sabato 24 aprile 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Sugli attacchi a Benedetto XVI - L'ultima beatitudine - di Fabrice Hadjadj - L'Osservatore Romano - 24 aprile 2010
2) Pedofilia e perdono - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele -Fonte: CulturaCattolica.it -sabato 24 aprile 2010
3) Pseudopedofili - Un esperto ci spiega che in Italia, ogni anno, il 96 per cento dei casi registrati relativi a denunce di minori che sostengono di aver subito una violenza sessuale è falso… - di Francesco Agnoli - Il Foglio 22 aprile 2010
4) “LA SINDONE: TESTIMONE DI UNA PRESENZA” - Emanuela Marinelli svela i misteri del telo che ha avvolto Gesù - di Antonio Gaspari
5) INFONDATA UNA DENUNCIA NEGLI STATI UNITI CONTRO LA SANTA SEDE - Jeff Anderson vuole portare sul banco degli imputati il Papa e i Card. Bertone e Sodano
6) CARD. BAGNASCO: RISCOPRIRE L’ALFABETO DELL’UMANO NELL'ERA DIGITALE - Il Presidente della CEI interviene al convegno “Testimoni digitali”
7) CONTINUA IL CALVARIO DEL PAPA, VIA ANCHE IL 7* VESCOVO - (AGI) - CdV, 23 apr. - (di Salvatore Izzo)
8) «Stati vegetativi, errori fino al 40%» - DA MILANO – Avvenire, 24 aprile 2010


Sugli attacchi a Benedetto XVI - L'ultima beatitudine - di Fabrice Hadjadj - L'Osservatore Romano - 24 aprile 2010
"Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli" (Matteo, 5, 10). Il credente non può dimenticarlo: la bufera che sta travolgendo la Chiesa si riferisce a una beatitudine, all'ultima beatitudine.
Certo, i crimini commessi da sacerdoti non possono che suscitare orrore. Benedetto XVI lo ha sottolineato con parole terribili, che purtroppo non hanno avuto grande eco: "Bisogna agire con urgenza per affrontare questi fattori, che hanno avuto conseguenze tanto tragiche per le vite delle vittime e delle loro famiglie e hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione" (Lettera ai cattolici d'Irlanda, n. 4). Dobbiamo dunque piangere sui nostri peccati, perché quando i cristiani non lottano contro le tenebre diventano i loro peggiori complici e cadono più in basso di un persecutore pagano. Tuttavia, secondo le sorprendenti parole del discorso della montagna, anche noi dobbiamo rallegraci della persecuzione, poiché essa non è un ostacolo, ma lo spazio stesso in cui si può realizzare la radicalità della testimonianza, vale a dire l'occasione di una carità soprannaturale nei confronti del persecutore.
Di seguito vorrei riportare altri motivi per rallegrarsi persino in questo linciaggio mediatico.
I media più antipapisti diventano loro malgrado apologeti della fede. Che siano obbligati a deformare i fatti, che si accaniscano a troncare e a falsificare l'informazione per attaccare il Papa e infangare tutto il clero, è la prova che in realtà non hanno molto da rimproverare loro. Se si fosse in una controversia lucida e razionale, gli attacchi potrebbero andare a segno. Ma l'irrazionalità della loro reazione gioca a loro sfavore e fornisce alla mente ragionevole motivi per credere alla verità del magistero pontificio.
Dopo tutto, quando il Papa parla, il non credente non si dovrebbe preoccupare. Dovrebbe dire che la cosa riguarda solo i cattolici, intrappolati nell'oscurantismo e nella rigidità. Ora, al contrario, eccolo che trema, s'innervosisce e non si quieta, come se la voce del Santo Padre lo toccasse personalmente. Da una simile reazione un osservatore esterno può facilmente dedurre quanto segue: questo non credente non lo è poi così tanto; anzi si direbbe che ha l'istinto del magistero, della paternità spirituale del Sommo Pontefice, del suo ruolo di testimone universale.
Se le violenze subite dai bambini ci appaiono tanto gravi, come non riconoscere in ciò l'impronta del Vangelo? In molte società il bambino appare come un essere imperfetto, senza grande importanza, che si può sottoporre al lavoro e di cui si può persino abusare. Ma Cristo ha queste straordinarie parole (ci sono voluti secoli di cristianità, fino a Francesco di Sales e a don Bosco per trarne le conseguenze): "Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Matteo, 18, 3). Il bambino non solo non è più un essere imperfetto, ma è anche il simbolo per eccellenza della perfezione della vita spirituale. Da qui il rispetto e l'attenzione profonda di cui ha beneficiato da parte degli adulti. Mostrandosi scandalizzati per il malconiato termine "pedofilia", i media dimostrano di essere ancora sotto il felice influsso della cristianità.
Se si scandalizzano specialmente del fatto che tali abusi siano commessi da sacerdoti è perché hanno in più l'istinto della dignità speciale del sacerdozio. I loro attacchi sono così un contributo involontario all'anno sacerdotale e un omaggio reso all'altissima vocazione di purezza del sacerdote.
Cosa favorisce oggi la tendenza ad abusare dei bambini? Il paternalismo? No, piuttosto una logica di società orizzontale, dove il senso della paternità si attenua, dove la gerarchia delle generazioni non è riconosciuta. Questa è la logica del "contratto sociale" dove la società non è un fatto naturale fondato sulla famiglia, ma un contratto sottoscritto da meri individui, senza appartenenza, sesso o filiazione. Tutti sembrano qui allo stesso livello. Perché quindi la relazione sessuale fra un adulto e un bambino non sarebbe possibile? Il contraente risponderà: perché il bambino non è capace di consenso. Sia pure! Ma allora questa è la prova che la società non si fonda solo sul consenso individuale: si fonda anche sulla famiglia naturale. Di conseguenza, per uscire da questa impasse, occorre restaurare il senso della paternità, a partire dalla paternità divina fino alla paternità umana, passando per la paternità spirituale del sacerdote. L'esistenza stessa di un "Santo Padre" indica l'esigenza di un amore radicale e verticale per i bambini, che proibisce tutti gli abusi dell'orizzontalità.
Come ha così ben mostrato Julián Carrón nella sua lettera a "la Repubblica", dietro lo scandalo e l'orrore, c'è il bisogno di giustizia, di una giustizia infinita. Ora, una simile giustizia non si dovrebbe ridurre a un linciare i colpevoli e a un compatire le vittime. Deve invece aprire un futuro di comunione e di felicità e non rinchiudersi quindi in un atteggiamento negativo di vendetta o di rimorso: una pseudo-giustizia sbrigativa e sterile, invece di far rifiorire la vita, ci renderebbe complici della distruzione. Si possono punire i colpevoli, ma a che pro, se la vita non ha alcun senso? La vera giustizia non può che essere ordinata alla speranza. Bisogna condannare gli abusi sessuali perpetrati sui bambini, ma se, allo stesso tempo, si rifiutano coloro che in mezzo a essi sono i testimoni della speranza e della riconciliazione, allora si commette a propria volta, su questi stessi bambini, un abuso spirituale. Li si consegna a un mondo consumistico, senza redenzione né futuro. Per questo abuso, per questo insidioso massacro delle anime, un giorno dovremo essere giudicati.
Il papato non è un'istituzione umana. È un articolo di fede, poiché è la conseguenza ultima dell'incarnazione. Il Verbo si è fatto carne: è dunque opportuno che i credenti non si riuniscano solo attorno a una serie di dogmi, ma anche attorno a un volto, a una persona ancorata alla loro storia, immagine di Cristo in mezzo ai suoi apostoli. Senza questo mistero di "vicarianza", il cristianesimo tende a disincarnarsi e a liquefarsi nell'onda dello spiritualismo. Ma c'è dell'altro: facendosi carne, il Verbo è divenuto capace di prendere su di sé le sofferenze degli uomini. Lo stesso accade con il papato: non si possono ferire né uccidere gli articoli della fede; li si può ferire e uccidere nel Papa. Questa vulnerabilità è necessaria per mostrare che il cristianesimo non si riduce all'intelligenza anonima di un sistema morale, ma nasce da un incontro libero e drammatico con una Persona. Così gli attacchi che Benedetto XVI sta subendo non fanno che conformarlo meglio a Cristo e permettono al credente di ammirarlo ancora di più come il suo insperato Vicario.
(©L'Osservatore Romano - 24 aprile 2010)


Pedofilia e perdono - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele -Fonte: CulturaCattolica.it -sabato 24 aprile 2010
Non basta rimettere tutto alla giustizia terrena, perché il proprio della Chiesa è l’ordine della grazia, che va al di là della legge, e significa “fare penitenza, riconoscere ciò che è sbagliato, aprirsi al perdono, lasciarsi trasformare”
Paolo Rodari, su Il Foglio di venerdì 23 aprile, ha raccolto una documentazione che aiuta a vigilare di fronte a un laicismo che oggi pretende una chiesa di assoluta trasparenza: il tribunale civile al posto del confessionale, la sentenza al posto della remissione dei peccati, la condanna al posto della remissione dei peccati. Rodari trascrive una pagina memorabile del card. Ratzinger nel 1990 tenendo una conferenza dal titolo “Una Chiesa sempre riformanda”. Pur vedendo lontano e intuendo la gravità dello scandalo della pedofilia tra sacerdoti e quindi imponendo contromisure efficaci ricordò che la Chiesa rigenera grazie alla misericordia e al perdono: “Là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto o non vi si crede, la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai propriamente verificarsi. A grandi linee si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Viene in mente la mordace frase di Pascal: “Ecce patres, qui tollunt peccata mundi”! Ecco i padri, che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi ‘moralisti’, non c’è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c’è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato. Anche Gesù stesso non chiama infatti coloro che si sono già liberati da sé e che perciò, come essi ritengono, non hanno bisogno di lui, ma chiama invece coloro che si sanno peccatori e che perciò hanno bisogno di lui. La morale conserva la sua serietà solamente se c’è il perdono, un perdono reale, efficace; altrimenti essa ricade nel puro e vuoto condizionale. Ma il vero perdono c’è solo se c’è il ‘prezzo d’acquisto’, l’‘equivalente nello scambio’, se la colpa è stata espiata, se esiste l’espiazione. La circolarità che esiste tra ‘morale-perdono-espiazione’ non può essere spezzata; se manca un elemento cade anche tutto il resto”. E proprio per la circolarità tra ‘morale-perdono-espiazione’, pur nella difficoltà di comunicare, ricorda che alla Chiesa non basta rimettere tutto alla giustizia terrena, perché il proprio della Chiesa è l’ordine della grazia, che va al di là della legge, e significa “fare penitenza, riconoscere ciò che si è sbagliato, aprirsi al perdono, lasciarsi trasformare”. Così ha messo l’intera Chiesa d’Irlanda in stato di penitenza pubblica per i peccati dei suoi figli.
Sempre Rodari, nell’articolo citato, riporta le ragioni per cui il cardinale Dario Castrillon Hoyos, allora Prefetto della Congregazione del Clero, lodò, con l’assenso del venerabile Giovanni Paolo II il Vescovo che protesse, pagando con il carcere, un prete caduto in peccato carnale con un minore: “Questo documento è una riprova di quanto fosse opportuna l’unificazione della trattazione dei casi di abusi sessuali di minori da parte di membri del clero sotto la competenza della Congregazione per la dottrina della fede, per garantire una conduzione rigorosa e coerente, come avvenne infatti con i documenti approvati dal Papa nel 2001”. Anche per lui, però la trasparenza di rimettere tutto alla giustizia terrena non fa parte del dna della Chiesa. “Se un vescovo sposta un prete responsabile di abusi su minori da una parrocchia a un’altra, non significa che sta coprendo ma semmai che gli sta comminando una giusta punizione”. E, pur rilevando che se il prete risulta colpevole di abusi occorre procedere immediatamente col processo canonico e la sospensione da ogni incarico ministeriale per la salvaguardia da altri rischi, spiega: “Quando una persona commette un errore, che molte volte è stato un errore minimo, e questa persona viene accusata e confessa il suo delitto, il vescovo la punisce secondo quanto può fare per il diritto, la sospende o la manda in un’altra parrocchia. Questo significa punirla, non significa che la si vuole lasciare impunita. Questa non è copertura, ma è rispettare la legge, come la società civile, come fanno medici e avvocati, che non perdono il diritto di esercitare la propria professione”. Certo la gravità per un prete che nel suo ministero che rimanda sacramentalmente a Cristo cade in una relazione carnale con un minore è molto più grave, è abominevole, è scandalo. Però alla luce della rivelazione di come Dio Padre si rapporta con i peccatori, per la circolarità che esiste tra “morale-perdono-espiazione” nessun male, fino al momento terminale della vita, definisce per sempre una persona. Resta la possibilità di riconoscerlo, pentirsi, lasciarsi riconciliare ed eventualmente garantire il rischio verso gli altri.
Rodari riporta anche il giudizio di Benny Lai: “I vescovi hanno sempre trattato i preti come dei loro figli. Il loro atteggiamento è sempre stato paterno, di correzione ma anche di comprensione e per questo motivo guardano ancora oggi con un certo sospetto la chiamata alla trasparenza totale fatta dai giornali e dall’intellighenzia laica del mondo (obbligo, cioè, di rimettere tutto alla giustizia terrena). Il loro è un rapporto filiale e non giustizialista verso i sacerdoti. Se necessario puniscono i propri preti, li sospendono o nei casi più gravi tolgono loro l’abito, ma senza mai dimenticarsi di avere pietà di loro e dei loro errori. Sanno, insomma, che il peccato è di ogni uomo e diffidano di quelli che, pur criticando quotidianamente la Chiesa, la vogliono immacolata esigendo che siano dei tribunali civili a certificare il grado. Certo, se un prete ha davvero commesso abusi su minori deve essere punito dalla chiesa come anche dalla autorità civile. Ma ciò non cambia la sostanza: la trasparenza non è il modo con cui la Chiesa agisce”, cioè pur puntando anche, non rimette tutto alla giustizia terrena, perché il proprio della Chiesa è l’rodine della grazia, che va al di là della legge, e significa “fare penitenza, riconoscere ciò che si sbagliato, aprirsi al perdono, lasciarsi trasformare”.
Gabriella Sartori, storica, biblista dice: “Sento in continuazione personalità del mondo laico chiedere alla chiesa di fare pulizia, di essere trasparente. Non credo che la chiesa possa prendere lezioni da questa gente che mentre non fa nulla per tutelare i minori decide di stracciarsi le vesti contro la chiesa”.
E Tonino Cantelmi – riportato sempre da Rodari –, presidente dell’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici (Aipppc) e insegnante di psicopatologia presso la Pontificia università gregoriana, racconta: “Quando si chiede più trasparenza si chiede una cosa giusta, sebbene nessuno nella chiesa intenda nascondere nulla. Però occorre sapere bene di cosa si parla. I casi di pedofilia nel clero sono pochissimi. La maggior parte degli abusi sono casi di efebofilia e cioè riguardano i minori post puberali. La pedofilia è l’attrazione verso bambini pre puberali. Questa si divide in due tipologie. Quella segnata da profondi sensi di colpa. In questi casi il soggetto rivolge le sue attenzioni, spesso soltanto di fantasia, verso gli adolescenti e una corretta terapia può portare dei risultati nel tempo. L’altra è la pedofilia antisociale, priva di sensi di colpa, caratterizzata da narcisismo maligno. Questo secondo tipo di pedofilia ritengo non possa essere curato. Per questo secondo tipo di patologia occorre puntare al contenimento sociale. E così la chiesa ha sempre cercato di agire. Tra l’altro, in tutta Italia ci sono centri dove queste persone, se davvero hanno problemi, vengono curate”.
Ma una cosa è la malattia. Un’altra cosa è il peccato. Quest’ultimo, ricordando le terribili parole di Gesù per chi scandalizza i piccoli, la chiesa l’ha gestito sempre non spezzando mai a livello di tensione la circolarità tra gravità morale – perdono – espiazione – salvaguardia dei minori. Coi suoi metodi e i suoi mezzi perché ogni situazione è diversa dall’altra. Comunque il peccato è sempre valutato nella sua gravità. Dice – sempre riportato da Rodari – Giorgio Carbone, domenicano, docente di Bioetica e teologia morale presso la facoltà di Teologia di Bologna: “Esiste il sacramento della Riconciliazione, volgarmente chiamato confessione. Il sacramento prende il nome dall’azione che Dio compie. Il penitente si confessa e si pente. Dio, invece, riconcilia. Ovvero risana, guarisce. E’ una ‘terapia’ che nessun tribunale civile può dare”. Una terapia sulla quale la chiesa ha sempre imposto il segreto. Perché? “Confessarsi è già di per sé una penitenza. E’ un sacrificio. Il segreto è stato imposto per non rendere ulteriormente odioso questo sacramento. Il confessore non può dire nulla, assolutamente nulla, di quanto viene a sapere nel confessionale. Nemmeno può svelare particolari irrilevanti e che nulla hanno a che fare con i peccati confessati se questi particolari vengono esposti durante il sacramento. E nessun giornale, nessun giudice, potrà esigere la violazione di questo segreto. La pena, del resto, è terribile: per il confessore scatta la scomunica latae sententiae. Nella Chiesa Dio agisce. E il mondo non accetta, o probabilmente non capisce, questa azione”.
Pur collaborando con la giustizia, pur sottomettendosi alla legge per salvaguardare la dignità personale dei minori, pur come chiesa mettendosi in stato di penitenza pubblica per gli eventuali peccati dei suoi figli, riconoscendo ciò che è sbagliato resta sempre la possibilità di aprirsi al perdono e di lasciarsi trasformare.


Pseudopedofili - Un esperto ci spiega che in Italia, ogni anno, il 96 per cento dei casi registrati relativi a denunce di minori che sostengono di aver subito una violenza sessuale è falso… - di Francesco Agnoli - Il Foglio 22 aprile 2010
All’incirca un anno fa, nel maggio 2009, prima che la questione pedofilia nella chiesa fosse su tutti i giornali, Marco Casonato, docente di Psicologia dinamica all’Università di Milano Bicocca, autore di lavori scientifici sull’argomento, partecipò a un convegno nell’ateneo milanese intitolato “Abusi, falsi abusi e scienze forensi”. Proprio in quei giorni era stato reso noto un dato molto interessante: il 96 per cento circa dei casi registrati ogni anno in Italia, relativi a denunce di minori che sostengono di aver subito una violenza sessuale, è falso. Il professore commentava il dato ironizzando: “Un tempo si diceva che l’Italia fosse un paese di santi, eroi e navigatori. Adesso sembra che tutti quanti abbiano lasciato il posto ai pedofili”. L’idea del professore è che di pedofilia “è molto facile essere accusati ingiustamente. Basti pensare che in diversi asili, piscine o teatri per bambini non è più possibile scattare una foto, pena l’essere guardati con sospetto. I genitori alle recite dei propri figli proibiscono ad altri genitori di riprendere lo spettacolo con le telecamere per paura che tra loro si nasconda un pedofilo che diffonderà le immagini. Si è scatenata una psicosi, insomma”. Aggiungeva: “Dal 1993-94 è stato un crescendo. In Italia si è ripetuto quanto era accaduto negli anni Ottanta in America. Vicende simili a quelle di Rignano Flaminio e Brescia sono già successe negli Usa. Si può dire che il fenomeno ha investito un po’ tutti i paesi occidentali, chi prima e chi dopo”. Leggendo queste dichiarazioni, in perfetta sintonia con quelle di molti altri esperti, mi è sembrato opportuno sentire il professor Casonato riguardo ai fatti attuali. Anche perché ha recentemente curato per Franco Angeli il volume scientifico “Pedoparafilie: prospettive psicologiche, forensi, psichiatriche”. La questione pedofilia, mi ha spiegato, è “una maionese impazzita incominciata a fine anni Settanta; in tanti ci hanno zuppato dentro, a proprio vantaggio. Se vuole un altro paragone, ora è come uno sciame di vespe che non si sa dove vadano; oppure un’arma di distrazione di massa. In verità, però, la pedofilia ha una incidenza modesta, ben diversamente da quanto i media ogni tanto cercano di affermare, contribuendo a enfatizzare e a creare psicosi, a generare nuove denunce che poi si riveleranno inconsistenti”. Riguardo alla chiesa, mi spiega il professore, che confessa di non conoscerla dal di dentro, “mi sembra che si possa dire che i preti non rappresentano una categoria particolarmente a rischio”. E’ la chiesa come istituzione che è un po’ ricattata, in questo caso: “C’è molta politica dietro”. La pedofilia oggi è spesso “una clava usata a danno di qualcuno”. Certamente “gli attacchi alla chiesa sono attacchi veri e propri, oltre che, talora, regolamenti di conti interni; non sono neppure da trascurare vecchie ruggini con protestanti, anglicani ecc., riemerse magari in occasione del rientro di alcuni gruppi anglicani nella chiesa di Roma. Ci sono anche i vecchi pregiudizi a tornare a galla: da sempre alcuni protestanti fondamentalisti accusano i cattolici, soprattutto nel mondo anglosassone, di ogni ignominia”. Questo chiaramente perché l’accusa in questione si presta meglio di altre: è la più diffamante, la più sensazionale, la più difficile da scrollarsi di dosso, ed è nello stesso tempo, tra le tante possibili, una delle più ardue da smentire. A ciò si aggiunga che per un certo mondo protestante, il Papa è ancora oggi l’“anticristo”, chiunque egli sia, come 500 anni fa. Commenta Casonato: “Queste inimicizie si conoscono, sono storiche, però si tratta anche di un boomerang cattolico visto che parte di coloro che hanno contribuito a fare crescere il business della caccia al pedofilo e a crearne i presupposti vengono dalle università cattoliche. Quanto agli Stati Uniti molte accuse sono state transate extragiudizialmente, ma vengono considerate come condanne. Spesso erano ricatti ben congegnati, cui – stante la situazione sociale – era difficile opporsi in giudizio (giurie popolari etc). Ne deriva una vera caccia alle streghe che – salvo la pena di morte – ha probabilmente fatto più vittime di quella del ’600 (che non fu supportata dalla chiesa, ma dai politici)”. Ricordo al professor Casonato gli innumerevoli casi di religiosi accusati di pedofilia, magari condannati in primo grado e poi assolti; da don Govoni, alle suore della Val Seriana, ai tre sacerdoti dell’asilo Sorelli di Brescia; dal cardinal Bernardin, in America, a padre Kinsella e a suor Nora Wall – accusata di stupro, condannata all’ergastolo e poi riconosciuta innocente dopo essere diventata per tutti, giornali e tv, il “diavolo Wall” – in Irlanda. “E’ accaduto e accade anche a tanti laici, coinvolti in liti, ricatti, paure collettive: se si è colpevoli, ben venga la giustizia, ma se si è innocenti, si rischia di stare ugualmente anni sui giornali e in carcere”. Chiedo al professore cosa ne pensa del Papa e lui ricorda di aver curato il suo libro già citato insieme con uno psichiatra tedesco, Friedemann Pfäfflin, che fu protagonista di un convegno in Vaticano voluto proprio da Ratzinger alcuni anni orsono, per affrontare l’argomento pedofilia: “Dell’attuale Papa si può dire che è uno di quelli che si è occupato del problema, ben più di altri che lo hanno preceduto”.
Il Foglio 22 aprile 2010


“LA SINDONE: TESTIMONE DI UNA PRESENZA” - Emanuela Marinelli svela i misteri del telo che ha avvolto Gesù - di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 22 aprile 2010 (ZENIT.org).- Come può accadere che decine di migliaia di persone si mettano in viaggio per Torino, si mettano in fila per andare a vedere e meditare su un telo ingiallito e su cui si trovano immagini sbiadite e inspiegabili di un uomo crocifisso migliaia di anni fa?
Per i credenti quel telo è quello in cui è stato avvolto Gesù Cristo. Una reliquia unica e sconvolgente. Un telo impresso da una energia sconosciuta, con i resti ematici del crocifisso.
Alcuni intellettuali e giornalisti però sostengono che si tratta di un falso costruito ad arte per ingannare i credenti.
Tra le migliaia di libri, articoli, saggi che sono stati scritti sulla Sindone, partiocolarmente chiaro e esaustivo è il volume scritto da Emanuela Marinelli: “La Sindone. Testimone di una presenza” pubblicato dalla San Paolo.
Con una decina di libri, innumerevoli collaborazioni con riviste ed un numero impressionante di articoli Emanuela Marinelli è considerata una fra i massimi studiosi della Sindone.
Laureata in Scienze naturali, ha collaborato con "La Sapienza", ha un diploma di Catechista specializzato, ed ha tenuto corsi presso il Centro Romano di Sindonologia e la Libera Università Maria SS.ma Assunta.
ZENIT l’ha Intervistata.
Più cercano di screditarla e più cresce l’interesse delle persone per questa tela di lino su cui è impressa in maniera inspiegabile l’impronta di un uomo morto in Croce: quali sono, secondo lei, le ragioni di questo continuo e rinnovato interesse?
Marinelli: I mass media hanno diffuso la conoscenza della Sindone. Chi viene a sapere che esiste questo straordinario telo vi si avvicina, talvolta, inizialmente solo per curiosità. Ma se si è senza pregiudizi si resta affascinati dal mistero di questa straordinaria reliquia.
Quali sono gli elementi e le ragioni che fanno credere che l’uomo impresso in quel telo sia Gesù di Nazareth?
Marinelli: Tutto coincide con la Passione di Gesù, anche in dettagli come la flagellazione, più abbondante di quella inflitta ai comuni condannati alla Croce.
Che relazioni ci sono con i racconti dei Vangeli e con la storia?
Marinelli: Le ferite dell’uomo della Sindone ci permettono di ripercorrere le sue ultime ore come in una via Crucis. E’ interessante che alcuni particolari però differiscono dall’iconografia tradizionale, come i chiodi conficcati nei polsi, ma coincidono con i dati archeologici.
Perchè tra le tante persone crocifisse dai romani, solo di questa è rimasta l’impronta sul telo? E in che modo la figura del corpo avvolto si è impressa sul telo?
Marinelli: Un qualsiasi crocifisso sarebbe finito in una fossa comune, non in un telo pregiato. L’uomo avvolto nella Sindone ci rimase poche ore e vi ha lasciato la sua impronta inspiegabile che può essere paragonata solo all’effetto di un lampo di luce.
Eppure una certa cultura accusa i credenti di essere tanto suggestionati dalla devozione da credere in un “lenzuolo sporco”, che altro non sarebbe che un falso creato ad arte per ingannare i credenti. Secondo gli esami per la datazione del lenzuolo, eseguiti nel 1988 con la tecnica radiometrica del Carbonio 14, il telo in questione sarebbe di una data compresa tra il 1260 e il 1390. Come replica a queste argomentazioni?
Marinelli: Il campione per la datazione fu prelevato da un angolo inquinato e rammendato, assolutamente non rappresentativo dell’intero lenzuolo. Quella datazione è stata ampiamente smentita.
Se veramente l’impronta e le tracce di sangue del telo sono di Gesù Cristo, la Sindone solleverebbe interrogativi sconvolgenti: ovvero, perchè il Signore ha voluto lasciare un impronta indelebile della passione di Gesù? In questo caso la Sindone sarebbe una prova decisiva per gli scettici. Qual è il suo parere in proposito?
Marinelli: Il Signore viene in soccorso di chi ha poca o nessuna fede presentando le sue piaghe come a Tommaso. Sta a noi inginocchiarci davanti a questa reliquia esclamando “Mio Signore e mio Dio!”.
Per chi è ostinatamente scettico nessuna prova basterà mai, Ma la Sindone, come disse Paul Claudel "più che un immagine è una presenza”. Giustamente Giovanni Paolo II la definì "Testimone muto ma singolarmente eloquente della Passione, morte e Resurrezione di Cristo”.


INFONDATA UNA DENUNCIA NEGLI STATI UNITI CONTRO LA SANTA SEDE - Jeff Anderson vuole portare sul banco degli imputati il Papa e i Card. Bertone e Sodano
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Non ha giuridicamente alcun fondamento la denuncia contro la Santa Sede presentata presso il Tribunale Federale di Milwaukee per i crimini commessi da un sacerdote statunitense.
E' la conclusione alla quale è giunto l'avvocato Jeffrey Lena, incaricato di difendere la Santa Sede negli Stati Uniti, in un comunicato emesso questo venerdì dalla Sala Stampa vaticana.
Dietro la denuncia si trova il noto avvocato Jeff Anderson, che questo giovedì ha annunciato durante una conferenza stampa un'azione legale contro l'allora Cardinale Joseph Ratzinger, in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e contro i Cardinali Tarcisio Bertone, in quanto segretario della stessa Congregazione vaticana, e Angelo Sodano, ex Segretario di Stato.
L'accusa fa riferimento al trattamento riservato a padre Lawrence Murphy, sacerdote che secondo i suoi accusatori abusò di circa 200 bambini in un istituto per sordi tra il 1950 e il 1974. Il chierico, che era stato assolto dalla giustizia statunitense, venne processato canonicamente per essere dimesso dallo stato clericale.
In realtà, la Congregazione per la Dottrina della Fede venne interpellata per una questione legata al delitto di violazione del sacramento della confessione da parte di padre Murphy, tra il 1996 e il 1997, e diede indicazione di procedere contro di lui nonostante la lontananza temporale dei fatti rappresentasse un impedimento canonico.
Visto che i crimini si erano verificati 35 anni prima, la Congregazione chiese che il sacerdote rimanesse nel regime di isolamento in cui viveva (in parte a causa della sua malattia) e un'azione decisa per ottenere il suo pentimento. Il chierico è morto quattro mesi dopo la decisione vaticana, presa alla fine del maggio 1998.
Secondo quanto ha spiegato l'avvocato Lena, "innanzitutto - ed è la cosa più importante - solidarietà è dovuta alle vittime degli atti criminali commessi da don Lawrence Murphy. Abusando sessualmente di bambini, Murphy ha violato sia la legge sia la fiducia che le sue vittime avevano riposto in lui".
La nota dell'avvocato spiega che, "sebbene legittime azioni legali siano state intentate da vittime di abusi, questa non è una di esse. Piuttosto, questa azione legale è un tentativo di utilizzare eventi tragici come piattaforma per un attacco più ampio, che dipende dalla volontà di descrivere la Chiesa cattolica come un''impresa commerciale' mondiale".
Per Lena, "l'azione legale di John Doe contro la Santa Sede e i suoi funzionari è assolutamente priva di fondamento. La maggior parte delle accuse rimastica vecchie teorie già rifiutate dai tribunali statunitensi. A proposito di Murphy stesso, la Santa Sede e i suoi funzionari non hanno saputo nulla dei suoi crimini se non decenni dopo il loro verificarsi e non hanno avuto assolutamente alcun ruolo nel provocare danni alla parte civile".
"Data la mancanza di merito, l'azione legale insieme con la conferenza stampa e i comunicati rituali, è semplicemente il tentativo più recente da parte di certi avvocati statunitensi di utilizzare un processo come strumento per i rapporti con i media. Se necessario, risponderemo a questa azione legale in tribunale in modo più esaustivo e al momento opportuno", ha concluso il rappresentante legale della Santa Sede.


CARD. BAGNASCO: RISCOPRIRE L’ALFABETO DELL’UMANO NELL'ERA DIGITALE - Il Presidente della CEI interviene al convegno “Testimoni digitali”
ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- “La Rete rappresenta per noi gli 'estremi confini della terra' che il Signore Gesù domanda di abitare in nome della nostra responsabilità per il Vangelo”. E' quanto affermato dal Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana intervenendo questo venerdì al convegno “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell'era crossmediale” in corso fino a sabato a Roma.
“L’impegno della comprensione e della progettazione della presenza della Chiesa nel mondo dei media digitali – ha aggiunto Bagnasco - è un ambito pastorale vasto e delicato” che richiede di soffermarsi sull’azione della Chiesa nell’attuale contesto per individuare forme attestabili di fedeltà al Vangelo oggi”. Infatti, l’opera di evangelizzazione “non è mai, come afferma Benedetto XVI, un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, una taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento”.
Quali le strade possibili “di un’anima cristiana per il mondo digitale”? “Anche noi oggi – ha affermato Bagnasco -, come i primi discepoli, siamo mandati da Gesù per continuare la sua missione in obbedienza al suo stile”. Questo significa “un' attenzione non solo per i contenuti dell’annuncio evangelico, ma anche per la forma”.
L'annuncio di Gesù, infatti, non è solo “un ‘discorso’. Include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire” e “parola e segno sono indivisibili”. La predicazione cristiana, quindi, “non proclama ‘parole’ ma la Parola, e l’annuncio coincide con la persona stessa di Cristo”.
Tra i molti tratti con i quali Gesù ha abitato la storia degli uomini, occorre “far riferimento all’itineranza”. “Egli – ha sottolineato Bagnasco – non ha semplicemente accolto coloro che accorrevano a lui, ma lui stesso è andato là dove la gente viveva la propria quotidianità”. Questo perché “l'’itineranza di Gesù rende Dio vicino così che nessuno si senta dimenticato o abbandonato dal Padre”.
Lo stesso viene chiesto agli animatori della comunicazione e della cultura nella grande Rete digitale: “continuare a far sì che nessuno si senta privato della vicinanza di Dio e della sua consolazione”.
“L’urgenza e la qualità del vostro impegno – ha affermato Bagnasco rivolto agli operatori della comunicazione e della cultura - è quello di dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della Rete” .
Ciò significa “restituire densità alle relazioni leggere della Rete” riuscendo ad uscire “dalla mera logica dell’accesso per entrare nella dinamica del dialogo”, categoria che “non esaurisce la propria pregnanza semantica nel rapporto fra un io e un tu, ma esprime qualcosa che trascende entrambi gli interlocutori”.
“Essere testimoni digitali – ha aggiunto il Presidente della Cei - domanda di saper offrire qualcosa a quella parola che sta in mezzo, dia - logo, e che, proprio perché ci trascende, è senso della nostra vita”.
La sfida, per la comunità cristiana è di “riuscire a sfuggire al consenso acritico a favore di un dialogo costante” e di usare i social media “come prefigurazione di uno stile di maggiore condivisione”.
Su questo si innesta la riflessione sull'impegno educativo “un compito da affrontare con intelligenza e fiducia, senza assolutismi ingenui e acritici o demonizzazioni apocalittiche”. Facendo esperienza della Rete, secondo Bagnasco, si potrà, “come educatori, cogliere le potenzialità dei vari contesti e avviare una prospettiva capace di integrare le differenti modalità di relazione con i media digitali” tenendo presente che “l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione”.
Dal punto di vista etico, va richiamata l'attenzione su un problema: “nella Rete si assiste ad una migrazione semantica dalla categoria di appartenenza a quella del consenso, al punto che temi delicati e decisivi, che coinvolgono le decisioni delle personali libertà, vengono tralasciati per non rischiare di infrangere l’irenica armonia digitale, alimentando così i rapporti con parole banali”.
Occorre invece, ha detto, “essere presenti nel mondo digitale nella costante fedeltà al messaggio evangelico, per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità”. E' questo il tempo “di riscoprire l’alfabeto dell’umano, poiché le grandi categorie – come la persona, la vita e la morte, la famiglia e l’amore – rischiano di diventare evanescenti e distorte nei loro significati” per effetto di “un individualismo dominante ed esasperato”.
“Come ricordava il Concilio Vaticano II – ha affermato il Cardinale - incontrare Cristo, l’uomo perfetto, e accoglierlo nella propria vita, introduce nella umanità vera e piena a cui tutti sono chiamati”.
“Sale di sapienza e lievito di crescita”: a questo sono chiamati ad essere gli animatori della cultura che in concreto significa “non essere conformisti e non cercare inutili quanto sterili forme di consenso consolatorio” ed essere “soggetti attivi, terminali di connessioni, attivatori di partecipazione gratuita e responsabile”.
“La Rete – ha concluso Bagnasco - non è fatta di confini, ma di ponti”. Allo stesso modo “ la comunità non può e non deve essere quella delle identità escludenti, ma quella dell’amore che include nella verità”.


CONTINUA IL CALVARIO DEL PAPA, VIA ANCHE IL 7* VESCOVO - (AGI) - CdV, 23 apr. - (di Salvatore Izzo)
"Quando ero ancora un semplice sacerdote e per un certo tempo all'inizio del mio episcopato ho abusato sessualmente di un giovane dell'ambiente a me vicino. La vittima ne e' ancora segnata. Nel corso degli ultimi decenni, ho piu' volte riconosciuto la mia colpa nei suoi confronti, come nei confronti della sua famiglia, e ho domandato perdono. Ma questo non lo ha pacificato.
E neppure io lo sono".
Con queste parole - in un comunicato diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede - il vescovo di Bruges, mons. Roger Vangheluw, ha motivato oggi le sue dimissioni, subito accettate dal Papa, che ha dovuto constatare ancora una volta la voragine morale che si e' aperta nella Chiesa Cattolica dopo il Concilio Vaticano II e la rivoluzione del '68.
Si', perche' i fatti - purtroppo - stanno dando ragione a quanto sostenuto dal Pontefice nel passaggio piu' controverso della sua commovente Lettera ai cattolici d'Irlanda, nella quale ha indicato nel venir meno della sacralita' del sacerdozio uno dei fattori che hanno scatenato la immonda sozzura che e' sta emergendo.
Certo la pedofilia e' un peccato che esisteva gia' ai tempi di Gesu' che nel Vangelo ha usato per questo crimine le parole piu' dure invitando i colpevioli a gettarsi in mare con "una macina al collo". Ma a questo punto e' evidente che negli anni del post-concilio, pur mantenedo ovviamente proporzioni limitate, e' diventato nella Chiesa un fatto piu' rilevante. E dunque e' un bene che lo scandalo sia esploso.
Anche il presule dimissionario, meglio sarebbe dire criminale, ha aggiunto nella sua dichiarazione che "la tempesta mediatica di queste ultime settimane ha rafforzato il trauma. Non e' piu' possibile continuare in questa situazione".
"Sono profondamente dispiaciuto - ha aggiunto - per cio' che ho fatto e presento le mie scuse piu' sincere alla vittima, alla sua famiglia, a tutta la comunita' cattolica e alla societa' in genere".
"La volonta' di trasparenza che la Chiesa Cattolica del Belgio vuole ormai applicare rigorosamente in materia" di abusi sessuali compiuto da sacerdoti e' stata riaffermata dal nuovo arcivescovo di Bruxelels Andre'-Joseph Leonard, che in una dichiarazione diffusa anch'essa dalla Sala Stampa della Santa Sede ha assicurato la volonta' dell'Episcopato Belga di seguire la linea
indicata dal Papa da ultimo con la Lettera ai cattolici dell'Irlanda, "voltando risolutamente pagina rispetto all'epoca, non cosi' lontana, nella quale nella Chiesa come altrove si preferiva la soluzione del silenzio o del camuffamento". "Non c'e' neppure bisogno - ha rilevato - di dire che questo evento sara' percepito molto dolorosamente in tutta la comunita' cattolica belga, tanto piu' che monsignor Vangheluwe era percepito come un vescovo generoso e dinamico, ampiamente apprezzato in tutta la sua diocesi e nella Chiesa del Belgio. E noi, i suoi confratelli, siamo coscienti della crisi di fiducia che cio' inneschera' tra molte persone".
Quello del vescovo stupratore di Bruges e' il settimo caso in meno di un mese di "dimissioni" ex canone 401 comma 2 del Codice di Diritto Canonico, cioe' per "ragioni di salute o gravi impedimenti" presenatte da presuli al Pontefice, come sottolinea il blog degli Amici di Papa Ratzinger. Ed e' il secondo caso, dopo quello di Oslo, di un presule che ammette di aver compiuto egli stesso abusi, anche se lo scandalo in Norvegia riguardava atti compiuti dal presule prima della consacrazione episcopale e in Belgio purtroppo anche dopo. Lo stupro del ragazzo da parte di un vescovo ha pero' un altro precedente in mons. Rembert Weakland, l'ex abate primate dei benedettini che fu capofila dei vescovi progressisti negli Usa e poi dovette dimettersi quando si scopri' che la relazione omosessuale da lui condotta nell'intero arco del suo episcopato era iniziata quando il giovane amante aveva 10 anni. Oggi Weakland e' un'militante per i diritti dei gay e il principale "accusatore" di Benedetto XVI Oltreoceano.
Anche mons. Vangheluwe appartiene all'ala progressista, tanto da aver fatto una battaglia per il diaconato femminile, sulla stessa linea del card. Martini. Questo dato storico rafforza quanto scritto dal Papa denunciando il fatto che negli ultimi 40 anni si e' aperta nella Chiesa una voragine morale.
Sulla quale in troppi - a cominciare forse dall'ex primate Dannels e dal nunzio
Karl Joseph Rauber, anche lui progressista e alquanto disattento - hanno chiuso gli occhi, se e' vero, come lascia intendere la dichiarazione dello stesso ex vescovo di Bruges, che i fatti erano notori. E un giornale belga ha anche scritto sul suo sito on line che il card. Dannels aveva incontrato la vittima del vescovo e i suoi familiari. Speriamo che non sia vero.
Oggi, pero', e' salito agli onori delle crionache anche un'altra figura di vescovo: la Santa Sede ha autorizzato infatti l'avvio del processo di beatificazione di don Tonino Bello, che e' stato un padre per i poveri e per i deboli nei diversi ministeri che ha ricoperto, fino a essere nominato vescovo di Molfetta da Giovanni Paolo II nel 1982. E' stato anche presidente nazionale di Pax Christi e in tale veste ha girato il mondo, proclamando la Parola di Dio e compiendo gesti di riconciliazione, come l'ingresso in Sarajevo ancora in guerra, dove ha profetizzato la nascita di un'Onu dei popoli capace di affiancare quella degli Stati nel promuovere esiti di pace. E' morto a Molfetta, il 20 aprile 1993, "in odoredi santita'".
"Coraggio! Vogliate bene a Gesu' Cristo, amatelo con tutto il cuore, prendete il Vangelo tra le mani, cercate di tradurre in pratica quello che Gesu' vi dice con semplicita' di spirito. Poi, amate i poveri. Amate i poveri perche' e' da loro che viene la salvezza, ma amate anche la poverta'. Non arricchitevi", sono state le sue ultime, parole dette nella cattedrale di Molfetta il giovedi' santo del 1993, come estremo saluto. Il cimitero di Alessano, dove oggi riposano le sue spoglie, e' costante meta di pellegrinaggio. Non si contano le persone, i gruppi, le comunita' che si ispirano al suo messaggio; cosi' come le scuole, le strade, le piazze, le realta' aggregative che si intitolano al suo nome. Tutto questo si chiama "fama di santita'" e il successore del vescovo, l'attuale ordinario di Molfetta Luigi Martella ha introdotto nel 2007 la causa di canonizzazione e oggi puo' giorire del primo "si'" arrivato dal Vaticano.
Era anche un teologo raffinato, mons. Bello, e per la sua umilta' e mitezza per molti aspetti aveva lo stesso stile dell'attuale Papa.
La Chiesa Italiana deve a Joseph Ratzinger anche l'indirizzo che ha portato a un nuovo modo di comunicare, ha sottolineato da parte sua mons. Claudio Giuliodori, presidente della Commissione Episcopale per la Cutura e le Comunicazioni Sociali nella sua relazione al Convegno 'Testimoni digitali' ricordando le parole dell'aallora cardinale che proprio nel precedente incontro degli operatori delle comunciazioni sociali promosso dalla Cei affermo' che "il Vangelo non sta accanto alla cultura. No il Vangelo e' un taglio, una purificazione che diviene maturazione e risanamento e esige sensibilita', comprensione della cultura dal suo interno, dei suoi rischi e delle sue possibilita' nascoste o palesi". E' dunque legato a questa
visione "l'indiscutibile interessamento dimostrato dalla Chiesa italiana per i nuovi fenomeni culturali scaturiti dai processi mediatici", che accompagna -
con i media che la Cei ha potenziato e la nuova presenza in rete. Il web "pur essendo un'occasione per ritessere la dinamica relazionale", fa si' che si rimanga "facilmente estranei nella chiacchiera di superficie e nella curiosita' senza interesse", ha avvertito pero' il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, intervenendo questa sera al Convegno. Il "consenso della maggioranza" su internet diventa a volte, ha detto, "l'ultima parola alla quale dobbiamo obbedire" ed "avvia nella Rete il processo della spirale del silenzio per cui alcuni temi - come l'impegno personale e della Chiesa per la vita, la famiglia, la liberta' educativa, la giustizia sociale, la solidarieta' - sono destinati spesso all'oblio". E, proprio sul sito internet della sua diocesi, il card, George Pell, arcivescovo di Sydney che sta per arrivare a Roma come nuovo prefetto della Congregazione dei vescovi, ha scritto: la pedofilia "non e' solo un problema della Chiesa, qui o all'estero". "Sono parte del problema - ha denunciato - anche l'implacabile diffusione della pornografia in alcuni settori della cultura e la pressione per la 'liberazione' sessuale, che ai suoi estremi vuole l'accettazione della pedofilia come un'altra preferenza sessuale".
Dunque, per il card. Pell, se "la pedofilia e' un problema, devono essere disprezzate anche la cosiddetta liberazione sessuale e la diffusione della pornografia". Mentre il Papa "ha svolto una funzione significativa aiutando la Chiesa ad affrontare gli abusi sessuali e a fare giustizia".
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«Stati vegetativi, errori fino al 40%» - DA MILANO – Avvenire, 24 aprile 2010
S i moltiplicano gli studi che se gnalano quanto siano insuffi cienti le conoscenze relative a gli stati vegetativi. Al punto che i fal si positivi (cioè pazienti diagnosti cati in stato vegetativo senza esser lo) possono raggiungere il 40% del totale delle diagnosi. Lo ha ieri ripe tuto Martin Monti, neuroscienziato italiano che lavora all’Unità di Scien ze neurologiche e delle cognizione del Medical Research Council del­l’università di Cambridge, a Roma al convegno sulla «rivoluzione del cer­vello », dedicato ai 101 anni della scienziata Rita Levi Montalcini.
Con l’aiuto di colleghi dell’univer sità di Liegi (Belgio), Monti ha stu diato 54 pazienti con disturbi della coscienza utilizzando la risonanza magnetica funzionale per immagi ni, una tecnica non invasiva che per­mette di osservare l’attività cerebra le: «Ci sono casi nei quali ai test me­dici oggi disponibili alcuni pazienti appaiono in stato vegetativo anche se non lo sono». Questo accade «in una percentuale di casi che oscilla tra il 10% e il 30% e che può rag giungere il 40%. Tuttavia si tratta di casi molto difficili da valutare».
Il problema è imparare a riconosce re questi pazienti e il gruppo di Mon ti ha messo a punto un metodo ba sato sulla risonanza magnetica fun­zionale, sperimentato su un insie me di pazienti in stato vegetativo, che consiste in alcuni «protocolli di stimolazione che vanno a cercare il segno della coscienza».
Nessuno sa attualmente dove anda re a cercare la coscienza nel cervel­lo, «ma possiamo trovarne il segno. Per esempio – ha spiegato Monti – se si chiede a una persona in stato ve getativo di muovere un braccio, se questa è nell’impossibilità di farlo fi sicamente lo fa con il cervello». Co sì può accadere che una persona so lo apparentemente in stato vegeta tivo riesca a dare semplici risposte, in termini di «sì» o «no» attivando al cune zone del cervello, anche se fi sicamente gli è impossibile rispon dere. «Questo non vale per tutte le persone che si trovano in questa condizione: esiste solo una parte che sembra in stato vegetativo persi stente, ma in realtà non lo è. E la spe ranza è di riuscire a trovarne il mag gior numero possibile».