Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: “IL TRIDUO PASQUALE, FULCRO DELL'INTERO ANNO LITURGICO” - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
2) Radio Vaticana 30/3/2010 - Il cardinale Ruini presenta i testi delle meditazioni che animeranno la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo - In libreria da oggi i testi delle meditazioni della Via Crucis che sarà presieduta dal Papa Venerdì Santo alle 21.15 al Colosseo.
3) 2 Aprile. Giovanni Paolo il Grande: straordinaria guida tra i due millenni - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - mercoledì 31 marzo 2010
4) LE RAGIONI DELLA FAMIGLIA DEVONO ESSERE FINALMENTE CONSIDERATE - In Italia c’è una minoranza che è maggioranza: la si ascolti - DOMENICO DELLE FOGLIE – Avvenire, 1 aprile 2010
5) Quella tentazione di «scartare» embrioni - di Viviana Daloiso – Avvenire, 1 aprile 2010
6) L’eutanasia fa paura? Basta cambiarle nome - La rivista ufficiale dei medici canadesi dice basta con l’uso di un termine sul quale grava una percezione popolare troppo negativa. E teorizza che se si vuole far accettare la morte provocata di un paziente basta spostare il significato dei concetti Un 'trucco' che va conosciuto e smascherato - di Tommaso Scandroglio – Avvenire, 1 aprile 2010
BENEDETTO XVI: “IL TRIDUO PASQUALE, FULCRO DELL'INTERO ANNO LITURGICO” - Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
ROMA, martedì, 30 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato del Triduo Pasquale, culmine dell’itinerario quaresimale.
* * *
Cari Fratelli e Sorelle,
stiamo vivendo i giorni santi che ci invitano a meditare gli eventi centrali della nostra Redenzione, il nucleo essenziale della nostra fede. Domani inizia il Triduo pasquale, fulcro dell'intero anno liturgico, nel quale siamo chiamati al silenzio e alla preghiera per contemplare il mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore.
Nelle omelie i Padri fanno spesso riferimento a questi giorni che, come osserva Sant’Atanasio in una delle sue Lettere Pasquali, ci introducono «in quel tempo che ci fa conoscere un nuovo inizio, il giorno della Santa Pasqua, nella quale il Signore si è immolato» (Lett. 5,1-2: PG 26, 1379).
Vi esorto pertanto a vivere intensamente questi giorni affinché orientino decisamente la vita di ciascuno all'adesione generosa e convinta a Cristo, morto e risorto per noi.
La Santa Messa Crismale, preludio mattutino del Giovedì Santo, vedrà domani mattina riuniti i presbiteri con il proprio Vescovo. Nel corso di una significativa celebrazione eucaristica, che ha luogo solitamente nelle Cattedrali diocesane, verranno benedetti l’olio degli infermi, dei catecumeni e il Crisma. Inoltre, il Vescovo e i Presbiteri, rinnoveranno le promesse sacerdotali pronunciate il giorno dell’Ordinazione. Tale gesto assume quest’anno, un rilievo tutto speciale, perché collocato nell’ambito dell’Anno Sacerdotale, che ho indetto per commemorare il 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. A tutti i Sacerdoti vorrei ripetere l’auspicio che formulavo a conclusione della Lettera di indizione: «Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Cristo e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!».
Domani pomeriggio celebreremo il momento istitutivo dell’Eucaristia. L’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinti, confermava i primi cristiani nella verità del mistero eucaristico, comunicando loro quanto egli stesso aveva appreso: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,23-25). Queste parole manifestano con chiarezza l’intenzione di Cristo: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato quale sacrificio della Nuova Alleanza. Al tempo stesso, Egli costituisce gli Apostoli e i loro successori ministri di questo sacramento, che consegna alla sua Chiesa come prova suprema del suo amore.
Con suggestivo rito, ricorderemo, inoltre, il gesto di Gesù che lava i piedi agli Apostoli (cfr Gv 13,1-25). Tale atto diviene per l’evangelista la rappresentazione di tutta la vita di Gesù e rivela il suo amore sino alla fine, un amore infinito, capace di abilitare l’uomo alla comunione con Dio e di renderlo libero. Al termine della liturgia del Giovedì santo, la Chiesa ripone il Santissimo Sacramento in un luogo appositamente preparato, che sta a rappresentare la solitudine del Getsemani e l’angoscia mortale di Gesù. Davanti all’Eucarestia, i fedeli contemplano Gesù nell’ora della sua solitudine e pregano affinché cessino tutte le solitudini del mondo. Questo cammino liturgico è, altresì, invito a cercare l’incontro intimo col Signore nella preghiera, a riconoscere Gesù fra coloro che sono soli, a vegliare con lui e a saperlo proclamare luce della propria vita.
Il Venerdì Santo faremo memoria della passione e della morte del Signore. Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità, scegliendo a tal fine la morte più crudele ed umiliante: la crocifissione. Esiste una inscindibile connessione fra l’Ultima Cena e la morte di Gesù. Nella prima Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue, ossia la sua esistenza terrena, se stesso, anticipando la sua morte e trasformandola in un atto di amore. Così la morte che, per sua natura, è la fine, la distruzione di ogni relazione, viene da lui resa atto di comunicazione di sé, strumento di salvezza e proclamazione della vittoria dell’amore. In tal modo, Gesù diventa la chiave per comprendere l’Ultima Cena che è anticipazione della trasformazione della morte violenta in sacrificio volontario, in atto di amore che redime e salva il mondo.
Il Sabato Santo è caratterizzato da un grande silenzio. Le Chiese sono spoglie e non sono previste particolari liturgie. In questo tempo di attesa e di speranza, i credenti sono invitati alla preghiera, alla riflessione, alla conversione, anche attraverso il sacramento della riconciliazione, per poter partecipare, intimamente rinnovati, alla celebrazione della Pasqua.
Nella notte del Sabato Santo, durante la solenne Veglia Pasquale, "madre di tutte le veglie", tale silenzio sarà rotto dal canto dell’Alleluia, che annuncia la resurrezione di Cristo e proclama la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte. La Chiesa gioirà nell’incontro con il suo Signore, entrando nel giorno della Pasqua che il Signore inaugura risorgendo dai morti.
Cari Fratelli e Sorelle, disponiamoci a vivere intensamente questo Triduo Santo ormai imminente, per essere sempre più profondamente inseriti nel Mistero di Cristo, morto e risorto per noi. Ci accompagni in questo itinerario spirituale la Vergine Santissima. Lei che seguì Gesù nella sua passione e fu presente sotto la Croce, ci introduca nel mistero pasquale, perché possiamo sperimentare la letizia e la pace del Risorto.
Con questi sentimenti, ricambio fin d’ora i più cordiali auguri di santa Pasqua a tutti voi, estendendoli alle vostre Comunità e a tutti i vostri cari.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Nel rivolgere un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, saluto gli universitari, provenienti da diversi Paesi, che partecipano al Congresso internazionale promosso dalla Prelatura dell’Opus Dei. Cari amici, siete venuti a Roma in occasione della Settimana Santa per una esperienza di fede, di amicizia e di arricchimento spirituale. Vi invito a riflettere sull’importanza degli studi universitari per formare quella "mentalità cattolica universale" che san Josemaria descriveva così: "ampiezza di orizzonti e vigoroso approfondimento di ciò che è perennemente vivo nell’ortodossia cattolica". Si accresca in ciascuno il desiderio di incontrare personalmente Gesù Cristo, per testimoniarlo con gioia in ogni ambiente. Saluto, inoltre, i partecipanti al torneo di calcio "Città di Rieti", come pure i rappresentanti della Scuola "Monsignor Manfredini", di Varese. Tutti ringrazio per la loro visita, augurando a ciascuno che questi giorni della Settimana Santa siano occasione propizia per rafforzare la fede e l'adesione al Vangelo.
Rivolgo infine il mio cordiale pensiero ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. La contemplazione della passione, morte e risurrezione di Gesù, cari giovani, vi renda sempre più saldi nella testimonianza cristiana. E voi, cari ammalati, traete dalla Croce di Cristo il sostegno quotidiano per superare i momenti di prova e di sconforto. A voi, cari sposi novelli, venga dal mistero pasquale, che in questi giorni contempliamo, un incoraggiamento a fare della vostra famiglia un luogo di amore fedele e fecondo.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
Radio Vaticana 30/3/2010 - Il cardinale Ruini presenta i testi delle meditazioni che animeranno la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo - In libreria da oggi i testi delle meditazioni della Via Crucis che sarà presieduta dal Papa Venerdì Santo alle 21.15 al Colosseo.
Autore dei testi è il cardinale Camillo Ruini, già presidente della Conferenza episcopale italiana. Trentamila le copie stampate dalla Libreria Editrice Vaticana. Le illustrazioni che arricchiscono la pubblicazione riproducono la Via Crucis della prima metà dell’800 di Joseph Führich che si trova nella Chiesa di San Giovanni Nepomuceno di Vienna. L’introspezione, il dolore e la speranza sono i temi proposti dal cardinale Ruini. Luca Collodi lo ha intervistato.
R. – In maniera molto semplice, io ho cercato di riflettere sui testi dei Vangeli. Ho letto una sinossi, Matteo, Marco, Luca, Giovanni, i quattro evangelisti che specialmente nel racconto della Passione sono facilmente disponibili in questo modo, uno accanto all’altro. Leggendo quei testi mi sono rafforzato meglio nella convinzione che avevo un po’ anche prima, e cioè che la cosa più semplice era cercare di presentare che ciò che è accaduto nella Passione di Cristo è anche il significato di ciò che è accaduto, un significato che ha molti livelli di profondità.
D. - Qual è il messaggio che passa attraverso questa sua riflessione, eminenza?
R. – Il messaggio centrale mi sembra questo: in Gesù crocifisso, vediamo il vero volto dell’uomo e anche il vero volto di Dio. Ricordiamo la Gaudium et Spes dove dice che nel mistero del Verbo incarnato trova piena luce il mistero dell’uomo, proprio alla luce del mistero di Dio e dell’amore di Dio. Penso che è nella sua Croce, e naturalmente nella Risurrezione - croce e Risurrezione alla fine sono inseparabili - che questo mistero del Verbo incarnato, il senso dell’Incarnazione di Cristo si rivela nella sua pienezza, e così noi veniamo rivelati a noi stessi. Dice in proposito il testo della Gaudium et Spes: rivela l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. Naturalmente, ho anche riflettuto sulla debolezza umana, sulla colpa umana - sulla profondità della colpa umana - ma di più sulla misericordia di Dio, sull’amore di Dio.
D. – Nel corso degli anni, che importanza ha avuto la Via Crucis al Colosseo che si svolge a Roma, sede del cristianesimo universale?
R. – Ha una grande importanza non solo perché tanti partecipano e perché è trasmessa in mondovisione, ma perché aiuta ad andare al cuore del mistero della Pasqua: aiuta la gente che vi partecipa, che è la gente più varia, una varia umanità, e questa gente ha voglia di entrare nel Mistero. Io penso che quanto più andiamo all’essenziale, tanto più rispondiamo anche alla vera attesa.
D. – Eminenza, di fatto, la Chiesa sta vivendo un momento di grande sofferenza…
R. – Certo, è un momento di sofferenza anche per lo spirito col quale spesso viene posta all’attenzione: uno spirito non solo polemico, ma che vorrebbe sradicare la fiducia nella Chiesa - e io temo, alla fine, la fede Cristo, la fede in Dio, dal cuore degli uomini. Questo è un altro motivo di sofferenza. Ci sono due motivi di sofferenza che stanno insieme: sofferenza per le colpe dei figli della Chiesa, in particolare dei sacerdoti, e sofferenza per questa volontà ostile alla Chiesa. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
2 Aprile. Giovanni Paolo il Grande: straordinaria guida tra i due millenni - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - mercoledì 31 marzo 2010
Oggi, 2 Aprile, nel 2005, si spegneva a Roma il più grande Pontefice della Chiesa in età moderna, Giovanni Paolo II.
Il significato della sua vita e della sua opera parte dalla Chiesa e si estende al mondo, parte dalla dimensione teologica e pastorale e si estende a quella politica e sociale.
Il suo biografo ufficiale, G.Weigel, nel suo monumentale "Testimone della speranza" scrive che
"l'umanesimo cristiano come risposta della Chiesa alla crisi della civiltà mondiale al termine del XX secolo" (p.1068) rappresenta l'annunciato significato del suo pontificato, da lui proposto all'inizio del suo insediamento con l'Enciclica inaugurale Redemptor Hominis.
"Cristo, Redentore del mondo, rivela la stupefacente verità sulla condizione dell'uomo e sul suo destino ultimo; l'amore che spinge al dono di sé rappresenta il sentiero lungo il quale la libertà dell'uomo trova il proprio compimento nel fiorire della civiltà." (p.1069)
Otto – secondo Weigel - furono gli esiti principali di tale suo impegno.
1) Riportò l'ufficio di Pietro alle sue radici evangeliche: il Papa come primo evangelizzatore della Chiesa e non come "direttore generale della Chiesa" nella sua dimensione burocratica e amministrativa.
2) Incarnò e realizzò ciò che il Concilio Vaticano II aveva desiderato:
- concezione cristiana della persona;
- definizione di Chiesa come comunione di fedeli;
- rinnovamento del culto;
- dialogo con la scienza;
- difesa della libertà religiosa come il più elementare dei diritti dell'uomo.
3) Propose la democrazia come servizio alla libertà nella verità e rispose alla rivoluzione sessuale con la sua teologia del corpo;
4) Fece crollare dall'interno il comunismo in Europa.
5) Sostenne con forza il primato della cultura e diede un compimento alla dottrina sociale della Chiesa, con la conseguente affermazione della importanza della morale pubblica di fronte alle sfide della scienza e della tecnologia.
6) Introdusse l'ecumenismo nel cuore del cattolicesimo, rivoluzionando il dialogo con le confessioni cristiane.
7) Rinnovò il dialogo interreligioso e si aprì all'ebraismo.
8) Rappresentò un modello di rinnovamento personale per innumerevoli esseri umani.
LE RAGIONI DELLA FAMIGLIA DEVONO ESSERE FINALMENTE CONSIDERATE - In Italia c’è una minoranza che è maggioranza: la si ascolti - DOMENICO DELLE FOGLIE – Avvenire, 1 aprile 2010
S e qualcuno aveva ancora dei dubbi, il rapporto Cisf (Centro internazionale studi famiglia) del 2009 li ha definitivamente spazzati via: le famiglie italiane con figli, sia pure per pochi punti percentuali, sono in Italia una minoranza tra i nuclei anagraficamente definiti. Una minoranza sterminata, ma pur sempre una minoranza.
Ecco le cifre fornite dal rapporto: la popolazione italiana è composta da famiglie anagrafiche di cui ben il 53,4% non ha figli. Quelle con figli sono il restante 46,6% del totale. Una minoranza fatta di grandi numeri (perché è la maggioranza della popolazione totale), ma basta analizzare meglio le cifre per scoprire che il 21,9% di questi nuclei ha un solo figlio e che il 19,5% ne ha due. Le famiglie con tre figli sono appena il 4,4% e per trovare gli eroi civili con quattro e più figli bisogna andare a scavare in un esile 0,7%.
Lasciamo ai sociologi la spiegazione di questa stratificazione sociale che fa dell’Italia il fanalino di coda per la natalità in Europa, così come uno dei Paesi condannati a un processo irreversibile di invecchiamento i cui effetti si vedranno tangibilmente nei prossimi venti anni. Tutto ciò metterà a rischio la tenuta del sistema, la nostra stessa competitività sui mercati internazionali e renderà sempre più inadeguate le attuali politiche socioassistenziali.
Qui vogliamo ragionare di politica e, se possibile, non in politichese. A cominciare da una considerazione: ogni minoranza degna di questo nome, deve innanzitutto essere consapevole della propria condizione. È questa la premessa necessaria per un’adeguata azione politica capace di cambiare il corso delle cose. È appena il caso di osservare che se le politiche per la famiglia con figli non sono incisive (passateci l’eufemismo) è proprio il risultato di questa mancanza di coscienza 'politica'. Una minoranza del 46,6% – parliamo sempre di nuclei non di individui – potrebbe (e dovrebbe) cambiare il corso della politica e condizionarne in maniera decisiva le scelte. Basti pensare al solo strumento del quoziente familiare o comunque a meccanismi fiscali effettivamente perequativi, come la leva delle deduzioni e delle detrazioni, per capire quanto potrebbe pesare nel dibattito pubblico un diverso protagonismo delle famiglie.
È indiscutibile che in questa direzione, in Italia, si sia mosso con efficacia e preveggenza solo il Forum delle associazioni familiari, costretto talvolta persino ad alzare la voce perché i palazzi della politica, ma anche i sindacati, si mettessero in ascolto. La società italiana non sembra aver colto la grande novità che il Forum rappresenta nello spazio pubblico, con la sua capacità di 'fare lobby' al di sopra e al di fuori delle logiche di schieramento, così come di interloquire disinteressatamente in nome di quella imponente minoranza silenziosa costituita dalle famiglie.
Sulle spalle di questa enorme minoranza – sarà bene ricordarlo – è stato caricato tutto il peso del ricambio generazionale, fattore non secondario per il benessere presente e futuro di tutti noi. Già questa consapevolezza dovrebbe dare forza al protagonismo 'politico' delle famiglie e alla loro capacità di interlocuzione. Se lo Stato e le sue classi dirigenti hanno consentito e incoraggiato, con le loro politiche di fatto antinataliste e con le loro scelte cultural-valoriali di segno individualista, una prospettiva di famiglia (quella anagrafica) senza figli, oggi vanno messi dinanzi alle loro responsabilità. Certo, non possono addossare alcuna colpa a chi continua a desiderare e ad accettare i figli, anche a costo di un sacrificio economico che spinge verso la soglia della povertà. Ecco perché la politica merita di essere messa, da questa minoranza sterminata (la più numerosa che si conti nel Paese), con le spalle al muro. O con noi e con i nostri figli, oppure senza di noi. E in tal caso, sì che sarebbero guai seri per tutti.
Quella tentazione di «scartare» embrioni - di Viviana Daloiso – Avvenire, 1 aprile 2010
Un anno fa, proprio il 1° aprile, con la sentenza 151 la Corte Costituzionale interveniva sulla legge 40 rimuovendo il limite dei tre embrioni producibili a ogni ciclo e concedendo deroghe al divieto di congelamento degli stessi. Si trattava di una decisione 'tecnica', relativamente alle pratiche della fecondazione assistita che non toccava l’impianto generale della legge, anzi: veniva sottolineato come alla scelta di fecondare più ovociti (e a quanti trasferirne nell’utero della donna) dovesse pensare, con responsabilità e valutando di caso in caso, il medico curante, mentre si chiariva come restasse «salvo il principio secondo cui le tecniche non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario».
Alle novità, e in particolare a quella del numero di ovociti fecondabili, i centri di fecondazione assistita d’Italia si sono adattati quasi subito: nel nostro Paese l’età media delle donne che vi si rivolgono è molto alta, e sopra i 35 anni la possibilità di ottenere embrioni vitali in un ciclo di fecondazione assistita si abbassa vertiginosamente. È per lo più in questi casi che i medici, un po’ ovunque, hanno cominciato a sperimentare la novità: dal centro per la Pma degli Ospedali Riuniti di Bergamo a quello dei principali ospedali di Milano, Torino, Roma, Bologna, Napoli. Più problemi per quanto riguarda invece la questione del congelamento: perché se è vero che il divieto è stato tolto, vero è anche che per ragioni sia etiche sia pratiche nei centri si cerca di ricorrervi il meno possibile. «Lo evitiamo da sempre, anche da prima che entrasse in vigore la legge 40 – spiegano al Centro Genesis di Roma – perché crediamo che eticamente sia sbagliato lasciare gli embrioni nell’azoto liquido per anni. C’è una tutela dell’embrione che è soggetto di diritti chiarita con precisione nel testo della legge 40: e noi rispettiamo la legge». Stessi problemi, ragioni diverse alla Casa di cura Città di Bra, o al Futura Diagnostica Medica di Firenze: qui gli embrioni non si congelano (o lo si fa solo in casi eccezionali) perché non si sa come gestirli, hanno costi economici non indifferenti di mantenimento e poi «c’è il rischio di pasticci giuridici, come le rivendicazioni da parte di entrambi i genitori – spiegano a Bra –. E con i controlli poi (ogni anno il Ministero della Salute registra il numero di embrioni prodotti e congelati da ogni centro, ndr ) non possiamo certo sgarrare».
Capitolo a parte – spinosissimo – è invece quello della diagnosi pre-impianto e delle sentenze intercorse dall’aprile scorso a oggi, come quella che a Firenze autorizzò un centro di fecondazione a fare la diagnosi pre-impianto su una coppia affetta da una malattia genetica e l’ultima – clamorosa – di Salerno, che addirittura ha scardinato la ratio stessa della legge, permettendo a una coppia non sterile di effettuare la selezione degli embrioni al fine di ottenerne uno sano. Intanto va detto che di queste sentenze – tra le spiegazioni approssimative di molti quotidiani e il confronto con qualche collega – i medici e i biologi dei centri di fecondazione assistita non sempre capiscono tutto: «Si tratta di un gergo complesso, difficile da interpretare – dicono ancora dal centro di Bra –. Ci metteremo la testa quando ci saranno indicazioni più chiare». Idem al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, la cui responsabile, Eleonora Porcu, spiega che « altro che sentenze, c’è una legge, la 40, e noi applichiamo il detttto previsto da questa norma». Stessa aria al Centro di fecondazione assistita dell’Istituto Clinico Città di Brescia, dove «è la legge 40 che si rispetta in maniera rigorosa, non le sentenze relative a singoli casi». Un appunto tutt’altro che lontano dalla realtà delle cose, visto che il divieto di diagnosi pre-impianto è conservato sia nelle linee guida della legge 40 (nonostante la famosa e mai del tutto compresa modifica dell’ex ministro Turco) sia nella stessa legge.
Eppure di diagnosi pre-impianto nei centri si parla, vuoi per le notizie insistite che arrivano dai tribunali (domenica sera nella puntata che approssimative di molti quotidiani e il confronto con qualche collega – i medici e i biologi dei centri di fecondazione assistita non sempre capiscono tutto: «Si tratta di un gergo complesso, difficile da interpretare – dicono ancora dal centro di Bra –. Ci metteremo la testa quando ci saranno indicazioni più chiare». Idem al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, la cui responsabile, Eleonora Porcu, spiega che « altro che sentenze, c’è una legge, la 40, e noi applichiamo il detttto previsto da questa norma». Stessa aria al Centro di fecondazione assistita dell’Istituto Clinico Città di Brescia, dove «è la legge 40 che si rispetta in maniera rigorosa, non le sentenze relative a singoli casi». Un appunto tutt’altro che lontano dalla realtà delle cose, visto che il divieto di diagnosi pre-impianto è conservato sia nelle linee guida della legge 40 (nonostante la famosa e mai del tutto compresa modifica dell’ex ministro Turco) sia nella stessa legge.
Eppure di diagnosi pre-impianto nei centri si parla, vuoi per le notizie insistite che arrivano dai tribunali (domenica sera nella puntata che approssimative di molti quotidiani e il confronto con qualche collega – i medici e i biologi dei centri di fecondazione assistita non sempre capiscono tutto: «Si tratta di un gergo complesso, difficile da interpretare – dicono ancora dal centro di Bra –. Ci metteremo la testa quando ci saranno indicazioni più chiare». Idem al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, la cui responsabile, Eleonora Porcu, spiega che « altro che sentenze, c’è una legge, la 40, e noi applichiamo il detttto previsto da questa norma». Stessa aria al Centro di fecondazione assistita dell’Istituto Clinico Città di Brescia, dove «è la legge 40 che si rispetta in maniera rigorosa, non le sentenze relative a singoli casi». Un appunto tutt’altro che lontano dalla realtà delle cose, visto che il divieto di diagnosi pre-impianto è conservato sia nelle linee guida della legge 40 (nonostante la famosa e mai del tutto compresa modifica dell’ex ministro Turco) sia nella stessa legge.
Eppure di diagnosi pre-impianto nei centri si parla, vuoi per le notizie insistite che arrivano dai tribunali (domenica sera nella puntata che Report, su RaiTre, ha dedicato alla legge 40, l’avvocato Filomena Gallo ha 'promesso' altri 53 ricorsi a breve per ottenere mano libera sugli embrioni), vuoi perché qualche coppia ne chiede notizia. La risposta comune è che la diagnosi non si fa: e quando non è «perché vietato dalla legge», come spiegano nei centri di Brescia, Bologna, Firenze, è «perché non abbiamo gli strumenti per farla, e comunque nessuna delle coppie che arrivano qui ne fa richiesta», tesi dei centri di Bra e Roma.
Report ha scoperto che questi strumenti, ancora celophanati, ci sarebbero invece nel centro di sterilità dell’ospedale Microcitemico di Cagliari, dove un primario scalpiterebbe per usarli e non lo fa – anche se questo ha scoperto che questi strumenti, ancora celophanati, ci sarebbero invece nel centro di sterilità dell’ospedale Microcitemico di Cagliari, dove un primario scalpiterebbe per usarli e non lo fa – anche se questo ha scoperto che questi strumenti, ancora celophanati, ci sarebbero invece nel centro di sterilità dell’ospedale Microcitemico di Cagliari, dove un primario scalpiterebbe per usarli e non lo fa – anche se questo Report non l’ha spiegato – perché un altro primario fa valere le ragioni della legge. E altrettanti strumenti sono presenti e potrebbero essere usati nei centri Sismer di Bologna ed Hera di Catania come nel laboratorio Genoma di Roma, guidato da Francesco Fiorentino. Secondo quest’ultimo il numero di coppie che farebbero richiesta della diagnosi sull’embrione si sarebbe «impennato», e la sentenza della Corte Costituzionale di fatto permetterebbe ai centri di effettuare la diagnosi sugli embrioni: «Era il limite dei tre embrioni producibili che impediva la realizzazione della diagnosi pre-impianto – asserisce Fiorentino –: la tecnica ha bisogno di almeno 6 o 8 embrioni da analizzare, per avere efficacia». Peccato che quel divieto, per legge, rimanga tale e quale.
L’eutanasia fa paura? Basta cambiarle nome - La rivista ufficiale dei medici canadesi dice basta con l’uso di un termine sul quale grava una percezione popolare troppo negativa. E teorizza che se si vuole far accettare la morte provocata di un paziente basta spostare il significato dei concetti Un 'trucco' che va conosciuto e smascherato - di Tommaso Scandroglio – Avvenire, 1 aprile 2010
Nell’editoriale datato 29 marzo e apparso sulla rivista scientifica Canadian Medical Association Journal , Ken Flegel e Paul C. Hébert affermano che la parola «eutanasia» non significa più nulla di preciso. Alcuni la intendono come un modo di uccidere un’altra persona, per altri è invece un atto di misericordia e compassione. A leggere l’articolo pare che, per i due medici in questione, eutanasia sia solo quella attiva, cioè un’azione positiva che mira alla soppressione di un soggetto malato.
Quella omissiva è derubricata addirittura ad «appropriata misura palliativa». Infatti il rifiuto di alimentazione e idratazione, della ventilazione artificiale e delle pratiche di rianimazione, a detta dei due ricercatori, rappresenta solo un atto che lenisce il dolore del paziente. Questo è certo, dato che poi il paziente muore.
L’editoriale è emblematico perché mette in evidenza una strategia molto usata dal fronte pro- choice, favorevole ad aborto ed eutanasia: cambiare il senso delle parole per cambiare la percezione della realtà. Non diciamo «omicidio del consenziente» o «aiuto al suicidio»: tutti comprenderebbero di che cosa si tratta e rifiuterebbero simili pratiche. Occorre trovare un’altra parola che suoni suadente e che celi dentro di sé la terribile realtà cui si riferisce. Il termine «eutanasia» non va più bene perché ormai molti l’associano all’omicidio. Allora da una parte occorre collegare «eutanasia» solo a quelle azioni che direttamente e attivamente procurano la morte di una persona (vedi iniezione letale). E dall’altra trovare una diversa espressione per indicare la morte di una persona a seguito di omissioni di cure già in atto o di mezzi di sostentamento vitale (acqua e cibo).
Piergiorgio Welby nel suo libro Lasciatemi morire scrive che «dobbiamo arrenderci all’evidenza, la parola 'eutanasia' non piace, anzi, stimola sentimenti di ripulsa». E allora propone «biodignità, ecomorire, finescosciente». Tali termini non hanno avuto alcuna fortuna, ma altre espressioni sì: dignità del morire, diritto a morire, lasciar morire, autodeterminazione nel fine vita. Tutti maquillage per nascondere un fatto brutale: l’uccisione di un essere umano, consenziente o meno, da parte di un altro.
I canadesi Flegel e Hébert mettono sul tavolo un’altra interessante questione: è eutanasia la somministrazione di un narcotico che allevia le sofferenze del malato ma che può provocarne la morte? Per rispondere dobbiamo fare ricorso al principio del duplice effetto che riguarda quegli atti in grado di produrre due effetti: uno positivo (come la diminuzione del dolore) e uno negativo (ad esempio, la morte del paziente). Affinché la somministrazione di un antidolorifico che può avere effetti letali sia lecita dal punto di vista morale e quindi non configuri un atto eutanasico occorre rispettare tutte le seguenti condizioni.
1. Stato di necessità: non ci devono essere altre soluzioni percorribili. Se esistesse un altro farmaco capace di sedare il dolore e privo di effetti letali, allora si dovrebbe usare quel preparato.
2. L’atto deve essere in sé moralmente buono o neutro: provocare la diminuzione del dolore è atto lecito.
3. Non si deve ricercare l’effetto malvagio direttamente, ma lo si deve sopportare come effetto non voluto. Non somministro oppiacei al fine di far morire il paziente, ma con l’intenzione di farlo soffrire di meno, tollerando l’effetto negativo della sua morte come conseguenza collaterale non ricercata.
4. L’effetto malvagio non deve essere ricercato nemmeno come mezzo, come effetto intermedio per provocare l’effetto buono.
Sbaglierebbe chi somministrasse morfina per far morire il paziente al fine di non farlo soffrire più (la morte come strumento di eliminazione del dolore).
5. Ci deve essere una proporzione tra effetto buono e effetto cattivo. La sedazione con effetto letale è praticabile solo quando il paziente è in fase terminale: il vedersi accorciato un tempo di vita che è già di per sé risicato è bilanciato dal guadagno avuto nel soffrire meno. Se manca una sola di queste condizioni è eutanasia.