Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI presenta la figura di Sant’Efrem, il Siro
2) Riconciliazione e aiuto per superare la sindrome post-aborto I Centri di Aiuto alla Vita pronti ad aiutare le donne ricorse all’aborto
3) I GENITORI E LA SCUOLA - SE LI COINVOLGIAMO SULLE COSE CHE CONTANO
4) Pillola abortiva. E siamo alla 16ª vittima
5) C’è ancora vita dopo il coma
6) Gli amici di Cristo, ecco la vera storia - Rudolf Schnackenburg, Freundschaft mit Jesus ( Amicizia con Gesù, pp. 122, euro 10
7) Oggi Promessi Sposi, ciclo di letture e mostra a Milano, Corriere della Sera, 29.11.2007
Benedetto XVI presenta la figura di Sant’Efrem, il Siro
Catechesi per l'Udienza generale
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 28 novembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro, dove ha incontrato i pellegrini e i fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nella sua riflessione, continuando il ciclo di catechesi sui Padri della Chiesa, si è soffermato sulla figura di Sant’Efrem, il Siro.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
secondo l'opinione comune di oggi, il cristianesimo sarebbe una religione europea, che avrebbe poi esportato la cultura di questo Continente in altri Paesi. Ma la realtà è molto più complessa, poiché la radice della religione cristiana si trova nell'Antico Testamento e quindi a Gerusalemme e nel mondo semitico. Il cristianesimo si nutre sempre a questa radice dell'Antico Testamento. Anche la sua espansione nei primi secoli si è avuta sia verso occidente – verso il mondo greco-latino, dove ha poi ispirato la cultura europea – sia verso oriente, fino alla Persia, all'India, contribuendo così a suscitare una specifica cultura, in lingue semitiche, con una propria identità. Per mostrare questa pluriformità culturale dell’unica fede cristiana degli inizi, nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato di un rappresentante di questo altro cristianesimo, Afraate il saggio persiano, da noi quasi sconosciuto. Nella stessa linea vorrei parlare oggi di sant'Efrem Siro, nato a Nisibi attorno al 306 in una famiglia cristiana. Egli fu il più importante rappresentante del cristianesimo di lingua siriaca e riuscì a conciliare in modo unico la vocazione del teologo e quella del poeta. Si formò e crebbe accanto a Giacomo, Vescovo di Nisibi (303-338), e insieme a lui fondò la scuola teologica della sua città. Ordinato diacono, visse intensamente la vita della locale comunità cristiana fino al 363, anno in cui Nisibi cadde nelle mani dei Persiani. Efrem allora emigrò a Edessa, dove proseguì la sua attività di predicatore. Morì in questa città l’anno 373, vittima del contagio contratto nella cura degli ammalati di peste. Non si sa con certezza se era monaco, ma in ogni caso è sicuro che è rimasto diacono per tutta la sua vita ed ha abbracciato la verginità e la povertà. Così appare nella specificità della sua espressione culturale la comune e fondamentale identità cristiana: la fede, la speranza — questa speranza che permette di vivere povero e casto in questo mondo ponendo ogni aspettativa nel Signore — e infine la carità, fino al dono di se stesso nella cura degli ammalati di peste.
Sant'Efrem ci ha lasciato una grande eredità teologica: la sua considerevole produzione si può raggruppare in quattro categorie: opere scritte in prosa ordinaria (le sue opere polemiche, oppure i commenti biblici); opere in prosa poetica; omelie in versi; infine gli inni, sicuramente l’opera più ampia di Efrem. Egli è un autore ricco e interessante per molti aspetti, ma specialmente sotto il profilo teologico. La specificità del suo lavoro è che in esso si incontrano teologia e poesia. Volendoci accostare alla sua dottrina, dobbiamo insistere fin dall’inizio su questo: sul fatto cioè che egli fa teologia in forma poetica. La poesia gli permette di approfondire la riflessione teologica attraverso paradossi e immagini. Nello stesso tempo la sua teologia diventa liturgia, diventa musica: egli era infatti un grande compositore, un musicista. Teologia, riflessione sulla fede, poesia, canto, lode di Dio vanno insieme; ed è proprio in questo carattere liturgico che nella teologia di Efrem appare con limpidezza la verità divina. Nella sua ricerca di Dio, nel suo fare teologia, egli segue il cammino del paradosso e del simbolo. Le immagini contrapposte sono da lui largamente privilegiate, perché gli servono per sottolineare il mistero di Dio.
Non posso adesso presentare molto di lui, anche perchè la poesia è difficilmente traducibile, ma per dare almeno un'idea della sua teologia poetica vorrei citare in parte due inni. Innanzitutto, anche in vista del prossimo Avvento, vi propongo alcune splendide immagini tratte dagli inni Sulla natività di Cristo. Davanti alla Vergine Efrem manifesta con tono ispirato la sua meraviglia:
"Il Signore venne in lei
per farsi servo.
Il Verbo venne in lei
per tacere nel suo seno.
Il fulmine venne in lei
per non fare rumore alcuno.
Il pastore venne in lei
ed ecco l’Agnello nato, che sommessamente piange.
Poiché il seno di Maria
ha capovolto i ruoli:
Colui che creò tutte le cose
ne è entrato in possesso, ma povero.
L’Altissimo venne in lei (Maria),
ma vi entrò umile.
Lo splendore venne in lei,
ma vestito con panni umili.
Colui che elargisce tutte le cose
conobbe la fame.
Colui che abbevera tutti
conobbe la sete.
Nudo e spogliato uscì da lei,
egli che riveste (di bellezza) tutte le cose"
(Inno "De Nativitate"11, 6-8).
Per esprimere il mistero di Cristo Efrem usa una grande diversità di temi, di espressioni, di immagini. In uno dei suoi inni, egli collega in modo efficace Adamo (nel paradiso) a Cristo (nell’Eucaristia):
"Fu chiudendo
con la spada del cherubino,
che fu chiuso
il cammino dell’albero della vita.
Ma per i popoli,
il Signore di quest’albero
si è dato come cibo
lui stesso nell’oblazione (eucaristica).
Gli alberi dell’Eden
furono dati come alimento
al primo Adamo.
Per noi, il giardiniere
del Giardino in persona
si è fatto alimento
per le nostre anime.
Infatti tutti noi eravamo usciti
dal Paradiso assieme con Adamo,
che lo lasciò indietro.
Adesso che la spada è stata tolta
laggiù (sulla croce) dalla lancia
noi possiamo ritornarvi"
(Inno 49,9-11).
Per parlare dell’Eucaristia Efrem si serve di due immagini: la brace o il carbone ardente, e la perla. Il tema della brace è preso dal profeta Isaia (cfr 6,6). E’ l’immagine del serafino, che prende la brace con le pinze, e semplicemente sfiora le labbra del profeta per purificarle; il cristiano, invece, tocca e consuma la Brace, che è Cristo stesso:
"Nel tuo pane si nasconde lo Spirito
che non può essere consumato;
nel tuo vino c’è il fuoco che non si può bere.
Lo Spirito nel tuo pane, il fuoco nel tuo vino:
ecco una meraviglia accolta dalle nostre labbra.
Il serafino non poteva avvicinare le sue dita alla brace,
che fu avvicinata soltanto alla bocca di Isaia;
né le dita l’hanno presa, né le labbra l’hanno inghiottita;
ma a noi il Signore ha concesso di fare ambedue cose.
Il fuoco discese con ira per distruggere i peccatori,
ma il fuoco della grazia discende sul pane e vi rimane.
Invece del fuoco che distrusse l’uomo,
abbiamo mangiato il fuoco nel pane
e siamo stati vivificati"
(Inno "De Fide"10,8-10).
E ancora un ultimo esempio degli inni di sant'Efrem, dove parla della perla quale simbolo della ricchezza e della bellezza della fede:
"Posi (la perla), fratelli miei, sul palmo della mia mano,
per poterla esaminare.
Mi misi ad osservarla dall’uno e dall’altro lato:
aveva un solo aspetto da tutti i lati.
(Così) è la ricerca del Figlio, imperscrutabile,
perché essa è tutta luce.
Nella sua limpidezza, io vidi il Limpido,
che non diventa opaco;
e nella sua purezza,
il simbolo grande del corpo di nostro Signore,
che è puro.
Nella sua indivisibilità, io vidi la verità,
che è indivisibile"
(Inno "Sulla Perla" 1, 2-3).
La figura di Efrem è ancora pienamente attuale per la vita delle varie Chiese cristiane. Lo scopriamo in primo luogo come teologo, che a partire dalla Sacra Scrittura riflette poeticamente sul mistero della redenzione dell’uomo operata da Cristo, Verbo di Dio incarnato. La sua è una riflessione teologica espressa con immagini e simboli presi dalla natura, dalla vita quotidiana e dalla Bibbia. Alla poesia e agli inni per la liturgia, Efrem conferisce un carattere didattico e catechetico; si tratta di inni teologici e insieme adatti per la recita o il canto liturgico. Efrem si serve di questi inni per diffondere, in occasione delle feste liturgiche, la dottrina della Chiesa. Nel tempo essi si sono rivelati un mezzo catechetico estremamente efficace per la comunità cristiana.
E’ importante la riflessione di Efrem sul tema di Dio creatore: niente nella creazione è isolato, e il mondo è, accanto alla Sacra Scrittura, una Bibbia di Dio. Usando in modo sbagliato la sua libertà, l’uomo capovolge l’ordine del cosmo. Per Efrem è rilevante il ruolo della donna. Il modo in cui egli ne parla è sempre ispirato a sensibilità e rispetto: la dimora di Gesù nel seno di Maria ha innalzato grandemente la dignità della donna. Per Efrem, come non c’è Redenzione senza Gesù, così non c’è Incarnazione senza Maria. Le dimensioni divine e umane del mistero della nostra redenzione si trovano già nei testi di Efrem; in modo poetico e con immagini fondamentalmente scritturistiche, egli anticipa lo sfondo teologico e in qualche modo lo stesso linguaggio delle grandi definizioni cristologiche dei Concili del V secolo.
Efrem, onorato dalla tradizione cristiana con il titolo di "cetra dello Spirito Santo", restò diacono della sua Chiesa per tutta la vita. Fu una scelta decisiva ed emblematica: egli fu diacono, cioè servitore, sia nel ministero liturgico, sia, più radicalmente, nell’amore a Cristo, da lui cantato in modo ineguagliabile, sia infine nella carità verso i fratelli, che introdusse con rara maestria nella conoscenza della divina Rivelazione.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i religiosi Fatebenefratelli, le Suore della Carità Domenicane della Presentazione, i partecipanti alla Scuola di formazione promossa dal Movimento dei Focolari, i rappresentanti del Centro Italiano di Solidarietà di Viterbo e i fedeli provenienti da Cervia. Cari amici, auguro che la sosta presso i luoghi sacri vi rinsaldi nell’adesione a Cristo e alimenti la carità nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità. Saluto gli incaricati della diffusione nel mondo de L’Osservatore Romano, accompagnati dal Direttore responsabile prof. Giovanni Maria Vian e dal Direttore generale Don Elio Torrigiani. Cari amici, vi ringrazio per il vostro impegno nel promuovere gli insegnamenti del Papa in tutto il mondo e vi accompagno con un particolare ricordo nella preghiera, perché il Signore vi ricolmi di copiosi doni spirituali.
Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. La figura dell’apostolo Andrea, la cui festa si celebrerà nei prossimi giorni, sia per voi, cari giovani, un modello di fedele e coraggiosa testimonianza cristiana. Sant’Andrea interceda per voi, cari ammalati, affinché la consolazione divina promessa da Gesù agli afflitti riempia i vostri cuori e vi fortifichi nella fede. E voi, cari sposi novelli, impegnatevi a corrispondere sempre al progetto di amore del quale Cristo vi ha resi partecipi con il sacramento del matrimonio.
[APPELLO DEL SANTO PADRE]
Il 1° dicembre prossimo ricorrerà la Giornata Mondiale contro l’AIDS. Sono spiritualmente vicino a quanti soffrono per questa terribile malattia come pure alle loro famiglie, in particolare a quelle colpite dalla perdita di un congiunto. Per tutti assicuro la mia preghiera.
Desidero, inoltre, esortare tutte le persone di buona volontà a moltiplicare gli sforzi per fermare la diffusione del virus HIV, a contrastare lo spregio che sovente colpisce quanti ne sono affetti, e a prendersi cura dei malati, specialmente quando sono ancora fanciulli.
[© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana]
Riconciliazione e aiuto per superare la sindrome post-aborto I Centri di Aiuto alla Vita pronti ad aiutare le donne ricorse all’aborto
I GENITORI E LA SCUOLA - SE LI COINVOLGIAMO SULLE COSE CHE CONTANO
Avvenire, 29.11.2007
DAVIDE RONDONI
E ora che solo uno su dieci dei genitori è andato a votare nelle elezioni scolastiche negli istituti statali, si scopre che c’è qualcosa che non va. Sì, insomma, di fronte al grande segno di disinteresse rispetto alla partecipazione prevista dagli attuali ordinamenti ci si domanda: come mai ai genitori interessa poco o niente della scuola? Sembrava questa ieri la domanda prevalente sui media che si sono occupati della faccenda. Dalle percentuali di partecipazione del ’74, anno di attuazione, che videro il 77% dei genitori delle scuole elementari, il 72,7% delle medie e il 60% delle superiori, si è scesi inesorabilmente fino agli attuali 29,8 e 21,0 e 10,1.
Dunque, ai genitori interessa davvero poco della scuola dei loro figli? Si possono fare infinite analisi sul dato, ma il cuore del problema non deve sfuggire: la scuola come è organizzata tiene lontano i genitori da una responsabilità attiva. Certo, molti genitori sono pure svogliati e approssimativi. Ma il grosso del problema è un altro. Lo ha centrato l’ex ministro De Mauro in un’intervista di ieri. Infatti, mentre Maria Laura Rodotà invitava i genitori a partecipare ad assemblee per affrontare il problema della sicurezza fuori dalle scuole e per scegliere quali tende ricevere, De Mauro accusava l’attuale centralismo e la mancanza di reale autonomia delle scuole, e dunque la possibilità di coinvolgere i genitori in scelte davvero qualificanti. Come la scelta dei docenti, degli orari, dei contenuti e delle modalità di insegnamento. Chiedere il parere ai genitori solo sulle tende e su problemi di sicurezza, per quanto importanti, significa di fatto escluderli dalla reale missione della scuola, che è quella di istruire educando.
Questa esclusione è figlia di un’idea per cui lo Stato presume di avere l’esclusiva 'paternità' dei contenuti e delle modalità formativi ed educativi. In altre parole, è come se la scuola di Stato dicesse: venite, lasciateci i vostri figli da formare, costa poco, e in cambio vi chiediamo poco, al massimo un parere sulle tende e su come tenere lontani brutti ceffi dai cancelli. Una cultura della irresponsabilità, figlia del centralismo statalista, difesa, come riconosce lo stesso ex-ministro, da molti tra coloro che son chiamati a prendere decisioni «sia nel Parlamento che tra le rappresentanze politiche e sindacali ».
De Mauro parla di grandi resistenze. Ma cosa difendono costoro? Dinanzi a ogni proposta che vuole movimentare l’attuale sistema scolastico, statalista e depresso, si alza un coro di resistenti. Che accusando ora uno ora l’altro – il ministro se vuol cambiar qualcosa, i cattolici perché vogliono parità e libertà scolastica, o Confindustria che chiede a sua volta scelte innovative – si attesta sulla difesa dell’esistente.
Ora anche dal mondo dei genitori arriva un segnale, disperatamente forte: questa scuola ci interessa poco. Forse è ora di chiedere uno scatto di responsabilità a tutti. Una scuola poco interessante per i ragazzi, per i genitori e per chi ci si impegna tutti i giorni è una scuola malata. Che ammala l’intera società di cui è silenzioso ma quotidiano humus. Mentre si fa anche troppo parlare di altri problemi minori, snobbare il segnale lanciato dai genitori sarebbe una grave miopia. Certo, si possono migliorare i meccanismi di rappresentanza. Si possono fare modifiche qua e là. Ma c’è un impianto generale a cui metter mano. Lo possono fare uomini coraggiosi e fiduciosi nel futuro. Che non abbiano paura di chiedere più responsabilità a tutti nell’opera grande e delicata della educazione. Ai docenti responsabilità nei confronti della verità e della libertà. Ai genitori nei confronti della maturità dei propri figli. Agli studenti nei confronti di un compito che non si esaurisce nel solo cavarsela.
Occorrono uomini che non badino solo al calcolo o alla difesa di posizioni di rendita. Per educare, occorre amare la vita più che il proprio tornaconto.
SILENZIO OMERTOSO IN VISTA DEL VARO
Pillola abortiva. E siamo alla 16ª vittima
Avvenire, 29.11.2007
EUGENIA ROCCELLA
E siamo a sedici. La pillola abortiva Ru486, che forse tra pochi mesi sarà commercializzata in Italia, ha provocato la morte di un’altra donna, che va ad aggiungersi alle quindici di cui abbiamo già dato notizia. Una notizia, però, che quasi nessuno ha raccolto. La grande stampa italiana ha ostinatamente ignorato queste morti, e ha preferito prendere per buono il ritornello ripetuto meccanicamente dai sostenitori della pillola: si tratta di un farmaco assolutamente sicuro, usato in Europa da anni, e l’Italia, autorizzandone la diffusione, non farebbe altro che colmare un vistoso ritardo. Pazienza, ci siamo abituati: che i mezzi di comunicazione di massa filtrino le notizie secondo il proprio orientamento ideologico non sorprende.
Sorprende invece, e soprattutto inquieta, che persino chi ha il compito ufficiale di vigilare sulla sicurezza dei farmaci non disponga di informazioni certe sul numero delle morti.
Nell’ultimo bollettino dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) si può leggere un articolo intitolato «Ru 486: efficacia e sicurezza di un farmaco che non c’è». Lo scopo del pezzo, si legge nel sommario, è di fornire «un aggiornamento dettagliato» sulla pillola abortiva, ma la bibliografia non appare molto aggiornata. Le morti, secondo l’articolo, sarebbero in tutto 9, di cui 6 per sepsi. I conti non tornano: le donne morte per sepsi sono già 9, mentre il totale dei decessi è arrivato, con quest’ultimo tragico caso (ne parliamo diffusamente nell’inserto «è vita») appunto a 16. Non è, però, la sola lacuna dell’articolo citato; anche la contabilità degli eventi avversi non è aggiornata, mentre le percentuali di efficacia si basano su fonti e criteri di valutazione molto discutibili. Nel testo, fra l’altro, non si accenna a uno degli aspetti sanitari più problematici del metodo chimico: circa il 20% delle donne francesi e addirittura il 50% delle inglesi che si rivolgono alle cliniche «Marie Stopes» non si presentano alla visita finale di controllo, e degli esiti dell’aborto non si sa più nulla. Su tutto questo, e su altre informazioni imprecise o incomplete contenute nell’articolo del Bollettino Aifa, torneremo con maggiori dettagli. Oggi vogliamo soltanto ricordare la ragazza di diciott’anni, senza volto, senza nome, senza storia, che è morta grazie alla pillola che i media americani chiamano da tempo «kill pill».
Le 16 donne che hanno pagato così duramente la loro scelta di interrompere la gravidanza, in Europa non hanno mai avuto l’onore di una pagina di giornale. Nessuno ha raccontato la vicenda di Rebecca Tell Berg, sedicenne svedese morta sotto la doccia per una violenta e inarrestabile emorragia, o di Oriane Shevin, figlia del presidente del Comitato nazionale di bioetica francese Didier Sicard. Nemmeno la morte della diciottenne Holly Patterson, che negli Usa ha provocato una campagna di stampa sulle misteriose infezioni letali provocate dal batterio Clostridium, ha avuto eco in Europa. Il velo di silenzio che avvolge i decessi da aborto chimico è così fitto che il New York Times ha avanzato l’ipotesi che le morti possano essere più di quelle di cui con tanta fatica si riesce a sapere qualcosa. Ci auguriamo che l’Agenzia italiana del farmaco, che dovrà esaminare la documentazione scientifica sulla Ru486 per autorizzarne l’eventuale registrazione nel nostro Paese, non si fermi a un approccio superficiale, e svolga in piena trasparenza il proprio compito, offrendo una risposta convincente ai tanti dubbi che la pillola suscita.
Ci auguriamo che l’Agenzia del farmaco non si fermi a un approccio superficiale
C’è ancora vita dopo il coma
Francesca Lozito
Avvenire, 29.11.2007
Ci sarà Maurizio, il papà di Juri.
Anna, mamma di Riccardo. E poi Gianna, mamma di Luigi. Ci sarà la sorella di Paolo. E, naturalmente, ci saranno genitori di Luca. Nomi che fanno parte di una piccola grande storia collettiva: aver vissuto un’esperienza di coma. È senza dubbio un esperimento interessante quello che si terrà questa sera alle 21 al teatro Dehon di Bologna. Nell’ambito della seconda edizione di «Teatro nel risveglio, rassegna delle differenze» l’associazione «Gli amici di Luca» promuove la serata «Ti racconto la mia storia... convivere con la malattia: le famiglie testimoniano la loro esperienza». Si tratta di un reading poetico al quale sono chiamati ad intervenire familiari che hanno vissuto o stanno vivendo le problematiche del coma e degli stati vegetativi. Familiari che hanno perso qualcuno mentre ancora speravano, o che stanno ancora accompagnando qualcuno aspettando il suo risveglio.
«Ero restia a salire su un palco – dice Anna di Reggio Emilia, la mamma di Riccardo che quattro anni fa è entrato in coma in seguito ad un incidente con il motorino – ma penso che il mio racconto possa dare forza a tante altre persone che hanno vissuto la nostra stessa situazione».
Lei leggerà una lettera rivolta direttamente a suo figlio, che oggi pian piano si sta riprendendo: «Una strada difficile – ammette Anna – perché cambia completamente la prospettiva di vita».
Per Fulvio De Nigris, colui che ha voluto fortemente la creazione della prima «Casa dei risvegli» a Bologna e che ha vissuto l’esperienza drammatica di un figlio morto a 16 anni dopo un lungo coma, «dare la possibilità ai genitori di potersi esprimere direttamente vuol dire andare incontro a loro desiderio di parlare, di fare comunità, di dare valore alla propria esperienza». Una realtà, quella bolognese, in cui la struttura scientifica di eccellenza si affianca ad un’intensa attività culturale, che tra l’altro sembra destinata a non rimanere un unicum in Italia.
Da qualche tempo a Napoli è nata l’associazione «Amici di Eleonora», gemella degli «Amici di Luca». È animata da Margherita Rocco e Claudio Lunghini, genitori di Eleonora – una bimba nata nell’agosto del 2003, dopo un parto in situazione disperata, per mesi in coma e morta nel gennaio 2004 – attorno ai quali si sono raccolti un gruppo di amici, medici, professionisti e familiari che hanno profuso tutto il loro impegno per la costituzione di centri specializzati sul coma.
E un primo risultato lo hanno ottenuto: nel piano ospedaliero regionale 2006-2008, approvato nei mesi scorsi, sono previste due strutture di questo genere, una presso l’Azienda Ospedaliera SantobonoPausillipon di Napoli, per il settore neo-natale, e l’altra presso l’Azienda Ospedaliera Rummo di Benevento, per gli altri casi. In che tempi se ne può prevedere la realizzazione? «È molto probabile che sarà quella di Benevento ad essere inaugurata prima – spiega Lunghini – al Santobono oltre ai problemi economici ci sono criticità per quanto riguarda l’ubicazione». La situazione al sud per la cura di chi esce dalle rianimazioni, e deve riprendere la propria vita dopo essere stata in coma, è senza dubbio difficile, ci sono unità di risveglio solo a Lagonegro e a Crotone: «Ogni giorno – continua Lunghini – riceviamo richieste di familiari di malati, ma anche di primari di rianimazioni che non sanno dove collocare i pazienti in fase post-acuta. E sono richieste che non possiamo ancora esaudire. Fino a quando non verranno inaugurate le due Case».
Gli amici di Cristo, ecco la vera storia
DI MARCO RONCALLI
Avvenire, 29.11.2007
Quando nel suo volume Gesù di Nazaret, Benedetto XVI scrive di voler andare oltre apprezzati studi storico-critici per incontrare nuovamente la persona di Gesù – auspicando un approccio che passa attraverso la Parola e i sacramenti – pare sceglierlo a rappresentante dell’esegesi scientifica contemporanea. Papa Ratzinger «dialoga» con lui nella premessa metodologica del suo libro, ne prende le distanze, va oltre, e alla conclusione della sua opera – pronunciandosi sulle «immagini» che Gesù si attribuisce nel Vangelo di Giovanni («Io sono il pane della vita – la luce del mondo – la porta – il buon pastore – la risurrezione e la vita – la via, la verità e la vita – la vera vite»... cui aggiunge «la sorgente d’acqua»), torna a citarlo, osservando che queste espressioni figurate non sono che variazioni sull’unico tema: il Gesù venuto nel mondo che ci dà la vita perché ci dà Dio. Stiamo parlando di Rudolf Schnackenburg, teologo ed esegeta tedesco, autore di numerose pubblicazioni (la più celebre è un commento in 4 volumi al Vangelo di Giovanni), mancato 5 anni fa. Di lui la Morcelliana manda ora in libreria la prima traduzione di Freundschaft mit Jesus ( Amicizia con Gesù, pp. 122, euro 10), la sua ultima opera dove – in sintonia con diverse delle successive pagine del Gesù di Nazaret di papa Benedetto (nelle quali emerge la convinzione che il metodo storico-critico non basta da solo per comprendere la piena identità di Gesù) – si rivela non solo un maestro dell’esegesi cattolica neotestamentaria, ma anche un pensatore che vuole offrire la sua risposta alla domanda sull’attualità del Figlio di Dio.
Ecco perché, analizzate criticamente e in sintesi alcune immagini attuali di Gesù («il rivoluzionario», «l’esseno», «il crocifisso ma non risorto»…), Schnackenburg subito spiega la sua visione della figura e del significato di Gesù. Che non si esaurisce con la sua comparsa storica, ma nella quale egli viene riconosciuto proprio come colui che continua a vivere: «Il Vivente nei cuori di molti, che affascina (...). Gesù, il mio amico, l’amico di tutti gli uomini». Beninteso, dopo aver insistito sul dato della resurrezione come nucleo e parte costitutiva irrinunciabile della professione di fede. E dopo aver dato risalto all’inadeguatezza delle interpretazioni che appiattiscono la figura di Gesù, a partire dagli stessi riferimenti biblici che gli consentono di mostrarci Gesù come realizzazione assoluta dell’amicizia in una persona.
Queste pagine finiscono dunque per costituire una introduzione spirituale a Gesù, per gli uomini d’oggi che ne desiderano l’incontro nella loro ricerca di senso, che cercano il dono della sua amicizia. Per essere persone capaci di perdono, pronte a farsi sollevare dalla debolezza, e a colmare la coscienza con il dovere interiore dell’amore.
Significative le pagine dedicate – come esempio – da Schnackenburg alla Comunità di Sant’Egidio: a sottolineare come questo movimento vuol cambiare il mondo «attingendo allo spirito di Gesù» aggiungendo che «nell’amicizia con vecchi e malati, con persone d’altra razza e religione, con persone avvilite dalla guerra e dalla guerra civile, dalla fame e dalla miseria, dà prova di sé l’amicizia con Gesù».
Certo, Gesù non ha parlato molto di amicizia. Piuttosto ha comandato l’amore ai nemici. È forse nel Vangelo di Giovanni che apprendiamo come egli valuti l’amicizia (della quale il quarto evangelista accoglie l’idea ellenistica trasponendola sul piano cristiano). Ecco allora l’amico Lazzaro, Simon Pietro, Maria Maddalena, ma soprattutto ecco l’idea – in Giovanni, ma anche in Paolo– del «farsi uno con Cristo», sopportando prove e sofferenze per suo amore. Nelle ultime pagine Schnackenburg offre risalto infine a Gesù «modello umano»: disamina sulla sua piena disposizione d’amicizia verso gli uomini. Lo fa richiamando il teologo Karl Adam (del quale già nel 1931 Morcelliana aveva edito Cristo nostro fratello), poi accennando alle esperienze che di Gesù come modello umano hanno fatto i suoi discepoli.
Premesso che «ciò che Gesù esigeva e attendeva dai suoi discepoli lo realizzava lui stesso nella sua vita», Schnackenburg parla della povertà, del celibato (anche sacerdotale e ricordando che «Gesù ha suggerito ai suoi discepoli di rinunciare al matrimonio 'per il regno dei cieli', ma non ne ha fatto un comando»), della dedizione al servizio. «L’agire di Gesù è sempre il parametro per i discepoli. Nelle sue concezioni e modalità d’azione diviene per loro modello umano. Per quanto spesso i discepoli irretiti nella logica umana lo deludano nel loro comportamento, Gesù non rinuncia mai alla loro amicizia», scrive l’autore. E ammette: «Gesù non poteva essere in tutto un modello umano per i suoi discepoli. Tuttavia resta che, nonostante il potere a lui elargito da Dio e la sua gloria che traluceva già sulla terra, egli rimane loro amico e confidente».
Lazzaro, Simon Pietro, Maria Maddalena... Indagandone i rapporti umani, il teologo tedesco fornisce un’immagine storica del Nazareno diversa da quella del «rivoluzionario» o dell’«esseno», oggi di moda
Oggi Promessi Sposi
Roberta Scorranese, 29.11.2007, Corriere della Sera