Nella rassegna stampa di oggi:
1) IL MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II SULLA SOFFERENZA - Intervista a don Silvio Longobardi, direttore del periodico “Punto Famiglia”
2) MANIFESTAZIONI DI CRISTIANI IN INDIA DOPO GLI ATTACCHI INDUISTI - I cristiani di Bhopal in strada
3) CRESCE IL CATTOLICESIMO IN INTERNET - di Antonio Gaspari
4) La spartizione della Polonia del 1939 e i silenzi consapevoli degli Alleati di fronte alla tragedia della Shoah - La cattiva coscienza di chi accusa Pio XII - di Raffaele Alessandrini – L'Osservatore Romano - 23 aprile 2010
5) La storia di Witold Pilecki eroe scomodo per i nazisti, per i comunisti e per chi sapeva - Volontario per Auschwitz offresi - di WLodzimierz Rêdzioch - L'Osservatore Romano - 23 aprile 2010
6) Il Diavolo esiste e Dio lo ha detto chiaramente. Tutti coloro che ne dichiarano la sua inesistenza giacciono sotto l’influenza e la guida spirituale del demonio: sono eretici - Tratto dal testo "il Burattinaio" di Carlo Di Pietro
7) Pedofilia, un avvocato vuole Benedetto XVI in tribunale - di Andrea Tornielli, Roma
8) PAPA/ Anderson (Notre Dame): i nostri peccati e la fedeltà di Dio - Gary A. Anderson - venerdì 23 aprile 2010 – ilsussidiario.net
9) GIOVANI, QUANDO LA REALTÀ È PIÙ FORTE DELLE PREDICHE - Un sacchetto di arance per l’emergenza educativa - GIORGIO PAOLUCCI – Avvenire, 23 aprile 2010
10) Terzo «no» in Canada: l’eutanasia non è legge - Maggioranza schiacciante in Parlamento, lobby battute - DI LORENZO FAZZINI - Avvenire, 23 aprile 2010
IL MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II SULLA SOFFERENZA - Intervista a don Silvio Longobardi, direttore del periodico “Punto Famiglia”
ROMA, giovedì, 22 aprile 2010 (ZENIT.org).- “L'uomo dinanzi al dolore. La sofferenza nella vita e nelle parole di Giovanni Paolo II” è il titolo del libro scritto da don Silvio Longobardi, direttore del periodico “Punto Famiglia”, che mira a gettare nuova luce sulla sofferenza e sull'esempio dato a questo proposito da Papa Karol Wojtyła.
Il testo verrà presentato a Ravello (Salerno) questo sabato 24 aprile alle 19.00 presso il Santuario di SS. Cosma e Damiano. Accanto a don Silvio, interverranno padre Gianfranco Grieco, capo Ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e monsignor Giuseppe Imperato, parroco del Duomo di Ravello.
Il ricavato della vendita del libro sarà destinato alla costruzione del Centro Jean Paul II per i giovani in Burkina Faso.
Don Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera-Sarno, è l’ispiratore della Fraternità di Emmaus, una realtà ecclesiale nata negli anni Novanta che si propone, attraverso itinerari di fede, di aiutare battezzati, vergini e sposi ad accogliere la vocazione alla santità.
Licenziato in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma, ha conseguito il diploma di perfezionamento in Bioetica presso l’Università Cattolica di Roma ed è Direttore del Centro Diocesano di Formazione Sant’Alfonso Maria de' Liguori, della Diocesi di Nocera Inferiore – Sarno.
Nel 1993 ha promosso la Federazione Progetto Famiglia onlus, che si impegna a favore della famiglia e dei minori. Nel 2006 ha fondato la rivista “Punto Famiglia”, che si occupa di tematiche familiari e che egli stesso dirige. Ha pubblicato diversi testi, tra cui “Sulle orme di Nazaret” (EDB, 1999), “Famiglia piccola Chiesa, appunti di pastorale familiare” (Gaia, 2008), “Sulla strada di Emmaus” (Gaia 2009).
In questa intervista concessa a ZENIT, spiega il perché di un libro sulla sofferenza e come Giovanni Paolo II sia riuscito a imprimere un senso nuovo a questa realtà.
Si prova sempre un certo imbarazzo a parlare del dolore, eppure questa esperienza è connaturale all’esistenza dell’uomo. Qual è la motivazione che l'ha spinta a scrivere un libro sulla sofferenza?
Don Silvio Longobardi: Ognuno di noi porta con sé un carico di dolore. Avvolgere di silenzio questa esperienza contribuisce ad aumentare la solitudine dell’uomo e rende ancora più insolubili quelle ineludibili domande sul senso della vita che nascono quando il dolore mette radici nell’esistenza. Nella mia vita c’è un’esperienza significativa: dieci anni fa, ho dovuto accompagnare mio nipote Antonio, di soli 4 anni, colpito da un male incurabile, nel calvario che nel giro di pochi mesi lo ha consumato fino alla morte. Questa esperienza, e in seguito tante altre di persone care, mi ha fatto guardare in modo nuovo l’abisso del dolore nel quale ogni giorno è immersa tanta parte dell’umanità. Una di queste esperienze riguarda Simone, un giovane chiamato troppo presto a scontrarsi con il dolore e che mi ha posto molti interrogativi sul perché della sofferenza. A lui ho voluto dedicare queste pagine.
Un libro che nasce dall’esperienza …
Don Silvio Longobardi: Sì, e difatti oltre alla testimonianza di Giovanni Paolo II ho voluto riportare altre esperienze – tra cui quella bellissima e poco conosciuta del Cardinale americano Joseph Bernardin, morto alcuni anni fa. Quando scoprì di essere ammalato, ebbe l’impressione di restare come schiacciato dal dolore. Poi iniziò a guardare quell’esperienza con gli occhi della fede, ebbe il coraggio di comunicarlo alla sua Diocesi, tanti ammalati gli scrissero lettere commoventi in cui chiedevano preghiere. Ed egli comprese così che la sofferenza era per lui un altro e più fecondo ministero che il Signore gli aveva affidato.
Il libro parla anche di un film…
Don Silvio Longobardi: Si tratta di un film piuttosto recente – “Lo scafandro e la farfalla” –, che pochi forse conoscono. Racconta la storia vera di un uomo, un giornalista di successo, che si ritrova d’improvviso in ospedale; tutte le sue funzioni sono bloccate, può muovere solo un occhio e con quello impara a comunicare, fino al punto da scrivere un libro, quello da cui è stato tratto poi il film. Una vicenda bellissima e controcorrente rispetto alla vulgata attuale che presenta l’eutanasia nella lista delle istruzioni per la vita, una scelta inevitabile quando la malattia imprigiona la libertà.
Nel suo libro lei tocca il rapporto dell’uomo con il dolore, pone una riflessione che chiama in causa anche Dio. La sofferenza suscita turbamento e paura, ribellione e chiusura. Come vivere tutto questo?
Don Silvio Longobardi: L’immagine di Dio che la cultura odierna spesso amplifica è quella di un padre ingiusto e crudele, che pone sulle spalle degli uomini pesi insopportabili. In tal modo dimentichiamo che la specificità della rivelazione cristiana consiste proprio nel presentare il volto di un Dio che ha indossato i panni dell’uomo e ha condiviso la sua condizione di fragilità, accettando anche la sofferenza, fino alla morte. Ma la sofferenza non genera necessariamente una rivolta contro Dio. La fede apre il credente alla fiducia, egli sa che Dio non rimane indifferente al dolore dell’uomo. Come un beduino nel deserto raccoglie l’acqua in un recipiente, così Dio raccoglie le lacrime dei poveri. Evidentemente sono preziose ai suoi occhi. Nella fragilità l’uomo sperimenta la misericordia di Dio, comprende che può sempre contare su di Lui.
Quali sono i passi per avvicinarsi a una persona che soffre? Come aiutarla a vivere il dolore in una prospettiva di fede?
Don Silvio Longobardi: La sofferenza resta uno scandalo anche per i credenti, per dirla con Santa Teresa, alza un muro che spesso impedisce di vedere il cielo, un interrogativo al quale non è facile rispondere. È una realtà difficile da vedere e da comprendere. Eppure tanti credenti sono passati per questa via stretta senza perdere la gioia e senza cadere nella rassegnazione. Anzi, alcuni hanno vissuto questa esperienza come una grazia speciale. Hanno attinto forza dalla parola del Vangelo che invita a vedere nella sofferenza una partecipazione alla redenzione del mondo. È questo il cammino che ha percorso anche Giovanni Paolo II. Anzi, devo dire che la sua testimonianza mi ha fatto comprendere in modo nuovo quell’oscuro capitolo della vita che si chiama sofferenza.
Quale luce nuova getta questo libro su Giovanni Paolo II?
Don Silvio Longobardi: Il modo in cui Papa Wojtyła vive il suo dolore è forse l’elemento più sorprendente di un’esistenza vissuta interamente nella logica del dono di sé. La progressiva debolezza non ferma la sua volontà di annunciare il Vangelo. Non è stato facile per lui accettare la sua infermità, farsi vedere con i segni di una debolezza fisica sempre più devastante. Non era facile mostrarsi così davanti a tutti: i gesti diventavano sempre più lenti, le parole più stentate, a volte perfino la bava alla bocca. Ha accettato tutto questo per amore del Signore, ha messo da parte ogni interesse personale per dare spazio unicamente all’annuncio del Vangelo.
Qual è il messaggio che Papa Wojtyła ha lasciato sulla sofferenza?
Don Silvio Longobardi: Presentandosi al mondo con la sua infermità e continuando a svolgere fino in fondo il suo ministero, nonostante il male che devastava e progressivamente imprigionava il suo corpo, egli ha testimoniato fedelmente quella verità che negli anni precedenti aveva saputo annunciare attraverso i suoi scritti. La riflessione sulla sofferenza non ha sempre trovato ampio e adeguato spazio nel magistero. Nei documenti del Vaticano II, ad esempio, il tema è appena accennato. La Lettera Salvifici doloris del 1984 di Giovanni Paolo II è il primo documento pontificio che offre una riflessione sistematica sulla sofferenza e invita tutti gli uomini a ripensare il significato e il valore di questa esperienza. La Lettera è destinata alla comunità ecclesiale, ma il tema che essa affronta è così universale da interpellare tutti.
Uno degli aspetti peculiari, su cui Giovanni Paolo II ritorna nella sua Lettera, riguarda il ruolo degli ammalati. Qual è questo ruolo, e come restare accanto a chi soffre?
Don Silvio Longobardi: È vero che gli ammalati devono essere oggetto di cura premurosa e costante, ma è vero anche che nella prospettiva evangelica essi sono soggetti di una feconda e misteriosa azione salvifica. È questo il punto più originale e qualificante della proposta evangelica e deve perciò diventare il cuore di tutta la pastorale sanitaria: comunicare e far crescere nei malati la consapevolezza di essere chiamati a prendere parte alla sofferenza stessa di Cristo e quindi alla sua stessa missione salvifica. Inoltre stare accanto ai malati non significa solo esercitare una doverosa compassione, richiesta dalla carità, ma anche aprire loro gli orizzonti di una missione che non viene intessuta di opere, ma ricamata con l’offerta quotidiana della sofferenza.
Il ricavato della vendita del libro sarà destinato alla costruzione del Centro Jean Paul II del Burkina Faso. Qual è la sua missione?
Don Silvio Longobardi: Studiare è un diritto, è la premessa per conoscere la realtà e apprendere quelle competenze che sono fondamentali per diventare adulti e protagonisti. Per la maggior parte dei giovani, in Burkina Faso, questo diritto è negato. Per dare una risposta concreta, l’associazione Progetto Famiglia – Cooperazione, che opera in Burkina Faso da alcuni anni, sta realizzando il Centro Jean Paul II. Questa struttura intende offrire ai giovani la possibilità di acquisire una buona formazione scolastica e, più ampiamente, una capacità di elaborazione culturale e imprenditoriale. Il progetto non si basa su una prospettiva di tipo assistenziale (donare le spese di scolarità), ma intende offrire spazi e mezzi di formazione e nello stesso tempo coinvolgere gli stessi giovani in un processo educativo che li rende protagonisti e si apre sul mondo del lavoro.
Per richiedere il libro: info@centrodiocesanodiformazione.it
Tel e fax: 081-513 57 11
Cell: 347- 74 49 662
MANIFESTAZIONI DI CRISTIANI IN INDIA DOPO GLI ATTACCHI INDUISTI - I cristiani di Bhopal in strada
BHOPAL, giovedì, 22 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nello Stato indiano del Madhya Pradesh, i cristiani hanno manifestato per le strade dopo una serie di attacchi perpetrati da induisti, ha reso noto Eglises d'Asie, l'agenzia delle Missioni Estere di Parigi.
A Bhopal, capitale del Madhya Pradesh, c'è stata una grande manifestazione il 18 aprile, il giorno dopo l'attacco a un gruppo di cristiani protestanti durante un incontro di preghiera, che ha provocato almeno un morto e tre feriti.
Il pomeriggio di sabato 17 aprile, una trentina di uomini con il volto coperto da un panno giallo ha fatto irruzione in un centro di preghiera nella località di Saliya e ha attaccato i presenti.
All'incontro partecipavano più di 400 fedeli. Stavano cantando un inno a occhi chiusi quando gli assalitori sono entrati e hanno iniziato a colpirli, accusandoli di provocare conversioni forzate.
Prima di andarsene, gli assalitori hanno distrutto il materiale liturgico, le Bibbie e i veicoli dei cristiani.
Mentre i fedeli fuggivano nel buio, un giovane di 25 anni, Amit Gilbert, è morto cadendo in un pozzo e annegando. Altre tre persone sono rimaste gravemente ferite; una di loro ha la colonna vertebrale rotta.
Dopo l'assalto la polizia ha arrestato sette persone, anche se non ha rivelato alcun dettaglio sull'identità degli aggressori.
Si tratta del secondo attacco in due giorni a cristiani durante incontri di preghiera nel Madhya Pradesh.
In una sessioen evangelica che migliaia di persone hanno celebrato dal 13 al 15 aprile nel grande stadio della città di Balaghat, alcuni militanti induisti, dopo vari tentativi falliti di entrare, hanno lanciato una bomba Molotov, che non ha provocato vittime.
Il giorno della fine dell'incontro, giovedì scorso, circa 200 militanti induisti, identificati dalle forze dell'ordine come appartenenti al Bharatya Janata Party (BJP, Partito del popolo indiano) e al Bajrang Dal, hanno cercato nuovamente di entrare nello stadio.
La polizia è riuscita a trattenerli e ha arrestato 22 di loro, che avevano attaccato gli agenti lanciando pietre.
Nonostante questo, al termine dell'incontro, quando i cristiani stavano uscendo dallo stadio, gli induisti li hanno attaccati, provocando numerosi feriti.
L'incidente aveva costretto le forze dell'ordine a difendere le chiese e i sacerdoti di tutta la regione, com'era accaduto nell'attacco fallito alla Cattedrale siro-malabar di Satna nel marzo scorso.
Il 15 aprile, l'Arcivescovo cattolico di Bhopal, monsignor Leo Cornelio, ha ricordato al Governo durante una conferenza stampa il suo "dovere di difendere tutti i cittadini, senza distinzione di casta, religione o di altro genere".
Ha anche sottolineato che la violenza contro i cristiani è aumentata costantemente dal 2003, anno dell'arrivo al potere del BJP.
Secondo alcune statistiche della Chiesa locale, da quel momento ci sono stati più di 170 attacchi anticristiani.
"Non cederemo di fronte alla pressione", ha ad ogni modo dichiarato il presule, esortando alla partecipazione a una manifestazione pacifica svoltasi domenica 18 aprile.
L'attacco del fine settimana scorso ha rafforzato la determinazione dei cristiani, e in più di 5.000 hanno partecipato domenica alla marcia per le vie di Bhopal, con una temperatura superiore ai 40º C.
I manifestanti portavano striscioni e bandiere e hanno chiesto rispetto per i diritti dei cristiani e delle minoranze e sanzioni contro le aggressioni nei loro confronti.
Una marcia parallela è stata celebrata a Saliya, dove i cristiani hanno chiesto la fine delle violenze contro la loro comunità.
Si stima che nel Madhya Pradesh i cristiani rappresentino meno dell'1% su una popolazione di 55 milioni di persone, per il 91% induista.
CRESCE IL CATTOLICESIMO IN INTERNET - di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 22 aprile 2010 (ZENIT.org).- Seppure con un leggero ritardo, la Chiesa italiana, i gruppi cattolici, le parrocchie, gli ordini religiosi ecc, stanno conquistando spazi sempre più vasti nella galassia telematica.
Da un sondaggio condotto da ricercatori presso l'Istituto di Informatica e Telematica del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano di Pisa (IIT-CNR) risulta che con trentamila siti, oltre mezzo milione di pagine web, quasi 2000 blog, la religione cattolica ha una forte presenza sui siti web italiani.
Il numero di 562.574 pagine contenenti riferimenti al cattolicesimo rappresentano l’1,76% del totale del campione analizzato, ma la percentuale è significativa se si pensa che le pagine del web con riferimenti alla politica, uno degli argomenti più “caldi” nella Rete italiana, sono circa 930mila (2,9% del campione).
La forza del cattolicesimo in rete e della sua continua crescita è stato sottolineato da Francesco Diani curatore del sito (www.siticattolici.it), il quale lavorando alla sua tesi “Pastorale e informatica” ha iniziato a contare e catalogare i siti cattolici italiani che alla fine degli anni '90 erano appena 243.
Adesso, sono quasi 14mila i siti cattolici catalogati da Diani. Di questi un quarto (3.460) è rappresentato da parrocchie, chiese, oratori, gruppi parrocchiali. Seguono 2.545 siti di Associazioni e Movimenti ecclesiali. Al terzo posto con 1689 siti, gli ordini e gli istituti religiosi.
In termini di crescita Diani ha rilevato negli ultimi tre anni una crescita costante pari al +24,2%, che è una delle più impetuose del WEB. Per quanto riguarda la geografia la Lombardia è in testa con 740 realtà web, davanti a Triveneto (376), Sicilia (334) e Lazio (314); mentre tra gli ordini e istituti religiosi i Francescani (166 siti) sono i più presenti in rete.
Per quanto riguarda il modo con cui i sacerdoti usano le nuove tecnologie per l’attività pastorale, il 15 aprile scorso alla conferenza stampa di presentazione del convegno “Testimoni digitali", Lorenzo Cantoni, docente alla facoltà di scienze della comunicazione all’Università della Svizzera italiana, ha illustrato i scultati della ricerca Picture, acronimo di Priests’ Ict use in their Religious Experience.
La ricerca è stata condotta con il sostegno della Congregazione per il Clero, realizzata dai laboratori NewMinE-New Media in Education Lab e webatelier.net dell’Università della Svizzera italiana di Lugano in collaborazione con la Facoltà di Comunicazione sociale istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce di Roma.
I risultati sono sorprendenti: il 92,9% dei preti intervistati in Italia dichiara di accedere tutti i giorni ad internet, in misura leggermente superiore alla media mondiale (90,4%).
Per quanto riguarda l’utilità della rete per la preparazione delle omelie il 49,5% dei sacerdoti in Italia cerca materiale online almeno una volta alla settimana, di questi, il 9,2% lo fa tutti i giorni. Il 35,2% lo fa occasionalmente (una volta al mese o qualche volta all’anno). Solo il 15,3% dichiara di non farlo mai.
Per la formazione, il 27,7% dei sacerdoti in Italia studia online quasi tutti i giorni, il 59% almeno una volta alla settimana, mentre solo il 13,3% non lo fa mai.
Il 37,8% è d’accordo con l’affermazione che le tecnologie permettono di migliorare la formazione dei sacerdoti, e il 53,7% è d’accordo o molto d’accordo.
Alla domanda su quali strumenti siano ritenuti molto o moltissimo utili per imparare, il 18,8% dei rispondenti ha indicati i libri e le riviste, seguiti dai motori di ricerca (18,3%) e dalle lezioni in aula (16,4%).
La lettura combinata di questi dati mostra un interesse all’uso delle tecnologie digitali, combinate però con tutte le altre strategie d’apprendimento.
Il 39,9% dei sacerdoti italiani non utilizza mai internet per pregare, ma il 19,1% lo usa tutti i giorni per questo scopo (principalmente per recitare la liturgia delle ore).
Solo il 14,2% di sacerdoti in Italia considera internet molto utile per pregare (9.9% nel mondo), mentre il 40,1% non lo considera per niente utile a questo scopo (32.3% nel mondo).
Inoltre più del 51% dei sacerdoti è molto positivo sull’utilità di internet per la diffusione della fede, e più del 63% è d’accordo o molto d’accordo nel considerare le nuove tecnologie come mezzi d’inculturazione della fede.
In particolare il 61,1% è d’accordo o molto d’accordo con l’affermazione che le nuove tecnologie permettono di evangelizzare meglio i giovani; peraltro, il 38.9% è solo abbastanza d’accordo o non è per niente d’accordo.
Circa la comunicazione il 68,3% dei sacerdoti ritiene internet utile per comunicare con le altre persone. Il 30,6% accede ai social network tutti i giorni, il 17,1% vi accede solo settimanalmente, il 7,0% mensilmente e l’8,9% qualche volta all’anno, mentre il 36,4% dichiara di non accedervi mai.
Nella comunicazione con altri sacerdoti, il 43,0% non usa mai i social network e il 34,4% non usa le chat o altri servizi vocali online.
Alla domanda su quanto l’uso delle nuove tecnologie abbia migliorato il modo in cui compiono la loro missione sacerdotale, il 33,4% ritiene tale uso molto positivo (valori 5 e 4), il 50,6% lo ritiene di qualche importanza (valori 3 e 2), mentre il 15,9% vi vede un contributo molto limitato o nullo (valori 0 e 1).
Quanto ai pericoli delle tecnologie, il 35,7% ritiene che le opportunità siano superiori ai rischi mentre il 18,1% ritiene che i pericoli sono maggiori rispetto alle opportunità che offrono.
I siti web indicati come maggiormente utili nell’esperienza sacerdotale da più di 100 sacerdoti sono stati: vatican.va, qumran.net, chiesacattolica.it e avvenire.it, maranatha.it, lachiesa.it, zenit.org.
La spartizione della Polonia del 1939 e i silenzi consapevoli degli Alleati di fronte alla tragedia della Shoah - La cattiva coscienza di chi accusa Pio XII - di Raffaele Alessandrini – L'Osservatore Romano - 23 aprile 2010
L'antica favola del lupo e dell'agnello insegna che quando il forte si lagna lanciando accuse al più debole, magari strepitando di aver subito da lui improbabili torti, sta preparandosi a divorarlo. Le corrispondenze storiche sono numerose sia pure con le debite varianti: talvolta i lupi sono più di uno. Per di più alla scena cruenta possono esservi altri testimoni diversamente cointeressati. Questi ultimi, pur essendo consapevoli che il debole, ormai privato brutalmente dei propri diritti, sta soccombendo alle brame fameliche del prepotente, restano a guardarne il sacrificio con calcolata inerzia. E dire che avrebbero argomenti e mezzi per impedire o limitare lo scempio. Quando poi il precipitare degli eventi li costringe a intervenire - poiché la fame del predatore non si placa - si trovano a loro volta prigionieri della logica pragmatica della violenza e della sopraffazione per la quale vi saranno moltissimi altri deboli e innocenti a pagare il prezzo più alto e atroce. L'invasione nazista della Polonia del 1° settembre 1939 che diede l'avvio alla seconda guerra mondiale è certo un esempio evidente di questo. Ma lo sono anche il disinteresse per gli ebrei e il loro consapevole abbandono da parte degli Alleati nonostante fossero pienamente al corrente dei piani hitleriani di "soluzione finale". Lo ha ricordato anche un ampio servizio di Claude Weill su "Le Nouvel Observateur" del 4-10 marzo 2010 (pp.16-28) nel quale risalta la polemica tra il regista e intellettuale parigino Claude Lanzmann, l'autore del famoso lungometraggio-fiume - nove ore - Shoah (1985) e il romanziere Yannik Haenel che nel settembre 2009 ha pubblicato il volume Jan Karski (Gallimard) dedicato a un eroe della resistenza polacca al nazismo che - infiltratosi in un campo di sterminio (e non sarebbe stato il solo polacco a farlo) - mise sull'avviso il presidente Franklin D. Roosevelt alla Casa Bianca degli orrori in atto.
Haenel sostiene pertanto che "nel 1945 non ci furono vincitori né vinti, ma solo dei complici e dei mentitori". Lanzmann ribatte dal canto suo che gli ebrei durante il conflitto non erano il "centro del mondo"". Ora è indubbio che gli Alleati conoscessero da tempo la mostruosa realtà della Shoah come pure la sua entità. Come è stato ricordato a suo tempo anche dal nostro giornale (14 agosto 2009), Henry Morgenthau junior, ministro del Tesoro statunitense durante la guerra, disponeva di prove sufficienti per dire che fin dall'agosto del 1942 a Washington si sapeva che i nazisti avevano progettato di sterminare tutti gli ebrei dall'Europa e che "solo l'incapacità, l'indolenza e gli indugi burocratici dell'America impedirono la salvezza di migliaia di vittime di Hitler" mentre, oltre Atlantico, "il Ministero degli Esteri inglese si preoccupava di più di politica che di carità umana".
Vi è inoltre da considerare come la cattiva coscienza storiografica, o parastoriografica, al servizio delle potenze, tenda a celare talune responsabilità e coperture dettate dal più gelido e spregiudicato pragmatismo politico, sviando per quanto possibile l'attenzione pubblica su più indifesi capri espiatori.
Le maggiori potenze d'Europa, Inghilterra e Francia, che avevano tenuto un contegno inerte e perfino acquiescente di fronte all'Anschluss (l'annessione dell'Austria del marzo 1938) e all'invasione della Cecoslovacchia - prima la conquista dei Sudeti, poi, nel marzo 1939, fu la volta della Boemia e della Moravia - non si discostarono dalla loro condotta passiva. Ora l'intesa Molotov-Ribbentrop conteneva anche clausole segrete in base alle quali di lì a poco i due lupi si sarebbero ferocemente spartiti le spoglie sanguinanti della Polonia oltreché i territori della Finlandia, dell'Estonia, della Lettonia, della Lituania e della Bessarabia rumena. E tuttavia il pretesto per aggredire la Polonia era evidente e consisteva com'è noto, nel rifiuto polacco di subire un torto lasciando includere nella Germania la città di Danzica con l'autostrada extraterritoriale e la linea ferroviaria che univa la Germania e la Prussia Orientale.
Il 24 agosto 1939 vi fu solo un'unica autorità mondiale a levare alta la voce e a incitare gli uomini di buona volontà alla riconciliazione e al dialogo: "Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra!". Ma più che parlare alle coscienze e a spendersi in una articolata e intensissima azione diplomatica, protrattasi perfino nel crepuscolo stesso delle speranze, il Papa Pio XII e i suoi più stretti collaboratori non potevano fare, e rimasero inascoltati.
Il Vaticano - come Stalin avrebbe un giorno sarcasticamente osservato - non ha divisioni da mettere in campo. Invece il 1° settembre 1939 la Germania aggredì la Polonia senza preavviso e il 17 settembre, da est, scattò l'aggressione sovietica. I tedeschi forti di un milione e mezzo di soldati misero in campo 2800 carri armati, 2000 aerei e 11000 cannoni; i sovietici attaccarono con cinquecentomila uomini, 5000 carri armati, 3000 aerei e 13.500 cannoni. I polacchi potevano opporre un milione di uomini, 800 carri armati, 400 aerei e 4500 cannoni. E tuttavia resistettero per 35 giorni a fronteggiare da soli forze tanto soverchianti.
Vale la pena ripercorrere alcuni momenti anticipatori dello scoppio della seconda guerra mondiale alla luce dei documenti. Nel recente volume Polish documents on Foreign Policy curato da Wlodzmierz Borodziej e Slawomir Debski (Warsaw, The Polish Institute of International Affairs, 2009) è trascritto in data 2 agosto 1939 il rapporto dell'ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede Kaziermiez Papée al ministro degli Affari esteri dell'udienza avuta con Pio XII il 24 luglio precedente in occasione della presentazione delle sue credenziali. Dopo il discorso ufficiale il Papa si era trattenuto con l'ambasciatore per un'altra mezz'ora a parlare in termini informali della situazione internazionale illustrando gli sforzi di mediazione della Santa Sede in favore della pace benché fosse "molto difficile fare qualcosa a Berlino". Ma il Papa diceva di più. Egli non manifestava alcuna fiducia ricordando - sono parole dell'ambasciatore - come l'anno precedente, alla fine di settembre, il cancelliere Hitler dopo l'annessione dei Sudeti avesse detto che la Germania non avrebbe avanzato altre rivendicazioni sui territori europei. Ma che cosa resta di tutto questo oggi? si chiedeva Pio XII. "Al momento è Danzica, ma domani sarà altro".
Le rassicurazioni verbali sulle quali Hitler diceva di basare la propria politica erano infatti state regolarmente smentite per ben due volte: prima con l'occupazione della Boemia e della Moravia e poi riguardo all'atteggiamento tenuto nei confronti del Sud Tirolo dove il cancelliere Hitler si stava mostrando pronto a strumentalizzare a proprio favore il concetto della purezza razziale germanica della popolazione. La Chiesa in Germania e soprattutto l'Azione cattolica - lamentava Pio XII - dovevano fare i conti con ostacoli continui: ci si poteva esprimere solo in ambito religioso e "neppure tanto". Ma ciò che veramente risulta al vertice delle preoccupazioni di Papa Pacelli è la sorte della Polonia che tanto dall'est come dall'ovest egli vedeva ormai stretta tra due blocchi: l'uno anticristiano e l'altro acristiano. In poche parole egli temeva che un avvicinamento germano-sovietico avrebbe portato non solo alla guerra in Europa. ma che, in caso di uno scontro portato dalla Germania alle altre potenze del continente, vi sarebbe stato alla fine il bolscevismo a rivestire le parti del tertius gaudens che, tenutosi inizialmente ai margini del conflitto, avrebbe potuto godere dei vantaggi della situazione intervenendo al momento opportuno ai danni degli altri due contendenti sfiancati dalla lotta per imporsi definitivamente sull'Europa (cfr. pp. 335-338).
In una nota in data 16 agosto 1939 il cardinale Luigi Maglione, segretario di Stato di Pio XII, riferisce di un colloquio con l'ambasciatore di Polonia che lo ha messo al corrente dello scambio di note di protesta tra il suo Paese e la Germania e si ribadisce che la questione di Danzica non è altro che un pretesto per attaccare la Polonia. "La Polonia è calma, attende con tranquillità l'attacco ed è sicura di essere soccorsa dalle Potenze occidentali. L'ambasciatore non teme complicazioni da parte della Russia". Poi la nota del cardinale Maglione prosegue: "Notizie d'altra fonte mi confermano che la questione di Danzica è un pretesto per la Germania e che questa si propone di fare una guerra di sterminio alla Polonia. Si pensa che è d'intesa con la Russia per una spartizione della povera Polonia.
Si illudono a Berlino che né l'Inghilterra, né la Francia interverranno per la Polonia" (cfr. Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1970, ristampa corretta e ampliata, i, pp.214-215). In realtà Berlino non s'illudeva affatto, poiché sapeva di poter agire senza disturbi esterni.
Nel suo intervento agli ufficiali della Wehrmacht del 22 agosto 1939, Hitler così aveva presentato gli obbiettivi da realizzare in Polonia: "La nostra forza è la nostra rapidità e la nostra brutalità (...) mi è indifferente quali voci farà circolare su di me la debole civilizzazione occidentale. Ho dato l'ordine e farò sparare a chiunque vorrà, anche con una sola parola, criticare l'affermazione che l'obbiettivo della guerra non sia raggiungere determinate linee, ma la distruzione fisica del nemico. A questo fine ho predisposto, per ora solo all'est, le mie truppe Totenkopf, ordinando loro di uccidere senza pietà e senza misericordia uomini, donne e bambini di origine polacca e di lingua polacca. Solo in questo modo acquisteremo lo spazio vitale di cui abbiamo bisogno. Chi oggi parla ancora della strage degli armeni?" (cfr. Robert Szuchta, Campi tedeschi dei nazisti sulla terra polacca occupata durante la ii Guerra mondiale, Ministero degli Affari Esteri di Polonia, Dipartimento di promozione, senza data, p. 9).
I territori polacchi incorporati dal Reich furono sottoposti a un'intensa germanizzazione sin dall'inizio della guerra. E bisogna ricordare che gli ebrei polacchi erano prima del conflitto tre milioni e quattrocentomila: ne sopravvisse solo il dieci per cento. Com'è noto i campi di concentramento e di sterminio in Polonia furono otto a cominciare da Auschwitz-Birkenau.
Anche la Chiesa cattolica polacca fu sottoposta a dure persecuzioni: numerosi sacerdoti cattolici furono arrestati e deportati in campi di concentramento tedeschi, per lo più a Dachau. Molti di essi furono uccisi: in alcune diocesi quasi la metà. (cfr. Robert Szuchta, cit., pp. 7-9). I prigionieri arrivati ad Auschwitz-Birkenau durante il primo appello così venivano salutati dal capo del campo Karl Fritzsch: "Vi avverto che qui siete arrivati non in una casa di cura, ma in un campo di concentramento dal quale si esce solo dal camino del forno crematorio. Se a qualcuno non piace può buttarsi subito sul filo ad alta tensione. Se nel gruppo ci sono ebrei quelli non hanno diritto di rimanere in vita per più di due settimane, i preti per un mese, gli altri per tre mesi" (ivi, p. 23).
In questi giorni la cronaca internazionale ci ha costretto - dolorosamente - a ricordare i massacri di Katyn perpetrati dai sovietici nel marzo del 1940: ventiduemila ufficiali polacchi furono trucidati per ordine di Stalin su consiglio del suo duro braccio destro Lavrentij Berija e gettati in fosse comuni. Per lungo tempo il crimine, scoperto nel 1943, fu scaricato sui nazisti. E neppure Joseph Goebbels il capo della propaganda nazionalsocialista riuscì a inchiodare Stalin grazie anche al silenzio complice di Churchill e Roosevelt che non vollero rischiare di incrinare l'alleanza antihitleriana formatasi dopo il 1941. Le responsabilità comuniste furono ammesse ufficialmente solo nel 1990, in piena glasnost gorbaceviana.
Indicativo per opposte ragioni lo spietato processo mediatico a cui è stato esposto Pio XII per i suoi silenzi, dai tempi di Der Stellvertreter di Rolf Hochhuth (1963) ai nostri giorni. Il Papa non aveva difese se non quelle fornitegli dalla fragile sovranità acquisita nel 1929 con i Patti Lateranensi e - in una Roma occupata da un nemico che stava attendendo solo il momento più opportuno per schiacciare la Chiesa "come un rospo", per usare un espressione dello stesso Hitler - doveva ottemperare a due imperativi categorici. L'uno di ordine spirituale derivante dal mandato petrino, l'altro di ordine morale e umanitario. Il Vicario di Cristo, in ogni caso, non può fare distinzioni o preferenze tra gli uomini, può solo battersi per la giustizia e la pace; senonché tutta la storia del Novecento pone di fronte nazioni e popoli ferocemente in lotta gli uni contro gli altri. Dovrebbe essere ormai chiaro che Papa Pacelli e la Santa Sede furono tenuti a mantenere sostanzialmente un contegno diplomatico prudente - nondimeno il radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1942 contiene esplicite e intense allusioni alle persecuzioni razziali - poiché anche da questo dipendeva la fragile sovranità di un piccolo Stato, unica garanzia di quel minimo di libertà di azione e di movimento che per altri versi permise di recare soccorso e protezione al maggior numero possibile di perseguitati, tra cui moltissimi ebrei.
Eppure ancora oggi, incredibilmente, sono molti quanti levano l'indice accusatore su Pio XII. Incappa nell'errore pure "Le Nouvel Observateur". Anche in tal senso la guerra è il trionfo dell'ingiustizia.
Non per nulla appena salito sul Soglio di Pietro proprio Papa Pacelli aveva assunto un motto eloquente: Opus iustitiae pax ("la pace è opera della giustizia"). Un concetto non casuale poiché da decenni ormai la Chiesa si stava battendo per la pace nel mondo. Pio x (1903-1914) che a suo tempo, aveva scelto il motto Instaurare omnia in Christo, contemplando il volgere degli eventi internazionali nella prima decade del secolo xx, aveva presagito il funesto incombere del "guerrone" - il primo conflitto mondiale - morendo poi di dolore alla vigilia delle ormai inevitabili ostilità. Il suo successore Benedetto xv (1914-1922) - che tanto si sarebbe prodigato per le vittime e per i prigionieri di ogni nazionalità, dopo la Nota ai Paesi belligeranti del 1° agosto 1917 in cui egli condannò l'"inutile strage" e tratteggiò i presupposti di fondo, anticipando in qualche modo i famosi "quattordici punti" del presidente statunitense Woodrow Wilson, per una pace basata su una sincera riconciliazione senza vincitori né vinti, nonché per un nuovo, e più giusto, ordine tra le nazioni - fu ripagato con l'incomprensione, l'offesa e il dileggio delle varie parti in lotta.
Venne poi Pio xi. Anch'egli nel suo motto volle ribadire il programma di pace della Chiesa di Dio: Pax Christi in regno Christi. Papa Ratti dopo aver seguito con sofferta trepidazione nei diciassette anni del suo pontificato l'evoluzione della questione sociale - con il dilagante sviluppo del capitalismo selvaggio e la diffusione delle visioni materialistiche dialettiche e pratiche che minavano l'integrità interiore dell'uomo, della famiglia e dei popoli - avendo considerato con occhio profetico il minaccioso imporsi dei sistemi totalitari sulla scena mondiale e sentendosi venir meno, offriva a Dio la propria vita affinché l'umanità fosse risparmiata dalla guerra. Gli succedette il suo più diretto e fedele collaboratore: il cardinale Eugenio Pacelli che significativamente volle anch'egli assumere il nome di Pio. Ma quel 23 agosto 1939 in cui la Germania di Hitler e l'Unione Sovietica di Stalin siglarono il loro famigerato patto di non aggressione le sorti del mondo erano già segnate.
(©L'Osservatore Romano - 23 aprile 2010)
La storia di Witold Pilecki eroe scomodo per i nazisti, per i comunisti e per chi sapeva - Volontario per Auschwitz offresi - di WLodzimierz Rêdzioch - L'Osservatore Romano - 23 aprile 2010
"Chi può andare volontario ad Auschwitz?". Sembra una battuta irriverente e di cattivo gusto, invece era la serissima domanda che nel 1940 si ponevano i vertici della resistenza polacca nella Polonia occupata dai nazisti intenti a scoprire che cosa succedeva nel famigerato lager. Il volontario che accettò quella missione, apparentemente impossibile, si chiamava Witold Pilecki, capitano di cavalleria, nella resistenza dopo la disfatta della Polonia nel 1939. Pilecki, da militare, lo fece per grande senso del dovere e per l'amore della patria che contemplava anche l'estremo sacrificio.
Non era un uomo dalla vita spericolata. Questo soldato esemplare era felicemente sposato, padre di due figli, amava l'arte (scriveva poesie e dipingeva), parlava perfettamente francese, tedesco e russo. Ma quest'uomo "normale" fece ciò che nessuno aveva fatto prima di lui: scese nell'inferno di Auschwitz per raccontare al mondo, cosa accadeva in quei gironi danteschi concepiti dalla follia nazista.
Il 19 settembre 1940, a 38 anni, si fece arrestare sotto falso nome dalla Gestapo. Qualche giorno più tardi davanti a questo "prigioniero volontario" si spalancarono le porte del campo di concentramento con la famosa scritta: Arbeit macht frei. Lo scopo della missione era di organizzare il movimento di resistenza anche lì, in quel luogo dannato, e di far sapere all'esterno cosa succedeva esattamente nel campo.
Il suo fu il primo documento arrivato dai campi di concentramento agli Alleati. I suoi rapporti venivano recapitati, tramite una catena di corrieri, al Governo polacco in esilio a Londra, che successivamente informava le cancellerie dei Paesi alleati, in primo luogo quelle della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Tali rapporti riguardavano le sorti dei prigionieri di guerra e lo sterminio degli ebrei.
Malgrado fame, lavoro massacrante, percosse, polmonite e tifo, Pilecki riuscì nella sua "missione impossibile" grazie alla sua salute di ferro, astuzia, abilità e tanta, tanta fortuna. Nel 1943 riuscì a evadere da Auschwitz e, successivamente, partecipò alla rivolta di Varsavia del 1944.
Purtroppo, la rivolta dei polacchi finì con la sconfitta e la distruzione della capitale che divenne un gigantesco cumulo di macerie. Pilecki fu di nuovo imprigionato dai nazisti, questa volta a Lamsdorf e Murnau, dove rimase fino alla fine della seconda guerra mondiale. Tornò poi in Polonia, ma non sarebbe stata la patria - libera e democratica - dei suoi ideali: il totalitarismo comunista aveva sostituito quello nazista.
Giovanni Paolo ii nel suo messaggio per il 50° anniversario della conquista di Montecassino così scrive della situazione della Polonia in quel periodo: "(Noi Polacchi) ci siamo trovati, pur alleati della coalizione vincente, nella situazione degli sconfitti, ai quali è stato imposto per oltre quarant'anni il dominio dell'Est nell'ambito del blocco sovietico. E così per noi la lotta non ha avuto termine nel 1945; è stato necessario riprenderla daccapo".
Ma contrastare il regime comunista fu difficile e pericoloso. Presto Pilecki si trovò nel mirino dell'apparato repressivo comunista: fu imprigionato e, in un processo farsa, condannato a morte come "traditore", "agente imperialista", "nemico del popolo". Il 25 maggio 1948 fu ammazzato con un colpo alla nuca nella squallida cella della prigione di Varsavia: la fine di Pilecki è identica a quella delle decine di migliaia di ufficiali polacchi trucidati a Katyn. Per il regime comunista le persone come Pilecki erano pericolose anche da morte: per questo motivo il corpo del valoroso capitano fu sepolto di nascosto in un prato del cimitero di Varsavia e non si sa dove si trovino i suoi resti mortali.
Per di più egli fu condannato alla damnatio memoriae perché ritenuto da tutti eroe scomodo: Pilecki testimonia che le cancellerie del mondo sapevano benissimo, tramite lui e la resistenza polacca, cosa succedeva. Sapevano e non reagivano. Nel già ricordato messaggio Giovanni Paolo ii dice ancora: "Bisogna ricordare quanti furono uccisi per mano anche delle istituzioni polacche e dei servizi di sicurezza, rimasti al servizio del sistema imposto dall'Est. Bisogna almeno ricordarli davanti a Dio e alla storia".
Un valido contributo per ricordare Witold Pilecki oggi lo dà il volume di Marco Patricelli Il Volontario (Roma-Bari, Laterza, 2010, pagine 304, euro 20) che ricostruisce la vicenda di quest'uomo straordinario ritenuto dallo storico Michael Foot uno dei sei più grandi eroi della seconda guerra mondiale. Nondimeno l'anno scorso un gruppo di europarlamentari polacchi propose di stabilire una Giornata Internazionale degli Eroi della Lotta contro i Totalitarismi, nel giorno della morte di Pilecki, il 25 maggio. Ma il Parlamento Europeo bocciò la proposta.
(©L'Osservatore Romano - 23 aprile 2010)
Il Diavolo esiste e Dio lo ha detto chiaramente. Tutti coloro che ne dichiarano la sua inesistenza giacciono sotto l’influenza e la guida spirituale del demonio: sono eretici - Tratto dal testo "il Burattinaio" di Carlo Di Pietro
L’intelligenza umana non riuscirà mai a provare se tutto ciò che la Sacra Scrittura ci dice circa il diavolo sia realtà, mera immaginazione profetica o errata interpretazione di metafore. Tutti coloro che dichiarano la sua inesistenza semplicemente perché la scienza non riesce a raccoglie documentazione in merito, oltre a dimostrarsi estremamente superficiali, indirettamente giacciono sotto l’influenza e la guida spirituale del demonio; sono eretici. La scienza, come ben sappiamo, approva tutto ciò che può essere sperimentabile, ma per quanto concerne le possessioni demoniache, le vessazioni, le infestazioni, ecc… essa non riuscirà mai a dare delle giustificazioni concrete, quindi, ritiene opportuno ridurre il tutto alla psiche, ai suoi ignoti meccanismi od a fenomeni magnetici, ecc… . Noi crediamo che il diavolo esista ancora oggi, perché lo stesso Gesù ce lo ha rivelato e ci ha messo in guardia fino alla fine dei tempi. Nell’Antico ...
... Testamento non si trovano molti testi che parlano del diavolo. Lo stesso Mosé, sembra nascondere intenzionalmente al popolo ebraico l’esistenza di questo essere potentissimo, perché egli aveva la convinzione che ne avrebbero sicuramente fatto un altro idolo. Non bisogna, difatti dimenticare, che i giudei, come tutte le popolazioni dell’epoca, erano molto superstiziosi ed avrebbero sicuramente finito con l’adorare anche Lucifero ed i suoi “compari”. Nel libro di Giobbe è evidenziato il racconto in cui l’astuto avversario si cimenta nel vano tentativo di allontanare definitivamente l’uomo da Dio.
“Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche Satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a Satana: “Da dove vieni?”. Satana rispose al Signore: “Da un giro sulla terra, che ho percorsa”. Il Signore disse a Satana: “Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male”. Satana rispose al Signore e disse: “Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda di terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!”. Il Signore disse a Satana: “Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui”. Satana si allontanò dal Signore” (Giobbe 1, 6-12).
Una pericope molto rilevante la ritroviamo nel Libro di Zaccaria quando, mediante una visione, si riesce a smascherare la figura del diavolo e della sua interminabile azione di eterno accusatore.
“Poi mi fece vedere il sommo sacerdote Giosuè, ritto davanti all'angelo del Signore, e Satana era alla sua destra per accusarlo. L'angelo del Signore disse a Satana: “Ti rimprovera il Signore, o Satana! Ti rimprovera il Signore che si è eletto Gerusalemme!” (Zaccaria 3, 1-2).
Cari amici, non pensate che quanto sta scritto nella Sacra Scrittura sia frutto di fantasie e di superstizioni, ricordate che la parola di Dio è sempre attuale. Leggiamo insieme le seguenti citazioni bibliche:
“Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (Sapienza 2, 23-24);
“Nello stesso giorno capitò a Sara figlia di Raguele, abitante di Ecbàtana, nella Media, di sentire insulti da parte di una serva di suo padre. Bisogna sapere che essa era stata data in moglie a sette uomini e che Asmodeo, il cattivo demonio, glieli aveva uccisi, prima che potessero unirsi con lei come si fa con le mogli” (Tobia 3, 7-8);
“Allora il ragazzo rivolse all'angelo questa domanda: “Azaria, fratello, che rimedio può esserci nel cuore, nel fegato e nel fiele del pesce?”. Gli rispose: “Quanto al cuore e al fegato, ne puoi fare suffumigi in presenza di una persona, uomo o donna, invasata dal demonio o da uno spirito cattivo e cesserà in essa ogni vessazione e non ne resterà più traccia alcuna” (Tobia 6, 7-8);
“Ho sentito inoltre dire che un demonio le uccide i mariti. Per questo ho paura: il demonio è geloso di lei, a lei non fa del male, ma se qualcuno le si vuole accostare, egli lo uccide” (Tobia 6, 14-15);
“Satana insorse contro Israele. Egli spinse Davide a censire gli Israeliti. Davide disse a Ioab e ai capi del popolo: Andate, contate gli Israeliti da Bersabea a Dan; quindi portatemene il conto sì che io conosca il loro numero” (Cronache 21, 1-2);
“Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell'aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli?Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell'assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all'Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso!” (Isaia 14, 12-15);
Nel Nuovo Testamento possiamo rilevare circa trecento citazioni in cui viene menzionato il demonio e le sue opere, nondimeno, però, negli stessi passi, è ovvia la vittoria di Cristo e la volontà della Salvezza. Gesù stesso ha parlato del diavolo in molte occasioni, e ci esorta a non abbassare mai la guardia.
“Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal Maligno” (Matteo 5, 37);
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno” (Matteo 6, 11-13);
“Voi dunque intendete la parabola del seminatore: tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada” (Matteo 13, 18-19);
“Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre” (Luca 22, 53);
“E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato” (Giovanni 16, 8-11).
Gesù dimorò in mezzo a noi con il preciso intento di dimostrare all’uomo che il regno di Satana è corruttibile, si può annientare; Egli lo ha fatto.
“Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1 Giovanni 3, 8).
Egli è venuto sulla terra per stabilire il suo Regno e per debellare il potere del Maligno.
“In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” (Matteo 3, 1-2);
“Gli rispose Gesù: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Giovanni 3, 5);
“Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini” (Romani 14, 17-18).
La definitiva vittoria di Cristo su Satana è stata sigillata principalmente e definitivamente con la sua morte in croce per noi.
“Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Ebrei 2, 14-15).
“Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi” (1 Pietro 5, 8-9).
La Sacra Scrittura è molto chiara a riguardo. L’esistenza del diavolo è una realtà. [Diavoli e Esorcismi – Padre Elias Vella].
Tratto dal testo "il Burattinaio" di Carlo Di Pietro
Pedofilia, un avvocato vuole Benedetto XVI in tribunale - di Andrea Tornielli, Roma
Il Vaticano ha accolto le dimissioni di un terzo vescovo irlandese chiamato in causa per aver coperto gli abusi sui minori perpetrati dal clero. E in Germania si dimette il primo, il vescovo di Augusta, accusato di aver alzato troppo spesso le mani verso i ragazzi quando era sacerdote. Intanto negli Stati Uniti una nuova denuncia mira al cuore della Santa Sede per trascinare in tribunale Benedetto XVI e i cardinali Tarcisio Bertone e Angelo Sodano.
Dietro l’iniziativa americana c’è sempre l’avvocato Jeff Anderson, che ieri dal Wisconsin ha annunciato una nuova azione legale contro i vertici vaticani per il trattamento riservato a padre Lawrence Murphy, il prete pedofilo che ha abusato di circa duecento ragazzi in un istituto per sordi. Nell’azione legale, diretta a un tribunale di Milwaukee, Anderson, che rappresenta una delle vittime di padre Murphy, vuole denunciare Benedetto XVI (in quanto Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede all’epoca in cui la denuncia arrivò a Roma) e i cardinali Bertone e Sodano, in quanto segretario della stessa Congregazione il primo, Segretario di Stato il secondo. Il caso di padre Murphy, con relativi documenti, è già noto da settimane: le accuse contro il sacerdote arrivarono alla metà degli anni Novanta a Roma, il prete venne inizialmente sottoposto a processo per la dimissione dallo stato clericale, poi sospeso a causa delle sue condizioni di salute: morì appena quattro mesi dopo la decisione vaticana di mantenerlo isolato e sotto controllo senza togliergli l’abito.
È stata pubblicata sempre ieri dalla Santa Sede la conferma dell’accettazione delle dimissioni di monsignor James Moriarty, vescovo di Kildare and Leighlin, accusato di aver coperto i preti responsabili di abusi quando era ausiliare di Dublino. Moriarty ha chiesto scusa alle vittime, alle quali è andato il suo «primo pensiero», per non aver contrastato la «cultura prevalente» nella Chiesa del tempo. «La verità – ha detto il vescovo dimissionato – è che la lunga battaglia delle vittime per essere ascoltate e rispettate dalle autorità della Chiesa ha rivelato una cultura che molti potrebbero semplicemente descrivere come non cristiana». Dalla Germania sono infine arrivate, sempre ieri, le dimissioni del vescovo Walter Mixa, accusato di maltrattamenti – anche se a suo dire limitati a «qualche ceffone» – ma soprattutto di aver acquistato mobili antichi e quadri con i soldi destinati a un orfanotrofio. Lo stesso presidente della Conferenza episcopale tedesca, Robert Zollitsch, gli ha suggerito «un periodo di riflessione spirituale e di distanza fisica».
I vescovi di Inghilterra e Galles, infine, hanno pubblicato una lettera sostenendo che bisogna affrontare la questione degli abusi sessuali sui minori «direttamente e senza ambiguità», perché si tratta di «crimini terribili» ai quali alcuni leader ecclesiastici hanno dato risposte inadeguate.
© Copyright Il Giornale, 23 aprile 2010
PAPA/ Anderson (Notre Dame): i nostri peccati e la fedeltà di Dio - Gary A. Anderson - venerdì 23 aprile 2010 – ilsussidiario.net
L’attuale crisi nella Chiesa Cattolica a seguito degli abusi su minori in parrocchie e scuole degli Stati Uniti e dell’Europa è piuttosto difficile da comprendere per i laici.
Di questo ho fatto esperienza personalmente, dato che vivevo a Boston quando queste storie vennero allo scoperto e posso testimoniare che gli effetti furono disastrosi. Nella mia attuale Diocesi, per fortuna, il comportamento del vescovo è stato esemplare e i problemi nelle parrocchie locali sono stati ridotti al minimo, anche se, purtroppo, non del tutto eliminati. Il problema è, naturalmente, cosa si debba fare con persone in posizioni autorevoli e di responsabilità che si sono comportate in questo modo, non solo i preti che hanno commesso gli abusi, ma anche chi li doveva controllare (come il Cardinale Law a Boston) e che invece hanno scelto di guardare dall’altra parte.
Agli occhi di molti il problema centrale è costituito dalla natura del peccato. Come ha correttamente posto la questione Julián Carrón, quale punizione potrà mai riparare il male che è stato fatto? C’è qualcosa che potrebbe soddisfare la nostra sete di giustizia? Su questo aspetto del problema si potrebbe dire molto e Don Carrón ha svolto un compito eccellente nel richiamare la Chiesa a combattere questo problema alla luce del mistero cristologico. Come si devono considerare questi scandalosi comportamenti alla luce delle promesse che Cristo ha fatto alla Sua Chiesa? Per cominciare, rivolgiamoci alla Bibbia.
La tragedia del peccato umano è il modo in cui i suoi effetti si prolungano nel tempo e, dato che le conseguenze della crisi attuale permarranno per un certo periodo anche in futuro, ci può aiutare il sapere che ciò ha precedenti nella Bibbia. Durante lo scorso periodo di Avvento, nel prepararmi per un corso biblico da tenere in parrocchia, ho letto il bel libro di Padre Raymond Brown A Coming Christ in Advent.
La sua discussione sui Vangeli inizia con una dettagliata analisi della genealogia di Gesù che apre il Vangelo di Matteo. Il primo terzo del testo riguarda i patriarchi che precedono Re Davide, mentre il resto è dedicato alla sua discendenza.
Dei quattordici re che Matteo elenca tra Davide e l’inizio della deportazione a Babilonia (587 a.C.), solo due possono essere considerati adeguati a quanto richiesto dal loro ruolo. Gli altri, nota Brown, “sono una singolare accozzaglia di idolatri, assassini, incompetenti, assatanati di potere e di donne”.
Quando i miei studenti si immergono in questi testi del Vecchio Testamento, chiedono spesso cosa si può fare di questa strano elenco di personaggi, se ci si deve concentrare solo sui buoni della lista. Davide, Ezechia e Giosia presentano un alto livello morale e forniscono al lettore molti fatti ammirevoli (anche se, a dire il vero, la vita dello stesso Davide presenta molte contraddizioni ed è spesso una prova più della misericordia divina che delle virtù umane). Tuttavia, se scegliessimo di studiare solo i santi, cosa faremmo di tutto lo spazio che la Bibbia riserva ai peccatori?
Padre Brown va dritto al cuore del problema attirando l’attenzione su uno dei più sorprendenti brani dell’intera Bibbia. Nel secondo Libro di Samuele, 7,11-16, Dio fa a Davide e alla sua discendenza una promessa eterna:
“Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il tuo regno. […] Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, io lo castigherò con verga d’uomo e con i colpi che danno i figli d’uomo, ma non ritirerò da lui il mio favore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinnanzi a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre”.
Questa promessa ha dimostrato di essere veramente durevole. Mentre la storia del Regno del Nord (che si separò dalla tribù di Giuda dopo la morte di Salomone, successore di Davide) vede il susseguirsi di diverse dinastie (perché Dio non ha fatto loro una simile promessa), la tribù di Giuda continua ad essere governata da una sola famiglia reale. La permanenza della discendenza di Davide malgrado l’inclinazione al peccato e alla ribellione non può che essere giudicata un miracolo. Come si può altrimenti capire la radicale diversità della storia dei due regni di Israele? Se Dio non avesse fatto quella promessa alla discendenza di Davide, anche loro sarebbero finiti secondo il destino umano.
Il lettore del Libro dei Re può solo rimanere stupito di fronte ai personaggi indegni che hanno occupato il trono di Davide, ma non si può non rimanere altrettanto sorpresi che, nonostante tutto questo, Dio sia rimasto fedele alla Sua promessa. Brown chiude la sua argomentazione suggerendo che i cattolici, che devono essere fedeli sia alla spontanea grazia di Dio che alla Chiesa gerarchica, potrebbero trovare un grande conforto nella genealogia degli antenati di Gesù.
Come sapeva bene Sant’Agostino, quando Dio costituì la Chiesa, Egli non alterò il DNA morale che condividiamo con il resto della razza umana: che i capi della Chiesa possano comportarsi in modi riprovevoli è una triste testimonianza della nostra natura di peccatori. Ciò che è divino nella Chiesa non sono le caratteristiche morali dei suoi membri, ma l’eterna promessa che Dio le ha concesso. Nel passato, la Chiesa ha attraversato periodi di ignominia non certo inferiori alla crisi attuale, ma è ancora in piedi. Come ai tempi del Vecchio Testamento, anche in quelli del Nuovo la questione è se Dio manterrà la promessa fatta alla Sua Chiesa, una promessa fatta a San Pietro stesso. Se la genealogia di Matteo è una valida indicazione, abbiamo una buona base per sperare.
Per concludere, potrebbe valere la pena di ricordare quanto detto da George Lindbeck, il famoso teologo che insegnò a Yale, quando affermava che c’è molto da imparare dalla definizione biblica della Chiesa come “Nuovo Israele”. Molti tendono a considerare questa definizione solo come onorifica, cioè siamo eredi della promessa fatta agli antenati di Israele (senza però cancellare la promessa fatta a Israele secondo la carne). Ma vi è un’altra faccia e cioè che noi siamo eredi anche delle aspre critiche dei profeti di Israele.
Leggendo il Vecchio Testamento, uno potrebbe affrettatamente concludere che Dio ha semplicemente sbagliato a scegliere il popolo, e potrebbe giungere alla stessa conclusione, leggendo i media di oggi, per quanto riguarda la Chiesa cattolica. È anche vero che ci si potrebbe risentire di come la stampa sta trattando l’intera vicenda, ma forse la strada maestra è di riconoscere, confessare e offrire pubblica penitenza per questi terribili atti di infedeltà, ma allo stesso tempo rinnovando la fiducia che Dio rimarrà fedele alla Chiesa che ha fondato. Dio ha promesso a Davide che la sua discendenza sarebbe rimasta per sempre, ma non ha detto che i suoi misfatti sarebbero stati ignorati. Questi peccati, ha dichiarato Dio, sarebbero stati puniti con “verga d’uomo”.
Il crescente accanimento che vediamo nei media forse non è altro che questa “verga d’uomo”. Dopo tutto la punizione di Davide e dei suoi discendenti è sempre avvenuta attraverso l’azione di personaggi tutt’altro che virtuosi. Se è così, dovremmo fare attenzione ai consigli dei profeti biblici e non lamentarci del tipo di verga che Dio ha scelto (la stampa contemporanea è peggiore del re di Babilonia?), ma piuttosto inginocchiarci contriti. Perché cuori e menti umilmente rivolti al cielo saranno sempre apprezzati da Dio.
QUELLO CHE IL NYT NON PUBBLICA - APR 22, 2010 BLOG, PALAZZOAPOSTOLICO.IT
John Coverdale è professore di diritto presso la Seton Hall University. Ieri ha preso carta e penna e ha scritto al New York Times (Nyt) per dire che l’articolo del 10 aprile scorso nel quale Laurie Goodstein e Michael Luo accusavano il Papa di aver rimandato la decisione di punire un prete pedofilo (è l’articolo che ha suffragato il “caso Kiesle”) è sbagliato.
Coverdale ha mandato il pezzo al Nyt ma il Nyt non l’ha pubblicato. Eppure è una delle migliori ricostruzioni uscite sul caso nelle ultime settimane.
Ecco qui: “The NY Times and the facts of the Kiesle case“, di John Coverdale.
The NY Times and the facts of the Kiesle case
Posted by : John Coverdale | 21 Apr 2010 | (6)
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Law professor John Coverdale wrote this letter to the New York Times. It has not been published.
"Like many other people, I have felt in recent weeks that some news outlets have unfairly targeted Pope Benedict XVI in connection with sexual abuse by priests.
In part this is a question of emphasis, with daily coverage of what may or may not have been minor mistakes in judgment decades ago and almost no attention to the major efforts Pope Benedict has made to remedy what is undeniably a horrible situation.
With some frequency, however, I have observed what strikes me as deliberate distortion of the facts in order to put Pope Benedict in a bad light. I would like to call your attention to what seems to me a clear example of this sort of partisan journalism: Laurie Goodstein and Michael Luo’s article “Pope Put Off Move to Punish Abusive Priest” published on the front page of the New York Times on April 10, 2010. The story is so wrong that it is hard to believe it is not animated by the anti-Catholic animus that the New York Times and other media outlets deny harboring.
Canonical procedure punishes priests who have violated Church law in serious ways by “suspending” them from exercising their ministry. This is sometimes referred to as “defrocking.” (According to Webster’s New Collegiate Dictionary to “defrock” is to deprive of the right to exercise the functions of an office. )
A priest who has been suspended may request that he be released from his vows of celibacy and other obligations as a priest. If granted, this petition to be “laicized” would leave the former priest free to marry. Laicization (which is altogether different from defrocking and which may apply to a priest who has committed no crime but simply wishes to leave the priesthood) is not further punishment. It is something a priest who has already been punished by being suspended might well desire, as do some priests who have committed no crime and who have not been suspended..
The priest who is the subject of the article had already been punished by being suspended long before his case reached Rome. He asked to be laicized. Cardinal Ratzinger delayed his laicization not his “defrocking” as the article incorrectly says. He had been defrocked years earlier when he was suspended from the ministry. All of this is clear without reference to outside sources to anyone who knows something about Church procedure and reads the article with sufficient care. It is anything but clear, however, to a normal reader.
My complaint here is not that the article misuses the word “defrock” but rather that by so doing it strongly suggests to readers that Cardinal Ratzinger delayed the priest’s removal from the ministry. Delaying laicization had nothing to do with allowing him to continue exercising the ministry, from which he had already been suspended.
Not only does the article fail to make these distinctions, it positively misstate the facts. Its title is “Pope Put off Move to Punish Abusive Priest.” [italics added] It describes Cardinal Ratzinger’s decision as involving whether the abusive priest “should be forced from the priesthood” [italics added]. Even a moderately careful journalist would have to notice that all of this is incompatible with the fact (reported in the second paragraph of the article) that the priest himself had asked for what Cardinal Ratziner delayed.
Had the facts been reported accurately, the article would have said that the priest was promptly punished by being removed from the ministry for his crimes, but that when he asked to be reduced to the lay state, which would have given him the right to marry within the Church, Cardinal Ratzinger delayed granting the petition. That, of course, would hardly have merited front page treatment, much less a headline accusing the Pope of “Putt[ing] off Move to Punish Abusive Priest.”
The second half of the article reports that the priest later worked as a volunteer in the youth ministry of his former parish. This is obviously regrettable and should not have happened, but he was not acting as a priest (youth ministers are laymen, not priests).
A careful reader who was not misled by the inaccuracies in the first part of the article would, of course, realize that his volunteering as a youth minister had no factual or legal connection with Cardinal Ratzinger’s delaying the grant of laicization. The article does not say in so many words that it did, but an average reader might well conclude that there was some connection when he is told that “while the bishop was pressing Cardinal Ratzinger to defrock Mr. Kiesle, the priest began volunteering in the youth ministry of one of his former parishes.”
Any one of these errors might be due to carelessness, but their cumulative effect, coupled with the decision to make this front page news accompanied by a two column photo of Cardinal Raztinger’s signature, strongly suggests to me that something worse than carelessness is involved. I urge you to look into whether some major news outlets have indeed been engaged in a campaign to vilify the Pope and into whether their desire to do so has caused them to slip below minimum standards of professional journalism"
John Coverdale is Professor of Law at Seton Hall University School of Law
GIOVANI, QUANDO LA REALTÀ È PIÙ FORTE DELLE PREDICHE - Un sacchetto di arance per l’emergenza educativa - GIORGIO PAOLUCCI – Avvenire, 23 aprile 2010
E mergenza educativa: un fenomeno sulla bocca di tutti. Si levano alti lai nei confronti di 'questi ragazzi che ne combinano di tutti i colori, e non sai più come gestirli'. Si sprecano analisi e denunce, scarseggiano i rimedi Quello su cui (quasi) tutti concordano è che, dopo l’epoca del 'vietato vietare', è necessaria più severità. Tradotto: insegnanti e genitori devono diventare i poliziotti della gioventù. Bisogna tornare a punire come un tempo, altrimenti la situazione diventa ingovernabile. Ma può bastare l’adulto-sceriffo? Un episodio di cui siamo stati testimoni pochi giorni fa aiuta a rispondere agli interrogativi che molti si pongono senza trovare risposte convincenti.
Studenti di terza media in gita a Firenze, sosta per il pranzo al sacco davanti al monastero di San Marco. Dopo essersi sfamati, cominciano a lanciarsi i panini avanzati e a sbriciolare le merendine, si spruzzano addosso l’acqua delle bottigliette, mentre un gruppo improvvisa una partitella di calcio con le arance rimaste nei sacchetti. Urla, risate sardoniche, tra lo sconcerto e la disapprovazione dei passanti: ma i genitori, cosa insegnano a casa a questa gente? E i professori, i professori che fanno? Accade un fatto imprevisto: due insegnanti raccolgono le arance avanzate e le mettono in due sacchetti, altri due vengono riempiti di panini, poi si raccolgono le bottigliette d’acqua sparpagliate a terra.
Chiamano quelli che giocavano a calcio e li invitano a seguirli.
«Cosa c’è? Non abbiamo fatto niente». «Non preoccupatevi, venite con noi». Insieme vanno davanti alla loggia dell’Ospedale degli Innocenti, poco lontano, dove bivaccano alcuni anziani clochard.
Un insegnante avvicina quell’umanità dolente e chiede: «Volete qualche panino? Non vi offendete?» Sui volti di quegli uomini si accende un sorriso, le mani si allungano verso i sacchetti. «Serve anche dell’acqua?». «No grazie, ne abbiamo ancora un po’». Ma come, avrebbero potuto farne scorta… e invece no, può servire ad altri. Dal colonnato spunta una donna malvestita, gli occhi scavati e lo sguardo fiero: «Ho sei bambini, sei… posso averne un po’ anch’io?». Restano da distribuire le arance, e gli sguardi dei barboni s’illuminano: «Che meraviglia, la frutta!».
I due prof tornano verso il monastero di San Marco, seguiti dai ragazzi che si guardano tra loro quasi increduli, gli occhi bassi, e commentano: «Ma hai visto quello come ha preso le arance? E quell’altro che non ha voluto la bottiglietta d’acqua?». La bravata da cui tutto era nato ha lasciato il posto allo stupore per qualcosa di grande di cui erano stati testimoni e involontari protagonisti.
Qualcosa di più grande della loro inettitudine che ha reso evidente, nell’impatto con la domanda presente in quell’umanità bisognosa, la piccolezza del loro comportamento.
La realtà insegna più di tante prediche sui valori. Basta saperla guardare con occhi sinceri. Ma per questo ci vuole qualcuno che educhi a guardarla così. Qualcuno capace di prendere per mano dei ragazzi che, prendendo a calci le arance avanzate dal loro pranzo, prendono a calci la loro vita. E che della vita possono riscoprire il significato e il valore avendo davanti agli occhi qualcuno che non si aspettavano. Quei due insegnanti si sono risparmiati l’ennesima e prevedibile ramanzina, hanno fatto lezione fuori dalla classe. Una lezione di vita fatta di poche parole e di un gesto capace di risvegliare domande che ognuno si porta nel cuore. E così hanno conseguito un piccolo-grande traguardo educativo che nessuno 'sceriffo' avrebbe saputo conseguire.
Terzo «no» in Canada: l’eutanasia non è legge - Maggioranza schiacciante in Parlamento, lobby battute - DI LORENZO FAZZINI - Avvenire, 23 aprile 2010
E sconfitta è stata. L’eutana sia non è diventata legge nel Paese della foglia d’a cero. Il Canada, Paese decisa mente secolarizzato, ha rigetta to – per la terza volta – una pro posta di legge che autorizza la “dolce morte” e il suicidio assi stito da un medico. E a nulla so no servite le pressioni, lobbysti che e (pseudo) mediche, molto forti sui parlamentari di Ottawa. Che nel tardo pomeriggio di mercoledì (era notte inoltrata in Italia) hanno respinto la propo sta di legge “C-384”. Tale decisione politica è arrivata con una maggioranza che il To ronto Star ha definito «schiac ciante »: infatti sono stati 228 i «no» alla proposta della deputa ta del “Bloc Quebecois” Francine Lalonde mentre i sì sono arriva ti appena a 59. Ma già appena dopo il voto due deputati che a vevano dato il loro assenso si so no precipitati a spiegare di aver sbagliato al momento del voto, sul quale – è bene precisarlo – i maggiori partiti (i liberali e i con servatori) avevano lasciato li bertà di voto. Solo il Bloc Que becois ha appoggiato in toto la mossa della Lalonde. An che il mini stro della Sa nità, Stephen Fletcher, non ha dato il suo sostegno alla normativa e si è astenuto. La bozza di legge C-384 prevedeva, in sinte si, la depenalizzazione dell’ac cusa di omicidio per i medici che avessero praticato l’eutanasia ad un paziente. Tale soggetto dove va avere almeno 18 anni e soffri re di malattia terminale oppure di dolore fisico o psicologico: un dettaglio non indifferente, quest’ultimo, perché – come hanno sostenuto i fautori della posizio ne pro life – questa definizione ri sultava molto evanescente ed a vrebbe dato origine ad abusi di vario genere. Inoltre, il paziente doveva pro durre due ri chieste scrit te, anche so lo nell’arco di 10 giorni.
«Vogliamo ringraziare o gni membro del parla mento che ha votato contro la C-384» ha di chiarato Alex Schadenberg, re sponsabile dell’associazione Euthanasia Prevention Coalition che ha la sua base operativa a London, in Ontario, che molto si è battuto contro la proposta di legalizzazione del suicidio assi stito per via medica. «Mesi di la voro hanno causato questa in credibile vittoria. Ma la battaglia non è finita – ha proseguito Scha denberg – perché vogliamo che si apra un dibattito sul modo in cui i cittadini possono vivere con dignità».
Infatti la battaglia della Lalonde è stata condotta in nome di una «morte con dignità», tematica che evoca il ricorso alle cure pal liative. È proprio questo il fron te che alcuni parlamentari di di verso orientamento politico han no ora aperto: come evidenzia va il Toronto Sun , il deputato del Ndp Joe Comartin ha annuncia to la creazione di un comitato parlamentare apartitico dedica to alla prassi medica di leni mento del dolore che una recen te indagine – diffusa dalla Con ferenza episcopale canadese – indicava come assolutamente scarsa negli ospedali del Paese: solo il 15% dei cittadini può ri correre alle cure palliative, per centuale che scende al 3 nel ca so dei bambini. «È chiaro che noi non potevamo solo opporci alla legge – ha dichiarato Comartin – . Dobbiamo andare oltre per intraprendere politiche che af frontino il tema del suicidio».
Proprio su questo la Euthanasia Prevention Coalition ha stilato una road map per un intervento politico costruttivo, visto che per questa legislatura la legge non potrà più essere ripresentata: «Migliorare le strutture di hospi ce e le pratiche palliative; mi gliorare i servizi per i disabili; i stituire un’efficace strategia na zionale contro i suicidi; pro muovere programmi che sco raggino gli abusi sanitari a dan no degli anziani».
Sono stati 228 i contrari alla proposta della deputata del “Bloc Quebecois” Francine Lalonde, i sì sono arrivati appena a 59