martedì 21 settembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) “ATTACCO A RATZINGER”, IL PERCHÈ DELLE ACCUSE CONTRO IL PAPA - Intervista con Andrea Tornielli, vaticanista de “Il Giornale” - di Antonio Gaspari e Carmen Elena Villa
2) Testimonianza di una prigioniera di coscienza lituana - Di Giulia Tanel (del 18/09/2010, in Storia del Novecento, dal sito http://www.libertaepersona.org)
3) L’inferno dei cristiani nella Romania comunista - È esistito un luogo ben peggiore di Auschwitz. Si chiama Pitesti e si trova nel Sud della Romania, 130 km a nord di Bucarest. Qui, tra il 1949 e il 1952, è stato condotto il più orrendo esperimento concentrazionario del dopoguerra. Lo stesso Aleksandr Solzencyn, che pure era passato per i gulag sovietici, arrivò a definire Pitesti «il più terribile atto di barbarie del mondo moderno»… Corrispondenza Romana n.1158 del 18/9/2010
4) Avvenire.it, 21 settembre 2010 - La forza di gesti e parole incalzanti - Li ha spinti a pensare e loro hanno risposto


“ATTACCO A RATZINGER”, IL PERCHÈ DELLE ACCUSE CONTRO IL PAPA - Intervista con Andrea Tornielli, vaticanista de “Il Giornale” - di Antonio Gaspari e Carmen Elena Villa
ROMA, sabato, 18 settembre 2010 (ZENIT.org).- “L’unica cosa che non si perdona a Ratzinger è quella di essere stato eletto Papa…”. Così si conclude il libro “Attacco a Ratzinger. Accuse scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI” (Piemme), scritto da Paolo Rodari, vaticanista de “Il Foglio”, e Andrea Tornielli, vaticanista de “Il Giornale”.
Il libro è stato presentato nel corso del seminario dedicato all’informazione sulla Chiesa cattolica e organizzato a Roma dall’Università della Santa Croce a Roma, dal 6 al 12 settembre scorsi, sul tema “La Chiesa da vicino: raccontare il cattolicesimo al tempo di Benedetto XVI”.
I due autori ricostruiscono con dovizia di particolari e informazioni originali e inedite, come la stampa internazionale si è accanita contro il Pontefice Benedetto XVI.
Dalle polemiche suscitate dal discorso pronunciato a Ratisbona, alle dimissioni dell’Arcivescovo di Varsavia; dal documento che liberalizza la messa antica alla revoca della comunica per i Vescovi Lefreviani; dalla crisi diplomatica scatenata dopo le dichiarazioni circa l’inutilità dei profilattici nella lotta all’AIDS fino al dilagare dello scandalo dei casi di pedofilia.
I due noti vaticanisti analizzano le ragioni sostenute dall’accusa, mostrando come siano i pregiudizi e la disinformazione a dettare le agende e la linea editoriale delle campagna stampa contrarie al Vescovo di Roma.
Gli interessi che muovono la critica contro l’attuale Pontefice sono diversi, Rodari e Tornielli, ne identificano alcuni, e spiegano che il vero obiettivo dei nemici esterni ed interni alla Chiesa è quello di screditare la Santa Sede e il Primato di Pietro, con l’intento di renderne inefficace il messaggio e l’insegnamento.
Per approfondire un tema di così scottante attualità, ZENIT ha intervistato uno degli autori, Andrea Tornielli.
Chi ha interesse a criticare e attaccare il Pontefice di Roma?
Andrea Tornielli: Per gli attachi esterni, credo ci siano degli interessi che non sono gestiti da un'unica regia. Credo che, pur non esistendo un complotto organizzato o un'unica regia, vi siano gruppi, lobbies, poteri economici e/o politici che hanno interesse a depotenziare la voce della Chiesa, riducendone l'autorevolezza internazionale e la presa sulle popolazioni, per i fini più disparati.
Perchè lo attaccano? Perchè gli hanno impedito di parlare all’Università la Sapienza di Roma? Che cos’è che il potere secolarizzato teme dal pontificato di Benedetto XVI?
Andrea Tornielli: Certe campagne mediatiche sono determinate dal "frame" negativo, dal pregiudizio consolidato e per nulla corrispondente alla realtà, che ha dipinto il Cardinale Ratzinger prima e Papa Benedetto poi come un retrogrado conservatore, illiberale e antidemocratico. Il caso della Sapienza è esemplare perché non solo gruppuscoli di studenti ideologizzati ma anche ricercatori e professori hanno "giudicato" Ratzinger sulla base di una citazione sbagliata presa da Wikipedia (il che dovrebbe dirci qualcosa anche sullo stato delle nostre università). Il potere secolarizzato teme l'annuncio di una verità irriducibile, ci sono lobbies e gruppi di potere ai quali dà fastidio la morale cristiana e l'insegnamento etico della Chiesa. In certe situazioni la voce della Chiesa rimane l'unico baluardo di una coscienza non anestetizzata.
Lei ha parlato di attacchi esterni. Pensa che ci siano anche degli attacchi interni?
Andrea Tornielli: Certo, e che sono frutto di ciò che noi chiamiamo un dissenso interno alla Chiesa: cioè teologi e anche Vescovi che criticano apertamente certi aspetti del magistero di Benedetto XVI . E inoltre ci sono degli attacchi inconsapevoli, perche non voluti, da parte della macchina curiale che facilita alcune crisi che si sarebbero potuto evitare o spegnere subito invece hanno fatto sì che si incendiassero e diventassero grandissime.
Durante il volo che lo ha condotto in Portogallo, l’11 maggio scorso, il Pontefice Benedetto XVI ha detto: “Oggi vediamo in modo terrificante che la più grande persecuzione della Chiesa viene dall'interno, dai peccati che ci sono dentro la Chiesa stessa, e non dai nemici fuori”. Quali sono i peccati a cui il Papa si riferisce, e quali sono i gruppi e le persone che lo avversano dall’interno della Chiesa?
Andrea Tornielli: La domanda era stata formulata con un riferimento esplicito agli scandali della pedofilia che coinvolgono esponenti del clero. La risposta del Papa è stata drammatica. Benedetto XVI ha spiegato che l'attacco più forte nasce all'interno, è il peccato nella Chiesa. In fondo, la storia ci insegna che dagli attacchi esterni la Chiesa alla fine è sempre uscita rafforzata, magari dopo lunghi periodi di difficoltà se non di persecuzione. E' l'attacco dall'interno che la demolisce. Ora, non ci sono soltanto i tremendi, anzi "terrificanti" episodi dell'abominevole crimine della pedofilia. C'è anche l'avanzare di un pensiero non cattolico all'interno della Chiesa cattolica: una realtà denunciata con estrema lucidità già dal grande Papa Paolo VI e che oggi purtroppo persiste. Sono rimasto colpito, ad esempio, da certe reazioni forti contro la decisione di Benedetto XVI di liberalizzare la messa antica. Reazioni pubbliche, arrivate anche da Vescovi. Ma gli esempi sarebbero molti.
Il Pontefice, nell’omelia della messa che concludeva l’anno sacerdotale l’11 giugno 2010, ha parlato in toni molto espliciti, di eresie e della necessità dell’uso del bastone contro i lupi che vogliono irrompere nel gregge. A chi si riferiva? Chi sono i lupi che vogliono irrompere nel gregge? Quali sono le eresie moderne che albergano nella Chiesa?
Andrea Tornielli: Nel nostro libro analizziamo le crisi dei primi cinque anni di pontificato di Papa Ratzinger, non facciamo un elenco di possibili eresie. Vorrei però ricordare che purtroppo oggi si diffondono, in modo più o meno sotterraneo, idee e interpretazioni che finiscono per minare la fede dei semplici e più in generale la fede cattolica non su qualche conseguenza - dove magari sarebbe più comprensibile un dibattito e la coesistenza di interpretazioni differenti - ma proprio sull'essenziale della fede. In questo senso, come spiegava l'allora Cardinale Ratzinger agli inizi del suo mandato come Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il Magistero ha il compito di proteggere la fede dei semplici, di coloro che non scrivono sui giornali e non vanno in Tv. In questo senso, il Magistero ha un compito - diceva - "democratico". Credo che un cambiamento radicale che il Papa chiede a tutti sia quello dell'essere coscienti che la Chiesa non è "fatta" da noi, non si può considerare alla stregua di un'azienda, tutto non può essere ridotto a rivendicazioni su funzioni e ministeri, la sua vita non può essere pianificata soltanto con strategie pastorali. Se imparassimo da questo costante richiamo del Papa, forse molti oppositori palesi e occulti comprenderebbero che il Papa non è un monarca assoluto, ma che anch'egli obbedisce a Gesù Cristo nel trasmettere il depositum fidei.
Secondo l’Arcivescovo di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi, esiste un magistero parallelo anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei seminari, sacerdoti e laici che “mettono in sordina gli insegnamenti di Benedetto XVI, non leggono i documenti del suo magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna”. E’ proprio così o monsignor Crepaldi si sbaglia?
Andrea Tornielli: Credo che l’Arcivescovo Crepaldi parli a ragion veduta. E' un dato di fatto, basta girare per molte parrocchie, partecipare a conferenze, incontri culturali, etc. per rendersi conto di come il magistero di Benedetto (ma ciò accadeva anche prima, con gli altri Papi) non sia trasmesso ai fedeli, ma anzi talvolta sia apertamente contraddetto.
Ratisbona, preservativo, Williamsom, abusi sessuali. Sono alcuni dei principali scandali mediatici. Che cosa hanno in comune tutti questi attacchi?
Andrea Tornielli: Credo che l’ unica cosa vera che hanno in comune è quella di aver spostato l'attenzione da ciò che il Papa veramente voleva dire e fare. Per esempio: Ratisbona, il Papa non stava parlando contro l’islam ma stava facendo un discorso sulla fede e la ragione. Questo discorso è passato in secondo piano dal punto di vista mediatico. Poi poco a poco si è capito il dialogo con gli intellettuali islamici. Il preservativo: un tema che il Papa non ha mai toccato nei suoi discorsi in Africa. E stato un viaggio bellissimo: attenzione della gente, partecipazione della liturgia, messaggio importante per quanto riguarda il lavoro del sinodo con cose importante sullo svilupo del Africa, messaggi importanti sullo sviluppo di una teologia africana, tutto dimenticato. Così Williamsom, una iniziativa come togliere la scomunica che era una iniziativa di riconciliazione si è spiegata come una grande crisi nei confronti del mondo ebraico. La cosa in comune è che non si fa pasare il vero messaggio del Papa.
Lo attaccano perché esiste il cliché consolidato, ma anche perché - purtroppo - talvolta il mondo dell'informazione non è preparato a presentare certi messaggi o a interpretarli in una cornice corretta. Lo attaccano perché in più di un'occasione - spiace dirlo ma è così, e nel libro crediamo di averlo documentato - anche chi sta più vicino a Benedetto XVI potrebbe aiutarlo di più per evitare che sorgano polemiche inutili o per spegnerle non appena insorgono.
Come presentate il caso Williamsom nel libro?
Andrea Tornielli: Lì la cosa evidente è che c’è stato qualche problema, come può sempre capitare: la informativa che è stata spedita dalla Svezia, quando lui ha rilasciato l'intervista, non è arrivata sui tavoli giusti in Vaticano. Quando è stato deciso di concludere e togliere la scomunica, in quel momento né il Papa né i suoi collaboratori conoscevano l’intervista. Ma il problema dal mio punto di vista e ciò che è successo dopo cioè che, in quei quattro giorni che sono passati tra la pubblicazione della intervista e l’annuncio ufficiale, il decreto era già stato consegnato. In quel periodo di tempo non si è cercato di fare niente. Si poteva dire ai lefebvriani: “non lo pubblichiamo aspettiamo un mese”, si poteva spiegare il decreto portando un Cardinale importante come Kasper, oppure lo stesso Segretario di Stato che veniva a dire, a nome del Papa, che queste cose dette da Williamsom sono incettabili, che la Chiesa non le ha mai credute e mai le crederà, e che il gesto di togliere la scomunica non c'entra nulla con queste idee. Allora nel nostro libro non accusiamo nessuno, perché credo che siamo parte in causa più della Santa Sede. E per noi, intendo i media. La colpa è più nostra. Ma il Vaticano avrebbe potuto fare meglio.
E nel caso Murphy, il New York Times ha manipolato l’ informazione?
Andrea Tornielli: Intanto diciamo che il problema esiste e dunque non sono falsi casi, sono casi veri, anche se riguardano il passato. Ed è una cosa gravissima. Però credo che ci sia stata in molti casi, la mancanza di competenza e di volontà di capire la totalità dei fattori, che si sia voluto in maniera diretta ed un po' gratuita arrivare subito al Papa, dire che lui è il colpevole di questa situazione e di questo fatto, perché i documenti del New York Times erano tradotti con google translator e l’inglese non corrispondeva alla realtà di quanto scritto in latino. Allora, io capisco tutto, non sto giudicando, però è certo che ci sia stata una campagna e che era finalizzata a cercare e ad addossare la responsabilità sul Papa. Detto questo, però, credo che la grande risposta del Papa non sia mai stata quella di difendersi attaccando gli altri. Non ha mai parlato nei confronti della stampa di campagna mediatica, non si è mai rifugiato dietro le statistiche come hanno fatto i suoi collaboratori. Lui ha mostrato un alto punto di vista che è il punto di vista della fede e ha detto che gli attachi più grandi sono venuti dall'interno della Chiesa. Lui chiama questo tempo un tempo di grazia e di purificazione. Dice: dobbiamo fare penitenza e cambiare. Questo lo trovo molto cristiano e molto bello dal punto di vista del Papa. Mi piacerebbe che fosse assunta di più questa posizione da parte di tutti.
[Lunedì 20 settembre, la seconda parte dell'intervista]

“ATTACCO A RATZINGER”, IL PERCHÈ DELLE ACCUSE CONTRO IL PAPA (II) - Intervista con Andrea Tornielli, vaticanista de “Il Giornale” - di Antonio Gaspari e Carmen Elena Villa
ROMA, lunedì, 20 settembre 2010 (ZENIT.org).- Il Papa è spesso al centro delle critiche non solo perché ribadisce con forza gli insegnamenti della Chiesa nell'ambito della bioetica o della giustizia sociale, ma anche perché non viene sufficientemente aiutato dai suoi collaboratori nello spegnere le polemiche sul nascere.
E' quanto afferma in questa intervista il vaticanista de “Il Giornale”, Andrea Tornielli, coautore insieme a Paolo Rodari, vaticanista de “Il Foglio”, del volume “Attacco a Ratzinger. Accuse scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI” (Piemme).
La prima parte è stata pubblicata il 18 settembre.
Come comunicare le cose più belle che dice il Papa. Qual è il compito dei giornalisti cattolici di far conoscere le cose più belle che ha detto il Papa invece di quelle su cui girano sempre le notizie?
Andrea Tornielli: Parlo in base alla mia esperienza personale. Scrivo per un giornale laico. Devo tenerne conto. Allora, credo che una prospettiva giusta sia quella di tener conto di certi titoli, tener conto anche di certe polemiche senza dimenticare mai il cuore del messaggio. Anche perche bisogna ricordare che non è vero che la gente non è interessata al cuore del messaggi. Uno pensa: “La gente è interessanta a quello che dice il Papa sulle coppie omosessuali” e magari si crede che la storicità di Gesù Cristo non sia interessante. Il contrario! Perche oggi c'è una grande ignoranza purtroppo ma anche una grande voglia di contenuti religiosi. Il problema è che il contenuto religioso deve essere espresso, comunicato in maniera interessante. Non è vero che la religione non sia il cuore del messaggio per i lettori.
In che modo tutti quelli scandali influiscono sul punto di vista del cittadino comune, che magari non va a documentarsi sul sito del Vaticano?
Andrea Tornielli: Purtroppo mi sono reso conto, durante i mesi che ho trascorso in Irlanda, di una cosa su cui non mi ero reso conto prima, perché in Italia la situazione è diversa. Ho visto, in sostanza, come una comunicazione non corretta da parte dei media, con titoli sparati, influisca sulla fede della gente. E' un fatto reale. Io sono rimasto sconvolto perché credevo che l’errore di comunicazione, il titolo sbagliato sporcassero un po’ l’immagine del Papa, ma che restassero nel circolo mediatico perché la gente sa qual è la verità. Ma il problema è che la gente non lo sa! Tutti guardano la TV, restano impressionati da un titolo di giornale e finiscono per credere alle cose che leggono. Allora, io credo che qui ci sia una responsabilità grandissima perché un messaggio sbagliato va a toccare la fede della persona; e una responsabilità grandissima per il sistema dei media. Credo, tuttavia, che sia necessario che anche la Chiesa lo capisca. Faccio un esempio banale: quando è uscito il romanzo “Il Codice Da Vinci”, ho tenuto una quarantina di conferenze sull'argomento e la gente era piena di domande. Spesso e volentieri ho trovato dei sacerdoti che dicevano: “Ma è soltanto un romanzo”. Adesso, a distanza di diversi anni, ci sono delle ricerche universitarie che mostrano anche come in Italia il 25% dei liceali sia convinto che Gesù era sposato. E qual è la fonte di questa informazione? Non il parroco, i media! Bisogna rendersi conto che certe bugie vano combattute un po’ con le stesse armi, non con altre bugie; con un messaggio e con un linguaggio che punti allo stesso livello di diffusione, di chiarezza e di interesse.
Lei ha scritto su Pio XII e Paolo VI. Qual è il rapporto tra gli attacchi ai Papi precedenti e gli attacchi attuale?
Andrea Tornielli: Ci sono alcune cose in comune, anche se devo dire che gli attacchi contro Pio XII si sono scatenati dopo la sua morte, per cui era una cosa completamente diversa. Invece gli attacchi a Paolo VI sono stati durissimi. La situazione oggi è molto migliorata. Gli attacchi contro Paolo VI erano feroci, anche dentro la Chiesa e di una cattiveria, di una forza, veramente devastante tanto che lui dopo avere scritto l’Humanae Vitae nel 1968, per 10 anni non ha più voluto scrivere una enciclica per non sottoporrete un documento così autorevole del Pontefice a critiche così feroci.
Credo, quindi, che ci siano delle similitudini ma il periodo storico è diverso. Oggi ci troviamo di fronte al fatto che per Benedetto XVI c’è un pregiudizio negativo, perché viene presentato come retrogrado, come anti-democratico e anti-liberale e contrario alla modernità e questo è purtroppo un fronte che si è imposto a livello mediatico. E' difficilissimo smantellarlo. Per quanto riguada Pio XII si dice che era amico dei nazisti, anti-semita. Tu poi scrivere quello che voi, tirare fuori quello che vuoi ma è un lavoro difficilissimo, che richiede anni per far cambiare poco a poco le idee. La fortuna è che mentre Pio XII è morto senza difendersi, Benedetto XVI incontra la gente e la gente quando lo vede parlare si rende conto che il ritratto, che speso i media gli hanno costruito addosso non corrisponde alla realtà.
Lei sostiene che attraverso le polemiche giornalistiche si cerca di confondere i fedeli, nascondendo la vera portata delle parole e delle azioni di Benedetto XVI, presentando il Pontefice come un anziano conservatore, tradizionalista, antimoderno, fuori dalla storia. Eppure questo Pontefice sta compiendo delle cose mirabili, quali per esempio il recupero della fede nei popoli secolarizzati, le buone relazioni con le diverse confessioni cristiane, soprattutto con anglicani e ortodossi russi, il rinnovamento nell’ubbidienza e nelle fedeltà del clero, la pratica della nuova evangelizzazione… Insomma lo attaccano perchè sta rivitalizzando in meglio la Chiesa cattolica?
Andrea Tornielli: E' anche così, ma non solo così. Lo attaccano perché ribadisce certi insegnamenti sulla bioetica ma anche perché parla di povertà e di globalizzazione. Lo attaccano perché esiste il cliché consolidato, ma anche perché - purtroppo - talvolta il mondo dell'informazione non è preparato a presentare certi messaggi o a interpretarli in una cornice corretta. Lo attaccano perché in più di un'occasione - spiace dirlo ma è così, e nel libro crediamo di averlo documentato - anche chi sta più vicino a Benedetto XVI potrebbe aiutarlo di più per evitare che sorgano polemiche inutili o per spegnerle non appena insorgono.


Testimonianza di una prigioniera di coscienza lituana - Di Giulia Tanel (del 18/09/2010, in Storia del Novecento, dal sito http://www.libertaepersona.org)
“Chi riuscirà mai a contare i milioni di detenuti i quali, totalmente disumanizzati, conducono dietro il filo spinato una vita veramente d’inferno, fatta solo della più spaventosa amoralità, di crudeltà e di odio” (Nijole Sadunaite, Un sorriso dal Lager, Roma, Aiuto alla chiesa che soffre, p. 112).
Scriveva così la lituana Nijole Sadunaite, condannata nel 1975 a tre anni di lager a regime duro ed a tre anni di esilio in Siberia per aver difeso con decisione la libertà di religione e i diritti dell’uomo, che in Lituania erano brutalmente calpestati. (nella foto: la collina delle croci, in Lituania)
In maniera molto fortunosa sono giunte fino a noi delle sue memorie di quei terribili anni in balia del governo comunista. Ma la sua non è un’isolata storia del passato: ancora oggi ci sono moltissimi prigionieri di coscienza, solo che troppo spesso le loro storie rimangono sepolte nel buio di una prigione. Riuscire a far trapelare informazioni è una rarità.

Dal punto di vista biografico, di Nijole Sadunaite si sa pochissimo, ma le sue pagine di memorie compensano largamente tale mancanza. Infatti, dall’agile libretto “Un sorriso dal lager” emerge prepotente la solidità di questa esile donna lituana, profondamente radicata nella religione cattolica. Lei, che per colpa della sua devozione religiosa venne condannata, proprio grazie alla fede riuscì a salvarsi. Infatti, dopo cinque mesi di interrogatori, Nijole si sente rivolgere queste parole: “<<>>” (op. cit. p. 38).
Che Nijole Sadunaite fosse una persona particolare, lo si era già capito dalla sua decisione di rinunciare all’assistenza di un avvocato difensore (per evitare di mettere in pericolo le persone che glielo avrebbero procurato), e dalla coraggiosa affermazione secondo cui: “[…] la verità non ha bisogno di avvocati difensori, poiché essa è onnipotente e invincibile! Soltanto l’inganno e la menzogna, essendo impotenti di fronte alla verità, hanno bisogno di armi, di soldati e di prigioni per prolungare il loro infame dominio e, comunque, anche questo solo temporaneamente…” (op. cit. p. 10).

Dopo dieci mesi di infruttuosi interrogatori nel carcere del Kgb, Nijole venne trasferita nel lager della Mordovia. Giunta qui dopo un estenuante viaggio di un mese stipata con altri prigionieri su un treno, Nijole aveva il dovere – come le altre sue compagne prigioniere – di confezionare 60 paia di guanti da lavoro al giorno: se non raggiungevano tale numero venivano imprigionate. Per ovviare a questo le donne erano costrette a lavorare fino alle quattordici ore al giorno, concedendosi solo delle piccole pause per mangiare e per pregare. Sì, perché in mezzo a tale orrore, la preghiera è l’unica cosa che consente di evitare il degrado. Nijole, infatti, era detenuta insieme a delle pravoslave, che avevano l’abitudine di cantare sommessamente durante il lavoro. “Una volta imparati i loro canti, presi anch’io ad unirmi a loro. In quei momenti mi sembrava di trovarmi in un santuario, tanta era la serenità e il benessere che provavo nell’animo. Non a caso si dice che la preghiera in comune arriva dal cielo. Ma pregare in gruppo è vietato nel lager e, sovente, ci costringevano a smettere, ma noi, dopo un po’, ci raccoglievamo nuovamente ad onorare e ringraziare Dio per il Suo amore verso noi peccatrici. La preghiera in comune è senz’altro il momento più luminoso e felice della vita nel lager” (op. cit. p. 77).
Lager, quelli comunisti, sotto molto aspetti simili a quelli fascisti. Anche se, sempre secondo Nijole, il comunismo si era rivelato essere ancora peggiore del fascismo, infatti: “i fascisti hanno svolto un’opera decisamente criminale, ma almeno non lo nascondevano! Essi dicevano apertamente che avrebbero annientato, chi avrebbero soggiogato e tutti lo sapevano. Voi [si sta rivolgendo ad un cekista, ndr] commettete gli stessi crimini, tentando però di mascherarvi da ‘liberatori’, da ‘fratelli’, mentre dietro la schiena nascondete lo stesso coltello insanguinato…” (op. cit. p. 43). Perché la morale comunista altro non è che: “maledire tutto ciò che vi è di nobile e di sacro e solo nei rapporti internazionali indossare una maschera di ipocrita civiltà” (op. cit. p. 51).


Al termine dei tre anni di detenzione nel lager, prima di essere trasferita in Siberia, Nijole Sadunaite fu sottoposta alla “rieducazione”, svolta da una docente di marxismo-leninismo di una scuola superiore, la quale aveva il compito di convincerla dell’erroneità delle sue posizioni cattoliche. Naturalmente fu un buco nell’acqua. “La docente, una donna pressappoco della mia stessa età, rimase assai meravigliata nel vedermi così: non si attendeva di fronte una persona così di buon umore e disponibile. Cominciammo a parlare e ben presto mi resi conto che essa non aveva benché minima cognizione della religione, al che le dissi: come. Essa ammise subito senza difficoltà di essere digiuna in materia di religione e di non aver nemmeno mai letto il Vangelo. Mostrò interesse per le mie spiegazioni riguardo la potenza della preghiera e la misericordia di Dio verso gli uomini, dopo di che, commentò pensosa: <<>>” (op. cit. p. 100).

In seguito Nijole fu esiliata a Boguèani fino al 7 luglio 1980, data della liberazione.

Dopo questi sei anni di stenti, la salute della Sadunaite era compromessa: aveva una febbre costante attorno ai 37,7°. Ma lo spirito combattivo era rimasto quello delle origini. Infatti, nonostante il divieto, Nijole cominciò a raccontare a tutti la sua storia e scrisse le preziose memorie che sono giunte fino a noi. Pagine, queste, che terminano così: “Le sofferenze per Cristo costituiscono un segno di speciale predilezione. Desidero concludere questi miei ricordi con l’inno di ringraziamento: (op. cit. p. 140).


L’inferno dei cristiani nella Romania comunista - È esistito un luogo ben peggiore di Auschwitz. Si chiama Pitesti e si trova nel Sud della Romania, 130 km a nord di Bucarest. Qui, tra il 1949 e il 1952, è stato condotto il più orrendo esperimento concentrazionario del dopoguerra. Lo stesso Aleksandr Solzencyn, che pure era passato per i gulag sovietici, arrivò a definire Pitesti «il più terribile atto di barbarie del mondo moderno»… Corrispondenza Romana n.1158 del 18/9/2010


Ogni anno, puntualmente, si sente dire, da capi di Stato e di governo, politici e storici la frase: “Mai più Auschwitz!”. Accade solitamente a ridosso della settimana della memoria, quando si commemora il genocidio ebraico avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale.
Auschwitz è diventata così una parola che rimanda di per sé al male assoluto, a quanto di più terribile sia mai esistito: continuamente film, mostre e libri perpetuano il ricordo di quanto avvenuto allora. Eppure, per quanto incredibile possa sembrare, è esistito un luogo ben peggiore di Auschwitz. Si chiama Pitesti e si trova nel Sud della Romania, 130 km a nord di Bucarest.
Qui, tra il 1949 e il 1952, è stato condotto il più orrendo esperimento concentrazionario del dopoguerra. Gli oppositori del regime comunista (principalmente studenti universitari, liberali, conservatori e cristiani di tutte le confessioni) furono condotti in questo carcere speciale con l’obiettivo di rieducarli, di farne degli “uomini nuovi”, come sosteneva il segretario generale del Partito comunista, la stalinista Ana Pauker (1893-1960). È quanto racconta il giornalista del “Corriere della Sera” Dario Fertilio in un libro-testimonianza uscito da poco nelle librerie, che non mancherà di far discutere (Dario Fertilio, Musica per lupi. Il racconto del più terribile atto carcerario nella Romania del dopoguerra, Marsilio, pp. 172, euro 15,00).
Quello che accadde a Pitesti in quegli anni, secondo Fertilio, rappresenta «qualcosa di imparagonabile e unico nella storia del Novecento: non l’annientamento ideologico e biologico come ad Auschwitz; non lo sterminio pratico e di massa come nei gulag sovietici e neppure la rieducazione forzata e spietata come in Vietnam o Cambogia.
Si tratta piuttosto di una tortura ininterrotta, attuata di giorno e di notte secondo regole precise, e concepita come un fine in se stesso». Non a caso lo stesso Aleksandr Solzencyn, che pure era passato per i gulag sovietici, arrivò a definire Pitesti «il più terribile atto di barbarie del mondo moderno». È difficile raccontare gli episodi descritti restando dei semplici cronisti: i prigionieri venivano condotti prima in isolamento completo, poi spinti a tradire i propri cari e i propri amici raccontando tutto il loro passato, quindi, se si rifiutavano, costretti a subire torture di ogni tipo che avevano l’obiettivo di avvicinare la povera vittima alla morte fermandosi però appena un attimo prima, facendo in modo che – se possibile – restasse viva ma in realtà desiderasse morire.
Il tutto veniva raggiunto con la collaborazione degli stessi compagni di prigionia che erano già passati a servire i diktat dei capi designati del campo di concentramento, come Eugen Turcanu, un uomo che da alcuni sopravvissuti è stato descritto come l’incarnazione di Lucifero e i cui crimini furono talmente aberranti da costringere lo stesso regime stalinista a giustiziarlo. L’aspetto anticristiano del “sistema-Pitesti” peraltro, non è marginale per comprendere l’essenza del comunismo rumeno. Turcanu si preoccupava anzitutto di distruggere i sentimenti di pietà e di carità che i credenti rinchiusi a Pitesti cercavano con tutte le forze di conservare.
Come egli stesso disse, era imperativo distruggere le anime delle persone, perché chi pensa di avere un'anima è già un “malato”, nemico del popolo, da rieducare e, se proprio si rifiuta, da giustiziare usando le torture più diaboliche, sia fisiche che psichiche. I ragazzi più giovani (specialmente seminaristi e religiosi) venivano così costretti a subire atti contro la propria volontà, in particolar modo sessuali, e obbligati a torturarsi a vicenda. Il cattolico doveva essere “rieducato” con un uso pressoché settimanale di orge omosessuali e atti blasfemi (come giaculatorie evocanti satana e parodie dissacratorie dei Sacramenti facendo uso di escrementi e spazzatura), amplificate ancor di più in corrispondenza delle principali feste dell’anno come Natale e Pasqua. «Guarderemo Dio dall’alto in basso!» dicevano Turcanu e gli altri capi, invitando i credenti che non volevano arrendersi a bestemmiare il più possibile.
In questo inferno entrarono tutti, senza limiti di età: il più anziano che si conosca, un ex ministro, vi entrò a 94 anni. Dei bambini vi entrarono dopo aver compiuto il primo anno di età. Non sorprende che uno dei pochissimi sopravvissuti, il sacerdote Roman Braga, abbia descritto la sua esperienza in questi termini: «Penso che non ci sia nessuna mente al di fuori di quella di Lucifero capace di inventare il “Sistema Pitesti” che teneva sospesi tra la follia e la realtà, tra l’essere e il non essere, con l’idea ossessiva di poter scomparire o, peggio ancora, di dover ricadere sotto il Terrore delle torture».


Avvenire.it, 21 settembre 2010 - La forza di gesti e parole incalzanti - Li ha spinti a pensare e loro hanno risposto
Si potrebbe dire che è la sorpresa del giorno dopo. Anzi, meglio, la «solita» sorpresa. Con qualche ingrediente in più, questa volta. Perché se ai viaggi papali previsti (e raccontati) come «difficili», «complessi» e circondati da un’«atmosfera ostile» siamo abituati, forse nessuno come questo appena concluso nel Regno Unito era stato presentato come una pura e semplice mission impossible. Un’avventura senza speranza nel cuore del secolarismo più avanzato, dell’indifferenza religiosa più acuta, del relativismo etico più manifesto.

Il riconoscimento – e in che misura! – del successo della visita oltremanica di Benedetto XVI risuona, anche per questo, tanto più forte. E non c’è dubbio che, parlando di successo vero e pieno, si parla di qualcosa che va oltre la mondanità degli ascolti, e ben oltre lo stupore immediato. Papa Ratzinger ha colpito con i suoi gesti semplici e le sue parole profonde, incalzanti. All’occorrenza anche dure. A celebrare in Newman, profondamente inglese e anglicano tanto quanto lucidamente cattolico, la modernità teologica aperta al confronto col mondo.

A pressare, proprio in nome di quella modernità, la più antica democrazia del pianeta e a spingerla a interrogarsi se si possa davvero costruire una società migliore mettendo la fede da un parte. A pregare, assieme ai fratelli anglicani, per un’unità che deve diventare testimonianza comune, quotidiana, a ogni livello. A esprimere indignazione e vergogna per gli abusi sui minori commessi da alcuni figli della Chiesa, e a chiedere e assicurare giustizia. A ringraziare, da tedesco, per il contributo decisivo dato dal Regno Unito per fermare la «follia nazista».

La gente ha visto. Ha ascoltato. Ha capito. Certamente, molto ha contribuito, in questo successo, il proscenio offertogli dall’ospite, a cominciare da quella Westminster Hall in cui il Papa ha pronunciato uno dei discorsi più alti del suo già straordinario pontificato. Un interesse, quello verso Oltretevere da parte del mondo britannico, che ha molte ragioni, a cominciare dalla crescita del numero dei cattolici nel Paese – un milione in più in neppure trent’anni, per lo più immigrati – la condivisione con la Santa Sede di tanti obiettivi di sviluppo e, soprattutto, il riconoscimento di un’influenza a livello planetario certamente non proporzionale ai 44 ettari della Città del Vaticano.
Un’attenzione pragmatica, se si vuole, nel più stretto stile d’Oltremanica.

Ma pragmatico non vuol dire utilitaristico. Nel commosso saluto della speaker della Camera a Westminster Hall, nell’abbraccio del Primate della Chiesa d’Inghilterra, o a Birmingham nell’inatteso e commosso saluto finale – «ha dato a tutti noi qualcosa su cui riflettere» – del primo ministro David Cameron, s’è vista la misura di quale breccia Benedetto XVI abbia aperto. Di come abbia sorpreso, e di come questo sia stato un segno intenso e felice. Perché in realtà sorpresa non è stata, ma conferma e risposta a un’attesa manifesta e serena, perfettamente leggibile – da chi avesse voluto – già alla vigilia del viaggio.

E, in questo, va dato atto che quella parte della stampa inglese che aveva giocato sull’immagine di mission impossible, alla fine ha avuto l’onestà, e il coraggio, di dare all’ospite tutta l’attenzione dovuta e meritata. Senza nascondere alcunché, e anzi riconoscendo i propri errori di valutazione. Sia di fronte alle decine di migliaia di persone che, anche a Londra, lì sì in modo del tutto inaspettato, si sono riversate sulle strade per vedere il Papa, sia, soprattutto, al cospetto di un pensiero che Benedetto XVI ha presentato nitido, con una semplicità e una forza impossibili da ignorare. Papa Ratzinger col suo stile mite e forte costringe a pensare, ponendo domande che toccano chi sa ascoltare e che nessuno dovrebbe più ignorare.
Salvatore Mazza