martedì 13 luglio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) I difensori della tradizione rivogliono la Chiesa infallibile - Supplicano il papa di condannare "ex cathedra" gli errori del Concilio Vaticano II. Un nuovo libro di Romano Amerio ridà forza alla loro richiesta. Ma Benedetto XVI non è d'accordo - di Sandro Magister
2) La Preghiera di liberazione - Don Marcello Stanzione – dal sito pontifex.roma.it
3) La convivenza e il matrimonio - Da: Chiesa, sesso e morale, Sugarco - http://www.libertaepersona.org - Di Francesco Agnoli
4) Mevd:"Turismo sessuale, orrore taciuto" - Francesco Agnoli - Presidente del Movimento Europeo per la difesa della Vita e della Dignità umana - http://www.mevd.org/
5) Giù le mani dalle Culle! - Di Giuliano Guzzo - http://www.libertaepersona.org
6) Massimo Introvigne: 13 luglio, Sant'Enrico II Imperatore. Meditazione di Plinio Corrêa de Oliveira - [traduzione di Massimo Introvigne]
7) ASPETTANDO LA RIFORMA - Una vera autonomia per l’Università - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 13 luglio 2010


I difensori della tradizione rivogliono la Chiesa infallibile - Supplicano il papa di condannare "ex cathedra" gli errori del Concilio Vaticano II. Un nuovo libro di Romano Amerio ridà forza alla loro richiesta. Ma Benedetto XVI non è d'accordo - di Sandro Magister
ROMA, 12 luglio 2010 – Da qualche giorno è nelle librerie italiane un nuovo volume di Romano Amerio, il terzo dell'"opera omnia" di questo autore, che le edizioni Lindau stanno pubblicando.

Amerio, morto nel 1997 a Lugano all'età di 92 anni, è stato uno dei più grandi intellettuali cristiani del Novecento.

Filologo e filosofo di prima grandezza, Amerio è divenuto noto in tutto il mondo per il suo saggio uscito per la prima volta nel 1985 e tradotto in più lingue dal titolo: "Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX".

Ma questo stesso saggio, proprio per le tesi in esso sostenute, procurò ad Amerio l'ostracismo della quasi totalità del mondo cattolico. Un ostracismo che solo da poco tempo è caduto, anche grazie alla riedizione di "Iota unum".

Amerio dedicò mezzo secolo alla scrittura di "Iota unum". E anche questo terzo volume dell'"opera omnia" è stato scritto in un arco di tempo molto ampio, dal 1935 al 1996. Ha per titolo "Zibaldone" e – come l'omonima opera del poeta Giacomo Leopardi – raccoglie brevi pensieri, aforismi, racconti, citazioni di classici, dialoghi morali, commenti a fatti quotidiani.

Con i suoi oltre settecento pensieri, "Zibaldone" forma una specie di autobiografia intellettuale dell'autore. Nella quale le questioni sollevate in "Iota unum" sono naturalmente presenti.

Come, ad esempio, in questa paginetta datata 2 maggio 1995:

"La autodemolizione della Chiesa deprecata da Paolo VI nel famoso discorso al Seminario Lombardo dell’11 settembre 1974 diviene ogni giorno più palese. Già nel Concilio il cardinale Heenan (Primate d’Inghilterra) lamentava che i vescovi avessero cessato di esercitare l’officio del Magistero, ma si confortava osservando che tale ufficio si era conservato pienamente nel Pontificato Romano. L’osservazione era ed è falsa. Oggi il Magistero episcopale è cessato e quello papale anche. Oggi il Magistero è esercitato dai teologi che hanno ormai improntato tutte le opinioni del popolo cristiano e squalificato il dogma della fede. Ne ho avuto una dimostrazione impressionante ascoltando ieri sera il teologo di Radio Maria. Egli negava impavidamente e tranquillissimamente articoli di fede. Insegnava [...] che i Pagani, cui non è annunciato il Vangelo, se seguono il dettame della giustizia naturale e si studiano di cercare Dio con sincerità, vanno alla visione beatifica. Questa dottrina dei moderni è antichissima nella Chiesa ma fu sempre condannata come errore. Ma i teologi antichi, mentre tenevano fermo il dogma di fede, sentivano però tutta la difficoltà che il dogma incontra e si studiavano di vincerla con escogitazioni profonde. I teologi moderni invece non avvertono le difficoltà intrinseche del dogma, ma corrono diritti alla 'lectio facilior' mettendo in soffitta tutti i decreti dottrinali del Magistero. E non si accorgono di negare così il valore del battesimo e tutto l’ordine soprannaturale, cioè tutta la nostra religione. Anche in altri punti il rifiuto del Magistero è diffuso. L’inferno, l’immortalità dell’anima, la risurrezione dei corpi, l’immutabilità di Dio, la storicità di Cristo, la reità della sodomia, il carattere sacro e indissolubile del matrimonio, la legge naturale, il primato del divino sono altrettanti argomenti in cui il Magistero dei teologi ha eliminato il Magistero della Chiesa. Questa arroganza dei teologi è il fenomeno più manifesto dell’autodemolizione".

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Da questa sua analisi fortemente critica, che egli applicava anche al Concilio Vaticano II, Amerio ricavava quello che Enrico Maria Radaelli, suo fedele discepolo e curatore della pubblicazione delle opere del maestro, chiama il "gran dilemma giacente al fondo della cristianità d'oggi".

Il dilemma è se tra il magistero della Chiesa prima e dopo il Vaticano II via sia continuità o rottura.

Nel caso di una rottura, se questa fosse tale da "perdere la verità" anche la Chiesa andrebbe perduta.

Amerio non arrivò mai a sostenere tale esito. Fu sempre figlio obbediente della Chiesa. Non solo. Sapeva per fede che, nonostante tutto, la Chiesa non può perdere la verità e quindi se stessa, perché assistita indefettibilmente "dai due grandi giuramenti di nostro Signore: 'Le porte dell'inferno non prevarranno contro di lei' (Matteo 16, 18) e 'Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine dei secoli' (Matteo 28, 20)".

Ma era convinzione di Amerio – e Radaelli lo spiega bene nella sua ampia postfazione a "Zibaldone" – che tale riparo assicurato da Cristo alla sua Chiesa vale solo per le definizioni dogmatiche "ex cathedra" del magistero, non per gli insegnamenti incerti, sfuggenti, opinabili, "pastorali" del Concilio Vaticano II e dei decenni successivi.

Proprio questa, infatti, a giudizio di Amerio e Radaelli, è la causa della crisi della Chiesa conciliare e postconciliare, una crisi che l'ha portata vicinissima alla sua "impossibile ma anche quasi avvenuta" perdizione: l'aver voluto rinunciare a un magistero imperativo, a definizioni dogmatiche "inequivoche nel linguaggio, certe nel contenuto, obbliganti nella forma, come ci si aspetta siano almeno gli insegnamenti di un Concilio".

La conseguenza, secondo Amerio e Radaelli, è che il Concilio Vaticano II è pieno di asserzioni vaghe, equivoche, interpretabili in modi difformi, alcune delle quali, anzi, in sicuro contrasto col precedente magistero della Chiesa.

E questo ambiguo linguaggio pastorale avrebbe aperto la strada a una Chiesa oggi "percorsa da mille dottrine e centomila nefandi costumi". Anche nell'arte, nella musica, nella liturgia.

Che fare per porre rimedio a questo dissesto? La proposta che fa Radaelli va oltre quella fatta di recente – a partire da giudizi critici altrettanto duri – da un altro stimato cultore della tradizione cattolica, il teologo tomista Brunero Gherardini, 85 anni, canonico della basilica di San Pietro, professore emerito della Pontificia Università Lateranense e direttore della rivista "Divinitas".

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Monsignor Gherardini ha avanzato la sua proposta in un libro uscito a Roma lo scorso anno dal titolo: "Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare".

Il libro si conclude con una "Supplica al Santo Padre". Al quale viene chiesto di sottoporre a riesame i documenti del Concilio, per chiarire una volta per tutte "se, in che senso e fino a che punto" il Vaticano II sia o no in continuità con il precedente magistero della Chiesa.

Il libro di Gherardini è introdotto da due prefazioni: una di Albert Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo ed ex segretario della congregazione vaticana per il culto divino, e l'altra di Mario Olivieri, vescovo di Savona. Quest'ultimo scrive di unirsi "toto corde" alla supplica al Santo Padre.

Ebbene, nella sua postfazione a "Zibaldone" di Romano Amerio, il professor Radaelli accoglie la proposta di monsignor Gherardini, ma "solo come un utile primo gradino per ripulire l'aia da molti, da troppi fraintendimenti".

Chiarire il senso dei documenti conciliari, infatti, a giudizio di Radaelli non basta, se tale chiarimento viene poi anch'esso offerto alla Chiesa con il medesimo, inefficace stile d'insegnamento "pastorale" entrato in uso con il Concilio, propositivo invece che impositivo.

Se l'abbandono del principio di autorità e il "discussionismo" sono la malattia della Chiesa conciliare e postconciliare, per uscire da lì – scrive Radaelli – è necessario agire all'opposto. La somma gerarchia della Chiesa deve chiudere la discussione con un pronunciamento dogmatico "ex cathedra", infallibile e obbligante. Deve colpire con l'anatema chi non obbedisce e benedire chi obbedisce.

E Radaelli cosa si aspetta che decreti la suprema cattedra della Chiesa? Alla pari di Amerio, egli è convinto che in almeno tre casi vi sia stata "un'abissale rottura di continuità" tra il Vaticano II e il precedente magistero: là dove il Concilio afferma che la Chiesa di Cristo "sussiste nella" Chiesa cattolica invece di dire che "è" la Chiesa cattolica; là dove asserisce che "i cristiani adorano lo stesso Dio adorato da ebrei ed islamici"; e nella dichiarazione "Dignitatis humanæ" sulla libertà religiosa.

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In Benedetto XVI, sia Gherardini che Amerio-Radaelli riconoscono un papa amico. Ma che egli esaudisca i loro voti è da escludersi.

Anzi, sia nell'insieme che su alcuni punti controversi papa Joseph Ratzinger ha già fatto capire di non condividere affatto le loro posizioni.

Ad esempio, sulla continuità di significato tra le formule "è" e "sussiste nella" si è espressa la congregazione per la dottrina della fede nell'estate del 2007, affermando che "il Concilio Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né di fatto ha cambiato la precedente dottrina sulla Chiesa, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente".

Quanto alla dichiarazione "Dignitatis humanæ" sulla libertà religiosa, Benedetto XVI in persona ha spiegato che se essa si è distaccata da precedenti indicazioni "contingenti" del magistero, lo ha fatto proprio per "riprendere nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa".

Il discorso nel quale Benedetto XVI ha difeso l'ortodossia della "Dignitatis humanæ" è quello da lui rivolto alla curia vaticana alla vigilia del primo Natale del suo pontificato, il 22 dicembre 2005, proprio per sostenere che tra il Concilio Vaticano II e il precedente magistero della Chiesa non c'è rottura ma "riforma nella continuità".

Papa Ratzinger non ha finora convinto i lefebvriani, che proprio su questo punto cruciale si mantengono in stato di scisma.

Ma non ha convinto – a quanto scrivono Radaelli e Gherardini – nemmeno alcuni suoi figli "obbedientissimi in Cristo".

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Il libro di Amerio:

Romano Amerio, "Zibaldone", a cura di Enrico Maria Radaelli, Lindau, Torino, 2010, pp. 624, euro 32,00.

E quello di Gherardini:

Brunero Gherardini, "Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare", Casa Mariana Editrice, Frigento, 2009, pp. 264.

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Sui due precedenti volumi dell'"opera omnia" di Amerio, sul loro autore e sul loro curatore:

 Grandi ritorni. "Iota unum" e "Stat veritas" di Romano Amerio (15.7.2009)


La Preghiera di liberazione - Don Marcello Stanzione – dal sito pontifex.roma.it
“Alcuni anni fa il papa Giovanni Paolo II recandosi al Santuario di San Michele a Monte Sant’ Angelo sul Gargano affermò: “Questa lotta contro il demonio che contraddistingue la figura dell’ Arcangelo Michele, è attuale anche oggi; perché il demonio è tuttora vivo e operante nel mondo. Infatti il male che è in esso, il disordine che si riscontra nella società, l’ incoerenza dell’ uomo, la frattura interiore della quale è vittima non sono solo le conseguenze del peccato originale, ma anche l’ effetto dell’ azione infestatrice e oscura di Satana”. Qualche anno prima il suo predecessore il papa Paolo VI in una celebre udienza del mercoledì aveva dichiarato: “… il male non è più soltanto una deficienza, ma un’ efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente”. Infatti negare l' esistenza e l’ operatività ... del diavolo significa non capire una delle funzioni più importanti di Gesù e della Chiesa: combattere ed espellere gli spiriti del male. San Matteo nel suo vangelo scrive che Gesù elesse i dodici e “diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie” (Mt 10,1).

Anche l’ evangelista Luca scrive a riguardo: “Egli allora chiamò a se i dodici e diede loro potere ed autorità su tutti i demoni e di curare le malattie” (Lc 9, 1). Secondo San Marco la lotta contro gli spiriti delle tenebre fu affidata da Gesù agli apostoli fin dall' inizio del loro ministero e dopo una notte in preghiera, il Maestro scelse i dodici “per mandarli a predicare, e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3, 14). La stessa esperienza di lotta ai diavoli, Gesù la fece fare anche al gruppo dei 72 discepoli che al ritorno dalle loro campagne di evangelizzazione con gioia, entusiasmo e una punta di orgoglio affermarono: “... anche i demoni si sottomettevano a noi nel tuo nome” (Lc 10, 17). Prima di ascendere al cielo, Gesù conferisce il mandato ufficiale agli apostoli e San Marco riferisce: “E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc 15, 17-18).

È assai interessante notare che il primo dei segni per i credenti è lo scacciare i demoni. La Chiesa ha ricevuto tale potere da Cristo e lo gestisce nei modi più adatti ad ottenere l'effetto liberatorio. È ora più opportuno spiegare la differenza tra esorcismo e preghiere di liberazione. È da anni che recito preghiere di liberazione e faccio benedizioni con l’olio esorcizzato e con l’imposizione delle mani su diverse migliaia di persone e in diversi ambienti clericali vengo considerato un prete un po' esaltato e addirittura disobbediente alla gerarchia in quanto avrei fatto queste preghiere di liberazione senza essere autorizzato dal Vescovo. In realtà non solo i sacerdoti ma tutti i battezzati possono fare preghiere di liberazione senza il permesso episcopale perché, altrimenti, sarebbe come dire che per recitare il Padre Nostro ci vuole l’ autorizzazione scritta della Curia.

Le preghiere di liberazione vanno distinte dall’ esorcismo che è un sacramentale istituito dalla Chiesa e che può essere amministrato esclusivamente da quei sacerdoti che secondo il canone 1172 del codice di diritto canonico ne abbiano avuto peculiare ed espressa licenza dal loro vescovo. L'esorcismo è fatto utilizzando le apposite preghiere del Rituale e può essere amministrato solo dai preti esorcisti che possano esibire la bolla episcopale di nomina, tutte le altre preghiere sono di liberazione, e non essendo esorcismo, possono essere fatte da tutti i sacerdoti o laici, singolarmente o in gruppo e nessuno le può vietare perché sono un diritto-dovere dei battezzati.

Alla domanda che differenza c’ è riguardo gli effetti tra l’ esorcismo e la preghiera di liberazione, il padre Gabriele Amorth così scrive: “Un laico che prega per la liberazione dal demonio fa una preghiera privata, in cui esercita il sacerdozio dei fedeli e si avvale del potere dato da Cristo a quanti credono in lui. Il sacerdote che prega allo stesso scopo, fa anche lui una preghiera privata che, a pari condizioni, ha più efficacia in quanto usa del sacerdozio ministeriale e del suo mandato di benedire. Un esorcista che amministra un esorcismo, ha un’ efficacia ancora maggiore, di per sé, perché compie un sacramentale, fa quindi una preghiera pubblica, che coinvolge l’ intercessione della Chiesa. “Ma stiamo bene attenti – scrive p. Amorth – il Signore tiene molto conto della fede. Per cui è possibile che la semplice preghiera di un laico, benché preghiera privata, abbia più efficacia delle altre.

Così è possibile che la preghiera di un sacerdote non esorcista, fatta con molta fede, abbia più efficacia di una preghiera di un esorcista autorizzato dal Vescovo, ma che agisce con minor fede”. Comunque è da sottolineare fortemente che la preghiera di liberazione deve restare “una preghiera” senza mai trasformarsi in esorcismo, infatti solamente nell’ esorcismo ci si può rivolgere direttamente al demonio e imporgli di lasciare libera una persona mentre nella preghiera di liberazione i credenti si rivolgono al Signore pregandolo appunto di liberare dal demonio una persona che è molestata dagli spiriti maligni. Il cardinale Suenens in un suo libro scrive che occorre: “stabilire con chiarezza la distinzione fra preghiera di liberazione ed esorcismo di liberazione mediante apostrofe diretta al demonio. La preghiera di liberazione viene rivolta a Dio come ogni altra preghiera. La domanda finale del Padre Nostro: “liberaci dal male” è la preghiera di liberazione per eccellenza. E' accessibile a tutti e fa parte della nostra eredità spirituale”. In sintesi le preghiere di liberazione riportate in questo libro sono quelle orazioni fatte con fede o da un gruppo di fedeli o anche da un qualsiasi sacerdote non esorcista (cioè la quasi totalità del clero cattolico) per chiedere la liberazione dagli influssi del maligno. L’esorcista don Salvucci scrive: “Bisogna rimarcare subito la grande importanza di questo tipo di preghiera per il suo alto valore comunitario e per la parziale funzione di supplenza al limitato numero di esorcisti. Con questo mezzo è possibile con facilità portare conforto, sostegno e reale aiuto di liberazione alle persone sofferenti di questo male occulto”. La preghiera di liberazione è quindi assai utile nel contrastare l’opera demoniaca.

Ci chiediamo ma come agisce il maligno? Vi è un’ azione ordinaria, diremmo normale, del diavolo che è quella di tentare tutti gli uomini al peccato. Vi è poi un’ azione straordinaria di Satana che assume quattro forme diverse. La Possessione diabolica avviene quando il diavolo o i diavoli si impossessano di un corpo (ma non dell' anima) così che il posseduto è lo strumento attraverso il quale il demonio agisce o parla. Nel caso di possessione c’è bisogno di un esorcismo e di un esorcista nominato dal Vescovo. Ricordo che alcuni anni fa nella chiesa di San Matteo a San Severo in provincia di Foggia aiutai l’ esorcista padre Cipriano e assistetti a fenomeni strabilianti tipo una donna che in venti persone non riuscivamo a trattenere, una settantenne che ballava sulle punte meglio di Carla Fracci e un signore che senza conoscermi vedendomi per la prima volta mi seppe dire molti particolari della mia vita.

La Vessazione diabolica è formata da disturbi che non arrivano però alla gravità della possessione e comporta fastidi fisici, pruriti e graffi. Ricordo diverse persone che ho conosciuto che manifestavano misteriose ferite sul loro corpo. Si può essere colpiti negli affetti e persone che si amavano teneramente si lasciano improvvisamente e senza alcun serio motivo oppure si può essere colpiti improvvisamente e gravemente nel lavoro e nell’ economia familiare. In questi casi va bene una preghiera di liberazione. L'Ossessione diabolica consiste in pensieri ossessivi come ad esempio forti tentazioni al suicidio o a commettere atti assurdi e chi è colpito da ciò vive in una tensione continua di disperazione. Ricordo due casi molto tristi che mi sono capitati sia un papà, sia una mamma erano ossessionati dall' idea di uccidere i propri figli. Anche in questi casi la preghiera di liberazione può arrecare un enorme sollievo. Infine vi è l'Infestazione diabolica su case, oggetti, animali.

Gli spiriti maligni si possono manifestare in un’ abitazione, in una singola stanza, in negozi, in uno spazio all' aperto con rumori, grida, odori nauseanti, immagini spettrali. I confini tra queste diverse situazioni di presenza del maligno non sono facilmente definibili, in genere i segni indicativi di una presenza malefica sono i seguenti: forti, duraturi e inspiegabili emicranie, dolori e gonfiamento di stomaco con conati di vomito, avversione ai sacerdoti e ai simboli sacri, stati di angoscia ingiustificata, disturbi non spiegabili alla corrente elettrica (radio e televisore che di frequente si accendono da soli), ossessivi pensieri di suicidio o di omicidio, inspiegabili odori nauseabondi, soffi gelidi senza chiara provenienza. Le cause di queste spiacevolissime situazioni possono essere varie come ad esempio la partecipazione a sedute spiritiche, con o senza medium, il praticare la scrittura automatica, il fare o il farsi fare i tarocchi o altre forme di divinazione, il frequentare maghi, fattucchieri, occultisti e circoli esoterici e massonici.

Anche se la grande maggioranza dei maghi sono dei ciarlatani imbroglioni, è reale il pericolo di poter essere colpiti dalla fattura o maleficio che è definito come “l' arte di nuocere al prossimo attraverso l’ intervento di spiriti maligni”. Il maleficio viene distinto in amatorio quando crea una intensa attrattiva o repulsione affettiva e sessuale tra due persone; veneficio è quello che vuole avvelenare interiormente l’ esistenza del colpito attraverso sofferenze morali e materiali ed infine il maleficio di legamento è quello che rende impossibile qualsiasi cosa si voglia fare. Il maleficio agisce in un modo diretto sulla vittima ed esso consiste nel far bere o mangiare al colpito alimenti o bevande in cui è stata di nascosto mescolata la fattura che può essere ad esempio: sangue mestruale, ossa di morti tritate, polveri varie di erbe; indirettamente il maleficio è utilizzato per influenzare oggetti appartenenti alle vittime (esempio indumenti) o nel maleficare figure che la rappresentano (esempio pupazzi o bambole).

Le fatture vengono dimostrate dal ritrovamento di oggetti strani nei cuscini o nei materassi come ad esempio chiodi, nastri colorati e annodati, cordicelle, treccine di capelli. Tutti questi oggetti vanno aspersi con acqua benedetta e bruciati all' aperto mentre si rivolge a Dio una preghiera di liberazione. Comunque la cosa più importante resta sempre la preghiera. Nel 1800 in un celebre esorcismo fatto da alcuni sacerdoti domenicani, Lucifero parlando della Madonna fu costretto ad affermare: “Dio ha dato a Lei il potere di schiacciarci e Lei lo fa con il Rosario, che ha reso potente. Per questo il Rosario è la preghiera più forte. Esso è il nostro flagello, la nostra rovina, la nostra sconfitta. Il Rosario ci vince sempre, ed è sorgente di grazie incredibili per quanti lo recitano per intero (tutti i quindici misteri).

Per questo noi lo avversiamo e lo combattiamo con tutte le nostre forze, ovunque, ma specialmente nelle comunità, la cui forza spezzerebbe ogni nostra resistenza; Non vi è male che possa resistere al Rosario intero comunitario”. Sempre per quanto riguarda la preghiera del Rosario per sconfiggere il demonio ecco che cosa accadde durante un esorcismo condotto dal passionista p. Candido Amantini, il famoso esorcista di Roma: “Stavamo pregando il Rosario quando, presa da Satana, Giovanna mi strappa la corona facendola a pezzi, sibilando: Voi e la vostra devozione da vecchiette!” Allora p. Candido le mette al collo una grande corona, ma Giovanna non la può sopportare e torce collo e testa in tutte le direzioni, ansimando furiosamente. “Come mai hai paura della devozione delle vecchiette?” lo sfida p. Candido. Satana risponde gridando: “Mi vince”. Il Padre incalza: “Poiché hai osato offendere il Rosario di Maria, ora devi tesserne le lodi. In nome di Dio, rispondi: E’ potente il Rosario?” Risposta: “E' potente nella misura in cui si recita bene”. “Come si fa a recitarlo bene?” “Bisogna saper contemplare” “Cos'è contemplare?” “Contemplare è adorare”. “Ma Maria non si può adorare!” “E' vero, si, ma è adorabile (?!)”.

E prendendo con grazia tra le dita un grano della corona dice: “Ogni grano è una luce e bisogna dirlo cosi bene che nemmeno una stilla di questa luce vada perduta”. In questa raccolta di preghiere di liberazione e riportata alla fine un’orazione di S. Alfonso che il compianto esorcista don Leone Iuorio, parroco di Andretta (Avellino), raccomandava di recitare spesso. Proprio il Santo Rosario era l’arma che Don Leone raccomandava per sconfiggere il maligno (a tale riguardo vedi la mia presentazione al libro di Maria Matilde Cassano, “Ricordi, don Leone?” Grafica Ebolitana 1999.) Sembrerà strano ma è molto diffuso oggi il fatto di ricorrere a filtri d’ amore (anche se nella maggior parte dei casi essi non funzionano).

Il problema non è tanto il sangue mestruale o la particolare porzione di erbe fatta bere o mangiare perché solamente questo creerebbe semplicemente il voltastomaco ma sono le particolari invocazioni spiritiche ad Asmodeo e a Lillith fatte su tali intrugli da autentici occultisti e non da poveri furbi ciarlatani che possono creare un proprio e vero “incantesimo” della persona. So bene che tutto quello che scrivo non sarà gradito in molti ambienti, ma poiché mi sono fatto prete per servire Dio che è verità e la povera gente che soffre, la consapevolezza di realizzare tale missione, pur con tante deficienze personali, mi incoraggia ad andare avanti per questa difficile strada nell’ impegno di liberazione e consolazione di tanti fratelli e sorelle sofferenti.
Don Marcello Stanzione


La convivenza e il matrimonio - Da: Chiesa, sesso e morale, Sugarco - http://www.libertaepersona.org - Di Francesco Agnoli
E' convinzione piuttosto diffusa che la convivenza, esclusiva o prima del matrimonio, sia una forma di amore più libera, utile e sincera. Tale ragionamento prescinde completamente dalla natura umana, e rivela una superficialità estrema di indagine psicologica.

Ogni uomo, infatti, ha bisogno di certezza e di stabilità, all'interno delle quali costruire i suoi rapporti affettivi e sociali. Il rapporto infatti si genera all'interno di una comunione e di una condivisione, ed è volto al loro approfondimento, non alla loro dissoluzione. Si costruisce per rafforzare e mantenere, non per abbandonare e distruggere ciò che si è costruito.

Affermare che la convivenza è utile all'amore, è come sostenere che si lavora più volentieri e più liberamente senza un contratto fisso, senza stabilità alcuna, con la possibilità di essere licenziati da un momento all'altro; è come ritenere che il non essere vincolati da nessuna legge a mantenere ed educare un figlio, è garanzia di un vero rapporto genitoriale e della felicità del figlio stesso.

In realtà affrontare una vita insieme, tra un uomo e una donna, partendo con l'idea che si tratta di una scelta a metà, non definitiva, temporanea, soggetta a revisioni e scadenze, pone colui che vive una simile esperienza in un atteggiamento già di per sé fallimentare: la scelta sarà meno ponderata, meno profonda, meno scrupolosa, minata alla base da un pensiero, più o meno esplicito: se va male, si cambia.

Forti di una scelta già in partenza debole, insicura, si decolla subito senza ali e con il freno tirato: "sto prendendo un impegno, ma solo in parte, la porta rimane aperta, le possibilità rimangono molte, faccio e non faccio… "

Che le cose stiano così è un fatto, confermato dalla cronaca e dalla storia: nell'epoca della convivenza e del divorzio facile i matrimoni e le unioni sono sempre più fragili, con conseguenze sovente drammatiche. Sono duemila, per fare solo un esempio, i padri separati che si tolgono la vita, ogni anno, nella UE, per la lontananza dai figli e dalle consorti.

Anche nel passato le cose stavano così. Nell'antica Roma il matrimonio era una cerimonia solenne, contrassegnata da una sorta di comunione fatta davanti ad un altare, su cui veniva offerto un pane di farro. Una donna, la pronuba, che era stata sposata una sola volta, univa le mani degli sposi, di fronte ai sacerdoti e a ben dieci testimoni, a dimostrazione della funzione anche sociale del matrimonio. Acconciatura ed abito della sposa erano estremamente particolari, e la cerimonia si concludeva con un corteo di fiaccole sino alla casa degli sposi. Tutto ciò serviva a rendere tangibile, visibile a tutti, l'importanza del gesto, e quindi più ponderata la decisione: il segno è in qualche modo il messaggio. Verso la fine dell'età repubblicana il matrimonio romano entra in crisi: è il preludio di una più vasta disgregazione sociale, generata dalla fragilità delle famiglie e dal conseguente decremento demografico, cause remote, entrambi, della graduale dissoluzione di Roma.

Il motivo? L'antico matrimonio - racconta uno storico- con la sua particolare cerimonia, "è sempre meno praticato perché difficilmente annullabile. Lo si rimpiazza con forme di matrimonio meno solenni", che possono essere sciolte con grande facilità: "mai i matrimoni sono stati così facilmente contratti e sciolti come in questo periodo. Ne consegue che il numero delle nascite va decrescendo….".

La storia insomma, si ripete: ricordo quand'ero ragazzo, un viaggio in Germania, e una delusione bruciante nel vedere che diverse coppie entravano in municipio, portando sotto il braccio una semplice borsa frigo, celebravano il matrimonio civile e uscivano, poco dopo, coppia dopo coppia... Capivo, pur confusamente, che di matrimoni di questo tipo un uomo, nella sua vita, può farne a decine: chiedono poco, in impegno, in tempo e denaro…Il gesto che li suggella è vuoto, banale come l'amore che lo genera: qualche soldo e qualche ora perché spesso si è deciso per un futuro già nei progetti, a scadenza…

E' la vita precaria di oggi, che qualcuno vuole rendere ancora più incerta: dopo l'introduzione del divorzio legale, nel 1974, si lotta ora per poter ottenere il divorzio veloce e il pacs trimestrale. Questo significa volere che il matrimonio scompaia, piano piano, sostituito da forme più o meno lasche di fugace convivenza…Occorre, per qualcuno, una società sempre più aperta, più fluida, più liquida, più inconsistente, in cui non ci sia nulla su cui poggiare. Una società sempre più di vecchi, soli, senza l'affetto dei figli, senza più sanità pubblica né pensioni, né senso…
Da: Chiesa, sesso e morale, Sugarco


Mevd:"Turismo sessuale, orrore taciuto" - Francesco Agnoli - Presidente del Movimento Europeo per la difesa della Vita e della Dignità umana - http://www.mevd.org/
In questi giorni estivi, dimenticato dalla grandissima parte dei mass media, un fenomeno triste quanto orribile conosce il suo apice annuale: il turismo sessuale. Centinaia di migliaia di occidentali – 80.000 mila solo in Italia – si riverseranno nei bordelli di Thailandia, Cambogia, Brasile e dei Paesi dell’Est per abusare di bambini a di dieci, otto e perfino di quattro anni di età, il tutto nella più assordante indifferenza mediatica. Il Mevd, che da decenni si batte per il rispetto e la difesa della dignità umana in tutte le sue fasi, non può tacere il proprio grido di denuncia verso questo orrore, che muove un giro d’affari incredibile – stimato in 250 miliardi – e che si verifica puntualmente senza che nessuno osi ricordarlo, forse perché tra i mostri che abusano di milioni di bambini ci sono pochi preti e uomini di Chiesa che rendano lo scandalo interessante e anticlericale quanto basta per finire in edicola.

Ma noi non possiamo tacere, e dobbiamo gridarlo: proprio ora, in questi giorni di caldo e di mare, si consumano gli abusi più crudeli. Ed è un vero peccato che siano in pochi a ricordarlo. In questi stessi giorni in cui la Chiesa Cattolica ha ottenuto la liberazione ci 55 prigionieri del regime comunista ed ateo di Cuba, ricordiamo anche il coraggioso medico cattolico il dottor Elias Oscar Biscet, anch'egli cubano, di famiglia povera, medico, condannato alla prigionia in una cella piccolissima, senza finestre e senza bagno, per aver difeso le bambine vittime dello sfruttamento sessuale e aborti forzati imposti dal regime. Ci sembra giusto infatti ricordare non soltanto le nequizie, ma anche gli eroismi di chi come Biscet e tanti altri cristiani lotta per la difesa dei più piccoli.
Francesco Agnoli - Presidente del Movimento Europeo per la difesa della Vita e della Dignità umana - http://www.mevd.org/


Giù le mani dalle Culle! - Di Giuliano Guzzo - http://www.libertaepersona.org
Ci sono parecchie vie per scongiurare un aborto senza oltraggiare la dignità della donna: si va dai sostegni economici – quasi sempre pochi e pubblicizzati ancora meno -, alla possibilità, assicurata a “qualunque donna partoriente ancorché da elementi informali risulti trattarsi di coniugata”, com’è scritto nero su bianco nella sentenza n.171/’94 della Corte Costituzionale, di mettere al mondo il proprio bambino e di lasciarlo in ospedale da dove, ai sensi dell’art. 11 della Legge 184/’83, verrà “immediatamente” affidato ad una nuova famiglia. Ci sono poi i sostegni, anche finanziari, assicurati dai Centri di Aiuto alla Vita, e, infine, le Culle per la vita nelle quali, alternativamente ai cassonetti, ogni anno 300 le donne che non vogliono o possono recarsi in ospedale a partorire, lasciano i loro piccoli.

Le Culle per la vita, benché strategicamente determinanti nel salvare centinaia di vite umane ogni anno, presentano costi di istituzione e mantenimento irrisori. Ecco perché a nessuno, in teoria, dovrebbe in mente di proporne l’abolizione. Ma, come sovente capita in Italia, c’è sempre qualche magistrato che ha qualcosa da ridire. In questo caso si tratta di Melita Cavallo, Presidente del Tribunale dei Minori di Roma, per la quale le citate Culle sarebbero addirittura “una follia” in quanto incoraggerebbero “il fenomeno del parto in situazione di rischio”. E 61 bambini che, solo nel 2009, sono nati nel Lazio grazie a queste Culle? Secondo Cavallo sono “pochi” (La Repubblica Roma, 7/7/2010, p.10). Pochi o tanti che siano, quei bambini sono parte di quei nostri 300 concittadini che, senza le Culle, probabilmente non sarebbero mai nati. E sono 300 ottime ragioni per continuare a promuovere questa vitale iniziativa, con buona pace di certi magistrati.


Massimo Introvigne: 13 luglio, Sant'Enrico II Imperatore. Meditazione di Plinio Corrêa de Oliveira - [traduzione di Massimo Introvigne]
Siamo nel Medioevo, all’inizio del secolo XI. Come sappiamo, il Medioevo inizia con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, invaso da incalcolabili orde di barbari. Questi barbari si stabiliscono all’interno del territorio imperiale e alla fine assoggettano i romani al loro potere.

Gradualmente, anche la popolazione romana cade nella barbarie. Le strade sono abbandonate e nessuno se ne cura; gli acquedotti che forniscono l’acqua alle città cessano di funzionare e nessuno li ripara; i palazzi occupati dai barbari diventano sporchi e disordinati; le opere d’arte presenti nei luoghi pubblici cadono in rovina e le città precipitano nel caos. Tutto quanto rappresenta la cultura e la civiltà è distrutto in un modo miserando. In questa situazione l’Europa diventa analfabeta e il livello dei suoi costumi decade a livelli così bassi che difficilmente li possiamo immaginare. Ci vorranno secoli per riportare l’Europa a una situazione di civiltà.

Mentre tutto è distrutto, la Chiesa Cattolica resta in piedi come l’unica istituzione che funziona. I barbari cominciano a convertirsi sotto la sua influenza. Il lavoro che la Chiesa compie con questi popoli europei non è così diverso da quello che svolgerà un giorno per convertire i nativi nelle Americhe. I missionari arriveranno, predicheranno il Vangelo e attraverso le successive generazioni i nativi saranno civilizzati e acquisiranno una cultura cristiana. La stessa cosa avviene con le tribù barbariche in Europa.

Nell’anno 1000 la civiltà ha già raggiunto un certo livello, se la si paragona al modo di vivere originario dei barbari. Ma la civiltà cattolica è invece molto indietro rispetto al livello che raggiungerà duecento o trecento anni più tardi. Al tempo di sant’Enrico II (973-1024) si vive dunque in una situazione di semi-barbarie.

Alcuni popoli sono più civilizzati di altri. In Europa ci sono isole di una civiltà cristiana incipiente in un mare di popoli barbari che continuano a vivere da nomadi e ad attaccare i regni che si sono formati. La vita cattolica è molto difficile, con avversari che arrivano da tutte le direzioni.

Una delle prime conversioni è quella dei popoli germanici, che occupano un vasto territorio comprensivo delle attuali Germania, Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Svizzera. Questi popoli diventano civili e costituiscono un’entità politica che sarà chiamata Sacro Romano Impero Germanico. Impero, perché comprende diversi popoli uniti in una sorta di federazione. Questi popoli liberi accettano di essere guidati – non ancora “governati” – da un unico sovrano, eletto dai capi delle varie popolazioni. Nasce quindi una sorta di lega che comprende un vasto territorio e popoli diversi: un impero. È chiamato romano perché il modello è il vecchio Impero Romano; e germanico, perché è stato fondato da popolazioni germaniche. È anche chiamato santo, perché si assume come scopo principale la difesa della Chiesa Cattolica contro le aggressioni dei pagani.

Nella persona di sant’Enrico II vediamo un imperatore che è anche un santo. Che un capo politico e il leader di un grande esercito sia un santo apparirà poco convincente a chi è abituato a certe vite dei santi prodotte da una pietà sentimentale. Davvero Enrico occupa la posizione più elevata nella più importante organizzazione politica del tempo. È dunque l’uomo più potente d’Europa. Nello stesso tempo è il più grande guerriero d’Europa, e il primo figlio della Chiesa. Si può dire che sia il figlio della Chiesa per eccellenza. Considera come sua principale funzione proteggere la Chiesa dagli attacchi dei suoi nemici.

Deve combattere le orde che arrivano da Oriente e che continuamente attaccano l’Impero. Raduna un grande esercito per rispondere alle aggressioni di questi barbari. Combatte molte guerre, e lo fa da eroe cattolico che ha lo spirito della fede e si fida più dell’aiuto soprannaturale che delle sue forze naturali. È a Dio che chiede di vincere le sue battaglie. E Dio mostra a sant’Enrico quanto gradisca le sue preghiere intervenendo in modo miracoloso in almeno un’occasione. Quando i due eserciti si trovano faccia a faccia, i nemici fuggono terrorizzati apparentemente senza una ragione. In effetti, per terrorizzare i nemici del santo, Dio ha mostrato loro un angelo alla guida di una schiera di martiri. Dio apprezza tanto le preghiere dei combattenti che in quest’occasione concede loro la vittoria senza che neppure combattano. E con questa vittoria le forze pagane dell’Oriente devono indietreggiare e il paganesimo perde la sua forza di espansione.

Ma un pericolo minaccia ancora la Cristianità: la presenza dei Longobardi nell’Italia Settentrionale. I Longobardi non sono pagani: sono però eretici, nemici della Chiesa Cattolica. Attaccano il Papato e l’Impero. Così sant’Enrico, con il sostegno di molti vescovi italiani, entra nel territorio dei Longobardi, li sconfigge e scende a Roma, dove rende omaggio a Papa Benedetto VIII (?-1024, Papa dal 1012 al 1024).

È in quest’occasione che il Papa lo incorona imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. In una cerimonia realizzata con grande splendore, consegna a sant’Enrico un globo d’oro costellato di perle, che rappresenta il potere dell’imperatore sul mondo intero. Ma sant’Enrico non tiene per sé questo tesoro. Dimostra il suo amore per la Chiesa offrendo il prezioso dono all’abate sant’Odilone di Cluny (961-1049), che è il capo del maggiore ordine religioso europeo del tempo.

Dopo avere inflitto nuove sconfitte ai Longobardi che cercano di ribellarsi ritorna in Germania. Qui aiuta i vescovi a esercitare il loro ruolo e a mantenere la disciplina nella Chiesa. Il suo ruolo è anche decisivo nella conversione di un re pagano. Propone un’alleanza a Stefano, re d’Ungheria (969-1038), e gli offre in sposa sua sorella, la beata Gisella di Baviera (980-1065). Quest’ultima sposa Stefano e lo converte. La conversione è così reale e profonda che il re diventa un santo, santo Stefano, e converte tutta l’Ungheria alla fede cattolica.

Dietro questa conversione c’è la sapiente manovra diplomatica di sant’Enrico. Con l’Ungheria si guadagna un alleato prezioso per controllare i popoli slavi che sono stati appena pacificati. Il suo senso diplomatico è dimostrato anche dall’episodio del fiume Mosa, del 1023. Qui incontra il re di Francia Roberto II il Pio (972-1031) per risolvere varie controversie. L’incontro pone un delicato problema di protocollo. Quello fra i due sovrani che attraverserà il fiume dovrà rendere omaggio all’altro. I consiglieri suggeriscono che l’incontro avvenga su una barca al centro del fiume. Ma Enrico non dà retta ai consiglieri, attraversa il fiume e rende omaggio al re di Francia. L’imperatore è superiore al re, ma Enrico rende omaggio a un sovrano che gli è inferiore per rango per umiltà, per mantenere
relazioni cordiali e per risolvere i delicati problemi dell’Europa del tempo.

Dopo tanti servizi resi alla Chiesa e alla Cristianità, sant’Enrico muore nel 1024 nella pace di Dio come grande santo, guerriero, diplomatico e uomo politico. Questa è la gloriosa storia di sant’Enrico II imperatore. Preghiamolo perché ci aiuti a gettare le fondamenta per quella nuova Cristianità che sarà il Regno di Maria.


ASPETTANDO LA RIFORMA - Una vera autonomia per l’Università - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 13 luglio 2010
Non esistono ricette per una cosa importante come l’Università. Bisogna diffidare dei semplicismi. Che l’Università sia in crisi può essere un bene. Ci sono realtà umane che non devono cessare di mettersi in discussione (l’arte, l’università, il welfare). Ma la crisi non deve diventare 'crisi della crisi', cioè vaniloquio, vanvera. Esistono alcune necessità chiare. La prima è quella di non considerare l’Università solo una spesa. A questo primo principio (mentale, culturale e politico) si appellano sul numero della rivista Atlantide

dedicato ora all’Università nel mondo il professor Vittadini e il dottor Agasisti, esperti di valutazione.

Se non è una spesa e un peso pubblici, come va guardata l’Università, e quali altre necessità discendono da questa prima ? Occorre innanzitutto ridire, rigridare, rimostrare il valore. La ricerca del vero nelle discipline è un investimento umano di adulti e giovani di grande interesse e rilevanza ai fini scientifici e culturali. Occorre gridarlo, rimostrarlo tutti i giorni. Troppi i tradimenti e le mortificazioni di questo valore. E la seconda necessità è che l’Università per perseguire la sua missione sia autonoma. E qui aumentano i problemi. Perché c’è chi pensa che l’unica forma possibile di autonomia discende da una appartenenza delle Università a un sistema garantito dallo Stato (a cui i singoli atenei rispondono in termini economici) così come si applica nel modello alla francese, e chi invece ritiene che l’autonomia coincida con uno svincolarsi da ogni sistema di gestione statale (compreso quello garantito dal valore legale del titolo di studio) con la capacità dell’Università di costituirsi la propria indipendenza e quindi la propria credibilità, ed è il modello tendenzialmente anglosassone. Nessuno dei due modelli è esente da rischi e problemi e spesso convivono. Ma il secondo –per questo lo preferisco – premia la responsabilità e la credibilità sul campo. Il che è nella origine delle Università che nacquero come comunità di docenti e studenti in autonomia e in conflitto con i poteri costituiti. Nel 1088 a Bologna nacque la prima Università del mondo. E gli universitari erano autonomi dal Comune e dal Papato. I tempi naturalmente sono cambiati, ma se si perde questa natura e questa scommessa l’Università si perde. Si obietta che l’Italia essendo una società e una legislazione a forte impianto centralista fatica ad attuare vere forme di autonomia. Lo sosteneva con realismo il professor Schiesaro, capo della commissione tecnica del Ministero, in un convegno alla Sapienza. E però, insisteva, senza forzare in questa direzione l’Università italiana sarà preda delle proprie pigrizie, impoverirà i buoni livelli di ricerca che ci sono – nonostante le tante denigrazioni giornalistiche e politiche – e la voglia di lavorare dei docenti che raramente vedono riconosciuti i propri meriti, e castigati i demeriti di quei colleghi che invece non lavorano bene. Si tratta, in autonomia e responsabilità, di attrarre gli studenti più capaci con una pratica di diritto allo studio più flessibile e intelligente di quello che oggi permette allo stesso prezzo basso al ricco e al povero un uguale università mediocre invece di offrire una buona formazione a tutti con sistemi di garanzia per i più bisognosi. D’altro canto, oggi i rettori devono inventarsi, come raccontava il professor Dionigi capo dell’Ateneo bolognese, strani meccanismi per trattenere i ricercatori migliori. Per premiarli. Insomma, si cercano spazi di autonomia tra le pieghe della legge, la Riforma prova ad allargare le pieghe. Si dia autonomia e responsabilità. Non sopravvivranno tutte le (troppe) Università italiane? Non tutte le carriere falsamente promesse come sicure? Le migliori Università sopravvivranno, come dimostra il trend di iscrizioni in questi anni nelle più autorevoli, in Italia e all’estero. E chi ha promesso carriere senza poterle garantire ne dovrebbe pagare le conseguenze. E questo sarà un bene per l’Università e per tutti.