martedì 20 novembre 2007

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Convenzione infanzia. Dalla parte dei bambini non solo oggi – Libero 20.11.2007
2) Clonazione: La pecora Dolly è tornata nell'ovile – il Foglio, 20.11.2007
3) Clonazione: Galli della Loggia: rivincita dell'embrione
4) Sulla realtà della pillola Ru486: in Trentino e oltre
5) Don Di Noto indagato? Sì, per il reato di iperbole
6) S. Teresa di Liesieux - Dottore della Chiesa «teologa dell’umiltà»
7) Rosmini: «Un santo che unisce carità e intelligenza»
8) Cittadini & scienziati, un patto per l’etica; intervista a Jacques Testart




Convenzione infanzia. Dalla parte dei bambini non solo oggi – Libero 20.11.2007



Clonazione: La pecora Dolly è tornata nell'ovile
– il Foglio, 20.11.2007



Clonazione: Galli della Loggia: rivincita dell'embrione – Corriere della sera, 20.11.2007



Sulla realtà della pillola Ru486: in Trentino e oltre - 19/11/2007 Mauro Sarra



Don Di Noto indagato? Sì, per il reato di iperbole
LUCIA BELLASPIGA
Avvenire, 20.11.2007
M eno male, ora possiamo dirci tutti più tran­quilli: don Fortunato Di Noto da sabato è iscritto nel registro degli inda­gati. La Sicilia, terra di sventure secolari e an­cestrali problemi, vede finalmente aper­to un procedimento della procura di Ca­tania contro il pericoloso prete siracusa­no che da anni stana e denuncia i pedo­fili. Chiaro il reato secondo le parole del­l’accusa: 'pubblicazione di notizie esa­gerate'. In pratica, come ha spiegato ai giornalisti il procuratore aggiunto di Ca­tania, Enzo Serpotta, don Di Noto aveva definito «raid vandalico» ciò che assomi­gliava di più a un semplice furto con scasso: lo ha fatto con un comunicato stampa diffuso il 6 novembre scorso, do­po che una delle sedi della sua associa­zione era stata visitata da ignoti che ave­vano divelto la porta, messo a soqqua­dro la stanza e rubato il poco denaro che era in cassa, 126 euro. Insomma, sempre per usare le parole dell’accusa, l’incauto sacerdote avrebbe «turbato l’ordine pubblico», e proprio questo non si può fare: la nostra imperturbabile società è turbata anche troppo – delitti di mafia, studentesse violentate e sgozzate, rapi­ne in villa – senza che ci si metta pure don Di Noto a diffondere il panico. Tra l’altro con un fine ben preciso: «Il suo o­biettivo era attirare solidarietà per la sua associazione», la quale – ricordiamolo – non è a delinquere, ma collabora da an­ni con le polizie postali e le magistrature di mezzo mondo (compresa quella sici­liana) per fermare gli 'orchi' della pedo­pornografia. Ammesso e non concesso che don Fortunato, uomo di passione, si sia lasciato un po’ trascinare e abbia tra­sfuso in quel comunicato tutta la sua a­marezza, sconcerta la sproporzione tra il fatidico 'reato' e la pronta reazione del pm: undici agenti della Guardia di Fi­nanza inviati con tanto di mandato di perquisizione in quattro luoghi diversi (la parrocchia di Avola, l’abitazione del sacerdote, la sede dell’associazione Me­ter di Aci Castello teatro del furto, e la sede centrale di Avola) alla ricerca di quello che viene chiamato 'il corpo del reato'. Che cosa cercavano gli undici a­genti? È sempre il pm Serpotta a spiega­re alla stampa: «Confermo che abbiamo proceduto sulla base di quel volantino in cui si parlava di 'atto vandalico', mentre in realtà si trattava di un piccolo furto». Tutto qui? Tutto qui. Undici agen­ti sulle tracce di un comunicato che, proprio perché rivolto alla stampa, era consultabile su tutti i giornali del 7 no­vembre. E che comunque è bastato chiedere alla volontaria di Meter presen­te in quel momento in sede... Di morali dalla storia se ne traggono parecchie.
Prima: d’ora in poi se, tornati a casa, troveremo la porta divelta, le nostre cose a soqquadro e quel poco di spiccioli portati via, facciamo attenzione a parlare di «gesto vandalico», potremmo macchiarci di iperbole e finire sul registro degli indagati alla pari dei criminali. Seconda: non è vero che in Italia le forze dell’ordine sono insufficienti e mancano gli agenti, anzi, ne abbiamo così tanti che possiamo permetterci azioni massicce e tempestive anche per questioni di tale rilievo. Terza: può anche essere che don Di Noto sia «alla ricerca di attestati di solidarietà», ma non sarebbe male se ogni tanto gliene arrivassero, visto che in questi anni ha fatto arrestare centinaia di pedofili e oscurare migliaia di siti pedopornografici, ha subìto minacce di morte e per questo vive sotto protezione. Infine, quella solidarietà che non sempre ha avuto in passato la sta ricevendo in queste ore, proprio grazie al­l’inchiesta che lo vede indagato: politici di destra e di sinistra, uomini di cultura, semplici cittadini, sono uniti per una volta dalla stessa incredulità. Seriamente 'turbati', è vero, dall’iperbole, e non certo da quella del prete.





Dottore della Chiesa «teologa dell’umiltà»
Avvenire, 20.11.2007
Dio mi istruisce in segreto. Non con i libri, perché non comprendo quello che leggo', scrisse a vent’anni. Teresa Martin, nata nel 1873 a Lisieux, non fece studi maggiori di quelli riservati nell’Ottocen­to a una ragazza di buona famiglia bor­ghese quale era. La limpidezza del suo pensiero teologico è però tale che – do­po la canonizzazione nel 1925 – papa Giovanni Paolo II nel 1997 la proclamò Dottore della Chiesa, terza donna dopo Teresa d’Avila e Caterina da Siena.
La storia di questa ragazza entrata in Car­melo a 15 anni e morta di tubercolosi a 24 è singolare e continua a chiamare, a 110 anni dalla sua morte, folle di pellegrini. Attratti dalla spiritualità di Teresa, una spiritualità accessibile ai semplici, anzi più a questi che a chi ha molto studiato, benché il grande intellettuale cattolico Jean Guitton l’abbia definita «un genio».
Cresciuta in un una famiglia profondamente cristiana ma dentro a un cattolicesimo ancora segnato dalla rigidità del giansenismo, senza una vera guida spi­rituale, sembra mossa prima di tutto dall’autenticità della sua domanda di vivere il Vangelo. Ma, nello scontro continuo con il limite suo e degli altri, Teresa non si scandalizza né si rassegna. «Cosciente accettazione del non vedere nulla, dell’essere imperfetta. Teresa comincia là dove la maggior parte dei cristiani si ferma», ha scritto il cardinale Carlo Maria Martini. Per lei è decisiva la lettura del tredicesimo capitolo della Lettera di Paolo ai Corinzi: a quattordici anni scopre che la gioia è nel dimenticarsi di sé.
L’accettazione della propria debolezza, l’abbandono infantile e totale a Dio, che sono il cuore della sua spiritualità, non nascono però da una letizia superficiale o da un igno­rare il dramma della vita. La car­melitana attraver­sa lunghi periodi oppressa dalla 'notte oscura' dei mistici, in un vuoto interiore di cui non vuole scrivere, «per paura di bestemmiare ».
Ciecamente certa di una misericordia divina a fronte della quale tutto il male degli uomini è un nulla, condivide tuttavia l’angoscia degli uomini, e descrive un buio interiore che riecheggia quello descritto negli stessi anni dai versi di Rilke o dai libri di Dostoevskij. Il vincolo di fedeltà a Cristo in Teresa passa attraverso la condivisione dell’abbandono degli ultimi. Il suo primo figlio spirituale è un condannato a morte. La dinamica spirituale che condivide certezza nell’Assoluto e partecipazione al dolore e al male rende profetica la figura di Teresa, morta tre anni prima dell’inizio del Nove­cento. «Lo stesso Spirito del Padre ci ha parlato attraverso di lei», disse Giovanni Paolo II.
È attualmente in corso la causa di beatificazione dei genitori di Teresa. Alla loro intercessione è attribuito il miracolo, per ora presunto, della guarigione di un bambino nato a Monza nel 2002, che i medici avevano dato per perduto.
Marina Corradi




La denuncia di Amato E per pagare i debiti di gioco prende piede la baby-prostituzione
Avvenire, 20.11.2007
DA ROMA LUCA LIVERANI
Un fenomeno che gli operatori sociali conoscono bene. Ad alimentare la prostituzione mi­norile – esercitata secondo il ministro Amato perfino da ragazzini che con­traggono debiti di gioco – è una miscela venefica di pedofilia e povertà. «È un fenomeno presente in tutto il ter­ritorio », conferma don Giancarlo Pe­rego della Caritas italiana. L’Associa­zione Papa Giovanni XXIII chiede «un rigoroso piano antiprosti­tuzione », lanciando per il 22 dicembre una manife­stazione al Quirinale. Se­condo l’associazione On the road onlus, oltre a un 8% di minorenni tra le prostitute straniere, «sono tanti anche i baby-squillo maschi».
L’ultimo allarme era stato lanciato dal ministro dell’Interno. «Ho saputo una cosa sconvolgente – aveva detto Giuliano Amato – che ci sono bambini che si giocano a dadi centinaia di euro e che poi organizzano la baby-prostituzione per pa­garsi i debiti». Don Perego non si stu­pisce. «Due in particolare – dice il re­sponsabile del Centro documentazio­ne della Caritas – le cause: debiti e po­vertà, storicamente causa di prostitu­zione in Italia e fuori». Serve innanzi­tutto «un’azione di lotta alla povertà». Il problema riguarda anche giovani, studenti e «le 500mila famiglie vittima dell’usura».
Giovanni Paolo Ramonda della Papa Giovanni XXIII, l’organizzazione fondata da don Benzi, auspica «ancora una volta che venga approvato un rigoroso piano antiprostituzione». Le dichiarazioni del ministro spingono a ri­flettere «sulla realtà di un degrado so­ciale veramente miserando». Il dramma della prostituzione schiavizzata, non solo minorile, coinvolge «almeno 100 mila donne» sfruttate anche gra­zie ai «10 milioni di clienti italiani». Per questo l’associazione si ritroverà la se­ra del 22 dicembre «per una manife­stazione di solidarietà e di preghiera per chiedere al presidente della Re­pubblica e a tutte le istituzioni di tro­vare le vie per la liberazione delle ra­gazze schiavizzate e sfruttate da 10 mi­lioni di clienti italiani».
Secondo Marco Bufo, coordinatore dell’associa­zione On the road, il fe­nomeno della prostitu­zione minorile sta prolife­rando al chiuso: «Nigeria­ne e romene dai 16 ai 18 anni, ma anche di 14, so­no costrette a prostituirsi nelle case o nei night club da organizzazioni crimi­nali che così si sottraggo­no ai controlli e alle inda­gini ». Per Bufo cresce an­che la prostituzione dei giovani italiani «al di fuori dei luoghi classici, ma nelle università o in altri circuiti, per povertà familiare o per in­tegrare la paghetta dei genitori e com­prare il capo firmato». Magrebini, al­banesi o romeni tra i 14 e i 20 anni i protagonisti della prostituzione ma­schile urbana nelle stazioni o nei parchi.
«È un fenomeno – spiega il neuropsi­chiatra infantile Ernesto Caffo – che assomiglia al pizzo: ragazzini indotti a consumare droga o alcol e a sperpe­rare soldi ai videopoker che diventa­no ricattabili. E per ripianare i debiti, vergognandosi di chiedere aiuto ai ge­nitori, sono costretti a 'pagare il piz­zo' loro imposto da adulti ma anche da coetanei. Non è infrequente che gli venga chiesto di prostituirsi».



«Un santo che unisce carità e intelligenza» Fisichella: Rosmini fu sempre fedele alla Chiesa La beatificazione riconosce il suo servizio appassionato
Il vescovo e rettore della Lateranense è stato «ponente» della causa del Roveretano «Solo chi ama davvero il popolo di Dio può additarne le piaghe e prestarsi a curarle»
Avvenire, 20.11.2007

DI LORENZO ROSOLI
C onfessa di essersi «emoziona­to », domenica a Novara, du­rante il rito di beatificazione. «Mentre si alzava il velo sul ritratto di Rosmini ho percepito un sorriso, del tutto indescrivibile, sul suo volto. For­se un sorriso di soddisfazione perché finalmente veniva riconosciuta la sua buona volontà di servire la Chiesa. Questa, non altro, è stata la sua vita». In tale cammino di «riconoscimento» del volto autentico dell’autore delle Cinque piaghe della santa Chiesa, il vescovo ausiliare di Roma, Rino Fisi­chella, ha avuto un ruolo importan­te: quello di «ponente». «Nella prassi della Congregazione delle cause dei santi – spiega il rettore della Latera­nense – l’ultimo passaggio prima di arrivare al Papa è la riunione plena­ria della Congregazione, dove vi sono quindici cardinali e vescovi che deb­bono votare sia le virtù sia – in un mo­mento diverso – il miracolo. Ogni cau­sa viene presentata da un relatore, il ponente ».
Quale profilo di santità identifica Ro­smini in modo peculiare?
In primo luogo la sua vita posta inte­ramente alla luce dell’obbedienza alla volontà di Dio. In secondo luogo: quando Rosmini riceve la vocazione al sacerdozio, dice: Dio mi aprì gli occhi su molte cose, e io conobbi che non vi era altra sapienza se non in Dio. Ciò è peculiare per capire non solo la santità ma anche la profondità del suo pensiero: egli riconosce che c’è un primato della grazia nella nostra vita, che tutta la saggezza umana alla fine de­ve sfociare nella sapienza di Dio.
In Rosmini il riferimento alla carità è centrale...
Una carità che declina su tre piani. Prima di tutto la carità spirituale: la vita teologale, quell’amore che deve plasmare l’intera esistenza del cristiano. Vi è poi la sua bella interpre­tazione della carità intellettuale: da un lato Rosmini volle promuovere l’intelligenza della rivelazione e della fede, all’interno della Chiesa – quin­di sostenne la formazione del clero, la cui insufficiente educazione aveva additato fra le «piaghe» della Chiesa; dall’altro divenne lui stesso segno concreto di dialogo con la cultura del tempo – si pensi a nomi come Tom­maseo e Manzoni. Vi è infine la carità temporale. Rosmini non ha fondato solo l’Istituto della Carità ma anche le Suore della Provvidenza, come a di­re che la carità deve sapersi aprire a quella dimensione più profonda, ori­ginaria d’ogni amore, che è l’amore di Dio provvidente.
Lei era a Novara, domenica. Quali sentimenti ha vissuto?
Di grande emozione: mentre il velo scopriva il ritratto di Rosmini, mi pareva di vedere un sorriso. Di rivincita? Lui non era l’uomo delle rivincite. Ma la sua vita testimonia una santità che si esprime nella parresia, nel par­lare chiaro e forte. Una santità attua­le: in tempi di politically correct come i nostri, ci ricorda che l’amore si manifesta dicendo la verità. Certamente nella carità, come insegna san Paolo.
Rosmini: non solo intellettuale, ma prima di tutto sacerdote. Che cos’ha da dire ai preti di oggi?
A quanti sono ministri del mistero ri­corda come debbano indagare sem­pre più in profondità il mistero del quale vivono, e farsi segno eloquente del mistero che va incontro a ogni persona.
E a quanti – laici in primis – sono impegnati nella vita sociale?
Ricorda di essere ministri della carità nel suo triplice ordine: cioè di vivere della carità spirituale e di praticare senza timori la carità intellettuale, senza limitarsi a essere dispensatori della carità temporale. Rosmini – ce lo rammenta Giovanni Paolo II nella Fides et ratio – è stato inoltre l’autore di un sistema filosofico di così altro profilo da saper affascinare anche il fi­losofo di oggi e chi non condivide la nostra fede. Il suo talento intellettua­le si è prestato anche al servizio della politica.
Se Rosmini potesse tornare a chinarsi sulle ferite e le speranze della Chiesa, se potesse aggiornare la sua opera più celebre, quali nomi darebbe oggi alle «piaghe»?
Non voglio essere blasfemo, ma credo che oggi come al suo tempo – probabilmente – prenderebbe in considerazione la «piaga» dell’insufficiente educazione del clero. Alcune «piaghe » d’allora sono state superate, ma altre – grazie alla sua lucidità e profondità – saprebbe individuarle, e non so se gli basterebbe il numero di cinque... Attenzione, però: solo chi ama davvero la Chiesa, fino in fondo – come Rosmini – è in grado di scrivere pagine che dall’interno possano far comprendere i limiti degli uomini di Chiesa.
Dove e come visse, Rosmini, la sua «obbedienza alla volontà di Dio»?
Soprattutto nella fedeltà alla Chiesa. Anche di fronte alle prospettive di carriera ecclesiastica, volle rimanere fedele alla missione che Pio VIII gli aveva affidato di servire la Chiesa col suo lavoro intellettuale.
Qual è l’eredità più viva, preziosa, che le ha lasciato questo incarico di «po­nente » nella causa di Rosmini?
Ringrazio il Signore e i superiori di avermi assegnato questa causa. Si è finalmente riconciliata la santità e l’intelligenza di un sacerdote con quel cammino di sviluppo dell’intelligenza che la Chiesa ha sempre avuto del mistero in cui crede. Rosmini inoltre mi ha fatto capire una cosa molto semplice: che la fede è la cosa più grande. Che tutto quel che facciamo, è solo per amore della Chiesa, per fe­deltà alla chiamata del Signore. Sol­tanto lì stanno la gioia e la consola­zione.


Cittadini & scienziati, un patto per l’etica
Avvenire, 20.11.2007
DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ
« Parlando coi colleghi, mi rendo conto che quasi nessuno è cosciente dei pericoli legati alla selezione degli embrioni che cerco di denunciare da 25 anni.
Sono molto isolato». C’è a tratti amarezza nella voce di Jacques Testart, il biologo francese padre scientifico nei primi anni Ottanta del primo 'bebè in provetta' transalpino, oggi su posizioni molto critiche rispetto alle manipolazioni della vita. Come presidente della Fondazione per una scienza civica, Testart ha appena lanciato un appello: «Per riconciliare scienziati e cittadini, occorre far entrare realmente le scienze in democrazia». Le denunce dello scienziato si sono in particolare concentrate di recente contro la 'pulsione eugenista' già all’opera, ovvero l’assurda corsa verso il bambino perfetto: «Ciò che mi pare grave è che l’eugenetica di oggi, contrariamente a quella classica violenta e inefficace, sarà abbastanza efficace, non violenta, pronta ad alimentare il mercato».
C’è chi dice che la ricerca sulla procreazione umana è oggi dominata dalla logica del profitto. Condivide?
«Certo. Senza parlare della deontologia di certi ginecologi, è evidente che l’industria farmaceutica è oggi sempre più interessata, soprattutto per la vendita di ormoni fabbricati a partire da organismi geneticamente modificati. Delle cellule coltivate vengono modificate per ricevere geni umani che permettono loro di fabbricare proteine umane e, fra l’altro, ormoni umani. Per le coppie, sono tre o quattro volte più cari che l’equivalente che può essere prelevato in modo naturale, ma non offrono nessun vantaggio».
La diagnosi pre-impianto suscita polemiche. Uno sconfinamento oltre i limiti della dignità umana?
«Il problema non mi pare si ponga al livello dei singoli, dato che esiste libertà di scelta per gli individui e le coppie. Ma è in gioco la dignità dell’umanità.
Tollereremo ancora una persona diversa? Se un giorno divenisse possibile non avere persone per così dire devianti rispetto a una cosiddetta norma desiderabile, ci troveremmo credo in un’altra società che non rispetterà più l’umanità. Credo che la diagnosi pre-impianto sia una tecnologia che non conoscerà barriere, perché non ci sono modi di limitarla. Il suo uso sarà orientato dal mercato e non dall’etica.
Avanziamo dunque verso il buio, se si pensa ad esempio che in Inghilterra la selezione di embrioni è stata autorizzata persino per evitare lo strabismo».
Insomma, il sogno-incubo di un uomo 'ideale'…
«Resta diffusa un’ideologia profonda secondo la quale saremmo dei prodotti fabbricati dal nostro Dna, il quale sarebbe anche il punto di riferimento della nostra identità. Si tratta di una favola, di una mistificazione totale che certi genetisti hanno contribuito lo stesso a divulgare. Partendo da ciò, si può immaginare di selezionare gli individui in funzione della qualità del loro Dna per avere una società più competitiva ed efficace».
Lei ha definito gli organismi geneticamente modificati, in particolare le piante, come un 'bluff tecnologico'. Una provocazione? «No, la semplice realtà. Si tratta di un bluff perché ci viene detto, e molti politici ci credono, che le piante Ogm permetteranno di nutrire il pianeta e aumentare la produzione. Tutto è falso dall’inizio alla fine. Le ricerche in questo campo non hanno mai ottenuto veri risultati e forse non ne otterranno mai. È l’ideologia della promessa, non certo la realtà. Ma dietro ci sono interessi economici enormi».
Dietro a queste mistificazioni, c’è anche una crisi d’identità della scienza? «Mi rincresce che la scienza non si occupi più della conoscenza, che rappresentava in fondo la bellezza della scienza, volta ad aprire lo spirito, diffondere nuovi concetti, comprendere il vivente, l’inerte, il cosmo. Cose meravigliose. Si tratta ormai di attività in fase di ripiegamento perché non sono abbastanza redditizie e le conoscenze che abbiamo già sono utilizzate molto presto per produrre innovazione, con brevetti e sfruttamento nel mercato».
Eppure, tanti parlano lo stesso dell’odierno 'trionfo scientifico'…
«L’attività dei laboratori oggi non è più a scopo scientifico, ma tecnologico. Vi sono certamente ancora aspetti scientifici nei laboratori, della ricerca fondamentale. Ma anche questa è sempre più orientata alla produzione di qualcosa sotto contratto. Non siamo più in un sistema della scienza libera. Oggi, prevalgono specialisti che non hanno una visione sufficiente del rapporto fra il loro campo e il resto del mondo. Ma i politici interrogano gli esperti per stabilire regolamentazioni, le quali finiscono spesso per avere una visione ristretta degli effetti di una data tecnologia sulla società».
Quali miti scientifici occorrerebbe rimettere in discussione?
«Occorre arginare lo scientismo, ovvero coloro che credono che solo la scienza, o principalmente la scienza, può permetterci di salvare il mondo, di emanciparlo. Abbiamo creduto a ciò fin dall’Illuminismo, ma oggi non possiamo più credere a una stupidaggine simile».