giovedì 9 settembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: LA TEOLOGIA HA BISOGNO DELLA SENSIBILITÀ DELLE DONNE - Nella seconda catechesi dedicata a santa Ildegarda di Bingen
2) Avvenire.it, 9 settembre 2010 - Anche ieri forzate le parole del Papa - Quando gli «abusi» sono del cronista di Umberto Folena
3) Avvenire.it, 8 settembre 2010 - AL CONSIGLIO D'EUROPA - Il Papa: il relativismo, rischio per i valori
4) Avvenire.it, 9 settembre 2010 - L’appello del Papa all’Europa - Riaffermiamo la base razionale di valori e diritti inviolabili di Luigi Geninazzi
5) 08/09/2010 – PAKISTAN - Cristiana pakistana, madre di due figli, rapita e costretta alla schiavitù a causa di un debito di Jibran Khan
6) il Giornale mercoledì 08 settembre 2010 - Sulla fede il razionalismo perde il lume della ragione di Andrea Tornielli - Nel saggio di Vincenzo Vitale le cantonate di Augias, Mancuso e Odifreddi
7) Il Cristianesimo è di ostacolo al progresso scientifico? Di Don Marcello Stanzionedal sito http://www.pontifex.roma.it
8) OCCHI INGLESI SULL’ITALIA CATTOLICA E DIBATTITO SULLA 'BIG SOCIETY' - Una presenza che conta e la cantina dei «contaniente» - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 9 settembre 2010
9) E D I TO R I A L E - PADRE MEN’, MARTIRE PER UNA NUOVA RUSSIA - PIGI COLOGNESI – Avvenire, 9 settembre 2010



BENEDETTO XVI: LA TEOLOGIA HA BISOGNO DELLA SENSIBILITÀ DELLE DONNE - Nella seconda catechesi dedicata a santa Ildegarda di Bingen
ROMA, mercoledì, 8 settembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI questo mercoledì durante l'Udienza generale tenutasi a Castel Gandolfo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato ancora sulla figura di santa Ildegarda di Bingen.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei riprendere e continuare la riflessione su S. Ildegarda di Bingen, importante figura femminile del Medioevo, che si distinse per saggezza spirituale e santità di vita. Le visioni mistiche di Ildegarda somigliano a quelle dei profeti dell’Antico Testamento: esprimendosi con le categorie culturali e religiose del suo tempo, interpretava nella luce di Dio le Sacre Scritture applicandole alle varie circostanze della vita. Così, tutti coloro che l’ascoltavano si sentivano esortati a praticare uno stile di esistenza cristiana coerente e impegnato. In una lettera a san Bernardo, la mistica renana confessa: "La visione avvince tutto il mio essere: non vedo con gli occhi del corpo, ma mi appare nello spirito dei misteri … Conosco il significato profondo di ciò che è esposto nel Salterio, nei Vangeli e in altri libri, che mi sono mostrati nella visione. Questa brucia come una fiamma nel mio petto e nella mia anima, e mi insegna a comprendere profondamente il testo" (Epistolarium pars prima I-XC: CCCM 91).
Le visioni mistiche di Ildegarda sono ricche di contenuti teologici. Fanno riferimento agli avvenimenti principali della storia della salvezza, e adoperano un linguaggio principalmente poetico e simbolico. Per esempio, nella sua opera più nota, intitolata Scivias, cioè "Conosci le vie", ella riassume in trentacinque visioni gli eventi della storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla fine dei tempi. Con i tratti caratteristici della sensibilità femminile, Ildegarda, proprio nella sezione centrale della sua opera, sviluppa il tema del matrimonio mistico tra Dio e l’umanità realizzato nell’Incarnazione. Sull’albero della Croce si compiono le nozze del Figlio di Dio con la Chiesa, sua sposa, ricolma di grazie e resa capace di donare a Dio nuovi figli, nell’amore dello Spirito Santo (cfr Visio tertia: PL 197, 453c).
Già da questi brevi cenni vediamo come anche la teologia possa ricevere un contributo peculiare dalle donne, perché esse sono capaci di parlare di Dio e dei misteri della fede con la loro peculiare intelligenza e sensibilità. Incoraggio perciò tutte coloro che svolgono questo servizio a compierlo con profondo spirito ecclesiale, alimentando la propria riflessione con la preghiera e guardando alla grande ricchezza, ancora in parte inesplorata, della tradizione mistica medievale, soprattutto a quella rappresentata da modelli luminosi, come appunto Ildegarda di Bingen.
La mistica renana è autrice anche di altri scritti, due dei quali particolarmente importanti perché riportano, come lo Scivias, le sue visioni mistiche: sono il Liber vitae meritorum (Libro dei meriti della vita) e il Liber divinorum operum (Libro delle opere divine), denominato anche De operatione Dei. Nel primo viene descritta un’unica e poderosa visione di Dio che vivifica il cosmo con la sua forza e con la sua luce. Ildegarda sottolinea la profonda relazione tra l’uomo e Dio e ci ricorda che tutta la creazione, di cui l’uomo è il vertice, riceve vita dalla Trinità. Lo scritto è incentrato sulla relazione tra virtù e vizi, per cui l’essere umano deve affrontare quotidianamente la sfida dei vizi, che lo allontanano nel cammino verso Dio e le virtù, che lo favoriscono. L’invito è ad allontanarsi dal male per glorificare Dio e per entrare, dopo un’esistenza virtuosa, nella vita "tutta di gioia". Nella seconda opera, considerata da molti il suo capolavoro, descrive ancora la creazione nel suo rapporto con Dio e la centralità dell’uomo, manifestando un forte cristocentrismo di sapore biblico-patristico. La Santa, che presenta cinque visioni ispirate dal Prologo del Vangelo di San Giovanni, riporta le parole che il Figlio rivolge al Padre: "Tutta l’opera che tu hai voluto e che mi hai affidato, io l’ho portata a buon fine, ed ecco che io sono in te, e tu in me, e che noi siamo una cosa sola" (Pars III, Visio X: PL 197, 1025a).
In altri scritti, infine, Ildegarda manifesta la versatilità di interessi e la vivacità culturale dei monasteri femminili del Medioevo, contrariamente ai pregiudizi che ancora gravano su quell’epoca. Ildegarda si occupò di medicina e di scienze naturali, come pure di musica, essendo dotata di talento artistico. Compose anche inni, antifone e canti, raccolti sotto il titolo Symphonia Harmoniae Caelestium Revelationum (Sinfonia dell’armonia delle rivelazioni celesti), che venivano gioiosamente eseguiti nei suoi monasteri, diffondendo un’atmosfera di serenità, e che sono giunti anche a noi. Per lei, la creazione intera è una sinfonia dello Spirito Santo, che è in se stesso gioia e giubilo.
La popolarità di cui Ildegarda era circondata spingeva molte persone a interpellarla. Per questo motivo disponiamo di molte sue lettere. A lei si rivolgevano comunità monastiche maschili e femminili, vescovi e abati. Molte risposte restano valide anche per noi. Per esempio, a una comunità religiosa femminile Ildegarda scriveva così: "La vita spirituale deve essere curata con molta dedizione. All’inizio la fatica è amara. Poiché esige la rinuncia all’estrosità, al piacere della carne e ad altre cose simili. Ma se si lascia affascinare dalla santità, un’anima santa troverà dolce e amorevole lo stesso disprezzo del mondo. Bisogna solo intelligentemente fare attenzione che l’anima non avvizzisca" (E. Gronau, Hildegard. Vita di una donna profetica alle origini dell’età moderna, Milano 1996, p. 402). E quando l’Imperatore Federico Barbarossa causò uno scisma ecclesiale opponendo ben tre antipapi al Papa legittimo Alessandro III, Ildegarda, ispirata dalle sue visioni, non esitò a ricordargli che anch’egli, l’imperatore, era soggetto al giudizio di Dio. Con l’audacia che caratterizza ogni profeta, ella scrisse all’Imperatore queste parole da parte di Dio: "Guai, guai a questa malvagia condotta degli empi che mi disprezzano! Presta ascolto, o re, se vuoi vivere! Altrimenti la mia spada ti trafiggerà!" (Ibid., p. 412).
Con l’autorità spirituale di cui era dotata, negli ultimi anni della sua vita Ildegarda si mise in viaggio, nonostante l’età avanzata e le condizioni disagevoli degli spostamenti, per parlare di Dio alla gente. Tutti l’ascoltavano volentieri, anche quando adoperava un tono severo: la consideravano una messaggera mandata da Dio. Richiamava soprattutto le comunità monastiche e il clero a una vita conforme alla loro vocazione. In modo particolare, Ildegarda contrastò il movimento dei cátari tedeschi. Essi - cátari alla lettera significa "puri" - propugnavano una riforma radicale della Chiesa, soprattutto per combattere gli abusi del clero. Lei li rimproverò aspramente di voler sovvertire la natura stessa della Chiesa, ricordando loro che un vero rinnovamento della comunità ecclesiale non si ottiene tanto con il cambiamento delle strutture, quanto con un sincero spirito di penitenza e un cammino operoso di conversione. Questo è un messaggio che non dovremmo mai dimenticare. Invochiamo sempre lo Spirito Santo, affinché susciti nella Chiesa donne sante e coraggiose, come santa Ildegarda di Bingen, che, valorizzando i doni ricevuti da Dio, diano il loro prezioso e peculiare contributo per la crescita spirituale delle nostre comunità e della Chiesa nel nostro tempo.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i cresimati dell’Arcidiocesi di Lucca, qui convenuti con il loro Pastore Mons. Italo Castellani, e i cresimandi di Verona. Cari amici, con la forza dello Spirito Santo, siate coraggiosi testimoni di Gesù e del suo Vangelo in famiglia, nella scuola, in parrocchia e con i vostri coetanei. Saluto i monaci dell’Ordine Cistercense, che in questi giorni stanno celebrando il loro Capitolo Generale, ed auguro loro di impegnarsi con rinnovato slancio spirituale e apostolico, per cooperare generosamente nell'opera della nuova evangelizzazione.
Mi rivolgo infine ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, qui presenti. Oggi celebriamo la memoria liturgica della Natività della Beata Vergine Maria. Il Concilio Vaticano II dice che Maria ci precede nel cammino della fede perché "ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45). Per voi giovani chiedo alla Vergine Santa il dono di una fede sempre più matura; per voi ammalati, una fede sempre più forte; e per voi, cari sposi novelli, una fede sempre più profonda.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


Avvenire.it, 9 settembre 2010 - Anche ieri forzate le parole del Papa - Quando gli «abusi» sono del cronista di Umberto Folena
Una giornata di intensa popolarità, ieri, per Ildegarda di Bingen, fustigatrice del clero corrotto reo di abusare dell’infanzia. Novecento anni fa. Non vi sembra vero? Infatti, non è vero. Ma a qualcuno è parso (o sarebbe piaciuto) che così fosse. Che davvero ieri mattina, durante l’udienza generale, Benedetto XVI fosse tornato a parlare di pedofilia a partire dalla figura e dall’azione di questa straordinaria donna e cristiana, mistica coltissima e compositrice di canti religiosi di meravigliosa bellezza. Sant’Ildegarda però non ebbe a che fare con i pedofili, ma con i catari... illustrissimi sconosciuti per i più. E il Papa, ieri, ha ricordato una cosa ovvia e cruciale: vano è modificare le strutture, se i cuori non subiscono un radicale mutamento; inutile è costruire nuovi assetti organizzativi, se non ci si converte.

E la pedofilia, allora? Che c’entra? Nulla. Ieri, infatti, il Papa non ha neanche accennato al problema della pedofilia. Ha citato gli «abusi del clero» di quel tempo remoto. Abusi sessuali? Nei confronti di bambini? Macché. Gli abusi erano anche e innanzitutto di potere, nel dodicesimo secolo. E il primo grande corruttore, allora come oggi, era il denaro. Ma questo non ha impedito ad alcune agenzie italiane di far apparire sugli schermi dei pc delle redazioni titoli di questo tenore: «Pedofilia: Papa, penitenza può più di cambio strutture» o «Pedofilia: serve penitenza più che cambio strutture». Come se l’udienza generale fosse stata dedicata a questo. Invece papa Ratzinger aveva ricordato una grande santa e la pretesa dei catari di risolvere i problemi della Chiesa praticamente distruggendola, modificandone la struttura fino a renderla tutta un’altra cosa.

Gli ultimi anni sono stati un florilegio di manipolazioni, furbe o maldestre, di cui abbiamo a malincuore dato conto. Papa, vescovi e Chiesa tutta citati troppo spesso non per ciò che dicono, ma per ciò che non si sognano di dire. Spesso solo per fare titolo, qualche volta proprio per fare male. Basta, in certe occasioni, un abile taglia-e-cuci. In altre, come ieri, è sufficiente lasciarsi scivolare nell’invenzione. Ma poiché la sparata era grossa, veramente grossa, qualcuno in redazione deve averla fatta notare... E così s’è anche cercato di porre riparo allo sbrego, evocando "implicite" intenzioni di Benedetto XVI.
A noi cronisti tocca, però, il rispetto della verità delle parole e dei fatti. Non atti di fede, ma autentico esercizio di laicità. Chi ci legge e ci ascolta non può essere preso in giro.
Umberto Folena


Avvenire.it, 8 settembre 2010 - AL CONSIGLIO D'EUROPA - Il Papa: il relativismo, rischio per i valori
Il relativismo comporta gravi rischi nell'area dei «valori, diritti e doveri», ed è in grado di minare alla radice il ruolo delle «istituzioni sovranazionali» e l' efficacia delle loro battaglie per i diritti umani. Lo ha affermato papa Benedetto XVI, ricevendo, dopo l'udienza generale, una cinquantina di membri dell'Ufficio dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa nell'Auletta attigua all'Aula Paolo VI, in occasione del 60/o anniversario della Convenzione europea sui Diritti umani.

Papa Ratzinger ha ricordato la fitta agenda del Consiglio d'Europa in questo campo, e in particolare la sua attanzione a «disabili, bambini vittime di violenze, immigrati, rifugiati, vittime della crisi economica e finanziaria, vittime di estremismi e nuove forme di schiavitù legate a droga e prostituzione», «vittime della guerra o di fragili democrazie». Bene anche le battaglie «per la libertà religiosa e contro la violenza e l'intolleranza contro i credenti, in Europa e nel mondo».

Tuttavia - avverte il pontefice - «tenendo a mente il contesto della società di oggi, nella quale convivono differenti popoli e culture, è imperativo sviluppare la validità universale di questi diritti, così come la loro inviolabilità, inalienabilità e indivisibilità». «La fede cristiana - ha concluso - non impedisce la ricerca di valori comuni», anzi «la favorisce», e rappresenta «un invito a cercare una base soprannaturale alla dignità» dell'uomo.


Avvenire.it, 9 settembre 2010 - L’appello del Papa all’Europa - Riaffermiamo la base razionale di valori e diritti inviolabili di Luigi Geninazzi
È certamente una buona notizia che ci fa tirare un respiro di sollievo: le autorità di Teheran hanno sospeso la condanna a morte di Sakineh, la donna iraniana divenuta simbolo della terribile condizione in cui versano i diritti umani in Iran. Ma restano le brutte notizie che riguardano i processi farsa e, più in generale, la repressione feroce portata avanti dal regime degli ayatollah. Non c’è purtroppo alcuna garanzia che tutto questo abbia fine.

L’impressione sconfortante è che la buona notizia duri il tempo di un respiro, mentre le cattive notizie s’addensano senza un attimo di tregua. Sarà un caso ma proprio negli stessi giorni in cui in Europa e nelle Americhe si dà prova di rara unità e di grande compattezza mobilitandosi a favore di Sakineh in nome della dignità della donna e dei fondamentali diritti umani, ecco che nelle sue retrovie si apre una falla imbarazzante e vergognosa. Il Burn a Koran Day, la Giornata in cui bruciare copie del Corano proclamata dal pastore di una chiesa protestante in Florida in occasione del prossimo anniversario dell’11 settembre, è un’iniziativa che sembra fatta apposta per screditare quel che resta dell’Occidente con la O maiuscola.

«Un gesto stupido e pericoloso», è stato sottolineato da alti ufficiali, uomini politici ed esponenti religiosi, preoccupati per le ritorsioni facilmente prevedibili di settori del mondo musulmano. Si teme infatti un’ondata di violenze che si riverserà soprattutto contro gli inermi cristiani che vivono nei Paesi a prevalenza islamica, come già avvenuto nel 2006 a seguito delle vignette satiriche su Maometto pubblicate da un giornale danese. Ma l’idea di un grande rogo in cui bruciare i libri sacri dell’islam è sciocca e pericolosa non soltanto per l’incendio devastante che potrebbe scatenare nel mondo, ma per il fatto che nega gli stessi ideali che chi l’ha lanciata dichiara si nutrire e sostenere. Per dirla con Talleyrand, «è peggio di un crimine, è un errore». Rispondere a coloro che bruciano le bandiere americane dando fuoco al Corano significa avere un concetto di libertà simile a quello degli integralisti islamici.

Cresce l’arroganza, si rimpiccioliscono i diritti di libertà, a cominciare da quello alla libertà religiosa. Invece «è imperativo sviluppare sia la validità universale di questi diritti, sia la loro inviolabilità». Sono parole pronunciate ieri dal Papa nel discorso rivolto ai vertici parlamentari del Consiglio d’Europa, un’istituzione internazionale chiamata a difendere e garantire i valori inviolabili e i fondamentali diritti dell’uomo. Ma Benedetto XVI ha allargato l’orizzonte affrontando il problema nel contesto della società attuale, nella quale s’incontrano popoli e culture differenti. E si è chiesto cosa succederebbe «se questi diritti fossero privi di un fondamento razionale, oggettivo, comune a tutti i popoli, e si basassero esclusivamente su culture, decisioni legislative o sentenze di tribunali particolari». Se fosse così non potremmo opporci alle decisioni di un tribunale islamico a Teheran che intende condannare a morte una donna per adulterio. E non saremmo neppure in grado di controbattere alle farneticazioni di un pastore protestante che intende bruciare il Corano.

Qualcuno potrebbe essere tentato di liquidare le parole del Papa come l’ennesima condanna del relativismo. Ma la sua non è stata la ripetizione di un giudizio astratto bensì l’analisi puntuale di quanto sta succedendo sotto i nostri occhi. Benedetto XVI è in realtà entrato, con delicatezza, nel merito delle buone e delle cattive notizie di questi giorni. E ci ha sollecitato a dare «un terreno solido e duraturo» alle nostre battaglie di civiltà: alla mobilitazione per salvare la vita di una donna che rischia la lapidazione come alla strenua affermazione dei principi di tolleranza religiosa che sembrano vacillare perfino nei dintorni della Statua della Libertà.
Luigi Geninazzi


08/09/2010 – PAKISTAN - Cristiana pakistana, madre di due figli, rapita e costretta alla schiavitù a causa di un debito di Jibran Khan
Il marito lavora come bracciante e aveva contratto un debito per curare il padre malato. Il padrone musulmano ha minacciato e offeso la famiglia: “La vostra vita vale poco e sarete sempre nostri schiavi. Noi musulmani siamo superiori ad ogni altra religione”. All’inizio la polizia non ha voluto accettare la denuncia del rapimento.


Kasur (AsiaNews) – Una donna cristiana, madre di due figli, è stata rapita da un gruppo di musulmani perché il marito non ha pagato un debito contratto per la povertà. Il creditore musulmano aveva minacciato di prendere madre e i due figli come schiavi, fino a che il debito non fosse sanato. Due giorni fa, il marito della donna, insieme ai figli e ai parenti ha inscenato un sit-in di protesta (v. foto) per chiedere l’intervento della polizia che finora non si è mossa.
L’incidente è avvenuto a Fatehpur Kasur, una piccola località del distretto di Kasur, a circa 100 km da Lahore, capitale della provincia del Punjab.
Qui vive Ejaz Masih, padre di due figli, insieme alla moglie Sana e ai genitori di lui. Ejaz lavora a giornata nei campi e sua moglie fa la domestica, compiendo sacrifici per mandare i loro figli a scuola.
Lo scorso luglio, Muhammad Nawaz Randhawa ha venduto i suoi campi a Chaudhry Ilyas Tiwana, incamerando tutti i rapporti di lavoro con i braccianti.
Tempo prima Ejaz Masih aveva chiesto un prestito a Randhawa per il padre, che aveva bisogno di cure mediche. Randhawa ha comunicato a Tiwana del debito . Il 15 agosto scorso Tiwana ha chiamato Ejaz Masih è ha preteso il pagamento del debito entro due settimane “altrimenti – ha detto – dovrai pagare i miei campi per il resto della tua vita, insieme alla tu famiglia”. Tiwana ha anche espresso minacce: “Verremo a prendere tua moglie e i tuoi figli per farli lavorare come schiavi da noi. Non hai altra scelta [che pagare]. Non osare dire questo a qualcuno, altrimenti sarai responsabile delle conseguenze”. E ha aggiunto: “Siete una vita che vale poco e sarete sempre nostri schiavi. Noi musulmani siamo superiori ad ogni altra religione”.
Cacciato fuori, Ejaz ha raggiunto casa, dove ha raccontato dell’incidente a sua moglie e ai genitori.
“Mia moglie – riferisce ad AsiaNews – ha detto che dovremmo contattare la polizia e le autorità, perché non possiamo lasciar prendere i nostri figli come schiavi. Io ho fatto notare che questa gente è molto influente e che ci uccideranno se contattiamo la polizia. I miei genitori ci hanno consigliato di mandare i figli a casa del loro zio, per sicurezza. E così abbiamo fatto”.
“Il 3 settembre scorso – continua Ejaz - verso le 5 del mattino, 7-8 persone armate sono venuti a rapire mia moglie sotto la minaccia delle armi. Ho cercato di fermarli, ma mi hanno gettato per terra. Hanno anche picchiato mio padre”.
La madre di Ejaz Masih ha gridato per chiedere aiuto, i vicini di casa sono usciti fuori, ma nessuno ha tentato di fermare i rapitori. Il fratello di Ejaz, Javed, ha contattato la polizia, ma essi hanno rifiutato di ricevere la denuncia.
Il 6 settembre, Ejaz, insieme ai suoi genitori, ai figli e al fratello, hanno protestato davanti al Fatehpur Kasur Press Club, chiedendo la liberazione della moglie e domandando giustizia.
Nonostante molti tentativi e richieste, non è stato possibile avere da Tiwana alcun commento sull’accaduto.
Dopo la protesta, Malik Babar, ufficiale di polizia ha dichiarato: “Siamo coscienti della questione e arresteremo i colpevoli”. L’ufficiale del distretto ha invece dichiarato di no avere informazioni in merito, ma che “istruirà la polizia per prendere le decisioni necessarie”.


il Giornale mercoledì 08 settembre 2010 - Sulla fede il razionalismo perde il lume della ragione di Andrea Tornielli - Nel saggio di Vincenzo Vitale le cantonate di Augias, Mancuso e Odifreddi
Il titolo è più che mai eloquente: Volti dell’ateismo. Mancuso, Augias, Odifreddi. Alla ricerca della ragione perduta. È il volume che Vincenzo Vitale manda in libreria in questi giorni (Sugarco, pagg. 174, euro 16) per contestare le tesi del teologo Vito Mancuso, del giornalista Corrado Augias e del matematico Piergiorgio Odifreddi, considerati i tre esponenti di punta dell’ateismo contemporaneo. Non si tratta di un pamphlet polemico, ma di un excursus ragionato con cui Vitale intende dimostrare molte incongruenze contenute nelle opere dei tre autori di successo, innanzitutto sul terreno della razionalità e delle conoscenze storiche.
Mancuso, a esempio, ha scritto che l’anima altro non è che una «eccedenza energetica» sprigionata dalla materia. Una tesi che, prima di impensierire i teologi, sconcerta i fisici, dato che, spiega l’autore di Volti dell’ateismo, nessuno scienziato «fedele al proprio metodo e al proprio sapere potrebbe accettare per buone» queste affermazioni, che richiamano antiche concezioni animiste pre-cristiane. «Ipotizzare o, peggio, dare per certo fino a costruirvi sopra una elaborazione teologica, che dalla massa si possa sprigionare una energia eccedente rispetto a quella che quella massa dovrebbe sprigionare, impone dal punto di vista scientifico che preliminarmente si risponda ad alcune domande» sulle condizioni nelle quali ciò avverrebbe, con quale procedimento fisico-chimico e in che modo questo procedimento sarebbe riproducibile secondo i criteri propri del sapere scientifico. «Siccome un elefante è assai più pesante di un uomo (ha una massa ben più grande) – si chiede Vitale – forse che produrrà più energia? Mancuso lo ammette, ma precisa che a differenza di quella dell’elefante, l’energia dell’uomo “è più ordinata”. Già. Peccato che resti da spiegare l’unico aspetto che veramente conti e che invece in Mancuso rimane avvolto nel mistero: perché l’energia umana sarebbe più ordinata e come avverrebbe tale raffinamento organizzativo».
La seconda parte del libro è dedicata a due recenti opere di Augias, Inchiesta su Gesù e Inchiesta sul cristianesimo, e può valer la pena di citare, a esempio, il tentativo, contenuto nel primo dei due libri, di presentare Gesù come una sorta di mago, capace di operare presunti prodigi su destinatari che facevano uso di «erbe e fumi». O ancora il tentativo di spiegare le apparizioni di Cristo risorto come allucinazioni o visioni «isteriche». Se così fosse, spiega Vitale, visto il numero di scene del genere descritte dagli evangelisti, bisognerebbe ipotizzare che l’uso di stupefacenti in quell’area nel I secolo fosse molto maggiore di quello diffuso oggi nella nostra società: «Insomma, una sterminata banda di matti visionari o drogati in libertà che, attraverso i villaggi della Palestina, seguivano e incontravano un guaritore di fama internazionale in cerca di successo e popolarità: se così fosse, dovremmo rallegrarci dal momento che la diffusione di malattie mentali o di consumo di stupefacenti oggi risulterebbe assai più contenuta di quanto fosse in Palestina duemila anni or sono».
Dulcis in fundo, in Volti dell’ateismo si contestano le tesi di Piergiorgio Odifreddi, smontando a esempio l’etimologia proposta dal matematico, il quale ha fatto derivare il termine «cretino» da «cristiano» e ha scritto: «Essendo (il cristianesimo, ndr) una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo». Proprio dal dizionario etimologico citato da Odifreddi si evince «non che i cristiani sono cretini ma, al contrario, che i cretini (in senso patologico, cioè secondo il significato antico della parola, persone con problemi fisici, mal conformate, con gran gozzo e problemi di comprensione) sono considerati anch’essi cristiani da amare e rispettare.
Insomma, come scrive nella prefazione Antonio Socci, il libro di Vitale «è uno straordinario antidoto per chi sia rimasto confuso o rattristato, in questi anni, dalla polemica anticattolica più pregiudiziale e rancorosa».


Il Cristianesimo è di ostacolo al progresso scientifico? Di Don Marcello Stanzionedal sito http://www.pontifex.roma.it
Se si frequentano le librerie si nota un fenomeno facilmente osservabile e, per noi credenti, estremamente allarmante : sono sempre più editi libri che propagano l’ateismo militante e intentano un attacco diretto alla religione in genere e al Cristianesimo nella sua forma cattolica in particolare dove si propone “lo sbattezzo” come scelta veramente intelligente. Questo fenomeno editoriale che ha partorito diversi best-sellers può essere visto come una ripresa dello scientismo ottocentesco, che si autopresenta come “naturalismo scientifico”, per il quale la scienza, soprattutto nella sua versione evoluzionista, avanza la pretesa di essere una spiegazione esauriente ed esaustiva della realtà. I teorici di questa nuova ondata di ateismo enfatizzano la scienza, tanto che il loro ateismo è chiamato anche “ateismo biologistico”. Uno di questi teorici dell’ateismo contemporaneo lo statunitense Sam Harris afferma categoricamente che si può liberare il mondo dalla fede e dalla religione non con la violenza, ma con la ragione e la divulgazione della scienza. E’ evidente che per essi il Cristianesimo ed in particolare la Chiesa Cattolica con il suo oscurantismo clericale si sarebbe sempre opposta al progresso scientifico. La verità è invece che se l’Occidente si è contraddistinto come il terreno da cui è partito l’autentico sviluppo scientifico e tecnologico, ciò è avvenuto grazie proprio al Cristianesimo.

Il processo di “planetarizzazione” del nostro mondo è ha avuto origini nel bacino del Mediterraneo. A coloro che obbiettano che sia stata la cultura greca e non quella cristiana ad orientare la civiltà mediterranea allo spirito scientifico e tecnologico si dimostra facilmente che lo spirito greco è stato certamente importante ma non determinante. Infatti nel pensiero di massima fioritura del pensiero greco, in Mesopotamia vi era un grado di sviluppo tecnico superiore a quello dell’intero contesto del bacino del Mediterraneo. Fu solo dopo il diffondersi del Cristianesimo che in quest’area è riscontrabile una evidente accelerazione del progresso tecnologico. Nella antica Grecia la conoscenza scientifica non sempre si accompagna alla necessità di migliorare le condizioni materiali di vita ciò vale per Aristotele e per lo stesso Archimede, malgrado che le macchine inventate da lui siano assai sofisticate.

Il Cristianesimo poiché crede nell’incarnazione di Dio in Gesù di Nazareth non può demonizzare il corpo e le sue realtà materiali. La dottrina dell’incarnazione del Verbo si colloca in una antropologia che valorizza l’individuo in tutti i suoi aspetti. Questa antropologia biblica non si limita a valorizzare la positività del creato. “Dio vide che era cosa buona”, ma anche la centralità dell’uomo all’interno della creazione: “ E Dio disse: “ facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” e quindi la legittimità dell’uomo di dominare la natura. “ e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo” (Gen. 1). Inoltre nel Cristianesimo l’accettazione di una logica realista come ad esempio con il principio di non contraddizione, rendono possibile l’indagine scientifica. L’astronomo Jaki nel suo libro “ Dio e i cosmologi” afferma che il Cristianesimo introducendo la distinzione fra il soprannaturale ed il naturale permise di considerare tutta la natura governata dalle stesse leggi.

Infatti se ci si convince che la natura è una manifestazione del divino, essa diventa intoccabile. Non così invece con la concezione giudaico-cristiana, laddove la natura si presenta come realtà creata e quindi modificabile dall’uomo. Una certa storiografia ideologizzata di sinistra ha sempre presentato il Medioevo come epoca di oscurantismo e di barbarie. In realtà i secoli del basso Medioevo, epoca che si è volutamente costruita sul cristianesimo, furono secoli di grande sviluppo scientifico e tecnologico. Un rinomato storico della scienza, Jean Gimpel afferma che in tale epoca ci fu una vera e propria rivoluzione industriale. Gimpel scrive: “ La prima rivoluzione industriale risale al medioevo.

I secoli XI, XII, XIII, hanno creato una tecnologia sulla quale la rivoluzione industriale del secolo XVIII si è appoggiata per il suo sviluppo. In Europa, il Medio Evo ha sviluppato in tutti i campi l’uso delle macchine, più di qualsiasi altra civilizzazione. E’ uno dei fattori che più determinano la preponderanza dell’emisfero occidentale sul resto del mondo”. Non sto adesso ad elencare la sfilza sterminata di scienziati appartenenti ai membri del clero secolare o agli ordini religiosi cattolici oppure ai laici devoti. Comunque il pregiudizio, alimentato ideologicamente dalle lobby ostili alla Chiesa, che il Cristianesimo sia di ostacolo al progresso scientifico è duro a morire, significativo è stato a tale riguardo l’assegnazione del Premio Nobel per la Fisica nel 2008.

Tale premio è stato assegnato agli scienziati giapponesi Makoto Kobayaschi e Toshihide Maskawa per la scoperta indicata genericamente, in ambito scientifico, con il nome Cabibbo- Kobayaschi - Maskawa ( o matrice Ckm, dalle iniziali dei tre ricercatori). Il vero padre dell’importante scoperta è però il prof. Nicola Cabibbo, già professore di fisica delle particelle elementari all’università di Roma, nonché Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare dal 1983 al 1992 e dell’Enea e dal 1993 Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze.

In merito alla vicenda, Roberto Petronzio, Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ha dichiarato di “essere lieto che il Premio Nobel sia stato attribuito a questo settore della fisica che sta avendo sempre più attenzione da parte di tutto il mondo e dal quale ci aspettiamo fondamentali scoperte che aumenteranno la nostra comprensione sull’universo”. “ Tuttavia –ha sottolineato- non posso nascondere che questa particolare attribuzione mi riempie di amarezza”, perché i due ricercatori giapponesi “ hanno come unico merito la generalizzazione, peraltro semplice, di un’idea centrale la cui paternità è da attribuire al fisico italiano Nicola Cabibbo che, in modo autonomo e pionieristico, ha compreso il meccanismo del fenomeno del mescolamento dei quark, poi facilmente generalizzato dai due fisici premiati”.

Critico anche il Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), il fisico Luciano Maiani, il quale ha ricordato che il lavoro di Cabibbo ha rappresentato una svolta storica per l’Europa”, ed ha commentato che “non c’è confronto con il lavoro svolto da Kobayaschi e Maskawa: il loro contributo è stato indubbiamente importante, ma la strada era stata aperta dal lavoro di Cabibbo”, Per Enzo Boschi, fisico e presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), “ il premio Nobel per la fisica andava assegnato solo ed esclusivamente a Nicola Cabibbo, che nel 1963 ha aperto il più grande filone della fisica moderna”. Sempre secondo Boschi l’esclusione di Cabibbo da Nobel è “ probabilmente la più grande ingiustizia che l’Accademia svedese delle Scienze abbia mai fatto in tutta la sua storia”. Fabio Malaspina, docente di fisica al master di Scienze Ambientali della Università Europea di Roma, si è chiesto se l’esclusione di Cabibbo non sia dovuta al suo essere cattolico convinto, “Speriamo che nel futuro il Comitato renda note le motivazioni della sorprendente scelta- ha precisato Malaspina- altrimenti sarebbero confermate le voci che vedono, dopo la premiazione di Madre Teresa di Calcutta, i cattolici estromessi a priori dalla competizione”.

Altri due, infatti sono stati i casi eclatanti di esclusione di illustri cattolici dal famosissimo premio svedese: il professore Jerome lejeune, il medico che scoprì e cercò di curare la Trisonomia 21 (sindrome down), escluso dal Nobel perché si opponeva all’aborto; e papa Giovanni Paolo II a cui fu negato il Premio Nobel per la Pace, perché a capo di uno stato, la Città del Vaticano, che, secondo la commissione giudicatrice dei Nobel, “discriminerebbe le donne”. Alla domanda sul perché i cattolici sarebbero discriminati, Malaspina ha risposto: “ La premiazione di Cabibbo forse avrebbe messo in luce che tanti credenti sono stati grandi scienziati e che scienza e fede non sono in contrapposizione come alcuni matematici che hanno ampi spazi sui mass-media, cercano di farci credere”. Per cui in conclusione, altro che Chiesa contro la scienza!
Don Marcello Stanzione


OCCHI INGLESI SULL’ITALIA CATTOLICA E DIBATTITO SULLA 'BIG SOCIETY' - Una presenza che conta e la cantina dei «contaniente» - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 9 settembre 2010
Succede che a volte arriva uno da fuori e ti fa notare cose tue che non sapevi. O che davi per scontato.
Magari un turista che ti fa osservare meglio lo splendore di un’opera nella tua città. O un ospite a casa, o un amico che ti dice, che so: si vede che sei innamorato. O cose del genere. Ecco, questo è accaduto, secondo me, in questi giorni in cui si è tornato a parlare (si è mai smesso?) di impegno sociale e politico dei cattolici. Si stava conversando di queste cose spinti dalla contingenza di teatro un po’ assurdo in cui si è cacciata la classe dirigente del Paese, nonché dagli interventi di alcuni analisti e, poi, succede che arriva invece un tizio da fuori, dall’Inghilterra, e dice una cosa che sapevamo ma forse abbiamo un po’ dimenticato.

Mentre la discussione verteva sulla capacità di rappresentanza, di mediazione, e altre nobili cose amate dai politologi, arriva Mr Blond – mente del governo Cameron – e si mette a parlare entro un dibattito avviato dal Corriere della Sera di Big Society .

E dice che in Italia, specie in certe zone e grazie alla presenza creativa di movimenti di tipo religioso, questo fenomeno di Big Society ,

alla base dell’attuale modello inglese per l’uscita dalla crisi e per la ripresa, c’è e funziona. Insomma, ci dice che il mondo ci copia per la vitalità che la nostra società ha mostrato realizzando opere, enti, istituzioni che hanno generato un welfare autonomo e funzionante senza aspettare che lo Stato, gravandosi di costi e di opacità amministrative, si curasse di tutto e tutti. E i cattolici sono stati e sono protagonisti di questo movimento sociale. Ogni città italiana, ogni campagna – specie in alcune zone non a caso le più sviluppate del Paese – porta il segno di tale protagonismo.

Il Papa, parlando l’altro giorno di Leone XIII e della sua Rerum Novarum ,

ha detto che egli nel disegnare la dottrina sociale fu guidato dalle sue «ampie conoscenze di respiro internazionale, ma anche da tante iniziative realizzate sul campo da parte di comunità cristiane e uomini e donne della Chiesa». La

società grande

all’italiana, che ora ci copiano in Paesi di diversa tradizione, è frutto anche della «iniziativa» di uomini e comunità cattolici. Pensare che l’impegno dei cattolici nella società e nella politica avvenga su un piano diverso da questo è non solo antistorico ma bizzarro: che influenza potrà mai avere un politico cattolico eletto – magari per convenienza strategica – in un partito che rappresenta interessi e necessità sociali che non vengono da una presenza sociale cattolica? Gli faran fare qualche predica per avere un po’ di voti da parte di gente pia, e poi via, nella cantina dei contaniente. Cattolici che provengano e sostengano la Big Society

(favorita, si spinge a dire l’esponente inglese, dall’esistenza di persone e comunità cristiane) possono invece sperare di incidere in politica. Tutto questo apre la strada anche a un serio esame di coscienza da parte di quei cattolici che hanno fatto coincidere la presenza sociale e politica con il solo raggiungimento di incarichi, di poltrone, lasciando che il territorio venisse impoverito di iniziativa sociale cattolica. Questo è avvenuto e avviene ancora spesso, e non a caso con più frequenza nelle zone meno sviluppate del Paese. Il resto è materia di convegni e di chiacchiere, che poco dopo che iniziano speri finiscano. Magari con l’arrivo di un ospite e di qualcuno che ti mostri un punto di vista insolito.

Stavolta è arrivato. E, guarda un po’, è un punto di vista che aiuta a riscoprire qualcosa di importante di noi stessi.


E D I TO R I A L E - PADRE MEN’, MARTIRE PER UNA NUOVA RUSSIA - PIGI COLOGNESI – Avvenire, 9 settembre 2010
Sarebbe stato molto contento, padre Aleksandr Men’, nell’ascoltare il cordiale dialogo che si è svolto al Meeting di Rimini tra il metropolita ortodosso Filaret e il cardinale cattolico Erdö. Sarebbe stato contento perché l’unità della Chiesa era stata una delle sue grandi passioni. Nella Russia sovietica lui, parroco ortodosso, aveva accompagnato con simpatia e amicizia alcuni cattolici che non avevano più nessuna struttura ecclesiale di riferimento. E quando la perestrojka aveva aperto spiragli di libertà, il fiume della sua passione ecumenica, che le divisioni confessionali non potevano trattenere, era fluito vigoroso in incontri, pubblicazioni, rapporti personali ed epistolari, viaggi. Certo, la sua prima preoccupazione era la Chiesa ortodossa in cui era stato battezzato subito dopo la nascita nel 1935. Sono anni difficilissimi per i credenti e il giovane Aleksandr vive la sua educazione cristiana in un ambiente catacombale. Avido di conoscenze e lettore precosissimo a dodici anni sente la vocazione a farsi sacerdote. Il che significa abbracciare la croce di una persecuzione sempre incombente, di un controllo asfissiante e di una quotidiana ingerenza. Ma padre Men’ vive tutto questo con una straordinaria serenità d’animo. Non si getta in battaglie rumorose, ma sfrutta tutti gli spazi che il potere anticristiano non controlla per annunciare Cristo, per costruire la Chiesa. La sua parrocchia fuori città diventa meta di continui viaggi da parte delle persone più diverse; tra le quali moltissimi intellettuali scontenti dell’oppressiva cappa della monocultura sovietica. Per loro, ma anche per la popolana quasi analfabeta, scrive opere su Gesù, sulla storia della Chiesa, sulla cultura cristiana; esse vengono stampate all’estero e poi clandestinamente introdotte in Urss (alcune sono ora disponibili anche in italiano). Tiene corrispondenza con centinaia di persone alla ricerca della fede o da poco incamminate sui suoi sentieri. Le sollecita a trovarsi in comunità, spiega il significato della liturgia e invita a immergersi nella vita sacramentale. Insomma è al centro di un movimento di rinascita cristiana che non ha eguali e che è ancora ben vivo. Ovviamente questa opera educativa non poteva lasciare indifferente il potere ateistico. Padre Men’ era controllato a vista, spesso chiamato a rapporto dal Kgb. Ma lui sapeva contemperare l’audacia con la prudenza. E le noie poliziesche non superarono mai un certo limite. Né lo infastidivano più di tanto, se è vero che tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui parlano di una persona radiosa, dal largo sorriso, sempre indaffarato e tuttavia sempre attentissimo e disponibile all’interlocutore del momento. Sarebbe stato contento di vedere la sua Chiesa in piena libertà e l’amicizia tra cattolici e ortodossi camminare spedita, ma il 9 settembre di vent’anni fa, sul sentiero che porta dalla sua casa alla chiesa, è stato assassinato a colpi d’ascia. Non si sono mai scoperti autore e movente del delitto. La sua testimonianza, comunque, continua a parlare.