domenica 18 aprile 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) L’Italia in preghiera si stringe a Benedetto - Lunedì 19 aprile ricorre il quinto anniversario dell’elezione di Benedetto XVI al pontificato.
2) La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali invita tutti al Regina Coeli del 16 maggio 2010 in Piazza San Pietro. Per testimoniare a Benedetto XVI l’affetto del popolo cristiano
3) 18/04/2010 – VATICANO - Papa a Malta: Solo Dio, non la tecnologia avanzata, può proteggerci dal male - Primo viaggio pastorale di Benedetto XVI dopo la campagna contro di lui e lo scandalo dei preti pedofili. Il papa incontrerà alcune vittime di abusi. Molte voci ci dicono “non abbiamo bisogno di Dio e della Chiesa”. Invece, la relazione col Signore è la chiave della felicità e della realizzazione umana. I sacerdoti devono rispondere come Pietro: Sì Signore, tu sai che io ti amo, e vivere la loro missione di gioia. Il dono di una rosa d’oro per la Madonna di Ta’ Pinu.
4) IL PRIMATO DI DIO NEL REALISMO DI BENEDETTO XVI - Il Card. Scola a cinque anni dall’elezione al Pontificato - del Card. Angelo Scola*
5) IL PENSIERO SOCIALE E POLITICO DI BENEDETTO XVI - Un libro esamina gli elementi fondamentali - di padre John Flynn, LC
6) CARITÀ E VERITÀ, BASI DELL'UNIVERSITÀ CATTOLICA - 86ma Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore
7) Per questo papa tutto è grazia, anche "gli attacchi del mondo ai nostri peccati" - Resistere alla "dittatura del conformismo". Ma anche "fare penitenza, riconoscere ciò che si è sbagliato, aprirsi al perdono, lasciarsi trasformare". Il messaggio di Joseph Ratzinger alla Chiesa, in una sua inattesa omelia fuori programma - di Benedetto XVI - [Trascrizione integrale dell'omelia pronunciata dal papa giovedì 15 aprile 2010, di prima mattina, nella Cappella Paolina in Vaticano, durante una messa con i membri della pontificia commissione biblica.
8) Pedofilia e celibato - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 16 aprile 2010
9) COMPAGNI DI CAMMINO - LA GRATITUDINE DI UN POPOLO CHE NESSUNO SAPRÀ MISURARE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 18 aprile 2010


L’Italia in preghiera si stringe a Benedetto - Lunedì 19 aprile ricorre il quinto anniversario dell’elezione di Benedetto XVI al pontificato.
La Presidenza della Cei invita tutte le comunità ecclesiali a stringersi in quel giorno nella preghiera intorno a lui, centro di unità e segno visibile di comunione. In tale occasione, si individueranno a livello locale le forme più adatte (quali, per esempio, l’Eucaristia, la liturgia della Parola, veglie di preghiera, l’adorazione eucaristica e la recita del rosario) per rendere grazie a Dio per il magistero illuminato e la cristallina testimonianza del Papa.
Nello stesso tempo, in quest’ora di prova, la Chiesa in Italia non viene meno al dovere della purificazione, pregando in particolare per le vittime di abusi sessuali e per quanti, in ogni parte del mondo, si sono macchiati di tali odiosi crimini. Confidando nella Sua parola, implora dal Signore energie nuove, perché ne rafforzi la passione educativa, sorretta dalla dedizione e dal generoso impegno di tanti sacerdoti che, insieme ai religiosi, alle religiose e ai laici, ogni giorno si spendono soprattutto nelle situazioni più difficili.
La presidenza della Conferenza episcopale italiana


La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali invita tutti al Regina Coeli del 16 maggio 2010 in Piazza San Pietro. Per testimoniare a Benedetto XVI l’affetto del popolo cristiano
La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali, organismo che raduna sessantasette associazioni e movimenti ecclesiali italiani, invita quanti appartengono e si riconoscono nel mondo dell’associazionismo cattolico a partecipare a Roma alla recita del Regina Coeli, domenica 16 maggio 2010, in Piazza San Pietro.

Vogliamo in questo modo stringerci visibilmente intorno a Benedetto XVI come figli col padre, desiderosi di sostenerlo nel suo impegnativo ministero, esprimendogli affetto e gratitudine per la sua passione per Cristo e per l’umanità intera.

Il 16 maggio a Roma intendiamo consegnare nelle mani di Maria la nostra fedeltà al Santo Padre per il bene della Chiesa, nella quale facciamo esperienza della misericordia, unica risposta adeguata al bisogno di giustizia, che emerge dal cuore di ciascuno in questi momenti.

Ci guida l’umile certezza testimoniata dalle parole del Papa: «È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire».

Con questa consapevolezza invitiamo tutti alla preghiera in Piazza San Pietro, grati al Signore che ci ha donato Benedetto XVI come guida nel nostro cammino di fede.

Roma, 14 aprile 2010
La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali


18/04/2010 – VATICANO - Papa a Malta: Solo Dio, non la tecnologia avanzata, può proteggerci dal male - Primo viaggio pastorale di Benedetto XVI dopo la campagna contro di lui e lo scandalo dei preti pedofili. Il papa incontrerà alcune vittime di abusi. Molte voci ci dicono “non abbiamo bisogno di Dio e della Chiesa”. Invece, la relazione col Signore è la chiave della felicità e della realizzazione umana. I sacerdoti devono rispondere come Pietro: Sì Signore, tu sai che io ti amo, e vivere la loro missione di gioia. Il dono di una rosa d’oro per la Madonna di Ta’ Pinu.
Floriana (AsiaNews) – “Si è tentati di pensare che l’odierna tecnologia avanzata possa rispondere ad ogni nostro desiderio e salvarci dai pericoli che ci assalgono. Ma non è così. In ogni momento della nostra vita dipendiamo interamente da Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo ed abbiamo la nostra esistenza. Solo lui può proteggerci dal male, solo lui può guidarci tra le tempeste della vita e solo lui può condurci ad un porto sicuro, come ha fatto per Paolo ed i suoi compagni, alla deriva sulle coste di Malta”. È uno dei passi salienti dell’omelia che Benedetto XVI ha tenuto stamane al Piazzale dei Granai a Floriana, davanti a diverse decine di migliaia di persone che hanno accolto in pontefice nel suo secondo giorno di visita sull’isola di Malta.
La visita a questa isola del Mediterraneo si lega al concluso Anno Paolino: Malta infatti è ricordata negli Atti degli Apostoli, come il luogo che ha accolto Paolo dopo una tempesta e un naufragio fortunoso (Atti 27-28). Grazie a quel naufragio, Paolo risiede alcuni mesi sull’isola e predica il vangelo, dando vita alla prima comunità cristiana.
Benedetto XVI prende a esempio quanto i marinai della nave che portava l’apostolo hanno fatto, seguendo le sue indicazioni per salvare tutti durante il naufragio: “Notate come i componenti dell’equipaggio della barca, per poter sopravvivere, furono costretti a gettare fuori il carico, l’attrezzatura della barca ed anche il frumento che era il loro unico sostentamento. Paolo li esortò a porre la loro fiducia solo in Dio, mentre la barca era scossa dalle onde”.
La conclusione è: “ Più di ogni carico che possiamo portare con noi - nel senso delle nostre realizzazioni umane, delle nostre proprietà, della nostra tecnologia - è la nostra relazione con il Signore che fornisce la chiave della nostra felicità e della nostra realizzazione umana”.
Malta, con meno di 500 mila abitanti, è un Paese cattolico nella quasi totalità, con legislazioni che non ammettono il divorzio o l’aborto. La sua posizione nel Mediterraneo e il suo essere una destinazione turistica la mette al crocevia di rapporti con altre culture e mentalità. Il papa esalta la capacità di accoglienza dei maltesi, ma aggiunge che è necessario un discernimento: “Non tutto quello che il mondo oggi propone è meritevole di essere accolto dai Maltesi. Molte voci cercano di persuaderci di mettere da parte la nostra fede in Dio e nella sua Chiesa e di scegliere da se stessi i valori e le credenze con i quali vivere. Ci dicono che non abbiamo bisogno di Dio e della Chiesa”.
E riferendosi al vangelo di oggi (Giov. 21,1-19), della pesca miracolosa dopo una notte infruttuosa, aggiunge: “[I discepoli, tutti esperti pescatori] Lasciati a se stessi, i loro sforzi erano infruttuosi; quando Gesù è rimasto accanto a loro, hanno catturato una grande quantità di pesci. Miei cari fratelli e sorelle, se poniamo la nostra fiducia nel Signore e seguiamo i suoi insegnamenti, raccoglieremo sempre grandi frutti”.
Oltre alla pesca miracolosa, il vangelo ricorda il dialogo di Gesù risorto con Pietro e la triplice domanda "Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?". “La pesca miracolosa aveva sottolineato la dipendenza degli apostoli da Dio per il successo dei loro progetti terreni. Il dialogo tra Pietro e Gesù ha sottolineato il bisogno della divina misericordia per guarire le loro ferite spirituali, le ferite del peccato. In ogni ambito della nostra vita necessitiamo dell’aiuto della grazia di Dio. Con lui possiamo fare ogni cosa: senza di lui non possiamo fare nulla”.
Questo a Malta è il primo viaggio pastorale del papa dopo l’enorme campagna contro di lui in seguito agli scandali dei preti pedofili; alcuni casi sono avvenuti proprio a Malta. Secondo il direttore della Sala stampa vaticana, p. Federico Lombardi, il pontefice incontrerà – ma lontano dall’occhio dei media – alcune vittime di abusi.
Nell’omelia il papa non accenna per nulla agli scandali, ma invita i sacerdoti ad adempiere la loro missione. “Ricordate … la domanda che il Signore Risorto ha rivolto tre volte a Pietro: ‘Mi ami tu?’. Questa è la domanda che egli rivolge a ciascuno di voi. Lo amate? Desiderate servirlo con il dono della vostra intera vita? Desiderate condurre altri a conoscerlo ed amarlo? Con Pietro abbiate il coraggio di rispondere: ‘Sì, Signore, tu sai che io ti amo’ e accogliete con cuore grato il magnifico compito che egli vi ha assegnato. La missione affidata ai sacerdoti è veramente un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che brama irrompere nel mondo”.
Benedetto XVI conclude invitando i cattolici maltesi a rafforzare la fede e allo stesso tempo a vivere la missione nei confronti di tutti coloro che incontrano: “Continuate ad esplorare la ricchezza e la profondità del dono di Paolo e procurate di consegnarlo non solo ai vostri figli, ma a tutti coloro che incontrate oggi. Ogni visitatore di Malta dovrebbe essere impressionato dalla devozione della sua gente, dalla fede vibrante manifestata nelle celebrazioni nei giorni di festa, dalla bellezza delle sue chiese e dei suoi santuari. Ma quel dono ha bisogno di essere condiviso con altri, ha bisogno di essere espresso… Ricordate che lo scambio di beni tra queste isole ed il resto del mondo è un processo a due vie. Quello che ricevete, valutatelo con cura, e ciò che possedete di valore sappiatelo condividere con gli altri”.
Alla fine della messa, Benedetto XVI ha aggiunto alcune parole prima del canto del Regina Caeli annunciando il suo dono di una rosa d’oro per la Madonna di Ta’ Pinu, “come segno del nostro filiale affetto”. Egli ha anche chiesto ai maltesi “di pregarla con il titolo di Regina della Famiglia, un titolo aggiunto alle Litanie Lauretane dal mio amato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, egli stesso ospite, in varie occasioni, di queste terre”.


IL PRIMATO DI DIO NEL REALISMO DI BENEDETTO XVI - Il Card. Scola a cinque anni dall’elezione al Pontificato - del Card. Angelo Scola*
ROMA, domenica, 18 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Dio è il tema pratico e il tema realistico per l'uomo - allora e sempre” [1]: in questa affermazione del cardinale Ratzinger si rintraccia uno degli assi portanti del magistero di Papa Benedetto XVI: il primato di Dio. Di ciò si trova conferma durante tutto il corso di questi primi cinque anni del suo pontificato.
Sono parole che, lontane da ogni tipo di considerazione astratta dell’avventura umana, riescono piuttosto a cogliere la storia nel suo aspetto più radicale: il suo significato ed il suo destino fanno emergere come questione centrale la questione di Dio.
Il teocentrismo che segna tutta l’opera del pensatore Ratzinger e del Magistero di Benedetto XVI non va però inteso in antitesi con la centralità dell’uomo e di tutta la realtà creata. Perché la centralità di Dio non può mai andare contro l’uomo e il cosmo, anzi, ne assicura la reale consistenza. Al punto che, ha rilevato Papa Benedetto, "se manca Dio, viene meno la speranza. Tutto perde di 'spessore'" [2].
Perché “Dio non manchi” è necessario che Lo possiamo riconoscere, che sia a noi contemporaneo, che lo possiamo incontrare di persona. Se è vero che la "grande speranza può essere solo Dio", occorre riconoscere che non parliamo di un qualsiasi Dio, ma del Dio di Gesù Cristo. È l’evento salvifico di Gesù Cristo, presente nella storia, quindi a noi contemporaneo appunto, in modo eminente attraverso l’azione sacramentale, ad assicurare che la centralità di Dio non confligge con la centralità dell’uomo-cosmo.
Il Dio incarnato precede sempre l’uomo – lo aspetta, dice Benedetto XVI [3] - suscitando la sua domanda di salvezza. Che è la domanda di libertà e di felicità, potremmo dire utilizzando le due parole preferite dalla sensibilità degli uomini di oggi. O forse, andando ancora più a fondo, che è la domanda delle domande, quella cui il cuore dell’uomo non cessa di anelare, cioè la domanda sull’amore.
Non la domanda astratta circa la natura dell’amore, ma quella concreta e personale: “Alla fine, qualcuno mi ama?”. A questa domanda radicale risponde Dio stesso rivelando il Suo nome: "Gesù ci ha manifestato il volto di Dio, uno nell’essenza e trino nelle persone: Dio è Amore " [4].
L’esperienza dell’amore sgorga per ciascuno di noi da quella dell’essere amati che permanentemente ci precede e ci costituisce. Una precedenza che vive eucaristicamente nella Chiesa, il popolo di Dio. Annota, a proposito dei grandi oratori romani, Leopardi nello Zibaldone: "Osservate come l'eloquenza vera non abbia fiorito mai se non quando ha avuto il popolo per uditore. Intendo un popolo padrone di sé, e non servo, un popolo vivo e non un popolo morto" [5].
Le parole di Papa Benedetto hanno certamente come interlocutore un simile popolo e non solo il popolo dei fedeli. La commovente dedizione, l’umiltà e l’energia spirituale con cui egli prende sul serio questo popolo spiega lo spessore del suo magistero e lo straordinario ascolto che da cinque anni riceve da parte di tutti, giovani e adulti, semplici ed eruditi, dai bambini fino agli intellettuali e ai capi di stato. Ci si può allora stupire se il Suo insegnamento e la Sua persona, sulle orme di Cristo, siano talora segno di contraddizione?
A Papa Benedetto XVI in questo anniversario i cristiani riconfermano con forza il loro affetto e la loro appassionata sequela.
[Questo articolo del Patriarca di Venezia (www.angeloscola.it) è stato pubblicato dal settimanale spagnolo Alfa y Omega]





NOTE
[1] J. Ratzinger, Vangelo, Catechesi, Catechismo, Marcianum Press, Venezia 2007, 46. Nella prefazione del Papa alla nuova edizione italiana del suo volume Escatologia, Benedetto XVI riprende la questione del rapporto tra l’azione di Dio nella storia e l’agire umano affermando: "ho cercato di evidenziare il significato permanente della speranza nell’azione propria di Dio entro la storia, azione che sola concede all’agire umano la propria unità interna e trasforma dall’interno ciò che è transitorio in ciò che non passa", Id., Escatologia, Cittadella, Assisi 2008, 9.
[2] Omelia dei Primi Vespri della I Domenica di Avvento (1 dicembre 2007), in Id., Omelie, a cura di S. Magister, Libri Scheiwiller, Milano 2008, 21.
[3] Cfr. Omelia dei Primi Vespri della I Domenica di Avvento (1 dicembre 2007), in ibid., 22
[4] Omelia nella Domenica della Santissima Trinità, in ibid., 168-169.
[5] G. Leopardi, Zibaldone, edizione integrale diretta da L. Felici, Newton, Roma 1997, [161] 68.


IL PENSIERO SOCIALE E POLITICO DI BENEDETTO XVI - Un libro esamina gli elementi fondamentali - di padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 18 aprile 2010 (ZENIT.org).- Siamo abituati a considerare i Papi solo come guide spirituali e teologiche, ma un recente libro mette in evidenza l’attuale importanza e influenza del pensiero sociale e politico di Benedetto XVI.

Nel libro “The Social and Political Thought of Benedict XVI”, l’autore Thomas R. Rourke prende in esame il pensiero sociale e politico del Papa, sia prima, che dopo, la sua elezione alla Cattedra di Pietro. Rourke insegna presso il dipartimento di scienze politiche della Clarion University di Pennsylvania.

Secondo Rourke, sebbene sia noto più come teologo, Benedetto XVI è anche un profondo pensatore politico, e il suo pensiero sociale merita maggiore attenzione rispetto a quanto fatto finora.

L’autore considera anzitutto le fondamenta antropologiche del pensiero del Papa. Nel libro “In cammino verso Gesù Cristo”, l’allora cardinale Ratzinger esamina lo sviluppo del concetto di persona.

Rispetto all’impostazione della filosofia greca, i testi sacri e il pensiero cristiano hanno permesso di arricchirne notevolmente l’impostazione, soprattutto nell’aspetto della persona come essere relazionale. Da ciò deriva il concetto di spiritualità di comunione, che secondo Rourke è alla base della concezione di Benedetto XVI sulla dottrina sociale.

Nella comunità divina delle persone della Trinità, scopriamo infatti le radici spirituali della comunità degli uomini. Il pensiero antropologico del Papa quindi non considera le persone come individui che solo in un secondo momento entrano in relazione tra loro. Per il Pontefice l’elemento relazionale costituisce invece il cuore della natura stessa della persona.

Questo tipo di fratellanza tra le persone si fonda sulla comune paternità di Dio e si differenzia sostanzialmente dalla visione secolare della fratellanza, come quella sposata dalla Rivoluzione francese.

A ciò si aggiunge la dimensione della creazione. La vita umana, in quanto creata a immagine di Dio, possiede una dignità inviolabile, che secondo il Papa è inconciliabile con un’interpretazione utilitaristica della persona umana.

Politica

Sebbene questa antropologia possa sembrare troppo astratta, essa costituisce il fondamento necessario di ogni filosofia politica, spiega Rourke. La nostra visione politica di come debba svolgersi la vita comune, è necessariamente fondata sulla nostra concezione di cosa sia la persona e di cosa sia la comunità.

Secondo Rourke, Benedetto XVI considera la politica come un esercizio della ragione, ma di una ragione plasmata dalla fede. Di conseguenza, il Cristianesimo non considera l’apprendimento come la mera acquisizione di conoscenza, ma come un processo che deve essere guidato da valori fondamentali come la verità, la bellezza e la bontà.

Quando la ragione viene separata da un chiaro intendimento del fine della vita umana, stabilito dalla Creazione e affermato nei Dieci Comandamenti, allora essa perde il suo punto di riferimento necessario per esprimere un giudizio morale. Quando questo avviene, si apre la strada al consequenzialismo, che nega che una cosa possa essere in se stessa buona o cattiva.

Un altro interessante filone di pensiero, presente negli scritti del cardinale Ratzinger, è la separazione tra Chiesa e Stato, osserva Rourke. Con questa separazione, prefigurata nelle parole di Gesù: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, il Cristianesimo ha distrutto l’idea di uno Stato divino.

Prima del Cristianesimo, l’unione tra Chiesa e Stato era la pratica normale e così era anche nell’Antico Testamento. E questo fu anche il motivo della persecuzione dei cristiani da parte dell’Impero romano, poiché essi si rifiutavano di accettarne la religione di Stato.

La separazione introdotta da Gesù ha recato beneficio allo Stato, liberandolo dal dovere di rispondere all’aspettativa della perfezione divina, secondo il cardinale Ratzinger. Questa nuova prospettiva cristiana ha così aperto le porte ad una politica fondata sulla ragione.

Miti

D’altra parte, quando si vuole tornare ad una concezione precristiana della politica, si finisce per eliminarne i limiti morali, come è avvenuto nella Germania nazista e negli Stati comunisti, secondo il futuro Pontefice.

Nel mondo di oggi, le concezioni mitiche del progresso, della scienza e della libertà rappresentano un pericolo. Il loro elemento comune è quello di tendere allo sviluppo di una politica irrazionale che pone la ricerca del potere al di sopra della verità.


Una volta diventato Papa, egli riprende questo tema nella seconda enciclica sulla speranza, avvertendo che ciò che noi speriamo come cristiani non deve essere confuso con ciò che possiamo raggiungere attraverso l’azione politica.

Tornando a ciò che il cardinale Ratzinger scrive nel suo libro “Chiesa, ecumenismo e politica”, Rourke aggiunge che la separazione tra Chiesa e Stato è diventata più confusa negli ultimi tempi, essendo interpretata come cessione dell’intera dimensione pubblica allo Stato.

Quando questo viene accettato, la democrazia si riduce ad un insieme di procedure, priva di qualunque valore fondamentale. Il futuro Papa, invece, afferma la necessità della presenza di un sistema di valori che risalga ai principi originari, quali il divieto di sopprimere la vita umana innocente o l’unione permanente tra un uomo e una donna come fondamento della famiglia.

Coscienza

Tra i molti altri argomenti esaminati da Rourke vi è quello relativo alla coscienza. Se a prima vista potrebbe sembrare poco pertinente alle questioni politiche, la coscienza si rivela invece avere un ruolo fondamentale.

È infatti nel cuore della nostra coscienza che noi custodiamo le norme fondamentali su cui si fonda l’ordine sociale. La coscienza rappresenta anche una limitazione al potere dello Stato, in quanto lo Stato non ha una autorità che lo legittima a violare tali norme. È quindi la coscienza che è in grado di circoscrivere l’azione di governo.

La distruzione della coscienza è invece il prerequisito del governo totalitario, come spiegò l’allora arcivescovo Ratzinger in una lezione del 1972: “Dove prevale la coscienza, esiste un limite al dominio dell’autorità umana e della scelta umana, un qualcosa di sacro che deve rimanere inviolato e che nella sua sovranità, elude ogni controllo, sia quello altrui, sia quello proprio”.

Rourke chiarisce che con queste parole il futuro Papa non sminuisce il valore dei limiti costituzionali o istituzionali del potere. Il punto è più profondo: che nessuna istituzione o struttura può preservare le persone dall’ingiustizia, quando coloro che hanno l’autorità abusano del proprio potere. In questa situazione, è il potere della coscienza, brandito dalla gente, che può proteggere la società.

La coscienza, a sua volta, si collega alla fede, che ne è la principale formatrice. La fede diventa quindi una forza politica nello stesso modo in cui lo è stato Gesù diventando testimone della verità nella coscienza. “Il potere della coscienza si trova nella sofferenza; è il potere della Croce”, spiega Rourke sintetizzando la lezione del 1972.

“Il Cristianesimo inizia”, secondo l’arcivescovo Ratzinger, “non con un rivoluzionario, ma con un martire”.

Continuità

Lo studio di Rourke comprende anche un’appendice contenente un’analisi dell’ultima enciclica di Benedetto XVI sui temi sociali: “Caritas in veritate”, pubblicata quando egli aveva quasi finito di scrivere il suo libro. L’autore sottolinea al riguardo la piena continuità tra l’ultima enciclica e i precedenti scritti del Papa.

Secondo Rourke, questa continuità è evidente già nell’introduzione, in cui il Papa lega la verità all’amore e all’idea di una verità oggettiva, contrariamente alla tendenza relativistica.

L’enciclica conclude poi con la ricorrente idea del Pontefice che in Cristo troviamo ciò che è più autenticamente umano, che Egli ci porta a scoprire la pienezza della nostra umanità. Questo umanesimo cristiano è ciò che Benedetto XVI vede come il contributo più grande che possiamo dare allo sviluppo. Un obiettivo avvincente e incoraggiante, per cui vale la pena impegnarsi.


CARITÀ E VERITÀ, BASI DELL'UNIVERSITÀ CATTOLICA - 86ma Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore
ROMA, domenica, 18 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Carità e verità nell’impegno di ricerca e formazione dell’università” è il tema del Messaggio per l’86ª Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, celebrata questa domenica.
Nel testo, firmato dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, si ricorda che “il progresso delle scienze, mentre individua in maniera sempre più approfondita le leggi che regolano l’universo e si arricchisce di mirabili scoperte, si trova pericolosamente esposto – nella sua rivendicazione di autonomia – a un’insignificanza che estenua ogni creatività e precipita nel nichilismo”.
“Quanto più l’universo ci risulta comprensibile, tanto più ci appare senza scopo. Ciò conduce alla drammatica tentazione di abbandonare il campo”.
La creatività, al contrario, “fiorisce nell’orizzonte di una visione consistente, aperta e chiara a un tempo, in cui la verità dispiega la sua illuminazione generatrice”.
Per questo, osserva il Messaggio citando le parole di Benedetto XVI durante l'Incontro con il mondo accademico nel castello di Praga il 27 settembre 2009, “deve essere riguadagnata l’idea di una formazione integrale, basata sull’unità della conoscenza radicata nella verità”, che “può contrastare la tendenza, così evidente nella società contemporanea, verso la frammentazione del sapere”.
“Con la massiccia crescita dell’informazione e della tecnologia nasce la tentazione di separare la ragione dalla ricerca della verità”, constatava il Papa, ricordando che la ragione, una volta separata dal fondamentale orientamento umano verso la verità, “comincia a perdere la propria direzione”, finendo “per inaridire o sotto la parvenza di modestia, quando si accontenta di ciò che è puramente parziale o provvisorio, oppure sotto l’apparenza di certezza, quando impone la resa alle richieste di quanti danno in maniera indiscriminata uguale valore praticamente a tutto”.
“La visione cristiana della realtà, lungi dal ridurre l’ambito della ricerca universitaria nel perimetro angusto della ragione calcolante, ne dilata le prospettive e lancia alla capacità creativa dell’ingegno umano la sfida del significato totale degli esiti di tale ricerca”, ricordano i Vescovi.
“Si tratta di dilatare la ragione e di renderla capace di conoscere e di orientare queste imponenti nuove dinamiche, animandole nella prospettiva di quella 'civiltà dell’amore' il cui seme Dio ha posto in ogni popolo, in ogni cultura”, sottolinea il Pontefice nella sua Enciclica sociale Caritas in Veritate.
Le rapide e profonde trasformazioni del nostro tempo, dichiarano i presuli, “non rendono obsoleto il progetto di padre Agostino Gemelli”, “al contrario, ne confermano l’attualità, nel segno di quella creatività, che fin dall’inizio lo caratterizzò e rese possibile realizzare, con l’apporto fattivo delle comunità ecclesiali d’Italia, ciò che sembrava impossibile”.
In questo contesto, “va riaffermato e rinnovato” “il radicamento ecclesiale” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, “come espressione concreta della capacità della parola della fede di aprire orizzonti di intelligenza di vita a servizio del popolo cristiano”.
Tutto ciò, conclude il Messaggio, “esige, accanto all’applicazione costante allo studio e alla ricerca, la coltivazione diuturna delle virtù morali di limpidezza, autenticità, umiltà e, soprattutto, del primo dono che da questa Giornata si attende, cioè la preghiera”.


Per questo papa tutto è grazia, anche "gli attacchi del mondo ai nostri peccati" - Resistere alla "dittatura del conformismo". Ma anche "fare penitenza, riconoscere ciò che si è sbagliato, aprirsi al perdono, lasciarsi trasformare". Il messaggio di Joseph Ratzinger alla Chiesa, in una sua inattesa omelia fuori programma - di Benedetto XVI - [Trascrizione integrale dell'omelia pronunciata dal papa giovedì 15 aprile 2010, di prima mattina, nella Cappella Paolina in Vaticano, durante una messa con i membri della pontificia commissione biblica.
Ne ha dato notizia per prima la Radio Vaticana sette ore dopo. E dopo 52 ore ne è stato diffuso il testo completo].

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Cari fratelli e sorelle, non ho trovato il tempo di preparare una vera omelia. Vorrei soltanto invitare ciascuno alla personale meditazione proponendo e sottolineando alcune frasi della liturgia odierna, che si offrono al dialogo orante tra noi e la Parola di Dio. La parola, la frase che vorrei proporre alla comune meditazione è questa grande affermazione di san Pietro: "Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini" (Atti 5, 29). San Pietro sta davanti alla suprema istituzione religiosa, alla quale normalmente si dovrebbe obbedire, ma Dio sta al di sopra di questa istituzione e Dio gli ha dato un altro "ordinamento": deve obbedire a Dio. L'obbedienza a Dio è la libertà, l'obbedienza a Dio gli dà la libertà di opporsi all'istituzione.

E qui gli esegeti attirano la nostra attenzione sul fatto che la risposta di san Pietro al Sinedrio è quasi fino "ad verbum" identica alla risposta di Socrate al giudizio nel tribunale di Atene. Il tribunale gli offre la libertà, la liberazione, a condizione però che non continui a ricercare Dio. Ma cercare Dio, la ricerca di Dio è per lui un mandato superiore, viene da Dio stesso. E una libertà comprata con la rinuncia al cammino verso Dio non sarebbe più libertà. Quindi deve obbedire non a questi giudici – non deve comprare la sua vita perdendo se stesso – ma deve obbedire a Dio. L'obbedienza a Dio ha il primato.

Qui è importante sottolineare che si tratta di obbedienza e che è proprio l'obbedienza che dà libertà. Il tempo moderno ha parlato della liberazione dell'uomo, della sua piena autonomia, quindi anche della liberazione dall'obbedienza a Dio. L'obbedienza non dovrebbe più esserci, l'uomo è libero, è autonomo: nient'altro. Ma questa autonomia è una menzogna: è una menzogna ontologica, perché l'uomo non esiste da se stesso e per se stesso, ed è anche una menzogna politica e pratica, perché la collaborazione, la condivisione della libertà è necessaria. E se Dio non esiste, se Dio non è un'istanza accessibile all'uomo, rimane come suprema istanza solo il consenso della maggioranza. Di conseguenza, il consenso della maggioranza diventa l'ultima parola alla quale dobbiamo obbedire. E questo consenso – lo sappiamo dalla storia del secolo scorso – può essere anche un "consenso nel male".

Così vediamo che la cosiddetta autonomia non libera veramente l'uomo. L'obbedienza verso Dio è la libertà, perché è la verità, è l'istanza che si pone di fronte a tutte le istanze umane. Nella storia dell'umanità queste parole di Pietro e di Socrate sono il vero faro della liberazione dell'uomo, che sa vedere Dio e, in nome di Dio, può è deve obbedire non tanto agli uomini, ma a Lui e liberarsi, così, dal positivismo dell'obbedienza umana. Le dittature sono state sempre contro questa obbedienza a Dio. La dittatura nazista, come quella marxista, non possono accettare un Dio che sia al di sopra del potere ideologico. E la libertà dei martiri, che riconoscono Dio, proprio nell’obbedienza al potere divino, è sempre l'atto di liberazione nel quale giunge a noi la libertà di Cristo.

Oggi, grazie a Dio, non viviamo sotto dittature, ma esistono forme sottili di dittatura: un conformismo che diventa obbligatorio, pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti, e le sottili aggressioni contro la Chiesa, o anche quelle meno sottili, dimostrano come questo conformismo possa realmente essere una vera dittatura. Per noi vale questo: si deve obbedire più a Dio che agli uomini. Ma ciò suppone che conosciamo veramente Dio e che vogliamo veramente obbedire a Lui. Dio non è un pretesto per la propria volontà, ma è realmente Lui che ci chiama e ci invita, se fosse necessario, anche al martirio. Perciò, confrontati con questa parola che inizia una nuova storia di libertà nel mondo, preghiamo soprattutto di conoscere Dio, di conoscere umilmente e veramente Dio e, conoscendo Dio, di imparare la vera obbedienza che è il fondamento della libertà umana.

Scegliamo una seconda parola dalla prima lettura: san Pietro dice che Dio ha innalzato Cristo alla sua destra come capo e salvatore (cfr v. 31). Capo è traduzione del termine greco "archegos", che implica una visione molto più dinamica: "archegos" è colui che mostra la strada, che precede, è un movimento, un movimento verso l'alto. Dio lo ha innalzato alla sua destra – quindi parlare di Cristo come "archegos" vuol dire che Cristo cammina avanti a noi, ci precede, ci mostra la strada. Ed essere in comunione con Cristo è essere in un cammino, salire con Cristo, è sequela di Cristo, è questa salita in alto, è seguire l'"archegos", colui che è già passato, che ci precede e ci mostra la strada.

Qui, evidentemente, è importante che ci venga detto dove arriva Cristo e dove dobbiamo arrivare anche noi: "hypsosen" – in alto – salire alla destra del Padre. Sequela di Cristo non è soltanto imitazione delle sue virtù, non è solo vivere in questo mondo, per quanto ci è possibile, simili a Cristo, secondo la sua parola, ma è un cammino che ha una meta. E la meta è la destra del Padre. C'è questo cammino di Gesù, questa sequela di Gesù che termina alla destra del Padre. All'orizzonte di tale sequela appartiene tutto il cammino di Gesù, anche l'arrivare alla destra del Padre.

In questo senso, la meta di questo cammino è la vita eterna alla destra del Padre in comunione con Cristo. Noi oggi abbiamo spesso un po' paura di parlare della vita eterna. Parliamo delle cose che sono utili per il mondo, mostriamo che il cristianesimo aiuta anche a migliorare il mondo, ma non osiamo dire che la sua meta è la vita eterna e che da tale meta vengono poi i criteri della vita. Dobbiamo capire di nuovo che il cristianesimo rimane un "frammento" se non pensiamo a questa meta, che vogliamo seguire l'"archegos" all'altezza di Dio, alla gloria del Figlio che ci fa figli nel Figlio e dobbiamo di nuovo riconoscere che solo nella grande prospettiva della vita eterna il cristianesimo rivela tutto il senso. Dobbiamo avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che la vita eterna c'è, è la vera vita e da questa vera vita viene la luce che illumina anche questo mondo.

Se si può dire che, anche prescindendo dalla vita eterna, dal Cielo promesso, è meglio vivere secondo i criteri cristiani, perché vivere secondo la verità e l'amore, anche se sotto tante persecuzioni, è in sé stesso bene ed è meglio di tutto il resto, è proprio questa volontà di vivere secondo la verità e secondo l'amore che deve anche aprire a tutta la larghezza del progetto di Dio con noi, al coraggio di avere già la gioia nell'attesa della vita eterna, della salita seguendo il nostro "archegos". E "Soter" è il Salvatore, che ci salva dall'ignoranza circa le cose ultime. Il Salvatore ci salva dalla solitudine, ci salva da un vuoto che rimane nella vita senza l'eternità, ci salva dandoci l'amore nella sua pienezza. Egli è la guida. Cristo, l'"archegos", ci salva dandoci la luce, dandoci la verità, dandoci l'amore di Dio.

Poi soffermiamoci ancora su un versetto: Cristo, il Salvatore, ha dato a Israele conversione e perdono dei peccati (v. 31) – nel testo greco il termine è "metanoia" –, ha dato penitenza e perdono dei peccati. Questa per me è un'osservazione molto importante: la penitenza è una grazia. C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia. La penitenza è grazia; è una grazia che noi riconosciamo il nostro peccato, è una grazia che conosciamo di aver bisogno di rinnovamento, di cambiamento, di una trasformazione del nostro essere.

Penitenza, poter fare penitenza, è il dono della grazia. E devo dire che noi cristiani, anche negli ultimi tempi, abbiamo spesso evitato la parola penitenza, ci appariva troppo dura. Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter fare penitenza è grazia. E vediamo che è necessario far penitenza, cioè riconoscere quanto è sbagliato nella nostra vita, aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare. Il dolore della penitenza, cioè della purificazione, della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento, è opera della misericordia divina. E così queste due cose che dice san Pietro – penitenza e perdono – corrispondono all'inizio della predicazione di Gesù: "metanoeite", cioè convertitevi (cfr. Marco 1, 15). Quindi questo è il punto fondamentale: la "metanoia" non è una cosa privata, che parrebbe sostituita dalla grazia, ma la "metanoia" è l'arrivo della grazia che ci trasforma.

E infine una parola del Vangelo, dove ci viene detto che chi crede avrà la vita eterna (cfr. Giovanni 3, 36). Nella fede, in questo "trasformarsi" che la penitenza dona, in questa conversione, in questa nuova strada del vivere, arriviamo alla vita, alla vera vita. E qui mi vengono in mente due altri testi. Nella "Preghiera sacerdotale" il Signore dice: questa è la vita, conoscere te e il tuo consacrato (cfr. Giovanni 17, 3). Conoscere l'essenziale, conoscere la Persona decisiva, conoscere Dio e il suo Inviato è vita, vita e conoscenza, conoscenza di realtà che sono la vita. E l'altro testo è la risposta del Signore ai sadducei circa la risurrezione, dove, dai libri di Mosè, il Signore prova il fatto della risurrezione dicendo: Dio è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe (cfr. Matteo 22, 31-32; Marco 12, 26-27; Luca 20, 37-38). Dio non è Dio dei morti. Se Dio è Dio di questi, sono vivi. Chi è scritto nel nome di Dio partecipa alla vita di Dio, vive. E così credere è essere iscritti nel nome di Dio. E così siamo vivi. Chi appartiene al nome di Dio non è un morto, appartiene al Dio vivente. In questo senso dovremmo capire il dinamismo della fede, che è un iscrivere il nostro nome nel nome di Dio e così un entrare nella vita.

Preghiamo il Signore perché questo succeda e realmente, con la nostra vita, conosciamo Dio, perché il nostro nome entri nel nome di Dio e la nostra esistenza diventi vera vita: vita eterna, amore e verità.


Pedofilia e celibato - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - venerdì 16 aprile 2010
Nessuna correlazione tra il celibato, una delle espressioni più ampie, belle e nobili dell’amore di Dio per noi, e la pedofilia
Il sacerdote canossiano Amedeo Cencini è anche lo psicologo, lo psicoterapeuta che nell’esercizio della sua professione ha ascoltato le storie di adulti con il macigno nel cuore di un abuso sessuale subito in tenera età. E sul suo lettino si sono sdraiate le vite di sacerdoti caduti nella pedofilia. Sul settimanale diocesano Verona Fedele del 18 aprile ha concesso un’intervista sottolineando che nella piaga “dobbiamo cogliere in quanto sta succedendo l’invito a programmare cammini formativi iniziali e permanenti che consentano al prete di vivere autenticamente il proprio celibato, come una delle espressioni più ampie, grandi, belle e nobili dell’amore di Dio per noi”.

Nessuna correlazione tra celibato e pedofilia
Il problema è molto più ampio. Rifacendosi a Freud per cui “la sessualità è al centro della geografia inter-psichica”, afferma che tutto l’io è maschile o femminile e quindi la sessualità non si identifica con la genitalità, con la sua gratificazione: è bisogno di relazione, di stima di sé, di affermazione di se stessi promuovendo l’altro nella reciprocità. E’ importante quindi che il giovane che si sente chiamato a realizzarsi nell’amore, nella carità pastorale anziché nella modalità coniugale deve sviluppare tutti gli altri aspetti della sessualità, rinunciando alla gratificazione genitale che, tra l’altro, è solo periodica in rapporto alla fecondità anche nel matrimonio.
Secondo Cencini può accadere che la persona che sceglie il celibato lo “carichi di grandi valori spirituali, ma cerchi in “altro” lo sfogo compensativo di quell’energia che non libera nella sessualità. La compensazione la può trovare nella carriera, nel denaro, nell’eccessivo attaccamento alla famiglia, nelle glorie personali e ancora peggio nella pedofilia. Il prete pedofilo è in crisi vocazionale? Nemmeno per sogno! Egli continua a sentirsi un sacerdote perché ha trovato il suo equilibrio abnorme in questa tendenza aberrante. Per questo dico: per favore non consideriamo la pedofilia solo come qualcosa di patologico, ma una delle tante compensazioni attraverso le quali il prete compensa, appunto, ciò a cui ha rinunciato con il celibato”.
Non è corretto considerare la pedofilia sempre e comunque una malattia da affrontare solo dal punto di vista psichiatrico. “Se il fenomeno – sempre Cencini – viene trattato solo dal versante psichiatrico, la pedofilia è una sorta di dato costitutivo della persona e quindi invincibile che riguarda solo determinate persone che, se sacerdoti, non avrebbero mai dovuto diventarlo. Quindi il problema è risolto mettendo tali individui nella condizione di non nuocere. Ma questo mi sembra un approccio parziale. E’ più completo quello psicodinamico per cui la pedofilia è un avvertimento abnorme di uno squilibrio che si è formato progressivamente nella persona, come conseguenza di un certo stile di vita che non ha compreso il senso autentico dell’opzione celibataria”, o per chi si sposa nell’amore coniugale.

Perché è importante nella pedofilia distinguere fra dato costitutivo e avvertimento abnorme di uno squilibrio che si è formato progressivamente nella persona sia nella modalità celibataria e sia nella modalità coniugale della sessualità?
“Per due motivi – sempre Cencini –. Nel suo aspetto psicodinamico la pedofilia può essere prevenuta e anche risolta, tramite un percorso psicoterapeutico che quanto meno può aiutare la persona a tenere sotto controllo questa tendenza, anche quando la pedofilia è una malattia”. Teniamo sempre conto del connubio fede, incontro sacramentale con Cristo e ragione, scienza psicologica, terapia.
L’altro motivo: “L’approccio psicodinamico ci impone di interrogarci sul tema della formazione iniziale dei sacerdoti. La formazione alla sessualità nei seminari non può essere messa tra parentesi ritenendo che una generica opzione per Cristo metta automaticamente la persona nella condizione di poter vivere in maniera adeguata, intelligente, creativa, responsabile. Si deve dare al giovane tutti gli elementi per comprendere che la sua scelta per Cristo deve essere tale da invadere tutti gli altri bisogni. Di scoprire qualcosa di così grande da dare la forza di sopportare il peso della rinuncia e di non dover ricorrere alle compensazioni perché da esse deriva sempre l’abuso”. L’avvenimento esistenziale dell’incontro con la Persona viva di Gesù Cristo, il di più di umanità del suo amore e di poter veicolarlo con gioia nel noi della fraternità sacramentale della carità pastorale dando alla vita un preciso orizzonte e con ciò la direzione, il riempimento decisivo dei propri desideri non è solo all’inizio della vocazione sacerdotale, ma un cammino continuo, una necessità che non può venir meno. Questa è una possibilità sempre, ma mai una costrizione perché Dio dal volto umano cioè il Risorto che dona il Suo Spirito, il Suo amore attraverso la Sua presenza sacramentale non può costringere, perché un rapporto costretto non è mai un rapporto di amore e questo sia nella modalità celibataria, verginale e sia nella modalità coniugale. Quindi la vigilanza di fronte ai rischi di crisi di fede è sempre una necessità. “A livello psicodinamico – sempre Cencini – il pedofilo è colui che cerca la gratificazione sessuale al di fuori di una relazione vera e propria, quindi paritaria. Un altro aspetto che a livello psichiatrico emerge meno è la componente dell’abuso. L’abuso dell’altro quindi, del minore, ma anche abuso di se stesso, dell’essere adulto, tanto più se in una posizione privilegiata come il prete”, il cui agire rimanda alla persona di Cristo. Ma anche in famiglia, per il sacramento del matrimonio, i genitori rimandano a Cristo e le statistiche dicono che la gran parte degli abusi sessuali avviene in famiglia. Ma perché il pedofilo prete, sposato per esercitare questo potere, questo abuso cerca un bambino e non una donna o un uomo adulti? “Innanzitutto – sempre Cencini – perché il pedofilo in generale non è in grado di avere una relazione paritaria. Entrando nello specifico, invece, il sacerdote vede nel bambino la possibilità di poter ottenere la gratificazione sessuale senza suscitare particolari sospetti, quando invece il risvolto morale nel rapporto con una donna sarebbe subito evidente. Infatti l’autentico pedofilo ha un comportamento nei confronti dell’altro sesso ineccepibile. Inoltre nella sua mente confusa mette insieme l’offerta della propria vita a Dio nel celibato con un atteggiamento nei confronti dei piccoli che lui vede semplicemente come particolarmente affettuoso, carino, dolce, comprensivo. Ho presente casi di sacerdoti che mi dicevano: “In fondo non faccio nulla di male. Il bambino ha bisogno di affetto e io sono pronto a darglielo”.

Esiste un legame tra omosessualità e pedofilia?
“Sono due concetti – sempre Cencini – evidentemente diversi. Ma sono le statistiche a dircelo: nel clero nordamericano l’80% degli abusi è avvenuto in ambito omosessuale. Soprattutto nell’omosessualità strutturale (cioè che appartiene alla struttura della persona a differenza di quella legata ad episodi che è trattabile sul piano psicoterapeutico) la difficoltà più grande è quella relazionale. L’omosessualità stenta ad accettare il diverso in quanto tale e l’attenzione sessuale verso l’altro sesso è il punto finale di un atteggiamento interiore che porta la persona ad omologare l’altro. Anche nella pedofilia c’è la paura di una relazione, di un rapporto sessuale paritario con una persona adulta, diversa”.

Il capitolo più doloroso è quello delle vittime
“La letteratura internazionale – sempre Cencini – riporta che il 30% di coloro che hanno subito violenza da piccoli sembra destinato a diventare un pedofilo attivo, mentre il restante 70% si porterebbe comunque dietro il peso dell’abuso, in maniera più o meno grave, con conseguenze sulla vita relazionale in particolare su quella sessuale. L’elemento discriminante che porta la persona a diventare un abusante è la mancata elaborazione di quanto è accaduto. Questo è il modo più grave e doloroso: molto spesso la vittima non è creduta e quando il suo dramma non viene preso seriamente in considerazione è come se venisse ancora una volta violentata. Questo non la porta certo a elaborare l’abuso e non l’aiuta a cercare un percorso psicoterapeutico che è laborioso, faticoso e discretamente lungo. Ma assolutamente necessario. Perché un abuso sessuale vissuto nella prima infanzia è qualcosa che disorganizza mentalmente, emotivamente, affettuosamente e sessualmente la persona. Quindi c’è bisogno di intervenire in maniera professionale in modo da ristabilire la fiducia che la persona ha perduto nel rapporto con l’altro”. Alla richiesta se padre Cencini ha avuto in terapia persone che hanno subito violenza da bambini, la risposta è “Sì”. Con buoni risultati? “In tutti i casi il percorso psicoterapeutico ha portato dei benefici. Devo però anche ammettere che non sempre purtroppo, la persona ha recuperato in pieno la possibilità di un rapporto autentico con l’altro in particolare sul piano emotivo e sessuale”.
Accogliamo l’invito di Benedetto XVI: “Adesso sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati vediamo che poter fare penitenza è grazia e vediamo come si necessario fare penitenza, riconoscere cioè ciò che è sbagliato nella nostra vita: aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare. Il dolore della penitenza, cioè della purificazione e della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento, è opera della misericordia divina”.


COMPAGNI DI CAMMINO - LA GRATITUDINE DI UN POPOLO CHE NESSUNO SAPRÀ MISURARE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 18 aprile 2010
C hi sono gli italiani che si riuniranno do mani? Chi sono questi che si radune ranno senza bandiere, senza invadere piaz ze, niente comizi, senza battaglia di cifre con la questura ? Cosa è questo radunarsi in tan ti luoghi? Gente che non si mobilita contro qualcuno. Nemmeno si tratta di gente che presume di fare il raduno dei migliori. Dei puri. Hanno una sola cosa da chiedere. Una cosa importante, per la quale non basta ri vogersi – con tutto il rispetto – al Presidente. Né basta un Primo Ministro. Sono gli italiani che si troveranno a pregare per il Papa nel quinto anniversario della sua elezione. Pre gheranno perché Dio che lo ha scelto conti nui a sostenerlo. Accadrà qualcosa del gene re in tutto il mondo. Un ritrovo di ringrazia mento. Per quella elezione di un uomo cer to e umile alla più alta responsabilità del mondo. Il Papa è il capo che ha meno pote re, ma ha la più alta e vasta responsabilità. La più profonda e radicale responsabilità. Ri cordare a tutti, con la sua presenza e testi monianza, la più importante cosa della sto ria. La più impressionante: l’uomo ha meri tato che Dio si incarnasse. Ricordare che il mistero della vita, la gran misericordia del l’Essere si è fatta vicina a ciascuno. A noi men tre amiamo, mentre siamo storditi di dolore, mentre si fatica o mentre si gode. Mentre ca diamo e mentre desideriamo riscattarci dal peccato, mentre ne soffriamo.
Questa gente che domani si raduna e farà – vedrete – meno notizia di tanti altri raduni infinitamente meno numerosi, si troverà ad alzare una preghiera lieta e forte. Per ringra ziare Dio e per chiedere di sostenere chi ci ri corda che Lui è vicino al desiderio di ciascu no d’esser raccolto in una vera giustizia. In un giusto abbraccio, cioè con la misura giusta della nostra natura, stupenda e fragile, come hanno sempre riconosciuto tutti i poeti e gli artisti.
Alta responsabilità del Papa, immenso servi zio, nessun potere. Nemmeno d’esser ripa rato dalla ferita del male, e dall’ingiuria. Dal lo sputo. Sarà un ritrovo di gente normale. Il che non significa, come intendono di solito i pubblicitari o i politici, gente con i gusti e le idee che questa società mette in testa a tutti, omologandoli. Gente normale nel senso che sa d’aver aspirazioni e difetti, d’esser abitata dall’ideale e anche peccatrice. Ma gente che ha qualcosa per cui ringraziare. Questo ope raio della vigna. L’operaio Joseph. Il mite e certo, il serio e lieto amante di Cristo.
Domani sarà un ritrovarsi di gente che in mezzo alla tante penombre del vivere ha un punto, un fuoco di gioia dura. Che ha un fa ro da guardare tra le onde della vita, mare al tissimo che conosce ogni tipo di tempesta e di pericolo di abissi. Chi sono dunque, que sti italiani che domani si stringono intorno al loro Papa, nel giorno anniversario della sua elezione? I vip delle pagine culturali odierne, gli illuminati dai fari delle tv e dei media più in voga, vorrebbero farci credere che si trat ta di gente strana. Un popolo di illusi o poco intelligenti, che si lascia manipolare da un gruppo di tizi poco raccomandabili. Ma que sta gente che domani porterà il proprio cuo re ferito e allegro, il proprio volto segnato e certo nelle Chiese del nostro Paese ha impa rato a non dar troppo peso alle chiacchiere dei farisei, sempre uguali da duemila anni. Non ha tempo per cose noiose. La vità è un’avventura di ben altro spessore. È gente che ha qualcosa per cui ringraziare. L’ope raio Joseph. Il mite e lieto compagno di cam mino, più avanti di tutti. Il più esposto per tutti, in quella posizione senza riparo per cui mentre i suoi nemici lo colpiscono, i suoi fi gli lo guardano, con gli occhi più commossi e grati. E questa gratitudine commossa è la difesa più forte.