Nella rassegna stampa di oggi:
1) Maria a Medjugorje. Messaggio del 25 settembre 2010 - "Cari figli, oggi sono con voi e vi benedico tutti con la mia benedizione materna di pace e vi esorto a vivere ancora di più la vostra vita religiosa perchè siete ancora deboli e non siete umili. Vi esorto figlioli, a parlare di meno e a lavorare di più sulla vostra conversione personale affinchè il vostro testimoniare sia fruttuoso. E la vostra vita sia una preghiera incessante. Grazie per aver risposto alla mia chiamata. "
2) BENEDETTO XVI: “DIO AMA I POVERI” - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
3) Che Cristo ci tenda la mano…- Antonio Socci da “Libero” 24 settembre 2010 - “Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me in questo modo doloroso e umiliante, anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché, nonostante tutto, continua a essere una realtà illusoria da cui non riesco a liberarmi?”.
4) CHIARA LUCE BADANO, “UNA RAGAZZA DAL CUORE CRISTALLINO” - La prima beata del movimento dei Focolari
5) Profilo biografico della Venerabile Serva di Dio Chiara Badano - Mercoledì 31 Marzo 2010 – dal sito http://www.chiaralucebadano.it
6) Il banchiere del papa resiste alla bufera - Un'indagine giudiziaria colpisce la banca vaticana e il suo presidente Gotti Tedeschi. Ma questi lavora da un anno proprio per ripulirla dal malaffare. Col pieno mandato di Benedetto XVI e con molti nemici esterni ed interni di Sandro Magister
7) L’ateo Chiamberge: «l’UAAR, Odifreddi e la Hack mi fanno correre in Chiesa». Da http://dallaragioneallafede.blogspot.com
8) La legge sull'omofobia? Una cosa idiota, scientificamente ed etimologicamente inesatta. Il termine non vuole dire odio verso i gay. Il film la Passione? Una dimostrazione d'intolleranza di Bruno Volpe da http://www.pontifex.roma.it
9) Avvenire.it, 25 settembre 2010 - I RAGAZZI E I PROFESSORI: PRIMA LA MERAVIGLIA POI LA CONOSCENZA - Cuori freddi, teste calde
10) Il cuore della Legge di Rino Fisichella - «Quanto più cresce la conoscenza del creato e dell’uomo in esso, tanto più si tocca con mano il mistero che circonda la natura e l’esistenza personale. Più la scienza progredisce nel suo indagare sull’universo con le sue forme, e maggiormente si scopre l’inadeguatezza dello strumento per entrare fino in fondo nel cosmo. Se si vuole, la stessa osservazione può valere per il diritto» - Avvenire, 26 settembre 2010
BENEDETTO XVI: “DIO AMA I POVERI” - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
ROMA, domenica, 26 settembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le parole pronunciate da Benedetto XVI questa domenica ad introduzione della preghiera dell’Angelus recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini riunitisi nel cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Nel Vangelo di questa domenica (Lc 16,19-31), Gesù narra la parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. Il primo vive nel lusso e nell’egoismo, e quando muore, finisce all’inferno. Il povero invece, che si ciba degli avanzi della mensa del ricco, alla sua morte viene portato dagli angeli nella dimora eterna di Dio e dei santi. "Beati voi poveri – aveva proclamato il Signore ai suoi discepoli – perché vostro è il regno di Dio" (Lc 6,20). Ma il messaggio della parabola va oltre: ricorda che, mentre siamo in questo mondo, dobbiamo ascoltare il Signore che ci parla mediante le sacre Scritture e vivere secondo la sua volontà, altrimenti, dopo la morte, sarà troppo tardi per ravvedersi. Dunque, questa parabola ci dice due cose: la prima è che Dio ama i poveri e li solleva dalla loro umiliazione; la seconda è che il nostro destino eterno è condizionato dal nostro atteggiamento, sta a noi seguire la strada che Dio ci ha mostrato per giungere alla vita, e questa strada è l’amore, non inteso come sentimento, ma come servizio agli altri, nella carità di Cristo.
Per una felice coincidenza, domani celebreremo la memoria liturgica di san Vincenzo de’ Paoli, patrono delle organizzazioni caritative cattoliche, di cui ricorre il trecentocinquantesimo anniversario della morte. Nella Francia del 1600, egli toccò con mano proprio il forte contrasto tra i più ricchi e i più poveri. Infatti, come sacerdote, ebbe modo di frequentare sia gli ambienti aristocratici, sia le campagne, come pure i bassifondi di Parigi. Spinto dall’amore di Cristo, Vincenzo de’ Paoli seppe organizzare forme stabili di servizio alle persone emarginate, dando vita alle cosiddette "Charitées", le "Carità", cioè gruppi di donne che mettevano il loro tempo e i loro beni a disposizione dei più emarginati. Tra queste volontarie, alcune scelsero di consacrarsi totalmente a Dio e ai poveri, e così, insieme con santa Luisa di Marillac, san Vincenzo fondò le "Figlie della Carità", prima congregazione femminile a vivere la consacrazione "nel mondo", in mezzo alla gente, con i malati e i bisognosi.
Cari amici, solo l’Amore con la "A" maiuscola dona la vera felicità! Lo dimostra anche un’altra testimone, una giovane, che ieri è stata proclamata Beata qui a Roma. Parlo di Chiara Badano, una ragazza italiana nata nel 1971, che una malattia ha condotto alla morte a poco meno di 19 anni, ma che è stata per tutti un raggio di luce, come dice il suo soprannome: "Chiara Luce". La sua parrocchia, la diocesi di Acqui Terme e il Movimento dei Focolari, a cui apparteneva, oggi sono in festa - ed è una festa per tutti i giovani, che possono trovare in lei un esempio di coerenza cristiana. Le sue ultime parole, di piena adesione alla volontà di Dio, sono state: "Mamma, ciao. Sii felice perché io lo sono". Rendiamo lode a Dio, perché il suo amore è più forte del male e della morte; e ringraziamo la Vergine Maria che conduce i giovani, anche attraverso le difficoltà e le sofferenze, ad innamorarsi di Gesù e a scoprire la bellezza della vita.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Sono lieto di accogliere, da vari Paesi, il folto gruppo di Figlie della Carità, Sacerdoti della Missione e laici delle Associazioni Vincenziane; come pure i Fratelli della Società dell’Apostolato Cattolico (Pallottini).
Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare la Scuola Pio XII di Castel Gandolfo, i bambini del gruppo Sant’Antonio di Ducenta, le associazioni "Fondo di Solidarietà" e "Cultura e Salento" di Taviano, "Calima" di Orzinuovi, e "Bellitalia" di Roma, e i fedeli di Città Sant’Angelo. Nella lingua di Dante saluto anche gli studenti dell’Aquinas College di Sydney, con un ricordo sempre vivo per quella città, dove abbiamo vissuto una memorabile Giornata mondiale della Gioventù!
Cari amici, a Dio piacendo, giovedì prossimo ritornerò a Roma; perciò, mentre auguro a tutti una buona domenica, rivolgo il mio cordiale "arrivederci" alla comunità di Castel Gandolfo.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
Che Cristo ci tenda la mano…- Antonio Socci da “Libero” 24 settembre 2010 - “Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me in questo modo doloroso e umiliante, anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché, nonostante tutto, continua a essere una realtà illusoria da cui non riesco a liberarmi?”.
Questo è il grido lanciato da Antonius Block, il cavaliere medievale protagonista del celebre film di Ingmar Bergman, “Il settimo sigillo”. E’ il cavaliere la cui condizione esistenziale sta tutta in quella famosa partita a scacchi con la Morte, giocata in riva al mare, per protrarre la sua vita.
La sua disillusione e la sua angoscia, al ritorno dalle crociate, quindi con un passato cristiano alle spalle (Bergman era figlio di un pastore protestante), sono il perfetto ritratto della condizione dei moderni che hanno spazzato via Dio dal mondo e dalla loro vita, ma che non riescono a sradicarlo da se stessi perché il bisogno di Lui, il desiderio di infinito, di eternità, di significato, di amore – cioè il desiderio di Dio – grida nelle proprie stesse carni, nel profondo del cuore, nell’anima che si sente orfana.
Proprio queste parole vengono in mente di fronte a quanto è successo in Gran Bretagna durante la visita di Benedetto XVI. “Un evento storico”. Così ieri il Papa ha commentato con entusiasmo il suo recente viaggio.
Ratzinger non è tipo che usa le parole a vanvera. Non intendeva usare un’espressione enfatica per esaltare semplicemente il significato storico della visita del Pontefice romano nel Paese più laico d’Europa, il più storicamente “antipapista”.
Ha spiegato che è stato un evento storico anzitutto perché ha rovesciato tutte le previsioni. Tutti avevano annunciato che il Successore di Pietro sarebbe stato accolto da ostilità laica, contestazioni, gelo anglicano, formalismo delle autorità e indifferenza della gente comune.
Invece è accaduto l’opposto e perfino i giornali britannici, solitamente acidi con la Chiesa di Roma hanno riconosciuto di essersi sbagliati e hanno sottolineato la sorpresa che è stata la scoperta di questo Papa, umile, buono e sapiente. In fin dei conti hanno ammesso il grande fascino del cattolicesimo che parla loro dalle proprie stesse radici, dai secoli della loro grande storia cattolica.
Infatti ieri, il Papa, all’udienza del mercoledì, ha detto: “nelle quattro intense e bellissime giornate trascorse in quella nobile terra ho avuto la grande gioia di parlare al cuore degli abitanti del Regno Unito, ed essi hanno parlato al mio, specialmente con la loro presenza e con la testimonianza della loro fede. Ho potuto infatti constatare quanto l’eredità cristiana sia ancora forte e tuttora attiva in ogni strato della vita sociale. Il cuore dei britannici e la loro esistenza sono aperti alla realtà di Dio e vi sono numerose espressioni di religiosità che questa mia visita ha posto ancora più in evidenza”.
Poi è sceso nel dettaglio per sottolineare come tutti abbiano accolto con “grande calore ed entusiasmo” lui e ciò che rappresenta: dalle autorità agli esponenti delle altre confessioni, dai giovani a tanta gente comune.
Ha concluso: “Nel rivolgermi ai cittadini di quel Paese, crocevia della cultura e dell’economia mondiale, ho tenuto presente l’intero Occidente, dialogando con le ragioni di questa civiltà e comunicando l’intramontabile novità del Vangelo, di cui essa è impregnata. Questo viaggio apostolico ha confermato in me una profonda convinzione: le antiche nazioni dell’Europa hanno un’anima cristiana, che costituisce un tutt’uno col ‘genio’ e la storia dei rispettivi popoli, e la Chiesa non cessa di lavorare per mantenere continuamente desta questa tradizione spirituale e culturale”.
Dunque non si tratta solo dell’inestirpabile e generico desiderio di Dio, che grida in tutti gli esseri umani anche nel secolo che ha preteso di uccidere Dio. Ma è proprio l’antica anima cristiana, un’attesa di Cristo vivo, quella che si agita nel cuore dei popoli europei, degli uomini e delle donne del nostro tempo (perfino in tanti intellettuali che si proclamano laici).
Perché quando si è conosciuto Gesù Cristo – e chiunque sia nato in Europa ne ha visto il volto per il fatto stesso di essere stato battezzato – quando si è vista la luce, in qualunque notte poi ci ritroviamo la nostalgia di quella Luce non si estirpa più. Prima o poi ti riprende perché col battesimo gli apparteniamo.
Come racconta un grande scrittore cattolico inglese, Graham Greene nel romanzo “La fine dell’avventura”, una storia d’amore ambientata nella Londra devastata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale (è stato ristampato ora col titolo “Fine di una storia”).
Una storia che fa vedere come Gesù Cristo non si lascia rapire nessuno che gli sia stato dato nelle mani.
Il Papa in Gran Bretagna ha parlato di questa nostalgia di un amore perduto, dell’Amore perduto. A questa nostalgia cristiana, a questo desiderio della grazia, del rivelarsi di Dio nella carne della vita quotidiana, Bergman di nuovo dava espressione in quel film con queste parole del cavaliere: “il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che mi guarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura”.
Questa esperienza di sé diventa domanda, grido, preghiera che il Salvatore gli si faccia tangibilmente incontro: “E’ così crudelmente impensabile percepire Dio con i propri sensi? Perché deve nascondersi in una nebbia di mezze promesse e di miracoli che nessuno ha visto? (…). Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, che mi sveli il suo volto, mi parli” (Antonius Blok).
E’ precisamente questo Dio che si è fatto uomo e tende la mano a ciascuno di noi, è questa la notizia che Benedetto XVI è andato a far conoscere: “Il Verbo si è fatto carne ed abita in mezzo a noi” (Gv 1,14).
Con umiltà – come ha sottolineato il papa – risuona nel mondo questo annuncio: “ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (…), noi lo annunziamo anche a voi” (1Gv 1-3).
Il risuonare di questa notizia, nella laica Londra, “la città preda del tempo”, ha commosso i cuori. E’ un segno di tempi nuovi?
CHIARA LUCE BADANO, “UNA RAGAZZA DAL CUORE CRISTALLINO” - La prima beata del movimento dei Focolari
ROMA, domenica, 26 settembre 2010 (ZENIT.org).- Questo sabato migliaia di persone hanno partecipato al Santuario del Divino Amore, a Roma, al rito di beatificazione di Chiara Luce Badano, la giovane focolarina morta a 19 anni.
A priedere al rito a nome del Santo Padre davanti ai fedeli giunti da ogni parte del mondo e con i giovani in prima linea, l'Arcivescovo Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
14 i Vescovi che hanno concelebrato tra cui quello di Cuba e della Tailandia e i Nunzi apostolici di Lituania e Giordania insieme al Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia. Rappresentati anche vari movimenti dall’Azione Cattolica, alla Comunità di Sant'Egidio, al Rinnovamento carismatico, agli Scout, a Schoenstatt.
“Una ragazza dal cuore cristallino”, ha definito Chiara Luce mons. Angelo Amato, nella sua omelia. “Una ragazza moderna, sportiva, positiva che in mondo ricco di benessere, ma spesso malato di tristezza e di infelicità ci trasmette un messaggio di ottimismo e di speranza”.
Il presule ha poi richiamato alcuni episodi semplici e quotidiani della sua vita a Sassello, densi però di una radicalità evangelica sorprendente: dalla merendina donata ai poveri, all’accoglienza del giovane disadattato e della signora emarginata, o ancora la testimonianza al bar con gli amici perché “non conta tanto parlare di Dio. Io lo devo dare con la vita”.
Monsignor Amato ha quindi ripercorso le tappe della malattia (un'osteosarcoma) che colpì la giovane Chiara a sedici anni e che in poco tempo la condusse alla morte.
“Non ho più le gambe e mi piaceva tanto andare in bicicletta, ma il Signore mi ha dato le ali”, disse dopo aver perso l’uso delle gambe.
“Soffriva, ma l'anima cantava – ha detto ancora monsignor Amato –. Rifiuta la morfina perché - diceva - 'mi toglie lucidità e io posso offrire a Gesù soltanto il mio dolore'”.
“I giorni dell'esistenza terrena di Chiara - ha ricordato il Prefetto - furono giorni di carità donata a piene mani. Ella cambiò il dolore in gioia, le tenebre in luce, dando significato e sapore anche allo strazio del suo corpo debole. Nella malattia, ella si rivelò donna forte e sapiente: 'Voi siete il sale della terra e la luce del mondo'”.
“La beata Chiara Badano è una missionaria di Gesù – ha continuato – , un'apostola del Vangelo come buona notizia a un mondo ricco di benessere, ma spesso malato di tristezza e di infelicità. Ella ci invita a ritrovare la freschezza e l'entusiasmo della fede”.
“L'invito a ritrovare l'entusiasmo della fede – ha detto il presule – è rivolto a tutti, ai giovani anzitutto, ma anche agli adulti, ai consacrati, ai sacerdoti. A tutti è data la grazia sufficiente per diventare santi”.
“Si tratta – ha sottolineato infine – di un segno concreto della fiducia e della stima che il Papa ha nei giovani, nei quali vede il volto giovane e santo della Chiesa”.
“E’ un momento storico, una conferma, da parte della Chiesa che la spiritualità dell’unità vissuta porta alla santità”, ha detto Maria Voce, attuale presidente dei Focolari. “E’ un nuovo impegno. Chiara Luce ci sprona a correre nella via della santità”.
Al termine della celebrazione un breve incontro di Maria Voce e dei genitori di Chiara Badano con la stampa.
“E’ stata un’emozione grandissima, abbiamo un’infinita riconoscenza a Dio per averci dato una figlia”, così ha detto la mamma, Maria Teresa. E a proposito dei genitori che si trovano a vivere la loro stessa situazione ha ribadito: “Sono momenti di grande dolore, ma la consolazione può arrivare solo da Dio. E’ stata la forza dell’unità a sostenerci, una forza che non viene dall’unità tra noi due ma dalla potenza dell’unità sprigionata da tutte le persone del movimento”.
Profilo biografico della Venerabile Serva di Dio Chiara Badano - Mercoledì 31 Marzo 2010 – dal sito http://www.chiaralucebadano.it
A Sassello, ridente paese dell'Appennino ligure appartenente alla diocesi di Acqui, il 29 ottobre 1971 nasce Chiara Badano, dopo che i genitori l'hanno attesa per 11 anni. Il suo arrivo viene ritenuto una grazia della Madonna delle Rocche, alla quale il papà è ricorso in preghiera umile e fiduciosa. Chiara di nome e di fatto, con occhi limpidi e grandi, dal sorriso dolce e comunicativo, intelligente e volitiva, vivace, allegra e sportiva, viene educata dalla mamma –attraverso le parabole del Vangelo - a parlare con Gesù e a dirgli «sempre sì». È sana, ama la natura e il gioco, ma si distingue fin da piccola l'amore verso gli «ultimi», che copre di attenzioni e di servizi, rinunciando spesso a momenti di svago. Fin dall'asilo versa i suoi risparmi in una piccola scatola per i suoi «negretti»; sognerà, poi, di partire per l'Africa come medico per curare quei bambini. Chiara è una ragazzina normale, ma con un qualcosa in più: ama appassionatamente; è docile alla grazia e al disegno di Dio su di lei, che le si svelerà a poco a poco.Dai suoi quaderni dei primi anni delle elementari traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la vita: è una bambina felice. Nel giorno della prima Comunione riceve in dono il libro dei Vangeli. Sarà per lei un «magnifico libro» e «uno straordinario messaggio»; affermerà: «Come per me è facile imparare l'alfabeto, così deve esserlo anche vivere il Vangelo!». A 9 anni entra come Gen nel Movimento dei Focolari e a poco a poco vi coinvolge i genitori. Da allora la sua vita sarà tutta in ascesa, nella ricerca di «mettere Dio al primo posto». Prosegue gli studi fino al Liceo classico, quando a 17 anni, all'improvviso un lancinante spasimo alla spalla sinistra svela tra esami e inutili interventi un osteosarcoma, dando inizio a un calvario che durerà circa tre anni. Appresa la diagnosi, Chiara non piange, non si ribella: subito rimane assorta in silenzio, ma dopo soli 25 minuti dalle sue labbra esce il sì alla volontà di Dio. Ripeterà spesso: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch'io». Non perde il suo luminoso sorriso; mano nella mano con i genitori, affronta cure dolorosissime e trascina nello stesso Amore chi l'avvicina. Rifiutata la morfina perché le toglie lucidità, dona tutto per la Chiesa, i giovani, i non credenti, il Movimento, le missioni..., rimanendo serena e forte, convinta che «il dolore abbracciato rende libero». Ripete: “Non ho più niente, ma ho ancora il cuore e con quello posso sempre amare”. Non perde il suo luminoso sorriso; mano nella mano con i genitori, affronta cure dolorosissime e trascina nello stesso Amore chi l'avvicina. Rifiutata la morfina perché le toglie lucidità, dona tutto per la Chiesa, i giovani, i non credenti, il Movimento, le missioni..., rimanendo serena e forte, convinta che «il dolore abbracciato rende libero». Ripete: “Non ho più niente, ma ho ancora il cuore e con quello posso sempre amare”. La cameretta, in ospedale a Torino e a casa, è luogo di incontro, di apostolato, di unità: è la sua chiesa. Anche i medici, talvolta non praticanti, rimangono sconvolti dalla pace che le aleggia intorno, e alcuni si riavvicinano a Dio. Si sentivano “attratti come da una calamita” e ancor oggi la ricordano, ne parlano e la invocano. Alla mamma che le chiede se soffre molto risponde: «Gesù mi smacchia con la varechina anche i puntini neri e la varechina brucia. Così quando arriverò in Paradiso sarò bianca come la neve». E' convinta dell'amore di Dio nei suoi riguardi: afferma, infatti: «Dio mi ama immensamente», e lo riconferma con forza, anche se è attanagliata dai dolori: «Eppure è vero: Dio mi vuole bene!». Dopo una notte molto travagliata giungerà a dire: «Soffrivo molto, ma la mia anima cantava…». Agli amici che si recano da lei per consolarla, ma tornano a casa loro stessi consolati, poco prima di partire per il Cielo confiderà: «...Voi non potete immaginare qual è ora il mio rapporto con Gesù... Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più grande. Forse potrei restare su questo letto per anni, non lo so. A me interessa solo la volontà dì Dio, fare bene quella nell'attimo presente: stare al gioco di Dio”. E ancora: “Ero troppo assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà cosa. Ora mi sembrano cose insignificanti, futili e passeggere… Ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela. Se adesso mi chiedessero se voglio camminare (l'intervento la rese paralizzata), direi di no, perché così sono più vicina a Gesù”. Non si aspetta il miracolo della guarigione, anche se in un bigliettino aveva scritto alla Madonna: «Mamma Celeste, ti chiedo il miracolo della mia guarigione; se ciò non rientra nella volontà di Dio, ti chiedo la forza a non mollare mai!» e terrà fede a questa promessa. Fin da ragazzina si era proposta di non «donare Gesù agli amici a parole, ma con il comportamento». Tutto questo non è sempre facile; infatti, ripeterà alcune volte: «Com'è duro andare contro corrente!». E per riuscire a superare ogni ostacolo, ripete: «E' per te, Gesù!». Chiara si aiuta a vivere bene il cristianesimo, con la partecipazione anche quotidiana alla S. Messa, ove riceve il Gesù che tanto ama; con la lettura della parola di Dio e con la meditazione. Spesso riflette sulle parole di Chiara Lubich: “Sono santa, se sono santa subito”. Alla mamma, preoccupata nella previsione di rimanere senza di lei, continua a ripete: «Fídati di Dio, poi hai fatto tutto»; e «Quando io non ci sarò più, segui Dio e troverai la for za per andare avanti». A chi va a trovarla esprime i suoi ideali, mettendo gli altri sempre al primo posto. Al “suo” vescovo, Mons. Livio Maritano, mostra un affetto particolarissimo; nei loro ultimi, brevi ma intensi incontri, un'atmosfera soprannaturale li avvolge: nell'Amore diventano una cosa sola: sono Chiesa! Ma il male avanza e i dolori aumentano. Non un lamento; sulle labbra: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch'io». Chiara si prepara all'incontro: «E' lo Sposo che viene a trovarmi», e sceglie l'abito da sposa, i canti e le preghiere per la “sua” Messa; il rito dovrà essere una «festa», dove «nessuno dovrà piangere!». Ricevendo per l'ultima volta Gesù Eucaristia appare immersa in Lui e supplica che le venga recitata «quella preghiera: Vieni, Spirito Santo, manda a noi dal Cielo un raggio della tua luce». Soprannominata "LUCE" dalla Lubich, con la quale ha un intenso e filiale rapporto epistolare fin da piccina, ora è veramente luce per tutti e presto sarà nella Luce. Un particolare pensiero va alla gioventù: «...I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. I giovani hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene!». Non ha paura di morire. Aveva detto alla mamma: «Non chiedo più a Gesù di venire a prendermi per portarmi in Paradiso, perché voglio ancora offrirgli il mio dolore, per dividere con lui ancora per un po' la croce». E lo «Sposo» viene a prenderla all'alba del 7 ottobre 1990, dopo una notte molto sofferta. E' il giorno della Vergine del Rosario. Queste le sue ultime parole: “Mamma, sii felice, perché io lo sono. Ciao”. Ancora un dono: le cornee. Al funerale celebrato dal Vescovo, accorrono centinaia e centinaia di giovani e parecchi sacerdoti. I componenti del Gen Rosso e del Gen Verde elevano i canti da lei scelti. Dal quel giorno la sua tomba è meta di pellegrinaggi: fiori, pupazzetti, offerte per i bambini dell'Africa, letterine, richieste di grazie… E ogni anno, nella domenica prossima al 7 ottobre, i giovani e le persone presenti alla Messa in suo suffragio aumentano sempre di più. Vengono spontaneamente e si invitano a vicenda per partecipare al rito che, come voleva lei, è un momento di grande gioia. Rito preceduto, da anni dall'intera giornata di “festa”: con canti, testimonianze, preghiere…
La sua “fama di santità” si è estesa in varie parti del mondo; molti i “frutti”. La scia luminosa che Chiara "Luce" ha lasciato dietro di sé porta a Dio nella semplicità e nella gioia di abbandonarsi all'Amore. è un'esigenza acuta della società di oggi e, soprattutto, della gioventù: il significato vero della vita, la risposta al dolore e la speranza in un “poi”, che non finisca mai e sia certezza della “vittoria” sulla morte.
Il banchiere del papa resiste alla bufera - Un'indagine giudiziaria colpisce la banca vaticana e il suo presidente Gotti Tedeschi. Ma questi lavora da un anno proprio per ripulirla dal malaffare. Col pieno mandato di Benedetto XVI e con molti nemici esterni ed interni di Sandro Magister
ROMA, 24 settembre 2010 – Da quando, un anno fa, Ettore Gotti Tedeschi è stato chiamato dal papa e dalla segreteria di stato a presiedere l'Istituto per le Opere di Religione, IOR, la banca vaticana, i suoi sforzi sono stati tutti finalizzati, parole sue, a "rendere ogni operazione più trasparente e in linea con gli standard internazionali".
Ma lo scorso 21 settembre è stato per lui un "martedì nero". Proprio mentre usciva in libreria un suo saggio su come fare economia ispirati ai criteri morali cristiani, Gotti Tedeschi è stato messo sotto indagine dalla magistratura di Roma per omissione delle procedure contro il riciclaggio di denaro sporco, su un conto dello stesso IOR depositato presso una banca italiana.
Le autorità vaticane hanno immediatamente fatto quadrato in difesa del loro banchiere, prima con un comunicato della segreteria di stato, poi con una nota su "L'Osservatore Romano" e infine con una lettera di padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, al "Financial Times".
"L’integrità e l’autorevolezza del professor Gotti Tedeschi sono ben note negli ambienti finanziari italiani e internazionali", concludeva la nota. Ed è vero. La sua dirittura morale è riconosciuta unanimemente anche dagli avversari. Così come sono incontestabili i passi compiuti da Gotti Tedeschi sia dentro lo IOR, sia con la Banca d'Italia e gli organismi internazionali competenti, per iscrivere finalmente anche la Santa Sede nella "White List" dei paesi che aderiscono alle norme contro il riciclaggio di denaro sporco.
A questo scopo – hanno informato le autorità vaticane – lo IOR è stato affiancato da "un ufficio di informazione finanziaria sotto il controllo del cardinale Attilio Nicora", presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.
Non solo. Le medesime autorità hanno anche garantito che "nessun nuovo conto è stato aperto dallo IOR senza la stretta osservanza delle regole dettate da Bankitalia".
Ma i vecchi conti? Quei conti di proprietà non chiara e con movimenti sospetti che hanno contrassegnato le pagine nere della storia dello IOR, evidentemente non appartengono tutti e soltanto al suo passato.
Con Gotti Tedeschi presidente, si sa che molti conti di dubbia trasparenza sono stati chiusi e molti altri sono stati regolarizzati. Ma l'incidente giudiziario di questi giorni – come già altre irregolarità emerse alcuni mesi fa in conti IOR depositati presso l'agenzia romana di Unicredit di via Conciliazione – ha rivelato che delle zone oscure rimangono.
Nello svolgimento della vicenda giudiziaria che ora ha colpito Gotti Tedeschi in quanto presidente dello IOR – e con lui Paolo Cipriani in quanto direttore generale – appaiono infatti delle evidenti falle nell'operatività della banca vaticana.
È come se in questa banca agiscano tuttora sistemi e persone che danneggiano e frenano l'opera di pulizia e di razionalizzazione attuata dal nuovo presidente. Va notato che Gotti Tedeschi, quando un anno fa arrivò allo IOR, non portò con sé nessun nuovo collaboratore: il personale con cui lavora è lo stesso che operava nella banca vaticana prima della sua venuta.
A questi ostacoli e freni interni vanno aggiunti gli atti ostili compiuti da agenti esterni a danno dello IOR, anch'essi visibili nello svolgimento della vicenda.
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Un primo punto oscuro riguarda i rapporti tra lo IOR e il Credito Artigiano, la banca italiana a sua volta controllata dal Credito Valtellinese presso la quale, in un'agenzia romana, è depositato il conto corrente dello IOR finito sotto indagine.
Il 18 gennaio di quest'anno la Banca d'Italia chiede al Credito Valtellinese – come alle altre banche – di esigere dallo IOR informazioni dettagliate sulla proprietà dei suoi conti e sui destinatari dei movimenti.
Tre mesi dopo, in assenza di tali informazioni, il Credito Valtellinese e il Credito Artigiano bloccano il conto dello IOR numero 49557, con decorrenza dal 19 aprile. A questa data, sul conto figurano depositati 28 milioni 300 mila euro.
Il 23 aprile c'è un incontro tra dirigenti dello IOR e del Credito Artigiano. Passano altri mesi e il 6 settembre, con due fax, lo IOR ordina al Credito Artigiano di effettuare con i denari di quello stesso conto due bonifici: uno di 3 milioni su un conto della Banca del Fucino di Roma e un altro di 20 milioni su un conto della banca JP Morgan di Francoforte. Di entrambi i destinatari si forniscono soltanto le sigle IBAN.
Ma il conto dello IOR in questione è quello bloccato. Il 14 settembre il Credito Artigiano informa la Banca d'Italia dei bonifici ordinati dallo IOR e della perdurante assenza di informazioni sulla titolarità e i destinatari.
Il 15 settembre l'ufficio di informazione finanziaria di Bankitalia segnala alla magistratura di Roma una possibile violazione delle norme antiriciclaggio da parte dello IOR.
Il 20 settembre la magistratura di Roma ordina il sequestro preventivo dell'intera somma depositata sul conto dello IOR ed emette due avvisi di indagine a carico del presidente e del direttore generale della banca vaticana, per omissione delle procedure contro il riciclaggio di denaro sporco.
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Le autorità vaticane e lo stesso Gotti Tedeschi hanno riconosciuto che "l'inconveniente è stato causato da un'incomprensione in via di chiarimento" tra lo IOR e il Credito Artigiano.
Ma se non sono bastati nove mesi per chiarire una semplice "incomprensione" tra due banche use in passato a operare di concerto, è segno che alle inadempienze dello IOR si è sommato il sopravvenuto atteggiamento ostile della banca depositaria del conto.
Le autorità vaticane hanno anche precisato che i bonifici ordinati erano "semplici operazioni di tesoreria con destinatario lo stesso IOR su conti di sua pertinenza, presso altre banche". E Gotti Tedeschi ha aggiunto che il trasferimento di denaro era finalizzato all'acquisto di bond tedeschi.
Ma resta oscuro perché per un semplice acquisto di bond si sia voluto far ricorso a un precedente doppio giro di tesoreria, peraltro impossibile dato il blocco del conto in oggetto.
Altrettanto poco chiare sono le ragioni dell'attrito venuto alla luce tra lo IOR e la Banca d'Italia.
Le autorità vaticane asseriscono che l'uno e l'altra "dall'inizio di quest'anno operano in stretto collegamento proprio in vista dell’adeguamento delle operazioni dello IOR alle procedure antiriciclaggio". E sostengono che "la natura e lo scopo delle operazioni" finite sotto le indagini della magistratura "potevano essere chiariti con semplicità e rapidità".
Ma se è così, non si capisce perché lo IOR non abbia messo le cose in chiaro da subito, in colloqui diretti con le autorità monetarie italiane. Dato che questo chiarimento è mancato, viene naturale pensare da una parte a colpevoli inerzie dello stesso IOR, e dall'altra a un atteggiamento punitivo, nei suoi confronti, da parte della Banca d'Italia.
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L'operazione di risanamento e di riordinamento dello IOR affidata dalle autorità vaticane a Gotti Tedeschi appare dunque più difficile del previsto.
Ciò non toglie che la fiducia riposta in lui da Benedetto XVI e dalla segreteria di stato è oggi ancor più forte di ieri.
La stima di papa Joseph Ratzinger per questo "suo" banchiere è provata anche dal ruolo che questi ha avuto nella stesura dell'enciclica "Caritas in veritate".
A conferma di tutto ciò, basta sfogliare il libro-intervista di Gotti Tedeschi uscito nelle librerie italiane proprio in questi giorni di bufera, col titolo: "Denaro e paradiso. I cattolici e l'economia globale".
Il libro si apre con una appassionata prefazione del cardinale Tarcisio Bertone. E si chiude con un ampio capitolo dedicato all'analisi della "Caritas in veritate".
Il brano che segue è tratto da quest'ultimo capitolo. E svolge un punto cardine dell'analisi che Gotti Tedeschi fa della crisi finanziaria ed economica che ha colpito il mondo.
Ettore Gotti Tedeschi è presidente dello IOR, consigliere economico del ministro del tesoro italiano Giulio Tremonti, consigliere della Cassa Depositi e Prestiti, presidente del Fondo italiano per le infrastrutture F2i, presidente di Santander Consumer Bank, docente all’Università Cattolica di Milano, editorialista de "L'Osservatore Romano" e del "Sole 24 Ore".
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MENO FIGLI, MENO RICCHEZZA di Ettore Gotti Tedeschi
Se non c’è rispetto per la vita, che cosa merita rispetto? Io credo che il messaggio di fondo della "Caritas in veritate" sia questo: uno strumento – come lo sono l’economia, la scienza e la tecnica – non può e non deve rivendicare autonomia morale; ciò produrrebbe danni irreparabili per l’uomo, come è infatti successo. E questo accade quando l’uomo perde il significato del vero e sottomette la verità alla propria libertà che, nella visuale cattolica, è disordinata. L’autonomia morale di uno strumento è sintomo di confusione e di perdita della verità. Ne consegue che la stessa vita umana perde di significato, la dignità umana perde il suo valore e l’uomo diventa mezzo di produzione, di consumo, di risparmio.
Negando la vita o subordinandola ad altri presunti valori, si producono realmente danni irreparabili. Perciò affermo chiaramente che l’origine della crisi attuale è soprattutto morale ed è dovuta proprio alla negazione della vita. Ricordiamoci che alla fine degli anni Sessanta i "profeti" neomalthusiani (prima quelli dell’università di Stanford, poi quelli del Massachusetts Institute of Technology) annunciarono che, se il tasso di crescita della popolazione avesse proseguito come negli anni precedenti (intorno al 4-4,5 per cento), prima del 2000 centinaia di milioni (cifra poi ridimensionata in decine di milioni) di persone sarebbero morte per fame soprattutto in Asia e India. Questo la dice lunga sulle capacità predittive di sociologi ed economisti; infatti, ciò che poi è avvenuto contraddice in pieno i loro assunti. Nel mondo occidentale, che ha interrotto la natalità portandola al di sotto dello zero, si sono create condizioni per la crisi, mentre nel mondo ex emergente, che ha continuato a far figli, si sono invece avuti sviluppo e creazione di ricchezza. Noi occidentali abbiamo creduto di diventare più ricchi negando la vita, e invece siamo diventati più poveri.
Ed ecco quel che è successo. Se la popolazione di un paese ricco e costoso cessa di crescere, diminuisce – conseguentemente e progressivamente – l’accesso di giovani alla fase di produttività; per contro, aumenta il numero delle persone che escono dalle attività produttive e diventano un costo per la collettività. Questa, dunque, decresce sia in numero che in risorse. In pratica, nel sistema socio-economico aumentano i costi fissi; e, non potendosi ridurre le tasse, diminuiscono i risparmi e, dunque, le attività finanziarie.
La reazione più naturale è a quel punto aumentare la produttività (il che equivale in pratica a fare più ore di lavoro) ma ciò ha un limite fisico. Certo, si può tentare con sistemi che cerchino di aumentare il potere di acquisto riducendo i costi (per esempio, col trasferimento in Asia di molte produzioni). Ma quando ciò non basta non rimane che un mezzo: il debito. O meglio, il consumo a debito, che arriva agli eccessi che conosciamo. Il fatto è che l’abnorme espansione creditizia, il cattivo uso degli strumenti finanziari, sono stati effetti, non cause. L’origine degli attuali squilibri economici va cercata altrove: nel non rispetto della vita umana. [...]
Nei paesi che vent’anni fa erano considerati "in via di sviluppo" l’aumento della popolazione ha loro portato oggi, grazie anche alle nuove localizzazioni produttive, benessere e ricchezza in misura tale da potere persino tenere in piedi i nostri paesi ex ricchi e senza figli. Questi paesi oggi stanno investendo in zone che noi occidentali abbiamo sempre considerato in povertà cronica e abbiamo "aiutato" mandando profilattici per interrompere la crescita della loro popolazio- ne. Si stima che in Africa, in via di colonizzazione da parte dei cinesi, fra una decina d’anni potranno esserci un paio di miliardi di abitanti. Su questo i cinesi stanno investendo, creando lavoro e promovendo benessere. Il problema, semmai, sarà di quale cultura e quale visione della dignità dell’uomo questi nuovi colonizzatori saranno portatori fra quelle popolazioni. Certo, non quelle cattoliche.
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Il libro:
Ettore Gotti Tedeschi, Rino Camilleri, "Denaro e paradiso. I cattolici e l'economia globale", Lindau, Torino, 2010, pp. 160, euro 15,00.
venerdì 24 settembre 2010
L’ateo Chiamberge: «l’UAAR, Odifreddi e la Hack mi fanno correre in Chiesa». Da http://dallaragioneallafede.blogspot.com
Cosa può mai venire di buono dal Fatto Quotidiano? Eppure, nel blog interno di Riccardo Chiaberge, già caporedattore della redazione culturale ed editorialista scientifico de Il Corriere della Sera e autore dell'ottimo La variabile Dio (in cosa credono gli scienziati?), è apparso un articolo molto ironico verso gli atei moderni e l'UAAR.
Egli commenta l'esternazione recente di Stephen Hawking: «Gli atei sono al settimo cielo. Stanno da Dio. Dopo il biologo Richard Dawkins, il quale sostiene che la religione è all’origine di tutti i mali del mondo, inclusi lo tsunami, la marea nera e il crac dei titoli tossici, adesso è la volta di Stephen Hawking, il guru della cosmologia, che dimostra come l’universo si è creato da sé, senza nessun bisogno del Padreterno, e che anzi esistono molti universi paralleli oltre a quello in cui viviamo no». Affondo sugli atei razionalistici: «Esultano i militanti dell’Uaar (Unione degli atei e agnostici razionalisti italiani), che stanno già allestendo un nuovo autobus con su scritto “Dio non esiste, fidatevi di Hawking”: capolinea al planetario, e proiezione di filmati sul Big Bang».
Eppure anche Chiamberge sa che «non spetta agli scienziati dimostrare l’esistenza o non esistenza del Creatore. Così come il creazionismo non può ambire allo status epistemologico di teoria scientifica, certe teorie cosmologiche tipo superstringhe o multiverso appartengono più alla metafisica o alla teologia che alla fisica. Scienza e religione possono tranquillamente convivere, basta che non tentino di invadere l’una il territorio dell’altra».
Conclude poi parlando della sua posizione personale: «Questo Hawking non mi convince nemmeno un po’. Se l’universo può fare a meno di Dio, sono cavoli dell’universo, o del multiverso. È l’uomo che per lo più non riesce a farne a meno, anche quando non aderisce a nessuna religione organizzata. Parlo da laico: non credo in Dio, ma nel mio bisogno di Dio, benché i preti abbiano fatto del loro meglio per estirparmelo. E confesso che quando sento parlare Odifreddi o Margherita Hack, con quella loro sicumera che esclude categoricamente qualsiasi dimensione trascendente quasi fosse sempre e comunque una favola per gonzi, mi viene immediatamente una crisi mistica e corro alla più vicina parrocchia. L’atteggiamento del vero laico non può che essere un sano scetticismo a 360 gradi verso ogni tipo di dogma e di verità rivelata, incluse quelle scientifiche».
La legge sull'omofobia? Una cosa idiota, scientificamente ed etimologicamente inesatta. Il termine non vuole dire odio verso i gay. Il film la Passione? Una dimostrazione d'intolleranza di Bruno Volpe da http://www.pontifex.roma.it
Qualche lettore accusa Pontifex, ma non solo, di omofobia per il fatto di prendere una posizione chiara dal punto di vista etico e dei valori della Chiesa circa il fenomeno omosessualità e pratica. Per chiarirci le idee abbiamo interpellato il noto psichiatra Alessandro Meluzzi certo non "accusabile"di visioni retrograde o reazionarie. Professor Meluzzi, che cosa pensa del termine omofobia? "che oggi se ne fa un uso distorto e non coerente con la vera radice della parola, esiste davvero una grande confusione figlia di ignoranza, tendenziosità e spesso di speculazione. Esiste chi vi marcia sopra". Insomma che cosa vuole dire omofobia? "dunque. La omofobia in senso medico é una patologia ovvero una fobia che alcune persone hanno di credersi in modo ossessivo latentemente omosessuali, ma questo non implica alcuna manifestazione di odio o aggressiva verso gli altri. Insomma chi picchia un gay o scrive cose astiose non é un omofobo, specie se si limita a ribadire la posizione della chiesa cattolica che notoriamente é contraria alla omosessualità".
Che cosa pensa della legge sulla omofobia? "una colossale sciocchezza,idiota, piramidale figlia solo di mode e di momenti, magari di convenienze politiche. Se la omofobia é un disturbo della personalità ovvero una patologia di poche persone, ma non violenta, fare una legge specifica significa elaborare una legge che dichiari fuori legge una malattia e siamo all'assurdo. Il vero omofobo ha bisogno di cura e non di carcere. Ma lo ripeto chi picchia é un delinquente comune, non omofobo".
Che cosa pensa delle effusioni di gay in pubblico? "sono inopportune perché possono turbare il sentimento di persone che la pensano diversamente. Tuttavia io sono contrario ad ogni manifestazione eccentrica ed esagerata che possa contrastare con il senso comune, ovvero anche esagerazioni etero nella via, chi defeca in pubblico, o chi urina o gioca al dottore. Insomma, chi picchia i gay é un mascalzone, ma queste reazioni estreme a volte sono scatenate da una violazione fuorviante del senso comune".
Nei cinema é in programmazione una pellicola blasfema che ridicolizza la Passione di Cristo: "una cosa cretina e ridicola, si fa ormai un uso strumentale della religione, rendendola una caricatura per fini di cassetta. Penso che sia un film intollerante. Lo fanno sui cristiani conoscendone la mitezza, se lo realizzassero sugli islamici rischiano".
Avvenire.it, 25 settembre 2010 - I RAGAZZI E I PROFESSORI: PRIMA LA MERAVIGLIA POI LA CONOSCENZA - Cuori freddi, teste calde
«Noi ragazzi necessitiamo di appassionarci a qualcosa, allo studio in particolare. Non vogliamo quella stramaledetta lezione da imparare a memoria, per poi rimuoverla una volta interrogati. Vogliamo fare nostro quello che studiamo. Vogliamo che ci entri nelle vene, nel sangue, in ogni più piccola cellula del nostro corpo».
Non sono frasi di un romanzo di fantascienza, ma le parole che mi ha scritto una diciassettenne, stanca dopo quattro anni di liceo privi di passione. Passione: l’unica strategia didattica necessaria per un professore. Solo la passione incanta, perché solo la vita incanta. Lo provano gli occhi.
Due sono le occasioni in cui si dilatano le pupille di un mio studente: quando è toccato dalla bellezza o dopo aver fumato una canna. Mi ha sempre affascinato questo impeto del corpo che chiede agli occhi di lasciare entrare più realtà. La bellezza è l’innesco dell’esplosione che dilata le pupille: riscalda il cuore che spinge gli occhi ad aprirsi di più, per bere di più. Se la bellezza si nasconde, il cuore si gela. Certi ragazzi, all’incanto della realtà, capolavoro di luci e ombre, preferiscono l’incantesimo di una canna, finito l’effetto della quale l’incantesimo svanisce, il ghiaccio si rapprende, più duro di prima: la realtà è cacciata via, l’alunno è assente. Ma la bellezza si nasconde o qualcuno l’ha nascosta?
Dante avvicinandosi al centro dell’inferno non trova il fuoco, ma lande di ghiaccio e occhi cuciti dal gelo. Certi ragazzi cercano di ammorbidire il ghiaccio del cuore surriscaldandolo con artifici virtuali o alcolici, "stupefacendosi" invece di stupirsi. Diventano incapaci di sperimentare il calore buono della vita quotidiana, gravida di estasi appaganti in una pagina, in un volto, in un panorama, in una sfida, in un’amicizia. I professori sono capaci di queste estasi? Adulti dal cuore freddo e la testa calda possono testimoniarle?
I professori - si chiamano così perché "professano", come una fede, la loro materia - possono invertire i poli, riportando il calore nel cuore dei ragazzi e la freddezza nelle loro teste. Come?
Con la passione per la loro materia, per la vita propria e dei ragazzi. Con una ragione capace di leggere la realtà personale e quella degli studenti. I professori intelligenti studiano (studium vuol dire passione) volta per volta, classe per classe: la passione per essere reale comporta un patire. Solo così possono trasformare una lezione in "questa" lezione che entra nelle vene, nel sangue, perché è entrata prima nelle loro vene, nel loro sangue. La vita passa ai ragazzi se c’è vita nel professore, se testimonia con la sua vita, che patisce, che ciò che insegna lo coinvolge. Un professore di italiano che non ama scrivere non riesce a insegnare a scrivere. Un professore di matematica che non ama la simmetria dei petali di una rosa non riesce a insegnare la formula della sezione aurea. Solo un cuore caldo ne riscalda un altro. Solo una mente fredda ne guida un’altra.
In una casa di produzione cinematografica mi hanno detto che ho scritto un libro trasgressivo. Ho chiesto il perché. «C’è un professore che ama il suo lavoro». Trasgredire oggi è essere normali.
Per questo auguro a tutti i miei colleghi di "trasgredire" molto. Trasgredire con la passione per una poesia, per un teorema, per il filo di rame di un circuito, per la vita di una stella e quella di una cellula. Solo dei professori "trasgressori" porteranno la vita in classe, perché la loro materia diventa il banco di prova della loro vita e solo in seconda battuta della vita dei propri alunni.
«La nostra epoca è un’epoca di sovreccitazione, non è un’epoca di passione; si surriscalda continuamente perché sente di non essere calda - in fondo ha freddo». Lo dice Nietzsche smascherando l’agitazione e la tiepidezza borghesi: dobbiamo riportare la passione nelle nostre vite.
La nostra epoca iper-sentimentale è paradossalmente fredda, ha quindi bisogno di sovreccitarsi artificialmente. Una cultura dal cuore caldo può restituire ai ragazzi lo stupore del quotidiano: si accede alla loro testa solo attraverso il rapimento della bellezza. Prima viene la meraviglia, poi la conoscenza: lo diceva Aristotele e nulla è cambiato. Ma la meraviglia ha bisogno di testimoni: i professori possono cambiare una cultura intera. In Italia sono quasi un milione: la rivoluzione è dietro l’angolo. Basta preparare la lezione come fosse la prima: patire e appassionare.
Solo così renderemo i nostri ragazzi "cuori pensanti": se lo siamo.
Il cuore della Legge di Rino Fisichella - «Quanto più cresce la conoscenza del creato e dell’uomo in esso, tanto più si tocca con mano il mistero che circonda la natura e l’esistenza personale. Più la scienza progredisce nel suo indagare sull’universo con le sue forme, e maggiormente si scopre l’inadeguatezza dello strumento per entrare fino in fondo nel cosmo. Se si vuole, la stessa osservazione può valere per il diritto» - Avvenire, 26 settembre 2010
Per diversi decenni il tema della legge naturale è stato essenzialmente dimenticato. Le cause sono molteplici, primo fra tutte, a nostro avviso il modificarsi del concetto stesso di natura in ambito filosofico. Ciò che appare immediato, comunque, è che l’indifferenza verso questi contenuti ha impoverito non solo la scienza, priva ormai di criteri di giudizio che vadano oltre la giusta e doverosa ricerca non soggetta ai soli interessi economici, ma soprattutto i comportamenti delle persone. La ricerca scientifica, per alcuni versi, sembra monopolizzata dalla sola sperimentazione sulla natura, alterando di conseguenza il concetto stesso; la tratta, infatti, come semplice materia manipolabile così che ne scaturisce un distacco di responsabilità da non coinvolgere più nel mantenimento di un ordine che sovrasta l’uomo e non è determinato dalla sua sola volontà. Alla stessa stregua, i comportamenti delle generazioni quando non hanno più un fondamento nella natura, ma sono orientati in gran parte dal desiderio effimero, vengono privati della loro libertà, e cadono facilmente preda dell’arbitrio. Spiace constatare che da questa generalizzata debolezza non si sono salvati neppure diversi Parlamenti i quali hanno legiferato non solo prescindendo da quanto inscritto nella legge della natura, ma giungendo perfino a giustificare comportamenti in netto contrasto con essa, in forza di un ipotetico diritto ritenuto fondamentale solo per l’imporsi dell’ideologia sottostante. Lo ius quia iussum del passato si trasforma in molte società nello ius quia consensum. Per noi, impenitenti metafisici, la verità non deriva dal consenso, ma da un fondamento ben più solido. La legge naturale, come venne concepita nell’antichità, aveva il suo spazio vitale perché rientrava in una lettura religiosa del mondo; oggi le diverse forme di secolarizzazione hanno modificato il modo di porsi dinanzi ad esso e, di conseguenza, la stessa legge naturale ha subito una comprensibile anche se ingiustificata emarginazione.
Se viene meno il richiamo a una legge impressa nella natura che va oltre le diverse culture degli uomini, si corre il rischio di cadere in un primato della cultura che tutto domina e tutto condiziona.
Nessuno, tuttavia, può essere prigioniero della cultura. Nella misura in cui essa è un prodotto nell’azione personale e sociale deve esprimere una tensione verso la pienezza della verità e non un vincolo che rende impossibile la sua conquista. Per questo è necessario il rinvio alla legge della natura come garanzia per ogni persona di essere libera e responsabile nell’affermare la propria dignità non in riferimento alle convenzioni degli uomini, ma alla verità profonda della propria essenza personale. È quindi auspicabile che si intraprenda la strada per una rinnovata comprensione della legge naturale – dei diritti e doveri che da essa scaturiscono – e di un linguaggio più coerente con le istanze del mondo contemporaneo, perché si possa percepire il valore di una norma non scritta che permane come strumento di unità per tutto il genere umano e come espressione concreta di un’impronta che Dio ha voluto lasciare nel creato come segno del suo amore. Riprendere seriamente tra le mani la problematica circa la legge e il diritto naturale corrisponde al tentativo, che dura permanentemente nella storia del pensiero, di dare risposta all’interrogativo circa la possibilità di una conoscenza oggettiva per quanto concerne l’etica, indipendentemente da una rivelazione cristiana. Insomma, esiste per l’umanità qualcosa di comune, dei valori, delle norme che sono valide sempre, per tutti, prescindendo dalla propria cultura, dalla religione e dal sistema giuridico? Non solo. Quale discernimento è possibile praticare su questi valori e come realizzarli? Gli sforzi presenti nel mondo contemporaneo circa la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato, la dignità umana e i diritti universali svaniscono nonostante tutte le nostre buone intenzioni se non sono radicate in un fondamento valoriale che vada oltre l’assenso politico. Proprio nei giorni scorsi, nella sua visita in Gran Bretagna e nello storico discorso tenuto nella Westminster Hall dinanzi al Parlamento britannico e agli uomini di cultura, Benedetto XVI è ritornato con maggior forza su questo stesso tema ricordando la problematica della legge naturale anche se non ha menzionato specificamente l’espressione. Ponendo alcuni interrogativi che sono di evidente attualità nella nostra società, il Papa ha detto: «Quali sono le esigenze che i governi possono ragionevolmente imporre ai propri cittadini, e fin dove esse possono estendersi? A quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali? Queste questioni ci portano direttamente ai fondamenti etici del discorso civile. Se i principi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza. Qui si trova la reale sfida per la democrazia… La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione.
Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi». La legge naturale, quindi, come principio a cui ricorrere, in una società laica e pluralista, per una rinnovata presentazione dei diritti dell’uomo. Questa legge diventa garanzia di libertà e fondamento per un giudizio etico che si relazioni al vero e al bene senza lasciarsi imbrigliare nelle secche del positivismo. In fondo, è solo con il riferimento a questa legge e a questo diritto che diventa possibile affermare quanto i diritti a cui si fa appello, ad esempio nella Dichiarazione universale, non sono un’invenzione dovuta all’ingegno degli uomini di epoche storiche remote, ma la riscoperta perenne che ogni generazione compie di un contenuto che le viene offerto come puro dono. Quanto più cresce la conoscenza del creato e dell’uomo in esso, tanto più si tocca con mano il mistero che circonda la natura e l’esistenza personale. Più la scienza progredisce nel suo indagare sull’universo con le sue forme, e maggiormente si scopre l’inadeguatezza dello strumento per entrare fino in fondo nel cosmo. Se si vuole, la stessa osservazione può valere per il diritto.
«Forse nessuna epoca meno della nostra ha saputo che cosa sia il diritto. È il comando del potere oppure la decisione dei giudici; una pluralità di ordinamenti chiusi oppure una unità sistematica; una prescrizione esteriore oppure comunitaria o, addirittura, interiore; l’imperativo della storia dello Spirito oppure dei rapporti di produzione?». L’interrogativo del giurista non può rimanere senza risposta; obbliga in qualche modo a fare chiarezza, ma soprattutto a cercare di individuare la fonte stessa del diritto e il suo fondamento inalienabile. Se il diritto si limitasse a un accordo tra gli individui oppure a una convenzione tra gli Stati o a una ratifica di privilegi e obblighi da parte dei cittadini saremmo sempre all’insegna dell’arbitrarietà.
Con ragione Benedetto XVI ha potuto affermare: «È opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico inscritto nello stesso essere umano. La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. La conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo aumenta con il progredire della coscienza morale». Sulla stessa lunghezza d’onda, si muoveva Giovanni Paolo II quando, rivolgendosi al mondo politico in occasione del Giubileo dell’anno 2000 diceva: «Una parola particolare vorrei ora rivolgere a coloro, tra Voi, che hanno il delicatissimo compito di formulare ed approvare le leggi: un compito che avvicina l’uomo a Dio, Legislatore supremo, dalla cui Legge eterna ogni legge attinge, in ultima analisi, la sua validità e la sua forza obbligante. Proprio a questo si intende alludere quando si afferma che la legge positiva non può contraddire la legge naturale, null’altro essendo quest’ultima se non l’indicazione delle norme prime ed essenziali che regolano la vita morale, e quindi di quelli che sono i caratteri, le esigenze profonde e i valori più alti della persona umana. Come già ho avuto modo di affermare anche nell’enciclica Evangelium vitae , 'alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli ’maggioranze’ di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto ’legge naturale’ iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento normativo della stessa legge civile' (n. 70). Questo significa che le leggi, quali che siano i campi in cui il legislatore interviene o è obbligato ad intervenire, devono sempre rispettare e promuovere – nella varietà delle loro esigenze spirituali e materiali, personali, familiari e sociali – le persone umane. Perciò una legge che non rispetti il diritto alla vita – dalla concezione alla morte naturale – dell’essere umano, quale che sia la condizione in cui si trova – sia esso sano o malato, ancora allo stato embrionale, vecchio o in stadio terminale – non è una legge conforme al disegno divino».
Se si ricerca la vera pace, come il mondo di oggi sembra anelare, che non è solo assenza di guerra, ma rispetto reciproco nell’accettazione dell’altro debellando ogni forma di discriminazione, allora sarà necessario puntare lo sguardo proprio alle esigenze etiche, universali ed immutabili, per garantire la via di successo sia nelle relazioni interpersonali che internazionali. D’altronde, promuovere la ricerca di una strada che possa garantire il pieno e libero agire delle persone per il loro riferimento a una norma universale, è un servizio che la Chiesa deve offrire proprio per sostenere il principio della dignità della persona. Una verità raggiunta con l’apporto fondamentale della ragione e sostenuta dalla forza della rivelazione come potrebbe umiliare?
Essa non potrebbe essere altro che garanzia di libertà per ogni persona e, quindi, di tutti. Ciò che corrisponde alla dignità e inviolabilità di ogni essere umano, infatti, è prodromo per il raggiungimento del bene di tutti. Come si legge in Veritatis splendor: «Di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno.
Essere il padrone del mondo o l’ultimo 'miserabile' sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali» (n. 96).
Viviamo un contesto culturale che, di fatto, sostiene una pericolosa separazione tra verità e libertà, frutto di una visione frammentaria della realtà, che tende a isolare l’autonomia di ciascuno come una sfera di possesso blindato, senza alcun riferimento a contenuti oggettivi che determinano l’eticità dei propri atti e il giudizio che la coscienza è chiamata a dare su di essi. Se, da una parte è necessario giungere a una critica di questa inspiegabile e ingiustificata separazione, dall’altra, è necessario trovare le strade per superare la frattura e riconciliare nell’unità i due elementi per consentire di ritrovare la giusta direzione dei nostri comportamenti. In questo frangente e su questo tema, credenti e non credenti hanno un compito di grande responsabilità. Perseguire sul cammino di una rinnovata presentazione della legge naturale può essere un servizio di genuina riflessione che viene posto come contributo per il progresso della società e dello spirito del nostro tempo. Perseguire sulla strada di accontentare il nostro contemporaneo nella sua richiesta di diritti che stridono con la norma morale naturale non credo che sia corretto e difficilmente perseguibile per lungo tempo. Esaltare la libertà fino a farne un assoluto come fonte stessa dei valori è una trappola da cui stare lontani. Perdere o emarginare il senso della trascendenza rinchiudendo l’uomo sempre di più dentro se stesso è un percorso che la storia ha già dimostrato fallimentare. Molti segni sono posti dinanzi a noi per provocare la mente e l’azione sociale e politica ad uscire da una visione individualista per entrare in quella relazionalità che identifica al meglio l’essere persona. Una relazionalità che porta a riconoscere un mistero ancora più grande della nostra individuale enigmaticità, la quale consente di trovare in maniera definitiva la risposta alla domanda di senso. Questa non allontana da noi, ma consente di ritrovare se stessi in quel orizzonte di verità che si dischiude perennemente alla ragione e che trova nella fede il suo sostegno più grande.