mercoledì 28 aprile 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) UNA CULTURA DELLA VITA PER RISPETTARE LA DIGNITÀ DI BAMBINI E DONNE - Riflessioni sul caso del bambino di 22 settimane abortito a Rossano - di Antonio Gaspari
2) L'arcivescovo Marcianò sull'aborto di Rossano in Calabria - Sovvertiti i principi di cura e di soccorso - L'Osservatore Romano - 28 aprile 2010
3) Per la dignità del bimbo e della donna - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 28 aprile 2010
4) La campagna dei media ostili al Papa si é attenuata segno che si sono resi conto della saturazione della gente. Nei confronti di Bertone un mare di prevenzione. Il disegno di legge sulla omofobia pretende di far passare per normale una anormalità - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
5) UN'INTRODUZIONE AL TRANSUMANESIMO - Cercando di fabbricare un altro tipo di persona - di E. Christian Brugger*
6) I bambini, salvati da Gesù (e Galli non lo sa) - A volte per la Chiesa sono più insidiose certe difese che gli attacchi che subisce. E’ il caso dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della sera di ieri. – Antonio Socci, da “Libero”, 27 aprile 2010
7) 28 aprile, San Luigi Maria Grignion de Montfort. Profilo di F. Pappalardo, di Alleanza Cattolica – su facebook tramite Massimo Introvigne
8) Avvenire.it, 28 Aprile 2010 - La forza di carità e volontariato - È inosservata e potente la macchina del bene - Marina Corradi
9) Pillole di menzogna - Lorenzo Albacete - mercoledì 28 aprile 2010 – ilsussidiario.net
10) POESIA/ Così María Zambrano ci insegna a leggere la "meraviglia del mondo" - Uberto Motta - mercoledì 28 aprile 2010 – ilsussidiario.net
11) legge 40 «Embrioni congelati restano intoccabili» - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 28 aprile 2010
12) la storia Venne abortito. Oggi è un ragazzino vispo - DA MILANO VIVIANA DALOISO – Avvenire, 28 aprile 2010


UNA CULTURA DELLA VITA PER RISPETTARE LA DIGNITÀ DI BAMBINI E DONNE - Riflessioni sul caso del bambino di 22 settimane abortito a Rossano - di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 27 aprile 2010 (ZENIT.org).- Sgomento, indignazione, compassione, pietà, questi i sentimenti scatenati dalla scoperta di un bambino di 22 settimane di gestazione sopravvissuto all’aborto e poi morto.
Il fatto è accaduto sabato 24 aprile a Cosenza, quando una donna si è recata all’ospedale di Rosarno per sottoporsi a un intervento per l'interruzione di gravidanza a causa di una malformazione del nascituro.
Il cappellano dell’ospedale che era andato a pregare nella stanza dove era stato riposto il corpicino si è però reso conto che il bambino era ancora vivo. La direzione sanitaria ha disposto l’immediato trasferimento del neonato nell’ospedale di Cosenza, ma il piccolo che pesava circa 300 grammi, con sole 22 settimane di gestazione e con la presenza di una malformazione, non ce l’ha fatta.

Su questa vicenda, ripresa da tutti i mass media, L’Osservatore Romano ha pubblicato un articolo di Carlo Bellieni titolato “Per la dignità del bimbo e della donna”.

Il neonatologo Bellieni ha scritto che “l’aborto contrasta la dignità del bimbo, la mancata totale informazione e la sbrigatività contrastano la dignità della donna”.

Se “proviamo a mettere al centro del discorso la dignità di entrambi, - ha sostenuto il dottore membro della Pontificia Accademia per la Vita – vedremo come sarà inconcepibile lasciare la donna sola, alle prese con l’angoscia di un freddo foglio col nome della malattia del figlio”.

In merito a come si è svolta la vicenda il dott. Bellieni ha concluso affermando che “il bimbo se è rianimabile deve avere una chance (ma in base alla 194 non dovrebbe accadere che si abortisca un bimbo che può vivere); se non è rianimabile perché è troppo piccolo, deve comunque avere un ambiente caldo e dignitoso, una compagnia umana, un nome e una degna sepoltura proprio come qualunque altra persona in fin di vita, perché alla violenza non si aggiunga l’oltraggio”.

Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita, si è augurato che “almeno, al neonato di Cosenza sia attribuita la dignità di essere registrato all'anagrafe come bambino nato”.

Secondo il presidente del MpV, “è doveroso porre la domanda: il piccolo era davvero malformato? Di quale malformazione più o meno grave si trattava? Sarebbe stata curabile grazie agli straordinari progressi della medicina prenatale e perinatale? Credo che se vi sarà l'autopsia, come è auspicabile, a questi quesiti sia data risposta”.

Per Casini bisogna porre la domanda più inquietante: “che cosa è stato fatto affinché la mamma non si trovasse sola nel dramma della sua gravidanza? E' stata informata che vi sono famiglie che sarebbero state disposte ad accogliere il suo bambino, anche se malformato? Il Movimento per la vita consoce alcune di queste famiglie, e conosce anche una certa superficialità nel diagnosticare presunte malformazioni e nell'escludere la possibilità di terapie”.

Il prof. Lucio Romano, Copresidente di Scienza & Vita, ha sottolineato che “nessuno si è preso cura né si è fatto carico del neonato appena abortito a Rossano, come anche la legge impone”.

Ed ha aggiunto: “quanto accaduto è l’ennesima conseguenza della costante banalizzazione dell’aborto ridotto sempre più frequentemente a mera procedura routinaria. Il neonato abortito alla 22esima settimana di gravidanza aveva reali possibilità di sopravvivenza, come hanno dimostrato gli stessi fatti e come supportato dalla letteratura specialistica in materia”.

“L’indifferenza dell’abbandono, che la vicenda pone all’attenzione di tutti noi - ha concluso il Copresidente di Scienza & Vita - è la testimonianza della progressiva deriva antropologica che stiamo vivendo. Solo una più convinta e incisiva cultura per la vita può costituire un argine nei confronti di una pratica clinica spesso poco orientata alla tutela del più piccolo e del più debole”.

L'arcivescovo Marcianò sull'aborto di Rossano in Calabria - Sovvertiti i principi di cura e di soccorso - L'Osservatore Romano - 28 aprile 2010
Cosenza, 27. "È da registrare, in maniera sempre più grave, il diffondersi di una cultura della morte totalmente non rispettosa dell'essere umano tradotta in una prassi che, come in questo caso, assume connotazioni barbariche, sovvertendo i fondamentali principi di cura e soccorso della vita umana, naturalmente presenti nell'uomo e, in misura maggiore, proprie della professione medica". È quanto si afferma in un comunicato della Curia arcivescovile di Rossano-Cariati sulla vicenda del feto di ventidue settimane sopravvissuto a un'interruzione di gravidanza praticata per una malformazione nell'ospedale di Rossano.

Erano trascorse ventidue ore dall'intervento - praticato sabato su una donna alla prima gravidanza - quando intorno alle 11.15 di domenica mattina il cappellano dell'ospedale, don Antonio Martello, si è accorto che il feto mostrava chiari segni di vita. Da qui l'allarme e la corsa in autoambulanza, con un pediatra e un rianimatore a bordo, verso il reparto di neonatologia dell'ospedale di Cosenza dove il cuoricino del piccolo, dopo circa due giorni, ha cessato di battere.

"Appare sconcertante - sottolinea l'arcivescovo di Rossano-Cariati, monsignor Santo Marcianò - l'arbitraria superficialità dei sanitari nell'omettere qualsiasi tipo di cura e rianimazione del bambino il quale, nonostante ciò, ha continuato a sopravvivere autonomamente". Secondo il presule, "il caso deve portare la comunità civile a riflettere sulla drammaticità rappresentata dall'aborto in quanto soppressione di un essere umano e, nello specifico, sulla illiceità del definirlo "terapeutico". In quanto tale, infatti, questo non rappresenta una cura ma, semmai, rafforza quella mentalità eugenetica dilagante che, non solo aumenta il ricorso all'aborto stesso, ma pone seri interrogativi sul presunto beneficio che esso abbia sulla salute della donna e sul significato naturale della maternità, nonché ci invita a considerare con quanta facilità sia trattata in modo "non umano" una persona gravemente malformata o anche semplicemente non voluta".

Monsignor Marcianò si augura che la vicenda apra un serio e fecondo dibattito e "porti tutti a collaborare affinché il valore della vita e di ogni persona umana sia riconosciuto come il fondamento di una società civile e giusta".

Per la dignità del bimbo e della donna - di Carlo Bellieni - L'Osservatore Romano - 28 aprile 2010
Se il tema aborto non fosse un tabù laicista, nessuno potrebbe dire di non sapere, ma nessuno ne parla e allora non si sa che l'interruzione di gravidanza dopo il primo trimestre si svolge come un parto: il bimbo nasce, ha un cuore che batte, e lentamente si spegne. In Italia la legge 194 impone di non farlo quando c'è una possibilità di farlo vivere, cioè dopo ventidue settimane dal concepimento, ma se nasce prima non è detto che nasca morto, anzi: è in grado di sentire il dolore (circa dalla ventesima settimana) o di far piccoli movimenti. Se si guarda il piccolo torace si vede a occhio nudo il cuore battere. Non si può far finta di non saperlo.

L'aborto tardivo sta creando malcontento all'estero, anche nei confronti dell'escamotage detto partial birth abortion ("aborto a nascita parziale"), che in una fase di gravidanza avanzata, a metà del processo di uscita del feto dall'utero, quando il feto non ha ancora tratto il primo respiro, lo fa morire recidendo la base del cranio, per non farlo nascere vivo. Sconcerto, certo; e sconcerto di fronte a un bimbo vivo abbandonato in un angolo di corsia. Ma sono poi tutte letali e gravissime le patologie per cui si decide l'aborto? A ripensare il caso fiorentino finito sui media tre anni fa, in cui fu abortito un bimbo per un'anomalia all'esofago assolutamente operabile (diagnosi oltretutto sbagliata), non si direbbe. E poi, siamo sempre in presenza di un percorso che mette i genitori di fronte alle possibilità terapeutiche, a colloquio con gli specialisti della malattia in atto, per capirne la reale gravità? Perché se l'aborto contrasta la dignità del bimbo, la mancata totale informazione e la sbrigatività contrastano la dignità della donna.

Proviamo a mettere al centro del discorso la dignità di entrambi, e vedremo come sarà inconcepibile lasciare la donna sola, alle prese con l'angoscia di un freddo foglio col nome della malattia del figlio. E sarà altrettanto inconcepibile non ripensare "chi è" il soggetto dell'aborto recuperando l'assurdità dell'evento e usando almeno la pietà: il bimbo se è rianimabile deve avere una chance (ma in base alla 194 non dovrebbe accadere che si abortisca un bimbo che può vivere); se non è rianimabile perché è troppo piccolo, deve comunque avere un ambiente caldo e dignitoso, una compagnia umana, un nome e una degna sepoltura proprio come qualunque altra persona in fin di vita, perché alla violenza non si aggiunga l'oltraggio.

(©L'Osservatore Romano - 28 aprile 2010)

La campagna dei media ostili al Papa si é attenuata segno che si sono resi conto della saturazione della gente. Nei confronti di Bertone un mare di prevenzione. Il disegno di legge sulla omofobia pretende di far passare per normale una anormalità - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
Il professor Massimo Introvigne é certamente uno dei maggiori studiosi dei fenomeni religiosi ed anche un autorevole sociologo, degno di stima ed attenzione. Con lui discutiamo della recente campagna di aggressione nei confronti del Papa e della Chiesa cattolica in genere. Professor Introvigne si ha la sensazione che questo linciaggio sia in calo: " effettivamente é così. Del resto queste ondate sono studiate a tavolino e rispondono ad una precisa logica di gettare fango. Non possono durare mai a lungo non escludo che tra poco e nel tempo torneranno alla carica, con fatti vecchi ed arcaici. Ma poiché costoro sono sapienti e astuti nella tecnica della comunicazione, si sono resi conto che si stava raggiungendo l 'effetto saturazione nella opinione pubblica che alla fine si stanca di sentire sempre le stesse cose. Poi accade che nel mondo cattolico, più si attacca il papa e la Chiesa e maggiormente lo si compatta ...

... e dunque hanno deciso di abbassare i toni".

Vede qualche pecca nella comunicazione della Chiesa?: " credo che abbia scelto la strategia giusta e me ne sono accorto ultimamente a Malta. Vero, la visita del papa si é svolta in un contesto largamente cattolico, ma personalmente ho sperimentato e visto il calore della gente attorno al Papa, segno chiaro che i veri cattolici hanno capito la strumentalità degli attacchi. I casi di pedofilia ci sono stati, una cosa grave e deplorevole. Ma spesso sono stati ingigantiti oltre misura e con prove e fatti antichi, difficilmente riscontrabili e documentabili. Parlare male della Chiesa fa cassetta e produce aumento delle copie, maggiori ascolti delle solite trasmissioni avvelenate contro la Chiesa, fa parte del gioco".

Anche il cardinale Bertone non é stato esente da velenosi e prevenuti attacchi: " qui si é raggiunto e superato ogni limite di decenza e di onestà intellettuale. Qualche bello spirito, ha utilizzato una clip di Bertone, un frammento del suo discorso per linciarlo. Non hanno compreso e forse non hanno voluto, che il cardinale si riferiva esclusivamente al mondo ecclesiastico e non a tutti, ma faceva comodo lanciare una nuova campagna di diffamazione e discredito. Bertone avava ragione da avendere, é stato volutamente mistificato il suo pensiero".
Le organizzazioni gay?: " quelle non mancano mai quando ci sta da sparare sulla chiesa e fanno il loro mestiere, perché la Chiesa con la sua fermezza dottrinale scompagina i loro ruoli. Fosse per loro, oggi avremmo tutto il primo mondo infestato di unioni gay liberalizzate e lecite. Fortunatamente non é così. Poi bisogna ragionare sul disegno di legge in tema di omofobia e risponde al disegno populista di trasformare in ortodossia quella che é eterodossia, cioé non normalità. Qualcuno vi ravvisa anche un profilo di incostituzionalità. Ma chi la pensa diversamente é aggredito, messo al bando e censurato, con una intolleranza senza pari".
Bruno Volpe

UN'INTRODUZIONE AL TRANSUMANESIMO - Cercando di fabbricare un altro tipo di persona - di E. Christian Brugger*
WASHINGTON D.C., martedì, 27 aprile 2010 (ZENIT.org).- Le idee del giovane movimento internazionale noto come "transumanesimo" stanno iniziando a caratterizzare il pensiero di un numero sempre maggiore di medici e bioeticisti. Credo che nostri lettori potrebbero trarre profitto da una breve introduzione a queste idee.
Il transumanesimo è in realtà un insieme di idee sviluppatosi in risposta al rapido progresso della biotecnologia negli ultimi vent'anni (cioè la tecnologia è capace e aspira alla manipolazione delle condizioni fisiche, mentali ed emotive degli esseri umani). La medicina convenzionale tradizionalmente ha avuto il proposito di superare i problemi che affliggono la condizione umana; prescriveva salassi, cauterizzazioni, amputazioni, somministrazione di medicinali, operazioni e trasferimenti in luoghi dal clima più secco, tutto per favorire la salute e lottare contro le malattie o le degenerazioni, cioè il proposito era curare (era quindi fondamentalmente terapeutica).
La tecnologia sta ora compiendo possibili interventi che, oltre a una finalità terapeutica, sono destinati al rafforzamento delle capacità salutari umane. C'è un graduale ma costante ampliamento negli ideali medici, dalla semplice cura a cura e miglioramento. Siamo tutti familiarizzati con le "sostanze che migliorano il rendimento" nello sport professionale. La biotecnologia, ad ogni modo, promette di creare possibili forme di miglioramento che vanno ben al di là dell'aumento dei muscoli.
La terapia genica di linea germinale, ad esempio, ha fin dai suoi inizi l'obiettivo di modificare geneticamente le "cellule germinali" umane (cioè lo sperma e gli ovuli) per introdurre caratteristiche auspicabili a livello intellettuale, fisico ed emotivo ed escludere quelle indesiderabili.
Visto che le modifiche si fanno alle cellule nella linea "germinale", i tratti sono ereditari e si trasmettono alle generazioni successive. Medicinali per migliorare le funzioni mentali, come il Ritalin e l'Adderall, sono sempre più utilizzati da persone sane per migliorare le capacità cognitive. Uno studio ha dimostrato che circa il 7% degli studenti universitari degli Stati Uniti ha usato stimolanti a scopo di miglioramento [1]. Questa percentuale sembra essere in aumento.
La ricerca sta progredendo rapidamente in tecnologie avanzate tali come l'interfaccia diretta cervello-computer (BCI), gli impianti di micromeccanica, le nanotecnologie, le protesi retinali, neuromuscolari e corticali e i cosiddetti "chip della telepatia". Anche se è certo che ciascuna di queste tecnologie può svolgere un ruolo nella trasformazione della vita dei pazienti con handicap perché possano comunicare meglio, vedere, camminare, muovere le estremità e riprendersi da malattie degenerative, il transumanesimo le vede come possibili strumenti per la trasformazione della natura umana. La versione 2002 della Dichiarazione Transumanista stabilisce: "L'umanità cambierà radicalmente nel futuro attraverso la tecnologia. Prevediamo la possibilità di ridisegnare la condizione umana, includendo parametri tali come l'inevitabilità dell'invecchiamento, le limitazioni degli intelletti umani e artificiali, la psicologia non scelta, la sofferenza e il nostro confinamento al pianeta Terra" [2].
La sua proposta più radicale è il superamento della morte. Anche se l'obiettivo sembra fantasioso, ci sono scienziati e filosofi influenti impegnati in questo contesto. Lo scienziato e inventore transumanista Ray Kurzweil sostiene che durante la maggior parte della storia umana la morte è stata tollerata perché non c'era nulla che si potesse fare al riguardo. Si avvicina però rapidamente il momento in cui saremo capaci di isolare i geni e le proteine che provocano la degenerazione delle nostre cellule e di riprogrammarle. L'assunzione dell'inevitabilità della morte non è più credibile e deve essere ritirata [3]. Michael West, presidente di una delle maggiori imprese di biotecnologia degli Stati Uniti, l'Advanced Cell Technology, è d'accordo. Ritiene che "l'amore e la compassione per il nostro prossimo in ultima istanza ci porteranno alla conclusione che dobbiamo fare tutto il possibile per evitare l'invecchiamento e la morte" [4].
Anche se credo che la maggior parte delle persone nel mondo occidentale non condivida ancora le idee più radicali del transumanesimo, l'adozione della preoccupazione per l'autonomia umana che soggiace alla filosofia transumanista è praticamente universale nella medicina secolare e nella bioetica di oggi. I testamenti che consacrano il diritto delle persone di rifiutare le cure per prolungare la vita per praticamente qualsiasi motivo, anche se non si sta morendo, stanno diventando una cosa di routine negli ospedali e nei formulari del consenso informato. L'Oregon, lo Stato di Washington e il Montana hanno legalizzato il suicidio medicalmente assistito invocando come elemento retorico l'argomentazione per cui si garantisce il diritto all'autonomia di una persona di esercitare la libera determinazione non solo sulla sua vita, ma anche sulla sua morte. Se l'autonomia viene estesa a queste cose, allora garantirà sicuramente la libertà di migliorare le mie capacità.
Temo però che l'unico aspetto che attualmente previene l'affermazione su larga scala dell'imperativo transumanista sia un fattore di "ripugnanza emotiva", che, possiamo esserne certi, diminuirà gradualmente in virtù dell'istanza dolce e inesorabile dell'opinione laica. Quando questo accadrà, la nostra razionalità, isolata da questo concetto di autonomia estrema, si troverà indifesa di fronte all'imperativo tecnologico, che dice: se possiamo disegnare il nostro figlio perfetto [5], se possiamo essere più intelligenti, più forti e più belli [6], se possiamo prolungare indefinitamente la vita umana [7], allora dobbiamo farlo. Se gli embrioni sono sacrificati attraverso il processo di sperimentazione per perfezionare questa tecnologia, o se si introducono disuguaglianze a beneficio di alcuni e a detrimento di altri, questi sono i costi del progresso!
L'istruzione del Vaticano del 2008 sulla bioetica, Dignitas Personae, parlando dell'uso della biotecnologia per introdurre alterazioni con il presunto obiettivo di migliorare e rafforzare il patrimonio genetico, mette in guardia contro la "mentalità eugenetica" promossa da questa manipolazione. Una simile mentalità stigmatizzerà le caratteristiche ereditarie delle imperfezioni generando pregiudizi contro le persone che le possiedono e privilegiando invece quanti posseggono qualità presuntamente auspicabili.
L'istruzione termina dicendo: "Si deve rilevare infine che nel tentativo di creare un nuovo tipo di uomo si ravvisa una dimensione ideologica, secondo cui l'uomo pretende di sostituirsi al Creatore" (n. 27).
Lo sforzo compiuto nel manipolare la natura umana in questo modo "finirebbe, prima o poi, per nuocere al bene comune".
Note:
[1] Cfr. H. Greely, B. Sahakian, M. Gazzaniga, et al., Towards responsible use of cognitive-enhancing drugs by the healthy, Nature 456 (dicembre 2008), 702-705.
[2] Dal sito web di Humanity+: http://humanityplus.org/learn/philosophy/transhumanist-declaration/transhumanism-declaration-2002. La World Transhumanist Association (WTA), attualmente la principale organizzazione di riferimento del transumanesimo nel mondo, è stata fondata nel 1998. Per motivi di immagine, di recente ha cambiato il proprio nome in Humanity+.
[3] Cfr. l'intervista a Kurzweil su http://hplusmagazine.com/articles/multimedia/videos/immortalists-short-film-jason-silva
[4] Ibid.
[5] Cfr. i rapporti su questo effetto del famoso bioeticista di Oxford Julian Savulescu, citato in Peter Snow, Woe, Superman?, Oxford Today: The University Magazine, vol. 22, no. 1 (Michaelmas 2009), 14; cfr. anche le spaventose (e influenti) teorie di Savulescu sulla "beneficenza procreativa" in Procreative Beneficence: Why We Should Select the Best Children, Bioethics, vol. 15, punti 5-6 (ottobre 2001), 413-26.
[6] Cfr. la massima utopica di Humanity+, Healthier, Smarter, Happier ("Più sani, più intelligenti, più felici"), su http://humanityplus.org
[7] Cfr. gli obiettivi della nuova organizzazione Coalition to Extend Life su https://www.coalitiontoextendlife.org/products.php

* * *
* E. Christian Brugger è Decano di Etica presso la Culture of Life Foundation e professore associato di Teologia Morale al Seminario Teologico St. John Vianney di Denver, Colorado (USA). Ha conseguito il dottorato in Filosofia a Oxford nel 2000.
[Per contattarlo, scrivere a bioethics@zenit.org. Il messaggio deve includere le iniziali del nome e la città o il Paese].


I bambini, salvati da Gesù (e Galli non lo sa) - A volte per la Chiesa sono più insidiose certe difese che gli attacchi che subisce. E’ il caso dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della sera di ieri. – Antonio Socci, da “Libero”, 27 aprile 2010
Galli sostiene che, a proposito della questione pedofilia e clero, la drastica opera di pulizia intrapresa da Benedetto XVI, “senza guardare in faccia a nessuno”, deriverebbe da un adeguamento della Chiesa alla mentalità moderna dell’occidente laico che considera un male assoluto gli abusi dei pedofili.

Dice: “la Chiesa ha finito per fare rapidamente proprio, senza riserve o scostamenti di sorta, il punto di vista affermatosi (peraltro recentemente e a fatica, ricordiamocelo) nella società laica occidentale”.

Galli aggiunge: “si tratta beninteso del punto di vista della società occidentale, non molto condiviso, come si sa, da altre società come quelle islamiche o afro asiatiche”. Poi conclude che l’Occidente sarà scristianizzato, ma la Chiesa di Roma è sempre più “occidentale”.

Una tesi che sembra voler arruolare il Papa fra le file “laiche”. Ma in base a cosa Galli ritiene che sia grazie alla mentalità laica moderna che si è cominciato a ritenere criminale l’abuso dell’infanzia? Non lo dice.

Purtroppo per lui c’è chi sostiene con corposi argomenti il contrario. Infatti sullo stesso Corriere, il 19 aprile scorso, Vittorio Messori scriveva: “La pedofilia… è addirittura lodata e raccomandata da filosofi, come avvenne nell’ antica Grecia e com’è avvenuto nel Sessantotto europeo e americano”.

Messori intende dimostrare – mi sembra – che non è affatto l’occidente laico e moderno ad aver pronunciato la condanna unanime, senza appello, senza se e senza ma, della pedofilia.

Lo scrittore cattolico cita intellettuali, testi, manifesti. Che si potranno discutere, ma sono la base concreta del suo ragionamento. Mentre Galli non fornisce documentazione di quanto afferma. Cosicché la sua tesi risulta infondata.

Del resto – al di là delle discussioni filosofiche – è tristemente noto che nei costumi attuali delle società occidentali la pedofilia è diventata un fenomeno criminale molto vasto e forse in crescita. E’ difficile sostenere che questo Occidente si possa davvero presentare come maestro in fatto di condanna della pedofilia.

Soprattutto è improbabile che possa impartire lezioni alla Chiesa, nella quale, stando a sociologi come Jenkins e Introvigne, la percentuale di pedofili – per quanto amplificata dai mass media – è microscopica e assai inferiore a quella mondana.

Se il Papa ha intrapreso una lotta così drastica a questo oscuro fenomeno non è perché abbia aderito alla mentalità del mondo, come scrive Galli, ma – al contrario – è perché giudica intollerabile che ci siano sacerdoti (seppure rarissimi) che cadano in questi vizi oscuri e criminali che vengono dal mondo (dal mondo in senso giovanneo, come luogo del “principe delle tenebre”).

Inoltre il papa giudica che la logica troppe volte seguita dal ceto ecclesiastico fino ad oggi (del coprire certi crimini per non svergognare la Chiesa) tradisca Gesù Cristo e la missione da lui affidata alla Chiesa, esponendo ai “lupi” gli agnelli, cioè i figli di Dio più piccoli e indifesi.

Il Papa – diversamente da Galli – sa che proprio grazie all’irrompere del cristianesimo, per la prima volta nella storia, è diventato un tabù assoluto la violazione dell’infanzia.

Nell’antichità, prima dell’arrivo del cristianesimo, era possibile qualsiasi perversione o abuso, fino a estremi criminali, anche sull’infanzia.

Svetonio – per dire – racconta che Nerone, “oltre al commercio con ragazzi liberi e al concubinato con donne maritate… dopo aver fatto tagliare i testicoli al ragazzo Sporo, cercò anche di mutarlo in donna, e se lo fece condurre in pompa magna, come nelle cerimonie nuziali solenni, e lo considerò come moglie legittima”.

Al di là del “caso Nerone”, è l’antichità in sé che è barbara e feroce. Pure l’antichità dei filosofi greci. Feroce con tutti i deboli, a cominciare dai bambini.

Poi arriva Gesù di Nazaret ed è un ciclone che rivoluziona tutto. Perfino la sottile violenza psicologica sull’anima pura dei bambini è per lui un crimine intollerabile: “chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina e fosse gettato negli abissi del mare” (Mt. 18,6).

Gesù va anche oltre: i bambini per lui costituiscono addirittura l’esempio da cui devono imparare i grandi e i sapienti. Sono i bambini i depositari della più vera e profonda sapienza. Sono loro – dice esplicitamente Gesù – i veri eredi del Suo Regno e chi segue Gesù deve “tornare come loro”.

Un giorno, in un villaggio, il Maestro si siede e chiede agli apostoli di cosa discutevano per la via. Loro sono imbarazzati perché – come certi ecclesiastici di oggi – si contendevano le poltrone pensando al “regno” da lui annunciato come a un regno mondano.

Allora Gesù li fissa negli occhi e ribalta i loro cuori, rivoluzionando il mondo: “se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Quindi, “preso un bambino, lo pose in mezzo” e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt. 18, 2-5).

E’ proprio l’irrompere del cristianesimo infatti che dà per la prima volta alla vita nascente, ai bambini uno “status” umano, anzi divino. Il solo caso in cui Gesù pronuncia parole di condanna (e di condanna tremenda: la macina al collo) è quello che riguarda chi scandalizza i piccoli.

Perfino Mauro Pesce e Corrado Augias nel loro “Inchiesta su Gesù”, pur così acido con la Chiesa, riconoscono che “non si può apprezzare la forza di queste parole (di Gesù, nda) se non si considera che i bambini, in una società contadina primitiva, erano nulla, erano non persone, proprio come i miserabili. Un bambino non aveva nemmeno diritto alla vita. Se suo padre non lo accettava come membro della famiglia, poteva benissimo gettarlo per la strada e farlo morire, oppure cederlo a qualcuno come schiavo”.

E’ letteralmente Gesù ad aver inventato l’infanzia, ad aver affermato cioè, una volta per sempre, che i bambini sono esseri umani e che sono sacri e inviolabili.

Lo riconoscono anche i filosofi più laici. Richard Rorty – guru del neopragmatismo americano – in “Objectivity, relativism and Truth. Philosophical papers” osserva: “se si guarda a un bambino come a un essere umano, nonostante la mancanza di elementari relazioni sociali e culturali, questo è dovuto soltanto all’influenza della tradizione ebraico-cristiana e alla sua specifica concezione di persona umana”.

E’ con Gesù che si ribalta tutto e i piccoli o i malati o gli schiavi – che fino ad allora erano considerati oggetti da usare e abusare – diventano divini, quindi sacri e preziosi come il Figlio di Dio stesso che proprio in essi si è voluto identificare. Da qui l’atto d’accusa di Nietzsche: “Il cristianesimo ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito”.

E’ vero. Al contrario di quanto scrive Galli, se nel pensiero moderno ogni tanto fiorisce il seme dell’umanesimo è perché è la Chiesa che ce l’ha piantato. Dunque inconsapevolmente la stampa che attacca, contro la pedofilia, fa un’apologia del cristianesimo.

Per questo il papa, nelle scorse settimane, non ha gridato al complotto, ma ha denunciato il peccato più ancora della stampa, ha pianto con le vittime e ha giudicato “una grazia” provvidenziale perfino questa aggressiva campagna di stampa.

Perché pensa che Dio l’abbia permessa per purificare la sua Chiesa e farle ritrovare Gesù. Così l’umiltà del papa a Malta ha commosso le vittime e ha conquistato milioni di cuori. E’ la strana vittoria della debolezza. La “debolezza” della fede.
Antonio Socci
da “Libero”, 27 aprile 2010


28 aprile, San Luigi Maria Grignion de Montfort. Profilo di F. Pappalardo, di Alleanza Cattolica – su facebook tramite Massimo Introvigne
Oggi, 28 aprile, si celebra la festa di uno dei santi più cari ad Alleanza Cattolica, San Luigi Maria Grignion da Montfort (1673-1716). Un suo profilo ad opera di Francesco Pappalardo, di Alleanza Cattolica


1. La formazione spirituale



Secondo dei diciotto figli di Jean-Baptiste (1647-1716), avvocato, e di Jeanne Robert de la Vizeule (1649-1718), Luigi Grignion nasce il 31 gennaio 1673 a Montfort-la-Cane, oggi Montfort-sur-Meu, in Bretagna, nella Francia nordoccidentale. La sua vita, breve secondo i normali criteri di valutazione — morirà a quarantatré anni —, s’iscrive quasi perfettamente entro i limiti cronologici (1680-1715) del periodo trattato dallo storico Paul Hazard (1878-1944) nella sua opera sulla crisi della coscienza europea, cioè l’epoca dei razionalisti e dei libertini, del deismo e del giansenismo, dell’attacco contro le credenze tradizionali, soprattutto in Francia. L’aver intuito l’esistenza di un’unità di fondo di queste correnti e tendenze è il grande merito di Montfort, che si dedicherà alla riconquista delle anime con ardente carità missionaria.



Egli riceve la prima educazione in una famiglia profondamente cristiana e manifesta molto presto attenzione alla vita interiore, vocazione all’apostolato e una tenera devozione alla Santa Vergine, espressa anche con l’aggiunta del nome di Maria a quello di Luigi in occasione della Cresima. Compie quindi gli studi umanistici e filosofici nel collegio San Tommaso Becket di Rennes, tenuto dai padri gesuiti, dove stringe amicizia con il futuro canonico Jean-Baptiste Blain (1674-1751), che ha lasciato una preziosa testimonianza di prima mano sulla sua vita, e con Claude-François Poullart des Places (1679-1709), più tardi fondatore della Congregazione dello Spirito Santo, e matura la vocazione sacerdotale.



Nell’autunno del 1692 si trasferisce a Parigi per studiare teologia alla Sorbona ed entra, grazie a una borsa di studio, nel seminario di Saint-Sulpice, vivaio del clero di Francia, distinguendosi per il rigore ascetico e per i gesti di carità, e alimentandosi alla grande scuola spirituale francese del secolo XVII, il cui inizio è fatto risalire al card. Pierre de Bérulle (1575-1629), principale artefice della Riforma cattolica in Francia. Il 5 giugno 1700, a ventisette anni, riceve l’ordinazione sacerdotale e comincia a dedicarsi al riscatto spirituale del popolo, rianimandone la fede e difendendone la pietà contro gli attacchi degli innovatori.



Nel novembre del 1701, nominato cappellano dell’ospedale di Poitiers dal vescovo diocesano, mons. Claude de La Poype de Vertrieu (1655-1732), si preoccupa di porre ordine, spirituale e materiale, in quella "povera Babilonia", stimolando riforme e dando esempi di grande abnegazione. In città conosce Marie-Louise Trichet (1684-1759), la futura beata suor Maria Luisa di Gesù, figlia del procuratore generale, con la quale fonderà le Figlie della Carità, che si dedicheranno all’istruzione dei fanciulli e all’assistenza negli ospedali. Tuttavia, un uragano furioso — scatenato dagli scettici e dai giansenisti, che mal ne sopportavano lo zelo missionario, la purezza morale e la profonda devozione mariana — si leva contro la sua predicazione fin dall’inizio. Le resistenze e le ostilità sono tali che dopo quattro anni deve lasciare l’incarico, nonostante l’affetto e la gratitudine dei malati, dimostrati anche in modo clamoroso.



Si trattiene a Poitiers ancora un anno, quindi, provando il desiderio di dedicarsi alla salvezza degl’infedeli, compie un pellegrinaggio a Roma, a piedi, per consigliarsi con il Vicario di Cristo. Papa Clemente XI (1700-1721), ricevendolo in udienza il 6 giugno 1706, lo dissuade da quel proposito, gli conferisce il titolo di Missionario Apostolico e gl’ingiunge di riprendere l’apostolato in Francia.







2. L’attività missionaria



Poiché la diocesi di Poitiers continua a essergli preclusa, Montfort si dedica alla predicazione nella nativa Bretagna e in Vandea, proseguendo la tradizione delle missioni al popolo, espressione del movimento missionario sorto agli inizi del secolo XVII e realizzato da personalità eminenti come san Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), san Giovanni Eudes (1601-1680) e il gesuita beato Giuliano Maunoir (1606-1683).



Luigi Maria Grignion è l’ultimo di questi grandi missionari e, sebbene i suoi metodi innovassero solo aspetti secondari, immette nella loro applicazione un dinamismo creativo e un ardore apostolico eccezionali. Le sue missioni sono caratterizzate dalla predicazione del catechismo e da grandi manifestazioni pubbliche di culto, soprattutto da solenni processioni, che culminano nella rinnovazione da parte dei partecipanti delle promesse battesimali e nell’innalzamento, in luogo eminente, della croce della missione. Egli dà grande importanza a queste pratiche, sia per rendere visibili le principali verità della fede e per radicare gli effetti della sua ardente predicazione, sia per prendere una posizione chiara nei confronti degli innovatori, che attaccavano proprio queste manifestazioni in nome e sotto il pretesto di una religiosità più intima e più austera. Una parte di rilievo nella sua predicazione hanno anche i canti popolari, da lui composti in gran numero e utilizzati non solo per trasmettere il messaggio cristiano e per educare le menti, ma anche per scaldare i cuori dei semplici e per scuotere quelli più induriti.



Allo scopo di perpetuare la sua opera Montfort fonda la Compagnia di Maria, una congregazione di sacerdoti, detti monfortani, votati unicamente alle missioni al popolo. Nel 1708, a Nantes, fonda anche l’associazione laicale degli Amici della Croce, alla quale indirizzerà sei anni dopo la Lettera agli Amici della Croce — l’unico scritto dato alle stampe quando era ancora in vita —, in cui condensa il suo pensiero sul significato della Croce nella vita cristiana. Nella Croce egli vede la fonte di una superiore sapienza, la sapienza cristiana, che si è incarnata ed e stata crocifissa, che insegna all’uomo a preporre la fede alla ragione orgogliosa, la retta ragione ai sensi ribelli, la morale alla volontà sregolata, l’eterno al contingente e al transitorio. Analoghe considerazioni aveva svolto nel suo primo scritto, L’amore dell’eterna Sapienza, composto a Parigi fra la fine del 1703 e l’inizio del 1704, in cui oppone la Saggezza vera e profonda, quella consistente nell’unirsi a Cristo e alla sua Croce, alla saggezza superficiale e salottiera che cominciava a dominare la cultura francese laica e, in parte, quella cattolica.



Il successo delle sue iniziative è grande, ma grandi sono anche le ostilità incontrate e le prove affrontate. Così, per esempio, il vescovo di Saint-Malo, mons. Vincenzo Francesco Desmarets (1657-1739), che simpatizza per i giansenisti, in un primo tempo gli proibisce ogni predicazione, quindi, ritirato questo drastico ordine, gli limita comunque la possibilità d’azione. Ancor più dolorosa è la prova che lo aspetta nella diocesi di Nantes, il cui vescovo, mons. Egidio de Beauveau (1653-1717), nega la benedizione al Calvario di Pontchâteau, costruito in quindici mesi grazie al concorso di una moltitudine di persone di ogni sesso, età e condizione sociale, e distrutto poco dopo per ordine di re Luigi XIV di Borbone (1638-1715), sobillato da nemici di Montfort. Il Calvario, ricostruito anni dopo, sarà distrutto una seconda volta durante la Rivoluzione francese; oggi, nuovamente ricostruito, è un centro di pietà e una meta di pellegrinaggi.



Finalmente, quasi a divina ricompensa della carità e dell’umiltà dimostrate, Luigi Maria Grignion viene chiamato nelle diocesi di Luçon e di La Rochelle dai rispettivi vescovi, mons. Jean-François de Valdèries de Lescure (1644-1723) e mons. Etienne de Champflour (1647-1724), ferventi antigiansenisti, e vi predica durante gli ultimi cinque anni di vita. In quel periodo compone Il segreto ammirabile del Santo Rosario per ribattere alle obiezioni formulate contro tale forma di devozione, per spiegare i sacri misteri e per diffonderne ulteriormente la pratica.



Consumato dalle fatiche e dalle sofferenze, nonostante una tempra straordinariamente resistente, muore il 28 aprile 1716, al suo posto di combattimento, come un autentico soldato di Cristo, predicando una missione a Saint-Laurent-sur-Sèvre.







3. San Luigi Maria attraverso i secoli



La causa di beatificazione di Luigi Maria Grignion viene introdotta nel 1838, Papa Pio IX (1846-1878) ne proclama l’eroicità delle virtù il 29 settembre 1869, Papa Leone XIII (1878-1903) lo proclama beato il 22 gennaio 1888 e Papa Pio XII (1939-1958) lo eleva alla gloria degli altari il 20 luglio 1947.



Il più alto riconoscimento della dottrina spirituale di Grignion da Montfort, che molti vorrebbero fosse dichiarato Dottore della Chiesa, è venuto da Papa Giovanni Paolo II il quale, oltre a trarre il motto del suo pontificato, Totus tuus, proprio dagli scritti del santo, nell’enciclica Redemptoris Mater, del 25 marzo 1987, lo indica come testimone e come guida della spiritualità mariana. Inoltre, il 20 luglio 1996 ha stabilito che il suo nome fosse iscritto nel Calendario generale della Chiesa, proponendone quindi la venerazione a tutti i fedeli.



Tuttavia, per oltre un secolo dopo la morte, l’influenza del "buon padre di Montfort", come il santo era chiamato comunemente dai fedeli, si manifesta soprattutto grazie alle sue fondazioni, fra cui anche quella dei Fratelli dell’Istruzione cristiana di San Gabriele, riorganizzata dal sacerdote Gabriel Deshayes (1767-1841). Queste istituzioni, inizialmente poco consistenti e oggetto di violenti attacchi da parte di giansenisti e di razionalisti nonché di persecuzioni durante la Rivoluzione francese e a opera della massonica Terza Repubblica francese, avranno nel tempo un grande sviluppo, segno del fecondo lascito spirituale del loro fondatore.



In particolare, l’opera missionaria di Montfort e dei suoi successori porrà le basi spirituali della resistenza contro-rivoluzionaria delle genti della Bretagna e della Vandea, cioè delle regioni nelle quali egli poté svolgere liberamente il suo apostolato. I sacerdoti della Compagnia furono le guide spirituali di quei coraggiosi improvvisatisi soldati per Dio, per la Francia e per il re, e i canti composti da Luigi Maria Grignion si contrapposero a quelli rivoluzionari.



Il ritrovamento fortuito, nel 1842, del manoscritto del Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, sepolto per oltre un secolo "nel silenzio d’un cofano", secondo la profetica visione del suo autore, dà inizio alla diffusione delle opere e del pensiero monfortano in tutto il mondo. Nel Trattato Montfort raccomanda che i devoti si consacrino interamente a Gesù attraverso Maria nelle forme di un’amorosa schiavitù, cioè di una dedizione di mirabile radicalità, comprendente non solo i beni materiali dell’uomo ma anche il merito delle sue buone opere e preghiere. In cambio di questa consacrazione la Vergine agisce nell’interiorità della persona in modo meraviglioso, istituendo con lei un’unione ineffabile. L’opera, insieme a Il segreto di Maria — stampato integralmente soltanto nel 1898 ma pubblicato ormai in trecentocinquanta edizioni e in venticinque lingue — e con Le glorie di Maria, di sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), rappresenta uno dei libri mariani più conosciuti e amati degli ultimi secoli, e fra quelli che più hanno alimentato la pietà cristiana.



Inoltre, gli scritti monfortani forniscono alla scuola di pensiero e d’azione della Contro-Rivoluzione cattolica del secolo XX, di cui è figura eminente il pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), una teologia della storia in cui inserire l’ascesi sociale, cioè l’apostolato mirante alla restaurazione di una civiltà cristiana. Questa scuola condivide con il santo missionario della Vandea la speranza, alimentata dalla promessa di Fatima — "Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà" —, di una grande conversione e di un tempo storico di trionfo della Chiesa cattolica. La "vera devozione" prepara gli eroi che schiacceranno la Rivoluzione, i santi missionari dei "tempi ultimi" — il cui profilo morale è tracciato da Luigi Maria Grignion nella famosa Preghiera infuocata — che lotteranno per la realizzazione del regno di Maria.

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Per approfondire: vedi Benedetta Papàsogli, Introduzione generale a san Luigi Maria Grignion da Montfort, Opere, trad. it., vol. 1, Scritti spirituali, Edizioni Monfortane, Roma 1990, pp. XXIII-LXXI — volume che raccoglie tutti gli scritti del santo, salvo i Cantici —, e Marco Tangheroni, Introduzione a Luigi Maria Grignion de Montfort, Il segreto ammirabile del Santo Rosario, trad. it., Cantagalli, Siena 1975, pp. 7-28; vedi anche Plinio Corrêa de Oliveira, La devozione mariana e l’apostolato contro-rivoluzionario, in Cristianità, anno XXIII, n. 247-248, novembre-dicembre 1995, pp. 9-15


Avvenire.it, 28 Aprile 2010 - La forza di carità e volontariato - È inosservata e potente la macchina del bene - Marina Corradi
Da una ricerca condotta da Caritas e Acli presentata ieri emerge la tenuta e la robustezza del volontariato nel nostro Paese: quattro milioni e 400 mila volontari in Italia, il che, togliendo i bambini e gli ottantenni, vuol dire approssimativamente che una persona su dieci dà un po’ del suo tempo, gratis, a spesso sconosciuti altri. Nello stesso convegno si è ricordato che la colletta per i terremotati di Abruzzo indetta dalla Cei ha devoluto alla Caritas 27 milioni di euro: cifra tanto più considerevole se si pensa per quale anno di crisi il Paese è passato.

Notizie, verrebbe da dire, da un’Italia silenziosa, scarsamente visibile, non rilevata dai riflettori dei media, e che pure c’è. Oggi come domani i titoli più evidenti saranno per la rissa di palazzo, o per l’ultimo scandalo. Eppure sotto a questo rumore un altro Paese vive, lavora, fa del bene. Milioni di italiani, anche in un anno magro, hanno voluto dare il loro aiuto per la gente dell’Abruzzo. Milioni di persone dedicano qualche ora al mese a chi ne ha bisogno. I titoli dei giornali gridano, a volte assordano.

L’esercito di pace che assiste malati o carcerati, o affida alla Chiesa la sua offerta per i senzatetto abruzzesi, procede invisibile, e non fa rumore – come non lo fa un bosco che cresce. Non tutta questa Italia, certo, è riconducibile al mondo cattolico, che pure ne forma una consistente parte. Ma anche la carità "laica", in un Paese come il nostro, affonda le sue radici in un humus da secoli impregnato di carità cristiana – quasi naturaliter cristiano. Non era degli antichi pagani, la pietà per i figli nati storpi; e ancora oggi in certe culture tribali i folli e certi malati vivono da paria, poveri "demoni" non degni di misericordia. Quello sguardo diverso, che dà da mangiare ai poveri e va a trovare in galera gli assassini, da noi è eredità, magari anche inconsapevole; è un respiro tramandato. Fin da quando Tertulliano, nel secondo secolo, scriveva di come la sollecitudine dei cristiani per i miserabili lasciava stupefatti i pagani. Fin da quando i moribondi, un tempo abbandonati nelle strade, venivano accolti nel Medioevo nei primi ospedali cristiani.

E in questa Italia oggi così diversa, spesso dimentica delle sue radici, e così travagliata da scontri di potere, accuse e divisioni profonde, tuttavia permane e opera come una macchina possente la carità di tanti. Inosservata, generosa, indifferente al rumore, ai veleni, alla crisi, anche all’età. La ricerca della Caritas rileva come sia considerevole il numero dei pensionati che vanno a fare volontariato: come avendo capito che a nessuna età si vive per sé soli.

C’è stato chi, nell’auge del marxismo, teorizzava che in una società davvero giusta di carità non ci sarebbe più stato bisogno, quando lo Stato avesse assolto equamente ogni suo compito e dovere. Quel mondo perfettamente "giusto", non lo si è visto mai, è utopia, idea che non trova modo di incarnarsi su questa Terra. Ma, ha scritto Benedetto XVI nella Deus caritas est, anche nella società più giusta l’amore sarà sempre necessario: «Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore».

Quell’amore che riconosce nell’altro, sconosciuto e ultimo, uno che ti assomiglia, come parte di te, generato dalla tua stessa radice – figlio dello stesso padre. In questa logica, consapevoli o magari no, milioni di uomini e donne in questo Paese ancora vivono. Senza vantarsene e senza stupirsene. In quel respiro ereditato, quotidiana abitudine al dare. Che ricchezza. Sotto alle granate degli scandali e delle risse che fanno notizia, ricchezza quasi invisibile agli occhi; caratteristica, come diceva Saint- Exupery, che è propria delle cose essenziali.
Marina Corradi


Pillole di menzogna - Lorenzo Albacete - mercoledì 28 aprile 2010 – ilsussidiario.net
Il Time della settimana scorsa ha dedicato la sua storia di copertina al cinquantesimo anniversario di Enovid, pillola per il controllo delle nascite prodotta dalla società farmaceutica G.D. Searle & Co e approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti il 9 maggio 1960. Oggi la gente la chiama semplicemente la “pillola” ed è diventata il simbolo dei drammatici cambiamenti sociali che l’uso esteso dei contraccettivi ha portato con sé, facilitandoli e promuovendoli.
A quel tempo ero ancora all’università e non molto interessato al dibattito scatenato dalla approvazione federale della Pillola, fino a quando divenne un’accesa battaglia politica nel mio Paese di origine, Porto Rico. Ho trovato l’articolo della scorsa settimana su Time rilevante, documentato e ben scritto. Tuttavia, il resoconto dello scontro politico a Porto Rico è lungi dall’essere adeguato e non ne coglie il punto principale.
A Porto Rico, il dibattito non era semplicemente attorno alla contraccezione, ma sulla sperimentazione cui venivano sottoposte donne povere e poco istruite, senza che di questa sperimentazione facesse parte anche la loro educazione all’uso della Pillola, con il risultato di aborti indotti e sterilizzazioni.
La sperimentazione è stata fatta a Porto Rico perché era un Territorio americano (non uno stato) i cui cittadini non potevano votare sulle leggi federali, alle quali dovevano però sottostare come tutti i cittadini americani. Era (e secondo molti lo è ancora) una colonia di fatto degli Stati Uniti, lontana dall’attenzione di chi viveva nei 50 stati.
Questa sperimentazione è stata finanziata dalla industria farmaceutica e da fondazioni private impegnate nella promozione del controllo della popolazione, ma ha avuto l’appoggio del governo Usa e di quello portoricano, che consideravano la contraccezione come uno strumento fondamentale per combattere la povertà, soprattutto nei Paesi sottosviluppati.

Il Governatore dell’epoca era Luis Munoz Marin, il primo eletto dalla popolazione portoricana, considerato da molti il “George Washington” di Porto Rico, molto popolare e continuamente rieletto. Aveva fondato il Partito Democratico Popolare (i “populares”), con legami con il Partito Democratico americano.
Con i “populares” aveva dato vita a quello che pretendevano essere un nuovo status politico per Porto Rico, lo “Stato Libero Associato” o “Estado Libre Asociado” (ELA) in spagnolo, affermando che si sarebbero avuti così i vantaggi sia dell’indipendenza che del riconoscimento come stato.
In inglese questo status veniva chiamato “Commonwealth”, un termine vago applicabile a diversi assetti politici e scelto forse proprio per questo. A Munoz Marin ai populares si opponevano piccole minoranze che volevano o l’indipendenza (“independentistas” o “nacionalistas”), o il riconoscimento come vero e proprio stato dell’Unione (“estadistas” o republicanos”), per lo più a quel tempo collegati al Partio Repubblicano.
Nella fattispecie, entrambi i populares e i repubblicani avrebbero dovuto avere un interesse politico al “problema della popolazione” a Porto Rico, mentre gli “Independentistas,” qualunque cosa pensassero del controllo delle nascite in sé, vedevano nella sperimentazione l’occasione per mettere in imbarazzo il governo “coloniale” degli Stati Uniti.
Tuttavia, non fu nessuno di questi partiti a portare in pubblico la lotta sul programma, ma fu la Chiesa Cattolica. Ecco come il Time descrive il dibattito del 31 ottobre 1960 (negli Usa, John F. Kennedy era in lizza per diventare il primo presidente cattolico):
Nella discussione sulle relazioni tra Stato e Chiesa, il punto contro il quale Jack Kennedy ha lavorato duramente è il diritto morale della Chiesa Cattolica Romana di interferire nelle decisioni politiche, dicendo ai suoi membri come votare o come comportarsi nelle loro funzioni. La settimana scorsa la questione è stata improvvisamente risuscitata in modo aspro, non da ambienti evangelici reazionari, ma dai vescovi cattolici di Porto Rico, due dei quali nati e cresciuti nella terraferma: l’arcivescovo di San Juan, James Davis (Tucson), e il vescovo di Ponce, James McManus (Brooklyn).
In una lettera pastorale, di cui è stata ordinata la lettura questa domenica nelle 479 chiese dell’isola, i vescovi accusano il riformista Partito Democratico Popolare del Governatore Luis Munoz Marin: “È nostro obbligo” scrivono, “proibire ai cattolici di dare il loro voto [nelle elezioni dell’8 novembre] a un partito che accetta come propria la moralità di un “regime di licenza”che nega la morale cristiana…

“É evidente” continuano i vescovi “che la filosofia del Partito Democratico Popolare è anticristiana e anticattolica ed è basata sulla moderna eresia che la volontà popolare e non la legge divina decide ciò che è morale e ciò che è immorale. Questa filosofia distrugge i Dieci Comandamenti di Dio e permette che siano sostituiti da criteri umani e popolari.” Come prova, i prelati citano l’assenza dell’educazione religiosa nelle scuole pubbliche e ”il tentativo antidemocratico di confinare il clero alle sole funzioni religiose…” da parte di Munoz Marin.
Il Governatore Munoz Marin, al suo terzo mandato, è da lungo tempo in dissidio con i vescovi. I principali temi di contrasto sono le cliniche per il controllo delle nascite, iniziate dal suo predecessore ma che lui ha continuato, e il suo rifiuto di permettere l’istruzione religiosa dei bambini nelle scuole pubbliche.
L’estate scorsa il focoso vescovo McManus ha collaborato alla creazione di un nuovo Partito di Azione Cristiana, invitando tutti i cattolici a sostenerlo… Munoz era ancora abbastanza arrabbiato da accusare la lettera dei Vescovi di essere “un’incredibile interferenza medioevale in una campagna politica”, promettendo di portare la questione in Vaticano.
Quando lo staff di Kennedy venne a conoscenza del divieto dei vescovi di Porto Rico, si rivolse preoccupato a teologi cattolici per un loro parere. Il parere fu: è improbabile che un prelato cattolico negli Stati Uniti prenda una posizione così apertamente contraria, ma è probabile che alcuni si dichiareranno d’accordo con i vescovi portoricani.
Il portavoce Pierre Salinger emise una dichiarazione per conto di Kennedy: “Il Senatore Kennedy considera questa azione completamente impropria ed estraneo al nostro sistema democratico che ecclesiastici di qualsiasi fede dicano ai membri della loro Chiesa per chi votare o non votare.”


Si noti che l’articolo non cita mai gli esperimenti di controllo della popolazione fatti su donne povere portoricane, con sterilizzazioni, aborti indotti e nascite di bambini deformi. Perché? E perché la scarsa attenzione data fino a oggi a questo argomento? Come e perché il governo portoricano di allora accettò una tale violazione dei diritti umani? Chi, negli Stati Uniti, era al corrente ma tacque? Quale fu il ruolo dei media nel mantenere il segreto su questo programma? Cosa dissero vescovi americani come il Cardinale Spellman di New York o Cushing di Boston dissero al Vaticano? Chi consigliò il Vaticano su come rispondere?
Nel mezzo del conflitto, Davis fu nominato arcivescovo e diede una cena cui partecipò il Cardinale Spellman, che si dice avesse incontrato Munoz all’aeroporto di San Juan. Il vescovo McManus proibì ai suoi preti di partecipare alla cena… E il Partito di Azione Cristiana? Quanto era indipendente dal controllo episcopale?
A proposito, Munoz Marin vinse le elezioni con la più vasta maggioranza mai ottenuta. Ecco il mio pensiero: sarebbe stato interessante, in quest’epoca di trasparenza, che i media avessero indagato su quanto successo allora e sui responsabili dei fatti. Forse alcune delle vittime di quelle violazioni dei diritti umani ora potrebbero ottenere quello che la giustizia umana può loro offrire.


POESIA/ Così María Zambrano ci insegna a leggere la "meraviglia del mondo" - Uberto Motta - mercoledì 28 aprile 2010 – ilsussidiario.net
Scartare un regalo: questo è leggere una poesia. Senza restare impigliati nell’intrico delle nostre conoscenze e preoccupazioni; senza che la distrazione e la fretta, fermandosi sui dettagli, ci impediscano di vedere la realtà. Perché la poesia, in primo luogo, è un’esperienza reale (e storica), a cui ci si deve, semplicemente, arrendere. In un articolo del 1989, apparso sul quotidiano spagnolo ABC, María Zambrano scrive: «Le parole sono la meraviglia del mondo, del mondo intelligibile, di quello che io conosco. Il che non vuol dire che possano essere intese; ma ci fanno intendere di essere la forma più perfetta di comunicazione. La parola è più trasparente».

Viene così definita la prospettiva entro cui ci si può collocare, oggi come sempre, per leggere la poesia. Per imparare a restituire alla parola poetica il suo tratto peculiare e irripetibile, tra le forme affollate del quotidiano: è una parola – quella del poeta – donata non per essere intesa, ma per farci intendere. Sollecitando la nostra partecipazione, per consentire l’avvento della (sua) verità.

A dispetto della tecnica e dell’empirismo incombenti, secondo María Zambrano la poesia è vivencia, fonte viva che salva la ragione e la riscatta da ogni schematismo idealistico, da ogni riduzione fenomenologica. La poesia ospita il pensiero nella sua fase nascente: offre uno sguardo sul mondo che rende più ricca l’esperienza del vivere. Restituisce la voce del cuore: non tanto la sede degli affetti e delle emozioni, quanto la misura ultima e radicale di ogni creatura, il centro etico (non sentimentale) che dice il valore autentico dell’individuo.

Quel punto che unifica ragione, volontà e sentimento, e definisce il volto dell’uomo. La poesia è testimonianza di un pensiero libero da ogni forma di astratta superbia o ambizione. Per osservarne il riverbero, dunque, bisogna imparare a non essere presuntuosi. Etimologicamente vanità e sospetto vanno a braccetto: chi presume, infatti, pretende di conoscere senza un fondamento, senza esporsi alla realtà nella sua evidenza integrale. In un articolo pubblicato su El Paìs nel 1984, María Zambrano aggiunge: «Io non ho vissuto di idee ma di esperienze. La mia vera vocazione è stata quella di essere, non di essere qualcosa».

Leggere è diventare capaci di questo: arrivare a vivere la poesia non come un’idea o uno schema, ma come un fatto. Il lettore assiste a una rivelazione, a uno svelamento che l’aiuta a concepire la molteplicità inafferrabile, perpetuamente metamorfica della vita, perché – come ancora osserva María Zambrano – «non tutto quello che è successo e succede nella storia avrà le stesse ragioni, lo stesso tipo di ragione».

La ragione si allarga spalancandosi alla misericordia, che salva dalla tentazione diabolica dello scientismo, quale criterio unico di obiettività. La vera conoscenza, dice Marìa Zambrano, non è monologo ma dialogo: curiosità amorosa, che non domanda il “come” e neppure il “cosa” ma desidera il “chi”, che sa il nome proprio di ogni uomo, che non dice “Io” ma “Tu”.
Che si addentra in ogni oscurità e negatività fino all’intimo punto di luce che ogni voce, ogni esperienza nascondono. La parola dei poeti, passando attraverso il tempo per realizzarsi e giungere a noi, si è fatta davvero carico del peso della storia: ha preso su di sé le inquietudini, i tormenti e le speranze degli uomini; ne ha interrogato le passioni, denunciato i disastri. Ha procurato consolazione e indennizzato, a suo modo, ogni offesa, ogni sconfitta. La poesia si è dispiegata come frutto di un’attitudine continua alla meditazione e alla verifica, come scuola permanente di integrità. Della storia la poesia è – insieme – residuo e reliquia: promessa di una futura riuscita, umanamente, più completa.

La verità del poeta – l’unica di cui uno scrittore sia capace – riflette la schiettezza commossa di un’impressione ricevuta: sigillo o orma che la realtà e il tempo hanno lasciato nel suo cuore. Il poeta dice: non in termini generici e astratti, o passivi, ma restituendo la concretezza di una circostanza vissuta. Non è superficiale riproduzione, ma rappresentazione intensiva, che fa vedere quello che già c’è. Il mistero che abita la realtà.


legge 40 «Embrioni congelati restano intoccabili» - DA MILANO ENRICO NEGROTTI – Avvenire, 28 aprile 2010
P iù risorse da dedicare allo studio sulla vitalità degli embrioni congelati e una revisione delle linee guida in ma teria di consenso informato, te nendo presente che gli embrio ni – secondo la legge – non pos sono comunque mai essere di strutti. Sono le principali indica zioni che vengono al ministro della Salute Ferruccio Fazio dal la Commissione di studio sugli embrioni congelati istituita nel lo scorso mese di giugno, che ha approvato a maggioranza la re lazione finale lo scorso 8 gen naio. Ora il documento «è all’at tenzione del ministro per la va- lutazione di eventuali provvedi menti », recita un comunicato dell’ufficio stampa.
La Commissione, presieduta da Francesco D’Agostino, doveva ri­spondere ai quesiti sollevati da numerosi centri di fecondazione assistita, alle prese con gli em brioni congelati – anche da pri ma dell’entrata in vigore della legge 40 – e alle novità derivate dalla sentenza 151 del 2009 del la Corte Costituzionale, che ha parzialmente aperto al congela mento degli embrioni.
Gli esperti, nominati dall’allora ministro del Welfare Maurizio Sacconi, hanno concluso che è opportuno aggiornare le moda lità con cui esprimere il consen so informato. Inoltre sottolinea no che vanno aggiornate le di sposizioni relative all’istituzione di una banca degli embrioni ab bandonati (prevista dal decreto Sirchia del 2004). Aggiungendo che «non risulta possibile quali ficare gli embrioni crioconser vati come “abbandonati” in via definitiva, seppure in presenza di una dichiarazione esplicita da parte dei genitori in quanto il consenso è sempre revocabile», recita ancora il comunicato del ministero. Peraltro il passaggio più delicato riguarda la valuta zione che anche dopo la senten­za della Consulta, «rimane il di vieto di distruzione degli em brioni », secondo quanto pre scrive l’articolo 13 della legge 40. Altra importante indicazione ri guarda le spese per la conserva zione degli embrioni congelati, che secondo la Commissione dovrebbe essere a carico dei cen tri di procreazione e non delle coppie. Infine gli esperti auspi cano «un investimento nella ri cerca scientifica al fine di indivi duare criteri certi, attualmente non definiti, per stabilire la mor te o la perdita di vitalità degli em brioni, ed evitarne quindi una possibile conservazione a tempi indefiniti», come accade finora. Infine per fornire un’informa zione completa alle coppie, an drebbe garantita «la massima trasparenza dei dati relativi alle attività di ogni singolo centro».
In modo contrario al parere del la maggioranza della Commis sione si sono espressi il biologo Carlo Alberto Redi e il giurista A medeo Santosuosso. Quest’ulti mo ha ribadito che gli embrioni congelati «sono destinati a sicu ra morte» e andrebbero quindi impiegati per derivarne linee di cellule staminali.
Commissione ministeriale: più studi sulla loro vitalità e nuove linee guida per il consenso informato


la storia Venne abortito. Oggi è un ragazzino vispo - DA MILANO VIVIANA DALOISO – Avvenire, 28 aprile 2010
A nche Vittorino, non doveva na scere. Lo avevano condannato a morte una diagnosi errata – secondo cui sarebbe venuto al mondo con una malformazione cerebrale – e la scelta della sua mamma per l’abor to 'terapeutico'. Non doveva nascere, Vittorino, ma quel 27 febbraio del 1999 qualcuno si accorse che il piccolo re spirava, e lottava per vivere.
È quasi sera, l’ambulanza entra d’ur genza al Policlinico San Matteo di Pa via, meta la divisione di patologia neo natale e terapia intensiva. Ai sanitari viene raccontato in fretta l’accaduto: quel 'feto', 'abortito', respira e si muove. Sono le parole della medicina, ma per i medici che le ascoltano, guar dando le manine già ben disegnate del piccolo, suonano subito fuori luogo.
Giorgio Rondini, all’epoca primario del reparto, ha ancora negli occhi il corpi cino: «Era la prima volta in assoluto che ci capitava una cosa del genere – ri corda il professore –. Il piccolo pesava appena 800 grammi, aveva forse 25 set timane, più o meno 180 giorni di vita. E non aveva nessuno, era stato rifiuta to dalla sua stessa mamma. Questo fat to ci commosse subito, bastò un atti mo perché ci sentissimo tutti genitori, e facessimo il nostro possibile per pro teggerlo e salvargli la vita».
L’équipe del San Matteo si concentra sul bimbo, 24 ore su 24: la culla termi ca, la ventilazione artificiale, l’alimen tazione tramite fleboclisi. I giorni pas sano – cinque, dieci – e il piccolo con tinua a respirare, lotta. Le infermiere portano carillon e pupazzetti, colora no il muro dietro i macchinari, attac cano ciondoli e campanelle. E gli dan non no un nome, anche: scelgono 'Vittori no', «forse non un gran che per un neo nato d’oggi, ma lui aveva vinto la sua battaglia per la vita, e doveva vincere quella per la sopravvivenza – spiega Rondini –. Ci parve l’idea migliore».
Intanto gli esami portano a una inco raggiante, e insieme sconcertante, ve rità: i medici cercano la malformazio ne cerebrale di Vittorino, di cui a pri­ma vista non c’è traccia. La cercano e la trovano. Scoprono so lo una piccola emorragia, un versamento che poteva simu lare all’ecografia l’ipotesi di un idrocefalo (una malforma zione che compromette lo svi luppo del cervello), ma che può essere riassorbito con un piccolo intervento. Vittorino, rifiutato dalla madre perché creduto malato, è sano.
I giorni continuano a passare, la storia del bimbo 'adottato' al San Matteo commuove tutti: il 16 marzo in ospe dale arriva l’allora assessore ai Servizi sociali del Comune di Pavia, Sergio Contrini, con un’idea che piace subito a tutti: in accordo con il Tribunale dei minori di Milano, Contrini è pronto a diventare il tutore di Vittorino. «In que sto modo – spiega lo stesso Contrini, oggi presidente dell’Azienda di servizi alla persona di Pavia – in tempi brevis simi sarebbe stato possibile darlo in a dozione ». Già, perché nel frattempo al la storia di Vittorino si è interessata u na coppia. Una coppia che gli assistenti sociali e lo stesso Tribunale trovano i donea ad accogliere il piccolo, consi derando la sua drammatica storia e le difficoltà che avrebbe dovuto affron tare nei primi mesi di vita: «Li incon trai di sfuggita – continua Contrini –, e rano persone straordinarie».
Vittorino cresce, si rafforza, arriva alle 30 settimane, le supera: al San Matteo non hanno più dubbi, il pericolo è scampato. «Ricordo ancora il giorno che arrivò l’ambulanza per portarlo via – ricorda Rondini –. Lo trasportarono in un ospedale di Milano, forse più vi cino alla sua nuova famiglia. Oggi sap piamo solo tramite gli assistenti so ciali che sta bene, che ha compiuto da poco undici anni, che non sa e non sa prà mai nulla della sua storia, o di noi». Di quei medici che hanno cre duto nella sua vita, e lo chiamano an cora Vittorino.
«Signora, ci sono gravi malformazioni cerebrali. Meglio abortire». Ma il piccolo sopravvisse all’interruzione ed era anche sanissimo. Al San Matteo di Pavia una gara di solidarietà tra medici e infermiere.