lunedì 26 luglio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Regina Pacis Di Medjugorje - Messaggio 25 Luglio 2010 - (Marija) "Cari figli, vi invito di nuovo a seguirmi con gioia. Desidero guidarvi tutti a mio Figlio e vostro Salvatore. Non siete coscienti che senza di Lui non avete gioia e pace e neanche futuro e vita eterna. Perciò figlioli, approfittate di questo tempo di preghiera gioiosa e abbandono. Grazie per aver risposto alla mia chiamata."
2) BENEDETTO XVI: “CHI PREGA NON È MAI SOLO” - Discorso alla preghiera dell'Angelus da Castel Gandolfo
3) NON SI PLACA LA DISPUTA SULL’ABORTO - Attività legislativa intensa a livello statale in USA - di padre John Flynn, LC
4) Cina. Sette nuovi vescovi non fanno primavera - Sono stati ordinati e insediati con la doppia approvazione della Chiesa di Roma e delle autorità comuniste. Ottimismo in Vaticano. Ma anche cautela. Per i cattolici cinesi la libertà religiosa continua a essere un sogno proibito - di Sandro Magister
5) Notti brave: ognuno si prenda le proprie responsabilità - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 25 luglio 2010 – chi condivide il giudizio può sottoscrivere l’apposito modulo al sito http://www.culturacattolica.it
6) Dopo l'inchiesta di Panorama sui preti gay - (da: Massimo Introvigne, Indagine sula pedofilia nella Chiesa, Fede & Cultura). – dal sito http://www.libertaepersona.org
7) Massimo Introvigne: Mons. Pozzo: La vera Chiesa - Che cosa ha detto il Concilio e che cosa gli fa dire l'"ideologia para-conciliare neomodernista" - Testo della conferenza di Mons. Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", fatta ai sacerdoti europei della Fraternità San Pietro il 2 luglio 2010 a Wigratzbad. La conferenza è molto importante per distinguere fra i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II interpretati secondo la Tradizione, come chiede Benedetto XVI,e quella che mons. Pozzo chiama "l’ideologia conciliare, o più esattamente para-conciliare, che si è impadronita del Concilio fin dal principio, sovrapponendosi a esso" "diffusa soprattutto dai gruppi intellettualistici cattolici neomodernisti e dai centri massmediatici del potere mondano secolaristico".


BENEDETTO XVI: “CHI PREGA NON È MAI SOLO” - Discorso alla preghiera dell'Angelus da Castel Gandolfo
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 luglio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica da Benedetto XVI ad introduzione della preghiera mariana dell'Angelus recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti nel cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù raccolto in preghiera, un po’ appartato dai suoi discepoli. Quando ebbe finito, uno di loro gli disse: "Signore, insegnaci a pregare" (Lc 11,1). Gesù non fece obiezioni, non parlò di formule strane o esoteriche, ma con molta semplicità disse: "Quando pregate, dite: «Padre…»", e insegnò il Padre Nostro (cfr Lc 11,2-4), traendolo dalla sua stessa preghiera, con cui si rivolgeva a Dio, suo Padre. San Luca ci tramanda il Padre Nostro in una forma più breve rispetto a quella del Vangelo di san Matteo, che è entrata nell’uso comune. Siamo di fronte alle prime parole della Sacra Scrittura che apprendiamo fin da bambini. Esse si imprimono nella memoria, plasmano la nostra vita, ci accompagnano fino all’ultimo respiro. Esse svelano che "noi non siamo già in modo compiuto figli di Dio, ma dobbiamo diventarlo ed esserlo sempre di più mediante una nostra sempre più profonda comunione con Gesù. Essere figli diventa l’equivalente di seguire Cristo" (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano 2007, p. 168).
Questa preghiera accoglie ed esprime anche le umane necessità materiali e spirituali: "Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati" (Lc 11,3-4). E proprio a causa dei bisogni e delle difficoltà di ogni giorno, Gesù esorta con forza: "Io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto" (Lc 11,9-10). Non è un domandare per soddisfare le proprie voglie, quanto piuttosto per tenere desta l’amicizia con Dio, il quale – dice sempre il Vangelo – "darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!" (Lc 11,13). Lo hanno sperimentato gli antichi "padri del deserto" e i contemplativi di tutti i tempi, divenuti, a motivo della preghiera, amici di Dio, come Abramo, che implorò il Signore di risparmiare i pochi giusti dallo stermino della città di Sòdoma (cfr Gen 18,23-32). Santa Teresa d’Avila invitava le sue consorelle dicendo: "Dobbiamo supplicare Dio che ci liberi da ogni pericolo per sempre e ci tolga da ogni male. E per quanto imperfetto sia il nostro desiderio, sforziamoci di insistere in questa richiesta. Che ci costa chiedere molto, visto che ci rivolgiamo all’Onnipotente?» (Cammino, 60 (34), 4, in Opere complete, Milano 1998, p. 846). Ogniqualvolta recitiamo il Padre Nostro, la nostra voce s’intreccia con quella della Chiesa, perché chi prega non è mai solo. "Ogni fedele dovrà cercare e potrà trovare nella verità e ricchezza della preghiera cristiana, insegnata dalla Chiesa, la propria via, il proprio modo di preghiera… si lascerà quindi condurre… dallo Spirito Santo, il quale lo guida, attraverso Cristo, al Padre» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcuni aspetti della meditazione cristiana, 15 ottobre 1989, 29: AAS 82 [1990], 378).
Oggi ricorre la festa dell’apostolo san Giacomo detto "il Maggiore", che lasciò il padre e il lavoro di pescatore per seguire Gesù e per Lui diede la vita, primo tra gli Apostoli. Di cuore rivolgo uno speciale pensiero ai pellegrini accorsi numerosi a Santiago de Compostela! La Vergine Maria ci aiuti a riscoprire la bellezza e la profondità della preghiera cristiana.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Cari fratelli e sorelle, ho appreso con dolore della tragedia avvenuta a Duisburg in Germania, in cui sono rimasti vittime numerosi giovani. Raccomando al Signore nella preghiera i defunti, i feriti e i loro familiari.
Sono lieto di accogliere un qualificato gruppo di Suore Figlie di Maria Ausiliatrice, provenienti da Africa, America del Sud, Asia ed Europa, ed auguro ogni bene per il loro incontro. Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani che prendono parte ad un’iniziativa vocazionale dei Missionari e delle Suore del Preziosissimo Sangue, i piccoli ministranti di Conselve, gli sbandieratori di San Marino e il Pellegrinaggio della Speranza della gioventù Carmelitana e saluto la Corale Laurentiana di Tor San Lorenzo. Un pensiero riconoscente rivolgo ai membri del Sesto Reparto Manutenzione Elicotteri dell’Aeronautica Militare, venuti con alcuni familiari. Ricordo, infine, che oggi ricorre a Castel Gandolfo la "Sagra delle Pesche". Rendiamo grazie a Dio per i frutti della terra e del lavoro umano! Tanti auguri all’Amministrazione e alla cittadinanza, e a tutti buona domenica!
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


NON SI PLACA LA DISPUTA SULL’ABORTO - Attività legislativa intensa a livello statale in USA - di padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 25 luglio 2010 (ZENIT.org).- Il tema dell’aborto è tornato alla ribalta tra le notizie dei giorni scorsi. Elena Kagan, nominata alla Corte suprema degli Stati Uniti, è stata criticata durante le sue recenti audizioni nel Senato USA per il suo sostegno all’aborto e in particolare per la sua opposizione ai disegni di legge diretti a vietare l’aborto a nascita parziale (“partial-birth abortion”) mentre era membro dell’Amministrazione Clinton.

Intanto, gli effetti della legge sulla sanità, approvata dal Congresso, continuano ad alimentare polemiche. L’organizzazione National Right to Life ha lanciato l’allarme sugli aborti che vengono pagati dai programmi sanitari statali, a loro volta finanziati dallo Stato federale. Il programma del New Mexico copriva anche l’aborto, che poi è stato depennato in seguito a un’inchiesta svolta da Associated Press, secondo quanto riferito dalla stessa agenzia il 14 luglio. Nel servizio si spiega che la legge federale vieta il finanziamento pubblico dell’aborto, salvo in casi di stupro, incesto, o di pericolo di vita della madre.

L’aspro dibattito sulla legge sanitaria, svoltosi nel Congresso lo scorso anno si è concluso solo quando i democratici hanno raggiunto i voti necessari per approvare il provvedimento, grazie alla promessa del presidente Obama di firmare un ordine esecutivo diretto ad imporre restrizioni alle sovvenzioni federali dell’aborto.

Successivamente il Dipartimento della salute e dei servizi umani ha annunciato l’esclusione dell’aborto da tali programmi. Il cardinale Daniel DiNardo di Galveston-Houston, presidente della commissione sulle attività pro-vita della Conferenza episcopale USA, ha accolto favorevolmente il comunicato per aver evitato un “grave precedente” e ha auspicato l’emanazione di norme che escludano definitivamente l’aborto da ogni programma pubblico, secondo il comunicato stampa della Conferenza episcopale USA del 15 luglio.

Queste notizie sono giunte in seguito alle proteste contro l’intenzione dell’Amministrazione Obama di consentire l’aborto negli ospedali militari. Il cardinale Daniel DiNardo ha scritto alla Commissione del Senato che aveva all’esame la questione, invitando i senatori a rigettare una proposta che avrebbe contrastato con politiche federali e militari di lunga data in tema di aborto, secondo un comunicato della Conferenza episcopale del 29 giugno.

Il cardinale DiNardo ha detto che l’attuale politica militare è in linea con quella federale: “Anche altre strutture sanitarie federali non possono essere usate per l’aborto volontario e molti Stati hanno leggi proprie che vietano l’uso di strutture pubbliche per questi aborti”.

Restrizioni alle cliniche

La controversia sull’aborto non è meno intensa a livello statale. Nel Missouri, il governatore Jay Nixon ha promulgato una legge che impone alle cliniche di offrire ecografie, anche sonore, dei feti, prima di operare un aborto, secondo l’Associated Press del 14 luglio.

La legge del Missouri già prescrive l’informazione alle donne sui rischi fisici e psicologici dell’aborto, almeno 24 ore prima dell’operazione. Le ulteriori prescrizioni che sono state approvate prevedono la consultazione di persona e non via telefono e che le donne ricevano una descrizione delle “caratteristiche anatomiche e fisiologiche del feto”, oltre a dover assicurare un’ecografia.

Nel 2008, sono stati effettuati circa 7.400 aborti nel Missouri, secondo le fonti citate da Associated Press.

Anche in Nebraska sono entrate in vigore recentemente nuove leggi sull’aborto, secondo quanto riferito dal quotidiano Washington Times del 13 luglio. La nuova legge sulla tutela della salute delle donne prevede che, a partire dal 15 luglio, le donne che chiedono di abortire siano esaminate dal punto di vista della salute mentale e che sia chiesto loro se abbiano ricevuto pressioni ad abortire. La legge dà inoltre alle donne il diritto di denunciare chi ha praticato loro l’aborto, nel caso sviluppassero in seguito problemi mentali o fisici.

Un’altra legge vieta l’aborto successivo alla 20° settimana di gravidanza, salvo il caso del rischio di morte della madre.

All’ultimo minuto, la prima legge è stata bloccata da un giudice federale, secondo l’Associated Press del 14 luglio. Il giudice distrettuale Laurie Smith Camp ha acconsentito alla richiesta di Planned Parenthood per un’ingiunzione preliminare, motivata dal fatto che ciò avrebbe potuto rendere impossibile ottenere un aborto in quello Stato.

Ma questo tipo di legislazione statale è sempre più diffusa, secondo il New York Times del 3 giugno. Solo quest’anno, 11 Stati hanno approvato leggi che regolamentano l’aborto. L’articolo ha citato dati di un’organizzazione pro-aborto, il Guttmacher Institute, secondo i quali, nella prima metà del 2010 sono stati presentati circa 370 disegni di legge in tema di aborto. Invece, in ciascuno dei cinque anni precedenti, i disegni di legge in materia sono stati circa 350. Almeno 24 dei disegni di legge presentati quest’anno sono già stati approvati.

“Il novanta percento della legislazione pro-vita è di livello statale”, ha riferito al New York Times Daniel S. McConchie, vice presidente per le relazioni istituzionali di Americans United for Life.

Canada

Subito a nord, in Canada, si è vista un’analoga attenzione sull’aborto. Qualche mese fa si è discusso se lo Stato debba finanziare l’aborto nell’ambito dell’aiuto destinato ai Paesi in via di sviluppo. Le autorità federali hanno deciso di non finanziare l’aborto. Mentre si discuteva della questione, Margaret Somerville, direttrice del Center for Medicine, Ethics and Law, presso la McGill University, ha pubblicato un articolo d’opinione sul quotidiano Ottawa Citizen del 30 aprile, in cui ha auspicato una decisione etica a difesa della vita umana, nel senso di non finanziare l’aborto.

Inoltre ha sottolineato che anche il cosiddetto “aborto sicuro” comporta rischi e danni per le donne.

Poco dopo, l’Arcivescovo di Quebec, il cardinale Marc Ouellet, ha riaperto la questione dell’aborto chiedendo un riesame della normativa, secondo quanto riferito da CBC news il 26 maggio. Il cardinale Ouellet, successivamente nominato dal Papa alla guida della Congregazione per i vescovi, ha condannato l’aborto come un crimine morale.

La sua dichiarazione è stata duramente criticata, ma egli ha detto che non giudica le donne sul piano individuale, ma che chiede al Governo di contribuire a ridurre il numero degli aborti.

“Il dibattito sull’aborto è aperto”, ha detto. “E noi non dobbiamo temere”, secondo la CBC.

Dall’altra parte dell’Atlantico, in Spagna, è entrata in vigore una nuova legge che consente di abortire senza alcuna restrizione, entro le prime 14 settimane di gravidanza, secondo l’Associated Press del 5 luglio. La legge è stata approvata dal Parlamento spagnolo, a maggioranza socialista, qualche mese fa. Essa inoltre consente alle sedicenni e diciassettenni di poter abortire senza il consenso dei genitori, sebbene questi debbano essere informati del fatto.

Il Partito popolare all’opposizione ha fatto ricorso alla Corte costituzionale contro la legge, e il 14 luglio questa ha deciso di non sospendere l’efficacia della legge durante il procedimento giudiziario, secondo l’Associated Press del 15 luglio.

Dolore

L’aborto è stato al centro del dibattito anche in Inghilterra, dove un rapporto sostiene che il feto umano non può sentire dolore prima della 24° settimana, secondo il quotidiano Times del 25 giugno.

Lo studio, svolto dal Royal College of Obstetricians and Gynecologists, è stato interpretato come una risposta al tentativo degli antiabortisti di ridurre la soglia temporale dell’aborto dalla 24° alla 20° settimana di gravidanza.

Christina Odone, commentando la notizia sul quotidiano Telegraph del 25 giugno ha detto: “il messaggio implicito è che il dolore dovrebbe essere il nostro criterio morale”. Ma accettare una tale impostazione significherebbe cambiare radicalmente il nostro sistema etico, secondo la Odone. In una tale prospettiva, giusto e sbagliato diventano concetti meramente relativi, misurati sul grado di dolore.

In questo senso, “comportamenti che non comportano dolore, come il portare avanti una relazione extraconiugale, diventano accettabili, così come quello di somministrare un’iniezione letale a un paziente in coma o anziano: Né il tradimento nascosto, né la morte prematura avrebbero rilevanza in quanto nessuno si sente ferito”, ha osservato. Una considerazione molto pertinente, che riporta l’attenzione sulla fondamentale necessità di difendere la vita umana. Una volta che quel principio è abbandonato, le conseguenze diventano enormi.


IL PRINCIPIO DI AUTONOMIA E L'INIZIO DELL'EUTANASIA

di mons. Elio Sgreccia*

ROMA, domenica, 25 luglio 2010 (ZENIT.org).- Abbiamo ancora una volta, questa volta in Germania, l'apertura del varco verso l'eutanasia: è chiamata passiva, ma nella realtà è omissiva, perché prevede la cessazione di terapie o cure mediche valide e ancora efficaci, ritenute finora doverose anche dai codici deontologici europei e internazionali
La Corte Suprema tedesca ha basato questa decisione sulla volontà del paziente, espressa in vita, e i giornali non hanno mancato di sottolineare questa volontà del paziente, la sua autonomia. Intanto, non sembra comprovato neppure questo fatto, ma si capisce che sarà portata avanti questa base giuridica. Ma tiene?
Noi sappiamo che ogni azione libera e responsabile deve nascere da una decisione del soggetto; tutte le azioni moralmente rilevanti nascono da questa fonte, ma l'azione che decide di togliere la vita non può essere moralmente giustificata, perché è soppressiva della stessa fonte dell'autonomia.
Della vita, inoltre, non abbiamo il dominio, quello che chiamiamo la disponibilità. La vita non ci appartiene e non dipende da una nostra scelta: questo vale per tutti, laici e credenti. Prendere e distruggere un bene come la vita che non mi appartiene, non si può chiamare autonomia, è uccisione e soppressione colpevole.
Chi pretende di esaltare l'autonomia con una deliberazione di morte compie un assurdo ed un atto d'indebito arbitrio. E' proprio grazie alla vita, che possiamo essere autonomi nelle scelte, si spera, responsabili.
La storia dell'intronizzazione di questo principio, pseudo-principio, è lunga e comincia secondo gli studiosi più accreditati (Vedi Ch. Taylor, L'età secolare, Feltrinelli 2009) dal 1500 con il processo di secolarizzazione, quando si cominciò a togliere in un primo tempo il carattere sacro della autorità politica (laicizzazione del potere).
A questa prima fase di riappropriazione del potere politico da parte dell'uomo-principe e poi dalla borghesia, che ebbe il suo vertice nella Rivoluzione Francese, si operò la esclusione di Dio nella vita sociale che cessò di essere organizzata religiosamente nelle attività lavorative, nel divertimento, nella cultura di tutti i livelli, finché si giunge al 3º livello in cui cambia il centro di riferimento, di legittimazione: per molto tempo era stato Dio; ora è l'Io.
La intronizzazione dell' “Io legislatore” si è compiuta gradualmente ed è giunta a pretendere l'autonomia assoluta: quell'autonomia che riconosce soltanto l'Io stesso come creatore della verità, della legge morale e pretende l'autodeterminazione non soltanto degli atti morali, ma anche sulla vita stessa. E' il culmine della secolarizzazione, è il nostro periodo. Questo Io è nihilista, perché non intende riconoscere nulla che sia fuori del proprio Io di modo che valga anche per gli altri; è un Io solitario e asociale nella radice stessa delle decisioni.
Ma, se non esiste Dio, neppure l'Io ha più una radice di sicurezza e di verità, che dia spazio alla speranza e motivi interiormente una ragione di vivere.
Per questo nel Manifesto dell'Eutanasia del 1974 i firmatari, tra cui i Premi Nobel Monad e Pauling scrivevano:
“L'uomo sa finalmente di essere solo nell'immensità indifferente dell'Universo da cui è emerso per caso”. Da questa premessa concludevano:
“affermiamo che è immorale accettare o imporre la sofferenza. Crediamo nel valore e nella dignità dell'individuo; ciò implica che lo si lasci libero di decidere ragionevolmente della sua sorte... Non può esserci eutanasia umanitaria all'infuori di quella rapida ed indolore ed è considerata come un beneficio dell'interessato. E' crudele e barbaro esigere che una persona venga mantenuta in vita contro il suo volere e che le si rifiuti l'auspicata liberazione, quando la sua vita ha perduto qualsiasi bellezza, significato, di avvenire. La sofferenza inutile è un male che dovrebbe essere eliminato nelle società civilizzate” (The Humanist, luglio 1974).
Sappiamo che non è né umano né cristiano imporre trattamenti e sofferenze inefficaci, (il c.d. accanimento terapeutico) ma sappiamo che la persona non può chiedere la morte anticipata soltanto perché nella solitudine chiusa non ne comprende più il significato.
In questi casi l'aiuto è nel restituire significato alla vita e nel dare solidarietà per rompere la solitudine e nel presentare una ulteriorità trascendente.
L'avvocato che ha consigliato alla figlia di interrompere la erogazione delle cure di sostegno alla madre, senza che questa l'avesse chiesto per giunta, almeno in quel momento, ed è stato assolto dal reato di istigazione al delitto, ha provocato la morte, insieme alla figlia, a quella anziana madre e nel momento in cui è stato assolto ha provocato una ferita mortale alla inviolabilità della vita da parte della Corte di giustizia e nella coscienza di un intero popolo.
Per la nostra “pastorale della vita” si impone urgentemente una presentazione luminosa sia della Creazione, dell'Amore del Creatore, e poi su Gesù Cristo Morto, Risorto che ha vinto la sofferenza e il dolore e ci viene suggerito impegnarci per la presentazione della Vita eterna, la possibilità di vera e piena realizzazione per ciascuno della felicità.
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*Mons. Elio Sgreccia è Presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita.


Cina. Sette nuovi vescovi non fanno primavera - Sono stati ordinati e insediati con la doppia approvazione della Chiesa di Roma e delle autorità comuniste. Ottimismo in Vaticano. Ma anche cautela. Per i cattolici cinesi la libertà religiosa continua a essere un sogno proibito - di Sandro Magister
ROMA, 26 luglio 2010 – Per due volte nel giro di pochi giorni "L'Osservatore Romano" ha dato ampia notizia di due nuove consacrazioni episcopali avvenute in Cina, la prima il 10 luglio e la seconda il 15 luglio.

I testi dell'una e dell'altra notizia, per la loro delicatezza sotto il profilo diplomatico, non sono stati compilati in redazione ma direttamente negli uffici della segreteria di Stato vaticana.

Entrambi, infatti, registrano una svolta nella sequenza delle ordinazioni episcopali in quel paese.

Negli ultimi anni le ordinazioni episcopali in Cina hanno avuto un andamento oscillante, tra aperture e irrigidimenti del governo comunista. Nel 2005 tutti i nuovi vescovi furono ordinati con l'approvazione sia del papa che delle autorità cinesi. Nel 2006, invece, in reazione alla nomina a cardinale del vescovo di Hong Kong Giuseppe Zen Zekiun – nomina giudicata ostile da Pechino – il governo cinese riprese a ordinare vescovi privi del mandato del papa. Nel 2007, l'anno della lettera di Benedetto XVI ai cattolici della Cina, di nuovo i vescovi furono consacrati con l'approvazione di Roma. Anche il nuovo presule di Pechino fu insediato col consenso del papa.

Ma dal dicembre del 2007 tutto si bloccò. Per oltre due anni non ci fu più nessuna nuova ordinazione, nonostante sia molto elevato in Cina il numero delle diocesi vacanti o guidate da vescovi molto vecchi.

Il blocco si è interrotto il 18 aprile di quest'anno, quando a Hohhot, nella Mongolia Interna, fu consacrato vescovo il sacerdote Paolo Meng Quinglu, 47 anni.

Da allora le nuove ordinazioni sono ricominciate a buon ritmo. E sempre con l'approvazione sia di Roma che delle autorità cinesi.

Il 21 aprile fu ordinato vescovo di Haimen, nella provincia del Jiangsu, Giuseppe Shen Bin, 40 anni.

L'8 maggio fu ordinato vescovo di Xiamen, nella provincia del Fujian, Giuseppe Cai Bingrui, 44 anni.

Il 24 giugno fu ordinato vescovo di Sanyuan, nella provincia di Shaanxi, Giuseppe Han Yingjin. 52 anni.

Inoltre, l'8 aprile, un altro vescovo ordinato nel 2004 con il solo mandato della Santa Sede, Mattias Du Jiang, fu insediato a capo della diocesi di Bameng, nella Mongolia interna, con il riconoscimento ufficiale delle autorità.

Delle quattro nomine e dell'insediamento ufficiale ora elencati il Vaticano non diede notizia pubblica. Preferì aspettare gli sviluppi. Ma la novità non sfuggì agli osservatori. L'ultimo numero del mensile internazionale "30 Giorni", stampato a Roma e lettura d'obbligo sia dei diplomatici vaticani sia dalle autorità cinesi del ramo, ha dedicato un intero servizio proprio a questo "cambio di passo" nei rapporti tra la Santa Sede e Pechino. "30 Giorni" ha fatto notare, tra l'altro, che alla nomina dell'8 maggio ha preso parte, per la prima volta nella storia della Cina popolare, un vescovo di Taiwan, Giuseppe Cheng Tsai-fa.

Alle ulteriori due nomine episcopali avvenute in luglio, invece, la Santa Sede ha dato ampia pubblicità, dando prova di credere che il nuovo corso sia in fase di consolidamento.

In entrambi questi casi, le notizie pubblicate su "L'Osservatore Romano" hanno specificato non solo che i nuovi vescovi godono della doppia approvazione di Roma e Pechino, ma che tale era anche la condizione di tutti i vescovi che hanno partecipato alla loro consacrazione, elencati uno per uno.

Il vescovo ordinato il 10 luglio a Taizhou, nella provincia di Zhejiang, è Antonio Xu Jiwei, 75 anni. Dal 1960 al 1985 passò molto tempo in prigione e ai lavori forzati. In anni recenti ha trascorso periodi di studio in Corea del Sud e in Europa. La diocesi di cui ha assunto la guida era vacante da 48 anni.

Il vescovo ordinato il 15 luglio a Yan'an, nella provincia di Shaanxi, è Giovanni Battista Yang Xiaoting, 46 anni. È coadiutore con diritto di successione all'anziano e malato titolare della diocesi. Ha una preparazione culturale fuori dal comune. Dal 1993 al 1999 ha studiato a Roma, presso la Pontificia Università Urbaniana, conseguendo la licenza e il dottorato in teologia. Nel 2002 ha conseguito anche un master in sociologia della religione presso la Catholic University of America a Washington. Rientrato in Cina, ha fondato un centro per la formazione e la ricerca. È decano degli studi del seminario di Xi'an, dove continuerà a insegnare. Alla sua ordinazione episcopale hanno assistito più di 6 mila fedeli, con 110 preti e 80 suore.

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In Vaticano si guarda dunque con cauto ottimismo a questa infornata di nomine episcopali compiute con la doppia approvazione di Roma e di Pechino.

Naturalmente, i diplomatici vaticani sanno che nuovi irrigidimenti da parte della Cina sono sempre in agguato. Sanno, soprattutto, che una soluzione di questo tipo non è affatto quella ottimale, né per la Chiesa né per la libertà religiosa in generale. Oggi, nel mondo, è solo in Vietnam che l'obbligo del "placet" statale a ogni nuovo vescovo è subìto dalla Chiesa in obbedienza ad accordi scritti col regime. In Cina non c'è nessun accordo del genere, né lo si prevede tra breve, ma è proprio ciò che ora sta accadendo di fatto. Fermo restando che per i vescovi non riconosciuti dal governo la vita è grama, piena di arresti e vessazioni. Così come sottoposta a controlli asfissianti è anche l'attività dei vescovi riconosciuti ufficialmente, e delle rispettive diocesi.

Ma l'impressione prevalente, in Vaticano, è che tra le autorità cinesi prevalga oggi l'idea di archiviare la politica religiosa del passato, che obbligava i cattolici cinesi a rompere i rapporti con Roma e a iscriversi a una sorta di Chiesa "patriottica", con vescovi di sola nomina governativa.

A giudizio dei diplomatici vaticani, le ragioni che avrebbero indotto le autorità cinesi a questo cambio di linea sono di tipo pragmatico. Sono quelle che uno studioso influente, Ren Yanli, membro dell’accademia cinese delle scienze sociali e dell’istituto di ricerca sulle religioni mondiali, che segue da decenni le vicende della Chiesa cattolica cinese e i rapporti tra la Cina e Vaticano, ha illustrato all'inizio di quest'anno in un'intervista a "30 Giorni".

Dopo aver fatto notare che "i fedeli non daranno mai retta a pastori eletti e consacrati autonomamente, senza il consenso del papa", e che "gli ultimi vescovi nominati senza mandato pontificio restano isolati e nessuno vuole prendere la comunione dalle loro mani durante la messa", Ren Yanli ha così proseguito:

"Se il governo vuole che i vescovi siano pastori stimati e seguiti dai fedeli, e non siano visti come dei funzionari isolati e imposti dall’esterno, adesso ha capito che la nomina proveniente dal papa e la piena comunione con lui sono elementi indispensabili, di cui non si può fare a meno. Questo vuol dire che nei fatti viene accantonata l’idea di imporre alla Chiesa cinese un’indipendenza che sia separazione dal papa e dalla Chiesa universale. Il processo che conduce a una sempre più esplicita affermazione della comunione dei vescovi cinesi col papa – e di tutto ciò che questo comporta – è irreversibile. Su questa via non ci potrà essere una marcia indietro".

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Al cauto ottimismo dei diplomatici vaticani si contrappone però il giudizio più pessimistico di altri uomini di Chiesa che seguono da vicino l'evolversi della situazione cinese.

Uno di questi è il cardinale Zen, che è salesiano come il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato e quindi capo della diplomazia vaticana, ma si è trovato più volte in disaccordo con lui.

Le divergenze tra Bertone e Zen sono per molti aspetti le stesse che dividono due organi di stampa internazionali molto informati e impegnati sulla questione cinese: da un lato la rivista "30 Giorni", vicina alla diplomazia vaticana, dall'altro "Asia News", l'agenzia on line diretta da padre Bernardo Cervellera, del Pontificio Istituto Missioni Estere.

In una nota di "Asia News" del 23 luglio, diffusa anche in lingua cinese, padre Cervellera ha esposto le ragioni che indurrebbero a dubitare della reale volontà della Cina di aprire un futuro di libertà per i cattolici di quel paese.

Non solo i vescovi "clandestini", infatti, ma anche i vescovi che hanno la doppia approvazione di Roma e di Pechino non sono liberi di esercitare il loro ministero. I vescovi hanno infatti due autorità a cui obbedire, quella della Chiesa e quella dello Stato: uno Stato che però si arroga il potere di decidere in materie che sarebbero di esclusiva competenza della Chiesa. Le due obbedienze si rivelano quindi, molte volte, incompatibili per ragioni di fede. E chi rifiuta di iscriversi all'Associazione Patriottica, l'organismo del governo che ha il controllo sulla Chiesa, può pagar cara questa sua scelta.

Agli inizi di questo mese di luglio, il ministero degli affari religiosi ha radunato a Pechino decine di vescovi per quattro giorni di indottrinamento sulla politica religiosa del governo. Le autorità comuniste lavorano per portare un loro vescovo fantoccio, Ma Yinling, della diocesi di Kunming, uno dei pochissimi vescovi cinesi privi del riconoscimento del papa, alla presidenza dei due maggiori organismi di controllo sulla Chiesa, l'Associazione Patriottica e il Consiglio dei vescovi cinesi, un facsimile di conferenza episcopale, organismi entrambi vacanti dopo la morte dei due vescovi fantoccio che li avevano presieduti.

Tutto questo tiene alta la tensione tra le due componenti del cattolicesimo cinese: le comunità "sotterranee" e quelle ufficialmente riconosciute. La lettera scritta nel 2007 da Benedetto XVI ai cattolici della Cina per indicare loro come tornare uniti si scontra con la volontà delle autorità cinesi di tener vive e sfruttare a proprio vantaggio queste divisioni. E infatti la lettera papale è tuttora tabù in Cina, circola con difficoltà.

Così, mentre in Vaticano si studiano le ultime mosse diplomatiche e si calibra ogni parola, nelle comunità "sotterranee" cinesi molti lamentano di sentirsi "dimenticati" dalla Chiesa di Roma.

Di rado il Vaticano alza la voce per chiedere la liberazione dei cattolici cinesi in prigione. Di vescovi "sotterranei" scomparsi da anni ce ne sono due: Giacomo Su Zhimin, di Baoding, e Cosma Shi Enxiang, di Yixian.

Lo scorso 7 luglio Jia Zhiguo, vescovo "sotterraneo" di Zhengding, è stato liberato dopo quindici mesi di sequestro da parte della polizia. Il cardinale Ivan Dias, prefetto della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ha scritto a lui un messaggio di “bentornato nel servizio”.

Padre Cervellera commenta:

"Forse il cardinale Dias ha pensato che non era ancora tempo di inserire anche la parola 'prigionia' o 'isolamento' per far capire al mondo che quel vescovo non era tornato da una vacanza, ma da un periodo di abolizione dei suoi diritti".


Notti brave: ognuno si prenda le proprie responsabilità - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - domenica 25 luglio 2010 – chi condivide il giudizio può sottoscrivere l’apposito modulo al sito http://www.culturacattolica.it
Chiediamo a chi condivide il nostro giudizio di sottoscriverlo. Lo faremo arrivare ai giornali. Se volete potete diffonderlo anche voi.
Ci sarà – anzi, certo c’è – del vero nell’inchiesta di Panorama sulle «notti brave dei preti gay». E lasciamo tutta la responsabilità agli autori del servizio, come anche all’Editore, nel pubblicizzare questa sporcizia, questa nefandezza, questo disgustoso spettacolo (a volte pare che cresca il gusto “macabro” di comunicare il male, con un compiacimento che ha, forse, del patologico).
Ma c’è un disgusto – e un’ira – nei confronti di quei soggetti che vivono quelle situazioni. Non è in gioco la misericordia: questo è affare di Dio, e della coscienza di quei disgraziati.
È che non se ne può più di questi tipi che usano la Chiesa per nascondere le loro fragilità, che vivono di quel “carrierismo” denunciato da Benedetto XVI, senza alcuno scrupolo morale.
Non se ne può più di quel “marcio” che vive nella Chiesa e che la infanga, senza poi che chi lo compie ne paghi le conseguenze. Quelle le paghiamo noi, sacerdoti e laici, che cerchiamo di vivere la missione nei vari ambienti in cui operiamo. Quelli non vanno certo a scuola o nei luoghi di lavoro a difendere la Chiesa da quelle ferite e offese che l’hanno infangata. Noi sì!
Noi siamo fieri di quella Chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, e siamo stanchi di sopportare chi «rema contro», in un gioco al massacro che distrugge sempre più la speranza negli uomini (e nei giovani, in particolare. Ricordiamo il detto terribile di Gesù a proposito di chi «scandalizza uno di questi miei fratelli più piccoli»).
Siamo stanchi della derisione – provocata da quei comportamenti – che si ritorce non sui colpevoli, che comunque sono disprezzati (come gli «utili idioti») ma su coloro che sono fedeli.
Abbiamo già detto più volte che la soluzione sta nel riconoscere e dare spazio alle tante esperienze di Chiesa vera che mostrano ancora oggi il fascino del cristianesimo vissuto, e che sono presenti in tanta parte del nostro popolo italiano. La nostra appartenenza ecclesiale non è un affare privato, una questione insignificante: il Papa continuamente ci ricorda che è la ragione di una speranza che continuamente si rinnova.
Gesù diceva di «vincere il male col bene»: la vittoria su quello squallore umano (prima ancora che cristiano) sarà nel rifiorire di autentiche esperienze ecclesiali dove una carità vissuta nel quotidiano e una fede amica della ragione si uniranno per mostrare la convenienza vera del cristianesimo.
Non una formula ci salverà, - ci ha ricordato Giovanni Paolo II - ma una Presenza, e la certezza che essa ci infonde: «Io sono con voi!» Non si tratta, allora, di inventare un «nuovo programma». Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. Quello stesso Gesù che vive nella sua Chiesa, testimoniato dal grande magistero pontificio.
E chi non condivide questo magistero farebbe bene a togliersi di mezzo. E chi lo condivide e lo sostiene trovi il coraggio e la fierezza di comunicarlo.
Quanto a noi, condividiamo il giudizio del Vicariato di Roma, e chiediamo di ripartire da qui. Non lo scandalo costruisce, ma una novità di vita, qui e ora


Dopo l'inchiesta di Panorama sui preti gay - (da: Massimo Introvigne, Indagine sula pedofilia nella Chiesa, Fede & Cultura). – dal sito http://www.libertaepersona.org
"Una domanda sgradevole – perché il semplice porla sembra difensivo, e non consola le vittime – ma importante è se essere un prete cattolico sia una condizione che comporta un rischio di diventare pedofilo o di abusare sessualmente di minori – le due cose, come si è visto, non coincidono perché chi ha rapporti con una sedicenne non è un pedofilo – più elevato rispetto al resto della popolazione. Rispondere a questa domanda è fondamentale per scoprire le cause del fenomeno e quindi per prevenirlo. Secondo gli studi di Jenkins se si paragona la Chiesa Cattolica degli Stati Uniti alle principali denominazioni protestanti si scopre che la presenza di pedofili è più alta tra i pastori protestanti rispetto ai preti cattolici.

La questione è rilevante perché mostra che il problema non è il celibato: la maggior parte dei pastori protestanti è sposata. Nello stesso periodo in cui un centinaio di sacerdoti americani era condannato per abusi sessuali su minori, il numero professori di ginnastica e allenatori di squadre sportive giovanili – anche questi in grande maggioranza sposati – giudicato colpevole dello stesso reato dai tribunali statunitensi sfiorava i seimila. Gli esempi potrebbero continuare, non solo negli Stati Uniti. E soprattutto secondo i periodici rapporti del governo americano due terzi circa delle molestie sessuali su minori non vengono da estranei o da educatori – preti e pastori protestanti compresi – ma da familiari: patrigni, zii, cugini, fratelli e purtroppo anche genitori. Dati simili esistono per numerosi altri Paesi.

Per quanto sia poco politicamente corretto dirlo, c’è un dato che è assai più significativo: per oltre l’ottanta per cento i pedofili sono omosessuali, maschi che abusano di altri maschi. Circa il novanta per cento dei sacerdoti cattolici condannati per abusi sessuali su minori secondo Jenkins (e l’ottantasei per cento degli accusati secondo il John Jay College) è omosessuale. Se nella Chiesa Cattolica c’è stato effettivamente un problema, questo non è stato il celibato ma una certa tolleranza dell’omosessualità e di deviazioni dottrinali in tema di morale nei seminari, particolarmente negli anni 1970, quando è stata ordinata la grande maggioranza di sacerdoti poi condannati per gli abusi. È un problema che Benedetto XVI sta vigorosamente correggendo"
(da: Massimo Introvigne, Indagine sula pedofilia nella Chiesa, Fede & Cultura).


Massimo Introvigne: Mons. Pozzo: La vera Chiesa - Che cosa ha detto il Concilio e che cosa gli fa dire l'"ideologia para-conciliare neomodernista" - Testo della conferenza di Mons. Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", fatta ai sacerdoti europei della Fraternità San Pietro il 2 luglio 2010 a Wigratzbad. La conferenza è molto importante per distinguere fra i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II interpretati secondo la Tradizione, come chiede Benedetto XVI,e quella che mons. Pozzo chiama "l’ideologia conciliare, o più esattamente para-conciliare, che si è impadronita del Concilio fin dal principio, sovrapponendosi a esso" "diffusa soprattutto dai gruppi intellettualistici cattolici neomodernisti e dai centri massmediatici del potere mondano secolaristico".

Aspetti della ecclesiologia cattolica nella recezione del Concilio Vaticano II
Premessa
Se si considera la Costituzione Dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II, si rendono subito visibili la grandezza e l’ampiezza dell’approfondimento del mistero della Chiesa e del suo rinnovamento interiore, ad opera dei Padri conciliari.

Se però si legge o si ascolta molto di ciò che è stato detto da certi teologi, alcuni famosi, altri che inseguono una teologia dilettantistica, o da una diffusa pubblicistica cattolica post conciliare, non si può non essere assaliti da una profonda tristezza e non si possono non nutrire serie preoccupazioni. E’ davvero difficile concepire un contrasto maggiore di quello esistente tra i documenti ufficiali del Concilio Vaticano II, del Magistero pontificio posteriore, degli interventi della Congregazione per la Dottrina della Fede da un parte, e, dall’altra parte, le tante idee o le affermazioni ambigue, discutibili e spesso contrarie alla retta dottrina cattolica, che si sono moltiplicate negli ambienti cattolici e in genere nell’opinione pubblica.

Quando si parla del Concilio Vaticano II e della sua recezione, il punto chiave di riferimento ormai deve essere uno solo, quello che lo stesso Magistero pontificio ha formulato in modo chiarissimo e inequivocabile. Nel Discorso del 22 dicembre alla Curia Romana Papa Benedetto XVI si è così espresso: “Emerge la domanda: perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile ? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente, ma sempre più visibilmente, ha portato e porta frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare – aggiunge il Santo Padre –‘ermeneutica della discontinuità e della rottura’; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’ ‘ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del popolo di Dio in cammino” (cf. Benedetto XVI, Insegnamenti, vol. I, 2005, Ed. Vaticana, Città del Vaticano 2006, pp. 1023 sg.).

Evidentemente, se il Santo Padre parla di due interpretazioni o chiavi di lettura divergenti, una della discontinuità o rottura con la Tradizione cattolica, e una del rinnovamento nella continuità, ciò significa che la questione cruciale o il punto veramente determinante all’origine del travaglio, del disorientamento e della confusione che hanno caratterizzato e ancora caratterizzano in parte i nostri tempi non è il Concilio Vaticano II come tale, non è l’insegnamento oggettivo contenuto nei suoi Documenti, ma è l’interpretazione di tale insegnamento.

In questa esposizione mi propongo di sviluppare brevemente due aspetti particolari, allo scopo di mettere in luce i punti fermi per una interpretazione corretta della dottrina conciliare, a confronto con le deviazioni e gli equivoci provocati dall’ermeneutica della discontinuità:
I. L’unità e l’unicità della Chiesa cattolica.
II. La Chiesa cattolica e le religioni in rapporto alla salvezza.

Nella conclusione infine vorrei fare alcune considerazioni sulle cause dell’ermeneutica della discontinuità con la Tradizione, mettendo in risalto soprattutto la forma mentis che ne sta alla base.

I. L’unità e l’unicità della Chiesa cattolica.
1. Contro l’opinione, sostenuta da numerosi teologi, che il Vaticano II abbia introdotto cambiamenti radicali riguardo la comprensione della Chiesa, si deve constatare anzitutto che il Concilio rimane sul terreno della Tradizione per ciò che concerne la dottrina sulla Chiesa. Ciò tuttavia non esclude che il Concilio abbia prodotto nuovi orientamenti ed esplicitato alcuni determinati aspetti. La novità rispetto alle dichiarazioni precedenti il Concilio è già nel fatto che il rapporto della Chiesa cattolica verso le chiese ortodosse e le comunità evangeliche nate dalla Riforma luterana è trattato come tema a se stante e in modo formalmente positivo, mentre nell’Enciclica Mortalium animos di Pio XI (1928), ad esempio, lo scopo era quello di delimitare e distinguere nettamente la Chiesa cattolica dalle confessioni cristiane non cattoliche.

2. E tuttavia, in primo luogo, il Vaticano II insiste sulla posizione di unità e unicità della vera Chiesa, riferendosi alla Chiesa cattolica esistente: “E’ questa l’unica Chiesa di Cristo che nel simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica” (LG, 8). In secondo luogo, il Concilio risponde alla domanda su dove sia possibile trovare la vera Chiesa: “Questa Chiesa, costituita ed organizzata in questo mondo come società, sussiste nella Chiesa cattolica” (LG, 8). E per evitare ogni equivoco riguardo all’identificazione tra la vera Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica, si aggiunge che si tratta della Chiesa “governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui” (LG, 8). L’unica Chiesa di Cristo ha dunque nella Chiesa cattolica la sua realizzazione, la sua esistenza, la sua stabilità. Non c’è nessuna altra Chiesa di Cristo accanto alla Chiesa cattolica. Con ciò si afferma – almeno implicitamente - che la Chiesa di Gesù Cristo non è divisa in se stessa, neanche nella sua sostanza e che la sua unità indivisa non viene annullata dalle tante separazioni dei cristiani.

Tale dottrina sull’indivisibilità della Chiesa di Cristo, della sua identificazione sostanziale con la Chiesa cattolica, è ribadita nei Documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede, Mysterium Ecclesiae (1973), Dominus Iesus, 16 e 17 (2000) e nei Responsa ad dubia su alcune questioni ecclesiologiche (2007).

L'espressione subsistit in di Lumen gentium 8 significa che la Chiesa di Cristo non si è smarrita nelle vicende della storia, ma continua ad esistere come un unico e indiviso soggetto nella Chiesa cattolica. La Chiesa di Cristo sussiste, si ritrova e si riconosce nella Chiesa cattolica. In questo senso, vi è piena continuità con la dottrina insegnata precedentemente dal Magistero (Leone XIII, Pio XI e Pio XII).

3. Con la formula “subsistit in” la dottrina del Concilio – conformemente alla Tradizione cattolica – voleva esattamente escludere qualsiasi forma di relativismo ecclesiologico. Nello stesso tempo la sostituzione del “subsistit in” con l’ “est” adoperato dall’Enciclica Mystici Corporis di Pio XII, intende affrontare il problema ecumenico in modo più diretto ed esplicito di quanto si era fatto in passato. Sebbene la Chiesa sia soltanto una e si trovi in un unico soggetto, esistono però al di fuori di questo soggetto elementi ecclesiali veri e reali, che, tuttavia, essendo propri della Chiesa cattolica, spingono all’unità cattolica.

Il merito del Concilio è d’una parte di aver espresso l’unicità, l’indivisibilità e la non moltiplicabilità della Chiesa cattolica, e d’altra parte aver riconosciuto che anche nelle confessioni cristiane non cattoliche esistono doni ed elementi che hanno carattere ecclesiale, che giustificano e spingono ad operare per la restaurazione dell’unità di tutti i discepoli di Cristo. La pretesa di essere l’unica Chiesa di Cristo non può essere infatti interpretata al punto da non riconoscere la differenza essenziale tra i fedeli cristiani non cattolici e i non battezzati. Non è possibile infatti mettere sullo stesso piano quanto all’appartenenza alla Chiesa i cristiani non cattolici e coloro che non hanno ricevuto il battesimo. Il rapporto con la Chiesa cattolica da parte delle Chiese e Comunità ecclesiali cristiane non cattoliche non è tra il nulla e il tutto, ma è tra la parzialità della comunione e la pienezza della comunione.

4. Nel paradosso, per così dire, della differenza tra unicità della Chiesa cattolica ed esistenza di elementi realmente ecclesiali al di fuori di questo unico soggetto, si riflette la contradditorietà della divisione e del peccato. Ma tale divisione è qualcosa di totalmente diverso da quella visione relativistica che considera la divisione fra i cristiani non come una frattura dolorosa, ma come la manifestazione delle molteplici variazioni dottrinali di uno stesso tema, nel quale tutte le variazioni o divergenze sarebbero in qualche modo giustificate e dovrebbero fra loro riconoscersi e accettarsi come differenze o divergenze. L’idea che ne deriva è che l’ecumenismo dovrebbe consistere nel reciproco e rispettoso riconoscimento delle diversità, e il cristianesimo sarebbe alla fine l’insieme dei frammenti della realtà cristiana. Tale interpretazione del pensiero conciliare è espressione per l’appunto di quella discontinuità o rottura con la Tradizione cattolica e rappresenta una profonda falsificazione del Concilio.

5. Per recuperare una autentica interpretazione del Concilio nella linea di un’evoluzione nella continuità sostanziale con la dottrina tradizionale della Chiesa, occorre sottolineare che gli elementi di «santificazione e di verità» che le altre Chiese e Comunità cristiane hanno in comune con la Chiesa cattolica, costituiscono insieme la base per la reciproca comunione ecclesiale e il fondamento che le caratterizza in modo vero, autentico e reale. Sarebbe perònecessario aggiungere, per completezza, che quanto esse hanno di proprio, non condiviso dalla Chiesa cattolica e che separa da essa queste comunità, le connota come non-Chiesa. Esse quindi sono «strumento di salvezza» (UR 3) per quella parte che hanno in comune con la Chiesa cattolica e i loro fedeli seguendo questa parte comune possono raggiungere la salvezza; per quella parte invece che è estranea o opposta alla Chiesa cattolica, esse non sono strumenti di salvezza (salvo che si tratti di coscienza invincibilmente erronea; in tal caso il loro errore non è imputabile, sebbene si debba qualificare la coscienza comunque come erronea) [cf. ad es. il fatto delle ordinazioni di donne al sacerdozio e all’episcopato, o l’ordinazioni di persone omosessuali in certe comunità anglicane o vetero-cattoliche].

6. Il Vaticano II insegna che tutti i battezzati in quanto tali sono incorporati a Cristo (UR 3), ma nello stesso tempo dichiara che si può parlare soltanto di una aliqua communio, etsi non perfecta, tra i credenti in Cristo e battezzati non cattolici da una parte e la Chiesa cattolica dall'altra (UR 3).

Il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell'unità dei credenti in Cristo. Tuttavia esso di per sé è soltanto l'inizio e l'esordio, per così dire, perché il battesimo tende intrinsecamente all'acquisto della intera vita in Cristo. Pertanto il battesimo è ordinato all'integra professione di fede, all'integrale comunione nell'istituzione della salvezza voluta da Cristo, che è la Chiesa, e infine all'integrale inserzione nella comunione eucaristica (UR 22). E' evidente quindi che l'apparte nenza ecclesiale non si può mantenere piena, se la vita battesimale ha poi un seguito sacramentale e dottrinale oggettivamente difettoso e alterato. Una Chiesa è pienamente identificabile soltanto laddove si trovano riuniti gli elementi «sacri» necessari e irrinunciabili che la costituiscono come Chiesa: la successione apostolica (che implica la comunione con il Successore di Pietro), i sacramenti, la sacra Scrittura. Quando qualcuno di questi elementi manca o è difettosamente presente, la realtà ecclesiale risulta alterata in proporzione della manchevolezza riscontrata. In particolare, il termine «Chiesa» può essere legittimamente riferito alle Chiese orientali separate, mentre non lo può essere alle Comunità nate dalla Riforma, poiché in queste ultime l'assenza della successione apostolica, la perdita della maggior parte dei sacramenti, e specialmente dell'eucaristia, feriscono e indeboliscono una parte sostanziale della loro ecclesialità (cf. Dominus Iesus, 16 e 17).

7. La Chiesa cattolica ha in sé tutta la verità, poiché è il Corpo e la Sposa di Cristo. Tuttavia non la comprende tutta pienamente. Perciò ha bisogno di essere guidata dallo Spirito «alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Altro è l'essere, altra la conoscenza piena dell'essere. Perciò la ricerca e la conoscenza progredisce e si sviluppa. Anche i membri della Chiesa cattolica non sempre vivono all'altezza della sua verità e dignità. Perciò la Chiesa cattolica può crescere nella comprensione della verità, nel senso di appropriarsi consapevolmente e riflessamente di ciò che ontologicamente ed esistenzialmente essa è già. In questo contesto si capisce l'utilità e la necessità del dialogo ecumenico, per recuperare ciò che eventualmente sia stato emarginato o trascurato in determinate epoche storiche e integrare nella sintesi dell'esistenza cristiana nozioni in parte dimenticate. Il dialogo con i non cattolici non è mai sterile né formale, nel presupposto però che la Chiesa è consapevole di avere nel suo Signore la pienezza della verità e dei mezzi salvifici.

Le suddette puntualizzazioni dottrinali consentono di sviluppare una teologia in piena continuità con la Tradizione e nello stesso tempo in linea con l’orientamento e l’approfondimento voluto dal Concilio Vaticano II e dal Magistero successivo fino ad oggi.

II. La Chiesa cattolica e le religioni in rapporto alla salvezza.
E’ normale che, in un mondo che cresce sempre più assieme fino a produrre un villaggio globale, anche le religioni si incontrino. Così oggi la coesistenza di religioni diverse caratterizza sempre più la quotidianità degli uomini. Ciò conduce non solo ad un avvicinamento esteriore di seguaci di religioni diverse, ma contribuisce ad uno sviluppo di interessi verso sistemi di religioni fino ad oggi sconosciute. Nell’Occidente prevale sempre più nella coscienza collettiva la tendenza dell’uomo moderno a coltivare la tolleranza e la liberalità, abbandonando sempre più la pretesa del Cristianesimo ad essere la “vera” religione. La cosiddetta pretesa di assolutezza del cristianesimo, tradotta nella formula tradizionale dell’unica Chiesa in cui soltanto vi è la salvezza, incontra oggi tra i cattolici e gli evangelici incomprensione e rifiuto. Alla formula classica “extra Ecclesiam nulla salus”, oggi si sostituisce spesso la formula “extra Ecclesiam multa salus”.

Le conseguenze di questo relativismo religioso non sono soltanto di ordine teoretico, ma hanno riflessi devastanti di ordine pastorale. E’ sempre più diffusa l’idea che la missione cristiana non deve più perseguire il fine della conversione delle genti al Cristianesimo, ma la missione si limita ad essere o pura testimonianza della propria fede o impegno nella solidarietà e nell’amore fraterno per la realizzazione della pace tra i popoli e della giustizia sociale.

In tale contesto si può osservare una deficienza fondamentale, cioè la perdita della questione della verità. Venendo a mancare la domanda sulla verità, cioè sulla vera religione, l’essenza della religione non si differenzia più dalla sua mistificazione, cioè la fede non riesce a distinguersi più dalla superstizione, l’esperienza autentica religiosa non si distingue più dall’illusione, la mistica non si distingue più dal falso misticismo. Infine, senza la pretesa di verità, anche l’apprezzamento per ciò che è giusto e valido nelle diverse religioni, diventa contraddittorio, perché manca il criterio di verità per constatare ciò che di vero e di buono c’è nelle religioni.

E’ quindi necessario e urgente oggi richiamare i punti fermi della dottrina cattolica sul rapporto tra Chiesa e religioni in ordine alla questione della verità e della salvezza, salvaguardando l’identità profonda della missione cristiana di evangelizzazione. Presentiamo una sintesi ordinata dell’insegnamento del Magistero al riguardo, che mette in luce come anche su questo aspetto esiste una continuità sostanziale del pensiero cattolico, pur nella ricchezza delle sottolineature e delle prospettive emergenti nel Concilio Vaticano II e nel più recente Magistero pontificio.

1. Il mandato missionario. Cristo ha inviato i suoi Apostoli perché “nel suo Nome” “siano predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati” (Lc 24, 47). “Ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). La missione di battezzare, dunque la missione sacramentale, è implicita nella missione di evangelizzare, poiché il sacramento è preparato dalla Parola di Dio e dalla fede, la quale è consenso a questa Parola (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1122).

2. Origine e scopo della missione cristiana. Il mandato missionario del Signore ha la sua ultima origine nell’amore eterno della Santissima Trinità e il fine ultimo della missione altro non è che di rendere partecipi gli uomini della comunione che esiste tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 850).

3. Salvezza e Verità. “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tim 2,4). Ciò significa che “Dio vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La salvezza si trova nella verità” (Dich. Dominus Iesus, 22). “La certezza della volontà salvifica universale di Dio non allenta, ma aumenta il dovere e l’urgenza dell’annuncio della salvezza e della conversione al Signore Gesù Cristo” (Ibid).

4. La vera religione. Il Concilio Vaticano II “professa che lo stesso Dio ha fatto conoscere al genere umano la via, attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e divenire beati. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini” ( Dich.Dignitatis humanae, 1).

5. Missione ad gentes e dialogo inter-religioso. Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. “Inteso come metodo e come mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco, esso non soltanto non si contrappone alla missio ad gentes, anzi ha speciali legami con essa e ne è un’espressione” (Lett. Enc. Redemptoris missio, 55). “Il dialogo non dispensa dall’evangelizzazione”(ibid.) né può sostituirla, ma accompagna la missio ad gentes (cf.Congregatio pro Doctrina Fidei, Dich. Dominus Iesus, 2 e Nota sull’evangelizzazione). “I credenti possono trarre profitto per se stessi da questo dialogo, imparando a conoscere meglio “tutto ciò che di verità e di grazia era già riscontrabile, per una presenza nascosta di Dio, in mezzo alle genti” (Dich. Ad gentes, 9). Se infatti essi annunciano la Buona Novella a coloro che la ignorano, è per consolidare, completare ed elevare la verità e il bene che Dio ha diffuso tra gli uomini e i popoli, e per purificarli dall’errore e dal male “per la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicità dell’uomo” (Ibid.)” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 856).

6. Quanto al rapporto tra Cristianesimo, ebraismo e islam, il Concilio non afferma affatto la teoria, che purtroppo si sta diffondendo nella coscienza dei fedeli, secondo la quale le tre religioni monoteiste (ebraismo, islamismo e cristianesimo) siano come dei rami di una stessa rivelazione divina. La stima verso le religioni monoteiste non diminuisce e non limita in alcun modo il compito missionario della Chiesa: “la Chiesa annuncia ed è tenuta ad annunciare incessantemente che Cristo è la via, la verità e la vita (Gv 14,6) in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa” (Nostra aetate, 2).

7. Il legame della Chiesa con le altre religioni non cristiane. “La Chiesa riconosce nelle altre religioni la ricerca, ancora “nelle ombre e nelle immagini” (Cost. Dogm. Lumen gentium, 16) di “un Dio ignoto”, ma vicino, “poiché è Lui che dà a tutti la vita e respiro ad ogni cosa”. Pertanto la Chiesa considera “tutto ciò che di buono e di vero” si trova nelle religioni “come una preparazione al Vangelo, e come dato da Colui che illumina ogni uomo affinché abbia finalmente la vita” (Ibid.)” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 843).

“Ma nel loro comportamento religioso, gli uomini mostrano anche limiti ed errori che sfigurano l’immagine di Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 844): “molto spesso gli uomini, ingannati dal Maligno, hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore, oppure vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale “ (Cost. Dogm. Lumen gentium, 16).

8. La Chiesa sacramento universale della salvezza. La salvezza viene da Cristo per mezzo della Chiesa che è il suo Corpo (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 846). “Deve essere fermamente creduto che “la Chiesa pellegrina è necessaria alla salvezza. Infatti solo Cristo è mediatore e la via della salvezza; egli si rende presente a noi nel suo Corpo che è la Chiesa”(Cost. Dogm. Lumen gentium, 14)” (Dominus Iesus, 20). La Chiesa è “sacramento universale di salvezza” (Cost. Dogm. Lumen gentium, 48) perché, sempre unita in modo misterioso e subordinata a Gesù Cristo Salvatore, suo Capo, nel disegno di Dio ha un’imprescindibile relazione con la salvezza di ogni uomo.

9. Valore e funzione delle religioni in ordine alla salvezza. “Secondo la dottrina cattolica si deve ritenereche “quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica (Lett. Enc. Redemptoris missio, 29)”. E’ dunque legittimo sostenere che lo Spirito Santo opera la salvezza nei non cristiani anche mediante quegli elementi di verità e di bontà presenti nelle varie religioni; ma è del tutto erroneo e contrario alla dottrina cattolica “ritenere queste religioni, considerate come tali, vie di salvezza, anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori, che riguardano le verità fondamentali su Dio, l’uomo e il mondo” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Notificazione a proposito del libro di J. Dupuis: “Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso”, 8).

Riassumendo, risulta chiaro che l’autentico annuncio della Chiesa in relazione alla sua pretesa di assolutezza non è sostanzialmente cambiato dopo l’insegnamento del Vaticano II. Esso esplicita alcuni motivi che completano tale insegnamento, evitando un contesto polemico e bellicoso, e riportando in equilibrio gli elementi dottrinali considerati nella loro integrità e totalità.

Conclusione
Che cosa sta all’origine dell’interpretazione della discontinuità o della rottura con la Tradizione ?

Sta ciò che possiamo chiamare l’ideologia conciliare, o più esattamente para-conciliare, che si è impadronita del Conciliofin dal principio, sovrapponendosi a esso. Con questa espressione, non si intende qualcosa che riguarda i testi del Concilio, né tanto meno l’intenzione dei soggetti, ma il quadro di interpretazione globale in cui il Concilio fu collocato e che agì come una specie di condizionamento interiore nella lettura successiva dei fatti e dei documenti. Il Concilio non è affatto l’ideologia paraconciliare, ma nella storia della vicenda ecclesiale e dei mezzi di comunicazione di massa ha operato in larga parte la mistificazione del Concilio, cioè appunto l’ideologia paraconciliare. Perché tutte le conseguenze dell’ideologia paraconciliare venissero manifestate come evento storico, si dovette verificare la rivoluzione del ’68, che assume come principio la rottura con il passato e il mutamento radicale della storia. Nell’ideologia paraconciliare il ’68 significa una nuova figura di Chiesa in rottura con il passato, anche se le radici di questa rottura erano già da qualche tempo presenti in certi ambienti cattolici.

Tale quadro di interpretazione globale, che si sovrappone in modo estrinseco al Concilio, si può caratterizzare principalmente da questi tre fattori:

1) Il primo fattore è la rinuncia all’anathema, cioè alla netta contrapposizione tra ortodossia ed eresia.

In nome della cosiddetta “pastoralità” del Concilio, si fa passare l’idea che la Chiesa rinuncia alla condanna dell’errore, alla definizione dell’ortodossia in contrapposizione all’eresia. Si contrappone la condanna degli errori e l’anatema pronunciato dalla Chiesa in passato su tutto ciò che è incompatibile con la verità cristiana al carattere pastorale dell’insegnamento del Concilio, che ormai non intenderebbe più condannare o censurare, ma soltanto esortare, illustrare o testimoniare.

In realtà non c’è nessuna contraddizione tra la ferma condanna e confutazione degli errori in campo dottrinale e morale e l’atteggiamento di amore verso chi cade nell’errore e di rispetto della sua dignità personale. Anzi, proprio perché il cristiano ha un grande rispetto per la persona umana, si impegna oltre ogni limite per liberarla dall’errore e dalle false interpretazioni della realtà religiosa e morale.

L’adesione alla persona di Gesù Figlio di Dio, alla sua Parola e al suo mistero di salvezza, esige una risposta di fede semplice e chiara, quale è quella che si trova nei simboli della fede e nella regula fidei. La proclamazione della verità della fede implica sempre anche la confutazione dell’errore e la censura delle posizioni ambigue e pericolose che diffondono incertezza e confusione nei fedeli.

Sarebbe quindi sbagliato e infondato ritenere che dopo il Concilio Vaticano II il pronunciamento dogmatico e censorio del Magistero debba essere abbandonato o escluso, così come sarebbe altrettanto sbagliato ritenere che l’indole espositiva e pastorale dei Documenti del Concilio Vaticano II non implichi anche una dottrina che esige il livello di assenso da parte dei fedeli secondo il diverso grado di autorità delle dottrine proposte.

2) Il secondo fattore è la traduzione del pensiero cattolico nelle categorie della modernità. L’apertura della Chiesa alle istanze e alle esigenze poste dalla modernità (vedi Gaudium et Spes) viene interpretata dall’ideologia para-conciliare come necessità di una conciliazione tra Cristianesimo e pensiero filosofico e ideologico culturale moderno. Si tratta di un’operazione teologica e intellettuale che ripropone nella sostanza l’idea del modernismo, condannato all’inizio del Novecento da S. Pio X.

La teologia neo-modernistica e secolaristica ha cercato l’incontro con il mondo moderno proprio alla vigilia della dissoluzione del “moderno”. Con il crollo del cosiddetto “socialismo reale” nel 1989 sono crollati quei miti della modernità e della irreversibilità dell’emancipazione della storia che rappresentavano i postulati del sociologismo e del secolarismo. Al paradigma della modernità succede infatti oggi quello post-moderno del “caos” o della “complessità pluralistica”, il cui fondamento è il relativismo radicale. Nell’Omelia dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, prima di essere eletto Papa, in occasione della celebrazione liturgica “Pro eligendo pontifice”(18/04/2005), viene focalizzato il centro della questione: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero…La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via…Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

Di fronte a questo processo occorre innanzitutto recuperare il senso metafisico della realtà (cf. Enciclica Fides et ratio di Papa Giovanni Paolo II) ed una visione dell’uomo e della società fondata su valori assoluti, metastorici e permanenti. Questa visione metafisica non può prescindere da una riflessione sul ruolo nella storia della Grazia, cioè del Soprannaturale, di cui la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, è depositaria. La riconquista del senso metafisico con il lumen rationis deve essere parallela a quella del senso soprannaturale con il lumen fidei.

Al contrario, l’ideologia para-conciliare ritiene che il messaggio cristiano deve essere secolarizzato e reinterpretato secondo le categorie della cultura moderna extra e anti ecclesiale, compromettendone l’integrità, magari col pretesto di un “opportuno adattamento” ai tempi. Il risultato è la secolarizzazione della religione e la mondanizzazione della fede.

Uno degli strumenti per mondanizzare la Religione è costituito dalla pretesa di modernizzarla adeguandola allo spirito moderno. Questa pretesa ha condotto il mondo cattolico ad impegnarsi in un “aggiornamento”, che costituiva in realtà in una progressiva e a volte inconsapevole omologazione della mentalità ecclesiale con il soggettivismo e il relativismo imperanti. Questo cedimento ha portato ad un disorientamento nei fedeli privandoli della certezza della fede e della speranza nella vita eterna, come fine prioritario dell'esistenza umana.

3) Il terzo fattore è l’interpretazione dell’aggiornamento voluto dal Concilio Vaticano II.

Con il termine “aggiornamento”, Papa Giovanni XXIII volle indicare il compito prioritario del Concilio Vaticano II. Questo termine nel pensiero del Papa e del Concilio non esprimeva però ciò che invece è accaduto in suo nome nella recezione ideologica del dopo-Concilio. “Aggiornamento” nel significato papale e conciliare voleva esprimere la intenzione pastorale della Chiesa di trovare i modi più adeguati e opportuni per condurre la coscienza civile del mondo attuale a riconoscere la verità perenne del messaggio salvifico di Cristo e della dottrina della Chiesa. Amore per la verità e zelo missionario per la salvezza degli uomini sono alla base i principi dell’azione di “aggiornamento” voluto e pensato dal Concilio Vaticano II e dal Magistero pontificio successivo.

Invece dall’ideologia para-conciliare, diffusa soprattutto dai gruppi intellettualistici cattolici neomodernisti e dai centri massmediatici del potere mondano secolaristico, il termine “aggiornamento” venne inteso e proposto come il rovesciamento della Chiesa di fronte al mondo moderno: dall’antagonismo alla recettività. La Modernità ideologica – che certamente non deve essere confusa con la legittima e positiva autonomia della scienza, della politica, delle arti, del progresso tecnico – si è posta come principio il rifiuto del Dio della Rivelazione cristiana e della Grazia. Essa non è quindi neutrale di fronte alla fede. Ciò che fece pensare ad una conciliazione della Chiesa con il mondo moderno portò così paradossalmente a dimenticare che lo spirito anticristiano del mondo continua ad operare nella storia e nella cultura. La situazione postconciliare venne così descritta già da Paolo VI nel 1972:

“Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio: c’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine. E’ entrato il dubbio nelle nostre coscienze ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempeste, di buio, di ricerca, di incertezza. Come è avvenuto questo? Vi confidiamo un nostro pensiero: c’è stato l’intervento di un potere avverso: il suo nome è il diavolo, questo misterioso essere a cui si fa allusione anche nella lettera di san Pietro” (Paolo VI, Insegnamenti, Ed. Vaticana,vol. X, 1972, p. 707).

Purtroppo gli effetti di quanto individuato da Paolo VI non sono scomparsi. Un pensiero estraneo è entrato nel mondo cattolico, gettando scompiglio, seducendo molti animi e disorientando i fedeli. Vi è uno “spirito di autodemolizione” che pervade il modernismo, che si è impadronito, tra l’altro, di gran parte della pubblicistica cattolica. Questo pensiero estraneo alla dottrina cattolica si può constatare ad esempio sotto due aspetti.

Un primo aspetto è la visione sociologica della fede, cioè un’interpretazione che assume il sociale come chiave di valutazione della religione, e che ha comportato una falsificazione del concetto di chiesa secondo un modello democratico. Se si osservano le discussioni attuali sulla disciplina, sul diritto, sul modo di celebrare la liturgia, non si può evitare di registrare che questa falsa comprensione della Chiesa è diventata diffusa tra i laici e teologi secondo lo slogan: Noi siamo il popolo, noi siamo Chiesa (Kirche von unten). Il Concilio in realtà non offre alcun fondamento a questa interpretazione, poiché l’immagine del popolo di Dio riferita alla Chiesa è sempre legata alla concezione della chiesa come Mistero, come comunità sacramentale del corpo di Cristo, composto da un popolo che ha un capo e da un organismo sacramentale composto da membra gerarchicamente ordinate. La Chiesa non può quindi diventare una democrazia, in cui il potere e la sovranità derivano dal popolo, poiché la Chiesa è una realtà che proviene da Dio ed è fondata da Gesù Cristo. Essa è intermediaria della vita divina, della salvezza e della verità, e dipende dalla sovranità di Dio, che una sovranità di grazia e di amore. La Chiesa è allo stesso tempo dono di grazia e struttura istituzionale, perché così ha voluto il suo Fondatore: chiamando gli Apostoli, “Gesù ne istituì dodici” (Mc 3,13).

Un secondo aspetto, su cui attiro la vostra attenzione, è l’ideologia del dialogo. Secondo il Concilio e la Lettera Enciclica di Paolo VI Ecclesiam suam, il dialogo è un importante e irrinunciabile mezzo per il colloquio della Chiesa con gli uomini del proprio tempo. Ma l’ideologia paraconciliare trasforma il dialogo da strumento a scopo e fine primario dell’azione pastorale della Chiesa, svuotando sempre più di senso e oscurando l’urgenza e l’appello alla conversione a Cristo e all’appartenenza alla Sua Chiesa.

Contro tali deviazioni, occorre ritrovare e recuperare il fondamento spirituale e culturale della civiltà cristiana, cioè la fede in Dio, trascendente e creatore, provvidente e giudice, il cui Figlio Unigenito si è incarnato, è morto e risuscitato per la redenzione del mondo e ha effuso la grazia dello Spirito Santo per la remissione dei peccati e per rendere gli uomini partecipi della natura divina. La Chiesa, Corpo di Cristo, istituzione divino-umana, è il sacramento universale della salvezza e l’unità degli uomini, di cui essa è segno e strumento, è nel senso di unire gli uomini a Cristo mediante il suo Corpo, che è la Chiesa.

L’unità di tutto il genere umano, di cui parla LG, 1, non deve essere intesa quindi nel senso di raggiungere la concordia o la riunificazione delle varie idee o religioni o valori in un “regno comune o convergente”, ma essa si ottiene riconducendo tutti all’unica Verità, di cui la Chiesa cattolica è depositaria per affidamento di Dio stesso. Nessuna armonizzazione delle dottrine “varie e peregrine”, ma annuncio integro del patrimonio della verità cristiana, nel rispetto della libertà di coscienza, e valorizzando i raggi di verità sparsi nell’universo delle tradizioni culturali e delle religioni del mondo, opponendosi nello stesso tempo alle visioni che non coincidono e non sono compatibili con la Verità, che è Dio rivelato in Cristo.

Concludo ritornando alle categorie interpretative suggerite da Papa Benedetto nel Discorso alla Curia Romana, citato all’inizio. Esse non fanno riferimento al consueto e obsoleto schema ternario: conservatori, progressisti, moderati, ma si appoggiano su un binario squisitamente teologico: due ermeneutiche, quella della rottura e quella della riforma nella continuità. Occorre imboccare quest’ultimo indirizzo nell’affrontare i punti controversi, liberando, per così dire, il Concilio dal para-concilio che si è mescolato ad esso, e conservando il principio dell’integrità della dottrina cattolica e della piena fedeltà al deposito della fede trasmesso dalla Tradizione e interpretato dal Magistero della Chiesa.