mercoledì 29 settembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI RICORDA LA FIGURA DI SANTA MATILDE DI HACKEBORN - Intervento in occasione dell'Udienza generale
2) Preghiera di Papa Leone XIII all'Arcangelo San Michele di Carlo Di Pietro dal sito http://www.pontifex.roma.it
3) A che servono i santi? Di Lorenzo Albacete - mercoledì 29 settembre 2010 – ilsussidiario.net
4) Gigi Proietti ha trasformato San Filippo Neri in un don Mazzi - di Rino Cammilleri
5) IL FATTO/ Morte e nascita di Idil, il miracolo di un fiore tra le macchine - Luca Doninelli - mercoledì 29 settembre 2010 – ilsussidiario.net
6) IL CASO/ In Catalogna la vita di un bambino vale meno di una corrida - Gianfranco Amato - martedì 3 agosto 2010 – ilsussidiario.net
7) L'anno di Leone XIII. "Humanum Genus": una grande enciclica contro la massoneria nota pubblicata da Massimo Introvigne il giorno martedì 28 settembre 2010
8) Avvenire.it, 29 settembre 2010 - Il filo rosso del Papa nel Regno Unito - Cercare e trovare la vera felicità di Giacomo Samek Lodovici
9) Lévy: «In Europa enormi pregiudizi contro i cattolici» di Bernard-Henri Lévy


BENEDETTO XVI RICORDA LA FIGURA DI SANTA MATILDE DI HACKEBORN - Intervento in occasione dell'Udienza generale
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 29 settembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo dell'intervento pronunciato da Papa Benedetto XVI questo mercoledì mattina in Piazza San Pietro in Vaticano in occasione dell'Udienza generale.
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Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei parlarvi di santa Matilde di Hackeborn, una della grandi figure del monastero di Helfta, vissuta nel XIII secolo. La sua consorella santa Gertrude la Grande, nel VI libro dell’opera Liber specialis gratiae (Il libro della grazia speciale), in cui vengono narrate le grazie speciali che Dio ha donato a santa Matilde, così afferma: "Ciò che abbiamo scritto è ben poco in confronto di quello che abbiamo omesso. Unicamente per gloria di Dio ed utilità del prossimo pubblichiamo queste cose, perché ci sembrerebbe ingiusto serbare il silenzio, sopra tante grazie che Matilde ricevette da Dio non tanto per lei medesima, a nostro avviso, ma per noi e per quelli che verranno dopo di noi" (Mechthild von Hackeborn, Liber specialis gratiae, VI, 1).
Quest’opera è stata redatta da santa Gertrude e da un’altra consorella di Helfta ed ha una storia singolare. Matilde, all’età di cinquant’anni, attraversava una grave crisi spirituale, unita a sofferenze fisiche. In questa condizione confidò a due consorelle amiche le grazie singolari con cui Dio l’aveva guidata fin dall’infanzia, ma non sapeva che esse annotavano tutto. Quando lo venne a conoscere, ne fu profondamente angosciata e turbata. Il Signore, però, la rassicurò, facendole comprendere che quanto veniva scritto era per la gloria di Dio e il vantaggio del prossimo (cfr ibid., II,25; V,20). Così, quest’opera è la fonte principale a cui attingere le informazioni sulla vita e spiritualità della nostra Santa.
Con Lei siamo introdotti nella famiglia del Barone di Hackeborn, una delle più nobili, ricche e potenti della Turingia, imparentata con l’imperatore Federico II, ed entriamo nel monastero di Helfta nel periodo più glorioso della sua storia. Il Barone aveva già dato al monastero una figlia, Gertrude di Hackeborn (1231/1232 - 1291/1292), dotata di una spiccata personalità, Badessa per quarant’anni, capace di dare un’impronta peculiare alla spiritualità del monastero, portandolo ad una fioritura straordinaria quale centro di mistica e di cultura, scuola di formazione scientifica e teologica. Gertrude offrì alle monache un’elevata istruzione intellettuale, che permetteva loro di coltivare una spiritualità fondata sulla Sacra Scrittura, sulla Liturgia, sulla tradizione Patristica, sulla Regola e spiritualità cistercense, con particolare predilezione per san Bernardo di Chiaravalle e Guglielmo di St-Thierry. Fu una vera maestra, esemplare in tutto, nella radicalità evangelica e nello zelo apostolico. Matilde, fin dalla fanciullezza, accolse e gustò il clima spirituale e culturale creato dalla sorella, offrendo poi la sua personale impronta.
Matilde nasce nel 1241 o 1242 nel castello di Helfta; è la terza figlia del Barone. A sette anni con la madre fa visita alla sorella Gertrude nel monastero di Rodersdorf. È così affascinata da quell’ambiente che desidera ardentemente farne parte. Vi entra come educanda e nel 1258 diventa monaca nel convento trasferitosi, nel frattempo, ad Helfta, nella tenuta degli Hackeborn. Si distingue per umiltà, fervore, amabilità, limpidezza e innocenza di vita, familiarità e intensità con cui vive il rapporto con Dio, la Vergine, i Santi. È dotata di elevate qualità naturali e spirituali, quali "la scienza, l’intelligenza, la conoscenza delle lettere umane, la voce di una meravigliosa soavità: tutto la rendeva adatta ad essere per il monastero un vero tesoro sotto ogni aspetto" (Ibid., Proemio). Così, "l’usignolo di Dio" – come viene chiamata – ancora molto giovane, diventa direttrice della scuola del monastero, direttrice del coro, maestra delle novizie, servizi che svolge con talento e infaticabile zelo, non solo a vantaggio delle monache, ma di chiunque desiderava attingere alla sua sapienza e bontà.
Illuminata dal dono divino della contemplazione mistica, Matilde compone numerose preghiere. È maestra di fedele dottrina e di grande umiltà, consigliera, consolatrice, guida nel discernimento: "Ella - si legge - distribuiva la dottrina con tanta abbondanza che non si è mai visto nel monastero, ed abbiamo, ahimé! gran timore, che non si vedrà mai più nulla di simile. Le suore si riunivano intorno a lei per sentire la parola di Dio, come presso un predicatore. Era il rifugio e la consolatrice di tutti, ed aveva, per dono singolare di Dio, la grazia di rivelare liberamente i segreti del cuore di ciascuno. Molte persone, non solo nel Monastero, ma anche estranei, religiosi e secolari, venuti da lontano, attestavano che questa santa vergine li aveva liberati dalle loro pene e che non avevano mai provato tanta consolazione come presso di lei. Compose inoltre ed insegnò tante orazioni che se venissero riunite, eccederebbero il volume di un salterio" (Ibid., VI,1).
Nel 1261 giunge al convento una bambina di cinque anni di nome Gertrude: è affidata alle cure di Matilde, appena ventenne, che la educa e la guida nella vita spirituale fino a farne non solo la discepola eccellente, ma la sua confidente. Nel 1271 o 1272 entra in monastero anche Matilde di Magdeburgo. Il luogo accoglie, così, quattro grandi donne - due Gertrude e due Matilde –, gloria del monachesimo germanico. Nella lunga vita trascorsa in monastero, Matilde è afflitta da continue e intense sofferenze a cui aggiunge le durissime penitenze scelte per la conversione dei peccatori. In questo modo partecipa alla passione del Signore fino alla fine della vita (cfr ibid., VI, 2). La preghiera e la contemplazione sono l’humus vitale della sua esistenza: le rivelazioni, i suoi insegnamenti, il suo servizio al prossimo, il suo cammino nella fede e nell’amore hanno qui la loro radice e il loro contesto. Nel primo libro dell’opera Liber specialis gratiae, le redattrici raccolgono le confidenze di Matilde scandite nelle feste del Signore, dei Santi e, in modo speciale, della Beata Vergine. E’ impressionante la capacità che questa Santa ha di vivere la Liturgia nelle sue varie componenti, anche quelle più semplici, portandola nella vita quotidiana monastica. Alcune immagini, espressioni, applicazioni talvolta sono lontane della nostra sensibilità, ma, se si considera la vita monastica e il suo compito di maestra e direttrice di coro, si coglie la sua singolare capacità di educatrice e formatrice, che aiuta le consorelle a vivere intensamente, partendo dalla Liturgia, ogni momento della vita monastica.
Nella preghiera liturgica Matilde dà particolare risalto alle ore canoniche, alla celebrazione della santa Messa, soprattutto alla santa Comunione. Qui è spesso rapita in estasi in una intimità profonda con il Signore nel suo ardentissimo e dolcissimo Cuore, in un dialogo stupendo, nel quale chiede lumi interiori, mentre intercede in modo speciale per la sua comunità e le sue consorelle. Al centro vi sono i misteri di Cristo verso i quali la Vergine Maria rimanda costantemente per camminare sulla via della santità: "Se tu desideri la vera santità, sta’ vicino al Figlio mio; Egli è la santità medesima che santifica ogni cosa" (Ibid., I,40). In questa sua intimità con Dio è presente il mondo intero, la Chiesa, i benefattori, i peccatori. Per lei Cielo e terra si uniscono.
Le sue visioni, i suoi insegnamenti, le vicende della sua esistenza sono descritti con espressioni che evocano il linguaggio liturgico e biblico. Si coglie così la sua profonda conoscenza della Sacra Scrittura, che era il suo pane quotidiano. Vi ricorre continuamente, sia valorizzando i testi biblici letti nella liturgia, sia attingendo simboli, termini, paesaggi, immagini, personaggi. La sua predilezione è per il Vangelo: "Le parole del Vangelo erano per lei un alimento meraviglioso e suscitavano nel suo cuore sentimenti di tale dolcezza che sovente per l'entusiasmo non poteva terminarne la lettura … Il modo con cui leggeva quelle parole era così fervente che in tutti suscitava la devozione. Così pure, quando cantava in coro, era tutta assorta in Dio, trasportata da tale ardore che talvolta manifestava i suoi sentimenti con i gesti ... Altre volte, come rapita in estasi, non sentiva quelli che la chiamavano o la muovevano ed a mala pena riprendeva il senso delle cose esteriori" (Ibid., VI, 1). In una delle visioni, è Gesù stesso a raccomandarle il Vangelo; aprendole la piaga del suo dolcissimo Cuore, le dice: "Considera quanto sia immenso il mio amore: se vorrai conoscerlo bene, in nessun luogo lo troverai espresso più chiaramente che nel Vangelo. Nessuno ha mai sentito esprimere sentimenti più forti e più teneri di questi: Come mi ha amato mio Padre, cosi io vi ho amati (Joan. XV, 9)" (Ibid., I,22).
Cari amici, la preghiera personale e liturgica, specialmente la Liturgia delle Ore e la Santa Messa sono alla radice dell’esperienza spirituale di santa Matilde di Hackeborn. Lasciandosi guidare dalla Sacra Scrittura e nutrire dal Pane eucaristico, Ella ha percorso un cammino di intima unione con il Signore, sempre nella piena fedeltà alla Chiesa. E’ questo anche per noi un forte invito ad intensificare la nostra amicizia con il Signore, soprattutto attraverso la preghiera quotidiana e la partecipazione attenta, fedele e attiva alla Santa Messa. La Liturgia è una grande scuola di spiritualità.
La discepola Gertrude descrive con espressioni intense gli ultimi momenti della vita di santa Matilde di Hackeborn, durissimi, ma illuminati dalla presenza della Beatissima Trinità, del Signore, della Vergine Maria, di tutti i Santi, anche della sorella di sangue Gertrude. Quando giunse l’ora in cui il Signore volle attirarla a Sé, ella Gli chiese di poter ancora vivere nella sofferenza per la salvezza delle anime e Gesù si compiacque di questo ulteriore segno di amore.
Matilde aveva 58 anni. Percorse l’ultimo tratto di strada caratterizzato da otto anni di gravi malattie. La sua opera e la sua fama di santità si diffusero ampiamente. Al compimento della sua ora, "il Dio di Maestà … unica soavità dell'anima che lo ama … le cantò: Venite vos, benedicti Patris mei ... Venite, o voi che siete i benedetti dal Padre mio, venite a ricevere il regno … e l'associò alla sua gloria" (Ibid., VI,8).
Santa Matilde di Hackeborn ci affida al Sacro Cuore di Gesù e alla Vergine Maria. Invita a rendere lode al Figlio con il Cuore della Madre e a rendere lode a Maria con il Cuore del Figlio: "Vi saluto, o Vergine veneratissima, in quella dolcissima rugiada, che dal Cuore della santissima Trinità si diffuse in voi; vi saluto nella gloria e nel gaudio con cui ora vi rallegrate in eterno, voi che di preferenza a tutte le creature della terra e del cielo, foste eletta prima ancora della creazione del mondo! Amen" (Ibid., I, 45).
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto con affetto i fedeli della diocesi di Belluno-Feltre, accompagnati dal loro Pastore, Mons. Giuseppe Andrich, e convenuti a Roma per pregare sulla tomba del Servo di Dio Giovanni Paolo I in occasione dell’anniversario della sua morte. Saluto gli alunni del Pontificio Collegio Internazionale "Maria Mater Ecclesiae" di Roma, assicurando per ciascuno un ricordo nella preghiera, perché il Signore li ricolmi sempre dei suoi doni di grazia. Saluto, inoltre, i partecipanti al pellegrinaggio dei Giovani del Movimento dei Focolari, promosso in occasione della beatificazione di Chiara Badano e li invito, sull'esempio della nuova Beata, a proseguire nell'impegno di adesione a Cristo e di testimonianza evangelica.
Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. L'odierna festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele e quella imminente dei santi Angeli Custodi, ci spingono a pensare alla provvida premura con cui Dio si occupa di ogni persona umana. Sentite accanto a voi, cari giovani, la presenza degli Angeli e lasciatevi guidare da loro, affinché tutta la vostra vita sia illuminata dalla Parola di Dio. Voi, cari ammalati, aiutati dai vostri Angeli Custodi, unite le vostre sofferenze a quelle di Cristo per il rinnovamento spirituale dell'umana società. E voi, cari sposi novelli, ricorrete sovente all'aiuto dei vostri Angeli Custodi, affinché possiate crescere nella costante testimonianza di un amore autentico.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


Preghiera di Papa Leone XIII all'Arcangelo San Michele di Carlo Di Pietro dal sito http://www.pontifex.roma.it
Gloriosissimo Principe della Milizia Celeste, Arcangelo San Michele, difendeteci in questa ardente battaglia contro tutte le potenze delle tenebre e la loro spirituale malizia. Venite in soccorso degli uomini creati da Dio a sua immagine e somiglianza e riscattati a gran prezzo dalla tirannia del demonio. Combattete oggi le battaglie del Signore con tutta l’armata degli Angeli beati, come gia’ avete combattuto contro il principe dell’orgoglio lucifero ed i suoi angeli apostati; e questi ultimi non potettero trionfare e ormai non v’e’ piu’ posto per essi nei cieli. Ma e’ caduto questo grande dragone, questo antico serpente che si chiama lo spirito del mondo, che tende trappole a tutti. Si, e’ caduto sulla terra ed i suoi angeli sono stati respinti con lui. Ora ecco che, questo antico nemico, questo vecchio omicida, si erge di nuovo con una rinnovata rabbia. Trasfiguratosi in angelo di luce, egli nascostamente invase e circuì la terra con tutta l’orda  ...

...degli spiriti maligni, per distruggere in essa il nome di Dio e del suo Cristo e per manovrare e rubarvi le anime destinate alla corona della gloria eterna, per trascinarle nell’eterna morte.

Il veleno delle sue perversioni, come un immenso fiume d’immondizia, cola da questo dragone malefico e si trasfonde in uomini di mente e spirito depravato e dal cuore corrotto; egli versa su di loro il suo spirito di menzogna, di empietà e di bestemmia ed invia loro il mortifero alito di lussuria, di tutti i vizi e di tutte le iniquità la Chiesa, questa Sposa dell’Agnello Immacolato, è ubriacata da nemici scaltrissimi che la colmano di amarezze e che posano le loro sacrileghe mani su tutte le sue cose più desiderabili. Laddove c’è la sede del beatissimo Pietro posta a cattedra di verità per illuminare i popoli, lì hanno stabilito il trono abominevole della loro empietà, affinché colpendo il pastore, si disperda il gregge.

Pertanto, ormai sconfitto Duce, venite incontro al popolo di Dio contro questa irruzione di perversità spirituali e sconfiggetele. Voi siete venerato dalla Santa Chiesa quale suo custode e patrono ed a Voi il Signore ha affidato le anime che un giorno occuperanno le sedi celesti. Pregate, dunque, il Dio della pace a tenere schiacciato satana sotto i nostri piedi, affinché non possa continuare a tenere schiavi gli uomini e a danneggiare la Chiesa. Presentate all’Altissimo, con le Vostre, le nostre preghiere, perché scendano presto su di noi le Sue Divine Misericordie e Voi possiate incatenare il dragone, il serpente antico satana ed incatenarlo negli abissi. Solo così non sedurrà più le anime.

***

PRINCEPS gloriosissime caelestis militiae, sancte Michael Archangele, defende nos in proelio et colluctatione, quae nobis adversus principes et potestates, adversus mundi rectores tenebrarum harum, contra spiritualia nequitiae, in caelestibus. Veni in auxilium hominum, quos Deus creavit inexterminabiles, et ad imaginem similitudinis suae fecit, et a tyrannide diaboli emit pretio magno. Proeliare hodie cum beatorum Angelorum exercitu proelia Domini, sicut pugnasti contra ducem superbiae luciferum, et angelos eius apostaticos: et non valuerunt, neque locus inventus est eorum amplius in coelo. Sed proiectus est draco ille magnus, serpens antiquus, qui vocatur diabolus et satanas, qui seducit universum orbem; et proiectus est in terram, et angeli eius cum illo missi sunt.

En antiquus inimicus et homicida vehementer erectus est. Transfiguratus in angelum lucis, cum tota malignorum spirituum caterva late circuit et invadit terram, ut in ea deleat nomen Dei et Christi eius, animasque ad aeternae gloriae coronam destinatas furetur, mactet ac perdat in sempiternum interitum. Virus nequitiae suae, tamquam flumen immundissimum, draco maleficus transfundit in homines depravatos mente et corruptos corde; spiritum mendacii, impietatis et blasphemiae; halitumque mortiferum luxuriae, vitiorum omnium et iniquitatum.

Ecclesiam, Agni immaculati sponsam, faverrrimi hostes repleverunt amaritudinibus, inebriarunt absinthio; ad omnia desiderabilia eius impias miserunt manus. Ubi sedes beatissimi Petri et Cathedra veritatis ad lucem gentium constituta est, ibi thronum posuerunt abominationis et impietatis suae; ut percusso Pastore, et gregem disperdere valeant.

Adesto itaque, Dux invictissime, populo Dei contra irrumpentes spirituales nequitias, et fac victoriam. Te custodem et patronum sancta veneratur Ecclesia; te gloriatur defensore adversus terrestrium et infernorum nefarias potestates; tibi tradidit Dominus animas redemptorum in superna felicitate locandas. Deprecare Deum pacis, ut conterat satanam sub pedibus nostris, ne ultra valeat captivos tenere homines, et Ecclesiae nocere. Offer nostras preces in conspectu Altissimi, ut cito anticipent nos misericordiae Domini, et apprehendas draconem, serpentem antiquum, qui est diabolus et satanas, ac ligatum mittas in abyssum, ut non seducat amplius gentes.

Visitate il sito della Milizia di San Michele Arcangelo (M.S.M.A.).


A che servono i santi? Di Lorenzo Albacete - mercoledì 29 settembre 2010 – ilsussidiario.net
Un mio amico mi ha inoltrato la seguente mail del direttore del giornale della Arcidiocesi di Kansas City, in cui si commenta il mio ultimo editoriale sui cattolici americani e la devozione ai santi nati nel proprio Paese.

“A San Francisco c’è una Chiesa Cattolica coreana e alcuni dei suoi frequentatori discendono effettivamente dai Martiri coreani. I santi sono parte dell’identità e della storia di questa comunità, fanno realmente parte del suo Dna. Qualcosa di simile avviene anche per i cattolici vietnamiti, comunità nata dai martiri, e quasi ogni parrocchia di vietnamiti è dedicata ai Santi Martiri.

Gli Stati Uniti non hanno una presenza simile dei santi. Essi non hanno fondato la nostra identità, Thomas Jefferson l’ha fondata. Noi siamo arrivati qui e ci siamo uniti al progetto. Noi non guardiamo ai nostri santi come a dei santi, cioè per la loro santità, ma parliamo di loro come fondatori di istituzioni, scuole, ospedali, ecc. La continuità dell’istituzione è l’unico motivo per riferirsi al santo. La santità del santo non è ricordata, talvolta neppure conosciuta, e a ogni modo non è più ciò che anima la scuola o l’ospedale. Dov’è seppellita la Seton? E Madre Cabrini? E c’è qualcuno che visita le loro tombe?

Un’eccezione è forse San Damiano De Veuster, che fa parte dell’identità dei cattolici delle Hawaii e che viene ricordato per la sua santità. Purtroppo, non è facile neppure oggi visitare i luoghi in cui ha operato e, comunque, il Re del Belgio ha preso il corpo, per cui il sepolcro è vuoto.

Anche il Beato Junipero Serra dovrebbe essere un’eccezione, ma nessuno in California è originario della California e non ha, quindi, rapporti con la storia precedente del luogo. In ogni caso, la storia della California è partita di nuovo nel 1849 e il Beato è visto come un fondatore, ma della cui grande santità il popolo conosce ben poco. Io ho una grande devozione per lui (e San Damiano). Ogni volta che visito la sua tomba, nella Missione del Carmelo, sono sorpreso di come tutti si aggirino commentando meravigliati la bellezza della restaurata missione, ma solo in pochi si accorgano che il Beato è lì realmente, fisicamente, e che ancor di meno pensino a pregare.”

Tutto questo mi porta a riflettere sulle prossime elezioni di mezza legislatura, a novembre… Come già scritto la scorsa settimana, penso che la ragione della difficoltà dei cattolici americani ad apprezzare il ruolo dei santi nella nostra identità e storia nazionale (perciò nel nostro contributo di cattolici alla politica americana) sia l’influenza di un modo di pensare protestante. La ricerca della santità è intesa in termini etici, i cui frutti nell’aldilà saranno un giudizio divino favorevole sulla nostra condotta. La politica è solo un’altra area della nostra esistenza terrena in cui saremo giudicati in questo modo. È quanto si dice nella mail, cioè che i santi in America vengono onorati per il loro contributo alla società e non per la loro personale trasformazione per mezzo della Grazia.


Gigi Proietti ha trasformato San Filippo Neri in un don Mazzi - di Rino Cammilleri
Due intere puntate appena andate in onda su Rai Uno (Preferisco il paradiso con Gigi Proietti), per mostrarci una specie di don Mazzi (con tutto il rispetto) del XVI secolo. La stessa cosa fecero con la fiction su don Bosco, ridotto, anche lui, a un pretino politicamente corretto. Invece, come don Bosco, s. Filippo Neri era un gigante, e sarebbe bastato raccontarne la vita per fare spettacolo.

Basti solo dire che quando il re di Francia, Enrico IV di Navarra, si fece cattolico da ugonotto che era, il papa Clemente VIII non credeva alla sincerità di questa conversione; ebbene, quel re mandò il duca di Nevers a Roma proprio da Filippo Neri perché intercedesse. Il confessore del papa era il cardinale Cesare Baronio, cresciuto nell’Oratorio. E il santo gli vietò di assolvere il papa finché non avesse ceduto. Filippo Neri era infatti consigliere di Clemente, come lo era stato di Pio IV e di Gregorio XIV. Nonché direttore spirituale di s. Carlo Borromeo e di suo nipote Federico, di fior di nobili e cardinali e perfino del grande musicista Palestrina. Già, perché l’Oratorio non era solo un espediente per recuperare ragazzini di strada ma un’invenzione geniale che, tra le altre cose, originò la composizione musicale chiamata, appunto, «oratorio», mix vocale-recitativo-strumentale che fece scuola. Di tutto questo non c’è traccia nella fiction con Gigi Proietti, né dell’amicizia stretta del Neri con altri giganti come s. Camillo de’ Lellis, s. Francesco di Sales, s. Ignazio di Loyola. Filippo Neri, toscanaccio fiorentino, nacque nel 1515 e morì nel 1595. Era figlio di uno che aveva ridotto la famiglia sul lastrico a furia di fare l’alchimista e cercare la pietra filosofale. Allegrissimo e stravagante, quando vide che la gente gli dava del «santo» cominciò a fare il matto: talvolta usciva con un cuscino legato in testa, altre con solo mezza barba rasata. Temeva l’adulazione ma era una specie di Padre Pio della Roma controriformistica. Non era che un pellegrino quando vi giunse, nel 1534. E solo nel 1551 si lasciò convincere a farsi prete. Da principio faceva il precettore in casa di un compaesano. Nella Pentecoste del 1544, mentre pregava nelle catacombe di San Sebastiano, un globo di fuoco gli penetrò nel petto spezzandogli due costole dalla parte del cuore. Da quel momento, non di rado doveva metterci sopra delle pezze bagnate perché il calore che ne emanava superava i 50 gradi. E lui se ne vergognava, così come lo imbarazzavano tutti i miracoli che faceva. Il suo Oratorio, frequentato da gente di ogni ceto (ma anche dalla crème romana) generò un ordine religioso, gli Oratoriani (dei quali il recentemente beatificato cardinale Newman faceva parte). Filippo Neri divenne un potenza in Roma e presso la corte pontificia, come abbiamo visto a proposito di Enrico IV (quello del «Parigi val bene una messa»). 
Nella fiction televisiva (così come nel film a suo tempo interpretato da Johnny Dorelli) si vede solo un «prete di strada» qualsiasi, e non si capisce a) perché è santo, b) perché è tutt’oggi così famoso. Filippo Neri inventò anche il giro delle Sette Chiese (nel quale si strascinava dietro mezza città) e rappresentò uno dei pilastri della Controriforma in una Roma che ancora si leccava le ferite del Sacco lanzichenecco del 1527. Invece, abbiamo visto in tivù il solito «prete dei poveri» contrastato dal Bieco Potere della Curia romana, ottusa e oscurantista, come da vulgata politicamente corretta. È vero che, televisivamente, i santi «tirano» lo stesso; ma se i produttori si affidassero a soggettisti più all’altezza i loro soldi sarebbero meglio spesi. Sembra, infatti, che ogni volta si faccia di tutto per mediocrizzarli, i santi, e banalizzarli con ritrattini tediosi. Invece per uno spettacolo coi fiocchi basterebbe riportare i fatti nudi e crudi.


Prendiamo a confronto ciò che scrive Papa Benedetto XVI nella Deus Caritas Est, 28: “Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. […] La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica. Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all’interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l’altra più radicale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere che l’abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile. In questo punto politica e fede si toccano”.

La fede rivela la via alla santità, cioè, alla partecipazione alla vita divina nella nostra unione con Cristo e attraverso di essa. Perciò quanto dice il Papa sulla fede e la politica interessa anche la politica e la ricerca della santità.

“La fede,” scrive il Papa, “ha la sua specifica natura di incontro con il Dio vivente - un incontro che ci apre nuovi orizzonti molto al di là dell’ambito proprio della ragione. Ma al contempo essa è una forza purificatrice per la ragione stessa. Partendo dalla prospettiva di Dio, la libera dai suoi accecamenti e perciò l’aiuta ad essere meglio se stessa. La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio […]

La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente.

L’amore - caritas - sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo.

Nella Chiesa […] pulsa la dinamica dell’amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale. L’affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell’uomo: il pregiudizio secondo cui l’uomo vivrebbe ‘di solo pane’ - convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano”.

Quando il Santo Padre parla di fede e carità si riferisce alla ricerca di partecipare alla vita divina, cioè, alla ricerca della santità. Ciò che così ci sta dicendo è che senza santi una società non può essere giusta. La sua politica sarà dominata dalla rabbia e dalla lotta per il potere, per proteggere i propri interessi personali da quelli degli altri. I santi sono necessari per rendere umana la società.


IL FATTO/ Morte e nascita di Idil, il miracolo di un fiore tra le macchine - Luca Doninelli - mercoledì 29 settembre 2010 – ilsussidiario.net
Non credo che potranno sorgere polemiche sulla scelta, operata dai medici della clinica S. Anna di Torino, di tenere artificialmente in vita la povera Idil, somala, che un devastante tumore cerebrale ha ridotto alla morte psichica mentre nel suo grembo una piccola vita prendeva forma. E sarebbe sbagliato - anche quando queste polemiche fossero sorte - raccontare, prima di tutto a noi stessi, questo avvenimento con le parole dello scontro, della contrapposizione tra questa e quella linea di principio.

Invece non bisogna essere astratti, bisogna accogliere questa novità: che anche tra i macchinari che tengono artificialmente in vita una persona può nascere un fiore di tenerezza insperato. La piccola Idil, che porterà per sempre - e non importa quanto durerà il suo “sempre”, è sempre e basta - il nome della sua sfortunata mamma, ha preso consistenza nella tragedia, e adesso è tra noi, e nonostante pesi solo 750 grammi forse ce la farà.

Intorno a questo fatto c’è, poi, tutto un romanzo familiare, perché parte della famiglia di Idil vive in Somalia in condizioni difficili, e il figlio maggiore della povera donna, che ha nove anni, per consuetudine religiosa (la famiglia è islamica) dovrebbe venire a rendere omaggio alla mamma, che presumibilmente tra poco sarà morta. Ma il bambino è per i suoi fratelli come “la luce degli occhi”, e non può muoversi.

Ma il padre della bambina ha imparato in fretta a capire quello che conta davvero, e ai giornalisti ha detto queste parole straordinarie: “Cosa dirò a mia figlia quando sarà grande? Che è un miracolo vivente”.
Che differenza tra l’immagine dell’islam che ci viene da questo padre e quella di violenza ottusa e perfida menzogna che ci viene trasmessa dai media! La consistenza di tutta questa storia è che la piccola Idil è un miracolo, che il miracolo non è un’anomalia ma è il fondamento stesso dell’esperienza umana, la sola cosa per cui la vita acquista un senso. Per questo padre la vita, nonostante il grande dolore per la perdita della moglie, ora riparte nuovamente, carica di promesse.

L’augurio è che la forza di questo miracolo possa farsi sentire anche presso la parte della famiglia rimasta in Somalia, che possa ridare speranza a una condizione umana di miseria che sembrerebbe disperata. Per concludere. Questa vicenda ci obbliga a ripensare al senso delle parole che usiamo. Per esempio l’avverbio artificialmente, nel cui uso si nasconde spesso l’intenzione di orientare le opinioni (artificiale uguale sbagliato, immorale eccetera).

Eppure c’è una bella differenza tra i procedimenti artificiali veri e propri, nei quali ogni elemento del procedimento sia controllato o, meglio, prodotto da chi compie quell’artificio, e un caso come questo, in cui di controllo ce n’è così poco che una vita umana si può sviluppare, grazie a Dio, dentro lo scafandro di un corpo che la scienza ha dichiarato morto. Così, le macchine sostengono artificialmente una vita di cui però non sanno niente, che sfugge loro, e sulla quale continuaa imperare, per fortuna (e non si sa per quanto ancora), la legge del Mistero.


IL CASO/ In Catalogna la vita di un bambino vale meno di una corrida - Gianfranco Amato - martedì 3 agosto 2010 – ilsussidiario.net
Dal primo gennaio 2012 in Catalogna non si potrà più assistere alle corride. Con una storica decisione, il parlamento di quella regione iberica ha cancellato la plurisecolare “fiesta”, tra un mare di infuocate polemiche.

Confesso che la questione non mi ha appassionato più di tanto. Non vi è dubbio che si tratti di un espectáculo de sangre, ove la violenza gioca un ruolo determinante, ma è anche vero che esso discende direttamente dalla tauromachia conosciuta già nel II millennio a.C., ed è indissolubilmente legato alla storia, alla tradizione ed alla cultura mediterranea del popolo ispanico. E, forse, è pure vero che è meglio veder morire un toro nell’arena che in un mattatoio.

Ciò che più mi ha colpito di questa notizia, in realtà, sono state alcune affermazioni rese nella foga dagli abolizionisti. Soprattutto quelle di autorevoli esponenti politici delle istituzionali catalane.
Si è parlato di inaudita barbarie, di incivile brutalità, di disumana efferatezza, di crudeltà sanguinaria. Si è persino arrivati a paragonare - alquanto impropriamente - i poveri tori ai martiri cristiani dati in pasto alle fameliche belve nei circhi romani, durante le persecuzioni.

L’espressione che più ha attirato la mia attenzione, però, è stata quella secondo cui la corrida incarna un’odiosa forma di violenza nei confronti di esseri innocenti e indifesi. Qualcosa non quadra.

La Catalogna, infatti, è la regione che non solo registra uno dei tassi di aborto più elevati d’Europa, ma anche quella in cui tale pratica avviene spesso fuori dai limiti della legalità e con modalità alquanto barbare. Fece scalpore, ad esempio, qualche anno fa, l’episodio degli aborti su feti di sette e otto mesi compiuti con iniezioni letali.

Allora, diversi medici di cliniche barcellonesi furono denunciati alla magistratura, e grazie alle perquisizioni eseguite dalla Guardia Civil nelle cliniche del gruppo Cidemex-Tcb - che portarono all’arreso di sei medici, fra cui il responsabile Carlos Morin -, fu scoperto un verminaio di orrori nella pratica sistematica di aborti illegali su pazienti provenienti da tutta l’Europa.
Oggi il fenomeno dell’aborto è giunto al punto che, per evitare il collasso negli ospedali, l’Assessorato alla Sanità della Catalogna ha deciso di consentire l’assunzione della pillola RU-486 a domicilio, entro la settima settimana di gestazione. La decisione si è imposta a seguito della nuova legge sulla salute sessuale e riproduttiva che ha introdotto l’obbligo di garantire in tutte le strutture sanitarie pubbliche l’interruzione volontaria della gravidanza, finora praticata, nel 98% dei casi, in cliniche private.

Tale obbligo comporterà, stando alle stime ufficiali rilasciate dall’Assessorato alla Sanità e pubblicate da El Periódico de Catalunya, un ulteriore aggravio di 26.000 interventi ginecologici abortivi all’anno, rispetto a quelli attualmente praticati.

Gli ospedali catalani non sono in grado di resistere a un simile tsunami, per cui le autorità sanitarie hanno deciso di consentire la distribuzione, nei quarantadue centri regionali di assistenza sessuale, della pillola RU-486 alle donne che intendono interrompere la gravidanza a domicilio. Dallo scorso 5 luglio si può quindi facilmente reperire, nei quarantadue centri regionali di assistenza sessuale, la “pastilla para abortar”, e procedere all’interruzione fai da te.

L’obiettivo dichiarato è quello di promuovere l’aborto farmacologico, come ha chiaramente affermato Joaquin Calaf, responsabile del servizio di ginecologia e ostetricia dell’Ospedale Sant Pau di Barcellona, il quale ha parlato di «uno strumento incruento che le donne possono utilizzare in casa e in forma privata».
Come si vede sul concetto di crudeltà, e su cosa possa definirsi cruento o incruento, le autorità pubbliche catalane hanno opinioni molto soggettive. È infatti cruento lo spettacolo in cui si uccide un animale, ma è incruento il micidiale veleno con cui si elimina un essere umano. Joaquin Calaf ci deve poi spiegare perché i tori si possano considerare esseri innocenti e indifesi, mentre i bimbi nel grembo di una madre no.

C’è, invece, una risposta per coloro che hanno esultato all’abolizione della corrida, ritenendo che in questo modo si potrà attenuare o addirittura disinnescare la componente di violenza che caratterizza la società catalana.

La risposta la affido volentieri alle parole pronunciate due anni fa, lontano dalle polemiche sulla corrida, dal Presidente dell’Asociación de Médicos Cristianos de Cataluña, Fernando García-Faria: «È proprio con l’aborto che la violenza si produce al primo stadio della vita e viene poi diffusa in tutta la società». Parole rimaste, purtroppo, inascoltate.


L'anno di Leone XIII. "Humanum Genus": una grande enciclica contro la massoneria nota pubblicata da Massimo Introvigne il giorno martedì 28 settembre 2010 
Già in una serie di note precedenti abbiamo cercato di prendere sul serio l'invito di Benedetto XVI a ricordare nel 2010 "l'anno di Leone XIII" (1810-1903), di cui ricorre il bicentenario della nascita, rileggendo i suoi testi fondamentali. Nell'elenco delle sue nove encicliche fondamentali (ne scrisse ben 86) proposto dallo stesso Leone XIII nell'enciclica Pervenuti all'anno vigesimoquinto del 1902 figura la Humanum Genus, a tutt'oggi il più ampio testo del Magistero cattolico sulla massoneria.

La Chiesa Cattolica ha pubblicato, dal 1738 al 1983, ben 586 documenti di condanna della massoneria. Il più recente a oggi – la Dichiarazione sulla massoneria della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 26 novembre 1983, che detta norme tuttora vigenti – è stato completato, il 23 febbraio 1985, da Riflessioni a un anno dalla dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, pubblicate su L’Osservatore Romano, che costituiscono di fatto la «motivazione» della «sentenza» contenuta nella Dichiarazione. Le Riflessioni si collegano in esplicito all’enciclica Humanum genus di Leone XIII, del 20 aprile 1884, pur aggiungendo spunti ulteriori derivati dall’ulteriore approfondimento dello studio della massoneria e dai diversi atteggiamenti che essa ha assunto in alcuni Paesi nel secolo XX. La Humanum genus resta comunque un punto di riferimento fondamentale e imprescindibile per chiunque voglia conoscere e comprendere la posizione del Magistero in tema di massoneria.

1. Le due città
II testo di Leone XIII muove dalla dottrina delle due città, esposta da sant’Agostino (354-430) nel De civitate Dei. «Il genere umano – così inizia l’enciclica – si è diviso in due campi opposti, dei quali uno combatte senza posa in difesa della verità e della virtù, l’altro per quanto è contrario alla virtù e alla verità»: «il regno di Dio sulla terra, ossia la vera Chiesa» e «il regno di Satana». Il Pontefice si richiama esplicitamente al testo di sant’Agostino: «Due amori hanno generato due città, quella terrena, l’amore di sé fino al disprezzo di Dio; quella celeste, l’amore di Dio fino al disprezzo di sé» (De civitate Dei, libro XIV, cap. 17).
La dottrina agostiniana delle due città diventa chiave d’interpretazione storica: «in tutto il corso dei secoli, l’una [delle città] ha lottato contro l’altra». Ai giorni nostri, le forze anticristiane «sembrano cospirare con grande veemenza e tutte insieme mirare a uno sforzo comune, per istigazione e con l’aiuto di quell’associazione largamente diffusa e saldamente costituita, detta massoneria». La massoneria è così presentata come una sorta di centro di coordinamento e di elemento propulsore delle forze che si oppongono al cristianesimo.
Non appena la massoneria, nella sua forma moderna, si presentò e fu conosciuta, i Pontefici – ricorda Leone XIII – intervennero. La massoneria moderna nasce nel 1717. Pochi anni dopo, nel 1738, interviene la condanna della Chiesa con la costituzione In Eminenti di Clemente XII (1652-1740), reiterata nel suo contenuto da tutti i Papi fino allo stesso Leone XIII; e la Chiesa «proibì a tutti tassativamente d’iscriversi a tale associazione».
«Il corso degli avvenimenti» ha comprovato le ragioni della condanna pronunciata dai Pontefici. La massoneria è diventata potentissima, tanto che «per il futuro si deve grandemente temere non per la Chiesa che è posta su fondamenta troppo salde perché possa essere abbattuta da forze umane, ma per gli Stati», i quali rischiano di essere conquistati dall’azione massonica e deviati nei loro fini istituzionali di tutela del bene comune.
Leone XIII ricorda nel 1884 di avere già trattato alcuni principi dottrinali «sui quali sembrava che la perversità delle opinioni massoniche avesse avuto la maggiore influenza»: gli errori dei socialisti e comunisti, alla cui diffusione la massoneria non è stata estranea, nella Quod apostolici muneris, il matrimonio e la famiglia nella Arcanum Divinae Sapientiae, l’essenza del potere politico nella Diuturnum.  In questa enciclica Humanum genus il Pontefice intende mettere a fuoco direttamente la massoneria nella sua organizzazione, nella dottrina e nelle principali modalità di azione.

2. La massoneria: principi e azione
L’elemento fondamentale dell’organizzazione massonica, nota Leone XIII, è il segreto: segreto sulle gerarchie supreme, segreto su molte decisioni prese, segreto perfino sullo scopo ultimo della massoneria. «A questo – afferma il Pontefice – mira la distinzione stabilita di ordini e di gradi e la severità disciplinare». La divisione dei massoni nei vari «gradi» e la struttura dell’organizzazione, che fa sì che gli adepti di un grado inferiore ignorino i capi e le decisioni del grado superiore, comportano la pratica continua della simulazione da parte dei dirigenti e dell’ubbidienza cieca a decisioni di cui non conoscono i motivi da parte degli adepti. Molti degli affiliati dei gradi più bassi non si rendono neppure ben conto degli scopi ultimi della massoneria.
Già questo tipo di organizzazione di per sé è «radicalmente contrario alla giustizia e alla morale naturale». Anche se gli scopi e la dottrina fossero accettabili, il tipo di segreto imposto dalla massoneria non può essere accettato. Vale la pena di notare, a questo proposito, che i Pontefici, se pure hanno ammesso e incoraggiato in circostanze del tutto particolari organizzazioni clandestine – per esempio, durante la Rivoluzione francese –, non hanno mai favorito «massonerie bianche» o associazioni che operassero in un regime di segreto – non solo esterno ma interno a coloro che ne fanno parte, non solo sulla struttura ma sugli scopi – simile a quello massonico.
Dal punto di vista dottrinale l’elemento centrale del pensiero massonico è il naturalismo, dottrina secondo cui occorre seguire «la natura e la ragione umana [...] maestre e sovrane», senza accettare nessun mistero, nessun dogma, nessuna autorità che trascenda la natura o non sia suscettibile di essere esaurito dalla ragione. Di qui, in particolare, la negazione della Rivelazione e l’accanimento tutto particolare contro la Chiesa Cattolica la cui dottrina, proprio in quanto va oltre la natura e la ragione, è bollata come «superstizione».
A questo punto dell’enciclica Leone XIII ritiene opportuno ripetere che la condanna si rivolge contro l’organizzazione e non contro i singoli, che possono talora ignorare gli scopi ultimi e la dottrina massonica ed essere in buona fede, «sebbene non privi di colpa per essersi immischiati in associazioni di questo genere». L’enciclica mira, fra i suoi scopi, proprio ad aprire gli occhi a questi adepti ingenui, che s’iscrivono alla massoneria – oggi come ai tempi di Leone XIII – perché, dicono, serve per fare carriera o perché confidano che i massoni si aiutino fra loro, senza preoccuparsi di quali siano gli scopi ultimi e le caratteristiche dottrinali dell’organizzazione massonica.
Una volta che gli adepti più o meno male informati conoscano le condanne della Chiesa, nota Leone XIII, sono però obbligati in coscienza a ritirarsi dalla massoneria. Questa – va notato, a fronte d’informazioni talora inesatte che talora la stessa massoneria fa circolare – è tuttora la posizione della Chiesa. La citata Dichiarazione sulla massoneria della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 1983, firmata dal suo prefetto di allora cardinale Joseph Ratzinger ma sottoscritta anche dal Papa, il venerabile Giovanni Paolo II, così che dev’essere considerata magistero vincolante per tutti i fedeli ribadisce che, benché il nuovo Codice di diritto canonico del 1983 non parli più di «scomunica» per i massoni, a causa di un mero «criterio redazionale seguito anche per altre associazioni ugualmente non menzionate in quanto comprese in categorie più ampie», in realtà «rimane [...] immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione» (Congregazione per la Dottrina della Fede 1983). Secondo lo stesso documento, eventuali «deroghe» da parte di sacerdoti e anche di vescovi non avrebbero alcun rilievo: «non compete alle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito» (ibid.), trattandosi di materia riservata alla sola Santa Sede.
Tornando alla Humanum genus, Leone XIII rileva come l’attacco della massoneria alla religione non sia tanto diretto, ma consista piuttosto – per riassumere il pensiero del Pontefice con un’espressione di Vladimir Ilič Lenin (1870-1924), che del resto la massoneria anticipa – nell’estirpare le radici sociali della fede. «Si fa in modo – scrive Leone XIII – che nella società non abbia alcuna influenza né il magistero né l’autorità della Chiesa», con una totale separazione della Chiesa dallo Stato. Spesso si attacca anche direttamente la libertà della Chiesa, e le politiche favorite dalla massoneria contemplano ostilità alle istituzioni educative e assistenziali cattoliche, soppressione degli ordini religiosi, avversione alla Santa Sede.
È importante notare che la massoneria spesso non impone agli affiliati di rinnegare la fede cattolica, ma crea un clima di relativismo che convince gli adepti «che non vi sia alcuna differenza fra le varie forme religiose». Si tratta di un elemento fondamentale di quest’enciclica, ripreso nella dichiarazione del 1983 della Congregazione per la Dottrina della Fede e approfondito nel commento del 1985. La massoneria, contrariamente a un’opinione diffusa, non è condannata soltanto perché attacca la Chiesa né pertanto solo finché attacca la Chiesa. Una massoneria in ipotesi non ostile alla Chiesa rimarrebbe condannata, perché il suo naturalismo induce gli adepti al relativismo, cioè a ritenere che la religione cattolica non sia la verità, ma semplicemente una delle forme possibili della verità, non superiore ad altre forme. Per questo l’obiezione secondo cui la massoneria non chiede di rinunciare alla fede cattolica, che molti fanno, era ai tempi di Leone XIII e rimane oggi destituita di qualunque valore. Chi entra nella massoneria a poco a poco scivola nel relativismo. Può anche mantenere l’apparenza esteriore della fede cattolica, ma perde a poco a poco la convinzione che la dottrina cattolica sia la verità.
In genere, continua Leone XIII, i massoni ammettono l’esistenza di Dio, e spesso anche l’immortalità dell’anima; ma non «con fermo assenso e stabile giudizio». La massoneria crede a un «grande Architetto dell’universo», ma professa un deismo che non ha «consistenza e certezza». È una religione filosofica, talmente vaga che spesso degrada nel panteismo, identificando un Dio di cui afferma di non sapere nulla con il mondo, o anche francamente nell’ateismo. La questione di Dio, nota Leone XIII, costituisce la «causa principale di dissidio» tra i diversi gruppi massonici. Il Pontefice si riferisce ai dissidi, violenti a quel tempo e che determinano una separazione che continua ai nostri giorni, fra il Grande Oriente di Francia, che ammette gli atei, e le massonerie anglosassoni, che intendono tenere fermo l’originario deismo.
Dal naturalismo e dal relativismo in filosofia deriva quanto all’etica una morale «civile, indipendente e libera»: una morale della natura e della ragione che non dipende da alcuna idea religiosa e prescinde, in particolare, dalla nozione di peccato. Questa morale diventa, quindi, un semplice naturalismo, secondo cui l’uomo deve seguire quanto la natura gli detta. Giacché l’elemento più appariscente della natura, dopo il peccato originale, è la concupiscenza, la massima secondo cui si deve seguire la natura diventa facilmente – per chi nega la presenza del peccato – un invito a seguire la concupiscenza. Leone XIII nota quindi come il naturalismo massonico di fatto favorisce un rilassamento dei costumi in tutti i settori, nonché la tolleranza per un’arte e una letteratura immorali, in particolare negli eccessi del cosiddetto «verismo».
Il naturalismo morale influenza pure l’insegnamento massonico sul matrimonio. Tolto il fondamento religioso, il matrimonio è un semplice contratto, posto «nelle mani delle autorità civili» e capace «di essere rescisso per volontà dei contraenti». Già ai tempi di Leone XIII, e tanto più nel secolo XX, l’impegno a favore del divorzio ha costituito una tipica battaglia massonica in molti Paesi.
Nell’educazione, per la massoneria «in materia di religione non si deve insegnare nulla come certo e determinato: cresciuto in età, ciascuno sia libero di scegliere quello che preferisce». Questo principio ideale massonico urta – e la massoneria lo sa – contro il fatto che in realtà nessuna famiglia religiosa si astiene dal proporre insegnamenti «certi e determinati» ai figli. Per evitare che la famiglia dia un’educazione «dogmatica», la massoneria pertanto insiste perché l’educazione sia concentrata il più possibile nelle mani dello Stato.
«Seguono poi le massime di scienza politica». L’ideale politico massonico si compendia nelle parole «libertà» e «uguaglianza», lette però in una chiave particolare: libertà di agire prescindendo da qualunque legge religiosa o morale; uguaglianza non solo di diritti e doveri, ma per quanto possibile di funzioni sociali, attenuando il più possibile il valore dell’autorità e la differenza fra governanti e governati. Ne consegue, fra l’altro, la dottrina secondo cui l’autorità non è qualche cosa di naturale, e tantomeno deriva da Dio, ma esiste «per mandato o concessione del popolo». Infine – e naturalmente – «occorre che lo Stato sia ateo», cioè separato dalla religione da una sorta d’invalicabile Muraglia Cinese.
Soffermandosi a confutare queste teorie, Leone XIII mostra che tutti sono sì uguali ma per diritti e per doveri, non per uffici nella società; tutti sono liberi, ma non senza limiti, ed è l’orientamento al bene che definisce la libertà. La falsa concezione della libertà e dell’uguaglianza della massoneria – soggiunge il Pontefice – spiana la strada al comunismo e al socialismo che con la massoneria «hanno in comune i principi essenziali», sebbene spinti a conseguenze più estreme. In questo brano dell’enciclica Leone XIII confuta così un’altra delle obiezioni a favore della massoneria, secondo cui almeno l’organizzazione massonica si oppone al comunismo. In realtà dal punto di vista culturale la massoneria piuttosto favorisce il comunismo, perché pone una serie di principi che il comunismo non fa che portare alle estreme conseguenze.
Da ultimo, Leone XIII dedica qualche cenno alle modalità di azione della massoneria. La massoneria cerca anzitutto di conquistare i governanti e d’inserire uomini propri nei governi. Nel quadro di questa operazione, aizza i governanti contro il cattolicesimo, da cui li invita a liberarsi come da un’indebita tutela. Si tratta di un’evidente inganno perché, «liberati» dalla religione, i governanti passano sotto la tutela ben più aspra e dura della massoneria, che ne organizza la rovina quando non si comportino secondo i suoi desideri.
L’altra modalità principale di azione dell’organizzazione massonica è la propaganda popolare attraverso la scuola – su cui la massoneria ha sempre avuto una straordinaria influenza –, i libri, i giornali. Anche le classi popolari sono ingannate, in quanto spinte a «liberarsi» dalla Chiesa e dal potere politico, almeno quando questo è contrario alla massoneria. Ma nei nuovi regimi favoriti dalla massoneria la parte più povera della popolazione si ritrova «più oppressa di prima».

3. I rimedi: linee per un’azione antimassonica
L’ultima parte dell’enciclica è dedicata ai rimedi contro la crescente azione della massoneria. Il primo rimedio, «la prima cosa da fare, anzitutto, è mostrare il vero volto della massoneria, dopo averne strappato la maschera». La prima azione da svolgere nei confronti della massoneria è un’azione culturale: parlarne, metterne in luce la vera dottrina e i veri scopi, che spesso gli stessi massoni dei gradi più bassi non conoscono. A chi crede che la massoneria sia un’organizzazione umanitaria, o un club più o meno innocuo con scopi di mutuo aiuto fra i soci, Leone XIII ripete: «Nessuno si lasci ingannare da una simulata onestà: infatti, a qualcuno potrà sembrare che i massoni non impongano nulla di apertamente contrario alla santità della religione o dei costumi; ma, essendo essenzialmente malvagio lo scopo e la natura della setta stessa, non può essere lecito né aggregarsi ai massoni né aiutarli in qualunque modo». Una norma, come abbiamo accennato, che la Chiesa ha ribadito con la Dichiarazione del 1983 e che è tuttora vigente.
Come secondo e più generale rimedio, «occorre trarre il popolo all’apprendimento diligente dei precetti della religione», e diffondere i principi di una «filosofia cristiana» che si opponga al naturalismo e al relativismo massonici. Molto utile sarà, a questo proposito, «l’aiuto di laici che uniscano l’amore della religione e della patria con la virtù e con il sapere». Il Papa raccomanda ai laici, fra l’altro, il Terz’Ordine Francescano – di cui egli stesso fa parte –, che può diffondere «la libertà, la fraternità, l’uguaglianza giuridica non quali assurdamente pensano i massoni, ma quali Gesù. Cristo procurò al genere umano e san Francesco [d’Assisi, 1182-1226] mise in pratica».
In terzo luogo, il Papa raccomanda il rilancio di un’«istituzione trascurata»: i collegi e corpi professionali. I lavoratori «devono essere invitati alle società oneste, affinché non siano trascinati a quelle malvagie». Per l’apostolato presso le classi povere, che deve mirare non soltanto a soccorrerle materialmente, ma anche a preservarle dall’influenza della stampa e della propaganda massonica, Leone XIII loda la Società di San Vincenzo de’ Paoli.
Quarto suggerimento: curare in modo tutto particolare «la gioventù, che è la speranza della società umana». «Non pensate che alcun provvedimento sarà tanto grande da non doverne prendere uno maggiore, affinché gli adolescenti siano tenuti lontani da quelle scuole e dai quei maestri, dai quali si tema l’alito pestifero delle sette». La preoccupazione per l’educazione deve diventare centrale, considerando la straordinaria influenza che la massoneria ha sulla scuola laica.
Ma a nulla, conclude Leone XIII, «varranno i mezzi umani se il celeste padrone della vigna non ci soccorrerà benignamente». «È quindi necessario che i buoni si uniscano in un’alleanza di azione e di preghiera», intensificando il ricorso alla Vergine, a san Michele, a san Giuseppe, ai «grandi apostoli Pietro e Paolo» affinché «Dio soccorra opportunamente e benignamente il genere umano minacciato da tanti pericoli». Anche la più «tecnica» delle encicliche di Leone XIII, tutta dedicata a un minuzioso studio della massoneria, ribadisce così il primato della preghiera e della vita spirituale.


Avvenire.it, 29 settembre 2010 - Il filo rosso del Papa nel Regno Unito - Cercare e trovare la vera felicità di Giacomo Samek Lodovici
Rileggendo "a bocce ferme" per intero e di seguito i discorsi di Benedetto XVI nel Regno Unito si rileva un filo rosso presente in quasi tutti gli interventi, vale dire il rapporto tra vita cristiana, amore e felicità, un tema che fa parte del nucleo dell’annuncio cristiano e su cui il Papa insiste fin dalla messa di inizio del pontificato.

Per esempio, il Papa ha detto: «Vi sono molte tentazioni che dovete affrontare ogni giorno - droga, denaro, sesso, pornografia, alcol - che secondo il mondo vi daranno felicità, mentre in realtà si tratta di cose distruttive, che creano divisione. C’è una sola cosa che permane: l’amore personale di Gesù Cristo per ciascuno di voi. Cercatelo, conoscetelo ed amatelo, ed egli vi renderà liberi dalla schiavitù dell’esistenza seducente ma superficiale frequentemente proposta dalla società di oggi»; similmente: «La cosa migliore di tutte per voi è di gran lunga il crescere in santità». 

Tuttavia i messaggi e i modelli correnti sono quasi sempre opposti e la santità è ritenuta castrante e noiosa. Benedetto XVI ne è ben consapevole e conosce altresì il cuore dell’uomo: la società contemporanea «troppo spesso vede il Vangelo come un limite alla libertà umana, invece che come verità che libera le nostre menti e illumina i nostri sforzi», cosicché «una delle grandi tragedie di questo mondo è che così tanti non riescono mai a trovarla [la felicità], perché la cercano nei posti sbagliati. La soluzione è molto semplice: la vera felicità va cercata in Dio», cioè «Lui solo può soddisfare il bisogno più profondo del nostro cuore», è «l’unica cosa necessaria». 

In effetti, l’esperienza ci mostra, presto o tardi nella vita, che i beni finiti non ci appagano e che noi siamo costitutivamente orientati verso un Bene Infinito, dato che il Creatore ha seminato in noi una profonda nostalgia verso di Lui: «Signore, ci hai creati per te ed il nostro cuore è inquieto sino a che non riposerà in te». È un’affermazione celeberrima di sant’Agostino, spesso citata dal Papa che, sulla scorta di Newman, ha rammentato l’insegnamento evangelico: «Siamo stati pensati per conoscere [e amare] Cristo, che è Lui stesso "la via, la verità e la vita"».

Più precisamente, c’è una qualche correlazione tra l’amore e la felicità, ma quest’ultima non risiede solo nell’essere amati bensì anche nell’amare. Quando la Rivelazione parla dell’uomo come immagine e somiglianza di Dio dice proprio che «siamo stati fatti […] per trovare la nostra piena realizzazione in quel divino amore che non conosce né inizio né fine», in generale «per donare amore, per fare dell’amore l’ispirazione di ogni nostra attività». D’altra parte, ciò è molto difficile soprattutto a causa di egoismo, invidia e orgoglio, richiede una decisione quotidiana, come insegnava una "intenditrice" come Madre Teresa.

Ora, coloro che vivono nella verità «riconoscono istintivamente ciò che è falso e che, proprio perché falso, è nemico della bellezza e della bontà che accompagna lo splendore della verità». Ma chi non vive già «in intima comunione con il Cuore di Dio», molto difficilmente può comprenderne la correlazione con la felicità umana, o, almeno, con una contentezza durevole. Per questo, oltre ad argomentare questo nesso in modo più dettagliato di quanto abbiamo potuto qui fare, è cruciale - come ha rimarcato il Papa - poter indicare e conoscere dei «testimoni della bellezza della santità, testimoni dello splendore della verità, testimoni della gioia e libertà che nascono da una relazione viva con Cristo!».



Lévy: «In Europa enormi pregiudizi contro i cattolici» di Bernard-Henri Lévy
«La religione cattolica è la religione mag giormente attaccata nei suoi conte nuti in Europa». È quanto ha affermato, nei giorni scorsi, in un’intervista concessa al gior nale spagnolo'Abc', il filosofo non credente Bernard-Henri Lévy. Ebreo, ateo, già esponente del movimento dei Nouveaux philosophes, nel corso della lunga intervista si è detto con trario all’espulsione dei rom rumeni dalla Francia e soprattutto è rimasto impressionato dai continui attacchi contro la Chie sa cattolica e papa Ratzinger. «Io non sono cattolico – ha spie gato – ma penso che nei confronti dei cattolici vi sia pregiu dizio, che sta assumendo proporzioni enormi in Europa. In Fran cia si parla molto di violazioni di cimiteri ebraici e musulma ni, ma nessuno sa che le tombe dei cattolici sono regolarmente oltraggiate. In Francia persiste un an ticlericalismo duro a morire». L’intel lettuale francese ha espresso il suo giudizio positivo sulla costruzione di una moschea a Ground Zero a New York: «Sono assolutamente d’accor do perché gli Stati Uniti hanno sem pre rappresentato, nella loro storia, un esempio per la libertà di culto e di religione». Lévy ha preso infine le di stanze dagli atti di estremismo reli gioso come quello di bruciare i libri sacri: «È qualcosa di mostruoso. Solo i fascisti, nel Novecento, sono stati ca paci di bruciare dei libri. Non si deve bruciare un libro, qualunque esso sia. Quando si è bruciato a Londra il libro di Salman Rushdie. Ho preso subito le distan ze da quel gesto. Ma ho mantenuto lo stesso giudizio quando alcuni cristiani hanno tentato di bruciare il Corano». 

Filippo Rizzi 

«È la religione più attaccata – sostiene il filosofo francese –.

Nessuno parla mai degli oltraggi alle tombe cristiane, ma solo di quelli contro i cimiteri ebraici o musulmani»