Nella rassegna stampa di oggi:
1) CATECHESI DI BENEDETTO XVI SULLA FIGURA DEL BEATO GIOVANNI DUNS SCOTO - All'Udienza generale del mercoledì
2) PROVE FALSE CONTRO LA CHIESA IN BELGIO - Un quotidiano crea un collegamento con il caso dell'assassino seriale Dutroux
3) Celestino, il Papa ignorato e dimenticato. C'è voluto il coraggio di Benedetto XVI per "sdoganarlo" - UN GIORNO STORICO PER LA CRISTIANITÀ di ANGELO DE NICOLA - © Copyright Il Messaggero, 4 luglio 2010
4) L’ex Sant’Uffizio ha pronte le nuove norme per punire i preti carnali - di Paolo Rodari - Pubblicato sul Foglio mercoledì 7 luglio 2010
5) 07/07/2010 – INDIA - Kerala: parla di perdono suor Marie Stella, sorella del professore "blasfemo" con la mano mozzata - di Nirmala Carvalho - TJ Joseph è un “martire del dialogo islamo-cristiano”. Molti musulmani hanno donato sangue per l’uomo. La religiosa ringrazia Benedetto XVI per “l’opera di dialogo” con l’islam.
6) 07/07/2010 - COREA DEL NORD - Cristiano del Nord torturato a morte: aveva Bibbie in casa - Il fratello minore della vittima, Son Jung-hun, racconta la fuga e il ritorno a casa del proprio parente, che era fuggito in Cina e si era convertito al cristianesimo.
7) Mancuso contro Benedetto XVI - Francesco Agnoli (libertaepersona.org) – dal sito pontifex.roma.it
8) L’omosessualità è una patologia, difesa da lobbies potenti - Bruno Volpe intervista il noto psichiatra e criminologo Francesco Bruno – dal sito pontifex.roma.it
9) La lotta di Satana alla Chiesa e all'umanità - Don Marcello Stanzione – dal sito pontifex.roma.it
10) Le radici filosofiche e antropologiche che negano la sacralità della vita - Di Marco Luscia del 07/07/2010, in Bioetica – dal sito http://www.libertaepersona.org
11) Disabili di serie B? - Giuseppe Frangi - giovedì 8 luglio 2010 – ilsussidiario.net
12) PAPA/ Ecco nomi e cognomi di chi vuol "far fuori" Benedetto - Rodolfo Casadei - giovedì 8 luglio 2010 - L’articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola – ilsussidiario.net
13) PASTERNAK/ La notte di Zivago: così la poesia rischiara, anche per poco, la nostra vita - Laura Cioni – ilsussidiario.net
14) «CARITAS IN VERITATE», UN ANNO DOPO - BASTA COL CINISMO ECONOMICO RICOMINCIAMO IL FUTURO - PIERANGELO SEQUERI – Avvenire, 8 luglio 2010
15) Se l’embrione è un «prodotto» - Il bebè in braccio non più alla mamma ma al medico che l’ha realizzato in laboratorio. È la nuova icona della generazione umana, imposta dai tecnoscienziati. - E la vita diventa «cosa» Assuntina Morresi – Avvenire, 8 luglio 2010
16) E il «caso-Puglia» arriva fino a Bruxelles - Interrogazione rivolta alla Commissione Ue e promossa da Mario Mauro – Avvenire, 8 luglio 2010
17) legge 40 - Quanti embrioni «costa» un bimbo fatto in provetta? - Michele Aramini – Avvenire, 8 luglio 2010
18) Sì alla selezione «La Corte di Lipsia sa quello che fa?» - Vincenzo Savignano – Avvenire, 8 luglio 2010
CATECHESI DI BENEDETTO XVI SULLA FIGURA DEL BEATO GIOVANNI DUNS SCOTO - All'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 7 luglio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI questo mercoledì durante l'Udienza generale nell’Aula Paolo VI.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi teologi del Medioevo, si è soffermato sulla figura del Beato Giovanni Duns Scoto.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
questa mattina - dopo alcune catechesi su diversi grandi teologi - voglio presentarvi un’altra figura importante nella storia della teologia: si tratta del beato Giovanni Duns Scoto, vissuto alla fine del secolo XIII. Un’antica iscrizione sulla sua tomba riassume le coordinate geografiche della sua biografia: "l’Inghilterra lo accolse; la Francia lo istruì; Colonia, in Germania, ne conserva i resti; in Scozia egli nacque". Non possiamo trascurare queste informazioni, anche perché possediamo ben poche notizie sulla vita di Duns Scoto. Egli nacque probabilmente nel 1266 in un villaggio, che si chiamava proprio Duns, nei pressi di Edimburgo. Attratto dal carisma di san Francesco d’Assisi, entrò nella Famiglia dei Frati minori, e nel 1291, fu ordinato sacerdote. Dotato di un’intelligenza brillante e portata alla speculazione - quell’intelligenza che gli meritò dalla tradizione il titolo di Doctor subtilis, "Dottore sottile"- Duns Scoto fu indirizzato agli studi di filosofia e di teologia presso le celebri Università di Oxford e di Parigi. Conclusa con successo la formazione, intraprese l’insegnamento della teologia nelle Università di Oxford e di Cambridge, e poi di Parigi, iniziando a commentare, come tutti i Maestri del tempo, le Sentenze di Pietro Lombardo. Le opere principali di Duns Scoto rappresentano appunto il frutto maturo di queste lezioni, e prendono il titolo dai luoghi in cui egli insegnò: Opus Oxoniense (Oxford), Reportatio Cambrigensis (Cambridge), Reportata Parisiensia (Parigi). Da Parigi si allontanò quando, scoppiato un grave conflitto tra il re Filippo IV il Bello e il Papa Bonifacio VIII, Duns Scoto preferì l’esilio volontario, piuttosto che firmare un documento ostile al Sommo Pontefice, come il re aveva imposto a tutti i religiosi. Così – per amore alla Sede di Pietro –, insieme ai Frati francescani, abbandonò il Paese.
Cari fratelli e sorelle, questo fatto ci invita a ricordare quante volte, nella storia della Chiesa, i credenti hanno incontrato ostilità e subito perfino persecuzioni a causa della loro fedeltà e della loro devozione a Cristo, alla Chiesa e al Papa. Noi tutti guardiamo con ammirazione a questi cristiani, che ci insegnano a custodire come un bene prezioso la fede in Cristo e la comunione con il Successore di Pietro e, così, con la Chiesa universale.
Tuttavia, i rapporti fra il re di Francia e il successore di Bonifacio VIII ritornarono ben presto amichevoli, e nel 1305 Duns Scoto poté rientrare a Parigi per insegnarvi la teologia con il titolo di Magister regens, oggi si direbbe professore ordinario. Successivamente, i Superiori lo inviarono a Colonia come professore dello Studio teologico francescano, ma egli morì l’8 novembre del 1308, a soli 43 anni di età, lasciando, comunque, un numero rilevante di opere.
A motivo della fama di santità di cui godeva, il suo culto si diffuse ben presto nell’Ordine francescano e il Venerabile Papa Giovanni Paolo II volle confermarlo solennemente beato il 20 Marzo 1993, definendolo "cantore del Verbo incarnato e difensore dell’Immacolata Concezione". In questa espressione è sintetizzato il grande contributo che Duns Scoto ha offerto alla storia della teologia.
Anzitutto, egli ha meditato sul Mistero dell’Incarnazione e, a differenza di molti pensatori cristiani del tempo, ha sostenuto che il Figlio di Dio si sarebbe fatto uomo anche se l’umanità non avesse peccato. Egli afferma nella "Reportata Parisiensa": "Pensare che Dio avrebbe rinunciato a tale opera se Adamo non avesse peccato sarebbe del tutto irragionevole! Dico dunque che la caduta non è stata la causa della predestinazione di Cristo, e che - anche se nessuno fosse caduto, né l’angelo né l’uomo - in questa ipotesi Cristo sarebbe stato ancora predestinato nella stessa maniera" (in III Sent., d. 7, 4). Questo pensiero, forse un po’ sorprendente, nasce perché per Duns Scoto l’Incarnazione del Figlio di Dio, progettata sin dall’eternità da parte di Dio Padre nel suo piano di amore, è compimento della creazione, e rende possibile ad ogni creatura, in Cristo e per mezzo di Lui, di essere colmata di grazia, e dare lode e gloria a Dio nell’eternità. Duns Scoto, pur consapevole che, in realtà, a causa del peccato originale, Cristo ci ha redenti con la sua Passione, Morte e Risurrezione, ribadisce che l’Incarnazione è l’opera più grande e più bella di tutta la storia della salvezza, e che essa non è condizionata da nessun fatto contingente, ma è l’idea originale di Dio di unire finalmente tutto il creato con se stesso nella persona e nella carne del Figlio.
Fedele discepolo di san Francesco, Duns Scoto amava contemplare e predicare il Mistero della Passione salvifica di Cristo, espressione dell’amore immenso di Dio, il Quale comunica con grandissima generosità al di fuori di sé i raggi della Sua bontà e del Suo amore (cfr Tractatus de primo principio, c. 4). E questo amore non si rivela solo sul Calvario, ma anche nella Santissima Eucaristia, della quale Duns Scoto era devotissimo e che vedeva come il Sacramento della presenza reale di Gesù e come il Sacramento dell’unità e della comunione che induce ad amarci gli uni gli altri e ad amare Dio come il Sommo Bene comune (cfr Reportata Parisiensia, in IV Sent., d. 8, q. 1, n. 3).
Cari fratelli e sorelle, questa visione teologica, fortemente "cristocentrica", ci apre alla contemplazione, allo stupore e alla gratitudine: Cristo è il centro della storia e del cosmo, è Colui che dà senso, dignità e valore alla nostra vita! Come a Manila il Papa Paolo VI, anch’io oggi vorrei gridare al mondo: "[Cristo] è il rivelatore del Dio invisibile, è il primogenito di ogni creatura, è il fondamento di ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita... Io non finirei più di parlare di Lui" (Omelia, 29 novembre 1970).
Non solo il ruolo di Cristo nella storia della salvezza, ma anche quello di Maria è oggetto della riflessione del Doctor subtilis. Ai tempi di Duns Scoto la maggior parte dei teologi opponeva un’obiezione, che sembrava insormontabile, alla dottrina secondo cui Maria Santissima fu esente dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento: di fatto, l’universalità della Redenzione operata da Cristo, a prima vista, poteva apparire compromessa da una simile affermazione, come se Maria non avesse avuto bisogno di Cristo e della sua redenzione. Perciò i teologi si opponevano a questa tesi. Duns Scoto, allora, per far capire questa preservazione dal peccato originale, sviluppò un argomento che verrà poi adottato anche dal beato Papa Pio IX nel 1854, quando definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. E questo argomento è quello della "Redenzione preventiva", secondo cui l’Immacolata Concezione rappresenta il capolavoro della Redenzione operata da Cristo, perché proprio la potenza del suo amore e della sua mediazione ha ottenuto che la Madre fosse preservata dal peccato originale. Quindi Maria è totalmente redenta da Cristo, ma già prima della concezione. I Francescani, suoi confratelli, accolsero e diffusero con entusiasmo questa dottrina, e altri teologi – spesso con solenne giuramento – si impegnarono a difenderla e a perfezionarla.
A questo riguardo, vorrei mettere in evidenza un dato, che mi pare importante. Teologi di valore, come Duns Scoto circa la dottrina sull’Immacolata Concezione, hanno arricchito con il loro specifico contributo di pensiero ciò che il Popolo di Dio credeva già spontaneamente sulla Beata Vergine, e manifestava negli atti di pietà, nelle espressioni dell’arte e, in genere, nel vissuto cristiano. Così la fede sia nell’Immacolata Concezione, sia nell’Assunzione corporale della Vergine era già presente nel Popolo di Dio, mentre la teologia non aveva ancora trovato la chiave per interpretarla nella totalità della dottrina della fede. Quindi il Popolo di Dio precede i teologi e tutto questo grazie a quel soprannaturale sensus fidei, cioè a quella capacità infusa dallo Spirito Santo, che abilita ad abbracciare la realtà della fede, con l’umiltà del cuore e della mente. In questo senso, il Popolo di Dio è "magistero che precede", e che poi deve essere approfondito e intellettualmente accolto dalla teologia. Possano sempre i teologi mettersi in ascolto di questa sorgente della fede e conservare l’umiltà e la semplicità dei piccoli! L’avevo ricordato qualche mese fa dicendo: "Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura… ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo... L’essenziale è rimasto nascosto! Invece, ci sono anche nel nostro tempo i piccoli che hanno conosciuto tale mistero. Pensiamo a santa Bernardette Soubirous; a santa Teresa di Lisieux, con la sua nuova lettura della Bibbia ‘non scientifica’, ma che entra nel cuore della Sacra Scrittura" (Omelia. S. Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 1 dicembre 2009).
Infine, Duns Scoto ha sviluppato un punto a cui la modernità è molto sensibile. Si tratta del tema della libertà e del suo rapporto con la volontà e con l’intelletto. Il nostro autore sottolinea la libertà come qualità fondamentale della volontà, iniziando una impostazione di tendenza volontaristica, che si sviluppò in contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista. Per san Tommaso d’Aquino, che segue sant’Agostino, la libertà non può considerarsi una qualità innata della volontà, ma il frutto della collaborazione della volontà e dell’intelletto. Un’idea della libertà innata e assoluta collocata nella volontà che precede l’intelletto, sia in Dio che nell’uomo, rischia, infatti, di condurre all’idea di un Dio che non sarebbe legato neppure alla verità e al bene. Il desiderio di salvare l’assoluta trascendenza e diversità di Dio con un’accentuazione così radicale e impenetrabile della sua volontà non tiene conto che il Dio che si è rivelato in Cristo è il Dio "logos", che ha agito e agisce pieno di amore verso di noi. Certamente, come afferma Duns Scoto nella linea della teologia francescana, l’amore supera la conoscenza ed è capace di percepire sempre di più del pensiero, ma è sempre l’amore del Dio "logos" (cfr Benedetto XVI, Discorso a Regensburg, Insegnamenti di Benedetto XVI, II [2006], p. 261). Anche nell’uomo l’idea di libertà assoluta, collocata nella volontà, dimenticando il nesso con la verità, ignora che la stessa libertà deve essere liberata dei limiti che le vengono dal peccato.
Parlando ai seminaristi romani - l’anno scorso - ricordavo che "la libertà in tutti i tempi è stata il grande sogno dell'umanità, sin dagli inizi, ma particolarmente nell'epoca moderna" (Discorso al Pontificio Seminario Romano Maggiore, 20 febbraio 2009). Però, proprio la storia moderna, oltre alla nostra esperienza quotidiana, ci insegna che la libertà è autentica, e aiuta alla costruzione di una civiltà veramente umana, solo quando è riconciliata con la verità. Se è sganciata dalla verità, la libertà diventa tragicamente principio di distruzione dell’armonia interiore della persona umana, fonte di prevaricazione dei più forti e dei violenti, e causa di sofferenze e di lutti. La libertà, come tutte le facoltà di cui l’uomo è dotato, cresce e si perfeziona, afferma Duns Scoto, quando l’uomo si apre a Dio, valorizzando quella disposizione all’ascolto della Sua voce, che egli chiama potentia oboedientialis: quando noi ci mettiamo in ascolto della Rivelazione divina, della Parola di Dio, per accoglierla, allora siamo raggiunti da un messaggio che riempie di luce e di speranza la nostra vita e siamo veramente liberi.
Cari fratelli e sorelle, il beato Duns Scoto ci insegna che nella nostra vita l’essenziale è credere che Dio ci è vicino e ci ama in Cristo Gesù, e coltivare, quindi, un profondo amore a Lui e alla sua Chiesa. Di questo amore noi siamo i testimoni su questa terra. Maria Santissima ci aiuti a ricevere questo infinito amore di Dio di cui godremo pienamente in eterno nel Cielo, quando finalmente la nostra anima sarà unita per sempre a Dio, nella comunione dei santi.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Sono lieto di accogliere i Figli dell’Immacolata Concezione, che si accingono a celebrare il Capitolo Generale. Cari fratelli, il tema della vostra assemblea capitolare è una parola forte di Dio rivolta al suo popolo: "Scegli la vita" (Dt 30,19). Vi incoraggio ad operare, sulle orme del Beato Luigi Monti, scelte sagge e generose al servizio della vita. Vorrei estendere questo augurio anche al Capitolo Generale delle Piccole Apostole della Redenzione, che saluto con affetto.
Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana, in particolare la Delegazione della Provincia Monza Brianza, istituita un anno fa, con l’auspicio di una proficua attività a vantaggio del bene comune. Un augurio speciale rivolgo anche alla Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva.
Infine il mio pensiero va ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ieri ricorreva la memoria liturgica di santa Maria Goretti, vergine e martire: una ragazza che, seppure giovanissima, seppe dimostrare forza e coraggio contro il male. La invoco per voi, cari giovani, perché vi aiuti a scegliere sempre il bene, anche quando costa; per voi, cari malati, perché vi sostenga nel sopportare le sofferenze quotidiane; e per voi, cari sposi novelli, affinché il vostro amore sia sempre fedele e colmo di rispetto reciproco.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
PROVE FALSE CONTRO LA CHIESA IN BELGIO - Un quotidiano crea un collegamento con il caso dell'assassino seriale Dutroux
BRUXELLES, mercoledì, 7 luglio 2010 (ZENIT.org).- Gli investigatori della Giustizia belga non hanno trovato alcun documento che colleghi l'Arcivescovado di Bruxelles con il caso del pederasta e assassino Marc Dutroux, ha rivelato questo mercoledì l'avvocato dell'Arcivescovado Fernand Keuleneer durante una conferenza stampa.
Il rappresentante legale ha convocato l'incontro per rispondere alle informazioni diffuse il 6 luglio dal quotidiano fiammingo “Het Laatste Nieuws”, secondo cui nella perquisizione dell'Arcivescovado del 24 giugno da parte della Giustizia belga sarebbero stati trovati documenti sul caso “Julie e Melissa”, due bambine sequestrate, torturate, abusate sessualmente e assassinate nel 1995 dall'omicida seriale Dutroux.
La notizia del presunto ritrovamento ha fatto il giro delle redazioni giornalistiche del mondo. Visto che sempre questo martedì il Cardinale Godfried Danneels, di 77 anni, Arcivescovo emerito di Malines-Bruxelles, è stato interrogato per dieci ore negli uffici della Polizia Giudiziaria Federale della capitale, alcuni media hanno visto in questo un rapporto diretto.
La Procura di Bruxelles ha confermato questo mercoledì che non esistono accuse contro il Cardinale Danneels, anche se Jos Colpin, portavoce del procuratore, non ha escluso che l'ex primate del Belgio venga nuovamente chiamato a testimoniare.
Il portavoce della Procura ha anche confermato che i documenti sul caso Dutroux in realtà non erano altro che un DVD “che, tra le altre cose, circola da tempo nelle redazioni”.
Un comunicato diffuso da Keuleneer spiega che, come avvocato dell'Arcivescovado, ha inviato questo mercoledì un messaggio alla Giustizia belga con domande molto precise dopo la presunta fuga di notizie provocata dal quotidiano fiammingo.
“Le informazioni apparse su 'Het Laatste Nieuws' provengono da persone incaricate dell'indagine? Se è così, perché sono state rese pubbliche? Queste informazioni sono corrette? Se è così, i documenti menzionati in questo articolo sono stati trovati negli archivi? Non abbiamo ricevuto l'inventario dei documenti in possesso della Giustizia”.
“Avete un'idea della persona dalla quale sono saltati fuori questi documenti e di come sono stati trovati negli archivi?”, prosegue l'avvocato dell'Arcivescovado.
“Finora non c'è stata risposta a questa lettera per quanto riguarda queste domande”, ha spiegato Keuleneer.
“Di fronte alla mancanza di informazioni, l'Arcivescovo si è visto costretto a comunicare in base alle informazioni di cui è in possesso. Dopo un'indagine interna, non si tratterebbe di dossier in formato cartaceo”, come ha fatto intendere il quotidiano fiammingo, “ma di CD-rom che erano stati inviati da una persona ben nota alla stampa e all'Arcivescovado”.
“Come menziona oggi la stampa, questi CD-rom sono stati inviati, durante il caso Dutroux, a giornalisti giudiziari, politici e altre cariche del Paese. Non si tratterebbe, quindi, di un 'ritrovamento unico'”.
“Sarebbe deplorevole che un''informazione' sotto il segreto professionale sia stata comunicata volontariamente alla stampa da persone legate all'indagine per fare sensazione”, deplora l'avvocato dell'Arcivescovado.
“Ciò non contribuirebbe alla serenità dell'indagine – conclude –. I Vescovi del Belgio desiderano collaborare correttamente con la Giustizia. Desiderano contribuire rispondendo alle domande degli investigatori, e non reagendo ad articoli di stampa”.
Celestino, il Papa ignorato e dimenticato. C'è voluto il coraggio di Benedetto XVI per "sdoganarlo" - UN GIORNO STORICO PER LA CRISTIANITÀ di ANGELO DE NICOLA - © Copyright Il Messaggero, 4 luglio 2010
SÌ, una visita storica.
Per Sulmona (lo ha detto con orgoglio il sindaco peligno, Fabio Federico), per l’Abruzzo (lo ha ribadito il Governatore Gianni Chiodi). Ma soprattutto, la visita di Benedetto XVI è storica per la Cristianità.
Sì, perchè pochi hanno avuto la forza (e il coraggio) di sottolineare che Celestino V, fino al 28 aprile dello scorso anno, è stato per quasi otto secoli ostracizzato dalla Chiesa.
Le dimissioni, le più clamorose della storia dell’umanità, da Papa per tornare l’umile fraticello del Morrone, hanno imbarazzato la Chiesa. «Il Pontefice, quale Gesù Cristo in terra, non può dimettersi»: il canone è stato ribadito in occasione della malattia di Giovanni Paolo II.
Ed invece, quel vecchietto (Celestino era già ultraottantenne) nient’affatto rimbambito (come una superficiale storiografia lo ha voluto descrivere), «ha girato i tacchi» (l’espressione è del cantautore Francesco De Gregori che nella canzone “Vai in Africa Celestino” del 2005 invitava il suo “amico” Valter Veltroni a dimettersi, come Celestino appunto, e a mantenere la promessa di andare a fare il missionario in Africa), ha avuto il coraggio di dare le spalle al potere, rinunciando ad essere l’uomo più potente della Terra. Un “Martin Luther King” dei suoi tempi, un “Ghandi del Duecento”, altro che vigliacco (“...colui che per viltade fece il gran rifiuto”) come si vuole ancora leggere il verso dantesco.
Ebbene, per quasi otto secoli, il vigliacco Celestino è stato ai margini della Storia invece che esserne un protagonista. Anzi, lo si è ficcato a forza in tutti i misteri negativi possibili e immaginabili come le questioni dei Templari («solo uno zimbello nelle mani degli eretici cavalieri»); del foro presente nel suo cranio («prova dell’assassinio voluto da Bonifacio VIII facendogli piantare un chiodo nella testa»); di Rennes-Le-Chateau («l’abate Sauniere protagonista dei misteri di quel paesino dei Pirenei si procurò un ritratto proprio di Celestino V»). Ostracizzato, Celestino V, nonostante avesse “inventato”, o almeno anticipato l’idea poi amplificata dal suo successore Bonifacio VIII, il Giubileo con quella Bolla del Perdono (emanata in occasione della sua incoronazione a Papa, clamorosamente fuori da Roma, nella basilica di Collemaggio all’Aquila).
Bolla che rappresenta uno dei gesti più rivoluzionari nella storia della Chiesa perchè Celestino concede il privilegio del Perdono “erga omnes”, dunque anche ai poveri, visto che in quel tempo le Indulgenze bisognava pagarle in una Chiesa per la quale (e recenti fatti parrebbero dimostrarlo...) vale sempre il detto “pecunia non olet”.
Dimenticato. Fino al punto che un grande Papa quale Giovanni Paolo II, quando venne in Abruzzo il 30 agosto del 1980 in occasione del seicentenario della nascita di San Bernardino da Siena, nella sua omelia (considerata storica perchè toccò il caldissimo tema, all’epoca, dell’aborto) sul sagrato di Collemaggio, non citò mai il nome del padrone di casa, sepolto a pochi metri di distanza. Salvo poi andare ad inginocchiarsi davanti alla sua tomba, ma in “forma privata”.
Ignorato. Fino al 6 aprile, data spartiacque per L’Aquila e per l’intero Abruzzo. Il 28 aprile 2009, infatti, Papa Ratzinger, nella sua commossa visita nella terra martoriata dal sisma, compie un gesto clamoroso: passa sotto la Porta Santa di una Collemaggio martoriata dal sisma, e depone il suo pallio sull’urna contenente le spoglie di Celestino. Il terremoto ha fatto il miracolo.
Un riconoscimento che viene definitivamente sancito oggi, con la visita a Sulmona nell’anno Giubilare Celestiniano che il vescovo peligno, monsignor Angelo Spina, ha cocciutamente voluto e sapientemente ottenuto. I maliziosi insinuano da un lato che il vero riconoscimento sarebbe soltanto l’apertura, da parte del Papa, della Porta Santa di Collemaggio (l’unica fuori da Roma) nel giorno della Perdonanza (il 28 agosto) e, dall’altro, che la scelta non sarebbe casuale nel senso che si rende omaggio al Santo del Morrone (Sulmona) e non al Papa incoronato a Collemaggio (L’Aquila), tesi peraltro corroborata dal fatto che Pietro Angelerio fu fatto “santo subito” (solo 17 anni dopo la morte) ma col nome da eremita (San Pietro l’Eremita) e non con quello di Pontefice (mai ripreso da nessun altro Papa, in quanto Celestino VI non esiste). Le malizie e i campanilismi (il terremoto dovrebbe averlo insegnato) non servono. La visita di oggi di Benedetto XVI rappresenta un’occasione storica per l’Abruzzo soprattutto per il lancio, finalmente, di un turismo religioso nel nome di Celestino V che potrebbe portare una boccata d’ossigeno a un’economia terremotata non soltanto dal 6 aprile. Un’occasione che soprattutto il Clero abruzzese deve saper cogliere. Benedetto XVI ha “sdoganato” Celestino: non ci sono più alibi.
© Copyright Il Messaggero, 4 luglio 2010
L’ex Sant’Uffizio ha pronte le nuove norme per punire i preti carnali - di Paolo Rodari - Pubblicato sul Foglio mercoledì 7 luglio 2010
La Congregazione per la dottrina della fede guidata dal cardinale statunitense William Joseph Levada ha pronte le nuove procedure da adottare nei casi di abuso sessuale su minori a opera di persone con i sacri ordini. Secondo fonti vaticane, confermate ieri anche dal vaticanista statunitense John Allen sul National Catholic Reporter, le norme dovrebbero entrare in vigore entro il mese di luglio.
Trattandosi di cambiamenti a uso interno non è previsto nessun annuncio ufficiale. Dal Vaticano fanno sapere che non si tratta di stravolgimenti drammatici delle procedure adottate fino a oggi. E questa è anche la tesi di John Allen, che scrive: “Le revisioni sono in gran parte il consolidamento di pratiche già esistenti e non invece un approccio nuovo al modo con cui i casi di abuso vengono trattati”.
Di certo c’è che di nuove disposizioni si tratta. E quindi, come tali, cambiamenti nella prassi adottata fino a oggi ne porteranno. E’ prevista anzitutto una revisione di alcuni articoli del motu proprio “Sacramentorum sanctitatis tutela” che dal 2001 regola i “delicta graviora” e cioè quei delitti commessi contro l’eucaristia, contro la santità del sacramento della penitenza e contro il sesto comandamento (“non commettere atti impuri”) di un chierico con un minore di diciotto anni.
L’intenzione di Levada e dell’ufficio disciplinare della Dottrina della fede, guidato da monsignor Charles J. Scicluna, è quello di codificare quanto già per prassi avviene dal 2003, da quando l’allora cardinale Joseph Ratzinger concedette alcune “eccezioni” – chiamate “speciali facoltà”– al motu proprio del 2001: nei casi più gravi e laddove le prove sono schiaccianti, il Papa può direttamente ridurre il colpevole allo stato laicale senza passare per un processo canonico; nel caso di abusi sessuali su minori da parte dei preti si deve sempre seguire la legge civile per quanto riguarda la denuncia dei crimini alle appropriate autorità.
Oltre alla codificazione di queste norme già in uso, sono due le novità importanti. La prima riguarda la prescrizione: dal 2001 è stata introdotta una prescrizione di dieci anni per i delitti più gravi.
In base a queste norme nei casi di abuso sessuale il decennio incomincia a decorrere dal giorno in cui il minore compie i diciotto anni. Con le nuove norme si vuole arrivare all’imprescrittibilità dei “delicta graviora”. La seconda novità riguarda quei sacerdoti che vengono scoperti in possesso di materiale pedopornografico. I loro casi saranno giudicati come “una grave offesa” dal Vaticano e saranno anch’essi trattati direttamente dalla Dottrina della fede.
La stampa americana è in fermento e da tempo attende segnali di discontinuità dal Vaticano rispetto alla modalità tramite la quale fino a oggi sono stati trattati i casi di abusi. Venerdì scorso un lungo reportage uscito sul New York Times non è stato ignorato dalla Santa Sede.
In particolare, ha colpito che la notizia di un vertice segreto avvenuto nel 2000 tra Ratzinger e i vescovi delle nazioni anglofone più colpite dagli scandali di pedofilia sia stata confermata da monsignor Geoffrey Robinson, arcivescovo emerito di Sidney.
A suo dire, infatti, Ratzinger “impiegò molto più tempo a riconoscere il problema degli abusi sessuali, rispetto a quel che fecero alcuni vescovi locali”. Che un alto prelato confermi certe notizie viene letto in Vaticano come un segnale che anche nel vasto mondo della chiesa anglosassone c’è chi, ai più alti livelli, attende risposte più forti da oltre Tevere. O comunque attende un segnale.
Ma il Vaticano non vuole cedere a facili allarmismi. E, infatti, in via ufficiosa, cerca di spiegare che le nuove norme sono degli aggiustamenti e non degli stravolgimenti. La paura d’essere travolti dagli eventi è grande. Il caso del Belgio ha destato molta impressione e nessuno vuole che la linea della trasparenza porti il ripetersi di episodi dolorosi come è stata la perquisizione delle tombe di due cardinali a Mechelen. Perquisizioni che ieri hanno avuto un’ulteriore coda drammatica: il cardinale Godfried Danneels, ex primate del Belgio, è stato interrogato dalla polizia giudiziaria nell’ambito dell’inchiesta sugli abusi commessi dai sacerdoti e sul ritrovamento di materiali, rinvenuti in arcivescovado, relativi al “mostro di Marcinelle”, il pedofilo Marc Dutroux, all’ergastolo per aver rapito, sequestrato e violentato sei ragazzine, uccidendone quattro.
Pubblicato sul Foglio mercoledì 7 luglio 2010
07/07/2010 – INDIA - Kerala: parla di perdono suor Marie Stella, sorella del professore "blasfemo" con la mano mozzata - di Nirmala Carvalho - TJ Joseph è un “martire del dialogo islamo-cristiano”. Molti musulmani hanno donato sangue per l’uomo. La religiosa ringrazia Benedetto XVI per “l’opera di dialogo” con l’islam.
Ernakulam (AsiaNews) – Il prof. TJ Joseph è “un martire del dialogo islamo-cristiano, nel Kerala e in tutto il mondo”. È quanto afferma ad AsiaNews suor Marie Stella Thenganakunnel, sorella maggiore del docente cattolico indiano al quale hanno mozzato la mano e parte del braccio destro. A nome della madre 81enne, del fratello e della sorella, la religiosa aggiunge anche che “noi perdoniamo tutti” e si augura che l’attacco del 4 luglio scorso “possa portare frutti per l’apertura di canali di comunicazione e dialogo fra Cristianesimo e Islam”. Per questo la suora esprime “i più vivi ringraziamenti al nostro amato Benedetto XVI e alla Chiesa cattolica” per le sue “serie iniziative volte alla comprensione e al dialogo con i nostri fratelli e sorelle musulmani”.
In un’intervista ad AsiaNews, suor Marie Stella, 59 anni, ha voluto raccontare l’attacco subito dal fratello, le difficoltà vissute dalla minoranza cristiana nel Kerala, l’opera volta al dialogo con i musulmani e il valore del perdono, il solo capace di “alleviare le sofferenze” e di “produrre frutti”.
Il prof. TJ Joseph (nella foto un manifesto che ne invocava la cattura) è docente universitario dal 1985, ha lavorato nel distretto di Idduki per sei anni e, negli ultimi due, ha guidato il Dipartimento di Malayalam, al Newman College di Thodupuzha. Egli è responsabile del settore dell’Istruzione e ha organizzato diversi incontri, programmi e seminari sull’educazione olistica degli studenti. Il 4 luglio scorso, al termine della messa domenicale, il docente cattolico è stato attaccato da un gruppo di sconosciuti che ha reciso la mano e parte del braccio destro. Alla base dell’assalto – avvenuto a Muvattupuzha, nel distretto di Ernakulam (Kerala) – l’accusa di aver diffamato il profeta Maometto mesi fa, nel corso di un questionario di esami.
La vittima amava molto il proprio lavoro, come testimonia suor Marie Stella: “per le lezioni in classe, egli doveva preparare una serie di argomenti, perché non vi sono libri di testo disponibili”. TJ Joseph si prefiggeva di inculcare negli studenti “i valori umanisti”, di incoraggiare “il pensiero razionale”, di introdurre “valutazioni oggettive e la modernità negli studenti”. “I suoi scritti sull’Ahimsa – i valori della non-violenza, aggiunge la sorella – sono riconosciuti non solo per l’eccellenza a livello letterario, ma anche per i valori base espressi”.
La religiosa, appartenente alla congregazione delle Suore di San Giuseppe di Cluny, sottolinea “il grandissimo sostegno, tra cui donazioni di sangue, della gente musulmana a poche ore dall’attacco” subito dal fratello. Rientrata dalla missione nelle Isole Cook, in Nuova Zelanda, suor Marie Stella resterà in India anche dopo la guarigione del fratello. “Viviamo in un contesto musulmano – racconta – e i musulmani sono brava gente, molti hanno donato il sangue per lui. Sfortunatamente, solo una piccola frangia ha voluto portare questo attacco. Tuttavia, mio fratello ha solo parlato di perdono, di perdono, di perdono”.
Un perdono cui si aggiungono anche la madre di 81 anni e le sorelle: “perdoniamo tutti – conferma la religiosa – e non nutriamo né sentimenti di rancore, né di risentimento. Desideriamo solo che le sofferenze di mio fratello possano portare frutti per l’apertura di canali di dialogo fra Cristianesimo e Islam”. A titolo personale, chiarisce la suora, “voglio dire ai musulmani e al mondo intero, che siamo tutti fratelli e sorelle […] Veniamo tutti da un unico Dio e a Lui torneremo, siamo pellegrini sulla terra. Viviamo assieme nella pace, nell’amore, nell’armonia, nell’amicizia fraterna e nella fratellanza”.
L’ultimo pensiero di suor Marie Stella e della famiglia della vittima va “al nostro amato Santo Padre Benedetto XVI e alla Chiesa cattolica per le sue iniziative verso il mondo musulmano; iniziative all’insegna del dialogo serio e della comprensione reciproca con i fratelli e le sorelle musulmani”.
07/07/2010 - COREA DEL NORD - Cristiano del Nord torturato a morte: aveva Bibbie in casa - Il fratello minore della vittima, Son Jung-hun, racconta la fuga e il ritorno a casa del proprio parente, che era fuggito in Cina e si era convertito al cristianesimo.
Seoul (AsiaNews) – Un cristiano evangelico nordcoreano è stato torturato e poi ucciso in un carcere di Pyongyang. La denuncia è stata fatta dal fratello della vittima, che in una lunga intervista punta il dito contro il “regime ipocrita” di Kim Jong-il, che “cerca di porsi al di sopra di ogni altra legge, umana o divina”. Son Jung-hun, che oggi vive in Corea del Sud, è divenuto un devoto cristiano dopo la morte del fratello Son Jong-nam, ordinata dall’ultimo regime stalinista al mondo.
Jong-nam, 50 anni, è nato a Pyongyang l’11 marzo del 1958. Dopo aver trascorso dieci anni nei servizi di sicurezza presidenziali, è stato nominato sergente maggiore nel 1983: in questo periodo, aveva dedicato la propria vita a combattere gli “imperialisti americani”. Nel 1997 la moglie, incinta di 8 mesi, viene arrestata con l’accusa di aver addossato a Kim Jong-il la disastrosa carestia che sta affamando il Paese: basta questo per essere messi a morte.
Per cercare di ottenere una confessione scritta, le guardie la picchiano sulla pancia e le causano un aborto. Disilluso e spaventato, Son e la sua famiglia fuggono in Cina nel 1998: sette mesi dopo, la moglie morirà di leucemia. In Cina, incontra una comunità di cristiani protestanti che lo aiuta a sopravvivere nonostante il grave lutto. Si converte e decide di dedicare la propria vita al Vangelo e all’evangelizzazione della Corea del Nord.
Pyongyang dichiara di garantire la libertà religiosa alla popolazione, ma in realtà porta avanti una feroce persecuzione contro i fedeli di ogni credo. I cristiani sono particolarmente colpiti, perché ritenuti seguaci di una religione “occidentale” e collegata in qualche modo con gli Stati Uniti. Nel Paese è permesso soltanto il culto del dittatore Kim Jong-il e del padre, il “presidente eterno” Kim Il-sung.
A Pyongyang ci sono tre chiese – due protestanti e una cattolica – ma non esiste clero: per molti analisti, gli edifici sono soltanto uno specchietto per le allodole destinato ai rari turisti che entrano nella capitale. Dopo l’armistizio della guerra civile, nel 1953, il regime ha infatti spazzato via i fedeli e i loro pastori: in Corea del Nord, dicono fonti di AsiaNews, sopravvivono meno di 200 cattolici originari, tutti molto anziani.
A causa di questa persecuzione, è impossibile pensare di evangelizzare il Paese. Alcune denominazioni cristiane usano per questo scopo proprio i rifugiati dal Nord, che vengono educati e rimandati a casa. Il reverendo Isaac Lee, missionario evangelico coreano ma nato in America, spiega: “È terribile, ma è il loro Paese. Parlano la stessa lingua, sanno dove andare e come nascondersi. Ogni volta che, però, devo rimandare qualcuno a casa soffro moltissimo”.
Son, con 20 Bibbie e del materiale religioso, è fra questi. Viene però scoperto quasi subito: secondo il fratello, le autorità lo arrestano e lo chiudono in un lager. Qui viene torturato, “confessa” le sue colpe e viene messo a morte nel novembre 2008. Son Jung-hun lo ha scoperto soltanto alcune settimane fa, grazie a un altro dissidente: “Credo che la religione abbia cambiato del tutto la sua vita. Sognava di aprire una chiesa libera a Pyongyang, dove poter insegnare il Vangelo”.
Mancuso contro Benedetto XVI - Francesco Agnoli (libertaepersona.org) – dal sito pontifex.roma.it
L’articolo di Mancuso sulla questione Sodano-Schoenborn-Bendetto XVI tira sempre nella stessa direzione: una critica totale, assoluta, alla Chiesa come istituzione. Come al solito si scorge molto bene una cosa: non è la lotta alla pedofilia che interessa, ma l’utilizzazione delle colpe degli uomini di Chiesa che diventa utile per proporre una critica radicale, totalmente distruttiva. Il papa deve smettere di fare il papa, i cardinali i cardinali e la Chiesa deve auto-sciogliersi, perché il peccato è alla radice, nella sua struttura, non nei suoi uomini. Questo è quello che chiede Repubblica, e lo fa attraverso le parole di una sacerdote che oggi non esercita più, ma che rimane, per la teologia cattolica, “sacerdos in eternum”: Vito Mancuso. Ribadisco questa appartenenza dell’autore dell’articolo, non, come si potrebbe pensare, per denigrare il voltagabbana, ma per far meglio capire cosa vi sia dietro: i peggiori nemici della Chiesa, il papa lo ha ...
... ribadito più volte, vengono dal suo interno.
Sin dai tempi del vescovo Giuda, senza il quale i nemici esterni non avrebbero avuto chi desse loro il la. E questi nemici non sono necessariamente o solamente i preti pedofili: quelli sono dei poveretti, dei miserabili, se vogliamo, di una miseria che oggi è purtroppo sempre più diffusa in tutti gli ambienti. Sono, come dicono le indagini scientifiche, persone incapaci di relazioni con adulti della loro età; spesso, come nel caso di tantissimi laici abusatori, persone che hanno subito a loro volta delle violenze; sovente hanno avuto una vita familiare affettivamente complicata e desolante. Certamente costoro minano la fede di tante persone, fanno tanto male, ma il loro è un peccato personale individuale, che desta immensa rabbia e nello stesso tempo, profonda pena.
Diversa la posizione dei Mancuso, dei Kung, dei Martini, degli Scohenborn: anche loro stanno in qualche modo all’interno della Chiesa, ma come confessava il sacerdote modernista Ernesto Bonaiuti, al solo scopo di distruggerla, di stravolgerla dall’interno. Ci provano da venti secoli, senza successo. Ci provano proprio perché nella Chiesa hanno vissuto e di essa hanno visto le miserie e i peccati, ma, invece che comprenderne l’origine, umana, solo umana, ritengono di addossare le colpe delle singole persone all’Istituzione in quanto tale.
Ritengono, nella loro ubris, che la salvezza possa essere una questione personale, come se Cristo non avesse egli stesso voluto una Chiesa, una compagnia, divina ed umana insieme. Cerco di spiegarmi meglio: da tanti anni, forse da sempre, si confrontano nella Chiesa due anime. Una, diciamo così, tradizionalista, l’altra progressista. Entrambe partono da una idea: vorrebbero una Chiesa più santa, benché sia ben diversa la santità cui si riferiscono.
Gli uni, i primi, denunciano quindi la perdita di senso di sacro, il carrierismo di tanti vescovi, la simonia, la “sporcizia” che c’è nella Chiesa. Ma vi rimangono attaccati, come ad uno scoglio, perché sanno di non poter solcare, da soli, i mari della salvezza. Perché sanno che lo Spirito Santo è stato promesso a Pietro, e che, nonostante tutto, “le porte dell’inferno non prevarranno mai”. I Siri, gli Ottaviani, i Ruffini, i Bacci, anche i Lefebvre, non hanno mai criticato la Chiesa come Chiesa, il papa in quanto papa. Hanno criticato singoli errori, veri o presunti tali, dei singoli papi; hanno lottato, discusso, si sono indignati, con una consapevolezza: che Cristo ci ha dato la Chiesa, che essa, nonostante tutto, è l’Istituzione che da duemila anni dimostra la sua forza, che è la sua miseria che regge di fronte a tutte le tempeste, che si riforma di continuo e che produce, essa sola, santi, e civiltà. Perché il Vangelo, senza Chiesa, è un insieme di fogli che non serve a nulla, è parola morta, senza carne, senza vita. La fede del credente non vive di letture, ma di Eucaristia, di confessione, di adorazione, di sacramenti.
Poi c’è l’ala progressista, di Mancuso, Kung, Martini, don Gallo e chi più ne ha più ne metta . Quest’ala ha prodotto, nei secoli, milioni di eresie, di ricette personali, di riforme salvatrici, tutte sterili e brevi: fondate da uomini che magari scorgevano anche abusi ed errori veri, ma che poi, presi dalla superbia, finivano per ritenersi loro i depositari della Verità di Cristo, gli illuminati dallo Spirito Santo. Contro la Chiesa, come Calvino, fondarono altre chiese, perché non si dà fede senza vita quotidiana, senza sacramenti, senza rito, senza condivisione. Con effetti veramente scarsi: cosa è rimasto dei pelagiani, dei dolciniani, dei socianiani, ma anche dei luterani, dei calvinisti o degli anglicani? Poche persone e tante divisioni… perché non si può dimenticare che Cristo ha scelto Pietro, pur sapendo bene che l’apostolo lo avrebbe rinnegato, di lì a poco. Pur sapendo che era un pescatore e un peccatore, con i suoi difetti. Insomma: un uomo. Mancuso dunque, inizia criticando la scelta del papa di riportare il collegio cardinalizio all’ordine (la critica, anche la più dura, non può essere fatta, nella Chiesa, come in una famiglia, via stampa, al di fuori di qualsiasi gerarchia e carità…), e finisce per distruggere il ruolo stesso del papa.
Mentre lo fa, chiama a suoi testimoni, a confortare la sua tesi, nientemeno che San Paolo, colui che resistette in faccia a san Pietro, e Dante. Evidentemente a sproposito, visto che Paolo contraddisse il papa, e lo portò dalla sua parte, senza mai negare la sua autorità. Anche l’aver citato Dante, quasi si ritenesse, povero Mancuso, un suo erede, risulta ridicolo: Dante può essere l’Ottaviani, il Siri, magari il Lefebvre del Medioevo, come tanti ce ne furono. Mise papi e cardinali, all’inferno, tuonò contro la corruzione, ma mai neppure per un attimo pensò che la Chiesa non fosse l’istituzione che Dio aveva scelto per i suoi seguaci. Non credette mai che il credente possa fare parte a sé, al di fuori del corpo mistico di Cristo. Accusava uomini di Chiesa, ma di non essere fedeli alla Chiesa stessa! Come faceva ogni giorno santa Caterina col papa, che pure chiamava “dolce Cristo in terra”, dopo averlo sonoramente bastonato. Ma erano altri uomini, caro Mancuso, non intellettuali che credono di rifondare, loro, la Fede, magari con articoli di giornale: in loro, la critica nasceva dall’amore, non dalla superbia, il peccato più grave di tutti, per la teologia cattolica.
Francesco Agnoli (libertaepersona.org)
L’omosessualità è una patologia, difesa da lobbies potenti - Bruno Volpe intervista il noto psichiatra e criminologo Francesco Bruno – dal sito pontifex.roma.it
Ancora una volta, l’omosessualità, e tutte le implicazioni che gravitano attorno ad essa, ha tenuto banco. Con giusta ragione, la Santa Sede ha detto no ad una proposta francese che mira ad una specie di condono generalizzato sui temi della morale sessuale. Abbiamo chiesto il parere, sul tema, al noto psichiatra e criminologo Francesco Bruno. “La Santa Sede ha ragione e da vendere , ci mancherebbe altro”. Si ferma un attimo e spiega: “Io non ho nulla di discriminatorio contro gli omosessuali ai quali vanno riconosciuti tutti i diritti civili e il rispetto. Del resto anche la Chiesa parla di un obbligo di delicatezza nei confronti degli omosessuali, ma, detto questo, occorre fare chiarezza”. In che senso? “Cedendo terreno davanti a proposte francamente impossibili come quella francese, corriamo un rischio serio: da una parte tollerare una discriminazione al contrario, poi sovvertire l’ordine delle cose “. Che cosa vuol dire? “Io ...
... ho conosciuto e conosco, per motivi professionali, molti omosessuali anche famosi. Intellettuali, professionisti. Cercano sempre di convincermi dell’idea della loro normalità e non è così. Con tutto i rispetto verso questi amici, sostengo che l’omosessualità non appartiene alla sfera della normalità”.
Insomma è una patologia? “Va inquadrata tra le patologie, negli stati fuori della norma. Insomma, la natura ha creato l’uomo e la donna, biologicamente, quindi non esiste in natura un terzo genere. Arrivare a legittimare la tesi della normalità ci porta alla conseguenza, sbagliata di cambiare le regole della stessa natura, alterandola”. Esiste anche il rischio di fare cadere le barriere tra il bene e il male: “Ecco, io questo lo ho sempre detto. Una eccessiva tolleranza verso stati di anormalità, e l’omosessualità tale va considerata, ci porta alla conclusione che la gente si confonda e non capisca più cosa è il bene e che cosa è il male”.
Insomma, si rischia di cadere nel relativismo etico! “Esattamente. Ognuno pensa di fare come gli pare. Che ogni condotta, anche eticamente disordinata, sia lecita e che quindi non si possano mettere freni e divieti. Quello che oggi sta accadendo dappertutto. Quando i colleghi americani hanno sdoganato l’omosessualità dalle patologie, hanno fatto un grave danno e io sono contrario a quanto sostiene l’Organizzazione Mondiale della sanità. L’omosessuale, al quale va dato ogni rispetto, è clinicamente un malato, ovvero soffre di un disturbo patologico che lo altera. Inutile che questi signori vogliano convincerci che i normali siano loro. Ma sono sostenuti, parlo fuor di metafora, da lobbies potenti e forti”.
Da medico: omosessuali si diventa o si nasce? “Si diventa nella maggior dei casi e generalmente per disturbi o problemi di relazione con la famiglia e i genitori”. In conclusione d’accordo con la Santa Sede? “Condivido e sottoscrivo. Bisogna restituire principi fermi e stabili, sia in tema etico che di autorità”.
Bruno Volpe
La lotta di Satana alla Chiesa e all'umanità - Don Marcello Stanzione – dal sito pontifex.roma.it
Ancora oggi, nel ventunesimo secolo, quando si parla di Satana e di demonio, molti tornano con la mente alle truculenti descrizioni che Dante Alighieri fa dei diavoli nell’Inferno della sua Divina Commedia, oppure lo immaginano con tanto di corna, coda e forchettone in mezzo alle fiamme, come è rappresentato dall’iconografia medievale. Ora, per avere delle idee chiare sul demonio, bisogna liberarsi da queste immagini alquanto infantili. La fede della Chiesa, riguardo all’esistenza ed all’azione malefica del demonio, si basa sulla testimonianza della Bibbia, che è parola di Dio sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Gesù si è presentato costantemente come il Vincitore di Satana e dei demoni: Egli infatti, nel Vangelo, affronta personalmente Satana e riporta su di lui la vittoria (Mt 4, 11; Gv 12, 31). Cristo affronta anche gli spiriti maligni che hanno potere sull’umanità peccatrice e li vince nel loro dominio. Affrontando la ...
... malattia, Gesù affronta Satana, e quindi anche dando la guarigione trionfa su di lui. I demoni si ritenevano insediati quaggiù da padroni: Gesù è venuto a sconfiggerli (Mc 1, 24). Dinanzi all’autorità che Egli manifesta nei loro confronti, i suoi nemici l’accusano: “Egli scaccia i demoni in virtù di Beelzebul, principe dei demoni” (Mc 3, 22); “Non sarebbe per caso anch’egli posseduto dal demonio?” (Mc 3, 30; Gv 7, 20; 10, 20s), si chiedono i suoi calunniatori. Ma Gesù dà la vera spiegazione: Egli scaccia i demoni in virtù dello Spirito di Dio e ciò prova che il Regno di Dio è giunto fino agli uomini. Ormai gli esorcismi si faranno nel Nome di Gesù (Mt 7, 22; Mc 9, 38). Cristo, mandando in missione suoi discepoli, comunica loro il potere di sconfiggere i demoni (Mc 6, 7-13).
Questo sarà per tutti i secoli. E anche oggi, infatti, uno dei segni che accompagna la predicazione del Vangelo è la presenza degli esorcisti in seno alla Chiesa. Comunque, anche il concetto di diavolo, come tutte le verità della fede cristiana, è stato progressivamente rivelato e compreso. Nel Nuovo Testamento il diavolo è il più diretto avversario di Dio, il tentatore e seduttore degli uomini. E’ pure chiamato Beelzebul o Satana. Nell’Antico Testamento, Satana è un nome comune che significa accusatore in un processo, avversario. Nel Libro di Giobbe (2,1), si parla di Satana come di un essere che mette alla prova gli uomini. Nel primo libro delle Cronache 21,1, Satana sembra già il nome proprio di un essere personale. A poco a poco si sviluppò tra gli Israeliti la concezione di Satana, avversario di Dio, che rende gli uomini schiavi del peccato. Il diavolo, quindi, non è un concetto astratto, non è una personificazione fantastica del male, ma è una realtà concreta, una persona, o meglio un insieme di persone ben definite. E’ una creatura di Dio, quindi originariamente buona. E’ un puro spirito, dotato di capacità molto superiori alle nostre; ma si è irrimediabilmente pervertito in conseguenza del suo essersi ribellato a Dio.
Satana è diventato così l’antagonista di Dio che si oppone in tutti i modi al suo Regno, tentando gli uomini al male. La tentazione è una suggestione che egli esercita sulle facoltà superiori dell’uomo (soprattutto la fantasia): di fronte alla tentazione, l’uomo conserva intatta la propria libertà e responsabilità. In certi rari casi, che devono essere scientificamente accertati, il diavolo, permettendolo Dio, può disturbare anche il corpo dell’uomo con malattie e danni di vario genere. Uno degli aspetti essenziali della vita del cristiano, sia singolarmente che come membro della Chiesa, è la lotta contro il demonio. Nel passato, forse, si è insistito troppo su tale aspetto, e con accenti eccessivamente terroristici, per cui in alcuni si era creata una fissazione demonopatica; oggi, viceversa, questa lotta contro il potere delle tenebre è piuttosto trascurata. Come sappiamo dalla Rivelazione e dal Magistero della Chiesa, i demoni sono creature che tentano l’uomo al male.
Di qui la necessità, da parte dell’uomo, di difendersi e di lottare contro di essi per ottenere la salvezza. La vittoria contro il demonio si raggiunge soltanto in Cristo che è il vincitore di Satana, capo dei demoni. L’azione del demonio, sebbene tutta protesa ad offendere Dio e a danneggiare l’uomo, è controllata dal potere divino, che utilizza il Maligno per esercitare l’uomo nella virtù ed aumentare così lo splendore della gloria divina. Il demonio non danneggia l’uomo tanto quanto vorrebbe, ma solo fin dove la Provvidenza divina glielo consente, al fine di provare l’uomo nella virtù e condurlo proprio a quella salvezza che il demonio non vorrebbe. Il demonio invece gode di una maggiore libertà di nuocere se è l’uomo stesso che, con il suo peccato, gli lascia lo spazio per agire. Il demonio intende danneggiare l’uomo sia nel corpo che nello spirito.
Egli arreca il danno fisico o di propria iniziativa, e allora si ha il fenomeno della cosiddetta possessione o ossessione diabolica, o perché sollecitato da qualche creatura umana male intenzionata, e abbiamo allora la stregoneria o magia nera, che - da parte dell’uomo che commette tale azione - costituisce un grave peccato di superstizione. Nella sua azione contro la dimensione psicofisica della persona, il demonio provoca delle grandi sofferenze psicologiche. Ma l’azione che è da considerarsi come la più dannosa è quella tesa ad istigare al peccato ed è quella che occorre maggiormente temere. Le tre sorgenti della tentazione al peccato sono, secondo la Tradizione spirituale cristiana, la carne, il mondo ed il Demonio.
La tentazione cosiddetta della carne è quella che viene da noi stessi, dai nostri vizi, dalle nostre debolezze. Alcuni peccati sono più legati al corpo, come ad esempio la gola o la lussuria…; altri sono maggiormente connessi alla vita psico-spirituale, come ad esempio la superbia, l’invidia, la menzogna, l’ipocrisia.
La tentazione del mondo è quella che viene dagli altri uomini, dall’ambiente umano nel quale viviamo, dai nostri nemici dichiarati o dai falsi amici, cioè dagli ipocriti che ci spingono a peccare mediante l’attrattiva dei piaceri, degli onori, delle ricchezze e della gloria umana. Vi sono poi, anche coloro che ci opprimono, ci provocano, ci tormentano in vario modo, rendendoci difficile la pratica della virtù.
La tentazione del demonio non è facile da riconoscere, ma la Sacra Scrittura ci comanda espressamente di guardarci dalle tentazioni diaboliche e di vigilare (1 Pt 5,8-9). Il regno delle tenebre del demonio è l’instaurazione nel nostro mondo di una Anti-Chiesa, cioè di un regno della menzogna (darwinismo, marxismo, scientismo), dell’immoralità (libera droga, matrimoni omosessuali, pornografia, aborto ed eutanasia di stato) e dell’ateismo e dell’incredulità (il relativismo che Papa Benedetto XVI continuamente denuncia), quindi di un potere organizzato ed efficiente del male che, servendosi di strumenti e strutture politiche, economiche, sociali e culturali tiene l’umanità in sua balìa, impedendo a grandi masse umane, specie giovanili, di conoscere la verità, di vivere secondo la retta legge morale e di conoscere e di adorare Dio ed il suo Figlio Gesù Cristo crocifisso e risorto per la nostra salvezza. Non dimentichiamo mai di invocare nella lotta contro lo spirito delle tenebre il potentissimo arcangelo San Michele ed i Santi angeli di Dio. Benedetto XVI, riguardo a San Michele, nell’omelia per l’ordinazione di sei nuovi Vescovi il 29 settembre 2007, ha affermato: “Di questo Arcangelo si rendono evidenti due funzioni. Egli difende la causa dell’unicità di Dio contro la presunzione del drago, del “serpente antico”, come dice Giovanni.
E’ il continuo tentativo del serpente di far credere agli uomini che Dio deve scomparire, affinché essi possano diventare grandi; che Dio ci ostacola nella nostra libertà e che perciò noi dobbiamo sbarazzarci di Lui. […]Chi accusa Dio, accusa anche l’uomo. La fede in Dio difende l’uomo in tutte le sue debolezze ed insufficienze: il fulgore di Dio risplende su ogni singolo. […] L’altra funzione di Michele, secondo la Scrittura, è quella di protettore del popolo di Dio”. E’ importante invocare il Principe delle schiere angeliche in particolar modo con la preghiera composta da Leone XIII e raccomandata anche dal Servo di Dio il Papa Giovanni Paolo II: “San Michele arcangelo, difendici nella battaglia; contro le malvagità e le insidie del diavolo sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, principe delle milizie celesti, con la potenza che viene da Dio, ricaccia nell’inferno satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime”.
Don Marcello Stanzione
Le radici filosofiche e antropologiche che negano la sacralità della vita - Di Marco Luscia del 07/07/2010, in Bioetica – dal sito http://www.libertaepersona.org
Qual è la radice filosofica, la concezione dell’uomo, sulla quale si innesta il rifiuto di riconoscere alla vita umana il valore che le compete?
Alla fonte del nucleo concettuale che conduce alla negazione della qualifica di persona umana, tutelata da diritti inviolabili, troviamo un percorso filosofico cui per ragioni di spazio farò sommariamente riferimento.
Schematicamente, possiamo procedere in questo modo; cioè formulando la definizione di quattro negazioni e di quattro affermazioni correlate.
Ecco le quattro negazioni: negazione di Dio, negazione di ogni metafisica, quindi negazione di ogni possibile verità e perciò negazione dell’esistenza di una natura umana inscritta da sempre in ciascuno di noi.
Ecco le quattro conseguenti affermazioni: affermazione dell’uomo come potenza: l’uomo appare la fonte di ogni valore, colui che dispone del mondo e lo modifica a proprio piacimento; affermazione della riducibilità dell’esperienza umana a dati sociologici, biologici, culturali: l’esperienza umana dalla più semplice alla più complessa sarebbe riducibile a dati oggettivi, attraverso un processo negatore di ogni mistero. Per tale via, con il tempo ed il progresso delle scienze, l’uomo diventato “trasparente a se stesso”, potrebbe progettare ogni aspetto della propria vita materiale ed emotiva. Già oggi assistiamo al tentativo di ridurre l’amore ad una semplice reazione biochimica. In tale modo l’uomo viene sempre più diretto dall’esterno, perdendo ogni libertà. Stiamo, in sostanza creando una società di esseri che dipendono da tutto, dagli esperti di turno, dai maghi, dai veggenti, dagli agenti chimici, e tutto questo allo scopo di ricreare la natura umana. La terza affermazione è quella che ci pone di fronte ad un relativismo assoluto: solo la storia produce valori, non esiste nulla di dato, di duraturo, tutto è transitorio e frutto di scelte culturali date dall’opportunità del momento; ed in ultimo l’affermazione che l’uomo è ciò che diventa, ovverosia privo di una natura data.
Partendo da questo ultimo punto possiamo subito comprendere che se prendiamo per vera questa definizione, ogni essere perde ogni dimensione di “potenzialità”, scompare il dover essere, tutto può diventare lecito, persino il suicidio, secondo una logica che privilegia l’assoluta autonomia e la forza. Membro di questa società può diventare soltanto chi può far pesare la propria presenza e forza contrattuale, chi può decidere, anche per coloro che per svariati motivi non possono farlo.
In tale prospettiva possiamo comprendere tutte le considerazione che seguiranno.
Per limitarci al tema oggetto della nostra riflessione, ovvero la prospettiva di una bioetica laica, deduciamo come essa sia riducibile a tre chiavi interpretative, le quali presumono di stabilire cosa sia bene e cosa sia male nei confronti della vita umana indifesa.
Il primo criterio, frutto della nostre premesse, è di tipo “emotivista”: bene o male si fondano soltanto sul desiderio del soggetto mentre la vita dell’embrione, del neonato, del malato, è concepita come cosa, come proprietà di cui disporre, in base al sentire soggettivo. Ad esempio: "se il soggetto vuole un figlio, deve poterlo volere come, quando e secondo le modalità da lui stabilite; se non lo vuole, rivendica la facoltà di potersene liberare subito (aborto); se una vita non è ritenuta degna di essere vissuta, vi mette fine (eutanasia, diagnosi reimpianto ecc..)". L’idea che si esprime in questo modo di pensare è che la vita vale in ragione della sua qualità, qualità che in primis si esprime con la facoltà di “scegliersi liberamente”. I prodromi di tale mentalità vanno ricercati nel pensiero di Sartre, il quale afferma: “essere vuol dire scegliersi: niente -alla realtà umana- viene dal di fuori, né tanto meno dal di dentro, che essa possa ricevere o accettare (…) la realtà umana non può ricevere i suoi fini (…) da una natura interna”. Secondo Sartre –dunque- realizzare la natura umana è realizzare questa libertà infinita, dove tutto è possibile, in cui le opzioni si equivalgono, dove il valore delle scelte è sempre un punto di vista, mai una verità da compiersi. Viene così negato il principio della sacralità della vita, in ragione del fatto che soltanto l’esistenza di Dio sarebbe in grado di giustificare la sacralità della vita. Si configurano già a questo primo livello di analisi quelli che potremmo definire, i padroni della vita, cioè gli uomini sani, pienamente auto-coscienti, che decidono al posto di chi non può decidere, in quanto, non persona.
La “logica emotivista”, si servirà per affermare la validità dei propri contenuti, del supporto dei grandi mezzi di informazione da tempo oramai piegati al sevizio di oligarchie economico-culturali. Inoltre farà leva su una serie di casi pietosi per giustificare le proprie tesi; così il rifiuto di un figlio malato verrà presentato come forma di pietà e d’amore verso una vita non degna di essere vissuta, con ciò mascherando la realtà del problema: la non disponibilità del soggetto “forte” di farsi carico del debole.
Il secondo criterio si lega al primo, anzi, ne è probabilmente la causa; si tratta della logica dell’utile. Utile per il singolo e utile per la società; “così la vita umana è condizionata da parametri di tipo economico che conducono a politiche di sterilizzazione, contraccezione forzata, aborto”, massimizzazione nell’utilizzo delle risorse, siano esse familiari o statali.
Il terzo criterio, subdolo, apparentemente democratico, è quello dell’opinione dominante, un criterio dunque di carattere sociologico.
Secondo questa “visione etica” non esistono valori inviolabili poiché i valori sono posti o imposti dalla storia, perciò rispetto alla vita umana e al suo valore dovremmo far riferimento al sentire della società presente: il buono e il bene sarà ciò che la maggioranza che “governa” reputerà tale. Ciò tenendo conto di un positivismo giuridico che farà propria quella norma non perché espressione di un valore, bensì di un compromesso. Si finisce così con il confondere la verità con l’attualità, cioè con quello che in un dato momento appare importante, indilazionabile, attuale, appunto. Un’ attualità per altro, manipolata, frutto di molteplici suggestioni e persuasioni più o meno occulte.
Non dobbiamo però stupirci di questa prospettiva perchè essa è il prodotto della negazione di Dio e della negazione dell’essere. Osserva giustamente Aramini, studioso di Bioetica: “Ciascuno può facilmente comprendere quanto queste forme di pseudo moralità siano diffuse e come diventi arduo perciò costruire itinerari di riflessione morale”. Un tal modo di procedere rivela tra le altre cose un tratto tipico del nostro tempo definibile come pessimismo della ragione. Su questo, nota argutamente Zuccaro: “Questo pessimismo della ragione, apre però lo spazio all’ottimismo della volontà: infatti proprio perché il mondo si presenta vuoto di una verità assoluta e di senso, esso diventa pagina bianca sulla quale noi possiamo scrivere finalmente tutto quello che la nostra creatività riesce a concepire. In primo piano non c’è la regola della ragione, ma l’affermazione della volontà individuale(…)«nell’infinità priva di senso del mondo, del reale, noi siamo dei soggetti culturali, capaci, cioè, di scrivere dei piccoli frammenti di senso.( M.Weber)»”.
Disabili di serie B? - Giuseppe Frangi - giovedì 8 luglio 2010 – ilsussidiario.net
Alla fine ha vinto il buon senso e ieri il governo ha ritirato la misura che innalzava dal 74 all'85% la percentuale di invalidità necessaria per ottenere l'assegno mensile di invalidità civile. Per capirci, si tratta di un assegno di 256,67 euro mensili (con tredicesima) che spetta a tutti coloro, in età tra i 18 e i 65 anni, che abbiano un'invalidità certificata tra il 74% e il 99% e dispongano di un reddito annuale inferiore a 4.408 euro.
L'innalzamento all'85% della percentuale di invalidità avrebbe escluso da questa forma di sostegno una decina di migliaia di persone all'anno, e si tratta di persone affette dalla sindrome di down, sordomuti, amputati, poliomielitici. 256 euro mensili in meno avrebbe portato un risparmio allo stato di 80 milioni di euro su tre anni: poca cosa rispetto alle dimensioni della Manovra, ma dalle conseguenze umanamente pesantissime per tutte le persone private di quella minima entrata. Per far un paragone, anche a Parigi ieri i disabili erano in piazza per protestare contro il mancato adeguamento dell'indennità da 700 euro ai 900, che per la Francia rappresenta la soglia di povertà.
Bastano queste cifre per capire come quella misura fosse a tutti gli effetti impresentabile. Ieri i disabili sono scesi a Roma in quella che doveva essere una manifestazione di protesta e che invece si è trasformata in un'adunata dai toni quasi festosi, che ha potuto dare in diretta l'avvenuto ritiro della misura in Commissione bilancio della Camera. Eppure, nonostante lo scampato pericolo, qualche considerazione è giusto farla. I media italiani, che pur macinano informazione politica a tutto spiano, non si sono neppure accorti della gravità di questa misura.
Nelle paginate sugli altri tagli contenuti nella Manovra, non c'è stato spazio né per parlarne né di raccontare la protesta civilissima che per la prima volta dopo quasi 40 anni aveva visto tutte le associazioni di disabili unite nel chiedere al governo di fare marcia indietro. Il che mi conferma nell'idea che l'informazione si stia sempre più riducendo a un gioco di rimpiattino tra le caste (la politica, il giornalismo e la magistratura), nell'indifferenza e nell'ignoranza di ciò che avviene nella realtà e nella vita delle persone. Ci sono volute le migliaia di firme raccolte da una petizione sul portale di Vita.it e un titolo azzeccato di Avvenire perché finalmente le cose si smuovessero.
La seconda considerazione da fare è che 256 euro al mese non garantiscono certo una vita degna a nessuno. Tanto meno a persone che non hanno autonomia in tante funzioni vitali. La risposta non sta certo nel chiedere ad uno stato esausto più di quel che dà; né nell'illudersi che basti stanare le false invalidità per aggiustare la situazione.
La risposta sta in un ripensamento sempre più urgente del sistema di welfare, in cui il privato sociale sia chiamato e incentivato ad avere un ruolo sempre più da protagonista. Solo il privato sociale ha il know how per trasformare in risorsa chi oggi viene recepito solo come passivo destinatario di un assegno a fondo perduto.
PAPA/ Ecco nomi e cognomi di chi vuol "far fuori" Benedetto - Rodolfo Casadei - giovedì 8 luglio 2010 - L’articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola – ilsussidiario.net
Dove non sono arrivati i bersaglieri della breccia di Porta Pia ci arriveranno avvocati e giudici a stelle e strisce; a mettere fine al potere temporale della Chiesa non saranno i cosacchi che abbeverano i loro cavalli alle fontane di Piazza San Pietro, ma gli ufficiali giudiziari che sventolano ingiunzioni di pagamento sotto le finestre del Papa. A rendere non del tutto remoto questo fosco scenario è la decisione con cui settimana scorsa la Corte suprema americana ha deciso di non prendere in esame un ricorso della Santa Sede, chiamata in causa in un processo per abusi sessuali a Portland nell’Oregon.
L’appello chiedeva che fosse riconosciuta l’immunità giudiziaria della Santa Sede di fronte alle Corti Usa in quanto stato sovrano, in base a un principio di diritto internazionale recepito anche dalla legge americana. Non riconoscendo merito legale al ricorso la Corte suprema ha rimandato di fatto il caso alla Corte d’appello di Portland, dove l’avvocato Jeffrey Lena dovrà ora dimostrare che un ex sacerdote già condannato per abusi sessuali e defunto nel 1992 non aveva un rapporto di dipendenza diretta col Vaticano, dunque le vittime non possono esigere indennizzi da Roma.
Se non ci riuscirà, le schiere di avvocati americani capitanati dal procuratore Jeff Anderson che negli ultimi quindici anni hanno spolpato le diocesi statunitensi per una cifra che si avvicina a un miliardo di euro rivolgeranno le loro attenzioni alla Santa Sede. E magari troveranno imitatori nel vecchio continente, dove finora in nessun caso di processo per pedofilia nel clero è mai stato giudicato colpevole il Vaticano. Così potrebbe realizzarsi un vecchio sogno dei protestanti anglosassoni intransigenti che oggi li accomuna ad atei e agnostici militanti: infliggere un colpo mortale al potere temporale della Chiesa, mandandolo in bancarotta.
L’ostilità americana alla Chiesa di Roma non è certo confinata ai Padri pellegrini reduci dalle guerre di religione europee. Dai nativisti del XIX secolo contrari all’immigrazione dai paesi fedeli a Roma alle croci del Ku Klux Klan bruciate di fronte alle chiese cattoliche, dalle leggi dell’Oregon nel 1922 per mettere fuorilegge le scuole parrocchiali alle campagne contro John Kennedy accusato di subalternità agli ordini del Papa alla vigilia delle presidenziali del 1960, l’anticattolicesimo si ripropone come una caratteristica durevole del paesaggio politico-religioso degli Stati Uniti.
Il più recente attacco di origine americana al potere temporale della Chiesa romana, però, è arrivato da un’organizzazione sedicente cattolica: trattasi della campagna contro la Santa Sede per privarla dello status di membro osservatore delle Nazioni Unite promossa nel 2000 dagli abortisti Catholics for a Free Choice di Frances Kissling, femminista direttrice di cliniche per aborti. Non a caso fra le 400 organizzazioni che hanno aderito alla campagna spiccano la Planned Parenthood Federation of America e la National Abortion and Reproductive Rights Action League (Naral), numi tutelari della promozione e diffusione dell’aborto come strumento di controllo delle nascite.
Ma è interessante notare che alla battaglia contro la natura statuale della presenza del Vaticano all’Onu, miseramente fallita nel 2004 (allorché lo status della Santa Sede fu confermato e rafforzato), si unirono anche organizzazioni con interessi non limitati al conflitto con le dottrine cattoliche sull’aborto e altri aspetti attinenti la sessualità. Fra esse D66, un partito democratico radicale olandese che attualmente ha dieci deputati alla Camera bassa e due europarlamentari, l’Associazione Madri Plaza de Mayo, la Cgil italiana (attraverso il suo Ufficio nuovi diritti) e l’Aduc, l’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori.
Secondo i firmatari la Santa Sede «non è uno stato, è il governo della Chiesa cattolica. La Santa Sede chiaramente non soddisfa i criteri legali internazionali stabiliti per la statualità, che includono un territorio definito e una cittadinanza permanente. La Santa Sede non ha un territorio definito, è un governo e non un’entità territoriale». Un punto di vista totalmente snobbato da quasi tutti i governi dei paesi membri dell’Onu, decine dei quali hanno un ambasciatore accreditato presso la Santa Sede e ospitano in patria nunziature o delegazioni pontificie.
Un blitz nel Regno Unito?
Eppure recentemente l’idea è stata ripresa da due pesi massimi della pubblicistica antireligiosa britannica: Richard Dawkins e Christopher Hitchens. I quali hanno incaricato due avvocati di presentare una richiesta di arresto di papa Benedetto XVI quando si presenterà nel Regno Unito nel prossimo mese di settembre niente meno che per «crimini contro l’umanità» per pretese complicità in casi di pedofilia di membri del clero cattolico.
Secondo il Times «Dawkins e Hitchens sono convinti che il Papa non possa invocare l’immunità diplomatica contro l’arresto perché, anche se il suo passaggio è considerato una visita di Stato, egli non è il capo di uno Stato riconosciuto dalle Nazioni Unite». È quello che insistono a ripetere i due avvocati londinesi incaricati del caso, Geoffrey Robertson e Mark Stephens. «È altamente probabile che l’azione legale contro il Papa abbia luogo», ha detto il secondo. «Geoffrey e io siamo giunti alla conclusione che il Vaticano non è veramente uno Stato secondo la legge internazionale. Non è riconosciuto dall’Onu, non ha confini sorvegliati e le sue relazioni internazionali non sono di natura pienamente diplomatica».
Chi pensasse che la messa in discussione del potere temporale della Chiesa sia solo un escamotage per rendere più minacciosa l’azione legale e provocare l’annullamento della programmata visita, sbaglierebbe. Sul sito internet della pomposamente denominata Fondazione Richard Dawkins per la ragione e la scienza, il tema costituisce una vera e propria ossessione, con i fan che delineano la “soluzione finale” per la Chiesa cattolica: «Abbastanza fedeli la abbandoneranno e saranno talmente dissanguati di denaro e proprietà per pagare gli indennizzi giudiziari che la Chiesa cesserà di avere potere secolare».
La finanza internazionale e Zanotelli
Perfino il serioso Financial Times concede a Philip Stephens, commentatore che normalmente si occupa di politica ed economia, di dedicare un intervento della sua rubrica alla crisi nella Chiesa cattolica; nell’articolo Benedetto XVI è descritto come uno che «non si cura» della crisi, o «almeno non se ne cura abbastanza da deflettere dalla sua irriducibile difesa del potere temporale che ha caratterizzato la sua personale ascesa al trono di san Pietro». Non è la prima volta che Stephens scioglie le briglie al suo antipapismo sulle pagine del Financial Times, dove più volte ha condannato i “dogmi cattolici” in materia di celibato sacerdotale e contraccezione.
La crociata ateo-agnostico-abortista contro la natura statuale della Santa Sede trova molti collaborazionisti in casa cattolica. La campagna per il declassamento dello status della Santa Sede presso l’Onu, snobbata da tutte le grandi denominazioni protestanti e ortodosse, incontrò a suo tempo la convinta adesione di molti capitoli nazionali del movimento di cattolici dissidenti Noi siamo Chiesa. Segnatamente quelli di Francia, Olanda, Inghilterra e Galles, Germania e Venezuela. L’appello di Noi siamo Chiesa del 1996 non contiene richieste precise, anche se evoca una «Chiesa umile, povera e pellegrina».
Tuttavia i simpatizzanti del movimento di tanto in tanto intervengono sull’argomento. Nel mese di giugno che è alle nostre spalle in Italia si sono pronunciati per finire il lavoro dei bersaglieri a Porta Pia due preti cattolici piuttosto noti: il comboniano Alessandro Zanotelli e il torinese don Luigi Ciotti. «È ora che il Vaticano venga ripensato», ha detto il primo. «Come si fa a pensare al Papa come capo di Stato? Immaginiamoci Gesù Cristo come capo di Stato. Impossibile, ha rifiutato tutto! Nel secolo scorso, l’unico modo di dare indipendenza al papato era creargli intorno il concetto di Stato. Oggi invece l’Onu è riconosciuta da tutto il mondo e non è uno Stato. Se il Papa non fosse più un capo di Stato sarebbe libero di girare e incontrare chi vuole! Oppure di rifiutarsi, per esempio nel caso di dittatori sanguinari. Per il Vaticano bisogna uscire da questo concetto di stato».
Gli ha fatto eco don Ciotti: «Da anni diciamo che c’è quest’anomalia: un apparato, uno Stato con tanto di ambasciatori che a volte diventa freno e impedisce quella libertà, quella capacità di profezia. Certo questo è uno dei nodi». Insomma, finalmente una causa che mette d’accordo tutto il mondo. Dal governo di Pechino ai preti di frontiera, dai terroristi di al Qaeda alla massoneria.
PASTERNAK/ La notte di Zivago: così la poesia rischiara, anche per poco, la nostra vita - Laura Cioni – ilsussidiario.net
giovedì 8 luglio 2010
Sono a Varikino e Lara, nell’imminenza di una separazione che sarà definitiva, prega Zivago di scrivere i versi che tante volte le ha recitato a memoria, affinché non vadano perduti.
“Era l’una di notte, quando Lara, che fino a quel momento aveva finto di dormire, si assopì realmente. La biancheria fresca, ricamata, splendeva pulita, stirata, su lei, su Katen’ka e nel letto. Anche in quegli anni lei trovava il modo di inamidarla.
Un silenzio beato, colmo di felicità, che alitava dolcemente di vita, circondava Jurij Andreevic. La luce della lampada cadeva con un giallo pacato sul biancore dei fogli e con un riflesso dorato galleggiava sulla superficie dell’inchiostro, all’interno del calamaio. Fuori dalla finestra stava l’azzurra notte invernale, di gelo. Jurij Andreevic passò nella stanza accanto, fredda e non illuminata, da cui si vedeva meglio l’esterno, e guardò dalla finestra. La luce della luna piena fasciava la radura nevosa con una vischiosità tattile d’albume o di biacca. La sontuosità della notte di gelo era indescrivibile. La pace era scesa nel suo animo. Tornò nella stanza illuminata e calda, e si mise a scrivere”.
Boris Pasternak, nato a Mosca nel 1890, scrive Il dottor Zivago nell’isolamento della sua dacia, dove muore nel 1960; solo due anni prima aveva ricevuto il premio Nobel, che consacrava la sua fama all’estero ma non scioglieva il gelo della politica e della cultura sovietica nei suoi confronti.
Nella storia d’amore dei due protagonisti, uno dei temi che si intrecciano nella sinfonia del romanzo, è adombrato il rapporto tra lo scrittore e la tradizione della vecchia Russia. Nel brano che narra la notte silenziosa e gelida in cui Zivago scrive e che è stata conservata intatta nella versione cinematografica, il dono della poesia scende dolcemente su di lui, che veglia attorniato dal bianco della neve ghiacciata, delle lenzuola pulite, dei fogli di carta rapidamente vergati dalla sua mano.
Lo interrompe l’ululato dei lupi dalla radura, poco distante. E non è difficile pensare a quale sorda violenza esso alluda, capace di spazzare via il temporaneo rifugio e la poesia che lo abita. In calce al romanzo l’autore riporta alcune liriche di Zivago sottratte all’oblio. Una, intitolata Il vento, sembra scritta quella notte.
Io sono già morto e tu vivi ancora.
E il vento, con gemiti e pianto,
fa oscillare il bosco e la dacia.
E non per proprio conto ogni pino,
ma tutti insieme gli alberi
nella loro distesa sconfinata,
come armature di velieri
sulla superficie d’una baia.
E non per tracotanza
o per vano furore,
ma per trovare nell’angoscia le parole
d’un canto di culla per te.
È stata a volte sorpresa, non a torto, l’ambiguità di Pasternak e del suo romanzo, la complessità del suo rapporto con la tradizione e con ciò che l’ha sradicata. Forse anch’egli risente del clima del secolo scorso, teso a un rinnovamento che non sempre ha significato la riscoperta della novità presente nella storia di un popolo. Ma non sempre è necessario chiedere all’opera d’arte di svelare in modo compiuto una visione del mondo. Talvolta le cose più riuscite sono quelle che lasciano aperte le domande da cui nascono.
«CARITAS IN VERITATE», UN ANNO DOPO - BASTA COL CINISMO ECONOMICO RICOMINCIAMO IL FUTURO - PIERANGELO SEQUERI – Avvenire, 7 luglio 2010
Un primo effetto – quasi non ci speravamo – è andato immediatamente all’attivo, con l’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI. Parlare dell’amore esclusivamente come di un sentimento, senza immaginarlo insieme come un pensiero e come un lavoro, dopo questa en ciclica è diventato oggettivamente difficile. Gli sviluppi verranno (è un lavoro che economia e teologia non fanno da troppo tempo). Intanto però, a distanza di un solo anno, l’imbarazzo lo sento: 'dentro' e 'fuori'. Ed è molto conforte vole.
Il legame di agape con l’eros aveva avuto la sua audace istruzione nella prima enciclica ( Deus caritas est ). In termini di linguaggio cristiano, e di linguaggio in generale, un gesto di portata storica. In ogni caso, il successivo passaggio, dedicato appunto al profondo legame dell’af fezione con il pensiero e il lavoro, non può es sere equivocato con l’intenzione di rimuovere il pathos dell’affezione, in tutte le sue forme.
Ma, appunto, è il legame con il pensiero e il la voro quello che da tempo ci manca. È la retori ca di un eterno io-tu, senza idee e senza mon do, che ci sta sfiancando. È la giuliva frequen tazione di un amore pieno di tutte le passioni possibili, eccetto quella per la verità – alla qua le crediamo e speriamo di essere destinati – che ci riduce allo stato gassoso. È la globalizzazio ne dell’utile delle opere senza affetti, e senza riguardi per la giustizia e per il bene comune, che ha fermato la storia. Libertà di mercanteg giare ogni cosa, che fa il paio con la commer cializzazione del piacere senza generazione e senza comunità, senza operosità partecipata, né sacrificio condiviso. Terreno di coltura per l’ossessione sperimentale dell’amore di sé, via all’efferatezza del godimento per futili motivi. Amore senza idee, senza invenzione, senza entusiasmo per obiettivi umani di alto profilo, sen za rigore dell’autodisciplina, senza felicità del la donazione. Amore di sé, senza verità condi visa. Nel mito, Narciso affoga nella sua imma gine (già, 'l’immagine'!). Nella realtà, fa affogare noi e i figli che mettiamo al mondo.
Non sentivamo da tempo una parola così net ta nel riportare la 'logica dell’amore' sul suo asse, indicando alla Chiesa – e a tutti, nel mo mento presente: siamo al debito di ossigeno, non facciamo i difficili – la 'cosa necessaria'.
L’enciclica non si tira indietro dall’impegno di articolare concretamente l’urgenza di questo mutamento, che chiede un colpo d’ala in rotta di collisione con l’erotica e la mistica neo-ro mantica dell’amore (sacro o profano che sia). Il 'luogo' del suo esercizio è la società occi dentale odierna: e precisamente, il patto cul turale fra economia del godimento e dissipa zione dell’amore che, dalle nostre contrade, fa il giro del mondo. Le crepe del capitalismo finanziario, le faglie di corruzione della politica, il disorientamento delle giovani generazioni, l’inaridimento dei tratti essenziali della convi venza, l’esaltazione del 'gene egoista', che in dicherebbe l’ideale, e l’irrisione della 'civile compassione' che indebolirebbe la specie, so no i sintomi di una intossicazione che va af frontata seriamente. L’amore senza pensiero e senza lavoro non è un rimedio: è la malattia. Ma trarne pretesto per chiudere con le profon de verità dell’amore, che il Vangelo iscrive nel l’intimità dell’essenza divina e del suo gesto creatore, è cinismo contro l’umanità: che non va più tollerato. Chi ha orecchi per intendere, ascolti la paro la che ci ha ammonito. Il futuro rico mincia da qui. E deve ricomincia re adesso.
Se l’embrione è un «prodotto» - Il bebè in braccio non più alla mamma ma al medico che l’ha realizzato in laboratorio. È la nuova icona della generazione umana, imposta dai tecnoscienziati. - E la vita diventa «cosa» Assuntina Morresi – Avvenire, 8 luglio 2010
Un medico con il camice e la ma scherina, che sol leva fra le mani un neonato: è la nuo va icona della ma ternità, quella del dottore – anziché della mamma – con il figlio in braccio. Un’immagine ricorrente quando si tratta della fecondazione in vitro, che spuntava qua e là fra le centinaia di diapositive proiettate durante il recente convegno internazio nale dell’Eshre, la Società europea di riproduzione umana ed embriologia, che si è tenuto a Roma.
E’ un’istantanea che riassume bene il conte nuto del congresso, e che ne dà una poten te chiave di lettura. I numeri presentati, gli argomenti affrontati, le tecniche illustrate e le pro spettive suggerite per il futuro: tutto ciò di cui si è parlato non si può capire fino in fondo se non si tiene conto della rappresentazione simbolica del la maternità data da quell’immagine. È il medico da solo che mostra al mondo il bambino. Non è ritratto insieme ai genitori, e non potrebbe esser lo, visto che con le nuove tecniche i 'padri' e le 'madri' sono molteplici, sempre più sfuggenti e difficili da individuare: possono essere sociali, biologici, donatori o, più spesso, venditori di gameti, affittuari di uteri, single, coppie omosessuali... E come chiamare quelle donne che ricevono l’o vocita 'fresco' dalle figlie o dalle nipoti (la pro cedura è descritta come donazione intergenera zionale di gameti)? Ma potremmo continuare a lungo nell’elenco dellle 'forme parentali' oggi possibili in laboratorio...
In altre parole, le tecniche di fecondazione in vi tro disegnano un nuovo percorso di maternità, nel quale l’attore principale è il medico/tecno scienziato, ma dove all’inizio ci sono solo cellule, 'progetti di vita' o 'vite potenziali', embrioni che acquisteranno valore solamente se diventeranno bambini in braccio, possibilmente sani. Non a ca so viene specificato con insistenza, da una parte del mondo scientifico, che la gravidanza inizia con l’annidamento dell’embrione nell’utero, e non con il concepimento: una distinzione di cui si capisce il senso se si fa riferimento alla fecondazione in vitro. Riesce difficile, infatti, pensare a una gravi danza iniziata guardando qualche embrione di poche cellule attraverso l’obiettivo del microsco pio, difficile anche per chi quel figlio lo sta dispe ratamente cercando. Ma se gravidanza non è, allora quello in corso può solamente essere un pro cesso di sviluppo cellulare, che acquisterà impor tanza solo se andrà avanti correttamente. n concepimento in laboratorio implica poi l’uso di termini da addetti ai lavori per indi care i nuovi esseri umani, che in una gravidanza naturale non ci sarebbe bisogno di defini re. Si parlerà di pre-zigoti, zigoti, morule, blasto cisti: le immagini al microscopio non riescono a rendere conto dell’enorme complessità – per lar ghissima parte ancora misteriosa – di quanto sta accadendo. Il problema principale in questa fase è produrre un numero di embrioni tali da poter ne scegliere i migliori, per poi trasferirli in utero. Che senso ha allora cercare di formare il numero minimo di embrioni, per perderne il meno pos sibile, come indica la legge 40? L’obiettivo è inve ce averne a disposizione a sufficienza per garanti re la scelta del migliore (il «best embryo», come ormai si usa dire), e poter essere liberi di dispor re degli altri come meglio si crede. Non acaso il verbo utilizzato più spesso dagli addetti alla pro vetta accanto alla parola 'embrioni' è 'produrre'. Come un oggetto.
E il «caso-Puglia» arriva fino a Bruxelles - Interrogazione rivolta alla Commissione Ue e promossa da Mario Mauro – Avvenire, 8 luglio 2010
Il «caso Puglia» approda a Bruxel les. Con un’interrogazione scrit ta alla Commissione europea, l’europarlamentare Mario Mau ro chiede se la delibera della Giunta Vendola, con la quale si autorizzano i consultori familiari a selezionare per l’assunzione solo medici non obietto ri di coscienza, per rendere di fatto più agevole il per corso abortivo, non costituisca «violazione dell’artico lo 9 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo», in particolare sul fronte della «libertà di pensiero, di coscienza e di religione». L’interrogazione è firmata da Mario Mauro con altri colleghi. Intanto mancano pochi giorni alla prima udienza davanti al Tar regionale riguardo al ricorso presentato da 9 ginecologi obietto ri contro la delibera 735 della Giunta Vendola. L’udienza è fis sata per il 15 luglio. Ieri sera il di rettivo del Forum pugliese delle associazioni familiari, in una lunga riunione, ha stabilito le linee d’azione per il pros simo futuro: partendo dalla condanna della delibera di Giunta (peraltro già espressa in innumerevoli modi), si chiede un ampio confronto con i politici per una riorganizzazione dei consultori, in modo da renderli au tentici presidi socio-sanitari e non solo ambulatori me dici. Inoltre si chiede che proprio a partire dai consul tori venga attuata la legge 194 nella sua parte di pre venzione dell’aborto. «Essere obiettori o non obiettori non c’entra nulla – insiste Lodovica Carli, presidente del Forum pugliese –. Alla Regione chiediamo di im pegnarsi su questo fronte, con interventi mirati per aiu tare le donne alle prese con una gravidanza indeside rata ». (A.Ma.)
legge 40 - Quanti embrioni «costa» un bimbo fatto in provetta? - Michele Aramini – Avvenire, 8 luglio 2010
Il ministro della salute Ferruccio Fa zio ha pre sentato in questi giorni l’annuale relazio ne al Parlamento sulle tecniche di procreazione assistita, co me prescritto dalla legge 40. I dati conte nuti nella relazione offrono lo spunto per alcune considerazioni. Il primo dato da sottolineare è quello relativo al numero dei bambini nati nel 2008, che ha supera to la quota di diecimila (10.212). Una par te importante di queste nascite (2357) è stata ottenute con l’inseminazione sem plice. Gli altri ottomila circa sono nati con l’uso delle principali metodiche di fecon dazione artificiale: Fivet (fecondazione in vitro embryo transfert) e Icsi (intra cito plasmic sperm injection). Se si tiene con to che prima dell’entrata in vigore della legge 40 i bambini nati con la Fivet erano meno di quattromila, si comprende subi to come ci sia stato un fortissimo incre mento nell’uso delle tecniche di feconda zione artificiale da parte delle coppie ita liane e un raddoppio del numero dei bam bini nati. Questo dato fa piazza pulita del le obiezioni contro la legge, accusata di es sere illiberale e piena di divieti. Nella realtà la legge 40 ha consentito e consente il ri corso alla fecondazione artificiale a tutte le coppie che vogliono percorrere questa via. Sono escluse solo le coppie omoses suali e alcune coppie portatrici di gravi ma lattie, dato che la legge prevede corretta mente il divieto di fecondazione eterolo ga e quello della diagnosi pre-impianto.
Il secondo dato riguarda proprio la fe condazione eterologa, resa sostanzialmente inutile dall’Icsi. La relazione mi nisteriale mette in evidenza che circa l’80% delle fecondazioni artificiali usa la meto dica Icsi, che prelevando uno spermato zoo soltanto e introducendolo nell’ovulo, permette anche agli uomini una volta con siderati sterili di poter sperare in un figlio proprio. Non è più necessario ricorrere a un donatore. Questo fatto è di grande im portanza, perché i bambini nati in Italia non hanno il buco nero di un genitore bio logico sconosciuto.
Un terzo elemento che emerge dalla rela zione è l’età media delle donne che ricor rono alle tecniche di fecondazione artifi ciale, che in Italia è in crescita (36,1 anni) ed è più elevata della media europea (33,8 anni). Il dato fa riflettere perché è noto che maggiore è l’età della donna, minore è la percentuale di successo della fecondazio ne artificiale. Purtroppo questa basilare informazione manca a molte coppie, ma soprattutto manca l’attivazione di politiche a favore della natalità, che non costringa no le coppie a rimandare la programma zione della nascita dei propri figli.
L’ultima considerazione dobbiamo ri servarla al rapporto tra embrioni pro dotti e bambini in braccio. Per avere i quasi ottomila bambini in braccio, nel 2008 sono stati prodotti 84.861 embrio ni. Quindi, nonostante le norme protetti ve della vita degli embrioni introdotte dal la legge 40, rimane un rapporto di uno a dieci e più. Vuol dire che per avere un bam bino almeno altri nove embrioni vengo no prodotti e perduti. Purtroppo la prote zione degli embrioni è stata indebolita dal la sentenza della Corte costituzionale che ha annullato il numero di tre embrioni co me limite massimo producibile. La mi naccia per la vita embrionale è in crescita per a causa delle diagnosi pre-impianto degli embrioni. A questa specifica diagno si, vietata dalla legge 40, si cerca una scap patoia che la renda possibile. Se ciò acca desse, la diagnosi pre-impianto non ri guarderebbe più solo le coppie portatrici di particolari malattie genetiche, ma dila gherebbe come risultato ovvio di una men talità che ha la pretesa di controllare tutto il processo, anche quando non ci siano in dicazioni specifiche. Insomma la diagno si pre-impianto verrebbe ad avere una fun zione ansiolitica. A fronte di queste pro blematicità morali sarebbe doveroso che, tra i tanti e gravosi impegni a cui le coppie che accedono alla fecondazione artificiale debbono sottoporsi, possa esserci anche quello benefico di un counselling morale, in modo che possano decidere con mag giore libertà.
Michele Aramini
Sì alla selezione «La Corte di Lipsia sa quello che fa?» - Vincenzo Savignano – Avvenire, 8 luglio 2010
«E’ stata a perta una porta che ora non potrà es sere più richiusa». Con questa significativa metafora E berhard Schockenhoff ha commentato il via libe ra della Corte di giustizia tedesca alla diagnosi pre impianto sugli embrioni. Schockenhoff insegna teologia morale all’Università di Friburgo ed è u no dei membri dell’Ethikrat, il Consiglio federale permanente etico, un organo consultivo, compo sto da politici, professori universitari, avvocati e medici che si confrontano sulle principali que stioni etiche. «L’Ethikrat non giunge a conclusioni – spiega Schockenhoff –, ma fornisce indicazioni. All’in terno del Consiglio ci sono spesso opinioni diffe renti, come sulla sentenza della Corte di giustizia di Lipsia, salutata positivamente da medici ed av vocati membri dell’Ethikrat, ma non da me e al tri consiglieri». Con il suo verdetto la Corte di giu stizia ha detto sì alla diagnosi pre-impianto degli embrioni utilizzati nell’inseminazione artificiale per individuare la presenza di eventuali malattie genetiche che verrebbero poi trasmesse al nasci turo.
Il verdetto della Corte di Lipsia è legato a un ca so di Berlino, dove un ginecologo, tra il 2006 e il 2007, aveva ammesso di avere effettuato un test di questo genere su alcuni embrioni per con to di tre coppie, che avevano avuto già figli disa bili, violando di fatto la legge tedesca che vieta la distruzione degli embrioni e indica che tutti quel li creati artificialmente devono essere utilizzati per la gravidanza. Il medico era stato prosciolto da un Tribunale di Berlino nel maggio del 2009, ma la Procura della capitale aveva fatto ricorso e il caso era arrivato alla Corte di giustizia di Lipsia che lo ha scagionato definitivamente. Il medico aveva scoperto malattie ereditarie in alcuni embrioni ed aveva impiantato nelle donne solo gli embrioni sani. Questa pratica in Germania è illegale, anzi era il legale fino alla sentenza della Corte di Lipsia che «ha creato un nuovo precedente giuridico a cui o ra molte coppie potranno appellarsi. E non è da escludere che ora possa anche essere modificata la legge tedesca sulla tutela degli embrioni», ag giunge Schockenhoff che inoltre considera questa sentenza «discriminante nei confronti di tutti le persone disabili della Germania».
È della stessa idea il responsabile nel partito cri stianodemocratico (Cdu) per i problemi dei di sabili Hubert Hüppe. «Escludere a priori la pos sibilità di avere figli con disabilità non è una de cisione che spetta a una Corte di giustizia e tan tomeno a qualunque medico o persona». Insom ma la Corte di Lipsia in Germania ha aperto una porta che difficilmente sarà richiusa, «ma il peri colo più grande – conclude Schockenhoff – è che altre porte possano essere aperte senza sapere e sattamente in che direzione si sta andando». Vincenzo Savignano