venerdì 30 novembre 2007

Nella rassegna stampa di oggi:

1) LETTERA ENCICLICA -SPE SALVI
2) PER LA PACE NEL MONDO OBIETTIVO PRIMO: LA DIGNITÀ DELLA PERSONA
3) Risposta del Papa alla lettera aperta di 138 leader religiosi musulmani
4) La Chiesa: non ci obbligheranno al silenzio
5) Un creatore? Why not?
6) Il nostro destino non è scritto nel solo DNA
7) Emergenza educativa, sfida pastorale
8) Embrioni, la moratoria «sbarca» a Strasburgo
9) Un fisco «formato famiglia»
10) «Un dossier che fa aprire gli occhi» -Le scuole paritarie fanno risparmiare 6 miliardi allo Stato



LETTERA ENCICLICA -SPE SALVI


PER LA PACE NEL MONDO OBIETTIVO PRIMO: LA DIGNITÀ DELLA PERSONA
Avvenire, 30.11.2007
ANDREA LAVAZZA
C’è molto più d’alti scambi di formule diplomatiche nelle lette­re che si sono indirizzati a stretto giro (è il caso di sottolinearlo data la deli­catezza dei temi) 138 leader del mon­do musulmano e Benedetto XVI per il tramite del suo Segretario di Stato. E benché non ci si possa nascondere la differenza oggettiva di rappresentati­vità tra un gruppo di mufti e ayatollah, pur autorevoli, e il capo della Chiesa cattolica, resta il significativo avvio di un dialogo senza simile precedente in tempi recenti.
«Se i musulmani e i cristiani non so­no in pace, il mondo non può esser­lo », scrivevano i 138, cercando di dis­sipare le nuvole che fuorvianti inter­pretazioni del discorso papale di Ra­tisbona avevano fatto addensare sul­l’orizzonte del confronto interreligio­so. E le novità del testo non si limita­vano agli auspici e ai toni: per la pri­ma volta, per riferirsi a Cristo, si cita­va il Vangelo e non il Corano. La con­danna del terrorismo fondamentali­sta chiudeva poi una missiva di in­dubbia portata.
La risposta giunta ora dalla Santa Se­de completa la prima fase di quello che si può auspicare sia l’avvio di u­na diversa stagione. Siamo per ora al­l’alba, e sarebbe sbagliato farsi sover­chie illusioni di un cammino rapido e privo di ostacoli. Basti dire che il messaggio iniziale non ha certo tro­vato larga eco nel mondo islamico, mentre non sono mancati rilievi cri­tici alle «aperture» e alle «concessio­ni » ritenute eccessive.
Diverso l’apprezzamento che Bene­detto XVI ha voluto esprimere nella sua lettera, costruita tutta in positivo, nella quale, con la consapevolezza del­le differenze, si dà atto del passo com­piuto e si rilancia attraverso la propo­sta di un incontro diretto offerto al pri­mo firmatario, il principe giordano Ghazi bin Muhammad bin Talal.
Il Papa, attraverso il cardinale Bertone, riafferma l’importanza del dialogo ba­sato sul rispetto effettivo della dignità della persona, sulla oggettiva cono­scenza della fede dell’altro, sulla con­divisione dell’esperienza religiosa e sull’impegno comune a promuovere mutuo rispetto e accettazione, so­prattutto nelle nuove generazioni. So­no queste le condizioni fondamenta­li che, una volta raggiunte, «renderan­no possibile cooperare in modo pro­duttivo negli ambiti della cultura e del­la società e per la promozione della giustizia e della pace nel mondo».
Se il manifesto dei 138 rimarcava la centralità di musulmani e cristiani, il 55% della popolazione del Pianeta, per la tutela della convivenza, il Pon­tefice, sulla scorta della condivisa fe­de nel Dio unico, creatore e giudice u­niversale, ricorda che l’essere umano è sacro sia per gli uni sia per gli altri. Unicamente quando si giunge ad ac­cettare che la dignità della persona e­sige assoluto ed effettivo rispetto, non solo come principio ma come prassi concreta, può conseguirne un dialo­go proficuo e fecondo.
Ecco, allora, affiorare in filigrana quella mancanza di libertà – non ra­ramente vera persecuzione – che an­cora affligge i fedeli di Cristo in qua­si tutti i Paesi a maggioranza islami­ca. Che nessuno possa essere co­stretto o impedito a praticare una religione è oggi ferma convinzione della Chiesa tutta che tende la ma­no ai fratelli musulmani. Nel vasto arcipelago di fede che fa riferimen­to al Corano si tratta di un principio non ancora pienamente diffuso.
Le parole generose e impegnative che spiccano nelle due lettere costi­tuiscono quindi un invito forte a tut­ti i credenti di buona volontà per­ché barriere cadano e ponti si getti­no fra religioni e culture che resta­no diverse e, proprio per questo, hanno l’opportunità di arricchirsi vicendevolmente.


Risposta del Papa alla lettera aperta di 138 leader religiosi musulmani
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 29 novembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della risposta di Benedetto XVI ai 138 leader religiosi musulmani che il 13 ottobre scorso, in occasione della fine del Ramadan, hanno indirizzato una lettera aperta al Papa e ai responsabili delle altre Chiese e confessioni cristiane.

* * *

Sua Altezza Reale
Principe Ghazi bin Muhammad bin Talal
Palazzo Reale
Amman
Giordania

Dal Vaticano, 19 novembre 2007

Sua Altezza Reale,

Il 13 ottobre 2007, 138 leader religiosi musulmani, tra cui Sua Altezza Reale, hanno firmato una lettera aperta indirizzata a Sua Santità Papa Benedetto XVI e ad altri responsabili cristiani. Lei è stato così gentile da presentarla al Vescovo Salim Sayegh, Vicario del Patriarca Latino di Gerusalemme in Giordania, con la richiesta che fosse trasmessa a Sua Santità.

Il Papa mi ha chiesto di esprimere la sua gratitudine a Sua Altezza Reale e a tutti i firmatari della lettera. Desidera anche trasmettere il suo profondo apprezzamento per questo gesto, per lo spirito positivo che ha ispirato il testo e per l’appello a un impegno comune a promuovere la pace nel mondo.

Senza ignorare o sminuire le nostre differenze in quanto cristiani e musulmani, possiamo e quindi dovremmo guardare a ciò che ci unisce, nella fattispecie al fatto di credere nell’unico Dio, il provvido Creatore e Giudice universale che alla fine dei tempi valuterà ciascuno secondo le sue azioni. Siamo tutti chiamati a dedicarci totalmente a lui e ad obbedire alla sua santa volontà.

Memore del contenuto della sua Lettera Enciclica “Deus Caritas Est” (“Dio è Amore”), Sua Santità è rimasto particolarmente colpito dall’attenzione data nella lettera al duplice comandamento che invita ad amare Dio e il prossimo.

Come sa, all’inizio del suo Pontificato Papa Benedetto XVI ha affermato: “Sono profondamente convinto che dobbiamo affermare, senza cedimenti alle pressioni negative dell’ambiente, i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace. La vita di ogni essere umano è sacra sia per i cristiani che per i musulmani. Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali” (Incontro con i Rappresentanti di alcune Comunità Musulmane, Colonia, 20 agosto 2005). Questo terreno comune ci permette di fondare il dialogo sull’effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana, sulla conoscenza obiettiva della religione dell’altro, sulla condivisione dell’esperienza religiosa e infine sull’impegno comune nella promozione del rispetto e dell’accettazione reciproci tra i più giovani. Il Papa confida nel fatto che, una volta raggiunto questo obiettivo, sarà possibile cooperare in modo produttivo nei campi della cultura e della società, e per la promozione della giustizia e della pace nella società e nel mondo.

Per incoraggiare la vostra lodevole iniziativa, sono lieto di comunicare che Sua Santità avrebbe molto piacere di ricevere Sua Altezza Reale e un ristretto gruppo di firmatari della lettera aperta, scelto da Lei. Allo stesso tempo, potrebbe essere organizzato un incontro di lavoro tra la Sua delegazione e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, con la cooperazione di alcuni Istituti Pontifici specializzati (come il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica e la Pontificia Università Gregoriana). I dettagli precisi di questa riunione potrebbero essere stabiliti in seguito, se Lei considerasse ammissibile la proposta.

Approfitto dell’occasione per ribadire a Sua Altezza Reale la mia più alta considerazione.


Cardinale Tarcisio Bertone
Segretario di Stato



La Chiesa: non ci obbligheranno al silenzio
DA CARACAS
Avvenire, 30.11.2007

Le ultime settimane sono state un’escalation di accuse al vetriolo, condite da insulti pesanti contro la Chiesa cattolica venezuelana. Domenica scorsa Hugo Chavez ha definito come uno «stupido» difensore di «oscuri interessi» il cardinale Jorge Urosa Savino e ha de­scritto i vertici ecclesiastici venezuelani come «il demo­nio ». Dopo aver puntato il dito contro il rettore dell’Uni­versità Cattolica Andres Bello, il gesuita Luis Ugalde, avvertendolo di poter finire in carcere («a Yare»), ha rivol­to la stessa minaccia indiretta al cardinale.
Il vicepresidente Jorge Rodriguez è tornato alla carica martedì, chiedendo alla Conferenza episcopale spiega­zioni su presunte riunioni celebrate in chiese e sedi dio­cesane dove sarebbero state pianificate le azioni violen­te esplose lunedì negli Stati di Aragua e Carabobo, terminate con un morto e diversi feriti.
La Conferenza episcopale ha risposto con un comunicato in difesa del cardinale Savino e di tutti i membri della Chiesa aggrediti verbalmente negli ultimi tempi: «Tutti i cittadini hanno il diritto a mantenere un’opinione sulla proposta di riforma ed esprimerla democraticamente», ma «nessuno ha il diritto di insultare chi è in dissenso con questa». «Mettano pure in carcere i vescovi. Non ci ob­bligheranno al silenzio con azioni di questo tipo», ha det­to il presidente della Conferenza e arcivescovo di Mara­caibo, monsignor Ovidio Perez Morales.
Secondo alcuni osservatori, le relazioni fra il governo e la Chiesa venezuelana vivono il peggior momento dal 1830 ad oggi. Dal primo mandato di Chavez, il rapporto con i vescovi locali è stato caratterizzato da alti e bassi. Ma dopo la pubblicazione di una profonda analisi della riforma costituzionale da parte della Conferenza, la crisi si è aggravata. La riforma – avvertono i prelati – «viola i diritti fondamentali del sistema democratico e della persona», incrementa i poteri del presidente (con il rischio di autoritarismo), «esclude settori politici e sociali del Paese che non sono d’accordo con lo Stato socialista ». Si tratta di un progetto «inutile, moralmente inaccettabile », dice la Cev. La crisi – sottolineano alcuni analisti – potrebbe costare cara a Chavez in termini di immagine popolare. La Chiesa è una delle istituzioni con maggiore credibilità e solidità in Venezuela, un Paese in cui due terzi dei 26 milioni di abitanti si dichiarano cattolici. Impossibile ignora­re questo dato. Non è affatto casuale, dunque, uno stravagante manifesto apparso durante la campagna a favo­re del «sì» alla riforma: raffigura Gesù con la tunica ros­sa (come la camicia socialista del presidente) e il braccio in alto. «Cristo, il primo rivoluzionario», recita lo slogan. Strumentalizzazioni da fine campagna. ( M.Cor.).
Il governo attacca il cardinale di Caracas: difende oscuri interessi. La Conferenza episcopale: «Tutti i cittadini hanno diritto ad esprimere un parere sulle riforme»




Un creatore? Why not?
Di Umberto Fasol
(del 29/11/2007)
Nell’uovo, al momento della fecondazione, entrano il nucleo e il centriolo dello spermatozoo. Rimangono fuori tutto il citoplasma, la membrana cellulare e tutti gli organuli cellulari appartenenti allo spermatozoo. In pratica, entrano soltanto il centro organizzatore della mitosi (il centriolo, che poco dopo si duplicherà) e i cromosomi che contengono le istruzioni di origine paterna.
L’uovo deve fornire tutta la materia prima (il citoplasma), l’energia (i mitocondri) e le catene di produzione dei nuovi prodotti (ribosomi, polimerasi, enzimi) necessari alla nuova vita. I cromosomi paterni, da soli, non possono nemmeno esprimersi: sono come un libro che contiene un messaggio stupendo ma che rimane in attesa di essere aperto da qualcuno per poter «esistere». Il citoplasma dell’uovo ha maturato sostanze che vanno a decondensare la cromatina e ad aprire i siti di inizio dei geni, per consentirne la trascrizione e poi la traduzione, ovvero la formazione delle proteine indispensabili alla nuova vita che si deve sviluppare alla perfezione. Detto in altre parole, è l’uovo, con le sue sostanze, che rende funzionali le istruzioni che erano contenute nello spermatozoo e quindi dà loro senso. E’ come se l’uovo fosse il direttore d’orchestra che decide quando deve suonare il violino e quando la tromba e quando il violoncello, che, altrimenti, rimarrebbero sì presenti in sala, ma perennemente muti.
La domanda che tutti ci poniamo a questo punto è: «Come ha potuto l’uovo diventare direttore dell’orchestra che non ha mai conosciuto prima?», ancora: «Come avrebbe mai potuto l’ambiente dell’uovo (per usare i termini cari ai darwiniani) costruire un sistema complesso (enzimi, energia, materia prima) in grado di interagire con l’ambiente del nucleo dello spermatozoo, che non ha mai visto prima della fecondazione e che proviene addirittura da un altro corpo?» Siamo di fronte ad un fenomeno che ha veramente dell’incredibile! L’ovocita «attende» uno spermatozoo, così come una persona va ad un appuntamento. Sono fatti l’uno per l’altro, eppure non si sono mai visti prima! Invocare, a questo punto, una risposta ragionevole come questa che dice all’incirca così: «l’uovo e lo spermatozoo sono stati progettati dall’esterno del sistema per realizzare una nuova vita individuale» significa uscire dall’ambito della Scienza (con la esse maiuscola, per carità!) e incorrere nella sanzione prevista dalla risoluzione del Parlamento europeo n° 1580 del 4 ottobre 2007, che invita «gli Stati membri e in particolare le autorità educative ad opporsi fermamente all’insegnamento del creazionismo come una disciplina scientifica»? Mi domando: sarebbe più scientifico affermare che le cellule riproduttive sono state selezionate dall’ambiente in tempi che si misurano a milioni di anni, realizzando a piccoli passi, ma in modo assolutamente fortuito e naturale, prima la meiosi, evento di loro esclusiva proprietà, che porta al dimezzamento del numero dei cromosomi attraverso due divisioni cellulari, poi la fecondazione, di cui mantengono l’esclusiva, quindi la mitosi e l’intero sviluppo embrionale, che prevede simmetrie, morfogenesi, organogenesi, sacca amniotica, mancata espulsione uterina, parto miracoloso ed immediato allattamento al seno? Perché dobbiamo abdicare all’uso della ragione proprio quando la stiamo utilizzando al massimo delle sue possibilità, cioè quando siamo alla ricerca della verità delle cose?
Come dire, esemplificando questa volta con l’aiuto dell’ingegneria: tutti vediamo il progetto del cantiere disteso sul tavolo dello studio di professionisti, ma solo la religione può nominare il suo designer; la scienza non può che analizzarne il tratto di matita segmentandolo in milioni di millimetri per cui può dire che si sono accumulati nel tempo, uno dopo l’altro, fortuitamente, selezionati dalla carta (il suo ambiente) e non dalla mano e dalla testa di chi l’ha pensato. Credo, invece, che tutte le volte che abbiamo la possibilità di «allargare la ragione», conferendole fiducia nelle sue capacità di conoscenza e di intuizione, facciamo un profondo servizio alla nostra umanità, perennemente mendicante di verità.




Il nostro destino non è scritto nel solo DNA
Carlo Bellieni spiega le possibili relazioni con l’ambiente
Di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 30 novembre 2007 (ZENIT.org).- Al recente convegno STOQ tenutosi a Roma nei giorni 15-17 novembre scorsi, il professor Carlo Bellieni, neonatologo, docente di Chimica dell'Ambiente all'Università di Siena, ha tenuto una relazione sulle conseguenze possibili dell'ambiente della Fecondazione in Vitro sullo sviluppo embrionale.
ZENIT lo ha intervistato.
Professor Bellieni, è proprio vero che tutto il nostro destino è scritto nel DNA?
Bellieni: Assolutamente no. Bisogna dire che le recenti ricerche mostrano come nello sviluppo umano esista un equilibrio tra una forza centrifuga (quello che è scritto nel nostro DNA) e una forza centripeta (l’azione dell’ambiente), tanto che anche lo sviluppo del sistema nervoso del feto risente di entrambi, in particolare dell’eccesso o dell’assenza di stimoli esterni. Questo dà l’idea di una libertà di fondo nella nostra natura e di una preferenza basale verso il rapporto con “l’altro” rispetto all’ “isolamento” dall’altro.
Lei ha parlato di un ambiente molto particolare, riferendosi all’ambiente della fecondazione. Cosa intendeva?
Bellieni: Bisogna tener presente che nel momento della fecondazione, ma anche su ovulo e spermatozoo, l’ambiente ha un’importanza fondamentale. Il contatto con le cellule della tuba uterina attiva dei recettori sulla parete dell’embrione che a sua volta inizia una specie di dialogo ormonale col corpo della madre. Verranno prodotte sostanze protettive per l’embrione ed esso verrà stimolato verso particolari modifiche. Cambiare la scena in cui avviene la prima fase della nostra vita non è cosa da poco. Ad esempio recenti studi hanno mostrato come la luce o diverse concentrazioni di ossigeno possano modificare lo sviluppo dell’embrione. Questo deve farci riflettere.
In che senso?
Bellieni: Nel senso che sfiorare qualcosa che per sua natura non dovrebbe essere sfiorato è un atto da fare con la massima cura. L’epigenetica è una branca della biologia che studia proprio questo: l’importanza delle esperienze con l’ambiente per l’espressione dei geni. In poche parole, per via di proteine presenti nel nucleo o di gruppi metilici, alcuni geni vengono “silenziati” a seconda degli stimoli esterni che la cellula subisce.
Ci può fare degli esempi?
Bellieni: Randy Jirtle, genetista statunitense, scrive: “Ogni nutrimento, ogni interazione, ogni esperienza può manifestarsi attraverso cambiamenti biochimici che dettano l’espressione di geni, talora alla nascita, talora 40 anni dopo. […] Non possiamo dire se i geni o l’ambiente abbiano il maggior impatto sulla nostra salute perché sono inesorabilmente legati”. Asim Duttaroy, docente di Scienza della Nutrizione ad Oslo, riportava che lo scarso nutrimento del feto porta a modificazioni dell’espressione di alcuni geni, che porteranno a manifestare obesità, ipertensione e diabete in età adulta; e la rivista Pediatric Research spiega che l’epigenetica è alla base della miglior risposta allo stress che avrà in età adulta l’individuo che è stato oggetto di un serrato contatto con la madre da piccolo.
Ci può far un esempio di come si può modificare l’ambiente uterino?
Bellieni: Un esempio si trova nella diagnosi preimpianto. Questa è l’analisi del DNA che si esegue in una cellula sottratta ad un embrione fatto in totale di otto cellule, al fine di scartarlo se il DNA analizzato non ci soddisfa. Quest’analisi si fa per scartare gli embrioni malati e anche quelli imperfetti, in modo da aumentare le possibilità di impianto dell’embrione. Invece l‘autorevole New England Journal of Medicine ha di recente pubblicato uno studio che mostra che gli embrioni dopo questo espianto si impiantano peggio, diminuendo le possibilità di gravidanza.
Quanto dura la modificazione epigenetica?
Bellieni: Recenti studi hanno mostrato che le modifiche epigenetiche (che sono altra cosa dalle “mutazioni”) che l’ambiente determina sul DNA possono essere trasmesse di generazione in generazione. Questo secondo alcuni studiosi cozza con una visione deterministica dell’evoluzione della vita legata invece a una competizione spietata per la sopravvivenza, che invece si basa su mutazioni casuali, in cui l’ambiente avrebbe non la funzione di indurle ma di selezionarle in base alla legge del “più adatto”: sappiamo che alcune alterazioni geniche indotte dall’ambiente si trasmetteranno ai figli, non scomparendo al momento della fecondazione, come mostrano i lavori di Michael Skinner sui topi in contatto con elementi tossici in epoca prenatale e gli studi sulle donne vissute in carestia durante la seconda guerra mondiale che avrebbero fatto nascere bambini di basso peso… i cui figli sarebbero stati anch’essi di basso peso pur nutriti normalmente in gravidanza.
Qual è dunque la preoccupazione principale?
Bellieni: Un mondo scientifico che cerca in tutti i modi di creare un ambiente a misura di bambino per chi è già nato, conoscendo le complicazioni per la salute che un ambiente avverso provoca, non può fornire all’embrione un ambiente non pari a quello materno nel momento del concepimento, come abbiamo già illustrato recentemente, per evitare rischi, come spiegava una recente sintesi, che chiedeva di valutare “l’impatto dell’esposizione a gonadotropine, ad un alterato ambiente di impianto, condizioni di coltura in vitro, selezione dello sperma, iniezione dello sperma nell’ovulo e crioconservazione”, per spiegare la tendenza di un ristretto numero di bambini nati da fecondazione in vitro a manifestare certe malattie; ma senza ignorare, come anche riportava di recente la rivista Lancet che un rischio può dipendere già da un fattore già presente nei genitori. E i rischi ci sono, come spiega la stessa Lancet. Insomma: un principio di precauzione viene richiesto dalla scienza: che risposta riceve?
Ma se non tutto è scritto nel DNA, che valore ha riprodurre il DNA in laboratorio?
Bellieni: Certamente non quello di riprodurre una copia di una persona, quasi si volesse fare un suo “doppione”. Nessuno pensa ad un risultato simile, come mostra la presenza di gemelli con lo stesso DNA, ma con destini e gusti diversi. Ma l’influsso dell’ambiente ha un impatto così importante sull’espressione dei geni che ci si domanda se ricreare un DNA in laboratorio basti a ricreare un essere vivente: non dimentichiamo il problema dell’imprinting, ovvero della necessità che per sviluppare una persona serve sia il patrimonio genetico materno che quello paterno: un essere costruito solo raddoppiando o il primo o il secondo, non avrebbe un futuro vitale.


Emergenza educativa, sfida pastorale
Avvenire, 30.11.2007
Stereotipi come «ai miei tempi». «Una volta non era così», denotano nell’immaginario collettivo una chiusura nei confronti delle mutate condizioni dei tempi. In realtà, non era sempre così. Un esempio ci viene dal campo vocazionale. Se si guarda a quando preti e religiosi abbondavano e si fa il raffronto con la situazione attuale non può sfuggire che alla base c’è carenza di ordine educativo. Si pensi alla fami­glia, nella quale la presenza dei genitori è sempre più sal­tuaria o la scuola, in cui sta scomparendo la fi­gura dell’insegnan­te come fondamen­tale punto di riferimento.
Mentre i processi educativi prevalenti, per un malinteso rispetto della libertà dei gio­vani, si arrestano in mezzo al guado, l’attuale Pontefice, a cui certamente non si può rimproverare di non chia­mare le cose con il loro no­me, aprendo nel giugno scorso il Convegno ecclesia­le della diocesi di Roma, ha parlato di «emergenza edu­cativa ». L’espressione è sta­ta ripresa da molti interven­ti della Cei e dei singoli ve­scovi, non ultimo il cardina­le Camillo Ruini nel discor­so di apertura dell’Anno ac­cademico presso la Pontifi­cia Università Salesiana di Roma. «Un’educazione vera – ha detto – ha bisogno di ri­svegliare il coraggio delle de­cisioni definitive. Oggi un o­stacolo particolarmente in­sidioso è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non ri­conoscendo nulla come de­finitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le proprie voglie e, sotto l’ap­parenza della libertà, diven­ta per ciascuno una prigio­ne ».
L’incombere dell’emergen­za educativa spinge la Chie­sa oltre a moltiplicare convegni che studiano i modi di avvicinare gli educatori ai giovani nel servizio di di­scernimento, soprattutto a prendere adeguate iniziative pastorali. A Palermo prose­gue l’esperienza di un labo­ratorio pedagogico per do­centi, genitori e studenti. Si riscoprono gli oratori; dove sono stati rimessi in auge, funzionano e danno frutti promettenti. Lo stesso acca­de in alcune regioni italiane per i seminari minori che hanno ripreso, sia pure con metodiche e dinamiche nuove, a impartire un’edu­cazione di base, presuppo­sto per un efficace processo educativo di crescita. Tutta­via, ciò che si sperimenta con maggiore preoccupa­zione, è la difficoltà di trova­re o comunque di reclutare educatori.
Gli accompagnatori idonei sono sempre meno, e non facili da individuare nella crescente selva di «nuovi e­ducatori »: internet, televi­sione, musica, fumetti, vi­deogiochi, riviste. Da una parte questi sembrano so­stituire i genitori «fantasma» e gli insegnanti quotidiana­mente contestati, dall’altra hanno potenzialità straordi­narie.
È quasi infinita la lista dei si­ti cattolici che internet offre a quanti operano nel cam­po educativo: dal settore della scuola a quello del­l’ambiente, dalle pagine web di taglio cattolico a quelle che, più in generale, tratta­no di cultura, insegnanti, e­ducatori, genitori. Tra i tan­ti il sito: www.educareinsie­me.org.che fa capo all’o­monima associazione di vo­lontariato di Torino. Nella realtà del capoluogo pie­montese esso offre un per­corso di incontri, momenti di preghiera e occasioni di riflessione. Si tratta di una proposta di accompagna­mento lungo un itinerario quotidiano, per testimonia­re come un’educazione e­quilibrata e continua nel percorso di ciascuno e a qualsiasi età, non possa pre­scindere da un cammino spirituale personale.


Scola: economia, rispetta l’umano Venezia

Il patriarca agli imprenditori: «Solidarietà e sussidiarietà le vostre bussole»
DA VENEZIA
FRANCESCO DAL MAS
Avvenire, 30.11.2007
Sono sempre più numerosi gli imprenditori che si richiamano all’etica. Ma non basta. «L’economia esige anche l’antropologia», ha sottolineato il car­dinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, incontrando ieri sera gli operatori economici nella se­de di Unindustria Venezia, nel parco scientifico del Vega, a Marghera.
In un contesto in cui si stanno riscrivendo le regole della vita economica e specificatamente quelle del lavoro, Scola – chiamato a spiegare come il capitale umano sia «il» valore dell’impresa – ricorda che «nel quadro del positivismo giuridico dominante, è necessario che la dimensione legale abbia una solida fondazione antropologica». E questo perché «gli attori economici non possono limitarsi a costruire dal basso un quadro convenzionale di regole di comportamento sia pure agile e rispettoso delle libertà individuali e sociali, delle sensibilità culturali, delle peculiarità religiose di uomini e di popoli». Questa impostazione non eviterebbe la grandissima difficoltà di formare «un consenso di esperienza e cultura» sui criteri fondamentali della stessa valutazione etica. Da sola, insomma, l’etica non basta a muovere il desiderio e l’interesse dell’uomo. «Solo una proposta antropologica compiuta muove la libertà dei singoli e la sospinge, attraverso i corpi intermedi, nel circolo virtuoso della vita buona (Aristotele, Tommaso), ad un tempo personale e sociale». In questa prospettiva, la stes­sa dottrina sociale della Chiesa ripropone, in termini aggiornati, la validità del principio della priorità del lavoro sul capitale.
D’altra parte, rassicura il patriarca, la questione antropologica è alla portata di tutti, «è esperienza elementare ». «Ogni uomo ogni giorno gioca la sua libertà in ogni circostanza ed in ogni rapporto, a partire dagli affetti e dal lavoro. Emerge qui chiaramente il peso della relazionalità. Essa domanda che l’altro, il 'differente', venga pensata in positivo e non escluso, come ha spesso fatto la modernità, dissolvendo il soggetto». E, dal canto suo, neppure la vita economica rappresenta una dimensione puramente tecnica, «ma si configura piuttosto, proprio in quanto attività umana, come una realtà polimorfa, necessariamente portata ad investire la riflessione antropologico-morale».
Per garantire l’adeguata dimensione etico-antro­pologica voluta dall’economia – quella che riconosce l’importanza del capitale umano –, il fattore determinante che gli analisti sociali ed economici devono tenere in grande stima – sostiene il patriarca – è l’educazione.
Come, dunque, garantire in concreto il valore del capitale umano? Attraverso la solidarietà e la sussidiarietà. Scola si dice convinto che «se la singola impresa e la rete di imprese» perseguono questo valore, «esso sarà, sempre a posteriori, anche quantificabile ». Certo, debbono mettersi in gioco «tutti gli attori socialmente rilevanti»: la persona, i corpi intermedi, la società civile (e perciò anche l’impre­sa) e lo Stato.



LA DIFESA DELLA VITA
«Il consenso su questi temi è sempre stato trasversale: se si lavora bene, c’è speranza di ottenere qualche risultato»
Embrioni, la moratoria «sbarca» a Strasburgo
Il popolare Mikolasik: pronto a sostenerla
Avvenire, 30.11.2007
DI DANIELA VERLICCHI
A rriva anche al Parlamento euro­peo di Strasburgo l’eco della pro­posta di una moratoria quin­quennale sull’uso degli embrioni lancia­ta dal nostro giornale dopo il clamoroso annuncio dei giorni scorsi sulla scoperta di una tecnica che consente di ottenere cellule staminali multipotenti senza toc­care gli embrioni umani. Ora fa dunque discutere anche l’Europa comunitaria l’i­niziativa lanciata il 21 novembre da Eu­genia Roccella con un’editoriale su Avve­nire
per bloccare la sperimentazione su­gli embrioni in tutti i laboratori d’Europa. Se ne parla, per ora informalmente, den­tro e fuori l’aula. Intanto è l’europarla­mentare slovacco Miroslav Mikolasik, del Partito popolare, a dar voce a chi aderi­sce. «Sosterrò quest’iniziativa e la farò co­noscere ai miei colleghi – dichiara il de­putato, che di professione è medico –: o­ra è essenziale creare una base di con­senso per poi proporre la moratoria alla Commissione europea».
Il percorso è chiaro, ora servono adesio­ni. E Mikolasik è pronto a spendersi per cercarle, da combattente qual è: qualche mese fa, come relatore – critico – della ri­soluzione europea sulla libera circola­zione delle terapie geniche (che utilizza­no anche tratti di dna embrionale), pro­pose una serie di emendamenti etici che avrebbero permesso ai Paesi che rifiuta­no l’utilizzo di embrioni a scopo di ricer­ca di non commercializzare questi far­maci. Gli emendamenti però furono stral­ciati e il testo venne approvato così com’e­ra: una dichiarazione di «esclusione» del­l’etica dal dibattito, com’ebbe a dire lui stesso.
Qual è il significato 'politico' della nuo­va scoperta sulle staminali?
«Anzitutto è una gran bella notizia. Cre­do che questa sia una scoperta fonda­mentale per il futuro dell’umanità. La possibilità di ottenere risultati sempre mi­gliori con cellule adulte è importante per capire e far capire che uccidere embrio­ni non è – come ci dicono – l’unico mo­do per fare ricerca. Le novità che arriva­no da America e Giappone fanno ben sperare. E dimostrano che le cellule a­dulte possono essere impiegate con pro­fitto in tutti i tipi di terapia, anche quelle contro il cancro, i danni neurologici, la leucemia e i linfomi. Queste cellule, ri­programmate, sono in grado di fornire a­gli scienziati linee cellulari multipotenti che possono generare ogni tipo di tessu­to ».
Dunque si può chiedere di fare a meno degli embrioni nei laboratori europei?
«Si deve. Vede, è esattamente come per la pena capitale. Se in Cina si mette a mor­te un criminale e poi si avviano le prati­che per l’espianto degli organi, tutti si di­chiarano contrari. E anch’io lo sono, na­turalmente. Perché, allora, nessuno dice nulla quando si uccidono gli stessi esse­ri umani, solo un po’ più piccoli, per e­spiantare cellule invece che organi?».
Cosa pensa della proposta di moratoria europea lanciata da Eugenia Roccella su «Avvenire»?
«Sosterrò l’iniziativa del vostro giornale e qualsiasi tipo di provvedimento in que­sta linea. Credo fermamente che inne­scare il dibattito possa incoraggiare ulte­riori progressi scientifici anche attraver­so una moratoria, incrementando i fon­di europei sulle cellule staminali adulte. Vorrei anche ricordare che nessuno fino­ra è mai stato curato con terapie derivanti da embrioni, mentre i tessuti ricavati da­gli esperimenti su embrioni di animali sono risultati cancerosi per effetto di u­no sviluppo cellulare incontrollabile, e dunque si tratta di risultati inservibili. Ma come medico ed europarlamentare è l’a­spetto etico del problema a interessarmi di più».
È possibile raggiungere un consenso su questa proposta?
«Il Parlamento europeo in passato ha as­sunto posizioni che non si possono cer­to definire a favore della vita... Grazie al­l’alleanza tra socialisti, liberali ed estrema sinistra sono passati provvedimenti as­sai poco etici, come quello sulle terapie avanzate che ho seguito personalmente. Dunque dobbiamo lavorare molto: far conoscere la proposta di moratoria, di­scutere con i colleghi, convincere gli in­decisi, spendersi in prima persona. Per­sonalmente mi impegno a farlo».
Quale iter dovrà seguire il provvedi­mento?
«All’Europarlamento non c’è l’iniziativa legislativa: un singolo deputato o un gruppo non possono proporre provvedi­menti direttamente all’aula. La sola via da seguire è quindi passare dalla Com­missione europea: porre il problema, scri­vere un testo comune e raccogliere con­sensi perché si legiferi in quella sede. Al­l’interno dell’organo di governo europeo, la sede più indicata è la Commissione Ri­cerca e Sviluppo. Supporterò l’iniziativa in quella Commissione insieme ai colle­ghi italiani che la proporranno. E spero sia il primo passo per l’approvazione della moratoria».
Su quali eurodeputati si può contare?
«Su questi temi il consenso è sempre sta­to trasversale. Sicuramente ci sono i Cri­stiano- democratici all’interno del Ppe, ma anche qualche liberale e non pochi verdi, molto sensibili a livello europeo su questi argomenti. Infine ci sono i mem­bri dell’Uen (la destra europea). Se si la­vora bene, qualche speranza c’è».



Un fisco «formato famiglia»
Avvenire, 30.11.2007
Petizione del Forum: a parità di reddito chi ha figli da mantenere non deve pagare le stesse tasse di chi non ne ha.
L’Agesc è tra le asso­ciazioni promotri­ci della petizione, lanciata dal Forum delle associazioni familiari, «per un fisco a misura di fami­glia ». È un tema su cui nel nostro Paese si è sempre parlato ma non si è ancora vista una iniziativa di leg­ge che prenda finalmente atto che, per esempio, un conto è vivere da soli con un reddito di 40mila euro all’anno, un conto è se con la stessa cifra deve mante­nersi una famiglia con due o più figli. L’ingiustizia di cui soffrono le famiglie è e- vidente anche sul piano dell’investimento in edu­cazione che ogni famiglia vuole realizzare. Nel corso della presentazione a Mi­lano della petizione, il pro­fessor Luca Antonini, do­cente di diritto costituzio­nale all’Università di Pa­dova, ha citato alcune cifre eloquenti. Per educare e mantenere i figli fino a 18 anni è necessaria una spe­sa quantificabile fra i 140 e i 170mila euro, cioè da 7 a 9mila euro all’anno. A fron­te di questo impegno delle famiglie, la detrazione è di 800euro all’anno per ogni figlio, applicabile solo ai redditi bassi. E la pressione fiscale nei confronti delle famiglie è invece applicata come se avessero a disposizione tutto il loro reddito. Il testo della petizione par­te dalla considerazione che «mantenere ed educare i propri figli è, per la fami­glia, oltre che un obbligo morale e naturale anche un diritto-dovere costitu­zionale ». La grande questione fisca­le oggi in Italia è dunque il sistema di tassazione del­le famiglie. Un fisco ingiu­sto significa famiglie pove­re, famiglie che non ce la fanno, figli che non nasco­no. Un Paese che non si rinnova. Le famiglie sono fortemente penalizzate, perché non si tiene vera­mente conto dei carichi fa­miliari.
Va quindi introdotto un si­stema fiscale basato non solo sull’equità verticale (chi più ha più paga), ma anche sull’equità orizzon­tale per cui, a parità di red­dito, chi ha figli da mante­nere non deve pagare, in pratica, le stesse tasse di chi non ne ha. Il reddito imponibile deve dunque essere calcolato non solo in base al reddito percepi­to, ma anche in base al nu­mero dei componenti del­la famiglia.
La petizione chiede quindi, quale primo passo verso u­na vera equità fiscale, un sistema di deduzioni dal reddito pari al reale costo di mantenimento di ogni soggetto a carico, sulla ba­se delle scale di equivalen­za, indipendenti dal reddi­to, che gli studiosi hanno da tempo identificato. Questo sistema è sempli­ce, di immediata applica­zione, mantiene intatta la progressività del prelievo, può sostituire miglioran­dolo l’attuale complicato sistema di detrazioni. Il problema di coloro che non godrebbero delle de­duzioni, a causa di redditi troppo bassi, i cosiddetti incapienti, si può facil­mente risolvere introdu­cendo l’imposta negativa, un’integrazione al reddito pari alla deduzione non goduta. La petizione può essere firmata anche on li­ne al sito del Forum:
www.forumfamiglie.org.




«Un dossier che fa aprire gli occhi» Avvenire, 30.11.2007
Le scuole paritarie fanno risparmiare 6 miliardi allo Stato ogni anno. Il costo sulle spalle delle famiglie Le cifre presentate in un documento che ha raccolto vasti consensi
DI VALERIO LESSI
I l dossier dell’Agesc sui costi della scuola e la penalizzazione che subiscono le fa­miglie che scelgono la scuola paritaria (pubblicata per intero su questa pagina nel mese scorso) ha fatto centro. «L’attenzione è stata alta – afferma il presidente dell’associa­zione, Maria Grazia Colombo – e sono arri­vati anche molti consensi. Più che merito no­stro, merito dei numeri, che una volta tanto parlano chiaro, senza equivoci. L’Agesc ha vo­luto compiere, per il bene di tutti, un servizio di informazione basato sulla verità dei fatti e questo è stato particolarmente apprezzato e riconosciuto anche dagli altri soggetti rap­presentativi per la presenza della scuola cat­tolica nel nostro Paese». Abbiamo raccolto alcune reazioni e pareri. «Il dossier dell’Agesc – osserva padre Francesco Beneduce, segretario nazionale della Fidae – conferma il grande torto perpetrato ai danni delle famiglie italiane rispetto allo spirito del­la Costituzione. A fronte del ritardo di cin­quant’anni, la legge 62 del 2000 ha lasciato i­nalterato il problema della libertà educativa in Italia perché non è stata risolta la questio­ne del finanziamento. Anzi, guardando i da­ti forniti dall’Agesc, si vede che c’è un bene­ficio economico al contrario, a vantaggio del­lo Stato e a svantaggio delle famiglie». Padre Beneduce si dice «grato» per il lavoro svolto dall’Agesc.
«La cultura della libertà educativa – aggiun­ge – va rafforzata anche facendo circolare que­ste cifre. È una cultura che deve crescere an­che dentro la Chiesa per cambiare quella mentalità, purtroppo ancor presente, secon­do la quale la scuola cattolica è per i figli di papà, o è un corpo estraneo o addirittura dan­noso. Appoggiamo la richiesta delle famiglie di una parità che sia anche economica non perché noi ne traiamo vantaggio. Il problema è non far mancare al sistema nazionale di i­struzione il contributo fondamentale della scuola paritaria, espressione di una tradizio­ne secolare che c’era prima della scuola di Stato. Se venisse meno questo contributo, sa­rebbe un impoverimento per tutti».
Il professor Redi Sante Di Pol, presidente del­la Fism, porta l’accento sulla situazione spe­cifica delle scuole materne. «Nel dossier del­l’Agesc – osserva – sono riportati i costi delle scuole materne a carico del ministero. Ma ci sono spese per la gestione didattica che so­no a carico dei Comuni. Quindi la spropor­zione messa in evidenza è ancora più gran­de ». Il professor Di Pol sottolinea inoltre una situazione a macchia di leopardo che carat­terizza le scuole materne: «Alcune regioni del nord hanno leggi che prevedono l’erogazio­ne di contributi anche se minimi, mentre in genere le regioni del sud non danno nulla. Al­cuni Comuni hanno sottoscritto convenzio­ni mentre in molte realtà locali non c’è alcun intervento di sostegno da parte dell’ente lo­cale ».
«Sottoscrivo in pieno il lavoro e il metodo del­l’Agesc – dice a sua volta Vincenzo Silvano, presidente della Foe –. È chiaro che lo Stato risparmia con la scuola paritaria. Abbiamo ora a disposizione dati certi, che di solito ven­gono invece travisati, che fanno capire anche alle famiglie lo sforzo che facciamo per tene­re aperti i nostri istituti. Serve una battaglia per il buono scuola in tutte le Regioni, si de­ve capire che con il buono scuola sgraviamo lo Stato di una spesa che altrimenti sarebbe incredibilmente più alta. Lo Stato dovrebbe anche incentivare la nascita di nuove scuole paritarie, mentre spesso oggi non possiamo rispondere alle richieste perché i costi sono esorbitanti».