domenica 25 aprile 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 25/04/2010 – VATICANO - Papa: genitori e sacerdoti i primi chiamati a coltivare le vocazioni - Nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, Benedetto XVI esorta in modo particolare coloro che sono ordinati ad una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi. Il ringraziamento a “quanti con la preghiera e l’affetto sostengono il mio ministero di Successore di Pietro” e a quanti si dedicano alla prevenzione e all’educazione” dei giovani.
2) Il Papa ai partecipanti al convegno promosso dalla Conferenza episcopale italiana - Prendiamo il largo nel mare digitale - "Il mondo della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale". È l'invito rivolto da Benedetto XVI ai partecipanti al convegno promosso dalla Conferenza episcopale italiana sul tema "Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell'era crossmediale", ricevuti in udienza sabato mattina, 24 aprile, nell'Aula Paolo vi. - L'Osservatore Romano - 25 aprile 2010
3) 23/04/2010 – UZBEKISTAN - E’ “illegale” per i cristiani anche festeggiare un compleanno - In alcune zone dell’Uzbekistan ogni incontro di cristiani è considerato illecito, persino fare festa insieme o tenere una mensa per poveri. Giudici e polizia perseguono i cristiani con sequestri e multe esose anche solo per avere pregato insieme. Lo permette una legge che vieta tutto quanto non è autorizzato.
4) IL «SÌ» AI SAMARITANI - Il rischio di corrompere la nobiltà di un dono - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 25 aprile 2010
5) GLI ATTACCHI ALLA CHIESA, LA SERENITÀ DEI CREDENTI - La fede della vita frantuma ogni tentato assedio - DAVIDE R ONDONI – Avvenire, 25 aprile 2010


25/04/2010 – VATICANO - Papa: genitori e sacerdoti i primi chiamati a coltivare le vocazioni - Nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, Benedetto XVI esorta in modo particolare coloro che sono ordinati ad una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi. Il ringraziamento a “quanti con la preghiera e l’affetto sostengono il mio ministero di Successore di Pietro” e a quanti si dedicano alla prevenzione e all’educazione” dei giovani.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Genitori e sacerdoti sono chiamati in modo particolare a impegnarsi per le vocazioni: i primi coltivando “ogni piccolo germe di vocazione”, i secondi sentendosi impegnati “per una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi”. La 47ma Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che si celebra oggi, domenica “del Buon pastore”, è stata ricordata con queste esortazioni da Benedetto XVI alle 20mila persone presenti in piazza san Pietro per la recita del Regina Caeli.
L’incontro è servito al Papa anche per ringraziare “quanti con la preghiera e l’affetto sostengono il mio ministero di Successore di Pietro” e ha rivolto un saluto particolare all’Associazione “Meter”, che da 14 anni promuove la Giornata nazionale per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza. “In questa occasione – ha detto - voglio soprattutto ringraziare e incoraggiare quanti si dedicano alla prevenzione e all’educazione, in particolare i genitori, gli insegnanti e tanti sacerdoti, suore, catechisti e animatori che lavorano con i ragazzi nelle parrocchie, nelle scuole e nelle associazioni”.
Benedetto XVI, prima della recita della preghiera mariana ha dunque parlato delle vocazioni, ricordando il tema dell’attuale Giornata: “La testimonianza suscita vocazioni”.”La prima forma di testimonianza che suscita vocazioni – ha proseguito - è la preghiera, come ci mostra l’esempio di santa Monica che, supplicando Dio con umiltà ed insistenza, ottenne la grazia di veder diventare cristiano suo figlio Agostino”. “Invito, pertanto, i genitori a pregare, perché il cuore dei figli si apra all’ascolto del Buon Pastore, e “ogni più piccolo germe di vocazione … diventi albero rigoglioso, carico di frutti per il bene della Chiesa e dell’intera umanità”.
“In questa Giornata di speciale preghiera per le vocazioni, esorto in particolare i ministri ordinati, affinché, stimolati dall’Anno Sacerdotale, si sentano impegnati ‘per una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi’ (Lettera di indizione). Ricordino che il sacerdote ‘continua l’opera della Redenzione sulla terra’; sappiano sostare volentieri davanti al tabernacolo; aderiscano ‘totalmente alla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa’; si rendano disponibili all’ascolto e al perdono; formino cristianamente il popolo a loro affidato; coltivino con cura la ‘fraternità sacerdotale’”.
Dopo il Regina Caeli, il Papa ha ricordato che oggi a Roma e a Barcellona, sono stati proclamati beati due sacerdoti: Angelo Paoli, carmelitano, e José Tous y Soler, cappuccino. “Del beato Angelo Paoli, originario della Lunigiana e vissuto tra i secoli XVII e XVIII, mi piace ricordare che fu apostolo della carità a Roma, soprannominato “padre dei poveri”. Si dedicò specialmente ai malati dell’Ospedale San Giovanni, prendendosi cura anche dei convalescenti. Il suo apostolato traeva forza dall’Eucaristia e dalla devozione alla Madonna del Carmine, come pure da un’intensa vita di penitenza. Nell’Anno Sacerdotale, propongo volentieri il suo esempio a tutti i sacerdoti, in modo particolare a quanti appartengono ad Istituti religiosi di vita attiva”.


Il Papa ai partecipanti al convegno promosso dalla Conferenza episcopale italiana - Prendiamo il largo nel mare digitale - "Il mondo della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale". È l'invito rivolto da Benedetto XVI ai partecipanti al convegno promosso dalla Conferenza episcopale italiana sul tema "Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell'era crossmediale", ricevuti in udienza sabato mattina, 24 aprile, nell'Aula Paolo vi. - L'Osservatore Romano - 25 aprile 2010

Eminenza,
Venerati Confratelli nell'episcopato,
cari amici,
sono lieto di questa occasione per incontrarvi e concludere il vostro convegno, dal titolo quanto mai evocativo: "Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell'era crossmediale". Ringrazio il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Angelo Bagnasco, per le cordiali parole di benvenuto, con le quali, ancora una volta, ha voluto esprimere l'affetto e la vicinanza della Chiesa che è in Italia al mio servizio apostolico. Nelle sue parole, Signor Cardinale, si rispecchia la fedele adesione a Pietro di tutti i cattolici di questa amata Nazione e la stima di tanti uomini e donne animati dal desiderio di cercare la verità.
Il tempo che viviamo conosce un enorme allargamento delle frontiere della comunicazione, realizza un'inedita convergenza tra i diversi media e rende possibile l'interattività. La rete manifesta, dunque, una vocazione aperta, tendenzialmente egualitaria e pluralista, ma nel contempo segna un nuovo fossato: si parla, infatti, di digital divide. Esso separa gli inclusi dagli esclusi e va ad aggiungersi agli altri divari, che già allontanano le nazioni tra loro e anche al loro interno. Aumentano pure i pericoli di omologazione e di controllo, di relativismo intellettuale e morale, già ben riconoscibili nella flessione dello spirito critico, nella verità ridotta al gioco delle opinioni, nelle molteplici forme di degrado e di umiliazione dell'intimità della persona. Si assiste allora a un "inquinamento dello spirito, quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia..." (Discorso in Piazza di Spagna, 8 Dicembre 2009). Questo Convegno, invece, punta proprio a riconoscere i volti, quindi a superare quelle dinamiche collettive che possono farci smarrire la percezione della profondità delle persone e appiattirci sulla loro superficie: quando ciò accade, esse restano corpi senz'anima, oggetti di scambio e di consumo.
Come è possibile, oggi, tornare ai volti? Ho cercato di indicarne la strada anche nella mia terza Enciclica. Essa passa per quella caritas in veritate, che rifulge nel volto di Cristo. L'amore nella verità costituisce "una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione" (n. 9). I media possono diventare fattori di umanizzazione "non solo quando, grazie allo sviluppo tecnologico, offrono maggiori possibilità di comunicazione e di informazione, ma soprattutto quando sono organizzati e orientati alla luce di un'immagine della persona e del bene comune che ne rispetti le valenze universali" (n. 73). Ciò richiede che "essi siano centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale" (ibid.). Solamente a tali condizioni il passaggio epocale che stiamo attraversando può rivelarsi ricco e fecondo di nuove opportunità. Senza timori vogliamo prendere il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con la stessa passione che da duemila anni governa la barca della Chiesa. Più che per le risorse tecniche, pur necessarie, vogliamo qualificarci abitando anche questo universo con un cuore credente, che contribuisca a dare un'anima all'ininterrotto flusso comunicativo della rete.
È questa la nostra missione, la missione irrinunciabile della Chiesa: il compito di ogni credente che opera nei media è quello di "spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano e l'attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo tempo "digitale" i segni necessari per riconoscere il Signore" (Messaggio per la 44 Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 16 maggio 2010). Cari amici, anche nella rete siete chiamati a collocarvi come "animatori di comunità", attenti a "preparare cammini che conducano alla Parola di Dio", e ad esprimere una particolare sensibilità per quanti "sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche" (ibid.). La rete potrà così diventare una sorta di "portico dei gentili", dove "fare spazio anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto" (ibid.).
Quali animatori della cultura e della comunicazione, voi siete segno vivo di quanto "i moderni mezzi di comunicazione siano entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono, entrando in contatto con il proprio territorio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio" (ibid.). Le voci, in questo campo, in Italia non mancano: basti qui ricordare il quotidiano Avvenire, l'emittente televisiva TV2000, il circuito radiofonico inBlu e l'agenzia di stampa SIR, accanto ai periodici cattolici, alla rete capillare dei settimanali diocesani e agli ormai numerosi siti internet di ispirazione cattolica. Esorto tutti i professionisti della comunicazione a non stancarsi di nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l'uomo che diventa tensione ad avvicinarsi sempre più ai suoi linguaggi e al suo vero volto. Vi aiuterà in questo una solida preparazione teologica e soprattutto una profonda e gioiosa passione per Dio, alimentata nel continuo dialogo con il Signore. Le Chiese particolari e gli istituti religiosi, dal canto loro, non esitino a valorizzare i percorsi formativi proposti dalle Università Pontificie, dall'Università Cattolica del Sacro Cuore e dalle altre Università cattoliche ed ecclesiastiche, destinandovi con lungimiranza persone e risorse. Il mondo della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale.
Mentre vi ringrazio del servizio che rendete alla Chiesa e quindi alla causa dell'uomo, vi esorto a percorrere, animati dal coraggio dello Spirito Santo, le strade del continente digitale. La nostra fiducia non è acriticamente riposta in alcuno strumento della tecnica. La nostra forza sta nell'essere Chiesa, comunità credente, capace di testimoniare a tutti la perenne novità del Risorto, con una vita che fiorisce in pienezza nella misura in cui si apre, entra in relazione, si dona con gratuità.
Vi affido alla protezione di Maria Santissima e dei grandi Santi della comunicazione e di cuore tutti vi benedico.
(©L'Osservatore Romano - 25 aprile 2010)


23/04/2010 – UZBEKISTAN - E’ “illegale” per i cristiani anche festeggiare un compleanno - In alcune zone dell’Uzbekistan ogni incontro di cristiani è considerato illecito, persino fare festa insieme o tenere una mensa per poveri. Giudici e polizia perseguono i cristiani con sequestri e multe esose anche solo per avere pregato insieme. Lo permette una legge che vieta tutto quanto non è autorizzato.
Tashkent (AsiaNews/F18) – Incursioni della polizia durante gli incontri di preghiera, minacce, multe onerose, confisca e distruzione di materiale religioso e persino dei testi religiosi. In molte regioni dell’Uzbekistan continua la persecuzione sistematica di polizia e autorità contro i cristiani, “colpevoli” di riunirsi in case private per pregare insieme: al punto che persino una festa di compleanno è considerata una “riunione illegale”.

La persecuzione è sempre maggiore nella regione nordoccidentale del Karakalpakstan. L’agenzia Forum 18 riporta che l’8 aprile a Nukus, capoluogo del Karakalpakstan, la polizia ha interrogato il protestante Aimurat Khayburahmanov e gli ha chiesto di firmare una dichiarazione che non si riunisce con altri cristiani e che non ha libri cristiani a casa. Al suo rifiuto, è stato minacciato di essere processato se compie tali fatti. Khayburahmanov è stato già stato 3 mesi in carcere per avere “insegnato religione senza permesso” ed è uscito grazie a un’amnistia nel settembre 2008. Fonti locali riportano che numerosi cristiani sono stati minacciati in modo simile in forza dell’art. 244-3 del Codice Penale, che punisce con il carcere fino a 3 anni la “produzione illegale, il possesso, l’importazione e la distribuzione di letteratura religiosa”. Essi denunciano che la polizia opera una ricerca capillare di letterature religiosa, che appena la trova denuncia il possessore, che talvolta la polizia ha portato libri religiosi nelle case dei fedeli cristiani e li ha denunciati per il loro possesso”. I libri religiosi sono poi confiscati e bruciati.

Nella regione è esercitata una speciale sorveglianza sugli studenti, ai quali viene intimato di non coinvolgersi con “religioni estranee [alla nostra tradizione] e influenze estremiste e culture di massa di basso livello”. Chi lo fa, rischia l’espulsione dalla scuola e può venire applicato l’art. 240 parte 2 del Codice amministrativo, che proibisce di “attirare i credenti in una confessione verso un’altra (proselitismo) e altre attività missionarie”. Per il 2010 sono previsti vari incontri con i giovani, per spiegare loro il cattivo influsso di religioni straniere.

I cristiani sono colpiti persino se organizzano partite di calcio o di pallacanestro o qualsiasi altro evento di massa o attività sociale. Il 10 aprile la polizia ha interrotto una riunione di giovani protestanti, nel villaggio di Baraj, distretto Bostanlik, Tashkent. All’arrivo della polizia molti giovani giocavano a calcio o a pallacanestro. Gli agenti hanno portato in caserma 43 partecipanti e organizzatori, prendendo loro fotografie e impronte digitali. Molti di loro, come Aleksandr Lokshev, sono stati puniti per avere tenuto eventi di massa non autorizzati e per avere svolto attività religiosa.

Il pomeriggio del 12 aprile la polizia ha ispezionato i locali della Chiesa protestante Vita Eterna a Tahskent, distretto Yakkasarai, dove i fedeli hanno una mensa per poveri senzatetto. I presenti sono stati interrogati, il pastore e altri sono stati portati al comando e denunciati per avere tenuto attività “non conformi al loro statuto” approvato.

In pratica, è possibile punire qualsiasi riunione dei fedeli. Sempre a Tashkent, distretto di Surgeli, 10 pentecostali sono stati denunciati il 10 marzo per riunione illegale, per essere riuniti a festeggiare un compleanno. I 10 – 8 dei quali sono pensionati - sono stati condannati a multe pari a circa 100 volte il salario medio mensile.


IL «SÌ» AI SAMARITANI - Il rischio di corrompere la nobiltà di un dono - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 25 aprile 2010
È da più di quarant’anni, dal 1967, che la legge italiana ha autorizzato la donazione di rene da soggetto vivente a paziente in pericolo di vita, subordinando questa eccezione al principio giuridico fondamentale dell’indisponibilità del corpo umano alla condizione che la donazione avvenga tra parenti strettissimi (genitori, figli, fratelli), tra coniugi e, solo in via subordinata, tra estranei. Il riferimento agli estranei è sempre stato interpretato ristrettivamente, come riferito a coppie di conviventi o comunque a persone unite da fortissimi e conclamati vincoli amicali. Si può estendere questa normativa al caso di una donazione a estranei sconosciuti? Si può autorizzare una simile donazione 'samaritana' (come la qualificano i bioeticisti)? E’ evidente che poco rileva che questo tipo di donazione non potrà che coinvolgere, come è intuitivo, se non un numero statisticamente irrilevante di persone; la questione è strettamente di principio e come tale va valutata.
Raggiunto da un quesito formulato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, il Comitato nazionale per la bioetica ha risposta positivamente, ritenendo altamente apprezzabile questa estrema forma di donazione.
Personalmente, gli argomenti addotti dal Cnb non mi sono sembrati del tutto convincenti e vorrei spiegare perché. Per giustificare la donazione samaritana si possono usare, essenzialmente, due tipi di argomento, che il Cnb non ha distinto espressamente tra loro (accettandoli quindi, implicitamente, entrambi).
Chiamerei il primo argomento 'oblativo', il secondo argomento 'dispositivo'. La giustificazione oblativa della donazione samaritana di rene è limpida: il donatore si fa prelevare un rene non per un vincolo affettivo che lo unisce al malato destinato a usufruire del suo dono, ma 'per amore dell’umanità'. Sotto questo profilo la donazione samaritana è un atto che eccede le nostre stesse possibilità di immaginazione. Se è eroico donare il rene a un consanguineo o a un amico personale, la donazione samaritana si proietta al di là dello stesso eroismo, in un’atmosfera etica così straordinariamente rarefatta, da apparire più pensabile che esperibile (quando mai, ragionevolmente, ci capiterà di conoscere un donatore samaritano?). Ritengo impossibile che il diritto possa regolamentare e garantire una donazione così nobile (perché di questo si tratta e questo la legge pretende); il diritto riesce appena a gestire, e con grande fatica, alcune di quelle pratiche che i moralisti chiamano 'supererogatorie' (cioè meritevolissime sì, ma non esigibili) ed infatti autorizza la donazione tra parenti o tra amici strettissimi, perché si tratta di situazioni fattuali 'controllabili' e la cui autenticità può quindi essere garantita, anche se con difficoltà. Ma la nobiltà della donazione samaritana può essere solo ipotizzata; non di certo controllata.
Ben più consistenti i problemi che nascono dalla giustificazione 'dispositiva' della donazione samaritana. Questo tipo di giustificazione viene ricondotto, alla fin fine, al diritto che si dovrebbe riconoscere alle persone di 'usare' insindacabilmente il proprio corpo, come se fosse una loro proprietà materiale: in questa prospettiva anche il riferimento alla donazione tra consanguinei viene a perdere rilievo, perché non alla forza dei vincoli familiari dovremmo far riferimento, ma alla mera volontà del donatario, le cui intenzioni etiche non sarebbe nemmeno lecito verificare. Questo paradigma, anche se viene evocato per giustificare un atto comunque benefico come la donazione di un rene, è a mio avviso inaccettabile, perché favorisce oggettivamente una totale depersonalizzazione del corpo umano, riducendolo a semplice materiale biologico, eticamente irrilevante.
Saggio quindi il legislatore italiano del 1967, che vincolava la donazione di un rene allo stretto contesto familiare: solo i vincoli familiari (assieme ai vincoli coniugali e ai vincoli affettivi oggettivamente comprovabili) garantiscono l’autenticità morale della donazione ed escludono il rischio che dietro la donazione samaritana si possano fare strada poco nobili ragioni di interesse economico (sempre in agguato) o ragioni nobili sì, ma solo in apparenza, come quelle di una prodigalità narcisistica che giunge fino all’assurda volontà di disporre improvvidamente perfino dei propri organi.


GLI ATTACCHI ALLA CHIESA, LA SERENITÀ DEI CREDENTI - La fede della vita frantuma ogni tentato assedio - DAVIDE R ONDONI – Avvenire, 25 aprile 2010
Gli attacchi sui media di tutto il mondo. Libri e film che hanno come principale scopo alimentare leggende nere o nefandezze sulla Chiesa. Uno stillicidio di articoli sui maggiori quotidiani italiani, libri dei pensatori à la page rivolti a farci passare come dei mezzi ritardati mentali. E poi inchieste, gracchiare di cicisbei televisivi, statistiche. I cattolici in questo momento si sentono sotto assedio? È il momento di ricorrere alle barricate? E, queste, quali sarebbero poi? Che ci sia una particolare intensificazione degli attacchi se ne sono resi conto anche i commentatori più distanti dalle cose di Chiesa. E però c’è da dire che il popolo cattolico non mi pare che si senta per niente sotto assedio. Le cose vanno avanti, verrebbe da dire, con la stessa letizia e lo stesso impegno di sempre. Non vedo distendere sacchetti di sabbia e scavare trincee. Piuttosto vedo un sacco di gente che si mette in fila per ammirare la Sindone, un altro bel po’ che se ne va a Rimini a fare gli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione, e tanti altri che in questi giorni si sono trovati a Roma per il convegno sui «Testimoni digitali», convocato dalla Cei. Solo per dire di alcuni grandi appuntamenti di queste ore.
E poi ci sono tutte le altre miriadi di cose. Iniziative, certo, ma anche cose semplici della vita. I bambini da tirar su. Gli ammalati da visitare. Quel po’ di carità che si può fare, in tempi così duri. Oppure gli studi sull’arte nata per mano di grandi cristiani. La immensa, invisibile vita della fede. O come si potrebbe rovesciare: fede della vita. Sì perché c’è la fede della dialettica, della polemica a volte, e c’è la fede della vita. C’è la fede degli atti ufficiali, delle iniziative istituzionali, e poi c’è la fede dello sguardo che si posa sui figli che crescono e chissà dove vanno, o su colei che si ama e chissà dove va… C’è la fede che dà prova di sé qui, sui giornali, o anche nelle polemiche.
Difendendosi, mostrando incongruenze o faziosità, contro il pregiudizio di chi vuole dipingere la cattolicità come pozzo del male. E c’è la fede di chi bisbiglia un «veni sancto Spiritus, veni per Mariam» quando sale in auto per andare a lavorare. La letizia della seconda sostiene la forza della prima. La letizia della fede che non si sente sotto assedio per nulla sostiene la acutezza di giudizio della fede che si esprime nei marasmi del momento.
Insomma, per dirla intera: vorrebbero che ci sentissimo sotto assedio, e invece ci sentiamo solo più vicini a Cristo. Perciò più lieti. Più forti della sua forza, e non della nostra. La fede dello sguardo dato ai tuoi figli lieto per la presenza di un destino buono, di un Padre che non li abbandona mai, nemmeno quando tu non ce la fai più, ecco, la fede lieta di questo sguardo non si sente sotto assedio da parte di nessun 'New York Times' o Augias o programma tv. Viene quasi da sorriderci su. Sapendo che è ben più grande il nemico della fede. È l’ombra del nulla sopra quello sguardo. Perciò la letizia dello sguardo di fede sostiene l’amore per la Chiesa contro ogni tentativo di ridurla a oggetto politico o morale di una delle tante campagne contro di lei. Passate, presenti e future. C’è una cosa più forte dell’assedio di ogni pregiudizio velenoso. Così forte che l’assedio nemmeno lo sente, anzi è capace di prendere tutti in contropiede. Lo impariamo dai grandi santi, da Francesco d’Assisi a Giovanni Bosco: la letizia della fede come criterio di giudizio su tutto. Così che a chi si crede nostro avversario possiamo chiedere sempre come a un amico: e tu, la speranza del tuo sguardo dove la riponi?