giovedì 10 giugno 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI TRACCIA UN BILANCIO DEL SUO RECENTE VIAGGIO A CIPRO - Intervento in occasione dell'Udienza generale del mercoledì - CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 9 giugno 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell'intervento pronunciato da Papa Benedetto XVI questo mercoledì durante l'Udienza generale in Piazza San Pietro, incontrando insieme gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo. - Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sul suo recente Viaggio Apostolico a Cipro.
2) QUELLA NATURA UMANA E DIVINA CHE SPINGE A DESIDERARE COSE GRANDI - Intervista alla presidente del Meeting di Rimini, Emilia Guarnieri
3) MONS. LUIGI NOVARESE, VENERABILE DELLA “SOFFERENZA” - di don Luciano Ruga*
4) In una Chiesa di martiri, la pazienza di Benedetto - A Cipro il papa ha visto da vicino il dramma dei cristiani d'Oriente. L'ecumenismo fiorisce, ma dove regna l'islam non c'è libertà di coscienza né di religione. Ultima vittima il vescovo Luigi Padovese, decapitato come san Giovanni - di Sandro Magister
5) Fecondazione artificiale & Legge 40: 10.000 figli & 200.000 vittime innocenti - Il Comitato Verità e Vita - Comunicato Stampa N. 83, 8 Giugno 2010
6) Handicap e clima culturale - Se si flirta con l'eugenetica - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 10 giugno 2010
7) 10 ANNI FA L’OMICIDIO SATANISTA DI SUOR LAURA MAINETTI - Don Marcello Stanzione – dal sito pontifex.roma.it
8) IL CASO/ Il piccolo Luca e il grande Andrea Bocelli: due storie dono e perdono - Alessandro Banfi - giovedì 10 giugno 2010 – ilsussidiario.net
9) La vera patologia è il «figlio perfetto» - Alessandro Caruso, del Centro studi per la Tutela della salute della madre e del concepito alla Cattolica: «In Italia si fanno più diagnostiche invasive che in ogni altro Paese d’Europa» - Graziella Melina – Avvenire, 10 giugno 2010

BENEDETTO XVI TRACCIA UN BILANCIO DEL SUO RECENTE VIAGGIO A CIPRO - Intervento in occasione dell'Udienza generale del mercoledì - CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 9 giugno 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell'intervento pronunciato da Papa Benedetto XVI questo mercoledì durante l'Udienza generale in Piazza San Pietro, incontrando insieme gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo. - Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sul suo recente Viaggio Apostolico a Cipro.
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Cari fratelli e sorelle!
Quest’oggi desidero soffermarmi sul mio viaggio apostolico a Cipro, che per molti aspetti si è posto in continuità con quelli precedenti in Terra Santa e a Malta. Grazie a Dio, questa visita pastorale è andata molto bene, poiché ha felicemente conseguito i suoi scopi. Già di per sé essa costituiva un evento storico; infatti, mai prima d’ora il Vescovo di Roma si era recato in quella terra benedetta dal lavoro apostolico di san Paolo e san Barnaba e tradizionalmente considerata parte della Terra Santa. Sulle orme dell’Apostolo delle genti mi sono fatto pellegrino del Vangelo, anzitutto per rinsaldare la fede delle comunità cattoliche, piccola ma vivace minoranza nell’Isola, incoraggiandole anche a proseguire il cammino verso la piena unità tra i cristiani, specialmente con i fratelli ortodossi. Al tempo stesso, ho voluto idealmente abbracciare tutte le popolazioni mediorientali e benedirle nel nome del Signore, invocando da Dio il dono della pace. Ho sperimentato una cordiale accoglienza, che mi è stata riservata dappertutto, e colgo volentieri questa occasione per esprimere nuovamente la mia viva gratitudine in primo luogo all’Arcivescovo di Cipro dei Maroniti, Mons. Joseph Soueif, e a Sua Beatitudine Mons. Fouad Twal, unitamente ai collaboratori, rinnovando a ciascuno il mio apprezzamento per la loro azione apostolica. La mia sentita riconoscenza va poi al Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa di Cipro, segnatamente a Sua Beatitudine Chrysostomos II, Arcivescovo di Nea Giustiniana e di tutta Cipro, che ho avuto la gioia di abbracciare con affetto fraterno, come pure al Presidente della Repubblica, a tutte le Autorità civili e a quanti in vario modo si sono lodevolmente prodigati per la riuscita di questa mia visita pastorale.
Essa è iniziata il 4 giugno nell’antica città di Paphos, dove mi sono sentito avvolto in un’atmosfera che sembrava quasi la sintesi percepibile di duemila anni di storia cristiana. I reperti archeologici ivi presenti sono il segno di un’antica e gloriosa eredità spirituale, che ancora oggi mantiene un forte impatto sulla vita del Paese. Presso la chiesa di Santa Ciriaca Chrysopolitissa, luogo di culto ortodosso aperto anche ai cattolici e agli anglicani ubicato all’interno del sito archeologico, si è svolta una toccante celebrazione ecumenica. Con l’Arcivescovo ortodosso Chrysostomos II e i rappresentanti delle Comunità armena, luterana e anglicana, abbiamo fraternamente rinnovato il reciproco e irreversibile impegno ecumenico. Tali sentimenti ho manifestato successivamente a Sua Beatitudine Chrysostomos II nel cordiale incontro presso la sua residenza, durante il quale ho pure constatato quanto la Chiesa ortodossa di Cipro sia legata alle sorti di quel popolo, conservando devota e grata memoria dell’Arcivescovo Macario III, comunemente considerato padre e benefattore della Nazione, al quale ho voluto anch’io rendere omaggio sostando brevemente presso il monumento che lo raffigura. Questo radicamento nella tradizione non impedisce alla Comunità ortodossa di essere impegnata con decisione nel dialogo ecumenico unitamente alla Comunità cattolica, animate entrambe dal sincero desiderio di ricomporre la piena e visibile comunione tra le Chiese dell’Oriente e dell’Occidente.
Il 5 giugno, a Nicosia, capitale dell’Isola, ho iniziato la seconda tappa del viaggio recandomi in visita al Presidente della Repubblica, che mi ha accolto con grande cortesia. Nell’incontrare le Autorità civili e il Corpo diplomatico, ho ribadito l’importanza di fondare la legge positiva sui principi etici della legge naturale, al fine di promuovere la verità morale nella vita pubblica. E’ stato un appello alla ragione, basato sui principi etici e carico di implicazioni esigenti per la società di oggi, che spesso non riconosce più la tradizione culturale su cui è fondata.
La Liturgia della Parola, celebrata presso la scuola elementare san Marone, ha rappresentato uno dei momenti più suggestivi dell’incontro con la Comunità cattolica di Cipro, nelle sue componenti maronita e latina, e mi ha permesso di conoscere da vicino il fervore apostolico dei cattolici ciprioti. Esso si esprime anche mediante l’attività educativa e assistenziale con decine di strutture, che si pongono al servizio della collettività e sono apprezzati dalle autorità governative come pure dall’intera popolazione. E’ stato un momento gioioso e di festa, animato dall’entusiasmo di numerosi bambini, ragazzi e giovani. Non è mancato l’aspetto della memoria, che ha reso percepibile in modo commovente l’anima della Chiesa maronita, la quale proprio quest’anno celebra i 1600 anni della morte del Fondatore san Marone. A tale riguardo, è stata particolarmente significativa la presenza di alcuni cattolici maroniti originari di quattro villaggi dell’Isola dove i cristiani sono popolo che soffre e spera; ad essi ho voluto manifestare la mia paterna comprensione per le loro aspirazioni e difficoltà.
In quella stessa celebrazione ho potuto ammirare l’impegno apostolico della comunità latina, guidata dalla sollecitudine del Patriarca latino di Gerusalemme e dallo zelo pastorale dei Frati Minori di Terra Santa, che si pongono al servizio della gente con perseverante generosità. I cattolici di rito latino, molto attivi nell’ambito caritativo, riservano un’attenzione speciale verso i lavoratori e i più bisognosi. A tutti, latini e maroniti ho assicurato il mio ricordo nella preghiera, incoraggiandoli a testimoniare il Vangelo anche mediante un paziente lavoro di reciproca fiducia fra cristiani e non cristiani, per costruire una pace durevole ed un’armonia fra i popoli.
Ho voluto ripetere l’invito alla fiducia e alla speranza nel corso della Santa Messa, celebrata nella parrocchia di Santa Croce alla presenza dei sacerdoti, delle persone consacrate, dei diaconi, dei catechisti e degli esponenti di associazioni e movimenti laicali dell’Isola. Partendo dalla riflessione sul mistero della Croce, ho rivolto poi un accorato appello a tutti i cattolici del Medio Oriente affinché, nonostante le grandi prove e le ben note difficoltà, non cedano allo sconforto e alla tentazione di emigrare, in quanto la loro presenza nella regione costituisce un insostituibile segno di speranza. Ho garantito loro, e specialmente ai sacerdoti e ai religiosi, l’affettuosa e intensa solidarietà di tutta la Chiesa, come pure l’incessante preghiera affinché il Signore li aiuti ad essere sempre presenza vivace e pacificante.
Sicuramente il momento culminate del viaggio apostolico è stato la consegna dell’Instrumentum laboris dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Tale atto è avvenuto domenica 6 giugno nel Palazzo dello sport di Nicosia, al termine della solenne Celebrazione eucaristica, alla quale hanno preso parte i Patriarchi e i Vescovi delle varie comunità ecclesiali del Medio Oriente. Corale è stata la partecipazione del Popolo di Dio, "tra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa", come dice il Salmo (42,5). Ne abbiamo fatto concreta esperienza, anche grazie alla presenza dei tanti immigrati, che formano un significativo gruppo nella popolazione cattolica dell’Isola, dove si sono integrati senza difficoltà. Insieme abbiamo pregato per l’anima del compianto Vescovo Mons. Luigi Padovese, Presidente della Conferenza Episcopale Turca, la cui improvvisa e tragica morte ci ha lasciati addolorati e sgomenti.
Il tema dell’Assemblea sinodale per il Medio Oriente, che si svolgerà a Roma nel prossimo mese di ottobre, parla di comunione e di apertura alla speranza: "La Chiesa cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza". L’importante evento si configura infatti come un convenire della cristianità cattolica di quell’area, nei suoi diversi riti, ma al tempo stesso quale ricerca rinnovata di dialogo e di coraggio per il futuro. Pertanto, sarà accompagnato dall’affetto orante di tutta la Chiesa, nel cui cuore il Medio Oriente occupa un posto speciale, in quanto è proprio lì che Dio si è fatto conoscere ai nostri padri nella fede. Non mancherà, tuttavia, l’attenzione di altri soggetti della società mondiale, segnatamente dei protagonisti della vita pubblica, chiamati ad operare con costante impegno affinché quella regione possa superare le situazioni di sofferenza e di conflitto che ancora l’affliggono e ritrovare finalmente la pace nella giustizia.
Prima di congedarmi da Cipro ho voluto visitare la Cattedrale Maronita di Nicosia - dove era presente anche il Cardinale Pierre Nasrallah Sfeir, Patriarca di Antiochia dei Maroniti. Ho rinnovato la mia sincera vicinanza e la mia fervida comprensione ad ogni comunità dell’antica Chiesa maronita sparsa nell’Isola, sulle cui rive i Maroniti giunsero in vari periodi e furono spesso duramente provati per rimanere fedeli alla loro specifica eredità cristiana, le cui memorie storiche e artistiche costituiscono un patrimonio culturale per l’intera umanità.
Cari fratelli e sorelle, sono tornato in Vaticano con l’animo colmo di gratitudine verso Dio e con sentimenti di sincero affetto e stima per gli abitanti di Cipro, dai quali mi sono sentito accolto e compreso. Nella nobile terra cipriota ho potuto vedere l’opera apostolica delle diverse tradizioni dell’unica Chiesa di Cristo e ho potuto quasi sentire tanti cuori pulsare all’unisono. Proprio come affermava il tema del Viaggio: "Un cuore, un’anima". La Comunità cattolica cipriota, nelle sue articolazioni maronita, armena e latina, si sforza incessantemente di essere un cuore solo e un’anima sola, tanto al proprio interno quanto nei rapporti cordiali e costruttivi con i fratelli ortodossi e con le altre espressioni cristiane. Possano il popolo cipriota e le altre nazioni del Medio Oriente, con i loro governanti e i rappresentanti delle diverse religioni, costruire insieme un futuro di pace, di amicizia e di fraterna collaborazione. E preghiamo affinché, per intercessione di Maria Santissima, lo Spirito Santo renda fecondo questo viaggio apostolico, e animi nel mondo intero la missione della Chiesa, istituita da Cristo per annunciare a tutti i popoli il Vangelo della verità, dell’amore e della pace.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i partecipanti al capitolo generale dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi), assicurando un ricordo nella preghiera perché possano essere sempre più docili all’azione dello Spirito Santo, continuando a lavorare per il Regno di Dio nella pazienza e nella speranza, in Africa e nel mondo. Saluto i bambini della Prima Comunione della Diocesi di Castellaneta, accompagnati dal Vescovo Mons. Pietro Fragnelli, ed auguro a ciascuno di crescere nell’amicizia con Gesù per testimoniare il suo amore ai coetanei. Saluto i partecipanti al "Trofeo Enea", di Pomezia, qui convenuti così numerosi, e li incoraggio nei loro propositi di promuovere i valori più autentici dello sport.
La festa del Sacro Cuore di Gesù, che celebreremo dopodomani, segnerà la conclusione dell’Anno Sacerdotale. Migliaia di sacerdoti di ogni parte del mondo si raduneranno a Roma per lodare il Signore e rinnovare il proprio impegno. Invito tutti a partecipare a questo evento con la preghiera.
Il mio saluto cordiale va, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Voi, cari giovani, continuate ad impegnarvi, con l'entusiasmo che vi è proprio, per la costruzione di una civiltà i cui fondamenti siano la verità e l'amore, la pace e la solidarietà. Voi, cari ammalati, unite le vostre sofferenze all'infinito amore del Cuore di Cristo per la salvezza dell'umanità. Voi, cari sposi novelli, sappiate progredire sempre più sulla via dell'amore e del rispetto reciproco.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


QUELLA NATURA UMANA E DIVINA CHE SPINGE A DESIDERARE COSE GRANDI - Intervista alla presidente del Meeting di Rimini, Emilia Guarnieri - ROMA, mercoledì, 9 giugno 2010 (ZENIT.org).- La presentazione ufficiale dell’edizione 2010 del Meeting per l’Amicizia fra i popoli si svolgerà a Roma giovedì 10 giugno all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede (Piazzale delle Belle Arti n.2).
Interverranno il ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, il professor Joseph H. H. Weiler, della School of Law della New York University, e il presidente del Meeting Emilia Guarnieri.
Il Meeting di Rimini è diventata con gli anni la manifestazione culturale cattolica più grande, più partecipata e più significativa nel mondo intero.
Per comprenderne le origini, le ragioni e le finalità, ZENIT ha intervistato Emilia Guarnieri.
«Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore» Perché questo tema?
Guarnieri: Quando scegliamo il tema del Meeting, lo facciamo lanciando una provocazione rispetto alle urgenze che vediamo nella società. Ora in pericolo è la stessa concezione di uomo, di persona: cos’è l’uomo? Che cosa lo caratterizza? Qual è la sua vera natura? È una questione fondamentale, perché dal tipo di concezione che si ha, deriva tutto: il rapporto con l’altro, il dialogo, le grandi scelte internazionali, le grandi decisioni della politica e dell’economia fino all’educazione e alle espressioni culturali. La questione che poniamo è se si guarda all’uomo come il risultato di un caso e dei suoi antecedenti biologici oppure, innanzitutto, come il desiderio di cose grandi, di qualcosa di infinito. Un desiderio che nessuno gli può estirpare. Questo desiderio è il motore di qualsiasi azione umana. Questa edizione cercherà di documentarlo.
Un tema particolarmente impegnativo. Come si fa a riaccendere il desiderio delle cose grandi e convertire i cuori in un mondo che sembra oppresso da decadenza, cattive notizie e morbosità per il brutto?
Guarnieri: Decadenza, cattive notizie, morbosità, tutte cose che ci sono, è vero, ma per fortuna c’è la bellezza che risveglia il cuore dell’uomo. Infatti, il problema fondamentale è che questo desiderio deve essere risuscitato, riacceso, perché nell’uomo già c’è. Ciò che lo riaccende è innanzitutto il vedere questo desiderio in un altro uomo, in azione, preso sul serio e non considerato come una pura illusione o un inganno. Tantissime storie, le cosiddette testimonianze, che portiamo al Meeting da ogni parte del mondo, saranno proprio l’occasione di incontrare uomini che raccontano come la vita rinasce quando, nell’esperienza del quotidiano o in circostanze estreme, il desiderio di felicità si scopre irriducibile e incontra un’ipotesi positiva di risposta: la vedova Coletta, alcuni ragazzi del Meeting Point International in Uganda, Mireille Yoga, educatrice al Centro Sociale Edimar in Camerun (Yaoundé, Camerun), Maria Teresa Landi, ricercatrice al National Institute of Health, il cuore della ricerca scientifica americana. Questi sono alcuni esempi di uomini che si potrà incontrare venendo al Meeting quest’anno.
Ci vuole l’incontro con un’ipotesi positiva di risposta perché altrimenti può accadere la stessa cosa che accade al Caligola di Camus, spettacolo inaugurale di quest’anno. All’inizio del dramma Camus fa recitare al protagonista: “Ho provato semplicemente un’improvvisa sete di impossibile. Le cose, così come sono, non mi sembrano di tutto riposo”. Il rischio è che il desiderio di infinito, non trovando una risposta, impazzisca.
Riaccendere il cuore fa pensare subito all’amore, l’unico sentimento che riesce a nutrire speranze, suscitare sogni e motivare l’umanità a uscire dalla sua piccolezza. In che modo il Meeting cercherà di accendere i cuori?
Guarnieri: È vero: è l’amore che è capace di accendere il cuore e di fare sperimentare a chi si incontra che la vita ha un senso positivo, che vale la pena costruire, intraprendere, rischiare.
Il primo gesto di amore che si incontra al Meeting è la gratuità degli oltre 3000 volontari che, per amore all’ideale e alla propria vita, spendono le proprie ferie per collaborare alla costruzione della settimana del Meeting. Questo gesto di amore contribuisce a creare quel clima umano, quel tessuto di convivenza tra uomini di ogni provenienza che, quasi per contagio, possono sentire risvegliato nel proprio cuore quel desiderio di cose grandi che appunto accende l’anima.
Quali sono gli eventi culturali particolarmente significativi e quali gli ospiti del prossimo Meeting?
Guarnieri: Abbiamo già anticipato da tempo sul sito del Meeting (www.meetingrimini.org) alcuni dei personaggi più significativi: apriremo con il presidente d’Irlanda Mary McAleese, ci sarà il cardinale Angelo Scola sul tema “desiderare Dio”, il ministro Frattini con alcuni ministri degli esteri sul tema “libertà religiosa e responsabilità politica”, Joaquin Allende-Luco, Presidente dell'Associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre, il primate di Dublino Martin su Newman, giuristi del calibro di Joseph Weiler, Paolo Carozza, Giuliano Amato, Carter Snead, l’ambasciatore americano presso la Santa Sede Miguel Diaz, il filosofo francese Hadjadj.
Inoltre tanti altri che renderemo ufficiali nella presentazione del 10 giugno a Roma all’Ambasciata Italiana presso la Santa Sede.
Il Meeting ha sempre di più un carattere internazionale. In quante città lo avete già presentato? Quanti i personaggi e gli invitati agli incontri? Quanti i volontari e da quali paesi? Quanti visitatori vi aspettate?
Guarnieri: Quest’anno lo abbiamo presentato a New York e a Madrid, il 22 andremo a Budapest e altre presentazioni sono in fase di preparazione per l’autunno. Il Meeting non si ferma mai. È vero che ha sempre di più un carattere internazionale, a testimonianza di questo sono i tanti gruppi che ormai si organizzano durante l’anno per venire alla manifestazione da paesi esteri: dall’Irlanda avremo circa 60 persone, dagli Usa un gruppo di studenti di varie università americane, dalla Lituania un altro gruppo, altre persone arriveranno dalla Francia e dal Senegal da città gemellate con Rimini, una ventina di persone da Taiwan. E questi sono solo alcuni, sono oltre 70 le nazionalità presenti al Meeting.
I numeri sono in fase di evoluzione, sia rispetto agli incontri che ai volontari. Riguardo al pubblico, speriamo di confermare lo straordinario risultato dell’anno scorso di quasi 800.000 presenze.


MONS. LUIGI NOVARESE, VENERABILE DELLA “SOFFERENZA” - di don Luciano Ruga*
ROMA, mercoledì, 9 giugno 2010 (ZENIT.org).- Il 27 marzo scorso il Santo Padre Benedetto XVI ha firmato il decreto che riconosce l'eroicità delle virtù di mons. Luigi Novarese, apostolo della sofferenza e fedele collaboratore di Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI in Segreteria di Stato.
La notizia della firma del decreto ha riempito di gioia i cuori di tutti gli aderenti alle sue Associazioni. E’ un dono grande del Signore, che attendevamo e del quale ringraziamo, impegnandoci ad esserne degni.
A Roma, in un quartiere periferico, è stata dedicata una via a monsignor Luigi Novarese. Il fatto suggerisce alcune riflessioni, sulla sofferenza nelle periferie del mondo.
Alcuni anni fa, fu presentata alle autorità comunali di Roma la richiesta di intestare una via al fondatore del CVS. La richiesta è stata recentemente accolta. Una via, posta in una località periferica della città di Roma, è ora denominata “Via Mons. Luigi Novarese: sacerdote”.
La via scelta si trova lontano dal centro e dai luoghi più importanti e conosciuti, in una zona povera e in via di sviluppo.
È una situazione che può offrire un interessante spunto di riflessione. La sofferenza, realtà al cui superamento mons. Novarese si è pienamente dedicato, è infatti un’esperienza di “periferia”, qualcosa che appartiene alle terre di confine. Non dispiace in tal senso che il nome di Luigi Novarese segni il territorio in un luogo lontano dal centro.
La sofferenza è certo universale, non fa sconti a nessuno, abita la casa del ricco e quella del povero. È pur vero, tuttavia, che più facilmente associamo il dolore alle situazioni marginali e povere, alle periferie del mondo, dove, come si suol dire “piove sul bagnato”. La sofferenza è un’esperienza di confine. Mai totalmente superata, sempre nuova e provocante in ogni sua manifestazione, non ne siamo mai “abituati” e sempre siamo messi in discussione, provocati a cambiare, possibilmente a crescere.
Il Venerabile Luigi Novarese ha collocato nelle periferie del dolore umano il segno della croce, mantenendolo ben fermo. La Via a lui dedicata disegnerà almeno un paio di croci, raggiungendo le vie che la intersecano. Nella riflessione sul segno della croce, una delle immagini ricorrenti è proprio quella dell’incrocio stradale, che è luogo di scelte.
La ricerca di una direzione comporta il rischio di sbagliare strada. Giunti all’incrocio ci si ferma a riflettere, si ricerca, si sente il peso del dubbio. Non è certo un caso che le tradizioni religiose abbiano abitualmente riservato agli incroci stradali l’attenzione di un qualche segno tutelare; per i cristiani le cappelle votive, le riproduzioni di croci o calvari.
Per Luigi Novarese la croce non è mai un segno statico. Posta nel cuore dei duri incroci della sofferenza, è punto che irradia vita intorno a sé. Frutto della croce è un’esistenza donata agli altri generosamente, nella preghiera, nel servizio operoso, nel prendersi cura, nel condividere sofferenze e gioie, nel dialogo e nel rispetto, nella capacità di perdono. La croce è sorgente di una missione preziosa, da compiere sempre, soprattutto nelle periferie.
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*Don Luciano Ruga è il Moderatore dei Silenziosi Operai della Croce.


In una Chiesa di martiri, la pazienza di Benedetto - A Cipro il papa ha visto da vicino il dramma dei cristiani d'Oriente. L'ecumenismo fiorisce, ma dove regna l'islam non c'è libertà di coscienza né di religione. Ultima vittima il vescovo Luigi Padovese, decapitato come san Giovanni - di Sandro Magister
ROMA, 9 giugno 2010 – Della prima visita mai compiuta da un papa nell'isola di Cipro – evangelizzata fin dai tempi apostolici e poi terra di confine e conflitto tra cristianità e islam – i media hanno evidenziato gli spunti geopolitici, peraltro modesti e in larga misura non attribuibili direttamente al papa: in particolare quelli del testo di lavoro su cui discuteranno il prossimo ottobre, a Roma, i patriarchi e i vescovi delle Chiese del Medio Oriente, testo reso pubblico domenica 6 giugno a Nicosia.

Ma per capire il senso di questo viaggio nella mente del suo autore, la via più diretta è la viva voce di Benedetto XVI.

Papa Joseph Ratzinger ama svelare il suo pensiero su ogni suo viaggio in due momenti prefissati.

Con le risposte ai giornalisti sull'aereo in volo verso la destinazione. Nel caso di Cipro, la mattina di venerdì 4 giugno:

> Intervista del Santo Padre

Con l'udienza generale in Vaticano del mercoledì successivo al ritorno dal viaggio. Nel caso di Cipro oggi:

> Udienza generale, 9 giugno 2010

E poi, naturalmente, fanno testo i discorsi pronunciati dal papa sul posto. Specie i passaggi in cui è più evidente l'impronta sua personale.

Da tutto ciò si ricava che per Benedetto XVI i punti focali del viaggio a Cipro sono stati l'ecumenismo e l'islam. Ma non solo.


L'ECUMENISMO


La popolazione di Cipro è in stragrande maggioranza ortodossa. E la sua Chiesa è una delle più antiche e nobili della cristianità bizantina. Tra Benedetto XVI e l'arcivescovo Chrysostomos II intercorre un rapporto anche personale di amicizia e di stima che si è espresso al livello simbolico più alto nell'abbraccio tra i due, durante la messa celebrata dal papa a Nicosia, domenica 6 giugno, con la piccola comunità cattolica dell'isola presente quasi al completo.

Nel discorso di congedo da Cipro, papa Ratzinger ha associato questo abbraccio a quello "profetico" del 1964 tra Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli Atenagora. E in effetti, il cammino ecumenico da allora compiuto ha registrato con l'attuale papa dei progressi senza precedenti, sul versante dell'Ortodossia.

Nel volo d'andata per Cipro, Benedetto XVI ha spiegato che sono tre gli elementi che "fanno sempre più vicine" la Chiesa di Roma e le Chiese d'Oriente.

Il primo è la Sacra Scrittura, letta non come un testo che ognuno interpreta a suo piacimento, ma come un libro "cresciuto nel popolo di Dio, che vive in questo comune soggetto e solo qui rimane sempre presente e reale".

Il secondo è la tradizione di cui la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse sono portatrici, una tradizione che non solo interpreta la Scrittura ma ha nei vescovi le sue guide e i suoi testimoni sacramentalmente istituiti.

E il terzo elemento è la "regola della fede", cioè la dottrina fissata dagli antichi concili, che "è la somma di quanto sta nella Scrittura e apre la porta alla sua interpretazione".

È evidente che questi tre elementi, se avvicinano la Chiesa cattolica alle Chiese ortodosse, distanziano però entrambe dal protestantesimo. Ma è questo e non altro l'apporto che dà al cammino ecumenico un papa come Benedetto XVI.

La prossimità tra cattolicesimo ed ortodossia è ormai così forte che tra le due parti si è giunti a discutere la questione capitale che li divide, cioè il primato del Vescovo di Roma.

Proprio a Cipro, a Paphos, ospitata di Chrysostomos II, si è tenuta lo scorso ottobre una sessione di studio tra cattolici e ortodossi ai massimi livelli, che ha esaminato come veniva vissuto il primato di Roma nel primo millennio, quando le Chiese d’Occidente e d’Oriente erano ancora unite.

Dal 20 al 27 settembre di quest’anno, a Vienna, le due delegazioni tornaranno a incontrarsi per proseguire il lavoro.

L'arcivescovo di Cipro, Chrysostomos II, è in campo ortodosso uno dei maggiori artefici dell'attuale primavera ecumenica, assieme al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, al metropolita di Pergamo Joannis Zizioulas e – per la grande Chiesa russa – al patriarca di Mosca Kirill I e al metropolita di Volokolamsk Hilarion.

Già la visita compiuta da Chrysostomos II a Roma nel giugno del 2007 era stato uno dei momenti ecumenicamente più fruttuosi degli ultimi anni.

Le resistenze alla visita del papa espresse prima del viaggio da un paio di metropoliti dell'isola e appoggiate da frazioni della Chiesa greca non hanno avuto alcun seguito effettivo.


L'ISLAM


Quanto al secondo centro focale della visita di Benedetto XVI a Cipro, la foto che apre questa pagina è emblematica.

Incamminandosi sabato 5 giugno per la messa nella chiesa cattolica della Santa Croce – che a Nicosia è proprio sul confine con la zona dell'isola occupata dai turchi – Benedetto XVI si è imbattuto in un vecchio sceicco sufi, Mohammed Nazim Abil Al-Haqqani. Si sono salutati. Hanno promesso di pregare l'uno per l'altro. Si sono scambiati piccoli doni: un rosario musulmano, una tavoletta con parole di pace in arabo, un bastone istoriato, una medaglia pontificia.

Invece dell'atteso incontro con il mufti di Cipro Yusuf Suicmez, la massima autorità musulmana dell'isola, c'è stato quindi l'incontro del papa con un maestro sufi, cioè con un esponente di un islam mistico, un islam che "presumibilmente per influenze cristiane mette l'accento sull'amore di Dio per l'uomo e dell'uomo per Dio", invece che su un Dio inaccessibile "tra i cui 99 nomi manca quello di Padre".

Le parole ora virgolettate sono del vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico per l'Anatolia e presidente della conferenza episcopale cattolica di Turchia, ucciso a Iskenderun il 3 giugno, vigilia del viaggio del papa a Cipro, al quale anche lui avrebbe dovuto partecipare.

Benedetto XVI ha evitato accuratamente di imprigionare il suo viaggio in questo fatto tragico. La diplomazia vaticana, attentissima a scongiurare qualsiasi attrito con la Turchia e l'islam in generale, ha fatto la sua parte per convincere il papa ad escludere da subito tassativamente che si sia trattato di un assassinio "politico o religioso".

Ma questa remissiva e controproducente versione – smentita ogni giorno di più dai fatti, come hanno messo in luce fin da subito il giornale dei vescovi italiani "Avvenire" e l'agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere "Asia News" – non ha impedito a papa Ratzinger di compiere i passi di verità che si era ripromesso di fare verso il mondo musulmano.

Il primo passo è stato la denuncia della "triste" situazione reale. Che per Cipro significa l'occupazione da parte della Turchia della parte settentrionale dell'isola, l'espulsione dei cristiani ivi residenti, la distruzione sistematica delle chiese.

Accogliendo il papa come ospite, l'arcivescovo Chrysostomos II ha bollato tutto ciò con parole taglienti. E Benedetto XVI gli ha fatto eco così, al termine del viaggio:

"Avendo pernottato in questi giorni nella nunziatura apostolica, che si trova nella zona cuscinetto sotto il controllo delle Nazioni Unite, ho potuto vedere di persona qualcosa della triste divisione dell’isola, come pure rendermi conto della perdita di una parte significativa di un’eredità culturale che appartiene a tutta l’umanità. Ho potuto anche ascoltare ciprioti del nord che vorrebbero ritornare in pace alle loro case e ai loro luoghi di culto, e sono stato profondamente toccato dalle loro richieste".

A questo riconosciuto stato di cose il papa ha risposto non con l'offrire consigli politici o strategici ma anzitutto esortando a una "pazienza" attiva, anche a proposito delle incessanti esplosioni di violenza che insanguinano l'intero Medio Oriente. Ha detto durante il volo per Cipro:

"Dobbiamo quasi imitare Dio, la sua pazienza. Dopo tutti i casi di violenza, non perdere la pazienza, non perdere il coraggio, non perdere la longanimità di ricominciare; creare le disposizioni del cuore per ricominciare sempre di nuovo, nella certezza che possiamo andare avanti, che possiamo arrivare alla pace, che la soluzione non è la violenza, ma la pazienza del bene".

In secondo luogo, parlando ai diplomatici e tramite essi ai governi della regione, il papa ha riproposto la sapienza politica di Platone, di Aristotele, degli stoici, poiché "per loro, e per i grandi filosofi islamici e cristiani che hanno seguito i loro passi, la pratica della virtù consisteva nell’agire secondo la retta ragione, nel perseguimento di tutto ciò che è vero, buono e bello", a cominciare da quella "legge naturale propria della nostra comune umanità".

Benedetto XVI sa bene che i "grandi filosofi islamici" aperti alla cultura greca appartengono a secoli molto lontani e che dopo Averroè tutto ciò è stato interrotto. Ma richiamando questo precedente storico il papa ha mostrato che anche per l'islam è possibile e doverosa una rivoluzione illuminista analoga a quella vissuta dal cristianesimo. A Ratisbona ha spiegato che l'impresa è estremamente ardua, ma da allora continua a rilanciare al mondo musulmano la proposta di saldare la fede al "logos" e quindi alla libertà di coscienza e di religione, tuttora inesistenti nei paesi islamici, come anche il vescovo Padovese ben sapeva e spiegava, con ragionamenti molto ratzingeriani.

Su questo sfondo, l'incontro del papa con il maestro sufi – figura a margine delle correnti islamiche dominanti – ha simboleggiato l'incontro con un "altro" islam, con musulmani che non sono nemici ma "fratelli nonostante le diversità".


LA CROCE


Ma non ci sono stati solo l'ecumenismo e l'islam, nell'agenda di viaggio del papa. Sorprendentemente, Benedetto XVI ha dedicato alla croce, la croce di Gesù, la sua meditazione più intensa, predicando in una chiesa dedicata proprio al santo legno.

A tutti coloro che soffrono – ha detto – la croce "offre la speranza che Dio può trasformare le loro sofferenze in gioia, la morte in vita". La croce fa ciò di cui nessun potere terreno è capace. "E se, in accordo con quanto abbiamo meritato, avessimo qualche parte nelle sofferenze di Cristo, rallegriamoci, perché ne avremo una felicità ben più grande quando sarà rivelata la sua gloria".

Ci vuole coraggio a rivolgersi così a persone che patiscono l'occupazione ingiusta delle loro case e terre, l'esilio forzato, la distruzione dei segni della propria fede, in un quadrante mediorientale nel quale l'unico Stato in cui i cristiani godono di libertà è quello di Israele.

Ma la croce è il felice scandalo della fede cristiana. È il vessillo trionfale che papa Benedetto innalza e offre al mondo.


Fecondazione artificiale & Legge 40: 10.000 figli & 200.000 vittime innocenti - Il Comitato Verità e Vita - Comunicato Stampa N. 83, 8 Giugno 2010
Nel 2008 sono 10.212 i “figli” della legge 40. Lo rivela il sottosegretario al Ministero della Salute Eugenia Roccella, che ha commentato con soddisfazione il dato dei nati in Italia con tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Per ottenere, con il concorso delle tecniche ICSI e FIVET, la nascita di questi 10.212 bambini e bambine, è stato necessario sacrificare consapevolmente circa 200.000 esseri umani, fratelli e sorelle di quelli fortunosamente sopravvissuti e confluiti nel novero dei “successi”. Esiste, infatti, un rapporto di 1 a 20 tra bambino in braccio e embrioni che muoiono nelle tecniche di fecondazione artificiale, morti che avvengono in provetta, nel trasferimento e dopo l'impianto.
Dunque, non riusciamo a capire come possa esservi chi, nel fronte pro life e nel mondo cattolico, giudichi come un successo questo risultato della legge 40…

Leggi qui sotto il Comunicato Stampa del Comitato Verità e Vita


Nel 2008 sono 10.212 i “figli” della legge 40. Lo rivela il sottosegretario al Ministero della Salute Eugenia Roccella, che ha commentato con soddisfazione il dato dei nati in Italia con tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Questi numeri sarebbero da salutare come un segnale positivo, una conferma del buon funzionamento della legge 40 che non ostacolerebbe, ma anzi incoraggerebbe le tecniche di fecondazione artificiale.
Di segno opposto i giudizi degli ambienti legati ai centri specializzati nelle tecniche riproduttive, che definiscono la legge 40 “repressiva”, e che si danno da fare per abbattere i famosi “paletti”.
Anche se i dati sono “ancora in fase di elaborazione”, come ha spiegato il sottosegretario Roccella, già ora è possibile dire una cosa: e cioè, che quei 10.000 figli della provetta non possono essere salutati come una vittoria della cultura della vita e della dignità della persona umana. E questo, almeno per due ordini di ragioni.
• La prima: c'è un solo modo di essere concepiti in maniera veramente umana, e rispettosa delle dignità del nascituro. E questo modo è l'abbraccio naturale fra l'uomo la donna, al quale può seguire il sorgere di una nuova vita , che si sviluppa nell'unico luogo pienamente idoneo alla sua protezione: il grembo della donna.
• La seconda ragione: dietro al dato apparentemente trionfale dei 10.000 bambini che sono riusciti a nascere, si nasconde – approfittando del colpevole silenzio di molti – il dato impressionante delle vittime da fecondazione artificiale.
Per ottenere, con il concorso delle tecniche ICSI e FIVET, la nascita di 10.212 bambini e bambine nell'anno 2008, è stato necessario sacrificare consapevolmente circa 200.000 esseri umani, fratelli e sorelle di quelli fortunosamente sopravvissuti e confluiti nel novero dei “successi”.
Per ottenere questo risultato sconvolgente, è sufficiente tener conto che esiste un rapporto di 1 a 20 tra bambino in braccio e embrioni che muoiono nelle tecniche di fecondazione artificiale, morti che avvengono in provetta, nel trasferimento e dopo l'impianto. Morti che non sono equiparabili a imprevedibili decessi naturali, ma che sono al contrario accettate fin dal principio e anzi desiderate, dal momento che si procede quasi sempre a un trasferimento multiplo, mentre la coppia chiede di avere uno e non tre figli.
Dunque, questi embrioni d'uomo, fratelli e sorelle dei 10.000 nati, sono stati vittime di tecniche disumane e occisive, promosse e protette dalla legge 40 del 2004, che si conferma una legge gravemente ingiusta.
Dunque, non riusciamo a capire come possa esservi chi, nel fronte pro life e nel mondo cattolico, giudichi come un successo questo risultato della legge 40. I mezzi di informazione, in particolare quelli cattolici, hanno il dovere di evitare la cooperazione al male e lo scandalo, e devono testimoniare il valore della vita, opponendosi alle leggi gravemente ingiuste.
I media, e soprattutto coloro che lavorano per la difesa della vita, hanno il grave dovere morale di prendere le distanze da un quadro legislativo gravemente iniquo e ad affermare con chiarezza il valore della vita umana, per non dare l'impressione di una certa tolleranza o accettazione tacita di azioni gravemente lesive del primo diritto naturale, che è il diritto alla vita.
"… le tecniche di fecondazione in vitro si svolgono di fatto come se l'embrione umano fosse un semplice ammasso di cellule che vengono usate, selezionate e scartate... " successivamente, " il rapporto tra il numero totale di embrioni prodotti e di quelli effettivamente nati, il numero di embrioni sacrificati è altissimo... " e ancora, " Le tecniche di fecondazione in vitro in realtà vengono accettate, perché si presuppone che l'embrione non meriti un pieno rispetto, per il fatto che entra in concorrenza con un desiderio da soddisfare. Questa triste realtà, spesso taciuta, è del tutto deprecabile , in quanto «le varie tecniche di riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita e che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono la porta a nuovi attentati contro la vita » " [ Dignitas Personae n.14 e n.15 ] Sarà opportuno ricordare che la verità proposta dalla Dignitas Personae non è verità ‘confessionale' o di fede, bensì verità universale, valida per tutti, Cattolici e non, in quanto fondata saldamente sul Diritto Naturale.
Ciò che sta avvenendo con le tecniche di fecondazione artificiale, con la loro legalizzazione e con la difesa acritica della legge stessa, è un vero e proprio scandalo, dalle conseguenze di portata incalcolabile su più piani: etico, familiare, sociale, teologico, ecclesiale. Le morti per fivet coinvolgono in modo diverso e a prescindere da ogni giudizio personale, madri, padri, operatori sanitari, legislatori, giornalisti, uomini con responsabilità ecclesiali. Tutti sono chiamati a non cooperare alla normalizzazione di condotte umane gravemente contrarie al diritto alla vita e alla tutela del bene comune.
Il Comitato Verità e Vita - Comunicato Stampa N. 83, 8 Giugno 2010


Handicap e clima culturale - Se si flirta con l'eugenetica - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 10 giugno 2010
Una forte protesta si è levata in Italia alla notizia che la regione Veneto aveva proposto di escludere dall'accesso al trapianto di organi le persone con grave handicap mentale. La reazione, sulla base delle informazioni disponibili, era corretta, ma la Regione ha prontamente fatto chiarezza: nessuno in Italia, e tantomeno in Veneto, viene discriminato per l'accesso alla salute. Questo rasserena: se qualcuno volesse usare un criterio selettivo di accesso al diritto alla salute, non sulla base dell'utilità per il paziente, ma sulla base di quale paziente lo "merita", si creerebbe una discriminazione inaccettabile.
Detto questo, fa riflettere la reazione di stupore che ha seguito la notizia: strano, dato che purtroppo in occidente la discriminazione genetica è un fatto quotidiano, e nella pratica accettato. Oggi, non viviamo forse in una civiltà che si permette di non far nascere i bambini concepiti perché portatori di handicap? E non viviamo in un mondo che non sa che farsene nemmeno del disabile già nato?
Nel 1984 negli Stati Uniti un bambino down - convenzionalmente chiamato baby Doe - fu lasciato morire di fame perché, nato con un'anomalia operabile all'esofago, i genitori si rifiutarono di dare il permesso all'intervento. La Corte suprema decretò una legge che impediva il ripetersi di episodi del genere; ma oggi questa legge viene rimessa in discussione sia nelle aule della politica che negli ospedali: uno studio ha mostrato che per una gran parte dei rianimatori il peso che il bambino disabile sarà per la famiglia è un dato importante quando si decide se rianimarlo, e che per molti di loro la vita con handicap non merita di essere vissuta ("Journal of the American Medical Association", novembre 2000).
Analogamente, nel 2000 in Francia venne varato un decreto per il quale il bambino nato con un handicap poteva denunciare il medico che aveva sbagliato la diagnosi prenatale: si sentenziò infatti che il suo interesse era di venire abortito; il decreto venne ritirato in seguito alle proteste delle famiglie dei disabili che crearono collettivi contro l'handi-fobia per difendersi dalle conseguenze stigmatizzanti che il dispositivo introduceva nella mentalità popolare. Ma l'11 giugno prossimo, lungi dall'aver i francesi sopito il dibattito, la Corte costituzionale tornerà a pronunciarsi su quel decreto.
Chi si indigna per questi fatti inquietanti? La nostra è una società handi-fobica, in cui si inizia finalmente a insorgere contro le discriminazioni razziali, ma si accettano ancora quelle basate sulla malattia genetica: normale è infatti l'idea di "figlio perfetto", di selezione prenatale, in una società che spende miliardi per la diagnosi prenatale genetica a tappeto e lascia le briciole alla ricerca per le malattie rare o per la cura della sindrome di Down.
E la fobia verso la persona disabile si spinge all'età adulta: "Crediamo che la reale causa della morte di Mark e delle persone con disabilità mentale come lui - riportava nel 2008 un rapporto al Parlamento britannico dell'importante associazione Mencap - sia l'indifferenza nel sistema sanitario verso le persone con ritardo mentale e le loro famiglie". Quali le cause di questo orrore che, secondo la rivista "Lancet", ha portato i disabili mentali a essere "quasi invisibili per il Sistema sanitario nazionale"? Certo, alla base si ritrova una mancata formazione dei medici verso i problemi specifici delle persone con handicap, ma "sembrano esserci casi di sfacciata discriminazione, quando i curanti sembrano dare giudizi arbitrari di valore sulle persone con ritardo mentale".
Al di là del fatto italiano, non si può protestare per conseguenze che addolorano se si accetta - e lo si accetta troppo spesso - il clima culturale descritto; clima che "flirta con l'eugenetica", come scriveva Didier Sicard, presidente d'onore del Comitato consultivo francese di etica. Se ci s'indigna, che l'indignazione sia a tutto tondo, portando a stigmatizzare e sanzionare le forme di discriminazione della disabilità fatte sia con azioni indegne quali il bullismo, sia con l'appoggio culturale alla discriminazione verso il disabile, anche quello non ancora nato o in fasce.
È un'occasione per la costruzione di un mondo senza barriere: per una scuola che insegni a far amicizia col compagno di banco che non parla; una televisione che mostri i successi sportivi di chi fa slalom senza una gamba o basket in sedia a rotelle; una medicina che non faccia diventare routine il contare i cromosomi prima di decidere se amare un figlio; una cultura che offra un sostanziale sostegno economico e sociale alle famiglie di chi ha un handicap. Su queste basi - senza escluderne alcuna - la Chiesa non solo è aperta al dialogo, ma da sempre offre la dedizione di associazioni e volontari a tutti coloro che vogliano provare a costruire un mondo più umano.
(©L'Osservatore Romano - 10 giugno 2010)


10 ANNI FA L’OMICIDIO SATANISTA DI SUOR LAURA MAINETTI - Don Marcello Stanzione – dal sito pontifex.roma.it
Sono trascorsi dieci anni esatti dall’omicidio di Suor Maria Laura Mainetti, uccisa a Chiavenna, in provincia di Sondrio, il 6 giugno 2000, da tre ragazze che allora avevano diciassette anni. La religiosa che faceva parte dell’Istituto delle Figlie della Croce di Sant’Andrea e superiora dell’istituto “Immacolata” era nata a Colico in provincia di Lucca il 20 agosto 1939 ed era suora dal 25 agosto 1964 e per tutta la vita si era dedicata all’insegnamento. La suora conosciuta da tutti per la sua bontà e per la sua carità, è stata colpita da diciannove coltellate in una stradina all’imbocco del Parco delle Marmitte dei Giganti. Si è trattato di un vero sacrificio esame dedicato al diavolo. Le tre ragazze, infatti, erano appassionate di esoterismo e rock satanico. Nei loro diari gli inquirenti hanno trovato immagini e i testi delle canzoni di Marilyn Manson e poi simboli diabolici come la crocfe rovesciata e il “sei sei sei”, numero biblico dell’Anticristo. La suora ...

... era una persona disponibile, sempre pronta a correre in aiuto di chi era in difficoltà. La sera del delitto, una delle ragazze le telefonò fingendosi disperata perché era rimasta incinta dopo aver subito una violenza sessuale in famiglia e le chiese un incontro, ma era una trappola.

La religiosa è stata convinta a recarsi in una zona isolata, in mezzo al bosco, e il giorno dopo è stata ritrovata in una pozza di sangue, trafitta da diciannove coltellate al volto, alla gola e al torace.

Durante gli interrogatori, le tre ragazze hanno rivelato che a “Satana sarebbero bastate diciotto coltellate”. Sei colpi per una, in modo da comporre il diabolico numero “sei sei sei”. Ma il colpo dato in più, secondo le giovani, avrebbe rovinato il rito.


Le ragazze hanno raccontato che suor Maria Laura, mentre riceveva le coltellate, era in ginocchio e pregava a mani giunte. Le sue ultime parole sono state: “Signore perdonale”, mentre le ragazze continuavano a trafiggerla e a insultarla: “Muori, bastarda”.

La cosa più inquietante è che le diciassettenni, per rafforzare quel folle patto, hanno compiuto una serie di riti satanici. Uno, in particolare: ognuna delle tre assassine si è procurata una ferita, alla mano o al polso, per raccogliere un bicchiere di sangue da bere come eterno giuramento e dono di vestizione nel nome di Lucifero. La notizia della morte di suor Maria Laura Mainetti è stata diffusa da Radio Vaticana e l’episodio ha suscitato tanto stupore e commozione per il martirio di questa suora.

In occasione dell’omicidio della suora, don Agostino Clerici, direttore del settimanale della Diocesi di Como, in un articolo ha scritto: “Il satanismo trova spazio laddove vien meno la religiosità; la maleducazione troneggia dove manca l’educazione; il male serpeggia quando gli spazi del bene sono ridotti al lumicino. La cultura del nulla è un’atroce utopia: il nulla, infatti, non esiste; quando c’è il nulla, di fatto c’è già il male. Tutto è ancora più drammatico in quell’età in cui ai “lutti” dell’infanzia dovrebbero sostituirsi le “nascite” della vita adulta.

L’adolescente ha bisogno di essere amorevolmente e tenacemente educato al sacrificio. Solo il sacrificio partorisce il bene. Oggi lo si rifugge, in una società dell’avere che lasci trasparire sempre più la povertà dell’essere.

E se il sacrificio non conduce ai valori, il suo posto è preso fatalmente da un protagonismo malsano. La noia occupa un vuoto di ideali. E il gioco è un gioco… di morte. È accaduto a Chiavenna”. Oggi, Ambra, Milena e Veronica, le tre assassine della suora sono in libertà. Nel luogo del martirio di suor Laura, che è divenuto meta di pellegrinaggi, è stata posta una Croce in granito dove è stato inciso il motto evangelico: “ Se il chicco di grano muore, porta molto frutto”. Nel decimo anniversario del barbaro assassinio è stata inaugurata una casa di accoglienza della Caritas che porta il nome della suora che ha speso tutta la sua vita nell’educazione dei ragazzi.
Don Marcello Stanzione


IL CASO/ Il piccolo Luca e il grande Andrea Bocelli: due storie dono e perdono - Alessandro Banfi - giovedì 10 giugno 2010 – ilsussidiario.net
Ci sono storie che non smettono di stupire e che possono anche commuovere. Nella confusione delle notizie sempre brutte che è diventato il nostro bollettino quotidiano, in queste ore sono emerse due vicende su cui vale la pena riflettere.
L’incredibile storia del rapimento lampo del piccolo Luca, sottratto a sua madre solo tre ore dopo il parto e quella del video comparso su Youtube in cui il grande Andrea Bocelli racconta la scelta di una madre che non aveva voluto abortire. La sua. Storie di madri e di figli, di grandi dolori e anche di grandi gioie.
La prima vicenda, quella di Nocera Inferiore, ci ha tenuti in apprensione diverse ore nella giornata di lunedì. Una bambino appena nato in ospedale era stato rapito da una (forse falsa) infermiera. Ricerche spasmodiche, record di ascolto per Chi l’ha visto? in onda in diretta proprio il lunedì sera. L’Italia non è un Paese per bambini? Terrorizzante l’idea che si possa entrare in un nosocomio pubblico, senza che nessuno ti chieda niente.
Verso mezzanotte la buona notizia: il bambino, che si chiamerà Luca, sta bene. È stato scovato dalla Polizia a casa di una vera infermiera, subito tratta in arresto. Torna dai suoi, Luca. Poi passano le ore e si viene a sapere della sventurata che lo aveva sottratto e della sua storia. La donna racconta di aver desiderato tanto un figlio maschio, che era rimasta incinta ma poi lo aveva perso per un aborto spontaneo, ma non lo aveva confessato al suo compagno e la sua folle idea era prendere un neonato maschio in un altro ospedale e portarselo a casa. Come può volgersi in male in una mente malata ogni migliore intenzione, ogni istanza di bene, ogni proposito genuino!
E tuttavia la lezione di umanità è arrivata dalla neo mamma di Luca, che quando ha conosciuto l’accaduto, non ha esitato a pronunciare una frase tanto cristiana quanto in disuso: “La perdono”. Un gesto da madre. Una madre che se possibile capisce meglio adesso che cosa davvero significhi esserlo, per aver attraversato il deserto di un dolore acuto e inaspettato. Per aver abbracciato il figlio con una nuova luce negli occhi, un’altra consapevolezza. Come se Luca fosse nato una seconda volta. Donato e ridonato. E speriamo che lo sguardo della madre di Luca aiuti l’altra donna, l’infermiera che andrà curata perché ritorni a guardare la vita come una fortuna che ti capita.
E un dono, il dono della nascita, è il centro del racconto del grande cantante Andrea Bocelli. A sua mamma era stato consigliato l’aborto, perché i medici avevano precocemente riscontrato possibili danni al nascituro. Ma la madre decise di tenere il figlio che poi nacque con una forma grave di glaucoma, che presto lo ha portato alla cecità. Quel figlio voluto, nonostante quell’handicap, è diventato un grande della musica, un italiano conosciuto nel mondo. Quanto può essere ironica la vita!
Un grande neurologo, Oliver Sacks, ha spiegato nel suo bellissimo libro sulla musica il “vantaggio” naturale dei ciechi nell’approccio al senso musicale. Mi è venuto in mente vedendo il video di Bocelli su Youtube. Che cosa possiamo sapere mai noi della nostra umanità, del nostro cervello, per non parlare dell’anima, per essere arbitri della vita? Per sopprimere, sommergere, direbbe Primo Levi, o salvare qualcuno? Ecco di che cosa ci parlano queste due storie: del senso della nascita. Del dono. E del perdono.


La vera patologia è il «figlio perfetto» - Alessandro Caruso, del Centro studi per la Tutela della salute della madre e del concepito alla Cattolica: «In Italia si fanno più diagnostiche invasive che in ogni altro Paese d’Europa» - Graziella Melina – Avvenire, 10 giugno 2010
Non ci gira intorno A lessandro Caruso, direttore del Centro studi per la Tutela della salute della madre e del conce pito dell’Università Cattolica: la diagnostica prenatale ha raggiunto traguardi importanti, ma di pari passo l’ansia delle mam me è aumentata. «In Italia si fanno più dia gnostiche invasive, in percentuale sulle gravi danze, che in ogni altro Paese d’Europa – spie ga –. E purtroppo di fronte al dubbio diagno stico che un feto possa avere il 10 per cento di esiti non felici, secondo l’accezione corrente, ci si concentra su questo 10 per cento e si dimen tica il 90 per cento di normalità. Stessa situa zione allarmante per i soft markers ecografici, ovvero i difetti minori, quei segni cioè che so no di per sé poco significativi, ma sono fre quenti e angosciano».

Professore di chi è allora la responsabilità della continua ricerca dell’esame che certifichi a tutti i costi la perfezione del bimbo che si ha in grembo? Della mamma ansiosa o del medico?

«La medicina va dietro a un fenomeno antro pologico che vuole il figlio perfetto. È un feno meno che nasce dal benessere, dall’edonismo.

Tutto ciò che è faticoso, oppure non rientra nei canoni della bellezza, non va bene. La medici na che non è ispirata a principi etici rigorosi va dietro a queste esigenze della società. E poi, a volte, il medico ha paura del contenzioso. E co sì il suo dubbio diagnostico si riflette sulla pa ziente che non si fida, perché è immersa in un contesto in cui tutti sono 'esperti' di medicina oppure si sono informati su Internet».

È un problema di insicurezza?

«Esatto. Ma talvolta anche le indagini invasive non danno certezze. Facciamo una serie di a nalisi, sottoponiamo a stress per qualcosa su cui non c’è certezza».

C’è anche qualche interesse di tipo economico?

«Certamente. Ogni laboratorio che fa amnio centesi ha sempre un’utenza. E ne aprono sem pre di più…»

Quindi si lucra sulla gravidanza e a scapito delle donne e del nascituro?

«Sì. Ma c’è anche la sanità pubblica che va die tro a queste cose. Non è solo la sanità privata che lo fa. In realtà la nostra sanità pubblica non ha governato la diagnostica prenatale. Ha la sciato che tutto si espandesse in maniera spon­tanea. Oggi vengono le donne gravide che vo gliono fare l’ecografia ogni 15 giorni. Solo per ché vogliono vedere il bambino».

Quando invece sono consigliati esami più approfonditi?

«Nei casi ad alto rischio. Va tenuto presente però che l’amniocentesi ha un rischio dello 0,6/0,7 per cento di aborto procurato, quindi più esami inutili si fanno più bambini si per dono ».

Quali limiti dovrebbero essere posti nella diagnostica prenatale?

«I limiti della ragionevolezza e della scientifi cità. Noi medici dobbiamo rappresentare alle mamme qual è la verità scientifica, e non solo gli aspetti negativi di quello che può capitare. E nella verità è contenuto più bene che male. Dobbiamo mettere la famiglia, la donna, i ge nitori nelle condizioni di sapere la verità in mo do integrale, e scientificamente inoppugnabi le. Occorre cercare di far emergere nella donna e nei genitori quei sentimenti materni e geni toriali che poi, al di là della fede religiosa, spin gono la coppia a proteggere il proprio figlio».