire, 26 giugno 2010
4) In Belgio: eccesso di zelo o vergognosa arroganza del potere? - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 26 giugno 2010
5) Non c'è filosofia più libera e ardita di quella del teologo Tommaso - Penso, agisco e posso anche morire perché prima di tutto sono - di Inos Biffi - (©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2010)
6) Contro la politica di respingimento degli ebrei negli anni Quaranta - Ventidue ragazzine sfidarono la Svizzera - un'anticipazione tratta dal numero in uscita di "Pagine ebraiche", il mensile dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane diretto da Guido Vitale. L'articolo è stato scritto in occasione dell'uscita del libro di Silvana Calvo A un passo dalla salvezza (Torino, Silvio Zamorani editore, pagine 289, euro 28). - di Anna Segre - (©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2010)
7) Al museo dei Cavalieri di Colombo nel Connecticut la mostra sulla beata Madre Teresa continua a stupire il mondo - di Bridget Gabrielle Hylak - (©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2010)
8) Avvenire.it, 26 Giugnio 2010 - IL CASO - L'Europa vuole una Collina senza croci? - Lorenzo Fazzini
9) Berlino «apre» all’eutanasia - Sospesero l’alimentazione a paziente in stato vegetativo: assolti - DI LORENZO SCHOEPFLIN – Avvenire, 26 giugno 2010


Avvenire.it, 26 giugno 2010 - Da Londra testi ambigui e sconcertanti - Cancellano il dolore e la vita nascente - Carlo Bellieni
L’Associazione dei ginecologi e ostetrici inglesi ha pubblicato due documenti che faranno discutere, riguardanti la sensibilità del feto in utero e la discrezionalità delle decisioni sulle interruzioni di gravidanza in caso di malformazione fetale. Il primo, intitolato Fetal awareness (coscienza fetale), mette in dubbio che il feto senta dolore prima delle 24 settimane di gestazione per la mancanza di connessioni nervose con la corteccia cerebrale e arriva a sostenere che in tutta la gravidanza «non sperimenta mai uno stato di vera veglia ed è tenuto dal contenuto chimico dell’utero in uno stato di incoscienza o sedazione».

Già questa è un’affermazione preoccupante, proprio mentre si sta esplorando e capendo molto delle sensazioni dei soggetti in stato vegetativo e si comprende che per provare dolore non è necessaria l’attivazione della corteccia, ma solo del sottostante nucleo di cellule dette "talamo": Su questo punto è molto chiaro quanto afferma, sulla rivista ufficiale della Società degli studi sul dolore (Iasp), Sunny Anand, maggior esperto mondiale di dolore fetale.

La convinzione che il feto umano sia in uno stato di continuo sonno viene inoltre contraddetta dall’osservazione e da vari studi scientifici che, sulle riviste specializzate, hanno descritto approfonditamente le reazioni di fuga, di sobbalzo e spavento e perfino il pianto del feto in utero.

Se poi bastasse il calore e l’adenosina del liquido amniotico per anestetizzare il feto fino alla nascita, bisognerebbe domandarsi perché nessuno li usa per anestetizzare i neonati durante gli interventi chirurgici che li riguardano. Oltretutto, se fosse vero che i piccoli non avvertono dolore fino alle 24 settimane, non avremmo più motivo di anestetizzare i prematuri se sono più piccoli di quell’età: ma loro gradirebbero? È forse allora il caso di ricordare che, nello scorso marzo, in Nebraska è stato abbassato a 20 settimane il limite legale per l’aborto, proprio per l’evidenza che il feto da quel momento in poi percepisce, senza dubbio, il dolore.

L’altro documento, intitolato «Aborto per anomalia fetale», dà indicazioni per certi versi contrastanti. Sottolinea che la sopravvivenza a 22 settimane di gestazione diventa sempre più comune e se un feto sopravvive all’aborto dopo 21 settimane e 6 giorni va rianimato (per inciso, osserviamo che, nel 2008, ben 124 gravidanze sono state interrotte dopo la 24ª settimana). Ma il documento appoggia anche il «feticidio», cioè l’uccisione del feto col cloruro di potassio dentro l’utero per evitare che nasca vivo.

Una drammatica contraddizione: è l’aria che entra nei polmoni che rende sacra la vita? Purtroppo, però, anche questo documento stilato dai ginecologi e ostetrici d’Oltremanica delude un’attesa: quella di chi richiedeva che si esprimesse esplicitamente, mettendo dei paletti, su cosa si intende con le espresioni «grave handicap» e «rischio serio», requisiti che in Inghilterra sono alla base dell’autorizzazione all’aborto, cosa che può lasciare una discrezionalità tale da rasentare la deriva, fino a giustificare – come illustra il documento – l’aborto per condizioni operabili quali le lesioni al palato. Siamo dunque in presenza di testi con seri limiti.

E forse quello maggiore sta in ciò che non dicono: perché stilare raccomandazioni sulle tecniche abortive fa sentire sempre più la mancanza di un altrettanto importante impegno per la prevenzione dell’aborto. Alle donne andrebbero offerte tutte le vie per vivere una gravidanza serena, anche quando si prospetta difficile, mentre il mondo occidentale si prodiga soprattutto in istruzioni per il fine vita.
Carlo Bellieni


IL BLITZ NELLA CATTEDRALE BELGA - OLTRAGGIO CHE NULLA RIPARA E MOLTO SVELA - MARINA CORRADI – Avvenire, 26 giugno 2010
Un blitz nella cripta di una catte drale, come fosse il cuore di una organizzazione criminale. Forzare le tombe di due vescovi, violarne i se polcri cercando segreti dossier – che però non ci sono. Ha il sapore di un film di Dan Brown quello che è suc cesso a Mechelen, in Belgio. Nell’am bito di una inchiesta su casi di pedo filia nella Chiesa belga un giudice ha ordinato interrogatori di vescovi, e se questri di dossier, e anche la perqui sizione nella cattedrale, capolavoro duecentesco che da secoli è il simbo lo della città vicina a Bruxelles.

Non è in discussione la liceità delle indagini, né l’esigenza di arrivare al la verità, se abusi ci sono stati: da me si il Papa insiste sulla necessità di ri­parare al male fatto. Fatto anche in Belgio. Da singoli uomini. Ma in que sto blitz in cattedrale, nella violazio ne delle tombe di due arcivesco vi della diocesi di Bruxelles, si legge qualcosa che va oltre la le gittima esigenza di giustizia. Era davvero neces sario arrivare, come ha scritto la stampa belga, con i martelli pneumatici in u na cripta mor tuaria? E non as sume invece, un simile assalto, un va lore simbolico, il segno di una voglia di attaccare la Chiesa nella sua tota lità?

'Operazione Chiesa', è il nome della inchiesta della magistratura belga, ed è un nome significativo. Un nome che indica il bersaglio. Non i singoli col pevoli, ma 'la' Chiesa. E non tanto per le colpe terribili e odiose di alcu ni suoi ministri, quanto per ciò che la Chiesa stessa rappresenta, per ciò che 'è'. C’è l’eco, in quel blitz sulle tom be, di un redde rationem, di un ren dimento di conti con la pretesa origi naria della Chiesa: cioè di portare Cri sto, e la sua verità. Che fastidiosa mente, e più che mai in un Paese se colarizzato come il Belgio, cozza con tro la cultura dominante e il suo ido lo – l’Io vezzeggiato, libero da ogni leg ge che non sia la sua. Non si spiega altrimenti la brutalità e la voluta vistosità di questa incursio ne. Come se si volesse colpire proprio al cuore. Di chiese aggredite nella sto ria ce ne sono state tante, e con ben altra distruttività. In rivoluzioni e tra gedie imparagonabili a questo picco lo blitz di un giudice, incursione le gale, protetta dai timbri di un ordine di perquisizione. E tuttavia, violare tombe di cardinali in una cattedrale, pur con i crismi della legge, è un ge sto che sa di violenza. Cogliendo la circostanza tragica degli abusi pedo fili, colpire non i colpevoli, ma mira re al cuore. Al cuore, nelle viscere di una quelle splendenti cattedrali che costellano le nostre città d’Europa. A osservarle dall’alto, appaiono come il centro di una ragnatela di case, di storie, di uo mini. Come radici, quei colossi di marmi, della città attorno; e madri, cui comunque anche da lontano, o col ricordo, si ritorna. Segni di pietra delle origini del nostro vivere in co munità.

Per questo il blitz di un giudice sco nosciuto in una piccola città lontana addolora. Quella chiesa è un cuore. Alla gente è stato detto, in un meta­linguaggio trasparente, che il cuore comune è depositario forse di vergo gnosi segreti. Lo si è forzato, violato, per cercarli. E anche se niente è sta to trovato il senso di una profanazio ne rimane, insieme agli indimostrati ma angosciosi dubbi seminati; come se proprio la radice di quella città, di quel popolo si volesse incrinare.


In Belgio: eccesso di zelo o vergognosa arroganza del potere? - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 26 giugno 2010
Come noto in Belgio, nella diocesi Malines-Bruxelles, mentre la Conferenza Episcopale era riunita, trenta poliziotti hanno occupato l’Arcivescovado, tenendo i Vescovi in stato di fermo per sei ore, requisendo tutti cellulari, per effettuare una perquisizione alla ricerca di riscontri di una Commissione indipendente, voluta dalla Chiesa e in essere da 10 anni, ed ora incaricata dal Primate Monsignor Leonard per indagare su casi di pedofilia. I poliziotti hanno requisito tutti i 475 dossier, in corso di istruttoria, che, sia chiaro, nessuno, neppure la Magistratura può impedire alla Chiesa di svolgere.
Trattandosi di una commissione indipendente, ripetiamo voluta dalla Chiesa, sarebbe stato sufficiente chiedere gli atti. La polizia ha agito su mandato dei Magistrati inquirenti che hanno inteso negare alla Commissione il diritto di decidere sulla rilevanza penale delle denunce, e si sono riappropriati di una competenza che lo Stato non poteva delegare a un gruppo nominato dalla Chiesa. Il cristiano democratico fiammingo Stefaan De Clerck, Ministro della Giustizia, aveva emesso una circolare in cui si cercava di organizzare una sorta di collaborazione fra le Procure e la Commissione. Per ricercare documenti, sempre su mandato della Magistratura, la Polizia, durante il blitz di ieri, oltre a perquisire l'Arcivescovado, ha violato la cripta della cattedrale Saint Rombout a Mechelen, alla ricerca di presunti dossier. Secondo quanto riferiscono i giornali belgi, i poliziotti, dopo aver interrogato alti prelati, sono scesi nella cripta alla ricerca di documenti. Gli agenti avrebbero utilizzato anche martelli pneumatici senza però trovare alcun dossier, ma profanando le tombe. Oltre ai riscontri dei lavori della Commissione, sembra cercassero le prove del coinvolgimento di Sua Eminenza il Cardinal Godfried Danneels. Dopo l'Arcivescovado, è stata perquisita anche l’abitazione del Cardinale, che non è stato interrogato ma, secondo quanto confermato dal suo portavoce, gli inquirenti hanno sequestrato il suo computer.
Immediata e durissima la reazione della Santa Sede; Sua Eccellenza Monsignor Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana ha convocato Charles Ghislain, Ambasciatore del Belgio per esprimergli «il proprio sdegno per le modalità con le quali sono state effettuate le perquisizioni in particolare per la violazione delle tombe dei Cardinali Jozef-Ernest Van Roey e Leon-Joseph Suenens, defunti Arcivescovi di Malines-Bruxelles.»
Il primo Ministro belga Yves Le terme, Membro dei Cristiani Democratici e Fiamminghi, ha respinto al mittente le dichiarazioni della Santa Sede, affermando che si tratta di ambiti diversi, la Chiesa e la Magistratura, e questa ha tutto il diritto di indagare.
Monsignor Leonard ha parlato del diritto della Magistratura di indagare, ma di eccesso di zelo. Più che di eccesso di zelo credo sia corretto parlare di vergognosa arroganza del potere della Magistratura e del Primo Ministro belga, succubi di un laicismo ottuso e vendicativo. Non è un caso che a Bruxelles, una delle Capitali dell’Unione Europea, sia particolarmente attiva e forte una Massoneria agguerrita contro la Chiesa, che contrabbanda il proprio astio come laicità.
Tutto ciò è esacerbato dalla consapevolezza della fondatezza di alcune accuse, e della necessità di fare chiarezza per scongiurarne il ripetersi. «Vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia…» Il dramma sta nel fatto che riferendosi ad alcuni fatti non mentono; mentono però volendo suggerire che tutta la Chiesa sia come la descrivono loro! Loro che non intendono ricercare la verità in nome della giustizia, ma umiliare con l’arroganza del potere.


Non c'è filosofia più libera e ardita di quella del teologo Tommaso - Penso, agisco e posso anche morire perché prima di tutto sono - di Inos Biffi - (©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2010)
Non ogni filosofia conviene alla teologia. Ma la conseguenza di questo non è che il teologo per dedicarsi alla sacra doctrina debba prima scegliere una determinata filosofia, da applicare poi all'intelligenza della fede, anche se, avviando questa intelligenza, già dispone normalmente di una filosofia. Se ci si propone la professione teologica, l'officium sapientis, come lo chiama Tommaso d'Aquino, si parte anzitutto e da subito con l'ascolto della Parola di Dio, accolta nella fede, ed esattamente non al fine di averne una comprensione "razionale".
Definire la teologia come la comprensione "razionale" della fede è impreciso e improprio, se non errato. Certo, la teologia si propone l'intellectus fidei, ma collocando l'intelletto, se così si può dire, dalla parte della Rivelazione o dal lato della "scienza divina".
Essa non si prefigge di inserire il mistero nei confini della ratio, per poterlo capire, quanto invece di attrarre la ratio e, per così dire, di dilatarne gli spazi e di incrementarne le risorse. San Tommaso, citando Paolo (2 Corinzi, 10, 5), parla di sottomissione dell'intelletto all'obbedienza di Cristo (Summa Theologiae, i, 1, 8, 2m).
Senonché, questa attività dell'intelletto all'interno della fede, suscitando e animando il pensiero, induce a ricorrere ai principi, alle strutture e alle esigenze del pensare stesso, e in questo senso comporta un far filosofia, non però in esercizio filosofico, ma teologico. Si pensi a quanto il proposito di "comprendere" il mistero trinitario o la transustanziazione eucaristica ha stimolato e raffinato le categorie filosofiche.
Quella del teologo è una filosofia, che viene esercitata o che addirittura sorge e si istituisce nel suo impegno di pensare la fede. Non per questo, tuttavia, la filosofia del teologo cessa di essere filosofia, risultandone "alterata" e perdendo la sua specificità filosofica. Fosse così, non avremmo più l'"intelletto" della fede. È di Tommaso la distinzione tra "specificazione" ed "esercizio" (Summa Theologiae, i-ii, 10, 2, c.).
Lo stesso Angelico, svolgendo il suo intento teologico, elabora la filosofia della creazione, inducendo Aristotele, che non l'aveva insegnata, a "insegnarla", in perfetta coerenza con la sua dottrina relativa all'"essere". Le prime questioni della Prima Pars della Somma di Teologia sono splendide e, se non l'Aristotele "storico", l'Aristotele compiutamente "vero" non potrebbe non compiacersene ed essere grato che sui suoi fondamenti, sempre applicando la ragione, si sia potuto giungere a tali altezze.
Lasciando trasparire una profonda, anche se come sempre contenuta, emozione, ancora Tommaso definirà la coincidenza tra l'essere e l'essenza di Dio una "Verità sublime" (Summa contra Gentiles, i, 22, n. 10), ampiamente dimostrata con la ragione e insieme rivelata a Mosè, il quale la imparò da Dio, quando alla sua domanda si sentì rispondere che "il suo nome era Colui che è".
Scrive, al riguardo, Étienne Gilson in Le thomisme: "San Tommaso ha pensato che Dio aveva rivelato agli uomini che la sua essenza è quella di esistere. Tommaso non è prodigo di epiteti. Mai filosofo ha ceduto meno alla tentazione dell'eloquenza. Questa volta tuttavia, vedendo questi due fasci di luce convergere al punto da confondersi, non ha potuto trattenere una parola di ammirazione per la strabiliante verità che scaturisce dal loro incontro. Questa verità san Tommaso l'ha salutata con un titolo che la esalta al di sopra di tutte: l'essenza di Dio". "Felici le filosofie pagane - esclama Gilson in Le philosophe et la théologie - che una teologia tutelare ha condotto di là dal termine della loro corsa".
Sempre, poi, esercitando l'intelletto nel corso della riflessione sulla fede, il teologo può essere indotto a diventare un critico della filosofia stessa. Non potrebbe, infatti, non rifiutare una forma di pensiero che nei suoi principi o nei suoi sviluppi contraddicesse o alterasse il contenuto della Rivelazione. Il teologo non è disponibile a qualsiasi filosofia. Così, immediatamente per ragioni teologiche egli non potrebbe, ad esempio, condividere e assumere una filosofia di tipo idealistico o kantiano: questo dissolverebbe o snaturerebbe la fede, e impedirebbe di pensarla realmente. Non solo. Questo rigetto teologicamente motivato induce non di rado chi pensa la fede - e così è avvenuto storicamente: come nel caso della questione sull'"unità dell'intelletto" - a considerazioni di tipo specificamente filosofico, e quindi a mostrare le incongruenze di una teoria dal profilo razionale.
D'altra parte, il teologo, svolgendo una tale critica all'interno dell'esercizio della teologia, in concreto non lascia il suo campo e il suo interesse teologico. Non passa, come avrebbero detto i medievali, dalla facoltà di teologia a quella delle "arti": l'intento del suo procedimento rimane quello di salvaguardare e di pensare i dogmi di fede. Non diviene per questo formalmente un "filosofo".
Gilson parlava in tal caso - e a mio avviso in modo pertinente, se bene ci si intende - di "filosofia cristiana": non perché fosse cristiana quanto a "specificazione", ma perché cristiano era il suo "esercizio" e la sua "finalità". Il risultato e il vantaggio in tale caso è una specie di gioiosa "luminosità" delle verità rivelate. Un "intelletto" che si trova tra la fede e la "visione" (species), direbbe sant'Anselmo, che si spinge fino a parlare, crederei imprudentemente, di "ragione necessaria".
È anche possibile, e potrebbe essere utile, "raccogliere", evidenziare e disporre secondo un ordine filosofico le risorse razionali raggiunte ed emerse grazie al lavoro di intelligenza della fede. È stato fatto, forse non sempre con la necessaria attenzione e la debita finezza, e non senza aspre critiche dello stesso Gilson, che d'altronde sempre in Le philosophe et la théologie scrive: "Il teologo, in quanto teologo, non fa della filosofia; il suo intento ultimo non è mai quello di produrne, ma ne usa, e, se non trova già fatta quella di cui ha bisogno, la produce al fine di poterne usare".
Ma lasciamo questo, per domandarci di quale filosofia o di quale forma di pensiero occorre disporre per poter fare teologia. Potremmo enunciarlo in breve: alla teologia occorre una filosofia che riconosca e non fraintenda il valore e la figura della metafisica.
Se non si riconosce il primato dell'essere, dei suoi principi; se si sostituisce un tale primato con quello dell'azione, del desiderio o dell'intuizione affettiva; se si afferma che all'inizio sta l'"esistenza" aperta, indefinibile e quindi in se stessa priva di un'oggettiva essenza o natura, che comparirebbe, in ogni caso, soltanto in seguito, semplicemente non si può fare teologia, perché sarebbe impossibile pensare.
Vengono in mente due limpidi testi di san Tommaso, in accordo con Aristotele: "L'essere di una cosa, non la sua verità, causa la verità dell'intelletto" (Summa Theologiae, i, 16, 1, 3m); e: "Ogni cosa è conoscibile nella misura in cui partecipa dell'essere" (ibid., 3, c.). Non è il caso di ricordare che la perdita del senso del ridicolo è arrivata a far parlare della "morte" di Dio o di Dio senza l'essere.
Da parte sua - lo osserva Maritain in Le docteur angélique - Tommaso è "andato diritto all'esse" e, "perché teologo, ha avuto cura di scegliere, e di scegliere bene, il suo filosofo", Aristotele, che ha però rifatto "da capo a piedi", diventando "apostolo dell'intelligenza, dottore della verità, restauratore dell'ordine intellettuale".
È il motivo per cui Gilson può affermare, ancora nel citato Le philosophe et la théologie: "Non conosco una teologia più libera e più ardita di quella di san Tommaso".
(©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2010)


Contro la politica di respingimento degli ebrei negli anni Quaranta - Ventidue ragazzine sfidarono la Svizzera - un'anticipazione tratta dal numero in uscita di "Pagine ebraiche", il mensile dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane diretto da Guido Vitale. L'articolo è stato scritto in occasione dell'uscita del libro di Silvana Calvo A un passo dalla salvezza (Torino, Silvio Zamorani editore, pagine 289, euro 28). - di Anna Segre - (©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2010)
"Egregi Signori Consiglieri Federali, Non possiamo fare a meno di dirvi che noi alunne siamo profondamente indignate che i profughi vengano ricacciati così spietatamente verso una sorte tragica (...) Se continueremo così, possiamo essere certi che il castigo ricadrà su di noi. È possibile che voi abbiate ricevuto l'ordine di non accogliere ebrei, ma questa non è certamente la volontà di Dio, e noi dobbiamo ubbidire più a Lui che agli uomini...".
Così scrivevano al governo svizzero, il 7 settembre 1942, 22 allieve quattordicenni (su 32) della ii C della cittadina di Rorschach, nel cantone San Gallo, vicina al confine con Germania e Austria. La lettera non passerà inosservata. Lo stesso Consigliere federale von Steiger stenderà una bozza di risposta e inviterà le autorità scolastiche ad aprire un'indagine contro l'insegnante, accusato di aver istigato le sue allieve, se non addirittura di essere l'autore materiale della lettera. Non sembrava possibile che fosse stata scritta davvero da ragazzine di quattordici anni. Quello che irritava di più von Steiger è la frase "è possibile che voi abbiate ricevuto l'ordine di non accogliere ebrei": vi si leggeva l'accusa alla Svizzera di essere subordinata alla Germania.
Dalla straordinaria storia della lettera di Rorschach - che viene raccontata dettagliatamente anche attraverso la testimonianza delle allieve stesse - l'autrice luganese Silvana Calvo prende le mosse per un'analisi molto dettagliata sulla politica di respingimento degli ebrei che cercavano di immigrare in Svizzera dal 1933 al 1945. Viene ricostruito il quadro politico e istituzionale della Svizzera di quegli anni, in bilico tra il costante timore di un'invasione tedesca, che nella primavera del 1940 appare addirittura imminente, e la volontà di mantenere fruttuosi rapporti economici con il potente vicino: la Calvo elenca senza reticenze tutti gli ambiti in cui la Svizzera di fatto aiutò economicamente la Germania di Hitler, dalla fornitura di materiale bellico all'acquisto di opere d'arte, ma d'altra parte invita a prendere sul serio il pericolo che la piccola confederazione correva, analizzando l'atteggiamento della popolazione, delle diverse forze politiche e delle istituzioni, divise tra un'apparente compiacenza verso la Germania per salvaguardare la pace e la determinazione a resistere ad oltranza in caso di invasione.
Silvana Calvo si sofferma poi sulle politiche nei confronti dei profughi, e in particolare degli ebrei (anche se i documenti ufficiali, per evitare l'accusa di antisemitismo, non li nominavano mai). Ne emerge un quadro impressionante: a quanto risulta dai dati ufficiali, dall'ottobre del 1940 all'aprile del 1942 - proprio gli anni in cui la soluzione finale veniva messa in atto - furono accolti in Svizzera solo 176 ebrei!
Quanti furono i respinti? Difficile rispondere con precisione a questa domanda, perché non sempre erano registrati i nomi di chi veniva rimandato oltre la frontiera, e comunque molti documenti sembrano essere stati fatti sparire. Recentemente lo storico Adriano Bazzocco ha trovato un documento unico nel suo genere, la lista del posto di frontiera di Caprino, sul lago di Lugano, che contiene tutti i nomi degli ammessi e dei respinti, che sono circa un terzo. Il 4 giugno del 2009 la televisione svizzera italiana ha trasmesso un documentario di Ruben Rossello dal titolo Controllo Fuggiaschi, storie degli ebrei di Caprino che ricostruisce le vicende di alcuni tra i personaggi della lista, e in particolare dei coniugi torinesi Leonardo e Iolanda De Benedetti, che, rimandati in Italia, finiranno ad Auschwitz, dove la moglie sarà uccisa all'arrivo mentre il marito, sopravvissuto grazie alla sua qualifica di medico, sarà uno dei protagonisti de La Tregua di Primo Levi. Il film, che oggi si può vedere dal sito della televisione svizzera (www.rsi.ch) dovrebbe essere disponibile tra breve in dvd; dal documentario apprendiamo che dei 150 ebrei che si presentarono al posto di frontiera di Caprino 97 furono ammessi in Svizzera e 53 respinti.
Un terzo di persone rimandate verso un pericolo di cui non si ignoravano le proporzioni sembra già una cifra enorme, eppure dal libro della Calvo scopriamo che la politica attuata verso gli ebrei italiani dal 1943 al 1945 fu in realtà particolarmente benevola, grazie alla ormai probabile sconfitta della Germania e all'assicurazione del governo Badoglio che al termine della guerra i profughi sarebbero ritornati in Italia. Nei confronti degli ebrei tedeschi, austriaci, francesi, belgi e olandesi che avevano cercato rifugio nel paese negli anni precedenti le politiche di accoglienza erano state ben più rigide, fino al tentativo, il 4 agosto 1942, di imporre un blocco totale. Alcune reti clandestine di assistenza nel cantone San Gallo erano state smantellate nel 1939. La volontà di evitare i pericoli della giudeizzazione del Paese era tale che il capo della divisione di Polizia Rothmund era arrivato, in un rapporto del 1938, a rammaricarsi perché la Germania non faceva abbastanza per impedire le fughe degli ebrei verso la Svizzera: "Dobbiamo a ogni costo indurre la Germania a bloccare completamente l'esodo illegale. Il governo tedesco è in grado di farlo se vuole. Se non lo fa, ciò è un esplicito atto di scortesia verso la Svizzera, per non dire peggio". Per quanto le autorità svizzere negassero di essere antisemite, esisteva comunque una diffusa ostilità nei confronti degli ebrei, in particolare quelli stranieri. Anche a questo tema la Calvo dedica un'analisi dettagliata.
Il libro mi ha fortemente coinvolto sia per motivi famigliari - sono cresciuta immaginando la Svizzera come un luogo di salvezza, la meta raggiunta da mio padre e dai miei nonni dopo un viaggio avventuroso ma a lieto fine - sia per le domande che suscita: come può un Paese democratico respingere persone innocenti verso un sicuro pericolo di morte? È un problema che purtroppo non ha perso la sua attualità.
(©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2010)


Al museo dei Cavalieri di Colombo nel Connecticut la mostra sulla beata Madre Teresa continua a stupire il mondo - di Bridget Gabrielle Hylak - (©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2010)
"Lascerò la mia casa e la terra che amo per l'umido Bengala, per una riva distante. In cambio, Ti chiedo solo, o Padre dolce come nessun altro: concedimi di salvare almeno un'anima, un'anima che già conosci". Così, madre Teresa, prima di partire per l'India, il 1° dicembre 1928. Il sorriso di questa donna, premio Nobel per la pace nel 1979, e la sua storia di religiosità eroica e di abnegazione totale al servizio dei "più poveri tra i poveri" sono ben noti in tutto il mondo. Cattolici, ma anche protestanti, musulmani ed ebrei, e persino agnostici e atei riconoscono il valore di questa minuta e fedele missionaria di Cristo, la cui spiritualità, pur incondizionatamente cattolica, è riuscita in qualche modo a attraversare le frontiere e a smussare le asperità delle divisioni dottrinali.
Le missionarie della carità e il Centro madre Teresa, al fine di preservare il ricordo della beata di Calcutta e di condividere la conoscenza dei dettagli più intimi della sua vita spirituale, hanno allestito una mostra di foto e testi che sta facendo il giro del mondo. L'esposizione era stata preparata dall'ufficio della postulazione in occasione della beatificazione di madre Teresa, avvenuta a Roma nel 2003. Per il decimo anniversario della morte - settembre 2007 - si era poi deciso di rivedere e ampliare i contenuti della mostra affinché venissero esposti anche presso la casa madre delle missionarie della carità. L'esposizione è stata e continua a essere accolta con grande favore dai molti visitatori che si recano a Calcutta da ogni parte del mondo ed è stata inoltre presentata nel corso delle ultime due edizioni della Giornata mondiale della gioventù tenutesi a Colonia e a Sydney, riscuotendo grande successo anche presso il pubblico giovanile.
Adesso, l'imminente centenario della nascita di madre Teresa, che si celebrerà ad agosto 2010, appare come l'occasione più adatta per rendere la mostra visibile a un pubblico più ampio. A tal fine, l'esposizione è stata tradotta in diverse lingue a seconda dei Paesi in cui verrà presentata nel corso di tutto l'anno del centenario. Da Roma a Sydney, da Essen all'Albania, la mostra su madre Teresa di Calcutta continuerà dunque a ispirare, istruire, rafforzare e incoraggiare.
La mostra comprende alcune immagini rare che documentano la vita e il lavoro della religiosa, informazioni circa la sua storia e gli ambienti in cui ha vissuto. E, ciò che più colpisce, uno sguardo ravvicinato sulle lotte spirituali che ella dovette sostenere per portare avanti la propria opera.
Nonostante il suo perenne sorriso e la presenza palpabile del Redentore che appariva tanto viva in lei a chiunque la incontrasse, il suo lato più umano doveva combattere contro la sensazione dell'assenza di Cristo. Questo concetto rappresenta una realtà tanto sorprendente quanto potente nell'ambito della vita di madre Teresa, un esempio toccante, pur se quasi incomprensibile, della sua personale perseveranza nella fede. In realtà, proprio questa lotta - il devoto sacrificio di sé per il Regno di Dio, anche nei momenti di dubbio interiore e di turbamento spirituale, derivanti in prevalenza dal suo fervente desiderio di essere sempre con Cristo - è uno degli aspetti che la madre voleva non fossero svelati prima della sua morte.
Come una sposa fedele al proprio dovere, in ogni momento innamorata dello sposo, madre Teresa desiderava Cristo anche quando Egli sembrava, anche senza spiegazione, "lontano" dal suo cuore. Leggendo i suoi scritti di carattere maggiormente intimo, molti dei quali sono stati sagacemente inseriti nella mostra, si comprende subito il suo costante desiderio di Lui, simile a quello che prova una sposa: ogni battito del suo cuore e ogni respiro sono soltanto Suoi.
Oltre agli ottanta grandi pannelli, sui quali sono riprodotte splendide fotografie della madre e delle sue suore e a una serie di toccanti citazioni e dettagli biografici, in alcune città si è scelto di ampliare o di caratterizzare la mostra. A titolo di esempio, presso il museo dei Cavalieri di Colombo di New Haven, nel Connecticut, dove la mostra è attualmente visitabile fino al 4 ottobre, sono state effettuate delle aggiunte particolari, includendo alcuni dei suoi effetti personali, quali il sari che indossava, e vari oggetti riferibili al rapporto con la fondazione dei Cavalieri di Colombo. Inoltre, i Cavalieri hanno anche provveduto a ricostruire l'umile stanza che madre Teresa occupava presso la casa madre a Calcutta.
Un posto di rilievo nella mostra spetta ai numerosi premi e onori che madre Teresa ha ricevuto: più di settecento tra il 1962 e il 1997. Governi, istituzioni e organizzazioni di tutto il mondo hanno riconosciuto l'umiltà e, nel contempo, la grande forza con cui lei lavorava, nonché l'importanza dei suoi sforzi. La madre chiedeva abitualmente ad amici e collaboratori perché dessero tanta importanza a quei premi e perché lei avrebbe dovuto sottrarre tempo prezioso alla sua opera per riceverli. Sembrerebbe quasi che quegli onori non rappresentassero per lei altro che un'interruzione della sua missione vitale. "Non so perché tante università e accademie mi conferiscano questi titoli" - diceva - "per me non hanno alcun significato".
Tuttavia, attraverso l'obbedienza e il senso del dovere, la madre li ha sempre accettati con grazia e gratitudine, mai per se stessa, ma sempre a nome dei "più poveri tra i poveri". In ciascuna di tali occasioni, parlava dell'amore di Dio, della dignità umana e dell'importanza dei poveri. "Sono molto felice perché oggi tutti voi avete imparato che i poveri sono persone davvero amabili, essi possono arricchirci e darci molto".
Quando si rese conto che i diversi premi che le erano stati assegnati potevano aiutarla a portare avanti il suo lavoro attirando l'attenzione sui poveri, si è rassegnata con maggiore disponibilità alla volontà di Dio. "Ciò mi dà l'opportunità di parlare di Cristo a persone che altrimenti potrebbero non sentirne parlare mai".
Instancabile nel suo amore, persistente nella propria determinazione e, soprattutto, eternamente devota al suo Salvatore, madre Teresa di Calcutta ha lasciato con la sua vita un segno indelebile nel mondo. Ma, ciò che forse è più importante, innumerevoli persone da lei personalmente toccate, servite, nutrite o medicate, sono pronte ad attestare che la madre ha indubbiamente raggiunto il suo obiettivo iniziale: "Concedimi di salvare almeno un'anima, un'anima che già conosci".
(©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2010)


Avvenire.it, 26 Giugnio 2010 - IL CASO - L'Europa vuole una Collina senza croci? - Lorenzo Fazzini
Richiedere la rimozione dei simboli religiosi dagli spazi pubblici non dimostra la neutralità dello Stato né assicura il vero pluralismo. Una richiesta come questa semplicemente mostra che, sotto le mentite spoglie della neutralità e della laicità, la priorità viene data ad una visione atea e ad un’ideologia laicista». Parola di chi si è visto strappare dalla propria terra simboli di fede difesi con la testimonianza, a costo della vita. A scrivere le parole sopra riportato è stato il presidente dei vescovi cattolici di Lituania, monsignor Sigitas Tamkevicius in un recente articolo rilanciato questa settimana dal sito internet Mercatornet

L’arcivescovo ha denunciato come a Strasburgo la croce sia «sul banco degli imputati». Il riferimento è naturalmente alla sentenza d’appello della Grand Chambre della Corte dei diritti dell’uomo, attesa per il 30 giugno, riguardante la precedente decisione dello stesso organo giuridico che imponeva all’Italia di togliere i crocifissi dalle scuole per non violare il diritto di chi non crede. Parlare di croce e Lituania fa andare subito alla mente a un’eloquente immagine di fede popolare e di resistenza all’ateismo di Stato imposto dal comunismo: la celebre Collina delle Croci, visitata nel 1993 da Giovanni Paolo II, che vi lasciò un suo personale crocifisso di ricordo. Nel suo intervento, il presule lituano fa un chiaro riferimento all’epoca sovietica e ai ripetuti tentativi di far sparire le croci della gente e di abbattere la Collina, divenuta nel tempo un luogo di pellegrinaggio: «Coloro che hanno occupato la nostra nazione capirono molto bene tutto questo dal momento che cercarono di sopprimere la nostra libertà, di spezzare il nostro spirito e indebolire la nostra coscienza nazionale. Non è passato molto tempo da quando la nostra nazione ha sofferto, lungo le epoche, allorché i simboli nazionali, statali o religiosi vennero pubblicamente spazzati via, mentre chiunque ne faceva uso veniva perseguitato».

Ma che l’esposizione della croce non sia una questione solo religiosa bensì qualcosa che ha a che fare con la libertà della cultura europea lo hanno ricordato anche i vescovi russi, i quali – come riportato ieri dall’Osservatore romano – hanno affermato: «Nel periodo caratterizzato dal regime comunista, i simboli religiosi furono proibiti e, dopo la caduta del comunismo, la ritrovata possibilità di esporli in pubblico è stata considerata una vittoria della democrazia e della libertà sopra il totalitarismo e l’oppressione».

La Collina delle croci – kryžiu kalnas in lingua locale – è uno dei luoghi di maggior dimostrazione pubblica di fede di tutt’Europa. Ancor oggi sono circa 56 mila le croci, di diversa foggia, colore, materiale, che campeggiano sulla collinetta nei pressi della cittadina di Siauliai, nella zona settentrionale della Repubblica baltica. Una pratica, quella di piantare il simbolo cristiano, che risale al 1831 quando, dopo la conquista russa e la conseguente repressione russa dell’insurrezione polacco-lituana, le croci diventarono manifestazione pubblica di protesta contro la violenza degli zar. Ma è durante l’epoca sovietica – la Lituania venne annessa dall’Urss nel 1940, a seguito del patto Molotov-Ribbentrop – che la Collina balzò agli onori della cronaca e divenne simbolo del cristianesimo sofferente d’Oltre cortina. Gli occupanti sovietici per quattro volte spianarono con i bulldozer la piccola collinetta (una decina di metri), schiacciando le croci e seppellendole sotto la terra. Ma dopo ogni rituale distruttivo – la prima fu nel 1961, qunidi nel 1973 e ancora nel ’75 – i cattolici lituani tornavano con i loro simboli religiosi e li ripiantavano sulla collina. Tanto che, come ebbe a dire il cardinale Vincentas Sladkevicius, la Collina ha assurto il ruolo di «cuore della Lituania aperto all’Altissimo».
Ma ora questo cuore, se passasse il divieto di esporre simboli religiosi in pubblico, che fine farebbe? Potrebbe esserci qualcuno che, urtato da tanta manifestazione di fede, ne chiederebbe la rimozione per non aver davanti agli occhi nessun emblema cristiano. Nel suo intervento monsignor Sigitas Tamkevicius, arcivescovo della città di Kaunas, parte da questa provocazione per poi difendere il diritto di esporre la croce in pubblico: «Una nazione non può essere libera se non è capace, in maniera privata e pubblica, di nutrire le sue tradizioni e la sua cultura, e di utilizzare i simboli che esprimono questa cultura e queste tradizioni».
Lorenzo Fazzini


Berlino «apre» all’eutanasia - Sospesero l’alimentazione a paziente in stato vegetativo: assolti - DI LORENZO SCHOEPFLIN – Avvenire, 26 giugno 2010
Con una sentenza che fa discutere, pro nunciata ieri in materia di fine vita, il Bundesgerichtshof, la Corte federale di giustizia tedesca che ha sede a Karlsruhe, ha segnato una svolta nella possibilità di so spendere alimentazione e idratazione artifi ciali per pazienti in stato vegetativo persi­stente.

Wolfgang Putz, l’avvocato che nel 2007 con sigliò alla figlia di Erika Küllmer, una donna settantaseienne in stato vegetativo da cinque anni, di recidere il sondino con il quale la ma dre era alimentata, è stato assolto. Erika Kül lmer morì pochi giorni dopo per cause non direttamente riconducibili al gesto della fi glia, nonostante il personale medico si fosse accorto dell’accaduto e avesse ripristinato l’alimentazione. Un primo processo si era concluso con una condanna a nove mesi per l’avvocato, che aveva successivamente pre sentato ricorso. Ora nell’ultimo grado di giu dizio, con l’assoluzione di Putz – giurista spe cializzato negli aspetti legislativi legati alla medicina ed in particolare alle cure palliati ve –, in Germania si aprono le porte all’euta nasia passiva. L’imputato e i suoi difensori hanno basato il ricorso sulla definizione di alimentazione e idratazione quali «trattamenti medici forza ti » e dunque rifiutabili da parte del paziente. Stando alle testimonianze della figlia e dei parenti, la signora Küllmer aveva espresso il desiderio di non essere sottoposta ad ali mentazione e ventilazione meccanica. Per i ricorrenti, il gesto della figlia avrebbe sem plicemente ristabilito il corso degli eventi, causando la “morte naturale” della donna.

Durante il primo processo, a Putz era già sta ta riconosciuta l’attenuante di aver agito per far rispettare i desideri della paziente. E pro prio su questo si basa l’assoluzione – che fa scalpore – decisa adesso dalla Corte federa le, che ha ritenuto non punibile come reato il distacco del sondino se fondato su precise indicazioni precedentemente disposte dal di retto interessato. Putz avrebbe dunque agito nell’interesse del paziente, all’autodetermi nazione del quale, secondo la Corte federa le, deve essere data la priorità. Ciò che emerge dal pronunciamento del Bun desgerichtshof è poi la distinzione tra un at to volto a procurare la morte del paziente e la sospensione di alimentazione e idratazio ne: mentre nel primo caso si configura un reato – in Germania l’eutanasia attiva e il sui cidio assistito sono puniti con la reclusione – , nel secondo i trattamenti in questione di vengono oggetto delle volontà del paziente e il sospenderli non è definibile come omicidio. Sulla rilevanza del diritto all’autodetermina zione si è espressa dalle pagine del sito del mi nistero della Giustizia tedesco Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, titolare del di­castero: «La sentenza della Corte federale crea certezza legale», ha dichiarato, aggiungendo che le volontà anticipate costituiscono una garanzia per pazienti e medici.

Nel comunicato stampa, il ministro ha e spressamente parlato – secondo il suo pun to di vista – di «chiarezza in tema di eutana sia passiva» e su ciò che diventa legalmente possibile grazie alla sentenza, confermando ne dunque l’importanza.