Nella rassegna stampa di oggi:
1) Radio Vaticana, 17/09/2010 13.14.16 - Il Papa ai giovani della St. Mary’s University: cercate in Dio la vera felicità
2) CATECHESI DI BENEDETTO XVI SU SANTA CHIARA D’ASSISI - All’Udienza generale del mercoledì
3) IL PAPA IN GRAN BRETAGNA: I CATTOLICI SIANO “ESEMPIO PUBBLICO DI FEDE” - Omelia al Bellahouston Park di Glasgow
4) JOHN HENRY NEWMAN, “DOTTORE DELLA CHIESA”, RICORDA BENEDETTO XVI - “Ponte tra anglicani e cattolici”, dice ai giornalisti
5) Per una sintesi del pensiero del nuovo beato - La verità non è un'opinione di Edoardo Aldo Cerrato - (©L'Osservatore Romano - 17 settembre 2010)
6) Missione Britannia. A Glasgow splende il sole - Il viaggio di Benedetto XVI comincia in Scozia. L'incontro con la regina. La messa di popolo. Una festa della fede nel regno degli increduli. Con un prologo sullo scandalo della pedofilia - di Sandro Magister
7) Sul volo che ha portato il pontefice in Gran Bretagna - Il Papa : «Sui preti pedofili la Chiesa non ha vigilato abbastanza» - «Queste rivelazioni sono state per me uno choc, sono una grande tristezza. Siamo in penitenza e umiltà» - dal nostro inviato Gian Guido Vecchi - CorSera 16 settembre 2010
8) Tornielli: posso testimoniare che il passaggio di Benedetto smonta le proteste - INT. Andrea Tornielli - venerdì 17 settembre 2010
9) NEWMAN/ 1. Cattolico perchè moderno: quando al Papa serve un cardinale... - Giuseppe Bonvegna - venerdì 17 settembre 2010 – ilsussidiario.net
10) NEWMAN/ 2. L'unità della ragione, antidoto alla "follia" degli specialisti - Mario Gargantini - venerdì 17 settembre 2010 – ilsussidiario.net
11) Rom, di chi è la colpa? - Mario Mauro - venerdì 17 settembre 2010 – ilsussidiario.net
12) Il Papa parla ai cattolici inglesi e non alla BBC o al Times. Medio basso il livello della stampa inglese quando tratta cose cattoliche. L'Islam non é una religione di amore e pace – intervista a Massimo Introvigne di Bruno Volpe – dal sito http://www.pontifex.roma.it
13) Avvenire.it, 16 settembre 2010 - La legge approvata in Francia e le sfide per l’Europa - Una laicità positiva per "smontare" il burqa di Giorgio Paolucci
14) Avvenire.it, 17 settembre 2010 - Un viaggio «con gioia e coraggio» Senza timori o reticenze di Davide Rondoni
15) Il Movimento per la Vita italiano è fermo - Il Foglio, 16/9/2010- Di Francesco Agnoli (del 16/09/2010 @ 21:34:08, in Bioetica, dal sito http://www.libertaepersona.org)
16) MENO SPRECHI E SPOT: LA RICETTA DEL RABBINO - MASSIMO GIULIANI – Avvenire, 17 settembre 2010
17) Kippur 5771 - Vi è chi conquista il suo mondo in una sola ora… di Alfredo Mordechai Rabello, Università ebraica di Gerusalemme
Radio Vaticana, 17/09/2010 13.14.16 - Il Papa ai giovani della St. Mary’s University: cercate in Dio la vera felicità
Mirate a cose grandi, crescete in santità: è l’esortazione di Benedetto XVI ai giovani del Regno Unito, rivolta stamani nella visita alla St. Mary’s University nel quartiere londinese di Twickenham. L’incontro del Papa, dedicato al mondo dell’educazione, è stato trasmesso via Internet in tutte le scuole cattoliche britanniche. Tanti i bambini che hanno potuto salutare il Papa di persona all’entrata del college, in un clima di grande gioia. Nell’occasione della visita, a cui ha preso parte anche il ministro dell’Istruzione britannico, è stata inaugurata la Fondazione “Giovanni Paolo II” per lo Sport. Il Papa ha inoltre benedetto una struttura sportiva che verrà utilizzata nelle Olimpiadi di Londra 2012. Dalla capitale inglese, il servizio del nostro inviato Alessandro Gisotti:
Canti dei giovani
Una festa per celebrare i giovani e l’educazione cattolica: è lo spirito che ha animato la visita di Benedetto XVI stamani alla St. Mary’s University a Twickenham. Un evento nel quale il Papa ha ribadito la responsabilità delle scuole cattoliche verso i ragazzi loro affidati. In una mattinata londinese piena di sole, il Papa è stato accolto con entusiasmo da 4 mila studenti riuniti nel campo sportivo del college. Affetto contraccambiato dal Santo Padre che, nel suo discorso, preceduto da alcune testimonianze, ha esortato i giovani a puntare in alto nella loro vita:
“What God wants most of all for each one of you…”
“La cosa che Dio desidera maggiormente per ciascuno di voi – ha detto – è che diventiate santi. Egli vi ama molto più di quanto voi possiate immaginare e desidera per voi il massimo”, cioè “crescere in santità”. Quando si è giovani, ha proseguito, “si è soliti pensare a persone che stimiamo e ammiriamo, persone alle quali vorremmo assomigliare”. A volte, ha detto, “potrebbe essere qualcuno di famoso”, giacché “viviamo in una cultura della celebrità ed i giovani sono spesso incoraggiati ad avere come modello figure del mondo dello sport o dello spettacolo”.
Ma “quale tipo di persona vorreste davvero essere?”, ha chiesto il Papa ai ragazzi ed ha aggiunto: “Quando vi invito a diventare santi, vi sto chiedendo di non accontentarvi di seconde scelte”:
“I am asking you not to pursue one limited goal…”
“Vi sto chiedendo – ha ribadito il Papa - di non perseguire un obiettivo limitato, ignorando tutti gli altri”. Avere soldi, ha detto, “rende possibile essere generosi e fare del bene nel mondo, ma, da solo, non è sufficiente a renderci felici”. Né basta avere successo nello sport o nel lavoro per essere felici.
“La felicità – ha constatato – è qualcosa che tutti desideriamo, ma una delle grandi tragedie di questo mondo è che così tanti non riescono mai a trovarla, perché la cercano nei posti sbagliati. La soluzione è molto semplice: la vera felicità va cercata in Dio”.
“We need to have the courage to place our…”
“Abbiamo bisogno – ha affermato – del coraggio di porre le nostre speranze più profonde solo in Dio: non nel denaro, in una carriera, nel successo mondano, o nelle nostre relazioni con gli altri, ma in Dio. Lui solo può soddisfare il bisogno più profondo del nostro cuore”. Dio, ha aggiunto, ci invita a rispondere al suo amore, “desidera la vostra amicizia”. Un’amicizia che cambia la vita, che rende consapevoli quanto l’egoismo e l’avidità siano tendenze distruttive. Incontrando Dio, ha proseguito, “incominciate a provare compassione per quanti sono in difficoltà e desiderate fare qualcosa per aiutarli”.
Quando queste cose iniziano a starvi a cuore - ha soggiunto- “siete già pienamente incamminati sulla via della santità”. Quindi, soffermandosi sul percorso scolastico, ha invitato i giovani a ricordare sempre che ogni materia di studio si inserisce in un orizzonte più ampio:
“We need good historians and philosophers and economists…”
“Il mondo – è stata l’esortazione del Papa – ha bisogno di buoni scienziati, ma una prospettiva scientifica diventa pericolosamente angusta, se ignora la dimensione etica e religiosa della vita, così come la religione diventa angusta, se rifiuta il legittimo contributo della scienza alla nostra comprensione del mondo”.
Il Papa ha concluso il suo discorso sottolineando che una scuola cattolica deve incoraggiare la conoscenza ed amicizia con Dio come anche l’amicizia con i membri di altre tradizioni religiose:
Canti
Prima del discorso ai giovani del college, il Papa si era rivolto - nella Cappella universitaria - a 300 religiosi impegnati nell’educazione cattolica. Benedetto XVI ha espresso particolare apprezzamento per coloro il cui impegno è “garantire che le nostre scuole assicurino un ambiente sicuro per i bambini e i giovani”:
“Our responsibility towards those entrusted to us for their…”
“La nostra responsabilità verso coloro che ci sono affidati per la loro formazione cristiana – ha affermato – non richiede nulla di meno”. Inoltre, ha rilevato, “la vita di fede può essere effettivamente coltivata solo quando l’atmosfera prevalente è di una fiducia rispettosa e affettuosa”. Ed ha auspicato che “questo possa continuare ad essere un segno distintivo delle scuole cattoliche” del Regno Unito.
Il Papa non ha mancato di soffermarsi sul ruolo dell’insegnante, ribadendo che l’educazione “non può mai essere considerata come puramente utilitaristica”:
“It is about forming the human person…”
“Riguarda piuttosto – ha detto – formare la persona umana, preparare lui o lei a vivere la vita in pienezza – in poche parole riguarda educare alla saggezza”. E “la vera saggezza”, ha sottolineato, “è inseparabile dalla conoscenza del Creatore”. Il Papa ha anche rivolto il pensiero alla “presenza dei religiosi nelle scuole cattoliche”, che rappresenta “un forte richiamo all’ampiamente discusso carattere cattolico, che è necessario permei ogni aspetto della vita scolastica”. Questo, ha detto, “riporta all’evidente esigenza che il contenuto dell'insegnamento dovrebbe essere sempre in conformità con la dottrina della Chiesa”.
Il Santo Padre ha infine citato con gratitudine l’opera di Mary Ward, ricordando come anche lui, da ragazzo, sia stato educato dalle suore della congregazione delle “Dame inglesi”, fondata nel XVII secolo dalla Venerabile inglese.
CATECHESI DI BENEDETTO XVI SU SANTA CHIARA D’ASSISI - All’Udienza generale del mercoledì
ROMA, mercoledì, 15 settembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI questo mercoledì durante l'Udienza generale tenutasi nell'Aula Paolo VI del Vaticano.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sulla figura di Santa Chiara d’Assisi.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
una delle Sante più amate è senz’altro santa Chiara d’Assisi, vissuta nel XIII secolo, contemporanea di san Francesco. La sua testimonianza ci mostra quanto la Chiesa tutta sia debitrice a donne coraggiose e ricche di fede come lei, capaci di dare un decisivo impulso per il rinnovamento della Chiesa.
Chi era dunque Chiara d’Assisi? Per rispondere a questa domanda possediamo fonti sicure: non solo le antiche biografie, come quella di Tommaso da Celano, ma anche gli Atti del processo di canonizzazione promosso dal Papa solo pochi mesi dopo la morte di Chiara e che contiene le testimonianze di coloro che vissero accanto a lei per molto tempo.
Nata nel 1193, Chiara apparteneva ad una famiglia aristocratica e ricca. Rinunciò a nobiltà e a ricchezza per vivere umile e povera, adottando la forma di vita che Francesco d’Assisi proponeva. Anche se i suoi parenti, come accadeva allora, stavano progettando un matrimonio con qualche personaggio di rilievo, Chiara, a 18 anni, con un gesto audace ispirato dal profondo desiderio di seguire Cristo e dall’ammirazione per Francesco, lasciò la casa paterna e, in compagnia di una sua amica, Bona di Guelfuccio, raggiunse segretamente i frati minori presso la piccola chiesa della Porziuncola. Era la sera della Domenica delle Palme del 1211. Nella commozione generale, fu compiuto un gesto altamente simbolico: mentre i suoi compagni tenevano in mano torce accese, Francesco le tagliò i capelli e Chiara indossò un rozzo abito penitenziale. Da quel momento era diventata la vergine sposa di Cristo, umile e povero, e a Lui totalmente si consacrava. Come Chiara e le sue compagne, innumerevoli donne nel corso della storia sono state affascinate dall’amore per Cristo che, nella bellezza della sua Divina Persona, riempie il loro cuore. E la Chiesa tutta, per mezzo della mistica vocazione nuziale delle vergini consacrate, appare ciò che sarà per sempre: la Sposa bella e pura di Cristo.
In una delle quattro lettere che Chiara inviò a sant’Agnese di Praga, la figlia del re di Boemia, che volle seguirne le orme, parla di Cristo, suo diletto Sposo, con espressioni nunziali, che possono stupire, ma che commuovono: "Amandolo, siete casta, toccandolo, sarete più pura, lasciandovi possedere da lui siete vergine. La sua potenza è più forte, la sua generosità più elevata, il suo aspetto più bello, l’amore più soave e ogni grazia più fine. Ormai siete stretta nell’abbraccio di lui, che ha ornato il vostro petto di pietre preziose… e vi ha incoronata con una corona d’oro incisa con il segno della santità" (Lettera prima: FF, 2862).
Soprattutto al principio della sua esperienza religiosa, Chiara ebbe in Francesco d’Assisi non solo un maestro di cui seguire gli insegnamenti, ma anche un amico fraterno. L’amicizia tra questi due santi costituisce un aspetto molto bello e importante. Infatti, quando due anime pure ed infiammate dallo stesso amore per Dio si incontrano, esse traggono dalla reciproca amicizia uno stimolo fortissimo per percorrere la via della perfezione. L’amicizia è uno dei sentimenti umani più nobili ed elevati che la Grazia divina purifica e trasfigura. Come san Francesco e santa Chiara, anche altri santi hanno vissuto una profonda amicizia nel cammino verso la perfezione cristiana, come san Francesco di Sales e santa Giovanna Francesca di Chantal. Ed è proprio san Francesco di Sales che scrive: "È bello poter amare sulla terra come si ama in cielo, e imparare a volersi bene in questo mondo come faremo eternamente nell'altro. Non parlo qui del semplice amore di carità, perché quello dobbiamo averlo per tutti gli uomini; parlo dell'amicizia spirituale, nell'ambito della quale, due, tre o più persone si scambiano la devozione, gli affetti spirituali e diventano realmente un solo spirito" (Introduzione alla vita devota III, 19).
Dopo aver trascorso un periodo di qualche mese presso altre comunità monastiche, resistendo alle pressioni dei suoi familiari che inizialmente non approvarono la sua scelta, Chiara si stabilì con le prime compagne nella chiesa di san Damiano dove i frati minori avevano sistemato un piccolo convento per loro. In quel monastero visse per oltre quarant’anni fino alla morte, avvenuta nel 1253. Ci è pervenuta una descrizione di prima mano di come vivevano queste donne in quegli anni, agli inizi del movimento francescano. Si tratta della relazione ammirata di un vescovo fiammingo in visita in Italia, Giacomo di Vitry, il quale afferma di aver trovato un grande numero di uomini e donne, di qualunque ceto sociale che "lasciata ogni cosa per Cristo, fuggivano il mondo. Si chiamavano frati minori e sorelle minori e sono tenuti in grande considerazione dal signor papa e dai cardinali… Le donne … dimorano insieme in diversi ospizi non lontani dalle città. Nulla ricevono, ma vivono del lavoro delle proprie mani. E sono grandemente addolorate e turbate, perché vengono onorate più che non vorrebbero, da chierici e laici" (Lettera dell’ottobre 1216: FF, 2205.2207).
Giacomo di Vitry aveva colto con perspicacia un tratto caratteristico della spiritualità francescana cui Chiara fu molto sensibile: la radicalità della povertà associata alla fiducia totale nella Provvidenza divina. Per questo motivo, ella agì con grande determinazione, ottenendo dal Papa Gregorio IX o, probabilmente, già dal papa Innocenzo III, il cosiddetto Privilegium Paupertatis (cfr FF, 3279). In base ad esso, Chiara e le sue compagne di san Damiano non potevano possedere nessuna proprietà materiale. Si trattava di un’eccezione veramente straordinaria rispetto al diritto canonico vigente e le autorità ecclesiastiche di quel tempo lo concessero apprezzando i frutti di santità evangelica che riconoscevano nel modo di vivere di Chiara e delle sue sorelle. Ciò mostra come anche nei secoli del Medioevo, il ruolo delle donne non era secondario, ma considerevole. A questo proposito, giova ricordare che Chiara è stata la prima donna nella storia della Chiesa che abbia composto una Regola scritta, sottoposta all’approvazione del Papa, perché il carisma di Francesco d’Assisi fosse conservato in tutte le comunità femminili che si andavano stabilendo numerose già ai suoi tempi e che desideravano ispirarsi all’esempio di Francesco e di Chiara.
Nel convento di san Damiano Chiara praticò in modo eroico le virtù che dovrebbero contraddistinguere ogni cristiano: l’umiltà, lo spirito di pietà e di penitenza, la carità. Pur essendo la superiora, ella voleva servire in prima persona le suore malate, assoggettandosi anche a compiti umilissimi: la carità, infatti, supera ogni resistenza e chi ama compie ogni sacrificio con letizia. La sua fede nella presenza reale dell’Eucaristia era talmente grande che, per due volte, si verificò un fatto prodigioso. Solo con l’ostensione del Santissimo Sacramento, allontanò i soldati mercenari saraceni, che erano sul punto di aggredire il convento di san Damiano e di devastare la città di Assisi.
Anche questi episodi, come altri miracoli, di cui si conservava la memoria, spinsero il Papa Alessandro IV a canonizzarla solo due anni dopo la morte, nel 1255, tracciandone un elogio nella Bolla di canonizzazione in cui leggiamo: "Quanto è vivida la potenza di questa luce e quanto forte è il chiarore di questa fonte luminosa. Invero, questa luce si teneva chiusa nel nascondimento della vita claustrale e fuori irradiava bagliori luminosi; si raccoglieva in un angusto monastero, e fuori si spandeva quanto è vasto il mondo. Si custodiva dentro e si diffondeva fuori. Chiara infatti si nascondeva; ma la sua vita era rivelata a tutti. Chiara taceva, ma la sua fama gridava" (FF, 3284). Ed è proprio così, cari amici: sono i santi coloro che cambiano il mondo in meglio, lo trasformano in modo duraturo, immettendo le energie che solo l’amore ispirato dal Vangelo può suscitare. I santi sono i grandi benefattori dell’umanità!
La spiritualità di santa Chiara, la sintesi della sua proposta di santità è raccolta nella quarta lettera a Sant’Agnese da Praga. Santa Chiara adopera un’immagine molto diffusa nel Medioevo, di ascendenze patristiche, lo specchio. Ed invita la sua amica di Praga a riflettersi in quello specchio di perfezione di ogni virtù che è il Signore stesso. Ella scrive: "Felice certamente colei a cui è dato godere di questo sacro connubio, per aderire con il profondo del cuore [a Cristo], a colui la cui bellezza ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli, il cui affetto appassiona, la cui contemplazione ristora, la cui benignità sazia, la cui soavità ricolma, il cui ricordo risplende soavemente, al cui profumo i morti torneranno in vita e la cui visione gloriosa renderà beati tutti i cittadini della celeste Gerusalemme. E poiché egli è splendore della gloria, candore della luce eterna e specchio senza macchia, guarda ogni giorno questo specchio, o regina sposa di Gesù Cristo, e in esso scruta continuamente il tuo volto, perché tu possa così adornarti tutta all’interno e all’esterno… In questo specchio rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità" (Lettera quarta: FF, 2901-2903).
Grati a Dio che ci dona i Santi che parlano al nostro cuore e ci offrono un esempio di vita cristiana da imitare, vorrei concludere con le stesse parole di benedizione che santa Chiara compose per le sue consorelle e che ancora oggi le Clarisse, che svolgono un prezioso ruolo nella Chiesa con la loro preghiera e con la loro opera, custodiscono con grande devozione. Sono espressioni in cui emerge tutta la tenerezza della sua maternità spirituale: "Vi benedico nella mia vita e dopo la mia morte, come posso e più di quanto posso, con tutte le benedizioni con le quali il Padre delle misericordie benedisse e benedirà in cielo e in terra i figli e le figlie, e con le quali un padre e una madre spirituale benedisse e benedirà i suoi figli e le sue figlie spirituali. Amen" (FF, 2856).
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i rappresentanti dell’Associazione Mondo Libero; i fedeli della diocesi di Chiavari, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Alberto Tanasini; gli esponenti dell’Associazione Nazionale Bersaglieri. A tutti assicuro la mia preghiera perché il Signore accompagni sempre con la sua grazia le vostre aspirazioni e i vostri propositi.
Desidero ora salutare con particolare affetto i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Facciamo oggi memoria della Beata Vergine Maria Addolorata, che con fede sostò presso la croce del suo Figlio. Cari giovani, non abbiate paura di restare anche voi come Maria presso la Croce. Il Signore vi infonderà il coraggio di superare ogni ostacolo nella vostra quotidiana esistenza. E voi, cari ammalati, possiate trovare in Maria conforto e sostegno per apprendere dal Signore Crocifisso il valore salvifico della sofferenza. Voi, cari sposi novelli, rivolgetevi con fiducia nei momenti di difficoltà alla Vergine Addolorata, che vi aiuterà ad affrontarli con la sua materna intercessione.
[APPELLO DEL SANTO PADRE]
Seguo con preoccupazione gli avvenimenti verificatisi in questi giorni in varie regioni dell’Asia meridionale, specialmente in India, in Pakistan ed in Afghanistan. Prego per le vittime e chiedo che il rispetto della libertà religiosa e la logica della riconciliazione e della pace prevalgano sull’odio e sulla violenza.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
IL PAPA IN GRAN BRETAGNA: I CATTOLICI SIANO “ESEMPIO PUBBLICO DI FEDE” - Omelia al Bellahouston Park di Glasgow
GLASGOW, giovedì, 16 settembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l'omelia pronunciata da Papa Benedetto XVI questo giovedì, durante la celebrazione della Messa al Bellahouston Park di Glasgow, nel giorno in cui si celebrava la memoria liturgica di San Ninian di Galloway, Vescovo itinerante ed evangelizzatore dei celti, patrono di Scozia.
* * *
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
"È vicino a voi il regno di Dio" (Lc 10,9). Con queste parole del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, saluto tutti voi con grande affetto nel Signore. Davvero il Regno di Dio è già in mezzo a noi! In questa celebrazione Eucaristica, nella quale la Chiesa che è in Scozia si raduna attorno all’altare, in unione con il Successore di Pietro, riaffermiamo la nostra fede nella parola di Cristo e la nostra speranza – una speranza che mai delude – nelle sue promesse! Saluto cordialmente il Card. O’Brien e i vescovi scozzesi; ringrazio in particolare l’Arcivescovo Conti per le gentili parole di benvenuto, che mi ha rivolto a nome vostro; ed esprimo la mia profonda gratitudine per il lavoro che i Governi Britannico e Scozzese e la municipalità di Glasgow hanno svolto per rendere possibile questa circostanza.
Il Vangelo odierno ci ricorda che Cristo continua a inviare i suoi discepoli nel mondo per annunciare la venuta del suo Regno e portare la sua pace nel mondo, passando di casa in casa, di famiglia in famiglia, di città in città. Sono venuto in mezzo a voi, i figli spirituali di S. Andrea, come araldo di questa pace, e per confermarvi nella fede di Pietro (cfr Lc 22,32). E’ con una certa emozione che mi rivolgo a voi, non lontano dal luogo dove il mio amato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, circa trent’anni fa celebrò con voi la Messa, accolto dalla più grande folla che mai si sia riunita nella storia scozzese.
Molte cose sono accadute da quella storica visita, in Scozia e nella Chiesa che è in questo Paese. Noto con grande soddisfazione come l’esortazione che vi rivolse Papa Giovanni Paolo, a camminare mano nella mano con i vostri fratelli cristiani, abbia portato ad una maggiore fiducia e amicizia con i membri della Chiesa di Scozia, della Chiesa Episcopale Scozzese e delle altre comunità cristiane. Permettetemi di incoraggiarvi a continuare a pregare e lavorare con loro nel costruire un futuro più luminoso per la Scozia, fondato sulla nostra comune eredità cristiana. Nella prima lettura oggi proclamata abbiamo ascoltato l’invito rivolto da S. Paolo ai Romani a riconoscere che, come membra del corpo di Cristo, apparteniamo gli uni agli altri (cfr Rm 12,5), e a vivere con rispetto ed amore vicendevole. In questo spirito saluto i rappresentanti delle altre confessioni cristiane, che ci onorano della loro presenza. Quest’anno ricorre il 450° anniversario del "Reformation Parliament", ma anche il centenario della Conferenza Missionaria Mondiale di Edimburgo, che è generalmente considerata come la nascita del movimento ecumenico moderno. Rendiamo grazie al Signore per la promessa che rappresenta l’intesa e la cooperazione ecumenica, in vista di una testimonianza concorde alla verità salvifica della parola di Dio nell’odierna società in rapido mutamento.
Tra i diversi doni che S. Paolo elenca per l’edificazione della Chiesa vi è quello dell’insegnamento (cfr Rm 12,7). La predicazione del Vangelo è sempre stata accompagnata da una preoccupazione per la parola: la parola ispirata di Dio e la cultura nella quale quella parola mette radici e si sviluppa. Qui in Scozia, penso alle tre università medievali fondate dai pontefici, compresa quella di S. Andrea, che sta per celebrare il sesto centenario della sua fondazione. Negli ultimi trent’anni, con l’aiuto delle autorità civili, le scuole cattoliche scozzesi hanno raccolto la sfida di assicurare una educazione integrale ad un maggior numero di studenti, e ciò è stato di aiuto ai giovani non solo per il cammino di uno sviluppo umano e spirituale, ma anche per l’inserimento nelle professioni e nella vita pubblica. Questo è un segno di grande speranza per la Chiesa e desidero incoraggiare i professionisti, i politici e gli educatori cattolici scozzesi a non perdere mai di vista la loro chiamata ad usare i propri talenti e la propria esperienza a servizio della fede, confrontandosi con la cultura scozzese contemporanea ad ogni livello.
L’evangelizzazione della cultura è tanto più importante nella nostra epoca, in cui una "dittatura del relativismo" minaccia di oscurare l’immutabile verità sulla natura dell’uomo, il suo destino e il suo bene ultimo. Vi sono oggi alcuni che cercano di escludere il credo religioso dalla sfera pubblica, di privatizzarlo o addirittura di presentarlo come una minaccia all’uguaglianza e alla libertà. Al contrario, la religione è in verità una garanzia di autentica libertà e rispetto, che ci porta a guardare ogni persona come un fratello od una sorella. Per questo motivo faccio appello in particolare a voi, fedeli laici, affinché, in conformità con la vostra vocazione e missione battesimale, non solo possiate essere esempio pubblico di fede, ma sappiate anche farvi avvocati nella sfera pubblica della promozione della sapienza e della visione del mondo che derivano dalla fede. La società odierna necessita di voci chiare, che propongano il nostro diritto a vivere non in una giungla di libertà auto-distruttive ed arbitrarie, ma in una società che lavora per il vero benessere dei suoi cittadini, offrendo loro guida e protezione di fronte alle loro debolezze e fragilità. Non abbiate paura di dedicarvi a questo servizio in favore dei vostri fratelli e sorelle, e del futuro della vostra amata nazione.
San Ninian, la cui festa oggi celebriamo, non ebbe paura di essere una voce solitaria. Sulle orme dei discepoli che nostro Signore aveva inviato davanti a sé, Ninian fu uno dei primissimi missionari cattolici a portare ai suoi connazionali la buona novella di Gesù Cristo. La sua missione a Galloway divenne un centro per la prima evangelizzazione di questo Paese. Quell’opera venne in seguito portata avanti da San Mungo, il patrono di Glasgow, e da altri santi, tra i maggiori dei quali si devono ricordare San Columba e Santa Margaret. Ispirati da loro, molti uomini e donne lavorarono per molti secoli, per far giungere la fede fino a voi. Cercate di essere degni di questa grande tradizione! Sia vostra costante ispirazione l’esortazione di San Paolo nella prima lettura: "Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera" (cfr Rm 12,11-12).
Desidero ora rivolgere una speciale parola ai vescovi della Scozia. Cari confratelli, permettetemi di incoraggiarvi nella vostra responsabilità pastorale verso i cattolici della Scozia. Come sapete, uno dei primi compiti pastorali è per i vostri sacerdoti (cfr Presbyterorum Ordinis, 7) e per la loro santificazione. Come essi sono alter Christus per la comunità Cattolica, così voi lo siete per loro. Vivete in pienezza la carità che promana da Cristo nel vostro fraterno ministero verso i vostri sacerdoti, collaborando con tutti loro ed in particolare con quanti hanno scarsi contatti con i loro confratelli. Pregate con loro per le vocazioni, affinché il Signore della messe mandi operai nella sua messe (cfr Lc 10,2). Così come è l’Eucarestia che fa la Chiesa, il sacerdozio è centrale per la vita della Chiesa. Impegnatevi personalmente nel formare i vostri sacerdoti come una fraternità che ispira altri a dedicare completamente se stessi al servizio di Dio Onnipotente. Abbiate cura anche dei vostri diaconi, il cui ministero di servizio è unito in modo particolare con quello dell’ordine dei vescovi. Siate per loro dei padri e delle guide sul cammino della santità, incoraggiandoli a crescere in conoscenza e sapienza nel compiere la missione di annunciatori alla quale sono stati chiamati.
Cari sacerdoti della Scozia, siete chiamati alla santità e a servire il popolo di Dio modellando le vostre vite sul mistero della croce del Signore. Predicate il Vangelo con un cuore puro ed una coscienza retta. Dedicate voi stessi a Dio solo, e diventerete per i giovani esempi luminosi di una vita santa, semplice e gioiosa: essi, a loro volta, desidereranno certamente unirsi a voi nel vostro assiduo servizio al popolo di Dio. Che l’esempio di dedizione, di generosità e di coraggio di San John Ogilvie ispiri tutti voi. Similmente, permettetemi di incoraggiare anche voi, monaci, religiose e religiosi di Scozia, ad essere come una luce posta sulla sommità del colle, vivendo una autentica vita cristiana di preghiera ed azione che testimoni, in modo luminoso la forza del vangelo.
Infine, desidero rivolgere una parola a voi, miei cari giovani cattolici di Scozia. Vi esorto a vivere una vita degna di nostro Signore (cfr Ef 4,1) e di voi stessi. Vi sono molte tentazioni che dovete affrontare ogni giorno – droga, denaro, sesso, pornografia, alcool – che secondo il mondo vi daranno felicità, mentre in realtà si tratta di cose distruttive, che creano divisione. C’è una sola cosa che permane: l’amore personale di Gesù Cristo per ciascuno di voi. Cercatelo, conoscetelo ed amatelo, ed egli vi renderà liberi dalla schiavitù dell’esistenza seducente ma superficiale frequentemente proposta dalla società di oggi. Lasciate da parte ciò che non è degno di valore e prendete consapevolezza della vostra dignità di figli di Dio. Nel vangelo odierno, Gesù ci chiede di pregare per la vocazioni: prego perché molti fra voi conoscano ed amino Gesù Cristo e, attraverso tale incontro, giungano a dedicarsi completamente a Dio, in modo particolare quanti fra di voi sono chiamati al sacerdozio e alla vita religiosa. Questa è la sfida che il Signore oggi vi rivolge: la Chiesa ora appartiene a voi!
Cari amici, esprimo ancora una volta la mia gioia di celebrare questa Messa con voi. Mi fa piacere assicuravi delle mie preghiere nell’antica lingua del vostro paese: Sìth agus beannachd Dhe dhuib uile; Dia bhi timcheall oirbh; agus gum beannaicheadh Dia Alba. La pace e la benedizione di Dio siano con tutti voi; Dio vi protegga; e Dio benedica il popolo di Scozia!
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
JOHN HENRY NEWMAN, “DOTTORE DELLA CHIESA”, RICORDA BENEDETTO XVI - “Ponte tra anglicani e cattolici”, dice ai giornalisti
EDIMBURGO, giovedì, 16 settembre 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha definito il Cardinale John Henry Newman, C.O. (1801-1890), teologo che beatificherà questa domenica al culmine del suo viaggio nel Regno Unito, “dottore della Chiesa” e “ponte tra anglicani e cattolici”.
Il Pontefice ha tracciato un profilo personale di questa figura di spicco del Movimento di Oxford durante la conferenza stampa che ha offerto ai 70 giornalisti che lo accompagnavano sul volo Roma-Edimburgo questo giovedì mattina.
Newman, ha detto, è un uomo moderno - “con tutti i dubbi e i problemi del nostro essere di oggi”-, un uomo di “cultura grande” - di “conoscenza dei grandi tesori della cultura dell’umanità” - e di “vita spirituale con Dio”.
Questi tre elementi, ha sottolineato, “danno a quest'uomo un'eccezionale grandezza per il nostro tempo; è una figura di dottore della Chiesa per noi tutti e anche un ponte tra anglicani e cattolici”.
Non era la prima volta che Joseph Ratzinger definiva così Newman. Il 28 aprile 1990, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in un discorso pronunciato in occasione del centenario della morte del Cardinale inglese aveva parlato di lui come di un “grande dottore della Chiesa”.
“È un uomo di una grande spiritualità, di un grande umanesimo, un uomo di preghiera, di una relazione profonda con Dio e di una relazione propria, perciò anche di una relazione profonda con gli altri uomini del suo tempo”, ha sottolineato il Papa.
Newman è soprattutto “un uomo moderno che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche il problema dell’agnosticismo, il problema dell’impossibilità di conoscere Dio, e di credere”.
“Un uomo che era in tutta la sua vita in cammino, in cammino di lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità, di conoscere meglio e di trovare e di accettare la strada che dà la vera vita”.
“Questa modernità interiore della sua vita implica la modernità della sua fede. Non è una fede in formule del tempo passato, ma una fede personalissima, vissuta, sofferta, trovata in un lungo cammino di rinnovamento e di conversioni”, ha concluso il Papa sottolineando quest'ultima parola al plurale.
Per una sintesi del pensiero del nuovo beato - La verità non è un'opinione di Edoardo Aldo Cerrato - (©L'Osservatore Romano - 17 settembre 2010)
La beatificazione di John Henry Newman certifica che egli ha vissuto da vero discepolo di Cristo, lui che alla domanda rivoltagli da un bambino - "Chi è più grande: un cardinale o un santo?" - aveva risposto: "Vedi, piccolo mio, un cardinale appartiene alla terra: è terrestre; un santo appartiene al cielo, è celeste". Ma mette in evidenza anche - è elemento fondamentale della vita di Newman - l'uomo che per tutta la vita ha cercato la verità con una onestà intellettuale e una capacità di tener conto di tutti i fattori che lo hanno reso un precursore di molte scoperte divenute patrimonio comune della Chiesa.
Il pensiero newmaniano non è facile da sintetizzare in un sistema unitario: Newman è un profondo pensatore, una personalità intellettualmente poliedrica che, anche negli scritti apparentemente più teorici, si è lasciata guidare da avvenimenti interiori ed esterni, come ha messo in evidenza Roderick Strange nel suo recente John Henry Newman. Una biografia spirituale: "fu sempre più interessato alla realtà che alla teoria. Si occupava di ciò che veramente accadeva".
Se da sempre il pensiero di Newman ha suscitato interesse per la ricchezza, oggi esercita un fascino particolare anche per la sua attualità.
Tra gli innumerevoli elementi che giustamente dovrebbero essere sottolineati ne scegliamo uno, che ci pare, tra l'altro, sotteso a tutti: quello che Newman stesso volle porre al centro del "discorso del biglietto" - per la nomina a cardinale - da lui pronunciato il 12 maggio 1879 a Palazzo della Pigna a Roma e riportato integralmente due giorni dopo sulla prima pagina de "L'Osservatore Romano": "Per trenta, quaranta, cinquant'anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c'è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l'esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare?".
Al Simposio organizzato dal Centro degli Amici di Newman nel 1990 per il primo centenario della morte del fondatore dell'Oratorio inglese, il cardinale Joseph Ratzinger affermava: "Tutta la vita di Newman fu il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore d'una concezione del cristianesimo fondata sull'oggettività del dogma. A questo proposito trovo sempre grandemente significativa, ma particolarmente oggi, una formulazione tratta da una delle sue prediche dell'epoca anglicana. Il vero cristianesimo si dimostra nell'obbedienza, e non in uno stato di coscienza. Così tutto il compito e il lavoro di un cristiano si organizza attorno a questi due elementi: la fede e l'obbedienza; "egli guarda a Gesù" (Ebrei, 2, 9) e agisce secondo la sua volontà. Mi sembra che oggi corriamo il pericolo di non dare il peso che dovremmo a nessuno dei due. Consideriamo qualsiasi vera e accurata riflessione sul contenuto della fede come sterile ortodossia, come astruseria tecnica. Di conseguenza facciamo consistere il criterio della nostra pietà nel possesso di una cosiddetta disposizione d'animo spirituale". E continuò sottolineando il legame tra verità e coscienza personale: "Newman insegnava che la coscienza doveva essere nutrita come "un modo di obbedienza alla verità oggettiva"" ("Euntes Docete. Commentaria Urbaniana", Roma, xliii/1990/3, pp. 431-436).
Newman testimonia con la sua vita intera la centralità che in lui occupa questa convinzione e quanto disastrose egli ritenesse le conseguenze del mancato riconoscimento della religione rivelata come vera, oggettiva, del considerarla qualcosa di privato da cui scegliere per sé quel che pare: viene alla mente, pensando a tali conseguenze, ciò che ancora alla vigilia della sua elezione al pontificato, nella messa pro eligendo Pontifice, disse il cardinale Ratzinger: una barca scossa dalle onde create da correnti ideologiche, "dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo a un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. (...) Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie".
Tutto il cammino di Newman testimonia che la via della coscienza non è chiusura nel proprio "Io", ma è apertura, conversione, obbedienza a Colui che è l'amore e la verità: tra coscienza e verità c'è un legame intrinseco, e la dignità della coscienza non comporta il minimo cedimento all'arbitrarietà o al relativismo. E testimonia che la ragione - lo diciamo con le parole di Fortunato Morrone nella relazione al convegno "John Henry Newman oggi, lògos e dialogo" dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (2009) - "colta nella concretezza dell'esperienza umana dei singoli, fatta di relazioni, di immaginazione, di sentimenti, di puntuali e limitate contingenze storiche (...) possiede una sua dinamica che tende inevitabilmente alla verità".
"Ex umbra et imaginibus ad veritatem". "Cor ad cor loquitur". Nelle parole dettate da Newman per l'epigrafe della sua tomba e in quelle da lui scelte come motto per lo stemma cardinalizio, c'è davvero la potente sintesi di un immenso patrimonio di pensiero e di convinzioni.
Missione Britannia. A Glasgow splende il sole - Il viaggio di Benedetto XVI comincia in Scozia. L'incontro con la regina. La messa di popolo. Una festa della fede nel regno degli increduli. Con un prologo sullo scandalo della pedofilia - di Sandro Magister
ROMA, 16 settembre 2010 – In volo da Roma verso il Regno Unito, in quello che è stato pronosticato come il viaggio più difficile del suo pontificato, in terra ostile, Benedetto XVI ha subito messo in chiaro che la sua stella polare nn sono gli indici di gradimento:
"Una Chiesa che cerchi soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata".
E ha subito spiegato perché:
"Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri, il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro. Serve non per sé, per essere un corpo forte, ma per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo, le grandi verità, le grandi forze di amore di riconciliazione che sono apparse in lui".
Su questa base, ha proseguito, si realizza il vero ecumenismo:
"Se anglicani e cattolici vedono ambedue che non servono per se stessi ma sono strumenti per Cristo, non sono più concorrenti, ma sono congiunti nell’impegno per la verità di Cristo in questo mondo, e così si trovano anche reciprocamente in un vero e fecondo ecumenismo".
*
Questa è stata una delle cinque risposte date da papa Joseph Ratzinger ai giornalisti sull'aereo in volo da Roma a Edimburgo, la mattina di giovedì 16 settembre.
Un'altra risposta ha riguardato la figura di John Henry Newman, in procinto di essere beatificato: "un uomo moderno che ha vissuto tutto il problema della modernità, un dottore della Chiesa per noi e per tutti e un ponte tra anglicani e cattolici".
Altre due hanno riguardato l'impatto con un paese come il Regno Unito con forti venature atee e anticattoliche, e le possibili collaborazioni tra politica e religione.
Infine, a una domanda sullo scandalo della pedofilia il papa ha risposto così, visibilmente commosso:
"Innanzitutto devo dire che queste rivelazioni sono state per me uno shock, una grande tristezza. È difficile capire come questa perversione del ministero sacerdotale sia possibile. Il sacerdote nel momento dell’ordinazione, preparato per anni a questo momento, dice sì a Cristo, gli dice di farsi la sua voce, la sua bocca, la sua mano e di servire con tutta l’esistenza perché il Buon Pastore che ama, aiuta e guida alla verità sia presente nel mondo. Come un uomo che ha fatto e detto questo possa poi cadere in questa perversione è difficile da capire. È una grande tristezza anche che l'autorità della Chiesa non sia stata sufficientemente vigilante e sufficientemente veloce, decisa nel prendere le misure necessarie. Per tutto questo siamo in un momento di penitenza, di umiltà, di rinnovata sincerità, come ho scritto ai vescovi irlandesi. Mi sembra che dobbiamo adesso realizzare proprio un tempo di penitenza, un tempo di umiltà, in cui rinnovare e reimparare l’assoluta sincerità. Quanto alle vittime direi che tre cose sono importanti. Il primo interesse sono le vittime: come possiamo riparare, che cosa possiamo fare per aiutare queste persone a superare questo trauma, a ritrovare la vita, a ritrovare anche la fiducia nel messaggio di Cristo. L’impegno per le vittime è la prima priorità, con aiuti materiali, psicologici e spirituali. Il secondo problema è quello delle persone colpevoli: la giusta pena è escluderli da ogni possibilità di accesso ai giovani, perché sappiamo che questa è una malattia in cui la libera volontà non funziona; dove c’è questa malattia dobbiamo quindi proteggere queste persone da se stesse ed escluderle da ogni accesso ai giovani. E il terzo punto è la prevenzione e l’educazione nella scelta dei candidati al sacerdozio: essere così attenti, secondo le possibilità umane, da escludere futuri casi. Vorrei in questo momento anche ringraziare l’episcopato britannico per la sua attenzione e collaborazione sia con la sede di san Pietro sia con le istanze pubbliche, per l’attenzione per le vittime e per il diritto. L’episcopato britanico ha fatto e fa un grande lavoro, quindi sono molto grato".
*
Atterrato in Scozia a Edimburgo, il primo atto della visita di Benedetto XVI – che è anche formalmente visita di Stato, cosa inusuale nei viaggi pontifici – è stato l'incontro con la regina Elisabetta II.
Nel discorso rivolto alla regina, nel palazzo reale di Holyroodhouse, il papa ha messo in guardia dal rischio che il Regno Unito smarrisca la sua impronta cristiana, rivelatasi decisiva in passaggi cruciali della sua storia anche recente:
"Il nome di Holyroodhouse, residenza ufficiale di Vostra Maestà in Scozia, evoca la 'Santa Croce' e fa volgere lo sguardo alle profonde radici cristiane che sono tuttora presenti in ogni strato della vita britannica. [...] Possiamo ricordare come la Gran Bretagna e i suoi capi si opposero a una tirannia nazista che aveva in animo di sradicare Dio dalla società e negava a molti la nostra comune umanità, specialmente agli ebrei, che venivano considerati non degni di vivere. Desidero, inoltre, ricordare l’atteggiamento del regime verso pastori cristiani e verso religiosi che proclamarono la verità nell’amore; si opposero ai nazisti e pagarono con la propria vita la loro opposizione. Mentre riflettiamo sui moniti dell’estremismo ateo del ventesimo secolo, non possiamo mai dimenticare come l’esclusione di Dio, della religione e della virtù dalla vita pubblica conduce in ultima analisi a una visione monca dell’uomo e della società, e pertanto a 'una visione riduttiva della persona e del suo destino (Caritas in veritate, 29)".
Ha lanciato un ammonimento ai media britannici, per la loro influenza sull'opinione pubblica di tutto il mondo:
"Il governo e il popolo sono coloro che forgiano le idee che hanno tutt’oggi un impatto ben al di là delle Isole britanniche. Ciò impone loro un dovere particolare di agire con saggezza per il bene comune. Allo stesso modo, poiché le loro opinioni raggiungono un così vasto uditorio, i media britannici hanno una responsabilità più grave di altri e una opportunità più ampia per promuovere la pace delle nazioni, lo sviluppo integrale dei popoli e la diffusione di autentici diritti umani. Possano tutti i britannici continuare a vivere dei valori dell’onestà, del rispetto e dell’equilibrio che hanno guadagnato loro la stima e l’ammirazione di molti".
E ha chiesto rispetto per le culture e le tradizioni minacciate dall'intolleranza del moderno secolarismo:
"Oggi il Regno Unito si sforza di essere una società moderna e multiculturale. In questo compito stimolante, possa mantenere sempre il rispetto per quei valori tradizionali e per quelle espressioni culturali che forme più aggressive di secolarismo non stimano più, né tollerano più. Non si lasci oscurare il fondamento cristiano che sta alla base delle sue libertà; e possa quel patrimonio, che ha sempre servito bene la nazione, plasmare costantemente l’esempio del Suo governo e del Suo popolo nei confronti dei due miliardi di membri del Commonwealth, come pure della grande famiglia di nazioni anglofone in tutto il mondo. Dio benedica Vostra Maestà e tutte le persone del Vostro reame".
*
Il terzo atto della prima giornata del viaggio di Benedetto XVI è stata la messa nel Bellahouston Park di Glasgow, nel giorno della festa di san Ninian, uno dei primi evangelizzatori della Scozia.
Nell'omelia, il papa ha esortato i cristiani a essere "esempio pubblico di fede", per evitare che il mondo diventi una "giungla di libertà auto-distruttive ed arbitrarie":
"L’evangelizzazione della cultura è tanto più importante nella nostra epoca, in cui una 'dittatura del relativismo' minaccia di oscurare l’immutabile verità sulla natura dell’uomo, il suo destino e il suo bene ultimo. Vi sono oggi alcuni che cercano di escludere il credo religioso dalla sfera pubblica, di privatizzarlo o addirittura di presentarlo come una minaccia all’uguaglianza e alla libertà. Al contrario, la religione è in verità una garanzia di autentica libertà e rispetto, che ci porta a guardare ogni persona come un fratello od una sorella. Per questo motivo faccio appello in particolare a voi, fedeli laici, affinché, in conformità con la vostra vocazione e missione battesimale, non solo possiate essere esempio pubblico di fede, ma sappiate anche farvi avvocati nella sfera pubblica della promozione della sapienza e della visione del mondo che derivano dalla fede. La società odierna necessita di voci chiare, che propongano il nostro diritto a vivere non in una giungla di libertà auto-distruttive ed arbitrarie, ma in una società che lavora per il vero benessere dei suoi cittadini, offrendo loro guida e protezione di fronte alle loro debolezze e fragilità. Non abbiate paura di dedicarvi a questo servizio in favore dei vostri fratelli e sorelle, e del futuro della vostra amata nazione".
E ha invitato a "una testimonianza concorde alla verità salvifica della Parola di Dio" i cristiani delle diverse denominazioni presenti in Scozia, presbiteriani, anglicani e cattolici:
"Noto con grande soddisfazione come l’esortazione che vi rivolse papa Giovanni Paolo II, a camminare mano nella mano con i vostri fratelli cristiani, abbia portato a una maggiore fiducia e amicizia con i membri della Chiesa di Scozia, della Chiesa episcopale scozzese e delle altre comunità cristiane. Permettetemi di incoraggiarvi a continuare a pregare e lavorare con loro nel costruire un futuro più luminoso per la Scozia, fondato sulla nostra comune eredità cristiana. Nella prima lettura oggi proclamata abbiamo ascoltato l’invito rivolto da san Paolo ai Romani a riconoscere che, come membra del corpo di Cristo, apparteniamo gli uni agli altri (Rm 12, 5), e a vivere con rispetto ed amore vicendevole. In questo spirito saluto i rappresentanti delle altre confessioni cristiane, che ci onorano della loro presenza. Quest’anno ricorre il 450° anniversario del 'Reformation Parliament', ma anche il centenario della Conferenza Missionaria Mondiale di Edimburgo, che è generalmente considerata come la nascita del movimento ecumenico moderno. Rendiamo grazie al Signore per la promessa che rappresenta l’intesa e la cooperazione ecumenica, in vista di una testimonianza concorde alla verità salvifica della parola di Dio nell’odierna società in rapido mutamento".
*
In Scozia i cattolici sono proporzionalmente più numerosi. Sono il 17 per cento della popolazione, mentre in Inghilterra e Galles sono l'8 per cento. Un secolo fa erano ovunque parecchi di meno.
L'incremento dei cattolici nell'intero Regno Unito è avvenuto sia nei ceti intellettuali, sia negli strati più umili.
Tra i primi vi sono stati illustri convertiti dall'anglicanesimo: da Newman a Benson, da Oscar Wilde a Chesterton, da Graham Greene a Evelyn Vaugh. Tra i secondi sono stati determinanti gli immigrati irlandesi, tutti di religione cattolica. A Glasgow i cattolici d'origine irlandese sono oggi il 28 per cento, a Liverpool il 46 per cento.
Rispetto agli anglicani i cattolici sono più assidui alle messe. Tra i praticanti domenicali il sorpasso è avvenuto nel 2006: 862 mila i cattolici (il 15 per cento del totale), 852 mila gli anglicani.
In più, oggi la Chiesa cattolica fa da polo d'attrazione per consistenti gruppi di anglicani, con vescovi e sacerdoti, che si sentono a disagio per le derive moderniste di alcuni loro correligionari e non sopportano le donne vescovo e i matrimoni omosessuali.
Sul volo che ha portato il pontefice in Gran Bretagna - Il Papa : «Sui preti pedofili la Chiesa non ha vigilato abbastanza» - «Queste rivelazioni sono state per me uno choc, sono una grande tristezza. Siamo in penitenza e umiltà» - dal nostro inviato Gian Guido Vecchi - CorSera 16 settembre 2010
DAL VOLO PAPALE – Volo Az 4000, si parte da Ciampino e a mezz’ora dal decollo Benedetto XVI raggiunge in fondo all’aereo i settanta giornalisti da tutto il mondo che lo seguono nel viaggio. Ha l’aria riposata e tranquilla, le polemiche che hanno preceduto i quattro giorni nel Regno Unito, spiega, non lo preoccupano, parla della fede e della «grande tradizione di tolleranza e rispetto» del Regno Unito. Né si sottrae alle polemiche che hanno preceduto la partenza, a cominciare dallo scandalo pedofilia nel clero: «choc» e «tristezza»: «Una grande tristezza anche che la autorità della Chiesa non fosse sufficientemente vigilante e non sufficientemente veloce». Padre Federico Lombardi ha raccolto e riassunto le domande dei media e le rivolge al pontefice.
Durante la preparazione di questo viaggio vi sono state discussioni e posizioni contrarie. Nella tradizione passata del Paese vi sono state forti posizioni anticattoliche. Lei è preoccupato di come sarà accolto?
«Devo dire che non sono preoccupato perché quando sono stato in Francia è stato detto che era quello il Paese più anticlericale, con forte correnti anticlericali e con un numero minimo di fedeli. E quando sono andato nella Repubblica Ceca è stato detto che quello sarebbe il Paese più antireligioso d’Europa e anche anticlericale. Così tutti i Paesi occidentali secondo la propria storia, hanno molte correnti anticlericali e anticattoliche ma hanno anche sempre una presenza forte di fede. In Francia e nella Repubblica Ceca ho visto e vissuto una calorosa accoglienza da parte della comunità cattolica; una forte attenzione da parte di agnostici che tuttavia sono in ricerca, vogliono conoscere e trovare i valori che portano avanti l’umanità, e sono stati molto attenti se potrebbero sentire da me qualcosa anche in questo senso; e la tolleranza e il rispetto di quanti sono anticattolici. La Gran Bretagna ha una sua propria storia di anticattolicesimo, questo è ovvio, ma è anche un Paese con una sua storia di tolleranza. Io sono sicuro che da una parte ci sarà un’accoglienza positiva dai cattolici e in generale dai credenti, attenzione da quanti cercano come andare avanti in questo nostro tempo; e dall’altra rispetto e tolleranza reciproca dove c’è anticattolicesimo. Vado avanti con grande coraggio e con gioia».
Il Regno Unito è considerato un Paese secolarizzato, c’è un forte movimento di ateismo, tuttavia ci sono segni che la fede religiosa, specie cristiana, è ancora viva. Come renderla anche più credibile e attrattiva?
«Direi che una Chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata. Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri o il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro e serve non per sé, per essere un corpo forte, ma per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo, le grandi verità, la grandi forza di amore e di riconciliazione che è apparsa in questa figura e che viene sempre dalla presenza di Gesù Cristo. In questo senso la Chiesa non cerca la propria attrattività, ma deve essere trasparente per Gesù Cristo. E nella misura nella quale non sta per se stessa, come corpo forte e potente nel mondo, ma si fa semplicemente voce di un altro, diventa realmente trasparenza per la grande figura di Cristo e le grandi verità che ha portato nell’umanità, la forza dell’amore. La Chiesa non dovrebbe considerare se stessa ma aiutare a considerare l’Altro, e essa stessa vedere e parlare di un Altro. In questo senso mi sembra anche che anglicani e cattolici abbiano lo stesso compito, la stessa direzione da prendere, se anglicani e cattolici vedono ambedue che non servono per se stessi ma sono strumenti per Cristo, se ambedue seguono la priorità di Cristo e non di se stessi, procedono insieme: perché la priorità di Cristo li accomuna e non sono più concorrenti, una situazione in cui ognuno cerca il maggiore numero, ma sono congiunti nell’impegno per la verità di Cristo in questo mondo, e così si trovano anche reciprocamente in un vero e profondo ecumenismo».
Come è noto lo scandalo degli abusi sessuali ha scosso la fiducia dei fedeli nella Chiesa, come pensa di poter contribuire a ristabilirla?
«Innanzitutto devo dire che queste rivelazioni sono state per me uno choc, sono una grande tristezza. È difficile capire come questa perversione del ministero sacerdotale sia possibile. Il sacerdote nel momento dell’ordinazione, preparato per anni a questo momento dice sì a Cristo, accetta di farsi la sua voce, la sua bocca, la sua mano e servire con tutta l’esistenza perché il Buon pastore che ama, aiuta e guida alla verità sia presente nel mondo. Come un uomo che ha fatto e detto questo possa poi cadere in questa perversione è difficile capire, è una grande tristezza, una grande tristezza anche che la autorità della Chiesa non fosse sufficientemente vigilante e non sufficientemente veloce, decisa nel prendere le misure necessarie. Per tutto questo siamo in un momento di penitenza, di umiltà, di rinnovata sincerità, come ho scritto ai vescovi irlandesi. Mi sembra che adesso dobbiamo realizzare proprio un tempo di penitenza, un tempo di umiltà e rinnovare, reimparare l’assoluta sincerità. Quanto alle vittime, direi che tre cose sono importanti. Il primo interesse sono le vittime, come possiamo riparare, che cosa possiamo fare per aiutare queste persone a superare questo trauma, a ritrovare la vita, a ritrovare anche la fiducia nel messaggio di Cristo. L’impegno per le vittime è la prima priorità con aiuti materiali, psicologici e spirituali. Secondo è il problema delle persone colpevoli: ci vuole la giusta pena e bisogna escluderli da ogni possibilità di accesso ai giovani, perché sappiamo che questa è una malattia che la libera volontà non funziona ove c’è questa malattia quindi dobbiamo proteggere queste persone da se stesse, e trovare il modo di aiutarle, ed escluderle da ogni accesso ai giovani. E il terzo punto è la prevenzione e l’educazione nella scelta dei candidati al sacerdozio. Essere così attenti da escludere, secondo le possibilità umane, casi futuri. Vorrei in questo momento ringraziare l’episcopato britannico per la sua attenzione e collaborazione sia con la Sede di San Pietro sia con le istanze pubbliche e l’attenzione per le vittime e per il diritto. L’episcopato britannico ha fatto e fa un grande lavoro, quindi sono molto grato».
Santità, per il cardinale Newman lei fa l’eccezione di presiedere la beatificazione. Pensa che il suo ricordo possa aiutare a superare divisioni tra anglicani e cattolici?
«Newman è soprattutto da una parte un uomo moderno che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche il problema dell’agnosticismo, il problema dell’impossibilità di conoscere Dio, di credere. Un uomo che è stato tutta la sua vita in cammino, per lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità di conoscere e di trovare e di accettare la strada che dà la vera vita. Questa modernità interiore della sua vita implica la modernità della sua fede. Non è una fede in formule del tempo passato ma una fede personalissima, vissuta e sofferta, trovata in un lungo cammino di rinnovamento e di conversione. È un uomo di grande cultura: nella cultura scettica di oggi possiamo capire qualcosa di certo sulla verità dell’uomo. Un uomo con una grande conoscenza dei Padri della Chiesa, che ha studiato e rinnovato la genesi e il dono della fede. È un uomo di una grande spiritualità di un grande umanesimo, un uomo di preghiera, di una relazione profonda con Dio e perciò anche di una relazione profonda con gli uomini del suo tempo. Direi quindi tre elementi: modernità della sua esistenza con tutti i dubbi e i problemi del nostro essere di oggi; cultura grande, conoscenza dei grandi tesori della cultura dell’umanità e disponibilità di ricerca permanente; e di rinnovamento permanente e spiritualità, di vita spirituale con Dio. Tutte queste cose danno a questo un uomo un eccezionale grandezza nel nostro tempo. È una figura di dottore della Chiesa per noi e per tutti e un ponte tra anglicani e cattolici».
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Questa visita ha il rango di visita di Stato. Cosa significa? Ci sono sintonie sulle grandi sfide del mondo attuale?
«Sono molto grato a sua maestà la regina Elisabetta II che voleva dare a questa visita il rango di visita di Stato, che sa esprimere il carattere pubblico questa visita e anche la responsabilità comune della politica e della religione per il futuro del continente e anche per il futuro dell’umanità. C’è una grande e comune responsabilità perché i valori che creano giustizia e politica e che vengono dalla religione siano insieme, in cammino nel nostro tempo. In verità il fatto che giuridicamente sia una visita di Stato non rende la mia visita un fatto politico perché se il Papa è un capo di Stato, questo è solo uno strumento per garantire l’indipendenza del suo annuncio e il carattere pubblico del suo lavoro di pastore. In questo senso anche la visita di Stato rimane sostanzialmente ed essenzialmente una visita pastorale, cioè una visita nella responsabilità della fede. Il centro dell’attenzione di questa visita di Stato è proprio la coincidenza tra l’interesse della politica e della religione. La politica sostanzialmente è creata per garantire giustizia, la giustizia e la libertà, e la giustizia è un valore morale, religioso, e così l’annuncio della fede si collega nel punto giustizia alla politica e qui nascono anche gli interessi comuni. La Gran Bretagna ha una grande esperienza e una grande attività nella lotta contro il male di questo tempo, la miseria, la povertà, le malattie, la droga e tutte queste lotte contro la miserie, le povertà la schiavitù dell’uomo sono anche scopi della fede perché sono scopi dell’umanizzazione dell’uomo perché sia restituito all’immagine di Dio contro le distruzioni e le devastazioni. Il secondo compito comune è l’impegno per la pace nel mondo e la capacità di vivere la pace, l’educazione alla pace. Creare le virtù che vedono l’uomo capace di pace. E finalmente l’elemento essenziale della pace è il dialogo delle religioni, la tolleranza, l’apertura dell’uomo all’altro. C’è uno scopo profondo sia della Bretagna sia della fede cattolica di aprire il cuore, di aprire al dialogo, di aprire così alla verità, al cammino comune dell’umanità e ai valori che sono fondamento del nostro umanesimo».
Tornielli: posso testimoniare che il passaggio di Benedetto smonta le proteste - INT. Andrea Tornielli - venerdì 17 settembre 2010
È cominciata ieri la visita di stato in Gran Bretagna di Benedetto XVI. Nel palazzo reale di Edimburgo il Papa ha incontrato la regina Elisabetta e il principe Filippo e ha tenuto il primo discorso ufficiale. Grande l’attesa, per un viaggio che i pronostici della vigilia non hanno annunciato facile. Fin dal viaggio in aereo, com’era avvenuto per il recente pellegrinaggio in Portogallo, il Papa ha toccato temi cruciali. Il sussidiario ne ha parlato con Andrea Tornielli, vaticanista del Giornale, al seguito di Benedetto XVI in questa visita nel Regno Unito.
Durante il volo da Ciampino a Edimburgo, tra i vari temi toccati il Papa è tornato sulla questione pedofilia, molto sentita in Gran Bretagna.
Sì, e ha detto cose molto forti. Ha detto che le rivelazioni sugli scandali sono state «uno shock» e un motivo di «grande tristezza», aggiungendo che per lui è stato difficile capire come si sia potuti arrivare ad una tale «perversione del ministero sacerdotale». Ha detto che l’autorità della Chiesa non è stata sufficientemente vigilante, veloce e decisa nel prendere le decisioni necessarie per contrastare gli abusi. E ha ribadito il tema della penitenza, della purificazione e della trasparenza. Ma il passaggio che più mi ha sorpreso è stato un altro, ed ha a che fare con il tessuto della società britannica, fortemente secolarizzata.
Parla di quando è stato chiesto al Papa come rendere la fede religiosa, specialmente cristiana, «anche più credibile e attrattiva» in un contesto come quello?
Sì, perché la risposta del Papa colloca la Chiesa all’opposto di un’idea di essa centrata sulle statistiche, sulla presenza numerica dei fedeli, all’opposto insomma di una visione egemonica. Ha detto che una Chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata: la Chiesa, ha detto il Papa, «non lavora per sé, per aumentar i propri numeri e il proprio potere». «La Chiesa è al servizio di un Altro»: serve non per sé stessa ma per rendere accessibile agli uomini la verità di Gesù Cristo.
La verità della Chiesa non dipende dal suo consenso, insomma.
No. il Papa ha dato una risposta che vale non solo per la Gran Bretagna o per un luogo in cui i cattolici sono numericamente minoritari, ma per tutti. Nella misura in cui la Chiesa è trasparente e fa vedere Cristo, lì sta la sua ragione, non nei numeri, non nella sua influenza mondana.
Lei ha assistito all’incontro pubblico del Papa con i sovrani. Cosa può dire?
Benedetto XVI ha espresso parole di gratitudine alla regina Elisabetta già durante il volo. Il discorso della sovrana è stato molto formale, ha però riconosciuto alla Chiesa cattolica il grande ruolo che essa ha nell’educazione e contro l’uso della violenza. Se pensiamo alla valenza di queste parole rispetto al problema dell’Irlanda del nord, ne cogliamo subito l’importanza. Ha anche parlato del ruolo pubblico della religione e dunque del contributo positivo che viene dalla religione. Il Papa ha ripreso il tema dell’importanza delle radici cristiane, e ha dato atto alla Gran Bretagna di quello che ha fatto nella storia, soprattutto di essere stata baluardo contro la dittatura nazista.
«…la Gran Bretagna e i suoi capi - ha detto Benedetto XVI - si opposero ad una tirannia nazista che aveva in animo di sradicare Dio dalla società e negava a molti la nostra comune umanità, specialmente gli ebrei, che venivano considerati non degni di vivere». La frattura tra dio e società non è anche tipica della nostra società secolarizzata?
Sì, e secondo me la frase del Papa è tutt’altro che casuale. Parole comunque di alto valore simbolico, se pensiamo che sono pronunciate da un Papa di nazionalità tedesca. Benedetto poi ha difeso «quei valori tradizionali» e «quelle espressioni culturali che forme più aggressive di secolarismo non stimano più». Il popolo inglese non deve permettere, esorta il papa, che si oscuri il fondamento cristiano che sta alla base delle libertà che così profondamente segnano la storia e la civiltà inglese. Quel patrimonio deve continuare a «plasmare» la nazione. A mio modo di vedere l’elemento altamente positivo è stata la consonanza di vedute sul ruolo pubblico del cristianesimo: anche la regina lo ha detto chiaramente.
È accaduto raramente che un Papa andasse in un paese così secolarizzato, e in cui al tempo stesso la protesta contro di lui fosse così capillarmente organizzata. Lei che impressione ne ha avuto, a giudicare dal primo giorno di viaggio?
Intanto posso dire che nel settore riservato alle proteste, vicino al percorso del Papa, su 70 posti «democraticamente» destinati ai contestatori c’erano al massimo una decina di ragazzi che agitavano dei condom. Occorre tener presente che quando nell’’82 venne Giovanni Paolo II ci furono moltissime proteste e altrettanto se non più veementi, dunque bisogna abituarsi a guardare alla Chiesa e al papato con gli occhi della storia.
L’opinione pubblica britannica sarà capace di farlo?
La mia percezione, stando a quel che ho visto finora, è che se dal punto di vista mediatico l’attesa era incentrata solo sulle proteste, ora che la visita è iniziata e il Papa è qui, una differenza comincia a vedersi: l’attenzione dei media è rivolta tutta a quel che Benedetto XVI dice e a quel che è, lui, in persona. Non vorrei essere troppo ottimista, ma secondo me questo è comunque destinato a cambiare un po’ l’opinione pubblica.
NEWMAN/ 1. Cattolico perchè moderno: quando al Papa serve un cardinale... - Giuseppe Bonvegna - venerdì 17 settembre 2010 – ilsussidiario.net
Il primo viaggio apostolico di papa Benedetto XVI nel Regno Unito è un evento fondamentale per la Chiesa e per il mondo. Domenica il Papa celebrerà la Messa di Beatificazione del cardinale John Henry Newman (1801-1890) al Cofton Park di Birmingham. Il grande intellettuale e prete anglicano di Oxford (anche se londinese di nascita) si convertì al cattolicesimo nel 1845, presentando la sua professione di fede nelle mani del padre passionista italiano, Domenico Barberi.
C’è un legame molto stretto tra Newman e l’Italia - all’indomani della sua conversione dall’anglicanesimo al cattolicesimo, fondò la Congregazione inglese dell’Oratorio di San Filippo Neri -, ma il grande convertito rimane comunque un personaggio tutto sommato non molto conosciuto al pubblico italiano, anche se non mancano studi e biografie nella nostra lingua (e non soltanto in traduzione), che, com’è ovvio, si stanno moltiplicando in concomitanza con la Beatificazione. Tra le ultime biografie, meritano di essere ricordate: John Henry Newman. Una biografia spirituale di Roderick Strange (Lindau, Torino 2010), Newman. La ragionevolezza della fede di Lina Callegari (Ares, Milano 2010) e il più divulgativo John Henry Newman. Profilo di un cercatore di verità (Ancora, Milano 2010).
Eppure il legame tra Newman e l’Italia non è solo questione di aneddotica e di pubblicistica, ma coinvolge il cuore dell’esperienza religiosa e intellettuale newmaniana. Già prima della conversione, infatti, Newman conosceva e apprezzava la spiritualità di Antonio Rosmini e il cosiddetto “cattolicesimo moderno”, cioè quel cattolicesimo sviluppatosi in risposta alla Riforma protestante e che ebbe (solo per limitarsi a un esempio) in sant’Alfonso Maria de’ Liguori uno dei suoi rappresentanti più noti. Fu anche dalla lettura del santo napoletano (alla quale va aggiunta quella di sant’Ignazio di Loyola e di diversi altri) che, all’inizio degli anni Quaranta dell’Ottocento, Newman si convinse della verità del cattolicesimo.
Il futuro cardinale immaginò la sua missione intellettuale e spirituale (che era iniziata negli anni Trenta tra le fila e come leader del Movimento di Oxford per la difesa dell’anglicanesimo dalle leggi del governo liberale di allora) nei termini di una battaglia che si poteva combattere soltanto sul crinale dell’Età moderna.
Diventare cattolico avrebbe infatti comportato, senza compromessi, un ritorno alla prima spiritualità cattolica anti-protestante e quindi un abbandono definitivo della dottrina anglicana della Via Media tra calvinismo e cattolicesimo, che egli professava prima della conversione, nel tentativo di proporre un’immagine della Chiesa anglicana “ripulita” dalla deriva protestante alla quale anche i politici liberali del tempo di fatto la stavano condannando: ai suoi occhi, il continuare a credere nella Chiesa anglicana occultava il fatto che non poteva esserci una via di mezzo tra ateismo e cattolicesimo, nel senso che uno spirito autenticamente religioso avrebbe dovuto, prima o poi, abbracciare naturalmente il cattolicesimo.
Ecco perché anche la visita del Papa nel Regno Unito e la contestuale Beatificazione di colui il quale fu l’iniziatore e il padre spirituale di una lunga schiera di convertiti, che, da John Ronald Reuel Tolkien e da Gilberth Keith Chesterton arriva fino ai giorni nostri e non si è ancora conclusa, deve essere letta alla luce di un confronto decisivo con la modernità: si tratta di una battaglia che, del resto, l’attuale Pontefice da anni sta conducendo (anche in campo filosofico e anche sulla scorta del pensiero newmaniano) e alla quale, al Cofton Park di Birmingham, darà uno dei suggelli più alti.
È infatti il ritmo della storia, del futuro dell’Inghilterra e (data l’importanza della nazione inglese) dell’intera Europa a battere nel cuore della visita papale, e ciò non solo perché si tratta di una visita di Stato. A fare da sfondo all’udienza con la Regina (in programma a Edimburgo giovedì 16) e agli incontri londinesi con l’Arcivescovo di Canterbury (venerdì 17) e con il Primo Ministro (sabato 18) ci saranno inevitabilmente le grandi questioni secolari ancora non risolte che religiosamente determinano la separazione della nazione d’oltremanica da Roma e che attendono di essere comprese, da parte inglese, con una volontà pacificatrice che sappia davvero apprezzare lo sforzo ecumenico del Papa.
La speranza è che sulle polemiche (e non solo su quelle più “basse” e banali) riesca a diffondersi anche a livello popolare quella sana curiositas verso la Chiesa cattolica, che, ad esempio, potrebbe essere facilitata da una pagina del sito internet dedicato alla Visita del Papa, dove si possono trovare informazioni su “cosa significa essere cattolico e come si può diventare cattolici”. Un servizio utilissimo, forse non solo per l’Inghilterra.
NEWMAN/ 2. L'unità della ragione, antidoto alla "follia" degli specialisti - Mario Gargantini - venerdì 17 settembre 2010 – ilsussidiario.net
Tra le tante sollecitazioni lanciate dalla visita di Benedetto XVI in Inghilterra e dalla beatificazione del cardinal Newman, ce ne sono alcune che toccano direttamente il mondo scientifico e può essere utile riprenderle all’interno di pagine che trattano esplicitamente di scienza e tecnologia. In questo ci faremo aiutare da un saggio di Alasdair MacIntyre pubblicato sull’ultimo numero della rivista Vita e Pensiero e che a sua volta riprende una conferenza tenuta lo scorso anno a Oxford nell’ambito della John Henry Newman Annual Lecture.
Nel saggio, il filosofo della Notre Dame University (Usa) ci guida attraverso il pensiero di Newman, con riferimento soprattutto agli Scritti sull’università laddove viene sviluppata la tesi che «la specializzazione e la focalizzazione dell’intelligenza su un ambito ristretto deformano la mente». È un’osservazione che, se già aveva la sua validità all’epoca del grande cardinale e teologo inglese, assume un carattere di assoluta attualità per come sta evolvendo il panorama scientifico e culturale contemporaneo.
La «molteplicità frammentata di discipline», che Newman vedeva come rischio di curricula universitari del suo tempo, è ormai un dato di fatto e raggiunge livelli esagerati. Si arriva al punto che all’interno della stessa disciplina madre, poniamo la biologia, si sviluppano una gerarchia di sottodiscipline ciascuna con una sua architettura di metodi, strumenti, formalismi, procedure sperimentali; tanto che le ricerche condotte in un laboratorio non sono comprensibili facilmente dal “biologo della porta accanto”.
La scienza si sta avvicinando a grandi passi al traguardo paradossale indicato con una celebre battuta del noto fisico Victor Weisskopf, uno dei padri del Cern, secondo il quale a furia di conoscere sempre “più” cose di sempre “meno” argomenti, si finirà per sapere “tutto” di “niente”. Il fatto è che tale situazione diventa a lungo andare negativa per le stesse singole discipline e per l’avanzamento delle conoscenze scientifiche; delle quali peraltro Newman era un grande estimatore, come di tutto quanto è espressione di una ragione correttamente esercitata. Conoscere infatti significa sì concentrarsi su un particolare ma per poterlo meglio inserire in un quadro più ampio di conoscenze e significati.
La mancanza di un continuo ancoraggio delle singole conoscenze a un orizzonte unitario e globale porta via via alla minor capacità di comprendere lo stesso particolare, a ridurre le possibilità di diventare fecondi e creativi nello specifico della stessa disciplina; perché, è sempre Newman che afferma, «benché l’arte in sé avanzi in virtù di questo concentrarsi della mente al suo servizio, l’individuo che è a essa limitato regredisce».
Il riferimento alla dimensione personale della conoscenza porta direttamente il discorso sul tema dell’educazione, anche questo di grande attualità in un’Italia agitata dal vento della riforma dei percorsi scolastici. Acutamente MacIntyre fa notare che la domanda di partenza di Newman «Che cos’è un’università?» in realtà ne sottende un’altra più generale: «Che cos’è una mente educata?». E sulle finalità di un’educazione dell’intelligenza il teologo inglese aveva le idee chiare: l’obiettivo è raggiungere quel «vero ampliamento della mente che consiste nella facoltà di vedere molte cose nello stesso tempo come un tutto, di ricondurle una a una alla loro vera posizione nel sistema universale, di capirne il rispettivo valore e di determinarne la reciproca dipendenza».
Non è difficile scorgere in questo passaggio un nesso fin troppo esplicito con il pensiero di Benedetto XVI, in particolare con quanto espresso nel discorso di Ratisbona circa l’esigenza dell’uomo contemporaneo di sperimentare un “allargamento della ragione” superando le forti tendenze nichiliste e relativiste. Il traguardo, mai definitivo, di un serio lavoro educativo sarà allora l’uomo colto, dove l’aggettivo va purgato da ogni accento di intellettualismo o erudizione. Essere colti, osserva MacIntyre, significa «non solo sapere come servirsi di ciascuna disciplina in modo appropriato ma anche come rispondere alle affermazioni ingiustificate fatte in nome di una qualsiasi di esse. E per questo non abbiamo bisogno della mente contratta dello specialista ma di una mente di tipo differente».
Quello che caratterizza l’uomo colto non è quindi la quantità di conoscenze e competenze che ha acquisito quanto la sua “capacità di giudizio”; e questa applicata non solo allo specifico della professione ma anche alla normalità della vita e delle incombenze quotidiane. D’altra parte la situazione attuale acuisce l’esigenza di giudizio sottoponendo tutti noi a un incessante bombardamento comunicativo e informativo dal quale ci si può difendere solo incrementando «le facoltà attive e inventive» che derivano da un allargamento delle prospettive più che dalla specializzazione.
Senza quella formazione unitaria e senza l’educazione a giudicare e valutare ogni conoscenza e ogni situazione, il rischio per tutti, non solo per gli scienziati, è che arriviamo a «non sapere quel che stiamo facendo», che si tratti di una semplice attività domestica o di un complesso progetto tecnico o sociale. Con conseguenze gravi sia sulla nostra esistenza personale sia su quella di coloro che, nella sfera familiare o in quella lavorativa, dipendono da “quel che stiamo facendo”.
Rom, di chi è la colpa? - Mario Mauro - venerdì 17 settembre 2010 – ilsussidiario.net
Dopo il vivace scontro tra il Commissario europeo alla Giustizia Viviane Reding e il Governo francese, che ha animato negli ultimi giorni il dibattito politico europeo, è opportuno fare chiarezza su una questione, quella delle popolazioni rom, che merita tutt’altra considerazione e maggiore responsabilità da entrambe la parti in causa. A nulla serviranno alla lunga gli schiaffoni a distanza tra Bruxelles e Parigi con la Reding che ha perso la pazienza arrivando addirittura a paragonare (poi scusandosi) i rimpatri dei rom dalla Francia alle deportazioni di massa della seconda guerra mondiale e con Sarkozy che ha proposto di ospitare questi cittadini nel paese d’origine della Commissaria, il Lussemburgo.
Ieri, nel corso dei lavori del Consiglio europeo, lo stesso Sarkozy pare abbia discusso con il Presidente della Commissione europea Barroso, chiedendo, in maniera molto accesa, spiegazioni sulla procedura d’infrazione che verrà aperta contro il suo paese. Non è più il momento degli scambi di accuse o delle strumentalizzazioni politiche, ma è davvero il momento di aprire una riflessione seria e concreta sulle misure da prendere per risolvere i problemi di integrazione.
Il gruppo del Partito popolare europeo da molto tempo preme perché si realizzi una vera strategia europea per i Rom, un piano organico che sia davvero gestito a livello comunitario e che in modo preciso e puntuale possa contribuire all'integrazione dei Rom all'interno dell'Ue. I problemi si risolvono elaborando delle politiche efficaci, applicandole e verificandone la corretta applicazione.
Il Presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, ha giustamente avvertito che «il problema non è solo dei Rom o della Francia, ma di tutta l'Europa e dobbiamo affrontarlo insieme». Negare questo significherebbe negare la possibilità di risolvere un problema di epocale importanza soprattutto per le enormi implicazioni umanitarie e di diritti umani, ma significherebbe negare anche lo scopo stesso dell’Unione europea, come luogo nel quale cercare tutti insieme una soluzione ai problemi di pochi.
Per cercare di comprendere al meglio quanto sia urgente riuscire a trovare una soluzione condivisa da tutti dobbiamo considerare il fatto che all’interno dell’Unione europea ci sono tra i 10 e i12 milioni di nomadi, è quindi impensabile che un movimento di persone di una tale vastità, che interessa pressoché tutti gli stati membri dell’Unione, non venga regolato adeguatamente a livello comunitario.
Fino ad oggi i paesi interessati da questo fenomeno (Francia e Italia su tutti) hanno agito ognuno per conto proprio rendendo sempre più evidente un paradosso: i paesi più virtuosi finiscono sempre per pagare più degli altri le conseguenze dell’immobilismo europeo.
Tutto ciò nonostante a dire il vero esista una direttiva, la 38 del 2004, che dovrebbe aiutare i paesi membri a gestire al meglio i flussi migratori e a punire chi non si comporta in maniera conforme agli standard minimi di convivenza civile, ammettendo il rimpatrio anche di cittadini comunitari, senza ovviamente fare riferimento ad alcuna etnia in particolare.
I governi degli Stati membri e la Commissione trovino al più presto un modus operandi per dialogare ognuno nel rispetto del proprio ruolo ma soprattutto nell'interesse dei cittadini europei, siano essi rom o meno. Questo dev’essere l’unico obiettivo per il quale è doveroso lavorare nei prossimi mesi, anche perché non dimentichiamo che mentre la politica è impegnata a litigare e a rinfacciarsi le colpe di una situazione da troppo tempo affrontata con leggerezza e indifferenza, migliaia di persone, in Europa, non in una chissà quale zona del terzo mondo, vivono di stenti forse proprio a causa di chi avrebbe la possibilità di rendere più dignitose le loro condizioni di vita.
Il Papa parla ai cattolici inglesi e non alla BBC o al Times. Medio basso il livello della stampa inglese quando tratta cose cattoliche. L'Islam non é una religione di amore e pace – intervista a Massimo Introvigne di Bruno Volpe – dal sito http://www.pontifex.roma.it
Il Papa ha iniziato la sua visita nel Regno Unito, una visita quanto mai attesa e importante. Chiediamo al noto studioso e sociologo professor Massimo Introvigne che cosa si aspetta in definitiva da questo appuntamento: " credo che il Papa prenderà tutti in contropiede e smentirà coloro i quali si attendano che metta il piede in fallo con dichiarazioni sulla omosessualità, il sacerdozio delle donne o cose del genere. Quello che aveva da dire sul tema, lo ha già detto con chiarezza ed abbondanza a Roma e dunque eviterà con stile ogni provocazione. Del resto, da quelle parti altro non aspettano". Dunque volerà alto: " certo, é accaduto già in Francia dove ha saputo schivare ogni pericolo, anche negli Usa dove il bilancio é stato molto brillante e i frutti per i cattolici inglesi si vedono ancora oggi. Penso che il Papa parlerà prevalentemente per i cattolici inglesi e forse per gli anglicani che nel complesso mostrano un tono molto misurato e rispettoso, fatte debite eccezioni".
I giornali inglesi? "indubbiamente sono prevenuti quando si parla di cattolicesimo e la cosa non deve sorprenderci, fa parte della normalità. Times e BBC quando si parla di cattolicesimo dimostrano scarsa perizia e il loro livello scende in basso rispetto al solito. Si muovono come elefanti in un negozio di ceramica".
Che cosa di importante si attende? "penso che il Papa incentrerà la sua visita su Newman che merita attenzione e considerazione. La sua figura é stata davvero carismatica e dunque il Papa farà discorsi come sempre di tono teologico, elevato e per questo non sempre li apprezzano coloro che scavano in basso, nel torbido, alla ricerca di sensazionalismo o di polemiche. Abbiamo un grande Papa, troppo bravo e raffinato per scivolare sulle tradizionali insidie inglesi".
Dunque pensa che i circoli gay o atei rimarranno delusi: "ritengo di sì, il Papa non darà loro il pretesto per aggressioni o provocazioni di bassa lega, poi non posso escludere che daranno sfogo al loro classico repertorio".
Intanto gli islamici sono insorti bruciando scuole cristiane: "questo dimostra, ove ce ne fosse bisogno, che Obama sul tema dice cose inesatte e farebbe meglio a rivedere le sue posizioni. Certo buonismo di comodo con gli islamici non rende. Non dico che tutti gli islamici siano cattivi ed anche tra di loro ci sono ragionevoli e fondamentalisti. Ma é innegabile che i loro testi sacri siano un concentrato e una sintesi di violenza e di invito alla mancanza di misericordia e questo va considerato".
Bruno Volpe
Avvenire.it, 16 settembre 2010 - La legge approvata in Francia e le sfide per l’Europa - Una laicità positiva per "smontare" il burqa di Giorgio Paolucci
Dall’anno prossimo in Francia diventerà reato indossare il burqa nei luoghi pubblici. È la prima legge in Europa, ma il Belgio prepara un provvedimento analogo e in altri Paesi del continente, tra cui l’Italia, crescono le voci a favore di misure analoghe. C’è chi plaude al rigore transalpino, chi evoca guerre di religione e chi lamenta la discriminazione di una minoranza invocando libertà di espressione.
Va chiarito anzitutto che né il burqa, che copre integralmente il volto femminile, né il niqab, che lascia solo una fessura all’altezza degli occhi, sono prescrizioni religiose musulmane. Non ve n’è traccia nel Corano e neppure nella Sunna, la raccolta di detti di Maometto che è punto di riferimento per molte legislazioni nazionali. Indossarli è una consuetudine diffusa soprattutto negli Stati della penisola arabica e in Afghanistan – dove prevalgono le tendenze salafite che predicano il ritorno alle origini – e negli ambienti del radicalismo sempre più influenti in Europa.
Più che di un simbolo religioso, dunque, si deve parlare di un simbolo identitario di carattere ideologico. Non è un caso che il burqa sia stato vietato in Tunisia e in Turchia e che nel novembre del 2009 l’allora rettore dell’università Al-Azhar, Mohammad Sayyed Tantawi – considerato la più alta autorità religiosa in Egitto – abbia sconfessato il niqab dicendo a una studentessa che lo indossava: «È solo una tradizione, non ha nessun legame con l’islam».
Né è un caso che proprio ieri, sempre da Al-Azhar, sia arrivato un ammonimento da parte di un membro dei consiglio dei religiosi, Abdel Muti al-Bayyumi: «Voglio mandare un messaggio ai miei fratelli musulmani in Francia e in Europa: il burqa non ha basi nell’islam, io rimango costernato ogni volta che vedo donne musulmane indossarlo. Questo non darà certo una buona impressione della religione musulmana». Più chiaro di così…
La decisione del Parlamento francese nasce dall’intenzione di riaffermare un principio fondamentale della cultura occidentale – l’uguaglianza tra l’uomo e la donna – di fronte a quello che viene ritenuto un segno di sottomissione.
Da anni la Francia si misura con l’onda lunga del radicalismo islamico che sta facendo proseliti tra gli immigrati delusi dal fallimento delle promesse di égalité e dalla mancata integrazione. È in questi ambienti che si alimenta il germe del fondamentalismo, e il burqa viene eretto a simbolo di una irriducibile alterità identitaria in opposizione ai valori occidentali. Cosa che preoccupa gli stessi ambienti musulmani moderati francesi, che temono l’avanzata delle posizioni più oltranziste all’interno di un "pianeta" che conta 5 milioni di fedeli.
La legge entrerà in vigore solo nella primavera dell’anno prossimo, dopo un periodo di sperimentazione necessario sia per testarne la reale applicabilità (sono molti i dubbi espressi in proposito dai sindacati di polizia), sia per favorire un’opera di sensibilizzazione da svolgere all’interno delle comunità musulmane, anche da parte dei loro leader religiosi. È dunque una doppia sfida quella che si sta giocando Oltralpe: lo Stato lancia un segnale forte in difesa dei valori repubblicani, ma nello stesso tempo si rende conto che il solo divieto ha il fiato corto e rischia di produrre una radicalizzazione nell’islam francese.
Il dibattito è ovviamente tracimato anche in terra italiana, dove peraltro vige da tempo una normativa di pubblica sicurezza che vieta di indossare in luoghi pubblici indumenti e oggetti che impediscano il riconoscimento del volto. Basterebbe dunque far rispettare in maniera rigorosa questo divieto, anche se c’è chi ritiene necessario un provvedimento legislativo specifico a fronte di un costume che si sta diffondendo in maniera preoccupante e segnala la lunga marcia di certo radicalismo islamico anche alle nostre latitudini. Staremo a vedere. È comunque auspicabile che la discussione rimanga sul piano di una positiva laicità e non degeneri in una guerra di religione. Anche perché, come abbiamo visto, il cuore della vicenda non è di natura religiosa. Si tratta di salvaguardare l’ordine pubblico e di promuovere una cultura che sia insieme di rispetto reciproco, di tutela della dignità della donna e della sua effettiva parità con l’uomo. Senza dimenticare che i divieti si riveleranno realmente efficaci solo se accompagnati da un’opera di educazione che deve coinvolgere le comunità musulmane che hanno messo radici in Italia, nel segno di una cultura autenticamente inclusiva.
Giorgio Paolucci
Avvenire.it, 17 settembre 2010 - Un viaggio «con gioia e coraggio» Senza timori o reticenze di Davide Rondoni
Senza reticenze. Con grande coraggio e con gioia. Il viaggio di Papa Benedetto nel Regno Unito è così. Chi si aspettava un cammino intimidito, complicato da nubi di polemiche, da avvisaglie di scontro, si trova un Papa, un cristiano, che non si affida a omissioni o furbizie. E che affronta con cordiale sincerità le questioni chiave sul tappeto. Lo fa da subito, già durante il viaggio in aereo che ieri mattina l’ha condotto a Edimburgo. I giornalisti si sono trovati davanti un Papa che di fronte a chi vorrebbe polemizzare contro di lui come capo di Stato dice da subito una cosa che solo gli stolti non vogliono capire: questa è una visita pastorale, lo status di capo di Stato è solo in vista dell’indipendenza pastorale che il Papa deve avere. E a chi si aspettava la soggezione a un clima intimidatorio a riguardo dei casi di pedofilia il Papa oppone il suo sgomento. Com’è potuto accadere?, si chiede. Benedetto si espone.
Dice di aver subito uno choc, non si ripara difendendosi dallo scandalo di sacerdoti che si trasformano in incubo per i piccoli, ma lo sta attraversando, lo assume come parte integrante del suo coraggio e della sua fede. Com’è potuto accadere? ripete, invitando tutti a fare un passo con lui dentro e oltre lo scandalo, a interrogarsi sulla natura del male. E senza cercare scuse incalza: "siamo stati distratti, lenti ad agire, ora è tempo di umiltà, di penitenza". Senza riparo, senza reticenze. Un viaggio iniziato sotto il segno del «grande coraggio», dunque, perché sospinto dalla «gioia», i due termini scelti ieri dal Papa per sintetizzare la cifra dei suoi ripetuti viaggi in Europa: infatti, solo una grande gioia sostiene tale mancanza di riparo, una simile disponibilità. La grande gioia dell’annuncio cristiano che riavviene oggi come da oltre mille anni in quelle terre, passando per testimoni famosi e per la fede dei semplici.
Nel discorso davanti alla Regina il Papa ha citato i nomi di grandi testimoni del passato più o meno recente: da Edoardo il Confessore a Margherita di Scozia, da Florence Nightingale a John Henry Newman, e ha richiamato una storia in cui i motivi della fede hanno mosso la politica a cercare il bene e la pace, e a servire la libertà. Non ha avuto reticenze nemmeno in questo: sa bene che oggi in quelle terre ci sono «forme più aggressive di secolarismo che non stimano né tollerano più» espressioni legate al grande patrimonio della fede, fino a configurare autentiche forme di intolleranza verso il cristianesimo. Molti fatti lo dimostrano e Papa Benedetto non sorvola, chiedendo ai britannici: volete cedere a questa intolleranza verso la vostra stessa storia? Non si nasconde le difficoltà, ma le affronta «con grande coraggio e con gioia». Del resto il poeta Eliot, londinese di adozione, avvisava sessant’anni fa come sia illusorio pensare che demolendo la fede da cui sono nati il rispetto per la persona, la libertà e la condivisione restino poi in piedi le istituzioni e le forme di convivenza che oggi ci garantiscono quegli stessi beni.
Il Papa ha simpatia per la cultura britannica. Sa che per area politica e linguistica di influenza, sul popolo e sul governo di queste terre grava una grande responsabilità. Non ha reticenze, la riconosce, invita governo e popolo a giocare fino in fondo questo loro ruolo. La storia «impone loro un dovere particolare di agire con saggezze per il bene comune».
È iniziato un viaggio senza reticenze. Un altro pezzo del grande viaggio di questo Papa che da subito ha smentito chi presume di sapere le sue mosse. Un altro tratto di viaggio del cristianesimo, che non attraversa la storia come fosse solo un’idea da difendere, un messaggio fatto di parole e slogan da ribadire. Perché è un viaggio di uomini con «grande coraggio e gioia».
Il Movimento per la Vita italiano è fermo - Il Foglio, 16/9/2010- Di Francesco Agnoli (del 16/09/2010 @ 21:34:08, in Bioetica, dal sito http://www.libertaepersona.org)
Il Movimento per la Vita in Italia è fermo. Ingessato. Quasi inesistente. Mi spiego meglio. Non che manchino persone valorose, coraggiose, con idee e buona volontà. Ci sono, qua e là. Neppure mancano volontarie e volontari attivissimi, straordinari, che rendono il loro servizio, ogni giorno, nei Centri Aiuto alla Vita, dando speranza e salvando molti bambini dalla morte. Quello che manca è un movimento culturale per la vita forte, che sappia intervenire, dire la propria nel dibattito pubblico, quando se ne parla, sui giornali, in televisione, nelle strade.
Chi lo ha mai visto? Si parla ormai da anni di bioetica, e il Movimento per la Vita in quanto tale dimostra la sua estrema debolezza. Perché? Perché in America, ma anche in altri paesi europei, il mondo pro life appare più attivo, dinamico, giovane? Anzitutto vi è un motivo di carattere generale: da troppi anni il mondo cattolico fatica a capire l’importanza di una battaglia per la vita. Già all’epoca della legge 194 e poi del referendum, il mondo pro life italiano era diviso, ma soprattutto, solo. Erano gli anni in cui buona parte delle gerarchie ecclesiastiche e del mondo cattolico “progressista” ritenevano inutile e perdente la battaglia. In cui vigeva l’idea secondo cui è meglio “cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide”, che significò poi farsi da parte, per non disturbare. Per tanti anni nello stesso mondo cattolico certi temi sono stati tabù. Essere del Movimento per la vita significava rimanere emarginati, essere guardati come dei matti, residui del passato, non solo rispetto alla cultura radicale e di sinistra, ma anche nel mondo cattolico stesso.
Il concetto di “valori non negoziabili” non godeva buona stampa: tutto nel clima del post concilio permanente sembrava negoziabile, anzitutto a molti cattolici. Perché litigare su queste questioni “marginali”, si diceva? “Altri sono i problemi”…
Oggi che ci troviamo nell’inverno demografico più nero, forse qualcuno si ricrede…Oggi, grazie al referendum sulla legge 40, promosso dai radicali, e all’azione di personaggi come Ruini e Boffo, in campo cattolico, e Ferrara in campo laico, qualcosa sta cambiando…
Ma i problemi del Movimento per la vita italiano rimangono, e sono enormi. Mi permetterò di elencarne alcuni, anche se so che scontenterò molti, anche amici, che mi rimprovereranno di non aver capito, oppure di aver detto cose in parte giuste, ma da tener segrete, “tra di noi”. Eppure, dopo averle sentite e risentite, viste e riviste, a me sembra che occorra dirle. Oportet ut scandala eveniant, se gli scandali non sono fini a se stessi, ma servono a rilanciare un dibattito ormai sepolto, e a portare linfa nuova, vitalità nuova. Il primo di questi motivi interni è sicuramente una presidenza troppo lunga.
Lungi da me negare a Carlo Casini i suoi meriti. Non ritengo però possibile che certe cariche diventano quasi vitalizie, senza conseguenze per tutti! L’attuale presidente del Movimento è in carica da ben 20 anni, cioè dal lontano 1991. Le presidenze troppo lunghe, inevitabilmente, soffocano l’attività, paralizzano l’innovazione e la creatività. Anzitutto perché si crea intorno ad esse un nocciolo duro che tende a perpetuarsi e ad escludere nuove forze e nuove soluzioni. In secondo luogo perché anche la persona più brillante del mondo non può avere, dopo tanti anni, la voglia, lo slancio, le idee, il tempo, dei primi anni. Soprattutto se l’età avanza e le cariche, numerose, si sovrappongono. Soprattutto se colui che riveste quel ruolo, invece di delegare il più possibile, per creare sinergie e responsabilizzare nuove persone, accentra il più possibile.
L’altro problema della presidenza attuale è poi la sovrapposizione tra la militanza pro life e l’appartenenza ad un partito (sovrapposizione che per esempio Paola Binetti ha evitato, dimettendosi da presidente di Scienza e Vita prima di entrare in politica, o che si potrebbe comunque scongiurare dimettendosi dalla politica, qualora da lì si provenga, una volta eletti presidenti del MPV). In primo luogo, infatti, non sembra realistico poter svolgere nel contempo i compiti tanto gravosi di Presidente del Movimento per la vita italiano e di europarlamentare, a Bruxelles. In secondo luogo perché l’appartenenza ad un partito limita inevitabilmente la libertà d’azione e di parola che dovrebbe caratterizzare un incarico così delicato come quello di guida dei pro life italiani. Recentemente per esempio l’Udc, partito in cui milita Carlo Casini, si è schierato a fianco della Bonino piemontese, Mercedes Bresso, senza che la posizione del presidente del movimento per la vita risuonasse forte e sicura: non possumus! Analogamente Buttiglione, presidente dell’UDC, ha recentemente dichiarato che i pro life italiani si sarebbero sbagliati a prendere la posizione che presero nel 1981, senza che Casini contraddicesse pubblicamente il suo superiore di partito, al fine di tutelare l’onore di chi non ritiene assolutamente vere le parole del politico-filosofo-ondivago per eccellenza.
In terzo luogo l’appartenenza del leader del MPV italiano ad una fazione, limita la sua stessa capacità di manovra, che dovrebbe essere invece a 360 gradi: come chiedere un appoggio a destra e a manca, se colui che chiede è già schierato? In questo campo, purtroppo, le appartenenze politiche vengono spesso prima della battaglia per il bene e la verità.
Infine, l’ultimo inconveniente della sovrapposizione tra politica e presidenza del Movimento, sta nella mentalità che può (non che deve) venirsi a creare. Uno dei problemi principali del MPV italiano è infatti che ha cessato di portare avanti battaglie di testimonianza, culturali, capaci di attrarre ed educare i giovani agli altissimi valori del rispetto della vita. La battaglia pro life è divenuta quasi esclusivamente, con l’appoggio di qualche ecclesiastico molto politicante, un affare di politica e di parlamenti: incontri tra Casini, qualche vescovo e altri politici di alto rango. Senza coinvolgere più di tanto il Movimento stesso: “ce la vediamo noi”. In questi incontri, alla fine, si è spesso ragionato da politici: io cedo qui, tu cedi là…così di compromesso in compromesso si è dimenticato che alle nuove leve, alle generazioni che crescono, il Movimento non deve dare solo leggi che siano il “meno peggio possibile”, ma anche valori non negoziabili, verità complete per cui valga veramente la pena battersi. Il pontefice Benedetto XVI lo ha fatto capire in molte occasioni, e difficilmente certe posizioni del MPV oggi possono dirsi compatibili con documenti magisteriali assai chiari e ben poco “diplomatici” (vedi l’ “Evangelium vitae” e la “Donum vitae”)
Pensiamo al movimento pro life americano: è forte perché accanto alla strada della politica, che ci vuole, che non va trascurata, non cessa di dire tutta la verità, e nient’altro che la verità (almeno per un pro life). Invece in Italia accade che proprio nel Movimento per la vita questa mentalità abbia portato a dissociazioni mentali inconcepibili. Mi è capitato di sentire: “sì, è vero, hai ragione a dire così, ma ora è politicamente inopportuno dirlo, come ha spiegato bene Casini”! Portare la battaglia quasi solo nel campo della mediazione politica ha generato un ulteriore indebolimento: perché la mediazione politica la può perseguire soltanto qualcuno, soltanto chi rappresenta il movimento ai suoi vertici.
Ecco così immobilizzata la base, ma anche il resto della dirigenza! Mentre si consumavano mediazioni qui e incontri pre-parlamentari là, dibattiti col vescovo di turno e col politico di turno, quasi sempre ad opera di un solo interlocutore, il presidente nazionale, o qualche suo beniamino, il pro life medio non poteva che dirsi: “ed io che faccio?” E così il pro life di tutti i giorni, magari del Movimento da anni e anni, si è trovato quasi senza possibilità di agire, senza supporto. Lo dimostrano tantissimi fatti. Uno per tutti. In tanti anni dall’interno del Movimento per la vita non sono sorti né pensatori né opere pro life di rilievo! Anche i movimenti si sono fatti portatori sempre e soltanto delle stesse pubblicazioni, se possibile del presidente e solo sue. Non si sono valorizzati i giovani, non si sono valorizzate le penne abili, gli oratori interessanti e carismatici, con il risultato che alla fine girano sempre le solite, le medesime facce (o i più generosi, o i più “carrieristi”) . Eppure, compito della guida di un movimento è anzitutto creare spazi per altri, che possano proseguire la battaglia intrapresa. E’ creare una classe dirigente valida, il più possibile ampia e capace. Tanto altro ci sarebbe da dire, ma voglio concludere con il fatto che a mio avviso ha fatto traboccare il vaso: il continuo stillicidio di espulsioni dal Movimento (come se ci si potesse permettere di farlo!).
Negli anni ho visto lasciare il Movimento personalità e intelligenza troppo numerose e troppo importanti: Angelo Francesco Filardo, Maria Paola Tripoli, Mario Palmaro, e tanti altri della direzione nazionale! Ho visto molte persone che avrebbero potuto essere valorizzate per la loro intelligenza, farsi piano piano da parte, perché quasi si temeva facessero ombra…Ma la cosa più grave è che proprio in questi giorni scade l’ultimatum lanciato dalla direzione centrale del Movimento a personaggi che sono la storia del movimento stesso (benché nelle rievocazioni ufficiali siano stati cancellati, come ai tempi di Lenin e Stalin, quando si sbianchettavano le foto).
Mi riferisco all’alternativa che è stata imposta dalla presidenza nazionale ad alcuni membri del MPV italiano: o rinnegate “Verità e vita”, un altro gruppo pro life italiano, o uscite dal Movimento (scomunicati latae sententiae).
L’assurdo è che questo ultimatum è stato lanciato contro personaggi come Mario Paolo Rocchi, Silvio Ghielmi e Giuseppe Garrone. Il primo è stato nientemeno che socio fondatore del primo Centro aiuto alla Vita in Italia, a Firenze nel 1975; socio fondatore del Movimento per la Vita, suo primo tesoriere ai tempi dell’autonomia finanziaria, e co-ideatore del progetto Gemma, una della più nobili attività concrete del Movimento. Il secondo, Silvio Ghielmi, è stato cofondatore e per anni gestore del Progetto Gemma. Il terzo, Giuseppe Garrone, è stato anch’egli cofondatore del Progetto Gemma, fondatore del numero verde SOS Vita, e riscopritore della Ruota degli esposti. E’ la direzione attuale del Movimento che decapita parte essenziale della sua storia. Come già accadde con la messa in disparte, poco gentile, del fondatore e primo presidente del Movimento, l’avvocato Francesco Migliori. Per un pro life medio, di tutti i giorni, è veramente troppo! Per cui non può che auspicare il ritorno di un po’ di democrazia interna, vera. Per dirla in breve: ci vorrebbero meno personalismi, e le primarie, per rilanciare un Movimento qua e là eroico, ma nel complesso agonizzante.
MENO SPRECHI E SPOT: LA RICETTA DEL RABBINO - MASSIMO GIULIANI – Avvenire, 17 settembre 2010
Alla vigilia del nuovo anno ebraico e della festa di Kippur, solennità religiosa di espiazione e di perdono, gli ebrei hanno ricevuto per posta nelle loro case un piccolo libro dal titolo 'Lettere per la prossima generazione. Riflessioni per Yom Kippur' a firma del rabbino capo ortodosso di Gran Bretagna Jonathan Sacks (noto in italia per il volume edito da Garzanti 'La dignità della differenza' teso a contrastare la deriva degli scontri di civiltà). Si tratta di dieci brevi lettere, rivolte agli ebrei e dedicate ai grandi temi come il valore della vita, la fede, l’importanza della formazione religiosa, la difesa dell’identità ebraica, ecc., ma contengono anche riflessioni sull’attualità e in particolare sulla crisi dell’economia e del sistema finanziario, sulla disoccupazione e sul disorientamento che ne e’ derivato anche in termini di senso e di valori. Che si fa in questi momenti, si chiede il rabbino Sacks, uno dei massimi leader dell’ebraismo mondiale? Mai sprecare una crisi, risponde, perché «si impara di più dai momenti difficili che dai momenti buoni». In ebraico, dice Sacks, il termine crisi significa anche 'sedia per il parto' e rimanda dunque alle doglie, alla possibilità cioè di generare qualcosa di nuovo. Se gli ebrei si fossero perduti d’animo nelle ripetute e dure crisi della loro lunga storia, oggi non esisterebbero più. La lezione è chiara: vi sono cose più importanti quali la famiglia e l’educazione dei figli, lo studio della Torà e una vita spesa per gli altri. La solennità di Kippur, che quest’anno cade di sabato, è un giorno di totale digiuno e di astensione dai piaceri di questo mondo per rimettere l’umanità e le cose nel giusto rapporto davanti a Dio, riparando (è il senso dell’espiazione contenuto nella radice di kippur) i torti, chiedendo perdono a Dio per le trasgressioni contro di lui ma anche riconciliandosi con gli altri e risarcendo i danni verso di loro. La parola chiave di questo giorno, chiamato anche il sabato dei sabati, è 'teshuvà', ossia ritorno, pentimento, cambiamento profondo. Fare 'teshuvà' è riprendere in mano la propria vita per rimetterla sulla via ('halakhà') stabilita da Dio. Anche per gli ebrei laici o non religiosi questo è un giorno speciale, nel quale ci si ricorda di essere parte del popolo ebraico ed eredi di una ricca tradizione. Per tutti gli ebrei Kippur significa un esame di coscienza personale e collettivo, quasi un re-inizio. Da qui la connessione tra Kippur e la lettura dei tempi difficili che stiamo vivendo. E’ necessario ribaltare i valori, scrive Sacks: «La pubblicità crea migliaia di lusinghe che attirano la nostra mente su ciò che non abbiamo, mentre la vera felicità, come insegnano i maestri di Israele, sta nel gioire di ciò che abbiamo». E ancora: «La cosa più importante che tutti noi possiamo imparare dalla crisi economica è: pensare meno al prezzo delle cose e maggiormente al loro valore».
Kippur 5771 - Vi è chi conquista il suo mondo in una sola ora… di Alfredo Mordechai Rabello, Università ebraica di Gerusalemme
La nostra vita è fatta di tanti piccoli episodi, di particolari che hanno per l’anima l’importanza che hanno per il corpo i respiri: in ambo i casi non ci facciamo caso, essi ci sembrano indifferenti, essi sono per noi naturali. L’ebraismo insegna invece, attraverso un processo educativo costante, che nulla deve esserci indifferente, che ogni nostra azione ha la sua importanza e tutto sta in noi a saperla indirizzare al servizio divino, sublimando così una azione giornaliera. Tale azione, apparentemente senza una particolare spiegazione, assumerà invece un significato tutto suo, assumera` addirittura il significato di legame fra l’uomo e il suo Creatore. Racconta il Talmud (Avodah Zarah 8 a) che Rabbi Chaninah ben Teradion proseguiva a studiare Torah e a riunire pubbliche assemblee allo scopo di insegnare Torah, nonostante il divieto imperiale (adrianeo), portando sempre con se un piccolo rotolo della Bibbia. Le autorità romane lo arrestarono e decretarono per lui la pena di morte; egli avrebbe dovuto cioè essere bruciato vivo; i Romani prepararono l’esecuzione della pena cercando di prolungare il più possibile il supplizio, legando attorno al Saggio il rotolo della Bibbia in pergamena, e mettendo fra la carne e il rotolo delle spugne imbevute di acqua per far sì che il fuoco operasse più lentamente e l’agonia fosse quindi prolungata, e appiccarono fuoco. Lunga è l’agonia del Saggio, e i discepoli che gli stanno accanto, soffrendo essi pure nel vedere le atrocità commesse verso il loro Maestro e le sue sofferenze, gli chiedono: “Cosa vedi, Maestro?” e questi prosegue a insegnare, fino all’ultimo secondo della sua vita terrena, come l’uom s’eterna, risponde: “Vedo il rotolo che si brucia, ma le lettere volano in alto…”. I persecutori riescono sì a colpire la materia, a bruciare il corpo, a bruciare il rotolo della Bibbia ma non riusciranno a colpire il nostro spirito, a distruggere l’insegnamento biblico; volano le lettere ebraiche intorno ai roghi, per tornare nei nostri cuori. E i discepoli continuano ad assistere, finché non resistono più e si rivolgono nuovamente al Maestro sofferente con un suggerimento: “Apri la bocca, e fa entrare il fuoco” (per morire prima). Ma il Saggio prosegue a resistere, come se avvertisse che la sua missione umana non è ancora giunta al termine e risponde: “E’ meglio che mi prenda la vita chi me l’ha data,e che non acceleri io stesso la mia morte…”. Assisteva alla scena anche il centurione romano, che aveva il compito di sorvegliare che tutto si svolgesse secondo le regole per l’esecuzione della pena di morte, colpito anch’egli dalle sofferenze del Rabbino, gli si rivolse chiedendogli: “Rabbi, se io aumentassi il fuoco e ti togliessi le spugne di lana dal tuo cuore, tu mi porteresti nel mondo futuro?” Gli disse: “Sì`”. Rispose: “giuramelo” e glie lo giurò. Subito aumentò le fiamme, tolse le spugne e, nel momento che le fiamme si alzavano alte anche il centurione vi si buttò in mezzo e morirono entrambi, Rabbi` Chaninah e il centurione… Si udì una voce celeste che disse: “Rabbi Chaninah ben Teradion e il centurione sono invitati alla vita del mondo futuro”. Pianse Rabbi e disse: “Vi e` chi conquista il suo mondo in un’ora e chi in lunghi anni”.
Quanto grande è la forza del pentimento e delle buone azioni, senza distinzione fra ebreo o pagano: il centurione acquistò in un momento di pentimento e di sublimazione quel mondo futuro che Rabbi Chaninah ben Teradion si era conquistato con una intera vita condotta in santità, studio e insegnamento di Torah. “Rabbi` Jaakov soleva dire: ‘E` preferibile un’ora sola di penitenza e di buone azioni in questo mondo a tutta la vita futura; ma una sola ora di beatitudine nel mondo futuro è preferibile a tutta la vita di questo mondo” (dal Pirque Abot, IV.22 trad. di Y. Colombo). Chi può dire cosa succede nell’anima umana nella sua ultima ora, chi può sapere che effetto purificatorio possono avere le sofferenze (senza con questo voler toglier minimamente la responsabilità degli aguzzini!)? … Cosa e` successo nel caso di Rabbi Chaninah? La cosa è eccezionale e per comprenderla dobbiamo ora passare dal lato del boia romano; che vita differente la sua, tutta trascorsa nel sangue, nel lutto provocato al popolo ebraico con l’uccisione dei suoi Maestri… ebbene il proseguimento delle sofferenze di Rabbì Chaninah, questa sua ultima ora trascorsa tra sofferenze ineffabili, ha permesso a Rabbì Chaninah di far mutare completamente la vita del centurione romano, fargli sentire finalmente pena per le sofferenze altrui fino ad essere disposto a trasgredire l’ordine ricevuto (eh si`, l’ubbidienza ad ordini disumani non lascia libera la coscienza umana fino a oggi…) e induce finalmente il centurione a fargli togliere le spugne per far alleviare almeno di un poco le sofferenze … si è ritrovata l’umanità dell’uomo, del nostro centurione creato anch’egli a immagine di D-o e ora eccoli lì nelle fiamme uniti assieme, il saggio e il suo aguzzino di un’ora fa, il Rabbino ed il centurione. Un momento di pentimento sincero, travolgente, il rimorso per le pene provocate è bastato a far cambiare la vita del boia, a dare un significato altissimo alla sua ultima azione ed a farlo rendere degno di partecipare alla vita del mondo futuro. E` un cambiamento di un attimo, che ci fa vedere la vanità della vita vissuta dal centurione, ma anche la possibilità di conquistare un nuovo mondo: questo mutamento travolgente si chiama Teshuvà, ritorno e la teshuvà costituisce l’essenza del giorno di Kippur. “Grande e` la teshuvà che avvicina l’uomo a D-o… ieri sera questi era considerato odioso dinnanzi a D-o, e oggi egli è amato…” (Maimonide, Regole sulla Teshuvah, 7:6).