Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI RIFLETTE SULLA FIGURA DI SAN GIUSEPPE CAFASSO
2) PROCREAZIONE COSCIENTE E RESPONSABILE TRA LEGGE CIVILE E LEGGE MORALE - di Angela Maria Cosentino* - *Angela Maria Cosentino è docente di Procreazione responsabile e Fecondità umana ai corsi estivi di Pastorale Familiare dell'Istituto Giovanni Paolo II.
3) Il Papa: “Il male è nella Chiesa” - di Gualtiero Lami - Intervista al filosofo Vittorio Possenti - © Copyright Liberal, 30 giugno 2010 – dal sito http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com
4) Benedetto XVI infastidisce perché non asseconda le eresie e segue le orme di Cristo. Troppi scandali a suo carico, eredità di un precedente pontificato. Il mistero dello strano Scranno? - Carlo Di Pietro – dal sito pontifex.roma.it
5) ESCLUSIVA/ Joseph Weiler: così ho difeso il crocifisso davanti alla Corte europea - Joseph Weiler - giovedì 1 luglio 2010 – ilsussidiario.net
6) Avvenire.it, 1 Luglio 2010 - Sereni davanti alla croce - Laica cultura e inimmaginabile fantasia di Dio
7) Esami in gravidanza, una routine da far paura - di Carlo Bellieni – Avvenire, 1 luglio 2010
8) Viva la libertà di scegliere. Solo la morte? - Michele Aramini - punti fermi – La decisione tedesca chiarisce i gravissimi problemi aperti da una ricostruzione della volontà desunta da dichiarazioni orali E sottolinea il paradosso della volontà personale «buona» solo se orientata alla fine - Avvenire, 1 luglio 2010
BENEDETTO XVI RIFLETTE SULLA FIGURA DI SAN GIUSEPPE CAFASSO
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 30 giugno 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI questo mercoledì durante l'Udienza generale in piazza San Pietro.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sulla figura di san Giuseppe Cafasso, presbitero italiano.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
abbiamo da poco concluso l’Anno Sacerdotale: un tempo di grazia, che ha portato e porterà frutti preziosi alla Chiesa; un’opportunità per ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno risposto a questa particolare vocazione. Ci hanno accompagnato in questo cammino, come modelli e intercessori, il Santo Curato d’Ars ed altre figure di santi sacerdoti, vere luci nella storia della Chiesa. Oggi, come ho annunciato mercoledì scorso, vorrei ricordarne un’altra, che spicca sul gruppo dei "Santi sociali" nella Torino dell’Ottocento: si tratta di san Giuseppe Cafasso.
Il suo ricordo appare doveroso perché proprio una settimana fa ricorreva il 150° anniversario della morte, avvenuta nel capoluogo piemontese il 23 giugno 1860, all’età di 49 anni. Inoltre, mi piace ricordare che il Papa Pio XI, il 1° novembre 1924, approvando i miracoli per la canonizzazione di san Giovanni Maria Vianney e pubblicando il decreto di autorizzazione per la beatificazione del Cafasso, accostò queste due figure di sacerdoti con le seguenti parole: "Non senza una speciale e benefica disposizione della Divina Bontà abbiamo assistito a questo sorgere sull’orizzonte della Chiesa cattolica di nuovi astri, il parroco d’Ars, ed il Venerabile Servo di Dio, Giuseppe Cafasso. Proprio queste due belle, care, provvidamente opportune figure ci si dovevano oggi presentare; piccola e umile, povera e semplice, ma altrettanto gloriosa la figura del parroco d’Ars, e l’altra bella, grande, complessa, ricca figura di sacerdote, maestro e formatore di sacerdoti, il Venerabile Giuseppe Cafasso". Si tratta di circostanze che ci offrono l’occasione per conoscere il messaggio, vivo e attuale, che emerge dalla vita di questo santo. Egli non fu parroco come il curato d’Ars, ma fu soprattutto formatore di parroci e preti diocesani, anzi di preti santi, tra i quali san Giovanni Bosco. Non fondò, come gli altri santi sacerdoti dell’Ottocento piemontese, istituti religiosi, perché la sua "fondazione" fu la "scuola di vita e di santità sacerdotale" che realizzò, con l’esempio e l’insegnamento, nel "Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d’Assisi" a Torino.
Giuseppe Cafasso nasce a Castelnuovo d’Asti, lo stesso paese di san Giovanni Bosco, il 15 gennaio 1811. E’ il terzo di quattro figli. L’ultima, la sorella Marianna, sarà la mamma del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Nasce nella Piemonte ottocentesca caratterizzata da gravi problemi sociali, ma anche da tanti Santi che si impegnavano a porvi rimedio. Essi erano legati tra loro da un amore totale a Cristo e da una profonda carità verso i più poveri: la grazia del Signore sa diffondere e moltiplicare i semi di santità! Il Cafasso compì gli studi secondari e il biennio di filosofia nel Collegio di Chieri e, nel 1830, passò al Seminario teologico, dove, nel 1833, venne ordinato sacerdote. Quattro mesi più tardi fece il suo ingresso nel luogo che per lui resterà la fondamentale ed unica "tappa" della sua vita sacerdotale: il "Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d’Assisi" a Torino. Entrato per perfezionarsi nella pastorale, qui egli mise a frutto le sue doti di direttore spirituale e il suo grande spirito di carità. Il Convitto, infatti, non era soltanto una scuola di teologia morale, dove i giovani preti, provenienti soprattutto dalla campagna, imparavano a confessare e a predicare, ma era anche una vera e propria scuola di vita sacerdotale, dove i presbiteri si formavano nella spiritualità di sant’Ignazio di Loyola e nella teologia morale e pastorale del grande Vescovo sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Il tipo di prete che il Cafasso incontrò al Convitto e che egli stesso contribuì a rafforzare – soprattutto come Rettore - era quello del vero pastore con una ricca vita interiore e un profondo zelo nella cura pastorale: fedele alla preghiera, impegnato nella predicazione, nella catechesi, dedito alla celebrazione dell’Eucarestia e al ministero della Confessione, secondo il modello incarnato da san Carlo Borromeo, da san Francesco di Sales e promosso dal Concilio di Trento. Una felice espressione di san Giovanni Bosco, sintetizza il senso del lavoro educativo in quella Comunità: "al Convitto si imparava ad essere preti".
San Giuseppe Cafasso cercò di realizzare questo modello nella formazione dei giovani sacerdoti, affinché, a loro volta, diventassero formatori di altri preti, religiosi e laici, secondo una speciale ed efficace catena. Dalla sua cattedra di teologia morale educava ad essere buoni confessori e direttori spirituali, preoccupati del vero bene spirituale della persona, animati da grande equilibrio nel far sentire la misericordia di Dio e, allo stesso tempo, un acuto e vivo senso del peccato. Tre erano le virtù principali del Cafasso docente, come ricorda san Giovanni Bosco: calma, accortezza e prudenza. Per lui la verifica dell’insegnamento trasmesso era costituita dal ministero della confessione, alla quale egli stesso dedicava molte ore della giornata; a lui accorrevano vescovi, sacerdoti, religiosi, laici eminenti e gente semplice: a tutti sapeva offrire il tempo necessario. Di molti, poi, che divennero santi e fondatori di istituti religiosi, egli fu sapiente consigliere spirituale. Il suo insegnamento non era mai astratto, basato soltanto sui libri che si utilizzavano in quel tempo, ma nasceva dall’esperienza viva della misericordia di Dio e dalla profonda conoscenza dell’animo umano acquisita nel lungo tempo trascorso in confessionale e nella direzione spirituale: la sua era una vera scuola di vita sacerdotale.
Il suo segreto era semplice: essere un uomo di Dio; fare, nelle piccole azioni quotidiane, "quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime". Amava in modo totale il Signore, era animato da una fede ben radicata, sostenuto da una profonda e prolungata preghiera, viveva una sincera carità verso tutti. Conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico, come il buon pastore. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale. Il beato don Clemente Marchisio, fondatore delle Figlie di san Giuseppe, affermava: "Entrai in Convitto essendo un gran birichino e un capo sventato, senza sapere cosa volesse dire essere prete, e ne uscii affatto diverso, pienamente compreso della dignità del sacerdote". Quanti sacerdoti furono da lui formati nel Convitto e poi seguiti spiritualmente! Tra questi – come ho già detto - emerge san Giovanni Bosco, che lo ebbe come direttore spirituale per ben 25 anni, dal 1835 al 1860: prima come chierico, poi come prete e infine come fondatore. Tutte le scelte fondamentali della vita di san Giovanni Bosco ebbero come consigliere e guida san Giuseppe Cafasso, ma in un modo ben preciso: il Cafasso non cercò mai di formare in don Bosco un discepolo "a sua immagine e somiglianza" e don Bosco non copiò il Cafasso; lo imitò certo nelle virtù umane e sacerdotali - definendolo "modello di vita sacerdotale" -, ma secondo le proprie personali attitudini e la propria peculiare vocazione; un segno della saggezza del maestro spirituale e dell’intelligenza del discepolo: il primo non si impose sul secondo, ma lo rispettò nella sua personalità e lo aiutò a leggere quale fosse la volontà di Dio su di lui. Cari amici, è questo un insegnamento prezioso per tutti coloro che sono impegnati nella formazione ed educazione delle giovani generazioni ed è anche un forte richiamo di quanto sia importante avere una guida spirituale nella propria vita, che aiuti a capire ciò che Dio vuole da noi. Con semplicità e profondità, il nostro Santo affermava: "Tutta la santità, la perfezione e il profitto di una persona sta nel fare perfettamente la volontà di Dio (…). Felici noi se giungessimo a versare così il nostro cuore dentro quello di Dio, unire talmente i nostri desideri, la nostra volontà alla sua da formare ed un cuore ed una volontà sola: volere quello che Dio vuole, volerlo in quel modo, in quel tempo, in quelle circostanze che vuole Lui e volere tutto ciò non per altro se non perché così vuole Iddio".
Ma un altro elemento caratterizza il ministero del nostro Santo: l’attenzione agli ultimi, in particolare ai carcerati, che nella Torino ottocentesca vivevano in luoghi disumani e disumanizzanti. Anche in questo delicato servizio, svolto per più di vent’anni, egli fu sempre il buon pastore, comprensivo e compassionevole: qualità percepita dai detenuti, che finivano per essere conquistati da quell’amore sincero, la cui origine era Dio stesso. La semplice presenza del Cafasso faceva del bene: rasserenava, toccava i cuori induriti dalle vicende della vita e soprattutto illuminava e scuoteva le coscienze indifferenti. Nei primi tempi del suo ministero in mezzo ai carcerati, egli ricorreva spesso alle grandi predicazioni che arrivavano a coinvolgere quasi tutta la popolazione carceraria. Con il passare del tempo, privilegiò la catechesi spicciola, fatta nei colloqui e negli incontri personali: rispettoso delle vicende di ciascuno, affrontava i grandi temi della vita cristiana, parlando della confidenza in Dio, dell’adesione alla Sua volontà, dell’utilità della preghiera e dei sacramenti, il cui punto di arrivo è la Confessione, l’incontro con Dio fattosi per noi misericordia infinita. I condannati a morte furono oggetto di specialissime cure umane e spirituali. Egli accompagnò al patibolo, dopo averli confessati ed aver amministrato loro l’Eucaristia, 57 condannati a morte. Li accompagnava con profondo amore fino all’ultimo respiro della loro esistenza terrena.
Morì il 23 giugno 1860, dopo una vita offerta interamente al Signore e consumata per il prossimo. Il mio Predecessore, il venerabile servo di Dio Papa Pio XII, il 9 aprile 1948, lo proclamò patrono delle carceri italiane e, con l’Esortazione apostolica Menti nostrae, il 23 settembre 1950, lo propose come modello ai sacerdoti impegnati nella Confessione e nella direzione spirituale.
Cari fratelli e sorelle, san Giuseppe Cafasso sia un richiamo per tutti ad intensificare il cammino verso la perfezione della vita cristiana, la santità; in particolare, ricordi ai sacerdoti l’importanza di dedicare tempo al Sacramento della Riconciliazione e alla direzione spirituale, e a tutti l’attenzione che dobbiamo avere verso i più bisognosi. Ci aiuti l’intercessione della Beata Vergine Maria, di cui san Giuseppe Cafasso era devotissimo e che chiamava "la nostra cara Madre, la nostra consolazione, la nostra speranza".
Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Mi rivolgo innanzitutto agli Arcivescovi Metropoliti che ieri hanno ricevuto il Pallio e che sono lieto di accogliere in questa Udienza, unitamente ai loro familiari ed amici che li accompagnano. Saluto Monsignor Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve; Monsignor Andrea Bruno Mazzocato, Arcivescovo di Udine; Monsignor Antonio Lanfranchi, Arcivescovo di Modena-Nonantola; e Monsignor Luigi Moretti, Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno. Colui che vi ha scelto come Pastori del suo gregge, il Signore Gesù, vi sostenga nel vostro quotidiano servizio e con la forza dello Spirito Santo vi renda fedeli araldi del Vangelo. Saluto le Suore Mercedarie del Santissimo Sacramento, che ricordano il primo Centenario di fondazione del loro Istituto e i fedeli della parrocchia Santa Lucia a Mare, in Napoli. Tutti esorto a testimoniare con gioia l’amore che Cristo ha riversato nei nostri cuori.
Il mio pensiero si rivolge infine ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. Alla solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo celebrata ieri, segue oggi la memoria dei Primi Martiri Romani. Cari giovani, imitate la loro eroica testimonianza evangelica e siate fedeli a Cristo in ogni situazione della vita. Incoraggio voi, cari ammalati, ad accogliere l'esempio dei Protomartiri per trasformare la vostra sofferenza in atto di donazione per amore a Dio ed ai fratelli. Voi, cari sposi novelli, sappiate aderire al progetto che il Creatore ha stabilito per la vostra vocazione, così da giungere a realizzare un’unione familiare feconda e duratura.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
PROCREAZIONE COSCIENTE E RESPONSABILE TRA LEGGE CIVILE E LEGGE MORALE - di Angela Maria Cosentino* - *Angela Maria Cosentino è docente di Procreazione responsabile e Fecondità umana ai corsi estivi di Pastorale Familiare dell'Istituto Giovanni Paolo II.
ROMA, mercoledì, 30 giugno 2010 (ZENIT.org).- In Italia, è stata pubblicata una sentenza, resa nota dai media Il 20 giugno scorso[1], secondo la quale, una coppia, affetta da talassemia, che ha avuto un figlio malato, per diagnosi prenatale errata, durante la gravidanza, ha ottenuto il riconoscimento ad un risarcimento di 400 mila euro da parte del medico, il quale è stato denunciato, perché, secondo la sentenza, "è stato violato il diritto della coppia ad una procreazione cosciente e responsabile".
Il termine procreazione cosciente e responsabile ha subito una radicale trasformazione dal suo significato originale. Comparso in epoca relativamente recente, dopo le scoperte scientifiche relative alla fertilità umana, all'interno della riflessione morale cattolica[2], indica una condotta che consideri la realtà dei coniugi nel rispondere alla chiamata come collaboratori e non arbitri del progetto creativo di Dio, nel rispetto di tutti i soggetti coinvolti ( donna, uomo, eventuale figlio, Creatore) e dei valori in gioco nell'esercizio della sessualità (significato unitivo e procreativo dell'atto coniugale, come dono totale di sé nella verità del linguaggio dell' amore e della vita).
Il termine richiama alla possibilità di conoscere l'andamento della fertilità e dell'infertilità umana, alla consapevolezza che non si rifiuta la vita concepita in un periodo fertile né la si pretende quando la fertilità è assente. La procreazione responsabile dovrebbe riferirsi sia alla fertilità sia all'infertilità: due facce della stessa medaglia, poiché sul piano biologico invita a conoscere le leggi della trasmissione della vita e a rispettarle, sul piano psicologico invita a conoscere l'impulso sessuale e a educarlo, sul piano sociale invita ad aprirsi a molteplici forme di fecondità, anche oltre la fertilità biologica, sul piano etico invita al dono di sé.
Il termine procreazione cosciente e responsabile, dall'epoca della cosiddetta rivoluzione sessuale ha assunto, invece, un altro significato. E' stato identificato con il birth control o family planning[3], per indicare l'intenzione di "non avere figli", obiettivo da realizzare con contraccezione e aborto, due frutti della stessa mentalità antivita.
Il termine, che compare poi nelle leggi, esce in Italia, per la prima volta, nell'art. 1 della legge 405 del 1975, che istituisce i consultori familiari e, successivamente, come "diritto alla procreazione cosciente e responsabile" , nell'articolo 1 della legge 194'78 (sull'aborto). Si introduce, gradualmente, l' idea che un concepito, se non ricercato o o malato, possa essere rifiutato e abortito, mascherando, con il termine procreazione responsabile, un presunto diritto di libertà, in nome della nuova religione laica dell'autodeterminazione.
La procreazione responsabile entra, in modo riduttivo, anche all'interno della c.d. salute sessuale e riproduttiva, intesa come informazione tecnica (contraccezione e aborto), istruzioni per l'uso per evitare gravidanze e malattie sessualmente trasmesse. La fertilità (e tutto ciò che ne consegue) viene presentata come malattia da cui liberarsi o come diritto da pretendere ad ogni costo, mai come dono e responsabilità che si può imparare a conoscere e a tutelare fin da giovani. Anche con i metodi naturali[4].
Purtroppo nel dibattito scientifico, culturale, etico e pastorale, in riferimento sia alla fertilità sia all'infertilità umana, è stata offerta scarsa attenzione[5] alla ricerca e al rinvio "naturale" della gravidanza, al punto che sull'autentica procreazione responsabile è sceso un drammatico silenzio assordante che rischia di svuotare di significato anche una pietra miliare del Magistero, l'enciclica incompresa, eppur profetica, Humanae vitae di Paolo VI che, al n. 10 , chiarisce il significato di procreazione responsabile[6], che esclude ogni atteggiamento egoista e contrario alla vita.
La ricaduta culturale delle leggi ha contribuito a introdurre, erroneamente, il termine Procreazione Responsabile come "No al figlio" [7], mentalità che compare anche nelle sentenze sul "diritto a non nascere", che arrivano a riconoscere un risarcimento al leso "diritto alla procreazione cosciente e responsabile".
Si sospetta che più che tale diritto sia stato leso un interesse economico e ideologico, mascherato con una falsa pietà, anche con l'uso di manipolazioni linguistiche, che aiutano a "correre ai ripari" di fronte al verificarsi del "rischio" temuto (il figlio), non riconosciuto più come bene indisponibile, dotato di oggettiva dignità ontologica.
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*Angela Maria Cosentino è docente di Procreazione responsabile e Fecondità umana ai corsi estivi di Pastorale Familiare dell'Istituto Giovanni Paolo II.
1) Cf. G. Guastella, Sbagliata la diagnosi prenatale. Medico pagherà 400 mila euro, Il Corriere della sera, 20 giugno, 2010.
2) Cf. Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, 1965, n. 51; Paolo VI, Enciclica Humanae vitae, 1968, n. 10.
3) Cf. Pontificio Consiglio per la Famiglia (a cura di ), Famiglia e Procreazione Umana, LEV, Città del Vaticano, n. 16;
4) A. M. Cosentino, Testimoni di speranza. Fertilità e infertilità: dai segni ai significati, Cantagalli, Siena 2008.
5) Cf. Documento della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, P. J. M. S. Castellvi, L' Humanae vitae, una profezia scientifica, L'Osservatore romano, 4 gennaio 2009 e in A.M. Cosentino, Verità che scottano. Domande e risposte su questioni attuali di amore e di vita, Prefazione di F. D'Agostino, Effatà, 2009, pp.161-164.
6) Cf. anche C. Caffarra, Paternità Responsabile, in Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lexicon, Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e valori etici, EDB 2006², pp.863-868; L. Melina, Etica della responsabilità procreativa, in Pontificio Consiglio per la Famiglia, Famiglia e Procreazione Umana. Commenti sul documento, LEV, 2007, pp.37-46.
7) A settembre, in occasione della giornata internazionale sulla contraccezione, vengono depositate, periodicamente, in Parlamento mozioni a favore dell'uso della contraccezione, con l'obiettivo di promuovere "una procreazione cosciente e responsabile", ed evitare l' aborto. Le statistiche, però, contraddicono tale ipotesi. Non è vero , infatti, che più contraccezione significhi meno aborti.
Il Papa: “Il male è nella Chiesa” - di Gualtiero Lami - Intervista al filosofo Vittorio Possenti - © Copyright Liberal, 30 giugno 2010 – dal sito http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com
Benedetto XVI ha dato l'annuncio ufficiale: verrà creato un nuovo dicastero per la «rievangelizzazione dell'Occidente», dove - parole del Papa - è in atto «un'eclisse del senso di Dio». Di questa decisione, delle ragioni che l'hanno provocata abbiamo parlato col filosofo cattolico Vittorio Possenti.
Professore, è d'accordo con l'espressione drammatica usata dal Papa? Perché è diventato così difficile il rapporto fra Occidente e religione?
Penso anch'io che noi stiamo entrando,anzi siamo già entrati in una fase nuova della storia dell'Occidente. A venti anni dal crollo del comunismo, che pure aveva ingenerato grandi e sincere speranze, la situazione è ritornata molto difficile. I segnali di una ripresa della ricerca spirituale, che pure ci furono, si sono dimostrati molto labili e ora siamo tornati al punto di partenza. O peggio.
Che cosa è successo? Perché la sconfitta del comunismo, non ha consentito una ripresa religiosa in Occidente?
Il crollo del comunismo ha segnato la fine di un'ideologia che sperava in una rivoluzione radicale attraverso la politica. A questa convinzione se n'è sostituita un'altra: il rivolgimento profondo della vita umana avverrà - questa l'illusione presente - attraverso la scienza. Il comunismo era espressamente ateo, questa nuova posizione non lo è. Dà luogo però ad un fenomeno che chiamerei di "irreligione". Si tratta di qualcosa di diverso e di più dell'oblio di Dio o del piatto ateismo, è una lotta attiva affinché il problema di Dio scompaia. Dio in questa visione diventa inutile, superfluo. E viene vissuta come profondamente sbagliata, «una cosa storta», l'avvertire la mancanza di Dio come mancanza, come perdita. In questo senso le parole di Benedetto XVI sull'«eclisse del senso di Dio nella storia dell'Occidente» e - direi - nella storia universale sono del tutto condivisibili.
La Chiesa deve avere una percezione altamente drammatica della novità, se addirittura modifica la propria struttura istituzionale per affrontarla.
No, non mi sembra che siamo di fronte ad una modificazione così profonda dell'atteggiamento della Chiesa. Ci sono dei precisi antefatti che la collocano questa decisione in continuità con altri atti. I segni di questa consapevolezza erano già presenti nel Concilio Vaticano secondo e nell'Evangelii nuntiandi di Paolo VI, che - come dice il titolo stesso - annuncia una nuova evangelizzazione. Non siamo di fronte quindi ad un rivolgimento. Si tratta di una progressiva presa di coscienza su cui può aver influito - come dicevo prima - la constatazione che il crollo del comunismo non ha portato ad un periodo di nuova vita spiritualità, ma ha riportato alla ribalta un diverso tipo di ateismo. Sulla decisione ha poi sicuramente pesato l'acuta sensibilità di questo Papa verso tali problemi. Non parlerei però di una svolta drammatica.
Professore, può aver pesato su questa decisione il momento di crisi interna che la Chiesa cattolica sta vivendo? Vicende come quella dei preti pedofili?
Il Papa ha usato una frase fortissima quando ha affermato: «Il male è nella Chiesa». Non è questa una constatazione nuova. Lo sappiamo da sempre che il male è dappertutto e quindi anche dentro la Chiesa. Già i Padri della Chiesa dicevano: Ecclesia semper reformanda. Certo le attuali difficoltà sono una cosa molto seria e possono aver anche influenzato in qualche misura la decisione papale. Ma la ragione vera non è questa. Sta, lo ripeto, nella nuova forma di ateismo che ha preso il posto di quello di stampo comunista. E ha radici ancora più profonde nel Vaticano II e nelle elaborazioni dei predecessori di Benedetto XVI. In quella volontà di riaprire un dialogo fra Chiesa e mondo senza venir meno all'impegno di annunciare il Vangelo. Ripartire dal Vangelo: questo è il significato delle parole e degli atti del Papa. Il Cristianesimo, attraverso la figura del verbo incarnato, è portatore di una speranza che è affidata ai "fragili vasi" che noi siamo. È nelle mani di noi credenti, che siamo pieni di difetti e di limiti, ma che non possiamo disertare l'impegno dell'evangelizzazione.
Lei vede, dopo la sconfitta del comunismo, nello scientismo la nuova minaccia. Ma la scienza non è contro la religione..
Certo. Ne abbiamo una prova palpabile nel fatto che i fondatori della scienza moderna, da Copernico a Galilei, da Cartesio a Leibnitz, erano tutti credenti ed esercitava- no la loro ricerca come atto di omaggio alla verità divina. E del resto il compito della scienza è la ricerca della verità, senza presumere che la scienza possa conoscere l'integralità del vero. Quando parlo di scientismo intendo un atteggiamento preciso, nato circa un secolo e mezzo fa e che ha avuto come alfiere August Comte.
Si riferisce al positivismo...
Esattamente. Già Comte aveva affermato con grande precisione il primo dogma dello scientismo contemporaneo. E cioè che solo la scienza può conoscere, mentre non servono a questo scopo né la filosofia né la teologia. Se posso dunque esprimere un auspicio sul lavoro che il nuovo dicastero dovrà svolgere, è che si punti con grande forza e coraggio sulle questioni della verità e del senso. Su questo piano occorre riprendere in mano il problema della conoscenza scientifica che non può presumere di esaurire la ricerca della verità. Non sarebbe male che il nuovo dicastero possa avvalersi anche di intelligenti polemisti, in grado di mettere bene a fuoco tutte le insufficienze della scienza. Sarà infine indispensabile tornare al metodo di San Paolo.
In che senso?
Non certamente nel senso che siamo di fronte ad una prima evangelizzazione come fece San Paolo. Il nuovo dicastero si troverà ad operare in un Occidente di antica cristianizzazione e di nuova scristianizzazione. Nonostante la realtà sia molto diversa, il metodo di San Paolo sarà di grande utilità. L'evangelizzatore per eccellenza si muoveva su due livelli: il primo riguardava la sfera civile, i contatti con i governatori, proconsoli, filosofi, basti pensare al suo rapporto con Seneca. Toccava insomma la parte "alta", colta della società. C'era però anche un secondo livello, certo non meno importante: quello che prevedeva di rivolgersi a tutte le comunità cristiane disseminate sul territorio in modo che potessero prendere vita e fortificarsi i "focolari" del cristianesimo. Spero che il nuovo dicastero si muova lungo queste due direttrici. Perché c'è molto da fare per evangelizzare la cultura, ma ci sono anche tante piccole comunità che faticano a sopravvivere e a crescere in un Occidente così fortemente secolarizzato, che tende a scoraggiare la testimonianza cristiana. Professore, sui temi della vita, del concepimento, della nascita e della morte, la chiesa spesso sembra trovarsi dalla parte opposta rispetto al senso comune delle nostre società... Credo che il tema della vita sia centrale, sebbene non sia l'unico. Credo che sia giusto continuare a mettere bene in luce che non siamo i padroni della vita altrui. E che quindi le questioni dell'embrione, dell'aborto, della nascita sono centrali. È lì infatti che l'uomo e la donna si prestano a diventare dono l'uno per l'altro e non titolari di un diritto di vita o di morte sull'altro. Ma - come dicevo - non è solo questo il tema centrale.
Mi dica gli altri...
Mi scusi se mi ripeto, ma io metto avanti a tutto, come filosofo e come uomo, la verità e il senso perché queste due questioni coinvolgono tutte le altre. Se esiste la possibilità di raggiungere la verità, questa non può essere demandata esclusivamente alla scienza. L'uomo deve arrivare con la sua ragione, con la sua fede a comprendere il senso e il compito dell'esistenza. Aldilà della vita, c'è il senso della vita. Noi ci interroghiamo su dove andiamo e da dove veniamo. Se non riusciamo a risponderci, nasce in noi un sentimento di disperazione. Finiamo col disprezzare noi stessi. Evoluzionismo e scientismo, branditi ciecamente, possono quindi provocare gravi danni. Peggio: possono diventare un pericolo.
© Copyright Liberal, 30 giugno 2010
Benedetto XVI infastidisce perché non asseconda le eresie e segue le orme di Cristo. Troppi scandali a suo carico, eredità di un precedente pontificato. Il mistero dello strano Scranno? - Carlo Di Pietro – dal sito pontifex.roma.it
Il Diavolo sta facendo ferro e fuoco contro la figura di Benedetto XVI che, "poverino" segue le orme di Cristo ed "alza la voce". Se non lo avete ancora letto, in Belgio sono giunti fino a perquisire la casa del cardinale Daneels, primate emerito accusato “di non aver denunciato per tempo il vescovo di Bruges dimissionario a gennaio con l’accusa di abusi su minori”. Nelle stesse ore addirittura “le tombe di uno dei padri teologici del Concilio Vaticano II, Léon-Joseph Suenens, e dell’arcivescovo Joseph- Ernest Van Roey, sono state sventrate con il martello pneumatico alla ricerca di chissà quali documenti inquisitori”. Se in una occasione del genere si fosse travata la buonanima del "buon uomo" Papa Giovanni Paolo II, come accaduto in tantissime occasioni, avrebbe avuto un atteggiamento buonista e rinunciatario, quasi accondiscendente. Al contrario, è proprio la limpidissima scelta del papa attuale, per la trasparenza e per la ...
... pulizia nella Chiesa, che fa apparire gli atti dell’inquisizione belga in tutta la loro ingiustificata assurdità.
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Bisogna riconoscere che quello che sta dicendo e facendo è così alto e profetico che lo stesso mondo clericale non capisce e fa resistenza. Ratzinger ha spiazzato sia i ratzingeriani che gli avversari.
Ha capovolto il vecchio e sciocco stereotipo del “panzerkardinal”. E ha mostrato a tutti la grandezza e la forza dell’umiltà. Ha fatto vedere cos’è un padre che sa piangere con i suoi figli violati e sofferenti, abbracciandoli a nome del Nazareno.
La Santa Chiesa, spiega il Papa, non è una cosca mafiosa che vive sull’omertà. Le menzogne servono solo ai colpevoli che non vogliono emendarsi o a coloro che vogliono salvaguardare un potere terreno. La Chiesa invece vive della verità. E la verità non fa calcoli di convenienza (dice giustamente Antonio socci) >>.
Benedetto XVI sta semplicemente rimettendo ordine in un Clero che è stato colpito negli ultimi 30 anni dall'interno. Le figure dei defunti Paolo VI e Giovanni Paolo II vanno assolutamente rianalizzate alla luce di tutto ciò che sta venendo a galla, purtroppo, in un momento in cui abbiamo un Papa "rigido" ed ortodosso, a cui poco importa la diplomazia e che fonda il suo pontificato sull'imitazione di Cristo.
E' importante pregare per l'attuale Santo Padre, affinché riesca a porre rimedio sugli errori commessi dai precedenti Pontefici ed è altrettanto giusto pregare per l'anima dei defunti suoi Predecessori i quali, nella massima bontà, non sono assolutamente riusciti a mantenere l'ordine, la rigidità e la disciplina che ha contraddistinto nei secoli gli uomini timorati di Dio.
Per concludere una domanda: ma secondo voi Benedetto XVI si sarebbe mai accomodato su quello strano Scranno al logo di Tiberiade, che riporta platealmente la Croce di Cristo capovolta? A mio avviso l'avrebbe fatta abbattere in un baleno, smascherando i colpevoli satanisti di tale blasfemia e li avrebbe sicuramente allontanati dal Vaticano.
Carlo Di Pietro
ESCLUSIVA/ Joseph Weiler: così ho difeso il crocifisso davanti alla Corte europea - Joseph Weiler - giovedì 1 luglio 2010 – ilsussidiario.net
1. Mi chiamo Joseph H.H. Weiler, Professore di diritto presso la New York University e Professore Onorario presso la London University. Ho l’onore di rappresentare i Governi dell’Armenia, della Bulgaria, di Cipro, della Grecia, della Lituania, di Malta, della Federazione Russa e di San Marino. Tutte le Terze Parti sono dell’avviso che la Seconda Camera ha sbagliato nel suo ragionamento, nella sua interpretazione della Convenzione e nelle sue successive conclusioni.
2. Il Presidente della Grande Camera mi ha spiegato che le Terze Parti non possono entrare nei dettagli di un caso, ma si debbono limitare a trattare i principi generali interessati dal caso, ed una sua possibile soluzione. Il tempo a disposizione è di 15 minuti, di conseguenza toccherò solamente i soli argomenti più essenziali.
3. La Camera, nella sua Decisione, ha trattato tre principi chiave: gli Stati che intervengono sono profondamente in accordo su due di essi, ma dissentono profondamente sul terzo.
4. Essi sono assolutamente concordi che la Convenzione garantisca agli individui sia la Libertà di religione, sia la Libertà dalla religione (la libertà religiosa positiva e negativa), ed essi concordano assolutamente sul bisogno che un’aula scolastica educhi alla tolleranza e al pluralismo.
5. La Camera si sofferma anche su un principio di “neutralità”:
«The State’s duty of neutrality and impartiality is incompatible with any kind of power on its part to assess the legitimacy of religious convictions or the ways of expressing those convictions».
«Il dovere dello Stato di neutralità e imparzialità è incompatibile con ogni genere di suo potere di valutare la legittimità delle convinzioni religiose o dei modi d’esprimere quelle convinzioni». [Par. 47]
6. Da una tale premessa la conclusione è inevitabile: la presenza di un crocifisso sul muro di una classe è stata ovviamente ritenuta espressione di una valutazione della legittimità di un convincimento religioso - il Cristianesimo - e quindi in violazione della Convenzione.
7. Questa formulazione della “neutralità” è basata su due errori concettuali che sono fatali per le conclusioni.
8. Primo, nel sistema previsto dalla Convenzione tutti i Membri devono garantire agli individui la libertà di religione, ma anche la libertà dalla religione. Tale obbligo rappresenta un tratto costituzionale comune dell’Europa. Però è contro-bilanciato da una grande libertà allorché esso raggiunge il rango di religione, o eredità religiosa, propria dell’identità collettiva di una nazione e della simbologia di uno Stato.
9. Così, ci sono Stati Membri in cui la laïcité è parte della definizione di Stato, come per la Francia, e nei quali, di conseguenza, non ci può essere uno Stato che faccia proprio o proponga un simbolo religioso in uno spazio pubblico. La religione, qui, è un affare privato.
10. Ma nessuno Stato ha l’obbligo ai sensi della Convenzione di abbracciare la laïcité. Infatti, appena oltre la Manica, c’è l’Inghilterra (ed uso questo specifico termine apposta) nella quale vi è una Chiesa di Stato, il cui Capo dello Stato è anche Capo della Chiesa, nella quale i leader religiosi sono anche membri d’ufficio del Legislativo, la bandiera fa mostra della Croce e l’Inno nazionale è una preghiera a Dio di salvare il Monarca, e di dare a lui o a lei la Vittoria e la Gloria. [Anche se qualche volta Dio non ascolta, come è capitato in una certa partita di calcio, pochi giorni fa...]
11. Proprio nel suo essere Stato con una sua Chiesa ufficiale, l’Inghilterra sembrerebbe, nella sua ontologia, violare le strettoie poste dalla Camera, perché come si farebbe a non dire che con tutti quei simboli non vi sia un certo tipo di valutazione circa la legittimità di un credo religioso?
12. In Europa c’è una straordinaria varietà di rapporti tra Stato e Chiesa. Più della metà della popolazione d’Europa vive in Stati che non potrebbero essere descritti come laïque. Inevitabilmente nell’educazione statale, lo Stato e i suoi simboli hanno un loro posto. Molti di questi, comunque, hanno un’origine religiosa o esprimono un’identità religiosa attuale. In Europa, la Croce è l’esempio più visibile, apparendo su innumerevoli bandiere, crinali, edifici, ecc. ecc. Sarebbe sbagliato sostenere, come alcuni hanno fatto, che la croce è solo o meramente un simbolo nazionale. È tutti e due - data la storia, parte integrante della identità nazionale di molti Stati europei [ci sono autori che sostengono che anche le 12 Stelle del Consiglio d’Europa hanno questa stessa dualità!]
13. Consideriamo una raffigurazione della Regina d’Inghilterra appesa in classe. Come la Croce, quella immagine ha un significato duplice. È l’immagine del Capo di Stato. Ed è anche l’immagine del Capo titolare della Chiesa d’Inghilterra. È quasi come il Papa, che è sia Capo di Stato, sia Capo di una chiesa. Sarebbe accettabile per qualcuno richiedere che la foto della Regina non debba stare appesa nelle scuole per il fatto che non è compatibile con le loro convinzioni religiose e il loro diritto di educazione, perché sono cattolici, ebrei o mussulmani? O con la loro convinzione filosofica, perché sono non credenti? Potrebbero la Costituzione irlandese, o quella tedesca non stare appese in una classe o non venire lette in classe, dal momento che nei loro Preamboli troviamo un riferimento, nella prima, alla Santa Trinità e a Gesù Cristo Divino Signore, e, nella seconda, a Dio? Di sicuro il diritto di libertà dalla religione deve garantire che un alunno che non ne abbia voglia, possa non essere coinvolto in un atto religioso, possa non partecipare a un rituale religioso, o non debba avere una qualche affiliazione religiosa come condizione per dei diritti statali. Lui, o lei, dovrebbero certamente avere il diritto di non cantare God save the Queen, Dio salvi la Regina, se questo contrasta con la loro visione del mondo. Ma può, questo studente, chiedere che non lo canti nessuno?
14. Questa qualità europea rappresenta una enorme lezione di pluralismo e tolleranza. Tutti i bambini in Europa, atei o credenti, cristiani, mussulmani ed ebrei, imparano come parte della loro eredità europea che l’Europa insiste da una parte sul loro diritto di praticare una religione liberamente - entro i limiti di rispettare i diritti degli altri e l’ordine pubblico - e dall’altra sul loro diritto di non credere affatto. Allo stesso tempo, come parte di questo pluralismo e di questa tolleranza, l’Europa accetta e rispetta una Francia e una Inghilterra, una Svezia e una Danimarca, una Grecia e una Italia, ognuna delle quali ha modi molto differenti di riconoscere, da parte dello Stato e negli spazi pubblici, simboli religiosi avallati pubblicamente.
15. In molti di questi stati non-laïque, grandi settori della popolazione, forse persino la maggioranza, non sono più credenti. Ma il groviglio continuo di simboli religiosi nello spazio pubblico, e da parte dello Stato, è accettato dalla popolazione secolarizzata ancora come parte della identità nazionale, e come atto di tolleranza verso i propri connazionali. Potrebbe anche essere che, un giorno, la popolazione britannica, esercitando la propria sovranità costituzionale, voglia liberarsi della Chiesa d’Inghilterra, come fecero gli svedesi. Ma questo è compito loro, non di questa egregia Corte, e la Convenzione non è mai stata di certo interpretata come per forzarli a farlo. L’Italia è libera di scegliere di essere laïque. Il popolo italiano può democraticamente e costituzionalmente scegliere di avere uno Stato laïque (e non è una questione per questa Corte se il crocefisso sui muri sia compatibile o meno con la Costituzione italiana, bensì per la Corte italiana). Ma il ricorrente, la Sig.ra Lautsi, non vuole che questa Corte riconosca il diritto dell’Italia di essere laïque, ma imporglielo come dovere. Questo non trova un fondamento nel diritto.
16. Nell’Europa di oggi i Paesi hanno aperto le loro porte a molti nuovi residenti e cittadini. Noi dobbiamo offrire loro tutto ciò che è garantito dalla Convenzione. Noi dobbiamo dare a loro un giusto trattamento, il benvenuto e non discriminarli. Ma il messaggio di tolleranza verso l’Altro non dev’essere tradotto in un messaggio di intolleranza verso la propria identità, e l’imperativo giuridico della Convenzione non deve estendere il giusto obbligo che lo Stato garantisca una libertà religiosa positiva e negativa, sino ad una affermazione ingiustificata e senza precedenti che lo Stato si spogli di una parte della sua identità culturale solo perché le espressioni di tale identità possano essere religiose o d’origine religiosa.
17. La posizione adottata dalla Camera non è un’espressione del pluralismo proprio del sistema della Convenzione, ma è una espressione dei valori dello stato laïque. Estenderla all’intero sistema della Convenzione vorrebbe dire, con grande rispetto, l’americanizzazione dell’Europa. Americanizzazione in due aspetti: primo, una singola ed unica regola per tutti; secondo, una rigida separazione, in stile americano, tra Chiesa e Stato, come se i popoli di quegli Stati Membri non-laïque non possano essere responsabili così da vivere i principi della tolleranza e del pluralismo. Questo, ancora una volta, non è Europa.
18. L’Europa della Convenzione rappresenta un equilibrio unico tra libertà individuale di e dalla religione, e libertà collettiva di definire lo Stato e la Nazione usando simboli religiosi, o persino avendo una Chiesa ufficiale. Noi ci fidiamo delle nostre istituzioni democratiche costituzionali per definire i nostri spazi pubblici e i nostri sistemi educativi collettivi. Noi riponiamo fiducia nelle nostre corti, inclusa questa augusta Corte, per difendere le libertà individuali. È un equilibrio che ha servito bene l’Europa nei passati 60 anni.
19. È anche un equilibrio che può agire come una luce guida per il resto del mondo, dato che dimostra ai paesi che credono che la democrazia implichi la perdita della propria identità religiosa, che non è così. La decisione della Camera ha rovesciato quest’equilibrio unico e rischia di appiattire il nostro panorama costituzionale rubandoci questa qualità superiore di diversità costituzionale. Questa egregia Corte dovrebbe recuperare questo equilibrio.
20. Passo ora al secondo errore concettuale della Camera - la sovrapposizione confusa - pragmatica e concettuale - tra laicismo [secularism], laïcité e neutralità.
21. Oggi, nei nostri Stati, la principale frattura sociale che riguarda la religione non è tra, diciamo, cattolici e protestanti, ma tra il credente e il “laico”.
La laïcité, non è una categoria vuota che significa assenza di fede. In tanti la considerano un ricco punto di vista che mantiene, inter alia, la convinzione politica che la religione trova un solo posto legittimo nella sfera privata, e che non può esserci alcuna commistione tra l’autorità pubblica e quella della religione. Per esempio, solo scuole secolari saranno finanziate dallo stato. Le scuole religiose devono essere private e non godere di aiuto pubblico. È una posizione politica, rispettabile, ma certamente non “neutrale”.
I non-laïque, benché rispettino in toto la libertà di e dalla religione, abbracciano anche alcune forme di religione pubblica, di cui ho già parlato. La laïcité vuole uno spazio pubblico denudato, un muro in classe privo di ogni simbolo religioso. È giuridicamente disonesto adottare una posizione politica che divide la nostra società, e pretendere che in qualche modo sia neutrale.
22. Alcuni Paesi, come i Paesi bassi e il Regno Unito, hanno in mente il problema. Nel campo dell’educazione, questi Stati non intendono il loro essere neutrali come favorire il secolare in opposizione al religioso. Così, lo Stato finanzia scuole pubbliche laiche, e nella stessa misura, scuole pubbliche religiose.
23. Se la tavolozza sociale di una società fosse solo composta di gruppi blu, gialli e rossi, allora il nero - l’assenza di colore - sarebbe un colore neutro. Una volta, però, che le forze sociali di una società si sono appropriate del nero come proprio colore, allora questa scelta non è più neutrale. Il secolarismo non favorisce un muro privo di tutti i simboli di uno Stato; sono solo i simboli religiosi che hanno l’anatema.
24. Quali sono le conseguenze di tutto ciò sull’educazione?
25. Consideriamo la seguente storia di Marco e Leonardo, due amici che stanno cominciando la scuola. Leonardo va a trovare Marco a casa sua. Entra, e nota un crocefisso: «Che cos’è?», gli chiede. «Un crocefisso - perché, non ne avete uno? Ogni casa dovrebbe averne uno». Leonardo ritorna a casa agitato. La sua mamma, con pazienza, gli spiega: «Loro sono cattolici praticanti. Noi no. Noi seguiamo le nostre convinzioni». Ora immaginiamo una visita di Marco a Leonardo. «Caspita!», esclama «nessun crocefisso? Un muro vuoto?» «Noi non crediamo in queste assurdità», gli dice il suo amico. Marco ritorna a casa agitato. «Sì, noi abbiamo le nostre convinzioni». Il giorno dopo entrambi i bambini vanno a scuola. Immaginiamo la scuola con un crocefisso. Leonardo ritorna a casa agitato: «La scuola è come la casa di Marco. Sei sicura, mamma, che vada bene non avere un crocefisso?». Questo è il nocciolo della domanda di Lautsi. Ma immaginiamoci, anche, che in questo primo giorno di scuola i muri siano vuoti. Marco tornerebbe a casa agitato. «La scuola è come la casa di Leonardo», griderebbe «Vedi, te l’avevo detto che non ne abbiamo bisogno».
26. Ancora più allarmante sarebbe una situazione in cui i crocefissi, che stavano sempre là sul muro, di colpo venissero rimossi.
27. Non fate quest’errore. Un muro denudato per mandato statale, come in Francia, può suggerire agli alunni che lo Stato sta prendendo un atteggiamento anti religioso. Noi abbiamo fiducia nei programmi scolastici della Repubblica francese, che insegnino ai propri figli la tolleranza e il pluralismo, ed allontani una tale nozione. C’è sempre un’interazione tra quello che c’è sul muro, e come esso è discusso e insegnato in classe. Allo stesso modo, un crocefisso sul muro potrebbe essere percepito come coercitivo. Ancora, dipende dal programma svolto in classe di contestualizzare e insegnare al bambino nella classe Italiana la tolleranza e il pluralismo. Potrebbero anche esserci altre soluzioni, come mostrare simboli di più religioni, o trovare altri modi educativi appropriati per veicolare il messaggio del pluralismo.
28. È chiaro che date le diversità dell’Europa su questo punto non ci può essere una soluzione che sia calzante per ogni Paese Membro, per ogni classe e per ogni situazione. C’è bisogno di tenere conto della realtà politica e sociale dei diversi luoghi, della sua demografia, della sua storia e della sensibilità e della suscettibilità dei genitori. Però, la Francia con il crocefisso sul muro non è più Francia. L'Italia, senza, non è più l'Italia. Così l'Inghilterra senza God Save the Queen.
29. Ci possono essere delle circostanze particolari in cui la soluzione adottata dallo Stato potrebbe essere considerata coercitiva e ostile, ma l’onere della prova resta comunque in capo all’individuo, e il livello richiesto per la prova deve essere estremamente alto, prima che questa Corte decida di intervenire in nome della Convenzione nelle scelte educative fatte da uno Stato. Una regola per tutti, come ha deciso la Seconda Camera, priva di un contesto storico, politico, demografico e culturale non è solamente sconsigliabile, ma mina il pluralismo, la diversità e la tolleranza più autentici che la Convenzione intende salvaguardare, e che sono il marchio dell’Europa.
INTERVENTO ORALE DEL PROFESSOR JHH WEILER IN RAPPRESENTANZA DI ARMENIA, BULGARIA, CIPRO, GRECIA, LITUANIA, MALTA, DELLA FEDERAZIONE RUSSA E DI SAN MARINO – STATI CHE INTERVENGONO COME TERZE PARTI NEL CASO LAUTSI INNANZI ALLA GRANDE CAMERA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
30 GIUGNO 2010
Avvenire.it, 1 Luglio 2010 - Sereni davanti alla croce - Laica cultura e inimmaginabile fantasia di Dio
Un ebreo in tribunale per difendere il crocifisso. La storia, che Dio guida con fantasia per noi inimmaginabile, doveva riservarci anche questo. Aveva la kippah in testa, il tradizionale copricapo ebraico, Joseph Weiler, l’autorevole giurista della New York University, il difensore del crocifisso. O meglio il difensore della storia e della autentica laicità. Perché l’avvocato che ha rappresentato il ricorso di otto Stati su dieci alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, volto a difendere il diritto di esporre il crocifisso in luoghi pubblici nel nostro Paese non ha usato argomenti religiosi. Non ha poggiato le sue argomentazioni sulla sua o sull’altrui fede. No, ha parlato di storia, di diritto dei popoli opposto alle sentenze di una Corte Centrale. Una requisitoria "laica" per difendere il nostro più caro simbolo religioso. Perché il cristianesimo è una cosa del genere. Non chiede nessun diritto speciale per esistere. Gesù Cristo non ha chiesto nessun diritto speciale. E, analogamente, anche il segno della sua presenza non chiede diritti speciali. Ma d’esser trattato con argomenti laici, validi per tutti.
Per tutti i simboli (come ha sostenuto Weiler) e per tutti i popoli. L’ebreo che ha difeso il crocifisso, infatti, non ha invocato argomenti particolari. Ha difeso il diritto di un popolo a esprimere la propria storia con i propri simboli, senza cedere al ricatto di qualcuno che in nome di logiche assolutiste e irrispettose della storia vuole far sparire quei simboli.
Anche solo il fatto che l’esponente autorevole, e culturalmente ferrato, di una religione diversa dal cristianesimo abbia difeso il crocifisso basterebbe a smascherare tutte le fumose, faziose e in fondo banali motivazioni di chi non vuole più il crocifisso tra i piedi perché se ne sente "offeso". Weiler, che come ogni ebreo raffinato non ha rinunciato a ricorrere a paradossi e a ironie, ha fondato la sua difesa su una idea più storica, leale e aperta di laicità. Contro ogni riduzione "fobica" della laicità ad avversione contro ciò che è religioso (e più precisamente cristiano).
Non sappiamo se l’arringa del professor avvocato Weiler, uno tra i giuristi più stimati al mondo e uomo di vasta attenzione all’arte e anche alla poesia, avrà successo. Non sappiamo se i giudici della Corte Europea sapranno cogliere il valore delle sue argomentazioni. Non sappiamo se ci "obbligheranno" a togliere i crocifissi dai luoghi pubblici, dando vita a un fenomeno di "smontaggio" dei simboli storici e costitutivi di un popolo da cui poi sarà difficile salvarne anche uno solo (perché via il crocifisso se urta, e non la bandiera, o le parole dell’inno, o le facciate dipinte, i monumenti ?).
Ci aveva avvisati il poeta Eliot: se minate il fondamento di una cultura e di una storia, pensate che poi possano resistere a lungo i suoi frutti? Dall’avversità al cristianesimo potrebbero essere travolti i frutti di civiltà di cui tutti godono senza magari neanche saperne l’origine. Non sappiamo cosa succederà. Forse dovremo tornare a rigare un crocifisso sui muri di nascosto, vicino ai luoghi di preghiera o di sofferenza. La fede non teme la scomparsa dei crocifissi dai luoghi pubblici, perché tale scomparsa non è una sconfitta della fede, ma della storia e della laicità. Però sappiamo una cosa: come dicono i nostri fratelli in umanità di fede musulmana, Dio è davvero grande se oggi un ebreo ha autorevolmente e appassionatamente difeso il Crocifisso. E questo per noi che abbiamo una fede semplice, laica, per noi che abbiamo un cuore lieto e in allerta è già una vittoria. Ne ringraziamo Dio, e il professor Weiler. Se non dà troppo fastidio a certi opinion leader ci permettiamo di chiamarlo "miracolo".
Davide Rondoni
Esami in gravidanza, una routine da far paura - di Carlo Bellieni – Avvenire, 1 luglio 2010
Al congresso della Società europea di riproduzione umana ed embriologia (Eshre), in corso a Roma, alcuni ricercatori olandesi preannunciano di poter fornire un kit per individuare nel sangue della madre le cellule del feto, analizzarne i cromosomi e fornire in questo modo un’alternativa non invasiva all’amniocentesi, con tutti i rischi che questa comporta per la vita del feto. Certamente se si tratta di evitare conseguenze luttuose, nulla in contrario; ma allora perché ci sentiamo inquieti? Per un motivo ben fondato: non tanto perché pensiamo che la strada all’aborto risulti più lineare, ma perché di pari passo non vediamo un’altrettanto fervente attività nel senso della prevenzione e della cura di queste malattie. Non si fa ricerca per curare la sindrome Down, non si offrono alternative economiche e sociali credibili all’aborto; non si insegna il valore delle persone disabili, che anzi vivono sentendosi guardate come sopravvissuti, con la costante domanda alle mamme: «Ma non lo sapeva prima che nascesse?», sottolineando che la nascita di un disabile è una vera anomalia.
L’unica preoccupazione nella cultura occidentale è far sparire le evenienze non volute, siano esse feti malati o anziani. Finora altri ricercatori sono riusciti a identificare nel sangue materno il sesso del feto che, se maschio, potrebbe aver ereditato una disfunzione legata al cromosoma X come la distrofia muscolare di Duchenne o l’emofilia, e sono riusciti a creare dei kit a questo scopo utilizzabili proprio all’inizio della gestazione: oltre a domandarci se sia più corretto eliminare i feti malati o incrementare le ricerche per le cure, ci sembra inevitabile pensare che vi sarà chi richiederà questo kit anche per l’eliminazione dei feti solo perché femmine.
Della diagnosi prenatale genetica ci spaventa soprattutto che diventi routine, cosa che oggi in pratica già avviene, in particolare attraverso la diagnosi genetica probabilistica fatta col triplo-test e la valutazione ecografica dei tratti legati alla sindrome Down: la fanno in pratica tutte le donne, anche quelle che spiegano di non voler assolutamente abortire. Non pensiamo certo a voler vietare alcuna tecnica, ma vorremmo rendere le dionne più informate, cosa che da studi scientifici appare essere deficitaria.
L’accesso routinario alla conta dei geni del figlio ci preoccupa: entrare senza il suo permesso nel suo patrimonio genetico non sempre va nel suo interesse, perché può sfociare in aborto, talora anche per malattie non gravi; o perché può svelare malattie ad esordio in età adulta che forse non indurranno all’aborto ma che, una volta rese note, peseranno sulla psiche del soggetto che le conoscerà suo malgrado, e magari sull’accesso ad assicurazioni sulla vita o all’assunzione al lavoro.
La diagnosi genetica non deve essere routine, ma deve essere una scelta assolutamente libera e informata: quando la fa la totalità della popolazione, questo viene messo in forte discussione, e preoccupa ulteriormente perché non sempre esistono protocolli che integrino un percorso multi specialistico cui indirizzare la donna dopo la diagnosi di un’anomalia. Determinerà un maggiore accesso all’aborto questa nuova tecnica diagnostica? Lo vedremo. Sicuramente non attenuerà un clima di ricerca intensiva dell’anomalia genetica e di scarsità di ricerca delle possibili cure di queste patologie, entrambe non dovute a cattiva volontà degli operatori, ma a un clima sociale di cui tutti siamo sia vittime che colpevoli.
Viva la libertà di scegliere. Solo la morte? - Michele Aramini - punti fermi – La decisione tedesca chiarisce i gravissimi problemi aperti da una ricostruzione della volontà desunta da dichiarazioni orali E sottolinea il paradosso della volontà personale «buona» solo se orientata alla fine - Avvenire, 1 luglio 2010
La settimana scorsa – come si documenta in questa stessa pagina – la Corte federale di giustizia della Germania ha ribaltato una condanna precedente a nove mesi e ha assolto l’ avvocato Wolfgang Putz, esperto in diritto sanitario, per aver consigliato a una sua assistita di interrompere l’alimentazione alla madre in stato vegetativo. Il fatto risale al 2007, quando i due figli della signora Erika Kuellmer, in stato vegetativo dal 2002 a causa di una emorragia cerebrale, con il consiglio professionale dell’avvocato Putz, tagliarono il sondino che alimentava la madre. Il personale sanitario si accorse del gesto e ripristinò l’alimentazione dopo qualche ora, ma la signora morì alcuni giorni dopo, secondo l’autopsia, per cause naturali. Dato che la morte della donna non risultò conseguenza del taglio del sondino la figlia non fu ritenuta responsabile (nel frattempo l’altro figlio si era suicidato), mentre l’avvocato Putz ebbe la condanna a nove mesi per il consiglio legale fornito.
Intanto nel settembre 2009 è entrata in vigore nell’ordinamento tedesco la modifica della legge che regolamenta l’amministratore di sostegno. Le nuove norme hanno introdotto l’istituto del testamento biologico scritto vincolante, ma ammettono anche la possibilità di risalire alla volontà non espressa per iscritto di una persona, nel caso in cui esistano indizi concreti. Sulla base di queste nuove norme, la Corte ha deciso che il consiglio dell’avvocato Putz non costituisse reato, in quanto tendeva a realizzare le volontà espresse chiaramente dalla signora Kuellmer nel 2002, ancor prima di ammalarsi. Nel fatto non si doveva ravvisare una condotta eutanasica, ma il ripristino del naturale corso degli eventi.