Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI PRESENTA LE TRE “PARABOLE DELLA MISERICORDIA” - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale - CASTEL GANDOLFO, doemnica, 12 settembre 2010 (ZENIT.org).
2) JOHN HENRY NEWMAN, “GRANDE DOTTORE NELLA CHIESA” - Discorso del Cardinale Joseph Ratzinger nel 1990
3) S.E. Card. Carlo Caffarra - La scelta educativa - Imola, 7 settembre 2010
4) Ecco i "difensori dei diritti umani" che vogliono arrestare il Papa in Gran Bretagna - Gianfranco Amato - lunedì 13 settembre 2010 – ilsussidiario.net
5) 11/09/2010 - INDIA - Vescovo indiano: Non bruciamo il Corano, ma anche l’islam sia più tollerante di Nirmala Carvalho - Intervistato da AsiaNews mons. Leo Cornelius, arcivescovo di Bophal, condanna la campagna “brucia il Corano” lanciata dal pastore americano Terry Jones. Il prelato invita cristiani e musulmani a isolare le frange estremiste che offendono le altre fedi: “Avere rispetto della religione implica rispettare l’umano”.
6) Il dolore di Hermann e Aleksandr - Pigi Colognesi - lunedì 13 settembre 2010 – ilsussidiario.net
7) Madre Teresa, un discorso indimenticabile! Dal sito http://www.libertaepersona.org - di Luca Teofili - Il 26 agosto 2010 si è celebrato il centenario della nascita di Madre Teresa (1910-1997). Il 5 settembre ricorreva invece il suo dies natalis, il giorno in cui 13 anni fa, la beata di Calcutta tornava alla casa del Padre. Cercando in rete notizie su di lei, mi sono stupito di non trovare una versione italiana integrale del suo discorso per il Nobel per la pace 1979. Così ho chiesto aiuto ad un amico ed ecco qui sotto la traduzione delle parole di Madre Teresa, in quell’occasione. Vale la pena leggerle e meditarle, perché sono specchio di una fede profonda e risultano a più di trent’anni di distanza di una chiarezza adamantina.
BENEDETTO XVI PRESENTA LE TRE “PARABOLE DELLA MISERICORDIA” - Intervento in occasione dell'Angelus domenicale - CASTEL GANDOLFO, doemnica, 12 settembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica a mezzogiorno dirigendo la recita della preghiera mariana dell'Angelus alla presenza di varie migliaia di pellegrini riunite nel cortile della residenza pontificia di Castel Gandolfo.
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Cari fratelli e sorelle!
Nel Vangelo dell’odierna domenica – il capitolo 15° di san Luca – Gesù narra le tre "parabole della misericordia". Quando Egli "parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare" (Enc. Deus caritas est, 12). Infatti, il pastore che ritrova la pecora perduta è il Signore stesso che prende su di sé, con la Croce, l’umanità peccatrice per redimerla. Il figlio prodigo, poi, nella terza parabola, è un giovane che, ottenuta dal padre l’eredità, "partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto" (Lc 15,13). Ridotto in miseria, fu costretto a lavorare come uno schiavo, accettando persino di sfamarsi con cibo destinato agli animali. "Allora – dice il Vangelo – ritornò in sé" (Lc 15,17). "Le parole che si prepara per il ritorno ci permettono di conoscere la portata del pellegrinaggio interiore che egli ora compie … ritorna «a casa», a se stesso e al padre" (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Milano 2007, pp. 242-243). "Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio" (Lc 15,18-19). Sant’Agostino scrive: "È il Verbo stesso che ti grida di tornare; il luogo della quiete imperturbabile è dove l’amore non conosce abbandoni" (Conf., IV, 11.16). "Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò (Lc 15,20) e, pieno di gioia, fece preparare una festa.
Cari amici, come non aprire il nostro cuore alla certezza che, pur essendo peccatori, siamo amati da Dio? Egli non si stanca mai di venirci incontro, percorre sempre per primo la strada che ci separa da Lui. Il libro dell’Esodo ci mostra come Mosè, con fiduciosa e audace supplica, riuscì, per così dire, a spostare Dio dal trono del giudizio al trono della misericordia (cfr 32,7-11.13-14). Il pentimento è la misura della fede e grazie ad esso si ritorna alla Verità. Scrive l’apostolo Paolo: "Mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede" (1 Tm 1,13). Ritornando alla parabola del figlio che ritorna "a casa", notiamo che quando compare il figlio maggiore indignato per l’accoglienza festosa riservata al fratello, è sempre il padre che gli va incontro ed esce a supplicarlo: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo" (Lc 15,31). Solo la fede può trasformare l’egoismo in gioia e riannodare giusti rapporti con il prossimo e con Dio. "Bisognava far festa e rallegrarsi – dice il padre – perché questo tuo fratello … era perduto ed è stato ritrovato" (Lc 15,32).
Cari fratelli, giovedì prossimo mi recherò nel Regno Unito, dove proclamerò beato il Cardinale John Henry Newman. Chiedo a tutti di accompagnarmi con la preghiera in questo viaggio apostolico. Alla Vergine Maria, il cui Nome santissimo è oggi celebrato nella Chiesa, affidiamo il nostro cammino di conversione a Dio.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Oggi, a Granada, in Spagna, viene proclamato beato il Frate Cappuccino Leopoldo de Alpandeire, al secolo Francisco Sánchez Márquez. Mi rallegro con la Famiglia francescana, che vede associato questo fratello alla lunga schiera dei suoi Santi e Beati.
Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Aprilia, il Rotary Club Castelli Romani, i membri della Polizia Municipale di Brescia che hanno effettuato il pellegrinaggio in bicicletta, e i Motociclisti Romagnoli. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
JOHN HENRY NEWMAN, “GRANDE DOTTORE NELLA CHIESA” - Discorso del Cardinale Joseph Ratzinger nel 1990
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 12 settembre 2010 (ZENIT.org).- A pochi giorni dalla beatificazione del Cardinale John Henry Newman, presentiamo il discorso pronunciato dal Cardinale Joseph Ratzinger il 28 aprile 1990 in occasione del centenario della morte del porporato inglese, che l'attuale Papa ha definito all'epoca “grande dottore nella Chiesa”.
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Io non mi sento competente per parlare della figura o dell'opera di John Henry Newman, ma forse può essere interessante che mi soffermi un po' sul mio personale approccio a Newman, nel quale si riflette anche qualcosa dell'attualità di questo grande teologo inglese nelle controversie spirituali del nostro tempo.
Quando nel gennaio 1946 potei iniziare il mio studio della teologia nel seminario della Diocesi di Frisinga, finalmente riaperto dopo gli sconvolgimenti della guerra, si provvide che al nostro gruppo fosse assegnato come prefetto uno studente più anziano, il quale già prima che iniziasse la guerra aveva cominciato a lavorare ad una dissertazione sulla teologia della coscienza di Newman. Durante tutti gli anni del suo impegno in guerra egli non aveva lasciato cadere dai suoi occhi questo tema, che ora riprendeva con nuovo entusiasmo e nuova energia. Fin dall'inizio ci legò un'amicizia personale, che si concentrava tutta attorno ai grandi problemi della filosofia e della teologia. Va da sé che Newman fosse sempre presente in questo scambio. Alfred Läpple, era lui infatti il prefetto summenzionato, pubblicò poi nel 1952 la sua dissertazione, col titolo Il singolo nella Chiesa. La dottrina di Newman sulla coscienza divenne allora per noi il fondamento di quel personalismo teologico, che ci attrasse tutti col suo fascino. La nostra immagine dell'uomo, così come la nostra concezione della Chiesa, furono segnate da questo punto di partenza. Avevamo sperimentato la pretesa di un partito totalitario, che si concepiva come la pienezza della storia e che negava la coscienza del singolo. Hermann Goering aveva detto del suo capo: "Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler". L'immensa rovina dell'uomo che ne derivò, ci stava davanti agli occhi.
Perciò era un fatto per noi liberante ed essenziale da sapere, che il "noi" della Chiesa non si fondava sull'eliminazione della coscienza, ma poteva svilupparsi solo a partire dalla coscienza. Tuttavia proprio perché Newman spiegava l'esistenza dell'uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l'anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all'individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all'arbitrarietà - anzi che si trattava proprio del contrario. Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza - così ci insegnava Newman con la Lettera al Duca di Norfolk - non si identifica affatto col diritto di "dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili".In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell'autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e "la sua raison d'être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza".
Questa dottrina sulla coscienza è diventata per me sempre più importante nello sviluppo successivo della Chiesa e del mondo. Mi accorgo sempre di più che essa si dischiude in modo completo solo in riferimento alla biografia del Cardinale, la quale suppone tutto il dramma spirituale del suo secolo.
Newman, in quanto uomo della coscienza, era divenuto un convertito; fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del cattolicesimo. Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt'altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell'obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione che dura tutta la vita di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore d'una concezione del Cristianesimo fondata sull'oggettività del dogma. A questo proposito trovo sempre grandemente significativa, ma particolarmente oggi, una formulazione tratta da una delle sue prediche dell'epoca anglicana. Il vero Cristianesimo si dimostra nell'obbedienza, e non in uno stato di coscienza. "Così tutto il compito e il lavoro di un cristiano si organizza attorno a questi due elementi: la fede e l'obbedienza; "egli guarda a Gesù" (Eb 2, 9)... e agisce secondo la sua volontà. Mi sembra che oggi corriamo il pericolo di non dare il peso che dovremmo a nessuno dei due. Consideriamo qualsiasi vera e accurata riflessione sul contenuto della fede come sterile ortodossia, come astruseria tecnica. Di conseguenza facciamo consistere il criterio della nostra pietà nel possesso di una cosiddetta disposizione d'animo spirituale".
A questo riguardo sono diventate per me importanti alcune frasi prese dal libro Gli Ariani del IV secolo, che invece a prima vista mi erano sembrate piuttosto sorprendenti: il principio posto dalla Scrittura a fondamento della pace è "riconoscere che la verità in quanto tale deve guidare tanto la condotta politica che quella privata... e che lo zelo, nella scala delle grazie cristiane, aveva la priorità sulla benevolenza". È per me sempre di nuovo affascinante accorgermi e riflettere come proprio così e solo così, attraverso il legame alla verità, a Dio, la coscienza riceve valore, dignità e forza. In questo contesto vorrei aggiungere solo un'altra espressione tratta dall'Apologia pro vita sua, che dimostra viceversa il realismo di questa concezione della persona e della Chiesa: "I movimenti vivi non nascono da comitati".
Vorrei ancora una volta ritornare brevemente al filo autobiografico. Quando nel 1947 proseguii a Monaco i miei studi, trovai nel professore di teologia fondamentale, Gottlieb Söhngen, il mio vero maestro in teologia, un colto e appassionato seguace di Newman. Egli ci dischiuse laGrammatica dell'Assenso e con essa la modalità specifica e la forma di certezza propria della conoscenza religiosa. Ancora più profondamente agì su me il contributo che Heinrich Fries pubblicò in occasione del Giubileo di Calcedonia: qui trovai l'accesso alla dottrina di Newman sullo sviluppo del dogma, che ritengo essere, accanto alla dottrina sulla coscienza, il suo contributo decisivo per il rinnovamento della teologia. Con ciò egli mise nelle nostre mani la chiave per inserire nella teologia un pensiero storico, o piuttosto: egli ci insegnò a pensare storicamente la teologia, e proprio in tal modo a riconoscere l'identità della fede in tutti i mutamenti. Sono costretto ad astenermi dall'approfondire, in questo contesto, tale idea. Mi sembra che il contributo di Newman non sia stato ancora del tutto utilizzato nelle teologie moderne. Esso contiene in sé ancora possibilità fruttuose, che attendono di essere sviluppate. In questa sede vorrei solo rimandare ancora una volta allo sfondo biografico di questa concezione. È noto come la concezione di Newman sull'idea dello sviluppo ha segnato il suo cammino verso il cattolicesimo. Tuttavia non si tratta qui solo d'uno svolgimento coerente di idee. Nel concetto di sviluppo è in gioco la stessa vita personale di Newman. Ciò mi sembra che diventi evidente nella sua nota affermazione, contenuta nel famoso saggio su Lo sviluppo della dottrina cristiana: "qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni". Newman è stato lungo tutta la sua vita uno che si è convertito, uno che si è trasformato, e in tal modo è sempre rimasto lo stesso, ed è sempre di più diventato se stesso.
Mi viene in mente qui la figura di sant'Agostino, così affine alla figura di Newman. Quando si convertì nel giardino presso Cassiciaco, Agostino aveva compreso la conversione ancora secondo lo schema del venerato maestro Plotino e dei filosofi neoplatonici. Pensava che la vita passata di peccato era adesso definitivamente superata; il convertito sarebbe stato d'ora in poi una persona completamente nuova e diversa, e il suo cammino successivo sarebbe consistito in una continua salita verso le altezze sempre più pure della vicinanza di Dio, qualcosa come ciò che ha descritto Gregorio di Nissa in De vita Moysis: "Proprio come i corpi, non appena hanno ricevuto il primo impulso verso il basso, anche senza ulteriori spinte, da se stessi sprofondano..., così ma in senso contrario, l'anima che si è liberata dalle passioni terrene, si eleva costantemente al di sopra di sé con un veloce movimento ascensionale... in un volo che punta sempre verso l'alto". Ma la reale esperienza di Agostino era un'altra: egli dovette imparare che essere cristiani significa piuttosto percorrere un cammino sempre più faticoso con tutti i suoi alti e bassi. L'immagine dell'ascensione venne sostituita con quella di un iter, un cammino, dalle cui faticose asperità ci consolano e sostengono i momenti di luce, che noi di tanto in tanto possiamo ricevere. La conversione è un cammino, una strada che dura tutta una vita. Per questo la fede è sempre sviluppo, e proprio così maturazione dell'anima verso la Verità, che "ci è più intima di quanta noi lo siamo a noi stessi".
Newman ha esposto nell'idea dello sviluppo la propria esperienza personale d'una conversione mai conclusa, e così ci ha offerto l'interpretazione non solo del cammino della dottrina cristiana, ma anche della vita cristiana. Il segno caratteristico del grande dottore nella Chiesa mi sembra essere quello che egli non insegna solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita, poiché in lui pensiero e vita si compenetrano e si determinano reciprocamente. Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero.
S.E. Card. Carlo Caffarra - La scelta educativa - Imola, 7 settembre 2010
La Chiesa italiana ha deciso di dedicare il prossimo decennio al grande tema dell’educazione, ponendo la scelta educativa alla cima delle sue preoccupazioni pastorali.
Per aiutarvi a comprendere questa decisione cercherò di rispondere a tre domande: che cosa significa priorità della scelta educativa? perché la Chiesa italiana ha preso questa decisione? quali conseguenze comporta questa decisione? La risposta a ciascuna di queste domande scandirà in tre tempi o punti l’intera mia riflessione.
1. Senso della scelta educativa
La Chiesa italiana ha sempre educato le nuove generazioni umane che si sono susseguite lungo la sua bimillenaria storia. Parlare dunque di priorità della scelta educativa non significa: "fino ad ora non abbiamo educato; ora cominciamo a farlo".
Il rapporto che la Chiesa istituisce colla persona umana mediante la predicazione del Vangelo e la celebrazione dei santi Misteri, ha una essenziale dimensione educativa. Clemente d’Alessandria chiama Cristo il Pedagogo, nel senso che la sua opera redentiva può e deve essere pensata colla categoria concettuale – che l’alessandrino trovava nella cultura greca – della paideia. Ma già l’apostolo Paolo pensava la sua missione in questa prospettiva.
Tutto ciò premesso, la scelta della Chiesa italiana può significare: "miglioriamo ciò che abbiamo sempre fatto – predicazione del Vangelo e Liturgia – tenendone maggiormente presente la essenziale dimensione educativa". La scelta quindi avrebbe, se questo ne fosse il senso, un carattere esclusivamente esortatorio, morale: "impegniamoci di più"; "qualifichiamo meglio la dimensione educativa della missione educativa della Chiesa".
Personalmente non penso che questo sia il senso della scelta di cui stiamo parlando. Quale allora?
Per rispondere devo richiamare prima alcuni orientamenti fondamentali del Magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. È nella luce di questi orientamenti che si comprende il senso profondo della scelta educativa che la Chiesa italiana intende compiere nel prossimo decennio. Lo spazio di tempo non mi consente di approfondire il tema come meriterebbe.
- Fin dall’Enciclica Redemptor hominis, programmatica del suo pontificato, Giovanni Paolo II afferma: "La Chiesa rimane nella sfera del mistero della Redenzione, che è appunto diventato il principio fondamentale della sua vita e della sua missione" [7,4; EE 8/23]. L’affermazione è profonda. La Chiesa si pone dentro al mysterium pietatis; il mistero della redenzione dell’uomo è sua permanente dimora. È la sua vita, ma è anche inscindibilmente la sua missione: la Chiesa esiste per la redenzione dell’uomo. Che cosa significa? Significa che essa esiste per la rigenerazione dell’intera humanitas di ogni uomo; per la nuova creazione di essa. "L’uomo che vuole comprendere se stesso fino in fondo […] deve, con la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrar in lui con tutto se stesso, deve "appropriarsi" e assimilare tutta la realtà della creazione e della redenzione per ritrovare se stesso" [10,1; EE 8/28].
La missione della Chiesa è la ricostruzione dell’humanum in Cristo; consiste nel guidare la persona umana a ritrovare se stessa in Cristo. Ogni dualismo fra ciò che è cristiano e ciò che è umano è da escludersi: la vita in Cristo non è altro [aliud] dalla vita che ogni uomo e donna vivono quotidianamente. La vita in Cristo è questa stessa vita in quanto si realizza secondo la sua verità intera; cioè in Cristo. Lo "in Cristo" non è un pleonasmo aggiunto estrinsecamente allo "vivere".
Possiamo aiutarci a capire con una analogia. La S. Scrittura non è parola scritta umana e parola scritta divina: è parola divina espressa mediante la parola umana; e reciprocamente è parola umana che esprime la parola di Dio.
Il Mistero che plasma la storia è il Verbo incarnato che unisce a Se stesso ogni uomo che crede in Lui.
In questo senso Giovanni Paolo II ha potuto scrivere simultaneamente: l’uomo è la via della Chiesa; la via della Chiesa è Cristo. "A causa dell’esperienza del male, la questione della redenzione, per Papa Wojtyla, era diventata l’essenziale e centrale domanda della sua vita e del suo pensare come cristiano" [Benedetto XVI, Insegnamenti I 2005, LEV, 1020].
- Il S. Padre Benedetto XVI continua questo orientamento magistrale, portandolo alle questioni radicali, fondamentali.
Egli fin dall’inizio del suo pontificato pone l’attenzione e l’accento del suo pensare come Pastore supremo, sull’evento che ritiene il cuore della tragedia dell’uomo occidentale: l’assenza di Dio dalla sua vita. Più precisamente: la considerazione della domanda su Dio come domanda insignificante per la vita umana. Si può vivere, anzi si può vivere una vita migliore se si vive "come se Dio non ci fosse". Prestate però bene attenzione altrimenti non si coglie l’asse architettonico strutturante il pensare cristiano e l’insegnamento di Benedetto XVI. Non stiamo parlando di ciò che veniva chiamato "ateismo pratico". È qualcosa di diverso.
È la non pertinenza della questione-Dio all’insonne ed inevitabile domanda e ricerca della verità ultima e quindi del senso della vita. È accaduta, sta accadendo una sorta di trauma nel pensare umano [una "automutilazione della ragione" dice il S. Padre], a causa del quale i fondamentali del vivere, cioè le esperienze fondamentali del vivere [rapporto uomo-donna; il lavoro; lo Stato e l’ordinamento giuridico; la morte] sono pensati "come se Dio non ci fosse".
La prima, più urgente questione quindi è la questione di Dio: non è la questione morale. Non dimentichiamolo mai.
A mio giudizio, la riflessione più drammatica che il S. Padre ha fatto al riguardo, [a mio giudizio il vertice finora del suo Magistero], è stata la grande meditazione davanti alla Sacra Sindone il 2 maggio. "Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera essenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre più".
Tenendo conto di questo grande orientamento del Magistero pontificio, possiamo finalmente capire il vero senso della decisione della Chiesa italiana nel prossimo decennio.
Fare della scelta educativa la scelta prioritaria significa: (a) ritenere che la Chiesa debba assumersi il carico di una ri-costruzione dell’humanum nella sua interezza; non una ricostruzione qualsiasi, ma in Cristo. Abbiamo già detto quali sono i fondamentali dell’humanum. (b) ritenere che questa ricostruzione debba avvenire nella forma del rapporto educativo: l’accompagnamento amante e paziente; il "sedersi a tavola coi peccatori".
Il S. Padre ha coniato una formula assai felice: andare nel "cortile dei gentili".
La decisione dunque della Chiesa italiana è di contenuto e di metodo. Il metodo infatti o è generato dal contenuto o è mera progettazione umana anche se denominata pastorale.
2. Le ragioni della scelta
Per accordare la nostra pastorale su questa nota [priorità della scelta educativa], è necessario condividerla intimamente e non solo eseguirla fedelmente. Ma la condivisione esige che se ne conoscano le ragioni, e siano condivise: fatte proprie. Vorrei in questo secondo punto darvi un aiuto in questo senso. E lo faccio partendo dalle ultime riflessioni del numero precedente.
Ho parlato di "ri-costruzione dell’humanum nella sua interezza". È dunque ovvio che la scelta fatta dalla Chiesa italiana ha come ragione ultima la convinzione che l’humanum sia stato demolito o sia in corso di demolizione. Alcuni – soprattutto i sociologi – preferiscono dire più storicisticamente: la modernità è entrata in una crisi irreversibile; la modernità non ha mantenute le sue promesse e ora non è più in grado di farlo. Ma, per non introdurci dentro ad un dibattito tutt’altro che finito, ripetiamo la nostra formulazione: l’humanum è stato demolito, o è in demolizione progressiva.
Devo subito dire che non è una descrizione morale ciò che sto cercando di fare; una descrizione cioè il cui contenuto sono i comportamenti morali. Si possono certo fare statistiche e confrontarle, ma la scelta della Chiesa non trova in questo le sue ragioni.
Di che cosa dunque sto parlando? Devo partire da alcune riflessioni antropologiche generali. Possiamo anche partire dai due primi capitoli della Genesi. Da essi risulta che l’humanum è un evento specificamente diverso, altro dall’universo in cui è collocato ["non trovò un aiuto simile a sé"]: incommensurabilmente superiore. Risulta ancora che l’humanum è bi-forme: è maschio e femmina. Ma la bi-formità è altra da quella che troviamo nelle altre specie viventi: la differenziazione è linguaggio della dimensione sponsale della persona umana; è luogo, simbolo reale del dono di sé. Risulta infine che il rapporto fra la persona umana e Dio creatore è esclusivo dell’uomo, originale: l’uomo è la sola creatura che è "ad immagine e somiglianza di Dio"; Dio rivolge a lui la sua parola prendendosi cura che l’esercizio della libertà non sia per l’uomo causa di morte.
In sintesi. I fondamentali dell’humanum sono il suo singolare rapporto con Dio; il suo essere essenzialmente superiore a tutto il creato; la sua vocazione al "dominio" della creazione mediante il lavoro; la dimensione sociale. I fondamentali sono: l’esperienza religiosa; l’essere persona; il lavoro; la società il cui archetipo è il matrimonio [prima societas in coniugio].
La demolizione dell’humanum consiste nella demolizione dei quattro fondamentali. Ora dovremmo vedere come questa demolizione sia accaduta. Il tempo non mi consente di farlo. Mi limito ad alcune considerazioni più direttamente pertinenti al nostro scopo: aiutarvi a condividere la scelta della Chiesa italiana.
La prima. Il rapporto dell’uomo con Dio è l’asse architettonico che struttura ed ordina tutti gli altri fondamentali della vita, poiché è quel rapporto che genera la consapevolezza nell’uomo della sua dignità di persona. È l’essere "coram Deo" - proprietà esclusiva della persona – che misura il valore della persona. La "morte di Dio" nel cuore dell’uomo comporta la "morte dell’uomo" come persona dotata singolarmente di una preziosità infinita.
Già Romano Guardini aveva richiamato l’attenzione su questo punto, fin dagli anni 1947-1948. "Il carattere di persona è essenziale all’uomo, ma esso diviene visibile allo sguardo e accettabile alla volontà, quando, in grazia dell’adozione a figli di Dio e della Provvidenza, la Rivelazione schiude il rapporto col Dio vivo e personale" [La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 2007, 100].
Accenno solamente alcuni aspetti di questa degradazione dell’humanum. La grandezza solenne dell’imperativo morale è ridotta a mere convenzioni prodotte dal consenso. La diversità sessuale è giudicata priva di un suo proprio significato. La fedeltà, che è il respiro dell’eternità dentro alle scelte contingenti della nostra libertà, è ritenuta la negazione della libertà. Il lavoro diventa alienazione, anziché luogo in cui ritrovare se stesso.
Vorrei però attirare l’attenzione vostra un po’ più lungamente sulla società umana. È famoso il testo di Aristotele che afferma che per vivere fuori della civitas è necessario essere o un dio o una bestia selvaggia [cfr. Politica I, 2, 1253a]. Non è cioè possibile vivere umanamente se non si vive socialmente. Ma la storia dimostra che per vivere in società una vita buona, l’uomo non basta a se stesso, ma ha bisogno di un fondamento e di un referente che lo supera. Per quale ragione?
L’uomo non può ordinare le relazioni interpersonali, comandare ad un altro uomo, sanzionandone l’eventuale disobbedienza [compiti dell’ordinamento giuridico], in suo nome; deve fare riferimento a qualcosa che lo supera; a qualcosa capace di porre l’altro nella relazione sociale, come con-civis e non come hostis. Se questo Referente più alto è escluso, al massimo la convivenza sociale diventa coesistenza più o meno pacifica di individui opposti.
Ogni società ha sempre una matrice religiosa o non regge: è la pax deorum di cui già i romani parlavano.
Tutto questo sovvertimento dei fondamentali umani costituisce quel "nascondimento di Dio" di cui ha parlato il S. Padre a Torino, che "fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo".
La seconda. Questa demolizione dell’humanum è stata possibile a causa di una sorta di censura che l’uomo va compiendo nei confronti di se stesso; di una sorta di auto-mutilazione della ragione. Censura ed auto-mutilazione che impediscono alla ragione di porre le domande ultime circa la vita. La questione è molto seria: ad essa è dedicato tutto l’ultimo capitolo della Caritas in veritate. Di che cosa esattamente si parla?
La ragione è da intendersi esclusivamente come capacità di raggiungere correttamente ed efficacemente ciò che l’uomo si propone, senza avere alcuna competenza sulla verità e bontà dei propositi umani?
In questa condizione l’uomo sa camminare, ma non sa dove andare: la vita è un cammino ma senza meta, cioè senza senso. L’uomo non è un pellegrino; è un girovago. Siamo così dentro ad una devastante separazione: un io senza verità e una verità senza io.
La terza considerazione è la conseguenza esistenziale di quanto ho detto: conseguenza che possiamo verificare soprattutto nei nostri adolescenti. La libertà è fatta coincidere colla spontaneità.
Non vado oltre nelle illustrazioni della mappa della demolizione dell’humanum al quale stiamo assistendo. Mi premeva aiutarvi a riflettere sulle ragioni di una scelta che la Chiesa italiana ha fatto. La mia convinzione cioè è che se questa è la condizione dell’uomo, non si può predicare il Vangelo e celebrare i Misteri come se non avessi di fronte un uomo demolito nella sua humanitas. Il che equivale a dire: la predicazione del Vangelo e la celebrazione liturgica devono avere il profilo di una ri-edificazione dell’humanum ex integro. Cioè: avere il profilo dell’atto educativo.
Non sarà facile operare un tale scelta ed imprimere alla nostra azione pastorale un tale orientamento, poiché le nostre comunità in generale sono comunità di bambini-giovani-anziani. Comunità dalle quali sono assenti gli adulti, coloro cioè che hanno la responsabilità principale del vivere dell’uomo. Come allora muoversi? Siamo giunti alla terza ed ultima parte.
3. Le conseguenze della scelta.
→ Parto da una costatazione molto semplice, ma che reputo di estrema importanza. Noi – intendo dire parroci, responsabili pastorali – siamo già nell’unica condizione che ci mette in grado di realizzare a fondo la scelta educativa: viviamo in mezzo al nostro popolo; ne condividiamo quotidianamente il destino. O si istituisce infatti un cammino in comune o l’atto educativo è condannato all’inefficacia. Questa condizione, questa presenza va oggi più che mai mantenuta.
→ Ma con la stessa forza dico che questa condivisione va vissuta nella consapevolezza di una "rappresentanza di Cristo", che non deve mai oscurarsi. È la chiave di volta della coscienza sacerdotale. Voglio dire che mai come oggi il sacerdote deve assimilare profondamente la dottrina della fede circa il sacramento dell’Ordine. L’autocoscienza del sacerdote deve essere "riempita" totalmente di questa dottrina della fede, dalla consapevolezza cioè di essere "ministro della redenzione di Cristo". Non diamo per scontato tutto questo. Probabilmente in questi anni trascorsi la formazione della coscienza sacerdotale è stata pensata come prevalentemente un problema morale. In realtà essa è in primis un problema dottrinale. La domanda di fondo non è: "che cosa devo fare; come devo essere". La domanda di fondo è: "chi sono ed in vista di chi-che cosa sono ciò che sono". La recente invocazione fatta da Susanna Tamaro ai sacerdoti di essere prima di tutto padri capaci di generare in Cristo [cfr. Corriere della Sera del 2 agosto u.s.], coglie nel segno. È la consapevolezza di una chiara e forte identità – quella definita dalla dottrina della fede – la conseguenza più importante della scelta fatta dalla Chiesa italiana, e se vogliamo operare nel senso della scelta della Chiesa italiana. Non posso ora sviluppare il pensiero che questa consapevolezza è generata ultimamente dalla celebrazione eucaristica.
→ Va seriamente ripensata la celebrazione liturgica. "Nella liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa" [J. Ratzinger]. Non ci sono altri luoghi in cui sia dato all’uomo di incontrare il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù Cristo. La Chiesa ha sempre educato, anzi ha generato popoli cristiani soprattutto mediante la Liturgia.
→ La predicazione del Vangelo va oggi compiuta sempre più "dentro al cortile dei gentili" [anche se la facciamo nella nostra Chiesa parrocchiale]. Che cosa significa?
Dobbiamo renderci conto che l’estraneità dell’uomo occidentale, di tanti battezzati ora adulti, non è dovuta alla rinuncia alla proposta cristiana. Chi è in tale condizione non entra nel "cortile dei gentili": è semplicemente fuori. L’estraneità è il sintomo di un senso di insignificanza per la vita provato nei confronti del cristianesimo. Estranei perché la proposta cristiana non è ritenuta significativa per le grandi domande della vita. Oggi, questa, è la condizione più diffusa.
La nostra predicazione del Vangelo se vuole essere veramente un grande fattore di ricostruzione dell’humanum, muoversi cioè nella linea della scelta educativa, deve da una parte essere predicazione della parola di Dio [non di altro] e dall’altra prendere sul serio le grandi ragioni del vivere umano.
Nella nostra vita pastorale abbiamo ancora questa possibilità perché all’inizio della vita [richiesta del battesimo], al termine della vita [richiesta del funerale religioso], per il matrimonio, le persone si rivolgono ancora alla Chiesa. La nascita, la morte, l’amore umano sono tre luoghi fondamentali per dire le ragioni della nostra speranza. "L’essenza dell’uomo prende coscienza nelle situazioni limite: la nascita e la morte, l’errore e la verità, la speranza e la disperazione" [Cornelio Fabro]. C’è anche un altro aspetto da considerare in questo contesto, a riguardo soprattutto dell’educazione dei giovani alla fede.
Essi – intendo parlare soprattutto di chi frequenta le nostre comunità – sono immersi nei dogmi dello scientismo, fra cui quello di ritenere che la proposta cristiana non ha una portata veritativa. L’impegno a mostrare la ragionevolezza della fede, l’impegno a dimostrare l’infondatezza razionale delle obiezioni, sono impegni oggi ineludibili. Si pensi che cosa significa la elevazione della teoria evoluzionistica a filosofia prima, per fare solo un esempio.
Conclusione
Ritengo l’imminente beatificazione del Card. Newman un fatto provvidenziale per la Chiesa in Occidente. Egli è oggi il grande maestro del pensare cristiano in rapporto alla condizione dell’uomo occidentale.
Egli vedeva nella separazione della fede dalla ragione il vero male dell’uomo occidentale: è da questa separazione che ha avuto inizio quella demolizione dell’humanum di cui la Chiesa deve ora prendersi cura.
Ecco i "difensori dei diritti umani" che vogliono arrestare il Papa in Gran Bretagna - Gianfranco Amato - lunedì 13 settembre 2010 – ilsussidiario.net
Shakespeare nel suo Enrico VI faceva dire al Duca di Bedford che «gli ospiti non invitati sono sempre più graditi quando se ne vanno». I suoi conterranei del XXI secolo avrebbero, quindi, ragione di mostrarsi infastiditi rispetto alla visita di Benedetto XVI, se non fosse per un piccolo particolare. Il Santo Padre non ha chiesto di andarli a trovare. E’ stato invitato.
Così il Papa dovrà sperimentare la rude inospitalità degli inglesi. Hanno cominciato due atei combattenti, Richard Dawkins, docente di Oxford, e Christopher Hitchens, celebre giornalista autore del best seller Dio non è grande, chiedendo l’arresto del Pontefice per crimini contro l’umanità, non appena quest’ultimo atterri in Gran Bretagna.
Il precedente invocato è quello dell’arresto dell’ex dittatore cileno Augusto Pinochet, quando toccò il suolo britannico nel 1998. Dawkins e Hitchens hanno incaricato gli avvocati Geoffrey Robertson e Mark Stephens, legali esperti nella difesa dei diritti umani, di procedere contro Benedetto XVI in ordine alla sua asserita complicità, quando rivestiva la carica di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, negli episodi di pedofilia commessi da religiosi.
I due avvocati, contestando la possibilità che il Papa possa avvalersi dell’immunità diplomatica - in quanto la Santa Sede non sarebbe uno stato riconosciuto dalle Nazioni Unite -, hanno valutato la possibilità di richiedere al Crown Prosecution Service l’avvio di un procedimento penale a carico di Joseph Ratzinger. In alternativa, c’è l’ipotesi di iniziare un’azione civile, oppure di deferire il caso alla Corte Penale Internazionale.
«Questo è un uomo - ha inveito l’esimio prof. Dawkins - il cui primo istinto, quando i suoi preti sono stati scoperti con le mutande abbassate, è stato quello di coprire gli scandali e di intimare alle giovani vittime il silenzio». «Quest’uomo - gli ha fatto eco Hitchens - non è al di sopra della legge; la pedofilia è un reato penale e non si può liquidare con riti di contrizione o risarcimenti da parte della chiesa, bensì attraverso la giustizia e scontando le relative pene».
I due confidano di trovare in Gran Bretagna un giudice sensibile, come quello che l’anno scorso, su richiesta di attivisti pro-palestinesi, ha emesso un mandato di cattura a carico di Tzipi Livni, ex ministro degli Esteri israeliano, per le asserite atrocità commesse durante l’operazione militare nella striscia di Gaza, denominata “Piombo Fuso”. Il mandato fu ritirato dopo che Livni decise di rinunciare al suo viaggio a Londra.
Negli ultimi mesi le cose per il povero Benedetto XVI si sono messe persino peggio. Nel frattempo, infatti, si è costituito un coordinamento tra tutte le forze che si oppongono alla visita papale, denominato “Protest the Pope”, il quale si è fatto promotore di diverse iniziative, tutte reperibili sul sito web protestthepope.org.uk.
Del coordinamento fanno parte le principali associazioni laiche britanniche, tra cui Atheism UK, la British Humanist Association, il Central London Humanist Group, il Council of ex-Muslims of Britain, i Doctors4Justice, la Gay & Lesbian Humanist Association, la Humanist Association of Northern Ireland, la Humanist Society of Scotland, l’International Humanist and Ethical Union, il Liverpool Humanist Group, i Marches Secularists, la National Secular Society, il North London Humanists, la One Law for All, il gruppo OutRage!, il Plymouth Humanist Group, il Richmond upon Thames LGBT Forum, le Southall Black Sisters, la Women Against Fundamentalism, ed i Young Freethought.
In meno di tre settimane sono riusciti a raccogliere venticinquemila firme in calce ad una petizione inviata al governo britannico per chiedere non solo che venisse cancellata la visita papale, ma anche che lo stesso Pontefice venisse ufficialmente definito «unsuitable guest of the UK government» (ospite indesiderato), affinché non gli fosse consentito di proferire pubblicamente le «harsh, intolerant views and the practices and policies of the Vatican State».
Seguono materiale e gadget appositamente confezionati contro la visita, come una T-shirt con la scritta “Pope Nope” (No al Papa!), che verranno utilizzati nella “Big March” che si terrà il 18 settembre, al clou della visita londinese di Benedetto XVI. Si tratta di una processione laica che partirà da Hyde Park Corner, dove all’una e mezza è prevista un’assemblea, per raggiungere, due ore più tardi, la sede del Primo Ministro al numero 10 di Downing Street, dopo aver attraversato Piccadilly Circus, Haymarket, Trafalgar Square e Whitehall.
La notte prima della “Big March” è invece prevista una veglia laica dalle sette di sera a mezzanotte circa, celebrata da Peter Tatchell, noto attivista gay per i diritti degli omosessuali. Una «secular revelry», in pieno stile laico, in cui si distribuiranno cibo e bevande, si danzerà, si ascolterà musica e, soprattutto, si offenderà il Santo Padre al grido di “Nope Pope” (questo il programma ufficiale).
Due ore prima dell’inizio della veglia, invece, il gruppo The Richmond Coalition Against The State Visit protesterà, dalle cinque alle nove di sera, davanti alla St. Mary’s University College di Twickenham, dove è prevista la presenza del Papa.
I più facinorosi hanno pure pensato di bloccare la strada al corteo che accompagnerà il Pontefice. Lì davanti all’università, peraltro, quelli della Richmond Coalition Against The State Visit troveranno un altro gruppo di contestatori: si tratta di alcuni residenti del quartiere, che protesteranno per il fatto che la loro zona verrà offesa dalla presenza di un Papa. Non credo esistano simili precedenti nella storia delle visite papali. Neppure quando un Pontefice si sia recato in terra infidelium.
Questa villana reazione, i cui toni esacerbati rasentano il ridicolo, non fa davvero onore al popolo inglese. Benedetto XVI, però, non è uomo che si possa facilmente intimidire. Il Papa, infatti, si recherà a Londra come Vicario di Cristo, e se là non fosse accolto, o se le sue parole non venissero ascoltate, si limiterà, secondo l’esortazione evangelica, ad uscire da quella città, scuotendo la polvere dai suoi calzari. Il Signore, del resto, ha promesso che «nel giorno del giudizio la terra di Sodoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città» (Mt. 10.15). Il paragone delle due antiche località bibliche non potrebbe essere più azzeccato.
11/09/2010 - INDIA - Vescovo indiano: Non bruciamo il Corano, ma anche l’islam sia più tollerante di Nirmala Carvalho - Intervistato da AsiaNews mons. Leo Cornelius, arcivescovo di Bophal, condanna la campagna “brucia il Corano” lanciata dal pastore americano Terry Jones. Il prelato invita cristiani e musulmani a isolare le frange estremiste che offendono le altre fedi: “Avere rispetto della religione implica rispettare l’umano”.
Mumbai (AsiaNews) – “La minaccia del pastore Jones ha creato forti reazioni tra i nostri amici musulmani che sono stati ingiustamente offesi. Allo stesso modo, quando gli estremisti islamici offendono altre religioni, i musulmani dovrebbero anche capire il dolore di queste persone”. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Leo Cornelius, arcivescovo di Bhopal, (Madhya Pradesh), rispetto alla campagna “brucia il Corano” che in questi giorni ha messo in allerta tutto il mondo.
Intervistato da AsiaNews, il prelato sottolinea che è solo grazie alla reciprocità che si possono mettere le basi per la fiducia e la pacifica coesistenza.
Eccellenza, come hanno reagito le comunità cristiana e musulmana del Madhya Pradesh alle notizie di questi giorni?
L’annuncio del rogo del Corano è stato denunciato dai leader cristiani e musulmani nella nostra provincia, ma anche in ogni regione dell’India e del mondo. Esistono elementi di fanatismo in tutte le fedi religiose. Le persone di buona volontà non devono reagire a queste provocazioni e rifiutare qualsiasi tipo di fondamentalismo.
In Madhya Pradesh, cristiani e musulmani sono una minoranza. Quali sono gli elementi essenziali per la tolleranza e la reciproca convivenza?
Per le nostre comunità l’importante è lavorare insieme, non essere contro la comunità di maggioranza (indù) e soprattutto isolare le frange estremiste. Noi non viviamo come minoranza religiosa contro la maggioranza. Avere rispetto della religione implica rispettare l’umano. In Madhya Pradesh, abbiamo buone relazioni con i leader musulmani, infatti molti musulmani hanno partecipato alle celebrazioni per il centenario di Madre Teresa.
La vicinanza di questi giorni tra leader cattolici e musulmani potrebbe portare qualche vantaggio in vista del Sinodo del Medio oriente?
In tutto il mondo ci sono moschee, eppure in Medio Oriente le chiese non sono ammesse e il culto è limitato da rigide normative. I nostri amici musulmani devono essere consapevoli che lo spirito di reciprocità è il principio guida per la tolleranza religiosa.
E’solo grazie alla reciprocità che si possono mettere le basi di fiducia reciproca e pacifica coesistenza per un nuovo ordine mondiale.
Il dolore di Hermann e Aleksandr - Pigi Colognesi - lunedì 13 settembre 2010 – ilsussidiario.net
In questi giorni mi è capitato di leggere un libro e di ricordare un anniversario che hanno fatto convergere i miei pensieri su un’esperienza supremamente desiderabile e, però, rara; così rara da apparire quasi impossibile. Sto parlando della letizia nel dolore. Normalmente - e da un certo punto di vista comprensibilmente - il dolore appare come un’ombra che strozza, una negazione insormontabile del proprio desiderio di felicità. Invece quel libro e quell’anniversario dimostrano che è possibile varcare la contraddizione, trovare sotto e dentro il dolore un livello per cui esso, senza smettere di far male, si pacifica come parte di un disegno buono, come positività più profonda di ogni apparenza contraria. E così non sconvolge il calmo mare della letizia.
Il libro è quello che Davide Rondoni ha dedicato alla vita di sant’Hermann. Secondo le usanze ancora un po’ selvagge del nobile casato in cui è venuto al mondo nel 1013, il neonato Hermann sarebbe dovuto morire: uno sciancato che non si sarebbe mai retto in piedi, uno sgorbio d’uomo che forse non sarebbe sopravvissuto che pochi mesi era un’onta, una macchia sulla floridità della stirpe. Il padre, Wolverad, è quasi convinto a procedere all’infanticidio, ma un vecchio amico lo convince a desistere; è meglio che il conte consegni il figlio a un monastero; sarà poi quello che Dio vorrà.
Così è stato e Hermann cresce a Reichenau, dedicandosi allo studio, fino a diventare uno dei maggiori dotti del suo tempo e a scrivere opere sugli argomenti più impegnativi, dalla storia alla geometria, dall’astronomia alla musica. Ma non è tanto il sapere enciclopedico di Hermann che affascina, bensì la sua sorprendente letizia. Lui che non poteva trovare riposo in nessuna posizione, lui che era costantemente in compagnia del dolore fisico, lui che faticava a parlare scioltamente aveva una tenera luce negli occhi, riverbero di un dolce canto del cuore. Una musica che è passata dall’intimo allo spartito, quando Hermann ha composto la splendida melodia della Salve Regina.
L’anniversario è quello della morte di padre Aleksandr Men’. Il 9 settembre di vent’anni fa, mentre si recava a celebrare la messa nella sua chiesetta di campagna, questo straordinario apostolo ed evangelizzatore nella ufficialmente atea Unione Sovietica, è stato ucciso a colpi di ascia. Non si è mai scoperto da chi e perché sia stato assassinato. La sua vita e la sua missione sacerdotale non erano state facili.
Di famiglia ebrea (nato nel 1935), era stato battezzato nella Chiesa ortodossa e, giovanissimo aveva sentito la vocazione a farsi sacerdote. Ma essere prete in URSS non era cosa semplice: controlli, spie nascoste tra i fedeli, lunghi e ripetuti interrogatori, l’impossibilità di parlare liberamente o di pubblicare libri e articoli. E la minaccia sempre incombente di essere arrestato e di finire in lager o in ospedale psichiatrico.
C’erano ragioni sufficienti per accontentarsi di celebrare la messa e pensare ai fatti propri. E invece padre Men’ è diventato il fulcro di un grande movimento cristiano; centinaia di persone si sono convertite dialogando con lui e moltissimi hanno trovato in lui il padre nella fede. La sorveglianza del regime non si è mai allentata nei suoi confronti. Eppure tutti quelli che l’hanno conosciuto parlano di una persona per nulla angosciata o ansiosa, ma sempre lieta. Anzi era proprio questa sofferta letizia - ben più profonda di una giovialità di temperamento - che conquistava i suoi interlocutori.
Madre Teresa, un discorso indimenticabile! Dal sito http://www.libertaepersona.org - di Luca Teofili - Il 26 agosto 2010 si è celebrato il centenario della nascita di Madre Teresa (1910-1997). Il 5 settembre ricorreva invece il suo dies natalis, il giorno in cui 13 anni fa, la beata di Calcutta tornava alla casa del Padre. Cercando in rete notizie su di lei, mi sono stupito di non trovare una versione italiana integrale del suo discorso per il Nobel per la pace 1979. Così ho chiesto aiuto ad un amico ed ecco qui sotto la traduzione delle parole di Madre Teresa, in quell’occasione. Vale la pena leggerle e meditarle, perché sono specchio di una fede profonda e risultano a più di trent’anni di distanza di una chiarezza adamantina.
Discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Pace – (trad. it. Di Paolo Burghignoli) Oslo, 10 dicembre 1979
Poiché ci troviamo qui riuniti insieme penso che sarebbe bello per ringraziare Dio per il premio Nobel per la pace che pregassimo con una preghiera di S. Francesco d’Assisi che mi sorprende sempre molto – noi diciamo questa preghiera ogni giorno dopo la Santa Comunione, perché è molto adatta a ciascuno di noi, e penso sempre che quattro-cinquecento anni fa quando S. Francesco d’Assisi compose questa preghiera dovevano avere le stesse difficoltà che abbiamo oggi, visto che compose una preghiera così adatta anche a noi.
Penso che alcuni di voi ce l’abbiano già, dunque pregheremo insieme. Ringraziamo Dio per l’opportunità che abbiamo tutti insieme oggi, per questo dono di pace che ci ricorda che siamo stati creati per vivere quella pace, e Gesù si fece uomo per portare questa buona notizia ai poveri. Egli essendo Dio è diventato uomo in tutto eccetto che nel peccato, e ha proclamato molto chiaramente di essere venuto per portare questa buona notizia. La notizia era pace a tutti gli uomini di buona volontà e questo è qualcosa che tutti vogliamo – la pace del cuore – e Dio ha amato il mondo tanto da dare suo Figlio – è stato un dono – è come dire che a Dio ha fatto male dare, perché ha amato tanto il mondo da dare suo Figlio, e lo dette alla Vergine Maria, e lei allora che cosa fece? Appena arrivò nella sua vita, fu subito ansiosa di darne la buona notizia, e appena entrò nella casa di sua cugina, il bambino – il bambino non ancora nato – il bambino nel grembo di Elisabetta, sussultò di gioia. Era un piccolo bambino non ancora nato, fu il primo messaggero di pace.
Riconobbe il Principe della Pace, riconobbe che Cristo era venuto a portare una buona notizia per me e per te. E se non fosse abbastanza – se non fosse abbastanza diventare uomo – egli morì sulla croce per mostrare quell’amore più grande, e morì per voi e per me e per quel lebbroso e per quell’uomo che muore di fame e per quella persona nuda nelle strade non solo di Calcutta ma dell’Africa, e New York, e Londra, e Oslo – e insistette che ci amassimo gli uni gli altri come lui ci ha amato. Lo abbiamo letto molto chiaramente nel Vangelo – amatevi come io vi ho amato – come io vi amo – come il Padre ha amato me così io amo voi – e tanto più forte il Padre lo ha amato, tanto da donarcelo, e quanto ci amiamo noi, noi pure dobbiamo donarci gli uni agli altri finché non fa male. Non è abbastanza per noi dire: amo Dio, ma non amo il mio prossimo. San Giovanni dice che sei un bugiardo se dici di amare Dio e non il prossimo. Come puoi amare Dio che non vedi se non ami il prossimo che vedi, che tocchi, con cui vivi? Così è molto importante per noi capire che l’amore, per essere vero, deve fare male.
Ha fatto male a Gesù amarci, gli ha fatto male. E per essere sicuro che ricordassimo il suo grande amore si fece pane della vita per soddisfare la nostra fame del suo amore. La nostra fame di Dio, perché siamo stati creati per questo amore. Siamo stati creati a sua immagine. Siamo stati creati per amare ed essere amati, ed egli si è fatto uomo per permettere a noi di amare come lui ci ha amato. Egli è l’affamato - il nudo – il senza casa – l’ammalato – il carcerato – l’uomo solo – l’uomo rifiutato – e dice: l’avete fatto a me. Affamato del nostro amore, e questa è la fame dei nostri poveri. Questa è la fame che voi e io dobbiamo trovare, potrebbe stare nella nostra stessa casa. Non dimentico mai l’opportunità che ebbi di visitare una casa dove tenevano tutti questi anziani genitori di figli e figlie che li avevano semplicemente messi in un istituto e forse dimenticati.
Sono andata là, ho visto che in quella casa avevano tutto, cose bellissime, ma tutti guardavano verso la porta. E non ne ho visto uno con il sorriso in faccia. Mi sono rivolta alla Sorella e le ho domandato: come mai? Com’è che persone che hanno tutto qui, perché guardano tutti verso la porta, perché non sorridono? Sono così abituata a vedere il sorriso nella nostra gente, anche i morenti sorridono, e lei disse: questo accade quasi tutti i giorni, aspettano, sperano che un figlio o una figlia venga a trovarli. Sono feriti perché sono dimenticati – e vedete, è qui che viene l’amore. Come la povertà arriva proprio a casa nostra, dove trascuriamo di amarci. Forse nella nostra famiglia abbiamo qualcuno che si sente solo, che si sente malato, che è preoccupato, e questi sono giorni difficili per tutti. Ci siamo, ci siamo per accoglierli, c’è la madre ad accogliere il figlio? Sono stata sorpresa di vedere in occidente tanti ragazzi e ragazze darsi alle droghe, e ho cercato di capire perché – perché succede questo, e la risposta è: perché non hanno nessuno nella loro famiglia che li accolga. Padre e madre sono così occupati da non averne il tempo. I genitori giovani sono in qualche ufficio e il figlio va in strada e rimane coinvolto in qualcosa. Stiamo parlando di pace. Queste sono cose che distruggono la pace, ma io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta – un’uccisione diretta – un omicidio commesso dalla madre stessa.
E leggiamo nelle Scritture, perché Dio lo dice molto chiaramente: anche se una madre dimenticasse il suo bambino – io non ti dimenticherò – ti ho inciso sul palmo della mano. Siamo incisi nel palmo della Sua mano, così vicini a lui che un bambino non nato è stato inciso nel palmo della mano di Dio. E quello che mi colpisce di più è l’inizio di questa frase, che persino se una madre potesse dimenticare, qualcosa di impossibile – ma perfino se si potesse dimenticare – io non ti dimenticherò. E oggi il più grande mezzo – il più grande distruttore della pace è l’aborto. E noi che stiamo qui – i nostri genitori ci hanno voluti. Non saremmo qui se i nostri genitori non lo avessero fatto. I nostri bambini li vogliamo, li amiamo, ma che cosa è di milioni di loro? Tante persone sono molto, molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa dove tanti ne muoiono, di malnutrizione, fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo è ciò che è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla.
Per questo faccio appello in India, faccio appello ovunque. Restituiteci i bambini, quest’anno è l’anno dei bambini. Che abbiamo fatto per i bambini? All’inizio dell’anno ho detto, ovunque abbia parlato ho detto: quest’anno facciamo che ogni singolo bambino, nato o non nato, sia desiderato. E oggi è la fine dell’anno, abbiamo reso ogni bambino desiderato? Vi darò qualcosa di impressionante. Stiamo combattendo l’aborto con le adozioni, abbiamo salvato migliaia di vite, abbiamo inviato messaggi a tutte le cliniche, gli ospedali, le stazioni di polizia – per favore non distruggete i bambini, li prenderemo noi. Così ad ogni ora del giorno e della notte c’è sempre qualcuno, abbiamo parecchie ragazze madri – dite loro di venire, noi ci prenderemo cura di voi, prenderemo il vostro bambino, e troveremo una casa per il bambino. E abbiamo un’enorme domanda da parte di famiglie senza bambini, per noi questa è una grazia di Dio. Stiamo anche facendo un’altra cosa molto bella – stiamo insegnando ai nostri mendicanti, ai nostri lebbrosi, agli abitanti degli slum, alla nostra gente sulla strada, i metodi naturali di pianificazione familiare.
E solo in Calcutta in sei anni – nella sola Calcutta – abbiamo avuto 61273 bambini in meno da famiglie che li avrebbero avuti, ma perché praticano questo metodo naturale di astinenza, di auto-controllo, con amore reciproco. Insegniamo loro il metodo della temperatura che è molto bello, molto semplice, e la nostra povera gente capisce. E sapete che cosa mi hanno detto? La nostra famiglia è sana, la nostra famiglia è unita, e possiamo avere un bambino ogni volta che vogliamo. Così chiaro – quelle persone nelle strade, quei mendicanti – e io penso che se la nostra gente può farlo tanto più potete voi e tutti gli altri che potete conoscere i metodi e i mezzi senza distruggere la vita che Dio ha creato in noi. I poveri sono grandi persone. Possono insegnarci molte cose belle. L’altro giorno uno di loro è venuto a ringraziare e ha detto: voi che avete fatto voto di castità siete le persone migliori per insegnarci la pianificazione familiare.
Perché non è altro che auto-controllo per amore reciproco. E penso che abbiano detto una frase molto bella. E queste sono persone che magari non hanno niente da mangiare, magari non hanno dove vivere, ma sono grandi persone. I poveri sono persone meravigliose. Una sera siamo uscite e abbiamo raccolto quattro persone per la strada. Una di loro era in condizioni terribili – e ho detto alle Sorelle: prendetevi cura degli altri tre, io mi occupo di questa che sembrava stare peggio. Ho fatto per lei tutto quello che il mio amore poteva fare. L’ho messa a letto, e c’era un tale meraviglioso sorriso sulla sua faccia. Ha preso la mia mano e ha detto solo una parola: grazie, ed è morta. Non ho potuto non esaminare la mia coscienza di fronte a lei, e mi sono chiesta cosa avrei detto al suo posto. E la mia risposta è stata molto semplice. Avrei provato ad attirare un po’ di attenzione su di me, avrei detto che ho fame, che sto morendo, che ho freddo, dolore, o altro, ma lei mi ha dato molto di più – mi ha dato il suo amore riconoscente. Ed è morta con il sorriso sul volto.
Come quell’uomo che abbiamo raccolto dal canale, mezzo mangiato dai vermi, e l’abbiamo portato a casa. Ho vissuto come un animale per strada, ma sto per morire come un angelo, amato e curato. Ed è stato così meraviglioso vedere la grandezza di quell’uomo che poteva parlare così, poteva morire senza accusare nessuno, senza maledire nessuno, senza fare paragoni. Come un angelo – questa è la grandezza della nostra gente. Ed è per questo che noi crediamo che Gesù disse: ero affamato – ero nudo – ero senza casa – ero rifiutato, non amato, non curato – e l’avete fatto a me. Credo che noi non siamo veri operatori sociali. Forse svolgiamo un lavoro sociale agli occhi della gente, ma in realtà siamo contemplative nel cuore del mondo. Perché tocchiamo il Corpo di Cristo ventiquattro ore al giorno. Abbiamo ventiquattro ore di questa presenza, e così voi e io. Anche voi provate a portare questa presenza di Dio nella vostra famiglia, perché la famiglia che prega insieme sta insieme. E io penso che noi nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e armi, di distruggere per portare pace – semplicemente stiamo insieme, amiamoci reciprocamente, portiamo quella pace, quella gioia, quella forza della presenza di ciascuno in casa. E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo. C’è tanta sofferenza, tanto odio, tanta miseria, e noi con la nostra preghiera, con il nostro sacrificio iniziamo da casa.
L’amore comincia a casa, e non è quanto facciamo, ma quanto amore mettiamo in quello che facciamo. Sta a Dio Onnipotente – quanto facciamo non ha importanza, perché Lui è infinito, ma quanto amore mettiamo in quello che facciamo. Quanto facciamo a Lui nella persona che striamo servendo. Qualche tempo fa a Calcutta avemmo grande difficoltà ad ottenere dello zucchero, e non so come i bambini lo seppero, e un bambino di quattro anni, un bambino Hindu, andò a casa e disse ai suoi genitori: non mangerò zucchero per tre giorni, darò il mio zucchero a Madre Teresa per i suoi bambini. Dopo tre giorni suo padre e sua madre lo portarono alla nostra casa. Non li avevo mai incontrati prima, e questo piccolo riusciva a malapena pronunciare il mio nome, me sapeva esattamente che cosa era venuto a fare. Sapeva che voleva condividere il suo amore. E questo è perché ho ricevuto tanto amore da voi tutti. Dal momento che sono arrivata qui sono stata semplicemente circondata da amore, da vero amore comprensivo. Si percepiva come se ciascuno in India, ciascuno in Africa fosse qualcuno molto speciale per voi. E mi sono sentita proprio a casa dicevo alla Sorella oggi. Mi sento in Convento con le Sorelle come se fossi a Calcutta con le mie Sorelle. Così completamente a casa qui, proprio qui.
E così sono qui a parlarvi – voglio che voi troviate il povero qui, innanzitutto proprio a casa vostra. E cominciate ad amare qui. Siate questa buona notizia per la vostra gente. E informatevi sul vostro vicino di casa – sapete chi sono? Ho avuto un’esperienza veramente straordinaria con una famiglia Hindu che aveva otto bambini. Un signore venne alla nostra casa e disse: Madre Teresa, c’è una famiglia con otto bambini, non mangiano da tanto tempo – faccia qualcosa. Così ho preso del riso e sono andata immediatamente. E ho visto i bambini – i loro occhi luccicanti per la fame – non so se abbiate mai visto la fame. Ma io l’ho vista molto spesso. E lei prese il riso, lo divise, e uscì. Quando fu tornata le chiesi – dove sei andata, che hai fatto? Lei mi dette una risposta molto semplice: anche loro hanno fame. Quel che mi colpì di più fu che lei sapeva – e chi sono loro, una famiglia musulmana – lei lo sapeva. Non portai più del riso quella sera perché volevo che godessero la gioia della condivisione. Ma c’erano quei bambini, che irradiavano gioia, condividendo la gioia con la loro madre perché lei aveva amore da dare. E vedete è qui che comincia l’amore – a casa. E voglio che voi – e sono molto grata per quello che ho ricevuto.
E’ stata un’esperienza enorme e torno in India – tornerò la prossima settimana, il 15 spero – e potrò portare il vostro amore. E so bene che non avete dato del vostro superfluo, ma avete dato fino a farvi male. Oggi i piccoli bambini hanno – ero così sorpresa – c’è così tanta gioia per i bambini che hanno fame. Che i bambini come loro avranno bisogno di amore e cura e tenerezza, come ne hanno tanto dai loro genitori. Così ringraziamo Dio che abbiamo avuto questa opportunità di conoscerci, e questa conoscenza reciproca ci ha portati così vicini. E potremo aiutare non solo i bambini indiani e africani ma potremo aiutare i bambini del mondo intero, perché come sapete le nostre Sorelle stanno in tutto il mondo. E con questo premio che ho ricevuto come premio di pace, proverò a fare una casa per molti che non hanno una casa. Perché credo che l’amore cominci a casa, e se possiamo creare una casa per i poveri – penso che sempre più amore si diffonderà. E potremo mediante questo amore comprensivo portare pace, essere la buona notizia per i poveri. I poveri della nostra famiglia per primi, nel nostro paese e nel mondo. Per poter fare questo, le nostre Sorelle, le nostre vite devono essere intessute di preghiera.
Devono essere intessute di Cristo per poter capire, essere capaci di condividere. Perché oggi c’è così tanto dolore – e sento che la passione di Cristo viene rivissuta ovunque di nuovo – siamo noi là a condividere questa passione, a condividere questo dolore della gente. In tutto il mondo, non solo nei paesi poveri, ma ho trovato la povertà dell’occidente tanto più difficile da eliminare. Quando prendo una persona dalla strada, affamata, le do un piatto di riso, un pezzo di pane, l’ho soddisfatta. Ho rimosso quella fame. Ma una persona che è zittita, che si sente indesiderata, non amata, spaventata, la persona che è stata gettata fuori dalla società – quella povertà è così dolorosa e diffusa, e la trovo molto difficile. Le nostre Sorelle stanno lavorando per questo tipo di persone nell’occidente. Allora dovete pregare per noi affinché siamo capaci di essere questa buona notizia, ma non possiamo farlo senza di voi, lo dovete fare qui nel vostro paese.
Dovete arrivare a conoscere i poveri, magari la gente qui ha beni materiali, tutto, ma penso che se noi tutti cerchiamo nelle nostre case, quanto troviamo difficile a volte sia sorriderci reciprocamente, e che il sorriso è l’inizio dell’amore. E così incontriamoci sempre con un sorriso, perché il sorriso è l’inizio dell’amore, e quando cominciamo ad amarci è naturale voler fare qualcosa. Così pregate per le nostre Sorelle e per me e per i nostri Fratelli, e per i nostri Collaboratori che sono sparsi nel mondo. Essi possono rimanere fedeli al dono di Dio, amarlo e servirlo nei poveri insieme con voi. Quello che abbiamo fatto non avremmo potuto farlo se voi non lo aveste condiviso con le vostre preghiere, i vostri doni, questo continuo dare. Ma non voglio che mi diate del vostro superfluo, voglio che mi diate finché vi fa male. L’altro giorno ho ricevuto 15 dollari da un uomo che è stato sdraiato per venti anni, e l’unica parte che poteva muovere è la mano destra. E l’unica cosa di cui gode è fumare. E mi ha detto: non fumo per una settimana, e ti mando questi soldi.
Deve essere stato un sacrificio terribile per lui, ma guardate quanto è bello, come ha condiviso, e con quei soldi ho comprato del pane e l’ho dato a quelli che sono affamati con gioia da tutte e due le parti, lui stava dando e i poveri stavano ricevendo. Questo è qualcosa che voi e io – è un dono di Dio per noi poter condividere il nostro amore con gli altri. E fate come se fosse per Gesù. Amiamoci gli uni gli altri come egli ci ha amato. Amiamo Lui con amore indiviso. E la gioia di amare Lui e amarci gli uni gli altri – diamo ora – che Natale è così vicino. Conserviamo la gioia di amare Gesù nei nostri cuori. E condividiamo questa gioia con tutti quelli con cui veniamo in contatto. E questa gioia radiosa è vera, perché non abbiamo motivo di non essere felici perché non abbiamo Cristo con noi. Cristo nei nostri cuori, Cristo nel povero che incontriamo, Cristo nel sorriso che diamo e nel sorriso che riceviamo. Facciamone un impegno: che nessun bambino sia indesiderato, e anche che ci accogliamo con un sorriso, specialmente quando è difficile sorridere.
Non dimentico mai qualche tempo fa circa quattordici professori vennero dagli Stati Uniti da diverse università. E vennero a Calcutta nella nostra casa. Stavano parlando e dicevano di essere stati alla casa per i morenti. Abbiamo una casa per i morenti a Calcutta, dove abbiamo raccolto più di 36000 persone solo dalle strade di Calcutta, e di questo grande numero più di 18000 hanno avuto una bella morte. Sono semplicemente andati a casa da Dio; e sono venuti nella nostra casa e abbiamo parlato di amore, di compassione, e poi uno di loro mi ha chiesto: Madre, per favore ci dica qualcosa che possiamo ricordare, e ho detto loro: sorridetevi gli uni gli altri, dedicatevi del tempo nelle vostre famiglie. Sorridetevi.
E un altro mi ha chiesto: sei sposata, e ho detto: sì, e trovo a volte molto difficile sorridere a Gesù perché può essere molto esigente a volte. Questo è qualcosa di vero, ed è là che viene l’amore – quando è esigente, e tuttavia possiamo darlo a Lui con gioia. Come ho detto oggi, ho detto che se non vado in Cielo per qualcos’altro andrò in cielo per tutta la pubblicità perché mi ha purificata e sacrificata e resa veramente pronta ad andare in Cielo. Penso che questo sia qualcosa, che dobbiamo vivere la nostra vita in modo bello, abbiamo Gesù con noi e Lui ci ama. Se potessimo solo ricordarci che Gesù mi ama, e ho l’opportunità di amare gli altri come lui ama me, non nelle grandi cose, ma nelle piccole cose con grande amore, allora la Norvegia diventerebbe un nido d’amore. E quanto bello sarà che da qui sia stato dato un centro per la pace. Che da qui esca la gioia per la vita dei bambini non nati. Se diventate una luce bruciante nel mondo della pace, allora veramente il Nobel per la pace è un dono per il popolo norvegese. Dio vi benedica!