giovedì 3 giugno 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) OMELIA DI BENEDETTO XVI PER IL CORPUS DOMINI A SAN GIOVANNI IN LATERANO - ROMA, giovedì, 3 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo giovedì, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, da Benedetto XVI nel presiedere la Santa Messa sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano prima della processione eucaristica fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore.
2) IL PAPA: “TRA FEDE CRISTIANA E RAGIONE SUSSISTE UNA NATURALE ARMONIA” - Catechesi per l'Udienza generale dedicata a San Tommaso d’Aquino
3) La Lombardia l’aborto e i CAV: un caso esemplare - Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 2 giugno 2010
4) L'IMPORTANZA DEL COUNSELLING NELLA DIAGNOSI PRENATALE - Intervista al prof. Giuseppe Noia, docente di Medicina prenatale - di Massimo Losito
5) Legge 40 ancora sotto attacco - Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 2 giugno 2010
6) La beatificazione di don Popiełuszko e la nostra responsabilità nel mondo - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 3 giugno 2010
7) Vescovo italiano assassinato in Turchia - A colpirlo a morte, secondo i primi accertamenti, è stato il suo autista «già in cura per disturbi mentali» - Furio Morroni - ANKARA - © Copyright Gazzetta del sud, 4 giugno 2010
8) Festa dei Giubilei Sacerdotali. L’omelia del Patriarca - Giu 3, 2010 - FESTA DEI GIUBILEI SACERDOTALI – Viene pubblicata qui di seguito l’omelia del Patriarca pronunciata in occasione della celebrazione Eucaristica nella Basilica patriarcale di San Marco a Venezia: Venezia, 3 giugno 2010
9) ISRAELE CADE NELLA TRAPPOLA - Gianni Toffali Verona – dal sito pontifex.roma.it
10) La migliore delle civiltà possibili - Chiara Sirianni (Tempi) - Sapete quanti diritti umani e progressi sociali ci saremmo persi senza Gesù Cristo e i suoi incoerenti seguaci? Un manuale di Francesco Agnoli


OMELIA DI BENEDETTO XVI PER IL CORPUS DOMINI A SAN GIOVANNI IN LATERANO - ROMA, giovedì, 3 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo giovedì, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, da Benedetto XVI nel presiedere la Santa Messa sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano prima della processione eucaristica fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore.
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Cari fratelli e sorelle!
Il sacerdozio del Nuovo Testamento è strettamente legato all’Eucaristia. Per questo oggi, nella solennità del Corpus Domini e quasi al termine dell’Anno Sacerdotale, siamo invitati a meditare sul rapporto tra l’Eucaristia e il Sacerdozio di Cristo. In questa direzione ci orientano anche la prima lettura e il salmo responsoriale, che presentano la figura di Melchisedek. Il breve passo del Libro della Genesi (cfr 14,18-20) afferma che Melchisedek, re di Salem, era "sacerdote del Dio altissimo", e per questo "offrì pane e vino" e "benedisse Abram", reduce da una vittoria in battaglia; Abramo stesso diede a lui la decima di ogni cosa. Il salmo, a sua volta, contiene nell’ultima strofa un’espressione solenne, un giuramento di Dio stesso, che dichiara al Re Messia: "Tu sei sacerdote per sempre / al modo di Melchisedek" (Sal 110,4); così il Messia viene proclamato non solo Re, ma anche Sacerdote. Da questo passo prende spunto l’autore della Lettera agli Ebrei per la sua ampia e articolata esposizione. E noi lo abbiamo riecheggiato nel ritornello: "Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore": quasi una professione di fede, che acquista un particolare significato nella festa odierna. E’ la gioia della comunità, la gioia della Chiesa intera, che, contemplando e adorando il Santissimo Sacramento, riconosce in esso la presenza reale e permanente di Gesù sommo ed eterno Sacerdote.
La seconda lettura e il Vangelo portano invece l’attenzione sul mistero eucaristico. Dalla Prima Lettera ai Corinzi (cfr 11,23-26) è tratto il brano fondamentale in cui san Paolo richiama a quella comunità il significato e il valore della "Cena del Signore", che l’Apostolo aveva trasmesso e insegnato, ma che rischiavano di perdersi. Il Vangelo invece è il racconto del miracolo dei pani e dei pesci, nella redazione di san Luca: un segno attestato da tutti gli Evangelisti e che preannuncia il dono che Cristo farà di se stesso, per donare all’umanità la vita eterna. Entrambi questi testi mettono in risalto la preghiera di Cristo, nell’atto dello spezzare il pane. Naturalmente c’è una netta differenza tra i due momenti: quando divide i pani e i pesci per le folle, Gesù ringrazia il Padre celeste per la sua provvidenza, confidando che Egli non farà mancare il cibo per tutta quella gente. Nell’Ultima Cena, invece, Gesù trasforma il pane e il vino nel proprio Corpo e Sangue, affinché i discepoli possano nutrirsi di Lui e vivere in comunione intima e reale con Lui.
La prima cosa che occorre sempre ricordare è che Gesù non era un sacerdote secondo la tradizione giudaica. La sua non era una famiglia sacerdotale. Non apparteneva alla discendenza di Aronne, bensì a quella di Giuda, e quindi legalmente gli era preclusa la via del sacerdozio. La persona e l’attività di Gesù di Nazaret non si collocano nella scia dei sacerdoti antichi, ma piuttosto in quella dei profeti. E in questa linea, Gesù prese le distanze da una concezione rituale della religione, criticando l’impostazione che dava valore ai precetti umani legati alla purità rituale piuttosto che all’osservanza dei comandamenti di Dio, cioè all’amore per Dio e per il prossimo, che come dice il Vangelo "vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici" (Mc 12,33). Persino all’interno del Tempio di Gerusalemme, luogo sacro per eccellenza, Gesù compie un gesto squisitamente profetico, quando scaccia i cambiavalute e i venditori di animali, tutte cose che servivano per l’offerta dei sacrifici tradizionali. Dunque, Gesù non viene riconosciuto come un Messia sacerdotale, ma profetico e regale. Anche la sua morte, che noi cristiani giustamente chiamiamo "sacrificio", non aveva nulla dei sacrifici antichi, anzi, era tutto l’opposto: l’esecuzione di una condanna a morte, per crocifissione, la più infamante, avvenuta fuori dalle mura di Gerusalemme.
Allora, in che senso Gesù è sacerdote? Ce lo dice proprio l’Eucaristia. Possiamo ripartire da quelle semplici parole che descrivono Melchisedek: "offrì pane e vino" (Gen 14,18). E’ciò che ha fatto Gesù nell’ultima Cena: ha offerto pane e vino, e in quel gesto ha riassunto tutto se stesso e tutta la propria missione. In quell’atto, nella preghiera che lo precede e nelle parole che l’accompagnano c’è tutto il senso del mistero di Cristo, così come lo esprime la Lettera agli Ebrei in un passo decisivo, che è necessario riportare: "Nei giorni della sua vita terrena – scrive l’autore riferendosi a Gesù – egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo dalla morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek" (5,8-10). In questo testo, che chiaramente allude all’agonia spirituale del Getsemani, la passione di Cristo è presentata come una preghiera e come un’offerta. Gesù affronta la sua "ora", che lo conduce alla morte di croce, immerso in una profonda preghiera, che consiste nell’unione della sua propria volontà con quella del Padre. Questa duplice ed unica volontà è una volontà d’amore. Vissuta in questa preghiera, la tragica prova che Gesù affronta viene trasformata in offerta, in sacrificio vivente.
Dice la Lettera agli Ebrei che Gesù "venne esaudito". In che senso? Nel senso che Dio Padre lo ha liberato dalla morte e lo ha risuscitato. E’ stato esaudito proprio per il suo pieno abbandono alla volontà del Padre: il disegno d’amore di Dio ha potuto compiersi perfettamente in Gesù, che, avendo obbedito fino all’estremo della morte in croce, è diventato "causa di salvezza" per tutti coloro che obbediscono a Lui. E’ diventato cioè sommo Sacerdote per avere Egli stesso preso su di sé tutto il peccato del mondo, come "Agnello di Dio". E’ il Padre che gli conferisce questo sacerdozio nel momento stesso in cui Gesù attraversa il passaggio della sua morte e risurrezione. Non è un sacerdozio secondo l’ordinamento della legge mosaica (cfr Lv 8-9), ma "secondo l’ordine di Melchisedek", secondo un ordine profetico, dipendente soltanto dalla sua singolare relazione con Dio.
Ritorniamo all’espressione della Lettera agli Ebrei che dice: "Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì". Il sacerdozio di Cristo comporta la sofferenza. Gesù ha veramente sofferto, e lo ha fatto per noi. Egli era il Figlio e non aveva bisogno di imparare l’obbedienza a Dio, ma noi sì, ne avevamo e ne abbiamo sempre bisogno. Perciò il Figlio ha assunto la nostra umanità e per noi si è lasciato "educare" nel crogiuolo della sofferenza, si è lasciato trasformare da essa, come il chicco di grano che per portare frutto deve morire nella terra. Attraverso questo processo Gesù è stato "reso perfetto", in greco teleiotheis. Dobbiamo fermarci su questo termine, perché è molto significativo. Esso indica il compimento di un cammino, cioè proprio il cammino di educazione e trasformazione del Figlio di Dio mediante la sofferenza, mediante la passione dolorosa. E’ grazie a questa trasformazione che Gesù Cristo è diventato "sommo sacerdote" e può salvare tutti coloro che si affidano a Lui. Il termine teleiotheis, tradotto giustamente con "reso perfetto", appartiene ad una radice verbale che, nella versione greca del Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia, viene sempre usata per indicare la consacrazione degli antichi sacerdoti. Questa scoperta è assai preziosa, perché ci dice che la passione è stata per Gesù come una consacrazione sacerdotale. Egli non era sacerdote secondo la Legge, ma lo è diventato in maniera esistenziale nella sua Pasqua di passione, morte e risurrezione: ha offerto se stesso in espiazione e il Padre, esaltandolo al di sopra di ogni creatura, lo ha costituito Mediatore universale di salvezza.
Ritorniamo, nella nostra meditazione, all’Eucaristia, che tra poco sarà al centro della nostra assemblea liturgica e della successiva solenne processione. In essa Gesù ha anticipato il suo Sacrificio, un Sacrificio non rituale, ma personale. Nell’Ultima Cena Egli agisce mosso da quello "spirito eterno" con il quale si offrirà poi sulla Croce (cfr Eb 9,14). Ringraziando e benedicendo, Gesù trasforma il pane e il vino. E’ l’amore divino che trasforma: l’amore con cui Gesù accetta in anticipo di dare tutto se stesso per noi. Questo amore non è altro che lo Spirito Santo, lo Spirito del Padre e del Figlio, che consacra il pane e il vino e muta la loro sostanza nel Corpo e nel Sangue del Signore, rendendo presente nel Sacramento lo stesso Sacrificio che si compie poi in modo cruento sulla Croce. Possiamo dunque concludere che Cristo è stato sacerdote vero ed efficace perché era pieno della forza dello Spirito Santo, era colmo di tutta la pienezza dell’amore di Dio, e questo proprio "nella notte in cui fu tradito", proprio nell’"ora delle tenebre" (cfr Lc 22,53). E’ questa forza divina, la stessa che realizzò l’Incarnazione del Verbo, a trasformare l’estrema violenza e l’estrema ingiustizia in atto supremo d’amore e di giustizia. Questa è l’opera del sacerdozio di Cristo, che la Chiesa ha ereditato e prolunga nella storia, nella duplice forma del sacerdozio comune dei battezzati e di quello ordinato dei ministri, per trasformare il mondo con l’amore di Dio. Tutti, sacerdoti e fedeli, ci nutriamo della stessa Eucaristia, tutti ci prostriamo ad adorarLa, perché in essa è presente il nostro Maestro e Signore, è presente il vero Corpo di Gesù, Vittima e Sacerdote, salvezza del mondo. Venite, esultiamo con canti di gioia! Venite, adoriamo! Amen.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana. Con aggiunte a braccio a cura di ZENIT]


IL PAPA: “TRA FEDE CRISTIANA E RAGIONE SUSSISTE UNA NATURALE ARMONIA” - Catechesi per l'Udienza generale dedicata a San Tommaso d’Aquino
ROMA, giovedì, 3 maggio 2010 (ZENIT.org).- San Tommaso d’Aquino “mostrò che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia”. Lo ha detto Benedetto XVI questo mercoledì in occasione dell'Udienza generale in cui è tornato a parlare dei pensatori cristiani del Medioevo.
Richiamando i momenti salienti della vita del grande teologo del Duecento, il Pontefice ha spiegato come il giovane Tommaso si distinse nell’interpretazione della filosofia aristotelica, che da alcuni era accolta con “entusiasmo acritico” e da altri temuta perché ritenuta “in opposizione alla fede cristiana”.
Tommaso d’Aquino, alla scuola di Alberto Magno, riuscì invece a “distinguendovi ciò che era valido da ciò che era dubbio o da rifiutare del tutto, mostrando la consonanza con i dati della Rivelazione cristiana e utilizzando largamente e acutamente il pensiero aristotelico nell’esposizione degli scritti teologici che compose”.

Tommaso fu un uomo di “eccellenti doti intellettuali” come dimostra la “poderosa” Summa Theologiae, ma fu anche “un maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia” nonché un uomo capace di essere compreso anche quando si rivolgeva al popolo, che “volentieri andava ad ascoltarlo”.

“È veramente una grande grazia – ha commentato a questo proposito il Papa –, quando i teologi sanno parlare con semplicità e fervore ai fedeli. Il ministero della predicazione, d’altra parte, aiuta gli stessi studiosi di teologia a un sano realismo pastorale, e arricchisce di vivaci stimoli la loro ricerca”.


La Lombardia l’aborto e i CAV: un caso esemplare - Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 2 giugno 2010
Vogliamo esprimere il nostro ringraziamento al presidente Formigoni e alla sua giunta per aver varato un provvedimento di sostegno alla maternità che si impegna a dare un aiuto economico alle mamme che rinunciano all’aborto. Come sostenuto dal Presidente Formigoni: “Nessuna donna dovrà più abortire in Lombardia a causa delle difficoltà economiche”. La regione Lombardia e il presidente Formigoni hanno mantenuto la promessa di finanziare il fondo “Nasko” per aiutare le mamme in difficoltà e in modo specifico per prevenire l’aborto per cause economiche. Si tratta di un assegno mensile di 250 euro per 18 mesi per quelle donne che rinunciano ad una interruzione della gravidanza che sarebbe stata determinata appunto da problemi economici. Il contributo, che arriva dunque fino a 4.500 euro, è reso possibile da un primo stanziamento di 5 milioni deciso dalla Regione. Ci sembra una notizia bellissima, perché finalmente si va oltre le parole e si fa qualcosa di concreto per prevenire l’aborto. Formigoni come già più volte dimostrato mette in pratica senza tanti proclami una vera politica di sostegno alla maternità. Tutti coloro i quali continuano a sostenere che l’aborto è necessario per garantire la libertà della donna, dovrebbero seriamente interrogarsi sul fatto che molte donne abortiscono solo per motivi economici. Naturalmente questo è anche un modo per applicare la prima parte della legge 194, ma subito le opposizioni e il fronte ideologizzato pro-aborto o pro-choice ha attaccato il presidente Formigoni, perché l’aiuto e la verifica della necessità dei fondi passerà tramite i CAV, i quali faranno un progetto per la neo-mamma che per accedere al fondo dovrà accettarlo. Chi critica questa scelta non tiene conto del dato che le gestanti che si sono presentate ad un CAV con il certificato per abortire sono state nel 2009 solo il 7% del totale delle mamme aiutate. La percentuale di gestanti inviate ad un CAV da un Consultorio Pubblico solo il 5% di quelle assistite. Quindi il sostegno dei CAV favorirà la possibilità concreta di aiutare le mamme. Niente di nuovo per i CAV che già da 30 anni fanno questi progetti e che finalmente vedono riconosciuto il loro ruolo. Sapendo che le maggiori difficoltà denunciate dalle donne che arrivano ai CAV permangono quelle economiche (45%) che salgono al 70% sommando le difficoltà per mancanza di lavoro o di alloggio, e che tra le donne che si sono presentate ai CAV sono senza lavoro il 28%, ci sembra che questo provvedimento vada nella direzione giusta. Se consideriamo poi che le donne di cittadinanza straniera assistite dai CAV sono passate dal 16% sul totale delle donne assistite del 1990, al 49% del 1996, all’82% dello scorso anno, il diritto all’accoglienza inizia dalla difesa della vita di questi bambini. Tutti dovrebbero essere contenti che nessuna donna sia costretta ad abortire per cause economiche, perché tutti, anche i più poveri e gli stranieri hanno il diritto ad un aiuto soprattutto se questo permetterà di far nascere una nuova vita. D’altronde la Lombardia e i suoi cittadini sono da sempre impegnati nell’accoglienza delle mamme e della vita, se si pensa che i dati dei CAV della Lombardia sono: nel 2009 il CAV Milano Mangiagalli ha assistito ben 2810 donne e fatto nascere 1125 bambini, il Centro di Aiuto alla Vita Ambrosiano ha assistito 263 gestanti e supportato in ugual maniera altri 189 nuclei familiari, in gran parte di stranieri, il CAV di Bergamo ne ha fatti nascere 324, Cremona 221, Mantova 238, Como 112, Cernusco sul Naviglio 115, Cassano D’Adda 51, Brescia 94, Busto Arsizio 67, Legnano 64, Lodi 57, San Donato Milanese 171. La Lombardia è la Regione italiana nella quale nel 2009 vi è stato, con riferimento alla popolazione residente, sia il maggior numero di bambini nati grazie ai Centri di Aiuto alla Vita (44 ogni 100.000 abitanti) che di gestanti assistite (66 ogni 100.000 abitanti); la Lombardia ha 58 CAV, in Italia ce ne sono 331. Ma questo non basta, perché in Lombardia ci sono stati nel 2008 20.368 aborti (in Italia nel 2008 sono state effettuate 121.406 interruzioni di gravidanza – dalla Relazione del Ministro della Salute sulla Attuazione della Legge 194).


L'IMPORTANZA DEL COUNSELLING NELLA DIAGNOSI PRENATALE - Intervista al prof. Giuseppe Noia, docente di Medicina prenatale - di Massimo Losito
ROMA, giovedì, 3 giugno 2010 (ZENIT.org).- Si terrà lunedì 7 giugno presso l’Aula Brasca del Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma, l’incontro che ha per titolo “Il contenimento del dubbio diagnostico: il counselling per la vita prenatale”.
Promosso dal Centro Studi per la Tutela della salute della Madre e del Concepito dell’Università Cattolica, in collaborazione con “La Quercia Millenaria Onlus”, il meeting spiegherà come la Medicina prenatale, di cui un buon counselling fa parte, è la disciplina che affronta le problematiche materne e fetali durante la gravidanza, con attenzione anche alle misure preventive.
La cura delle mamme nella fase iniziale della gravidanza è molto importante perchè soprattutto in fase di diagnosi prenatale, un counselling incerto, poco corretto o addirittura errato, può indurre le coppie dei genitori in ansia verso la scelta dell’aborto.
Un counselling corretto permette alla coppia di avere un approccio reale con il problema, evita azioni drastiche dettate dall'angoscia, incoraggia i genitori ad avere un rapporto di tenerezza e protezione nei riguardi del bambino, li sprona nel desiderio di curare e non di eliminare, ed avvia ad una crescita personale e ad un adeguato modo di gestire la propria famiglia, anche in relazione ai figli presenti e al futuro della coppia stessa.
Per approfondire un tema di così grande attualità e urgenza per la cura e la protezione delle mamme e dei nascituri, ZENIT ha intervistato il prof. Giuseppe Noia, responsabile del Centro di Diagnosi e Terapia fetale presso il Policlinico Gemelli di Roma e docente di Medicina prenatale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, nonché cofondatore, Vicepresidente e Direttore del Comitato Scientifico de La Quercia Millenaria Onlus.
Professor Noia, un convegno sul counselling… come mai?
Noia: Sul counselling si gioca il destino di tanti bambini. Il counselling tratta di come viene presentata la situazione reale da un punto di vista rigorosamente scientifico, della condizione effettiva di un bambino in utero; molto spesso, la paura o l’ignoranza di tanti che non conoscono realmente le storie naturali delle patologie fetali, generano da parte degli operatori l’amplificazione di un fatto che sembra essere, ed invece non è realmente; in questo senso, il contenimento del dubbio diagnostico, diventa essenziale per evitare alla donna e alle famiglie, la pratica devastante dell’aborto.
L’argomento del “counselling”, gode della giusta importanza in ambiente medico?
Noia: Questa domanda è di grande attualità, perché il momento del counselling riveste per molti operatori medici, per molti ginecologi ed ecografisti, non solo una valenza di ordine clinico, ma anche una valenza di ordine medico-legale. E purtroppo il counselling, come dicevamo prima, non viene effettuato né riconosciuto nella sua estrema importanza; viene spesso fatto in maniera direttiva, cioè quasi a costringere le scelte delle donne. C’è quel bellissimo libro “Nascite ribelli”, di una autrice americana, che dimostra come nella società statunitense, i medici quasi costringevano le donne a scegliere l’interruzione, dimenticando che il counselling è un momento medico assolutamente “neutro”. Poi interviene l’aspetto del destino di quel bambino… noi non possiamo essere neutri dinanzi al destino del bambino, ma neutri nel senso di “oggettivi” e “scientificamente rigorosi” su quello che realmente è la storia naturale di quelle patologie. In questo modo il bambino viene assolutamente considerato.
Possiamo affermare quindi, che la capacità di fare counselling, deve viaggiare di pari passo con il saper usare la tecnica?
Noia: Io direi che deve viaggiare di pari passo non solo con il saper usare la tecnica, ma anche sviluppando una medicina condivisa. Perché una volta che noi, in maniera oggettiva abbiamo descritto le reali condizioni del bambino, dobbiamo anche far subentrare una certa empatia. La neutralità non deve essere confusa con la completa passività dinanzi al destino di quel bambino. Il nostro compito è dire ad esempio: “Guarda, lì c’é un burrone e sicuramente se ci vai ti fai male”… questa è la oggettività del fatto. Poi la donna dice che vuole andarci, e a quel punto interviene l’empatia, la condivisione, e si parla meglio con la donna per farle capire. Questo fa parte del counselling: non solo individuare i problemi del bambino, ma anche farsi carico delle paure, delle difficoltà della donna e della coppia.
Perché, secondo lei, oggi il ricorso all’aborto in caso di malformazioni è così frequente?
Noia: Perché viviamo in una società dove il senso del dolore e del sacrificio non deve assolutamente esistere. Il concetto che si vive oggi di sollievo del dolore, è accettato parzialmente. Oggi si tende ad annullare la sofferenza, e si sbaglia doppiamente, primo perché non si può “eliminare la sofferenza, eliminando il sofferente” e secondo perchè la sofferenza può essere lenìta, ma non eliminata dalla vita degli uomini. Si dà alla scienza una capacità che la scienza non ha. Con la capacita del cuore, invece, si condivide la sofferenza degli altri, si aiuta a lenire e spesso a guarire.
Il suo impegno con La Quercia Millenaria… ce ne vuole parlare?
Noia: Più che un impegno è stato un dono e come tale, viene da Dio. Noi possiamo solo ringraziare, perché questa realtà ci fa crescere tutti e ci fa mettere in condizione di rendere utile il sapere umano, la scienza umana che diventa servizio. Credo che nessun prestigiatore più di Dio, avrebbe potuto inventarsi questo modo di aiutare noi medici facendoci confrontare con la sofferenza e la eroicità di queste famiglie. Noi siamo dono per loro e loro per noi… e la Quercia Celeste è dono per tutti! (la Quercia Celeste è il gruppo di bimbi che sono tornati in cielo, ndr).
Nel libro “Il figlio terminale” (Nova Millennium Romae 2007, IF-Press 2010) le coppie che sono state accompagnate da lei nel percorso di accoglienza di un figlio terminale, raccontano la loro storia. Cosa hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi per lei, queste famiglie?
Noia: Rappresentano quello che nel Vecchio Testamento era lo “Shemà Israel”. Rappresentano la testimonianza storica vivente, di come una professione anche fatta con molta onestà e con molto impegno, fa il salto di qualità e diventa servizio ai più poveri tra i poveri. Raccoglie ciò che di meglio ci può essere per fare il medico, cioè di servire proprio le persone che più hanno bisogno, i più poveri tra i poveri, come li chiamava Madre Teresa, sono anche i bambini terminali. E al massimo della povertà, si deve rispondere con il massimo dell’amore.
Sappiamo della recente formazione della AIGOC. Perché una associazione di ginecologi e ostetrici cattolici?
Noia: Perché i problemi legati alla vita nascente, all’affettività e alla sessualità sono diventati, negli ultimi trent’anni non solo morali ma sociali; e chi, più dei medici cattolici, si deve acculturare e confrontare con queste problematiche, non tralasciando di rispondere in maniera esperienziale a queste richieste? La nascita di una associazione è utile allora, per far sentire culturalmente l’interesse sul confronto che c’è su questi temi cosi importanti, in modo che non i singoli ma una intera associazione di medici si muova su tematiche culturali.
Tutto ciò per dimostrare alla società che questo non è un fondamentalismo di tipo cattolico, che la scienza può venire incontro all’individuo, facendo riscoprire anche a colleghi che c’è un altro modo di affrontare questi argomenti.


Legge 40 ancora sotto attacco - Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 2 giugno 2010
Ancora una volta sentiremo parlare di sentenze fatte su misura per coppie che vogliono aggirare la Legge 40, approvata dal nostro parlamento nel 2004 e confermata da un referendum nel 2005.
Infatti registriamo la scelta di alcune associazioni che, appoggiate da una parte della magistratura e dell’avvocatura in Italia, cercano di modificare a colpi di sentenze la Legge 40 sulla Procreazione medicalmente assistita. Sono stati depositati infatti i ricorsi contro il divieto alle tecniche eterologhe. Dieci coppie chiedono di poter tentare di avere un bambino avvalendosi della donazione di gameti (ovuli e sperma) appartenenti ad estranei. Naturalmente l’Italia non è il solo paese in cui sono presenti queste discussioni e i ricorsi giudiziari. Ad aprile la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato incompatibile con la Convenzione dei diritti dell’uomo la norma della legge austriaca che proibisce l’impiego di gameti eterologhi. La norma austriaca è identica a quella italiana, e secondo la Corte viola gli articoli 8 (divieto di discriminazione) e articolo 14 (diritto al rispetto della vita privata) della Convenzione. Questo naturalmente rasenta l’assurdo: invocare i diritti dell’uomo per violare quelli di un altro, l’embrione, che sarebbe veramente discriminato perché si sceglie di farlo nascere senza che possa conoscere uno dei suoi genitori; non perché sia accaduta una tragedia e rimanga orfano prima della nascita, ma per rispondere alla scelta un po’ egoistica dei suoi genitori, senza contare il fatto che il rischio di scegliere il tipo di donatore in base a caratteristiche etniche e genetiche sarebbe una scelta “da catalogo”. E questo proprio quando in questi giorni la corte Suprema di Cassazione ha stabilito che la coppia che dichiara di voler adottare un bambino non può scegliere l’etnia e il colore della pelle, perché se lo pretendesse sarebbe esclusa dalla lista dei genitori che possono adottare un bambino. Sarebbe quindi veramente curioso che venisse accolto il ricorso bolognese presentato il 6 maggio da una coppia dove l’uomo ha una sterilità conclamata. Ma questo non è il primo attacco “giudiziario” alla Legge 40, perché nel 2009 la Corte ha dichiarato incostituzionale la norma dei tre embrioni, affermando il diritto-dovere del medico di decidere insieme alla coppia la metodica più appropriata e dunque anche il numero di embrioni da produrre, e sempre su questa linea lo scorso gennaio è arrivata la sentenza del tribunale di Salerno, che ha accolto il ricorso contro il divieto alla diagnosi preimpianto presentato da una coppia con malattia genetica. Come già scritto in precedenti articoli, queste sentenze trascurano il fatto che i dati scientifici e le tecniche dicono che più di tre embrioni non aumentano la probabilità di successo e anche la salute della donna corre gravi rischi se si impiantano molti embrioni. Da ricordare poi che la selezione o il congelamento degli embrioni sono contrari all’etica morale. Ma forse con il ricorso contro il divieto della fecondazione eterologa si vuole tornare al far-west etico prima delle Legge 40, come si può intuire dal caso di pochi giorni fa di una donna di 57 anni che è diventata mamma grazie ad un’ovodonazione chiesta ad un centro estero.
Tutte queste sentenze e questi tentativi contrastano coi risultati raggiunti dalla Legge fino ad oggi, sia in termini di numero di coppie che hanno usufruito delle PMA (tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita): sono infatti aumentate, come anche le garanzie mediche per le donne, sia in termini di diritti, visto che nell’art.1 viene affermato: “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. Forse è proprio da questo che nasce l’avversione a questa legge, essa deriva più da motivi politici che scientifici. Colpisce che la magistratura si ponga al servizio di disegni che tendono a sovvertire una legge dello stato confermata anche da un referendum popolare.


La beatificazione di don Popiełuszko e la nostra responsabilità nel mondo - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 3 giugno 2010
La vita del cardinal Federigo Borromeo è descritta da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi come un ruscello che scaturito limpido dalla roccia, senza stagnare né intorpidirsi mai, va limpido a gettarsi nel fiume. La vita è il paragone delle parole, aggiunge poi l’autore, e quella di Federigo fu coerente, fondata sulla roccia. È la coerenza tra vita e parole che viene spesso a mancare oggi. La crisi culturale e spirituale che stiamo vivendo ci rende deboli, incerti sui valori da assumere e da difendere, impacciati nella fedeltà agli impegni presi. Tuttavia, non mancano mai nella storia esempi cui guardare. Il 6 giugno, a Varsavia, avrà luogo la beatificazione di padre Jerzy Popiełuszko, “ucciso in odio alla fede” dal regime comunista. Un esempio non solo per la Chiesa e la Nazione Polacca, ma per tutti. In un’intervista all’agenzia Zenit, la madre del sacerdote, cappellano di “Solidarnoś ć”, racconta la fede del figlio, animato da una particolare venerazione per la Vergine. In un’omelia del maggio 1984 così si espresse: “La verità è un fattore molto delicato dell’intelletto umano. Dio stesso ha posto nell’uomo la tensione alla verità, perciò in ogni uomo esiste il naturale desiderio della verità e il rifiuto della menzogna. La verità è sempre legata all’amore e l’amore è esigente; l’amore vero richiede sacrificio e, quindi, anche la verità deve costare. Una verità che non costa niente è una menzogna. Vivere nella verità vuol dire essere in sintonia con la propria coscienza. La verità unisce sempre gli uomini e crea rapporti nuovi.” Padre Jerzy ha vissuto, fino al martirio, l’amore alla verità dentro la concretezza del suo operare per contribuire a una società giusta, in cui l’essere umano venisse rispettato nei suoi diritti fondamentali. Parlando al Pontificio consiglio per i Laici, il Papa ha detto che il “contributo dei cristiani nella politica è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà”. La fede è uno sguardo sulla realtà in grado di penetrarla nel profondo. Per questo non la si può accantonare per dare spazio a compromessi “democratici” o, come ha ricordato il Papa, non si tratta di adeguare il Vangelo al mondo, ma di attingere dal Vangelo quella perenne novità, che consente in ogni tempo di trovare le forme adatte per annunciare la Parola che non passa, fecondando e servendo l’umana esistenza. Già la Gaudium et spes (76) ricordava che è compito della Chiesa “dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime … utilizzando tutti e solo quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni”. Un incoraggiamento a procedere sulla strada della testimonianza, guidati dalla Dottrina Sociale della Chiesa, sempre chiara sulla linea della difesa della dignità umana, della sussidiarietà e della solidarietà.
(Popiełuszko “Non si può uccidere la speranza” a cura di Annalia Guglielmi, ed ITACA)


Vescovo italiano assassinato in Turchia - A colpirlo a morte, secondo i primi accertamenti, è stato il suo autista «già in cura per disturbi mentali» - Furio Morroni - ANKARA - © Copyright Gazzetta del sud, 4 giugno 2010
Ancora una fatale aggressione ad un religioso cristiano in Turchia. Il vescovo Luigi Padovese, 63 anni, cappuccino milanese dal 2004 vicario apostolico dell'Anatolia e dal 2007 presidente della Conferenza episcopale turca, è stato ucciso ieri a coltellate nel giardino della sua casa di Iskenderun, città portuale sulla costa meridionale del paese. Da oggi mons. Padovese avrebbe dovuto partecipare alla visita del Papa a Cipro e ricevere insieme ad altri responsabili cattolici della regione il documento preparatorio del prossimo Sinodo sul Medio Oriente.
A colpirlo a morte, secondo i primi accertamenti, è stato Murat Altun, un turco che da oltre quattro anni era al servizio dell'alto prelato come autista ma che, come ha dichiarato in serata il governatore della provincia di Hatay, Mehmet Celalettin Lekesiz, «era da tempo in cura per disturbi mentali». Ed ha escluso che l'omicidio abbia motivazioni politiche o religiose.
Cordoglio e costernazione sono stati espressi da più parti alla notizia dell'uccisione di mons. Padovese. Un «fatto orribile», «incredibile», «siamo costernati»: è stata questa la prima reazione di padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano. «Preghiamo – ha aggiunto – perché il Signore lo ricompensi del suo grande servizio per la Chiesa e perché i cristiani non si scoraggino e, seguendo la sua testimonianza così forte, continuino a professare la loro fede nella regione».
«Un fatto tragico che ci sconvolge profondamente», ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini. «Siamo in contatto con le autorità turche», ha aggiunto, ribadendo che «si tratta di un fatto orribile per il quale esprimiamo la nostra esecrazione».
Appresa la notizia, il presidente della Camera Gianfranco Fini si è detto «profondamente colpito e addolorato. Questo crimine – ha aggiunto – ai danni di un uomo di pace causa profondo sgomento». Da parte sua, il vice presidente del Senato, Vannino Chiti, ha espresso il suo «più profondo cordoglio». Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini ha invece chiesto «al governo un'informativa urgente al Parlamento che chiarisca l'esatta dinamica dei fatti e un intervento immediato di grande spessore ed efficacia nei confronti della Repubblica turca, cui tutti noi siamo legati di rapporti di profonda amicizia». Il presidente dell'Udc Rocco Buttiglione ha espresso «sgomento e preoccupazione» e profondo cordoglio è stato espresso anche dalla comunità francescana di Assisi.
«Siamo distrutti, costernati perché è stato un fatto imprevedibile – ha detto all'Ansa il nunzio apostolico in Turchia, mons. Antonio Lucibello. Ma è strano perché io ho sempre visto quest'uomo come una persona molto devota a Padovese e sempre servizievole».
Viene da chiedersi se l'omicidio di mons. Padovese non si inserisca nell'ormai lunga e sanguinosa scia dei religiosi cristiani aggrediti o uccisi in questo paese, quasi sempre con la falsa accusa di fare proselitismo. Aggressioni ed omicidi compiuti tutti da giovani fanatici. Di fare proseliti era stato accusato dagli islamo-nazionalisti di Trebisonda padre Andrea Santoro, ucciso in chiesa con due colpi di pistola nel febbraio del 2006 da un ragazzo di 16 anni probabilmente emissario di un gruppo di persone nella cui ideologia si fondono integralismo islamico e nazionalismo.
Ma mons. Lucibello è categorico: «Non c'è alcuna relazione o analogia tra i precedenti fatti di sangue avvenuti in questo paese e l'omicidio di mons. Padovese. Padre Santoro – spiega il nunzio apostolico – fu ucciso da un giovane per un atto di fanatismo politico-religioso. In questo caso mi sento di escludere un atto di fanatismo compiuto da uno stretto collaboratore che ha sempre dato l'impressione di essere una persona di fiducia».
Allora ha ragione il governatore Lekesiz che parla del gesto di uno squilibrato? «Tutto è possibile. Però al momento non ci sono spiegazioni plausibili», conclude mons. Lucibello.

Impegno e fede

Mons. Luigi Padovese, 63 anni, accoltellato a morte ieri nella sua abitazione di Iskenderun, era dal 2004 vicario apostolico dell'Anatolia e attuale presidente della Conferenza episcopale turca. Nato a Milano il 31 marzo del 1947, il 4 ottobre del 1965 entrò nell'ordine dei frati cappuccini, facendo esattamente tre anni dopo la professione solenne. Il 16 giugno del 1973 fu ordinato sacerdote. È stato professore titolare della cattedra di Patristica alla pontificia Università dell'Antonianum e, fino all'ordinazione a vescovo, è stato per 16 anni direttore dell'Istituto di Spiritualità del medesimo ateneo. Ha insegnato anche alla Pontificia Università Gregoriana e all'Accademia Alfonsiana. Per dieci anni è stato visitatore del Collegio Orientale di Roma per la Congregazione delle Chiese Orientali, oltre che consulente della Congregazione della Congregazione per le Cause dei Santi. L'11 ottobre del 2004 fu nominato vicario apostolico dell'Anatolia – succedendo a mons. Ruggero Franceschini – e vescovo titolare di Monteverde, consacrato poi a Iskenderun il 7 novembre dello stesso anno. Era molto impegnato nell'ecumenismo e nel dialogo con l'Islam, come anche nel far rivivere le diverse comunità cristiane turche. Proprio mercoledì aveva incontrato le autorità turche per affrontare i problemi legati alle minoranze cristiane e oggi sarebbe andato a Cipro, per incontrare Benedetto XVI, in viaggio sull'isola per pubblicare l'Instrumentum Laboris del Sinodo per le Chiese del Medio Oriente. Grande il suo amore per il paese in cui esercitava il vicariato apostolico, tanto da pubblicare, insieme a Oriano Granella, una «Guida alla Turchia, I luoghi di San Paolo e delle origini cristiane».
© Copyright Gazzetta del sud, 4 giugno 2010


Festa dei Giubilei Sacerdotali. L’omelia del Patriarca - Giu 3, 2010 - FESTA DEI GIUBILEI SACERDOTALI – Viene pubblicata qui di seguito l’omelia del Patriarca pronunciata in occasione della celebrazione Eucaristica nella Basilica patriarcale di San Marco a Venezia: Venezia, 3 giugno 2010
1. Unicità di Dio e appartenenza totalizzante

«Il Signore nostro Dio è l’unico Signore» (Mc 12,29): solo il Signore è il nostro Dio, le altre “divinità” non hanno alcun diritto a chiamarsi così.

Lui è quello che ci ha resi suoi nello stesso momento in cui si faceva nostro, stabilendo la sua alleanza con noi, un legame indistruttibile di appartenenza.

«… con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» (Mc 12,30). La tendenza alla totalità (fedeltà ed esclusività) è costitutiva dell’amore: solo Dio è l’ “oggetto” adeguato di questa misura del nostro cuore.

2. L’amore è la pienezza della legge

Lo scriba, il dottore della legge, è costretto a promuovere Gesù a pieni voti: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità» (Mc 12,32). Quando l’apostolo Paolo scriverà che l’amore è la pienezza della legge, non farà altro che riprendere ed esplicitare l’insegnamento di Gesù. La legge si dipana e dispiega in una molteplicità di articoli (nel Pentateuco gli Ebrei contano non meno di seicentotredici comandamenti), ma nel suo contenuto di fondo è estremamente unitaria. Una cosa sola Dio vuole: che noi l’amiamo con tutto il cuore e che, di conseguenza, ci amiamo tra noi.

3. Annuncio e testimonianza

«… come io annuncio nel mio Vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore» (2Tm 2,8-9). L’annuncio ha sempre la forma bruciante del martirio, come per Cristo così per i suoi.

«Al di là delle concrete penitenze a cui il Curato d’Ars si sottoponeva, resta comunque valido per tutti il nucleo del suo insegnamento: le anime costano il sangue di Gesù e il sacerdote non può dedicarsi alla loro salvezza se rifiuta di partecipare personalmente al “caro prezzo” della redenzione» (Benedetto XVI, Lettera di indizione dell’anno sacerdotale, 16.06.2009).

4. Libertà e amore

Paolo ha estrapolato i versetti dall’11 al 13 da un inno liturgico delle primissime comunità cristiane. Il tema di fondo è espresso con efficacia dal ripetersi di quelle proposizioni condizionali: «Se moriamo con lui, con lui anche vivremo… se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele » (2Tm 2,11-12). Nessun automatismo, ma passione per la libertà. I tre parallelismi fanno risaltare ancora di più il quarto, antitetico: Lui rimane fedele. Non può infatti rinnegare la propria natura. La nostra infedeltà è destinata ad infrangersi contro la fedeltà e la carità di Cristo.

«Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù» (Santo Curato d’Ars).


ISRAELE CADE NELLA TRAPPOLA - Gianni Toffali Verona – dal sito pontifex.roma.it
L’attacco alla flotta “pacifista” da parte della marina israeliana ha scioccato mezzo mondo. Ma i soldati di Gerusalemme non vanno condannati per aver sparato sui fans dei terroristi di Hamas, ma per colpevole dabbenaggine ! Pensare di bloccare una flotta carica di amici e sostenitori del terrorismo internazionale islamico senza intuire che i millantatori pacifisti potessero reagissero, è stato invero ingenuo. Se prima di mandare gli incursori, il governo di Netanyahu avesse chiamato la sua stessa intelligence, avrebbe scoperto che la miriade di associazioni “umanitarie” e “pacifiste” imbarcate sulle navi turche, a partire dalla ihh avevano legami antichi con esponenti della jihad internazionale, tra cui alcuni militanti transitati dalla moschea milanese di via Jenner ai campi di battaglia in Bosnia, Afganistan e Cecenia. Ovvio quindi che i “pacifinti” avrebbero mosso le mani (e le spranghe) per linciare gli sprovveduti soldati israeliani. ...

... In queste ore è saltato fuori che le organizzazioni umanitarie internazionali (tra cui le italiane Onlus Abspp e Comitato Gaza Vivrà) si sarebbero ritrovate (anche se le stesse ong ne erano colpevolmente consapevoli) sotto la regia dell’ihh che, sempre a detta dei servizi segreti, dietro la copertura delle attività umanitarie, aveva il fine di provocare gravi incidenti e di allargare il fossato tra la Turchia e Israele.

Le prove? Una tra tante: sul sito dell’Assemblea dei palestinesi in Italia, dal 28 maggio era apparso un comunicato che prevedeva il peggio e invitava a reagire in vista del blitz israeliano. Eppure, nonostante le avvisaglie i “pacifisti” italiani kamikaze di casa nostra, hanno voluto partecipare alla battaglia predisposta anticipatamente a tavolino.

Tanto per fare un esempio sulla “buona fede” dei “pacifisti” italiani, Angela Lano, direttore del sito di controinformazione (leggasi anche anarchico), non si è fatta problemi a firmare un appello per “aiutare Gaza e Hamas legittimo rappresentante del popolo palestinese”.

L’opinione pubblica non deve farsi abbindolare dal folcloristico sventolio delle bandierine multicolore, ma rendersi conto che i pacifisti sono simili ai lupi travestiti da pecore citati dai vangeli. E i lupi, da quando il mondo è mondo, si trattano da lupi.
Gianni Toffali Verona


La migliore delle civiltà possibili - Chiara Sirianni (Tempi) - Sapete quanti diritti umani e progressi sociali ci saremmo persi senza Gesù Cristo e i suoi incoerenti seguaci? Un manuale di Francesco Agnoli
Stando agli input che quotidianamente riceviamo, dovremmo attribuire al cristianesimo la maggior parte delle sventure e delle calamità che hanno contraddistinto gli ultimi due millenni della storia occidentale: dall’Inquisizione alle Crociate, dalla compravendita della salvezza con le indulgenze alla lotta della Chiesa per il potere temporale. Chi va contro questa vulgata (al bar, al cinema sotto il cartellone di Ipazia, alla Feltrinelli, all’intervallo a scuola) fa la figura del fanatico, del mal informato, di quello che non si è mai soffermato “sul perché delle cose”. Alzatine di spalle e di sopracciglia, raffica di domande di rito, dal tono vagamente sarcastico, sull’otto per mille e il male del mondo. Ma il conformismo nasce dalla pigrizia e dalla fatica di dover dare le ragioni delle proprie ...

... posizioni, specie se impopolari, specie se contrarie al mainstream. Per questo Francesco Agnoli, giornalista e studioso, ha scritto la sua Indagine sul cristianesimo (Piemme): per saper rispondere senza passare per bigotti indottrinati. Agnoli confuta luoghi comuni e menzogne di comodo e mostra ai cattolici vacillanti che la loro Chiesa è una madre cara e buona, con le braccia aperte a tutti. Ma soprattutto offre ai detrattori gli strumenti per conoscere, a fondo, il nemico. Senza arroccarsi sulla consueta controsequela di citazioni storiche e letterarie, ma attraverso una narrazione pacata, scorrevole e scientificamente rigorosa, il libro offre al lettore la sorpresa della scoperta. Mettendo in fila la genesi di alcune grandi, umanissime, conquiste civili, permesse e promosse dal rivoluzionario messaggio di Gesù Cristo.

Tutto ciò che diamo per scontato

Se si accetta di farsi condurre da Agnoli nella sua indagine, non si può non riconoscere che quel messaggio ha avuto il merito di far fiorire i valori più originali ed essenziali della nostra civiltà. Dalla protezione dell’infanzia all’abolizione della schiavitù, dalla lotta contro la magia alla valorizzazione della donna, dall’impegno per la giustizia sociale alle lotte per i diritti di libertà e rappresentanza politica, dalla promozione dell’istruzione alla fondazione degli ospedali e delle opere sociali. Princìpi ormai sedimentati per noi occidentali, tanto che il rischio di darli per scontati, e puntare invece il dito contro i limiti, le incoerenze, le debolezze, la malizia, la fallibilità degli uomini di Chiesa, così apparentemente lontani dal mondo reale, è dietro l’angolo. Basta fare andare lo sguardo lungo gli scaffali di una qualsiasi libreria. Il codice Da Vinci (oggi sappiamo, per ammissione dello stesso autore, che l’avversione di Dan Brown alla Chiesa va di pari passo con la sua simpatia per la massoneria, quella sì una società segreta) per numero di copie vendute e risonanza mediatica è entrato nella storia dell’editoria dell’ultimo decennio. Chiarelettere lo scorso anno ha pubblicato Vaticano S.p.A, saggio firmato dal giornalista di Libero Gianluigi Nuzzi che svela “la verità sugli scandali finanziari e politici della Chiesa”. Mentre Il libro che la tua Chiesa non ti farebbe mai leggere è esposto in bella vista persino nei supermercati. Giunto all’ennesima ristampa, il volume di Tim C. Leedom e Maria Murdy, impegnato a portare alla luce i “crimini” della religione, cristiana in particolare, ha raccolto dati di vendita da premio Strega.

La propaganda e la malafede

Sono numeri che fanno riflettere, visto che le pseudoinchieste dei vari Augias che vanno per la maggiore tendono tutte a ridurre il cristianesimo a un’abile mistificazione, un’accozzaglia di racconti folcloristici che avrebbe tenuto l’umanità nelle tenebre della superstizione per secoli, causando discriminazioni, persecuzioni e delitti. Una Chiesa dipinta sempre come retrograda, reazionaria, oscurantista. Come si spiega allora – domanda Agnoli – che l’Europa cristiana è stata il luogo d’origine della scuola per tutti e di tutti, dell’università, della scienza, della medicina moderna oltre che dell’istituzione ospedaliera? Perché tutti questi “diritti” non sono stati inventati in Asia, o in America, o in Australia? Non si contano le menzogne e le omissioni escogitate nei secoli da storici, teologi e funzionari al soldo dei re inglesi allo scopo di gettare discredito sugli spagnoli e la “loro” Chiesa cattolica. Per non parlare degli illuministi materialisti (magari convinti sostenitori del razzismo, come Voltaire) che nel Settecento riuscirono a distruggere l’ordine dei gesuiti e non solo. E quante ne hanno raccontate i tanti socialisti e comunisti che quasi per senso del dovere si fanno fautori nel mondo di una ideologia atea e mortalmente nemica della fede?

Il riscatto della costola di Adamo

Una delle “invenzioni cristiane” più interessanti analizzate da Agnoli è il principio della dignità della donna. Secondaria e marginale nel mondo greco antico, che la relegava nelle stanze private; sotto perpetua tutela dell’uomo (padre e marito) nella Roma imperiale; ostaggio della forza maschile presso i popoli germanici. Ancora oggi vittima di infiniti abusi e violenze, compreso l’infanticidio, in Cina e India. Donne sono invece alcune delle figure più importanti del cristianesimo dei primi secoli: fondatrici di monasteri, ordini religiosi, ospedali, scuole… Tanto che un avversario come Porfirio, vissuto a Roma nel III secolo, accusava i cristiani di lasciare troppo spazio alle sciocche chiacchiere delle «donnicciuole». E 1.500 anni dopo, mentre i cristiani difendevano la dignità delle donne sterili, «l’illuminista Diderot le considerava degne di essere allontanate dal consorzio civile». In una pagine pressoché sconosciuta di Charles Darwin, la misoginia diventa addirittura verità scientifica: «L’uomo giunge più avanti della donna, qualunque azione intraprenda, sia che essa richieda un pensiero profondo, o ragione, immaginazione, o semplicemente l’uso delle mani e dei sensi… In questo modo l’uomo è divenuto superiore alla donna». Comunque la si pensi sulla Chiesa, Agnoli aiuta a non dare per scontata nessuna opinione, per quanto dominante e consolidata. Sulla scia dello storico e archeologo Paul Veyne, di formazione laica e comunista, che ha scritto un libro sul cristianesimo «contro me stesso. Fra tutte le religioni è quella che sopporto meno». Veyne sostiene l’autenticità della conversione di Costantino, ricordando che la sua «rivoluzione (…) fu forse l’atto più audace mai commesso da un autocrate in spregio alla grande maggioranza dei suoi sudditi». E il cristianesimo si impose allora non certo grazie alla forza e al potere. Ma «perché offriva qualcosa di diverso e nuovo. Era la religione dell’amore».
Chiara Sirianni (Tempi)