giovedì 15 aprile 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) MEDITAZIONE DI BENEDETTO XVI SUL MINISTERO DEL SACERDOTE - In occasione dell'Udienza generale del mercoledì
2) «HO LA SPINA BIFIDA, E CON L'EUTANASIA NON SAREI TRA VOI» - Giovanni Bonizio – dal sito disabili.com
3) Olanda. Sanità, pillole del suicidio per anziani depressi? - ultimo aggiornamento: 14 april 2001 19:47 - Archivio RaiNews24.
4) Matrimoni gay: Consulta rigetta ricorsi – Ansa.it
5) OMOSESSUALITÀ E PEDOFILIA DEI SACERDOTI: IL CARDINAL BERTONE CITA DEGLI ESPERTI - La Santa Sede spiega le interpretazioni delle dichiarazioni del porporato in Cile - di Jesús Colina
6) DEFORMATE LE PAROLE DEL CARDINAL BERTONE SU OMOSESSUALITÀ E PEDOFILIA - Intervista a Massimo Introvigne, Direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni - di Jesús Colina
7) 14/04/2010 - ASIA – VATICANO - Venti di guerra e crisi economica dietro gli attacchi al Papa - di Maurizio d'Orlando - La violenta campagna contro Benedetto XVI, guidata dal New York Times, mira a colpire la sua autorità morale e quella della Chiesa cattolica. In previsione di una possibile guerra contro l’Iran e del fallimento del Tesoro americano e del mercato dell'oro.
9) Avvenire.it, 15 Aprile 2010 - La sentenza della Corte - Non ammette forzature il linguaggio del buon diritto - Francesco D'Agostino
10) Avvenire.it, 15 Aprile 2010 - Il sacerdote nelle parole del Papa - Fino alla trasparenza per lasciar vedere Cristo
11) Fecondazione eterologa, legge 40 «blindata» - di Assuntina Morresi – Avvenire, 15 aprile 2010
12) Donne & sofferenza: basta con i luoghi comuni - di Paola Ricci Sindoni – Avvenire, 15 aprile 2010
13) Avvenire.it., 14 Aprile 2010 – ANNIVERSARI - Twain, guerra alle false notizie - Massimiliano Castellani


MEDITAZIONE DI BENEDETTO XVI SUL MINISTERO DEL SACERDOTE - In occasione dell'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, avvicinandosi la conclusione dell’Anno Sacerdotale, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul ministero del sacerdote.

* * *
Cari amici,
in questo periodo pasquale, che ci conduce alla Pentecoste e ci avvia anche alle celebrazioni di chiusura dell’Anno Sacerdotale, in programma il 9, 10 e 11 giugno prossimo, mi è caro dedicare ancora alcune riflessioni al tema del Ministero ordinato, soffermandomi sulla realtà feconda della configurazione del sacerdote a Cristo Capo, nell’esercizio dei tria munera che riceve, cioè dei tre uffici di insegnare, santificare e governare.
Per capire che cosa significhi agire in persona Christi Capitis - in persona di Cristo Capo - da parte del sacerdote, e per capire anche quali conseguenze derivino dal compito di rappresentare il Signore, specialmente nell’esercizio di questi tre uffici, bisogna chiarire anzitutto che cosa si intenda per "rappresentanza". Il sacerdote rappresenta Cristo. Cosa vuol dire, cosa significa "rappresentare" qualcuno? Nel linguaggio comune, vuol dire – generalmente - ricevere una delega da una persona per essere presente al suo posto, parlare e agire al suo posto, perché colui che viene rappresentato è assente dall’azione concreta. Ci domandiamo: il sacerdote rappresenta il Signore nello stesso modo? La risposta è no, perché nella Chiesa Cristo non è mai assente, la Chiesa è il suo corpo vivo e il Capo della Chiesa è lui, presente ed operante in essa. Cristo non è mai assente, anzi è presente in un modo totalmente libero dai limiti dello spazio e del tempo, grazie all’evento della Risurrezione, che contempliamo in modo speciale in questo tempo di Pasqua.
Pertanto, il sacerdote che agisce in persona Christi Capitis e in rappresentanza del Signore, non agisce mai in nome di un assente, ma nella Persona stessa di Cristo Risorto, che si rende presente con la sua azione realmente efficace. Agisce realmente e realizza ciò che il sacerdote non potrebbe fare: la consacrazione del vino e del pane perché siano realmente presenza del Signore, l’assoluzione dei peccati. Il Signore rende presente la sua propria azione nella persona che compie tali gesti. Questi tre compiti del sacerdote - che la Tradizione ha identificato nelle diverse parole di missione del Signore: insegnare, santificare e governare - nella loro distinzione e nella loro profonda unità sono una specificazione di questa rappresentazione efficace. Essi sono in realtà le tre azioni del Cristo risorto, lo stesso che oggi nella Chiesa e nel mondo insegna e così crea fede, riunisce il suo popolo, crea presenza della verità e costruisce realmente la comunione della Chiesa universale; e santifica e guida.
Il primo compito del quale vorrei parlare oggi è il munus docendi, cioè quello di insegnare. Oggi, in piena emergenza educativa, il munus docendi della Chiesa, esercitato concretamente attraverso il ministero di ciascun sacerdote, risulta particolarmente importante. Viviamo in una grande confusione circa le scelte fondamentali della nostra vita e gli interrogativi su che cosa sia il mondo, da dove viene, dove andiamo, che cosa dobbiamo fare per compiere il bene, come dobbiamo vivere, quali sono i valori realmente pertinenti. In relazione a tutto questo esistono tante filosofie contrastanti, che nascono e scompaiono, creando una confusione circa le decisioni fondamentali, come vivere, perché non sappiamo più, comunemente, da che cosa e per che cosa siamo fatti e dove andiamo. In questa situazione si realizza la parola del Signore, che ebbe compassione della folla perché erano come pecore senza pastore. (cfr Mc 6, 34). Il Signore aveva fatto questa costatazione quando aveva visto le migliaia di persone che lo seguivano nel deserto perché, nella diversità delle correnti di quel tempo, non sapevano più quale fosse il vero senso della Scrittura, che cosa diceva Dio. Il Signore, mosso da compassione, ha interpretato la parola di Dio, egli stesso è la parola di Dio, e ha dato così un orientamento. Questa è la funzione in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti. Per il sacerdote vale quanto Cristo ha detto di se stesso: "La mia dottrina non è mia" (Gv, 7, 16); Cristo, cioè, non propone se stesso, ma, da Figlio, è la voce, la parola del Padre. Anche il sacerdote deve sempre dire e agire così: "la mia dottrina non è mia, non propago le mie idee o quanto mi piace, ma sono bocca e cuore di Cristo e rendo presente questa unica e comune dottrina, che ha creato la Chiesa universale e che crea vita eterna".
Questo fatto, che il sacerdote cioè non inventa, non crea e non proclama proprie idee in quanto la dottrina che annuncia non è sua, ma di Cristo, non significa, d’altra parte, che egli sia neutro, quasi come un portavoce che legge un testo di cui, forse, non si appropria. Anche in questo caso vale il modello di Cristo, il quale ha detto: Io non sono da me e non vivo per me, ma vengo dal Padre e vivo per il Padre. Perciò, in questa profonda identificazione, la dottrina di Cristo è quella del Padre e lui stesso è uno col Padre. Il sacerdote che annuncia la parola di Cristo, la fede della Chiesa e non le proprie idee, deve anche dire: Io non vivo da me e per me, ma vivo con Cristo e da Cristo e perciò quanto Cristo ci ha detto diventa mia parola anche se non è mia. La vita del sacerdote deve identificarsi con Cristo e, in questo modo, la parola non propria diventa, tuttavia, una parola profondamente personale. Sant’Agostino, su questo tema, parlando dei sacerdoti, ha detto: "E noi che cosa siamo? Ministri (di Cristo), suoi servitori; perché quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi" (Discorso 229/E, 4).
L’insegnamento che il sacerdote è chiamato ad offrire, le verità della fede, devono essere interiorizzate e vissute in un intenso cammino spirituale personale, così che realmente il sacerdote entri in una profonda, interiore comunione con Cristo stesso. Il sacerdote crede, accoglie e cerca di vivere, prima di tutto come proprio, quanto il Signore ha insegnato e la Chiesa ha trasmesso, in quel percorso di immedesimazione con il proprio ministero di cui san Giovanni Maria Vianney è testimone esemplare (cfr Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale). "Uniti nella medesima carità – afferma ancora sant’Agostino - siamo tutti uditori di colui che è per noi nel cielo l’unico Maestro" (Enarr. in Ps. 131, 1, 7).
Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado potrebbe sembrare "voce di uno che grida nel deserto" (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la verità, il modo di vivere.
Nella preparazione attenta della predicazione festiva, senza escludere quella feriale, nello sforzo di formazione catechetica, nelle scuole, nelle istituzioni accademiche e, in modo speciale, attraverso quel libro non scritto che è la sua stessa vita, il sacerdote è sempre "docente", insegna. Ma non con la presunzione di chi impone proprie verità, bensì con l’umile e lieta certezza di chi ha incontrato la Verità, ne è stato afferrato e trasformato, e perciò non può fare a meno di annunciarla. Il sacerdozio, infatti, nessuno lo può scegliere da sé, non è un modo per raggiungere una sicurezza nella vita, per conquistare una posizione sociale: nessuno può darselo, né cercarlo da sé. Il sacerdozio è risposta alla chiamata del Signore, alla sua volontà, per diventare annunciatori non di una verità personale, ma della sua verità.
Cari confratelli sacerdoti, il Popolo cristiano domanda di ascoltare dai nostri insegnamenti la genuina dottrina ecclesiale, attraverso la quale poter rinnovare l’incontro con Cristo che dona la gioia, la pace, la salvezza. La Sacra Scrittura, gli scritti dei Padri e dei Dottori della Chiesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica costituiscono, a tale riguardo, dei punti di riferimento imprescindibili nell’esercizio del munus docendi, così essenziale per la conversione, il cammino di fede e la salvezza degli uomini. "Ordinazione sacerdotale significa: essere immersi [...] nella Verità" (Omelia per la Messa Crismale, 9 aprile 2009), quella Verità che non è semplicemente un concetto o un insieme di idee da trasmettere e assimilare, ma che è la Persona di Cristo, con la quale, per la quale e nella quale vivere e così, necessariamente, nasce anche l’attualità e la comprensibilità dell’annuncio. Solo questa consapevolezza di una Verità fatta Persona nell’Incarnazione del Figlio giustifica il mandato missionario: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Solo se è la Verità è destinato ad ogni creatura, non è una imposizione di qualcosa, ma l’apertura del cuore a ciò per cui è creato.
Cari fratelli e sorelle, il Signore ha affidato ai Sacerdoti un grande compito: essere annunciatori della Sua Parola, della Verità che salva; essere sua voce nel mondo per portare ciò che giova al vero bene delle anime e all’autentico cammino di fede (cfr 1Cor 6,12). San Giovanni Maria Vianney sia di esempio per tutti i Sacerdoti. Egli era uomo di grande sapienza ed eroica forza nel resistere alle pressioni culturali e sociali del suo tempo per poter condurre le anime a Dio: semplicità, fedeltà ed immediatezza erano le caratteristiche essenziali della sua predicazione, trasparenza della sua fede e della sua santità. Il Popolo cristiano ne era edificato e, come accade per gli autentici maestri di ogni tempo, vi riconosceva la luce della Verità. Vi riconosceva, in definitiva, ciò che si dovrebbe sempre riconoscere in un sacerdote: la voce del Buon Pastore.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana, in particolare, sono lieto di accogliere il gruppo di Sacerdoti amici della Comunità di Sant’Egidio e i Cappellani dell’Aviazione civile provenienti da varie parti del mondo. Cari Fratelli nel Sacerdozio, invoco su ciascuno di voi i doni dello Spirito Santo, affinché possiate essere sempre gioiosi testimoni dell’amore di Cristo. Saluto i partecipanti al raduno internazionale del Movimento Eucaristico, legato alla spiritualità delle Suore Dorotee Figlie dei Sacri Cuori, e li esorto ad intensificare la dimensione orante, affinché dall’incontro con Cristo nella preghiera siano incoraggiati all’impegno ecclesiale e sociale. Saluto i fedeli della diocesi di Sessa Aurunca, accompagnati dal loro Pastore Mons. Antonio Napoletano. Cari amici, proseguite con slancio apostolico il vostro cammino di evangelizzatori della speranza cristiana in famiglia, nella Chiesa e nella comunità civile. Saluto gli ufficiali e i militari provenienti da Caserta, che incoraggio a perseverare nel generoso impegno di testimonianza cristiana anche nel mondo militare.
Mi rivolgo infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La gioia del Signore Risorto ispiri rinnovato ardore alla vostra vita, cari giovani, perché siate suoi fedeli discepoli; sia d'incoraggiamento per voi, cari malati, perché possiate affrontare con coraggio ogni prova e sofferenza; sostenga il vostro mutuo amore, cari sposi novelli, affinché nella vostra casa regni sempre la pace di Cristo.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


«HO LA SPINA BIFIDA, E CON L'EUTANASIA NON SAREI TRA VOI» - Giovanni Bonizio – dal sito disabili.com
«Eutanasia» in greco antico significa, letteralmente, «buona morte».
Oggi con questo termine si definisce l’intervento medico volto ad abbreviare l’agonia di un malato terminale (per saperne di più clicca qui).
In Europa, l'Olanda è stato il primo paese in cui è possibile per un medico praticare l'eutanasia su un malato terminale o fornire assistenza ad un malato nelle stesse condizioni che decide di togliersi la vita.
E proprio in seguito al clamore suscitato dal caso di quel medico olandese che pratica l’eutanasia su bambini con gravi patologie, Giovanni, un ragazzo ospite delle Comunità di Sant’egidio, ha deciso di scrivere una lettera, che è già stata pubblicata sul quotidiano romano “Avvenire”.

La sua è una testimonianza importante, cui abbiamo deciso di dare il giusto spazio.


Cari lettori,
Mi chiamo Giovanni Cicconi Bonizio.
Vivo a Roma, ho 24 anni.
Tempo fa su vari giornali italiani sono usciti articoli su un pediatra olandese che pratica l’eutanasia su piccoli pazienti con diverse malattie o handicap, per liberarli dal destino di una vita impossibile e tale da non valere la pena di essere vissuta.

Sento parlare di Referendum, di lasciare il passo alla libera ricerca scientifica: sono altri campi, ma vicini a quello del medico olandese.
Mi è capitato di parlarne con qualcuno e mi sono accorto che è un tema vivo e che è una posizione che si è fatta strada.

Tra i casi in cui il medico ha praticato l’eutanasia c’è quello di un bambino nato con la spina bifida (mielomelingocele).
Eutanasia per «senso professionale» e per «amore», secondo il racconto.
Chiedeva il medico, infatti, quasi con orrore su un quotidiano: «Ma voi avete mai visto un bambino nato con la spina bifida?».
Vorrei cambiare la domanda: avete mai visto crescere un bambino con la spina bifida e diventare un ragazzo, un giovane, un adulto?
L’avrà mai visto lui?
Insieme a un’altra: quando una vita è tale che vale la pena di essere vissuta?
Mi sembra infatti che tanti parlano come se la risposta fosse ovvia, ma proprio ovvia non è.

Evidentemente io debbo essere un sopravvissuto.
Non dovrei esserci.
Sono nato con la spina bifida.
Eppure ho una vita ricca, intensa, anche molti amici.
Ho superato la maturità e ho preso il mio diploma.
Da giugno scorso lavoro in una banca di interesse nazionale.
La mia vita, anzi, è quello che si direbbe «una vita piena di interessi».
Il mio lavoro è buono, la mia famiglia è quella che augurerei a molti altri.
Alcuni problemi in più nella vita mi hanno creato una sensibilità aperta alle difficoltà anche degli altri e forse è per questo che da anni vado a trovare degli anziani: l’amicizia aiuta a vivere anche loro.

Leggo, parlo, scrivo, so usare il computer come tutti i ragazzi della mia età.
Quando sono nato pochi scommettevano su di me.
Per fortuna c’è stato chi mi ha voluto bene, davvero, e non si è spaventato.
Pian piano ho potuto stare eretto, anche camminare e camminare bene.
Mi muovo da solo in una città come Roma.
Ho fatto più fatica di altri, ne sono più orgoglioso di altri.
Non valuto la mia intelligenza (né quella del medico olandese) ma di certo posso parlare, esprimere quello che penso, anche se quel medico teorizza che quelli come me non possono mai comunicare e per questo sarebbe meglio che sparissero.

La mia vita non è né triste né inutile.
Certo, ho subito diversi interventi chirurgici che mi hanno aiutato a superare problemi di vario tipo e mi hanno permesso di vivere il più possibile una vita - come si dice - normale.
Non è stato sempre facile, qualche volta ho anche sofferto, ma nei letti vicino al mio c’erano sempre tanti altri ragazzi con la stessa voglia di guarire, di comunicare, di farsi amici e soprattutto di vivere.

C’è invece, ormai, una incapacità a concepire la vita quando ci sono delle difficoltà da superare.
Il medico olandese e quelli che la pensano come lui dovrebbero interrogarsi sulla loro paura della vita.
Paura di una vita che contiene anche fatica, conquista, lotta, sconfitte, vittorie, e che non è semplicemente una piatta crescita biologica, magari ubriaca delle ultime, mai soddisfacenti, mode.
Una cartolina di tutti belli e tutti vincenti che si liquefa alle prime difficoltà della vita, dove tutti sorridono a 36 denti e fanno fitness e beach volley.

Penso che ci dovremmo tutti chiedere un po’ di più cosa è davvero umano e cosa non lo è, invece di essere stupiti del fatto che nella nostra società aumenta il numero delle persone depresse, che migliaia fanno la fila per diventare veline, che milioni sognano di indovinare «il prezzo è giusto» e che non si sa a che cosa tengono davvero i giovani.
Il problema è che non sempre si fa tutto quello che si potrebbe fare per aiutare chi ha un problema, una malattia, a vivere meglio.
È su questo che il medico olandese e chi pensa che l’eutanasia è un modo di dare dignità alla vita dovrebbe spendere più energie e conoscenze.

L’eutanasia sui bambini mi sembra davvero orribile, perché non sanno difendersi.
Si uccidono - perché di questo si tratta - quelli che hanno dei difetti senza neanche aspettare che crescano per vedere cosa succede, senza invece dare quello che è necessario: più aiuto a chi è solamente più debole.
La proposta è questa: se proprio dobbiamo eliminare qualcosa, allora, invece di abolire la fragilità è meglio cominciare dalla paura della fragilità che ci fa tutti più disumani (e più indifesi).
Giovanni Bonizio


Olanda. Sanità, pillole del suicidio per anziani depressi? - ultimo aggiornamento: 14 april 2001 19:47 - Archivio RaiNews24.
Bruxelles, 14 Aprile
In Olanda si apre un nuovo fronte nel dibattito etico sulla vita umana: l'ipotesi di consentire il suicidio di anziani che non hanno più voglia di vivere pur non essendo malati terminali.

L'idea è del ministro della Sanità
Questo passo oltre l'eutanasia, attraverso cosiddette "pillole del suicidio" per anziani depressi, è stato prospettato da un esponente politico di rilievo, il ministro della Sanità olandese Els Borst, in un'intervista pubblicata oggi dall'edizione internet di un giornale di Rotterdam. "Non sono contraria - ha dichiarato la signora ministro al quotidiano 'Nrc Handelsblad' - purché possa essere stabilito per legge in maniera sufficientemente accurata che ciò riguarda solo persone molto anziane le quali ne abbiano abbastanza della vita".

Spegnere un'esistenza "insensata"
La Borst, esponente del governo di centro sinistra di Wim Kok al potere all'Aja, ha tenuto a sottolineare che in questo caso non si tratta di porre fine al dolore intollerabile causato da malattie inguaribili come il cancro, ma di spegnere un'esistenza che la vecchiaia ha reso insensata: "Essere stanchi della vita - ha affermato, almeno secondo quanto riportato dal giornale e da sintesi del suo intervento - non ha niente a che fare con la legge sull'eutanasia, con la medicina e i dottori".

Oltre l'eutanasia
L'Olanda, proprio questa settimana, è stato il primo Paese al mondo a legalizzare l'eutanasia, imponendo peraltro rigide regole sulle condizioni e i consulti medici che devono precederla. L'opposizione cristiano-democratica olandese (Cda) ha subito criticato le dichiarazioni della Borst: "Sono passati solo un paio di giorni dall'approvazione della legge sull'eutanasia - ha sottolineato il capogruppo parlamentare del Cda, Joop de Hoop Scheffer - e già il ministro vuole andare un passo più in là".

Diritto di morire 'a comando'
Il ministro, esponente del partito D66 le cui tesi molto 'libertarie' hanno portato pochi voti alle ultime elezioni, ha perorato il diritto di morire a comando ad esempio per una anziana di 95 anni di sua conoscenza: non ha più alcun interesse, non ha più familiari con cui parlare, e "se mi dicesse 'ho qui una pillola e la prendo' certamente mi starebbe bene".

E' solo un'ipotesi
Per le "pillole del suicidio" comunque, all'Aja si è ancora nel campo delle ipotesi. La Borst ha sottolineato che la stesura di una normativa su come stabilire chi sia abbastanza stanco di vivere a causa dell'età non è materia per il suo dicastero. Però ha invitato indirettamente il suo collega della giustizia a pensarci su, e ha affermato che "potrebbe ben esserci un ministro della Giustizia che dica: voglio consentire alla gente di farla finita".

Possibilità di 'contagio' in Belgio
Anche se l'Olanda è un paese relativamente piccolo, storicamente le sue tendenze influenzano anche un'altro stato fondatore dell'Unione europea: il Belgio. Come già avvenuto quest'anno in fatto di liberalizzazione di droghe leggere e di unioni omosessuali, c'è chi scorge il rischio di 'contagio' della maggioranza liberal-socialista e verde in Belgio, la quale si è già dichiarata propensa ad autorizzare l'eutanasia a certe condizioni.
© Rainews24, 2009.


Matrimoni gay: Consulta rigetta ricorsi – Ansa.it
ROMA - La Corte Costituzionale ha rigettato i ricorsi sui matrimoni gay presentati dal Tribunale di Venezia e dalla Corte di Appello di Trento per chiedere l'illegittimità di una serie di articoli del codice civile che impediscono le nozze tra persone dello stesso sesso. I giudici della Consulta - secondo quanto appreso dall'ANSA - nelle motivazioni della decisione presa stamane in camera di consiglio dovrebbero puntualizzare che compete alla discrezionalità del legislatore la regolamentazione dei matrimoni gay.

La Corte Costituzionale - ha successivamente reso noto Palazzo della Consulta - ha rigettato i ricorsi sui matrimoni gay dichiarando inammissibili le questioni sollevate dai Tribunale di Venezia e dalla Corte di Appello di Trento in relazione all'ipotizzata violazione degli articoli 2 (diritti inviolabili dell'uomo) e 117 primo comma (ordinamento comunitario e obblighi internazionali) della Costituzione. I ricorsi sono stati invece dichiarati infondati in relazione agli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 29 (diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio). Le motivazioni della decisione si conosceranno nei prossimi giorni e saranno scritte dal giudice costituzionale Alessandro Criscuolo.

A portare la questione all' attenzione della Corte Costituzionale erano stati il tribunale di Venezia e la Corte di Appello di Trento chiamati a dirimere le vicende di tre coppie gay alle quali l' ufficiale giudiziario aveva impedito di procedere alle pubblicazioni di matrimonio. Nei ricorsi alla Consulta si ipotizzava il contrasto tra gli articoli del codice civile sul matrimonio con diversi principi sanciti dalla Costituzione. In particolare l'ingiustificata compromissione degli articoli 2 (diritti inviolabili dell' uomo), 3 (uguaglianza dei cittadini), 29 (diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio) e 117 primo comma (ordinamento comunitario e obblighi internazionali) della Costituzione. I ricorrenti, in sostanza, affermavano la non esistenza nell'ordinamento di un espresso divieto al matrimonio tra persone dello stesso sesso e lamentavano l'ingiustificata compromissione di un diritto fondamentale (quello di contrarre matrimonio) oltre che la lesione di una serie di diritti sanciti a livello comunitario. Per non parlare poi - veniva fatto notare - della disparità di trattamento tra omosessuali e transessuali, visto che a questi ultimi, dopo il cambiamento di sesso, è consentito il matrimonio tra persone del loro sesso originario. Nel corso dell'udienza pubblica a palazzo della Consulta, lo scorso 23 marzo, i legali delle coppie gay avevano sollecitato la Corte a dare una "risposta coraggiosa" che, anticipando l'intervento del legislatore, consentisse il via libera ai matrimoni omosessuali. Dal canto suo, invece, l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri, per conto della presidenza del consiglio, aveva ribadito che il matrimonio si basa sulla differenza tra sessi e aveva rivendicato il primato del legislatore a decidere su una materia tanto delicata. La Corte, nel dichiarare inammissibili e infondati i ricorsi, fa già intendere ciò che metterà nero su bianco tra qualche settimana e cioé che non è sua competenza stabilire le modalità più opportune per regolamentare le relazioni tra persone dello stesso sesso. Resta da vedere - ma questo si comprenderà solo dalla lettura delle motivazioni della sentenza che sarà scritta dal giudice Alessandro Criscuolo - se la Corte coglierà l'occasione o meno per sollecitare il legislatore a provvedere.


OMOSESSUALITÀ E PEDOFILIA DEI SACERDOTI: IL CARDINAL BERTONE CITA DEGLI ESPERTI - La Santa Sede spiega le interpretazioni delle dichiarazioni del porporato in Cile - di Jesús Colina
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nelle sue dichiarazioni su pedofilia e omosessualità, il Cardinale Tarcisio Bertone SDB si è limitato a far riferimento agli studi scientifici realizzati sui sacerdoti, ha spiegato questo mercoledì la Sala Stampa della Santa Sede, chiarendo le inesatte interpretazioni compiute dai mezzi di comunicazione.
Un elevato numero di organizzazioni omosessuali, così come alcuni rappresentanti politici, tra cui il Ministro degli Esteri francese, hanno attaccato le dichiarazioni che il Segretario di Stato di Benedetto XVI ha rilasciato questo lunedì in una conferenza stampa concessa al Seminario Pontificio di Santiago del Cile, dopo che i mezzi di comunicazione gli hanno attribuito erroneamente una relazione di analogia tra omosessualità e pedofilia.
Dopo il rientro del porporato a Roma, una dichiarazione emessa da padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, contestualizza la dichiarazione: "le autorità ecclesiastiche non ritengono di loro competenza fare affermazioni generali di carattere specificamente psicologico o medico, per le quali rimandano naturalmente agli studi degli specialisti e alle ricerche in corso sulla materia".
Al giornalista che ha chiesto se esiste una relazione tra il celibato e i casi di pedofilia dei sacerdoti, il Cardinal Bertone ha risposto: "Molti psicologi, molti psichiatri hanno dimostrato che non c'è un rapporto tra celibato e pedofilia, ma molti altri hanno dimostrato, e me l'hanno riferito recentemente, che esiste una relazione tra omosessualità e pedofilia".
Il portavoce vaticano ha spiegato che "per quanto di competenza delle autorità ecclesiastiche, nel campo delle cause di abusi su minori da parte di sacerdoti affrontate negli anni recenti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, risulta semplicemente il dato statistico riferito nella intervista di Mons. Charles J. Scicluna (cfr. ZENIT, 14 marzo 2010), in cui si parlava di un 10% di casi di pedofilia in senso stretto, e di un 90% di casi da definire piuttosto di efebofilia (cioè nei confronti di adolescenti), dei quali circa il 60% riferito a individui dello stesso sesso e il 30% di carattere eterosessuale".
Padre Lombardi conclude dichiarando che "ci si riferisce qui evidentemente alla problematica degli abusi da parte di sacerdoti e non nella popolazione in generale".
Queste dichiarazioni sono sostenute dal rapporto pubblicato nel 2004 dal John Jay College of Criminal Justice della City University di New York, considerato il più completo al mondo sull'argomento.
Analizzando le denunce di abusi sessuali presentate contro chierici tra il 1950 e il 2002 nelle varie Diocesi degli Stati Uniti, il rapporto constatava che la stragrande maggioranza delle vittime, l'81%, era costituita da maschi.
Lo studio del John Jay ha affermato che la pedofilia, un'attrazione per ragazzi in età prepuberale diagnosticata come malattia psichiatrica, era una piccola parte del problema degli abusi sessuali. Le vittime erano per la maggior parte adolescenti che avevano superato la pubertà.
Philip Jenkins, Edwin Erle Sparks Professor of Humanities alla Pennsylvania State University (PSU), Senior Fellow all'Istituto della Baylor University per gli Studi sulla Religione, che ha studiato per quasi trent'anni il fenomeno diventandone, con i suoi articoli e i suoi libri, uno dei maggiori esperti, conferma nelle sue opere queste spiegazioni.
A conclusioni analoghe sono giunti anche gli studi di Massimo Introvigne, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (http://www.cesnur.org).


DEFORMATE LE PAROLE DEL CARDINAL BERTONE SU OMOSESSUALITÀ E PEDOFILIA - Intervista a Massimo Introvigne, Direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni - di Jesús Colina
PAMPLONA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il prof. Massimo Introvigne, Direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), afferma che il Cardinale Tarcisio Bertone è stato vittima di una aggressione basata sulla disinformazione circa quanto da lui realmente dichiarato in merito al legame tra casi di abuso sessuale da parte di sacerdoti e omosessualità.
Da Pamplona, dove partecipa in questi giorni al XXXI Simposio di Teologia dell'Univesità di Navarra, il sociologo ha risposto alle domande di ZENIT, nel mezzo della tempesta di attacchi che si è abbattuta sul Segretario di Stato di Benedetto XVI, in seguito ad alcuni lanci d'agenzia che riprendevano una conferenza stampa da lui concessa questo lunedì a Santiago del Cile.
Rispondendo a un giornalista, il Cardinal Bertone ha fatto semplicemente riferimento agli studi realizzati sui casi di quei sacerdoti che hanno commesso abusi sessuali e dai quali emerge che per lo più sono stati commessi su ragazzi che hanno passato la pubertà. Quali sono le cifre?
Massimo Introvigne: Credo che sia doveroso esprimere solidarietà al Cardinale Bertone, vittima di un'aggressione indegna e anche francamente maleducata. Nel quadro di un'intervista, che non è un saggio scientifico, il Cardinale ha semplicemente fatto allusione a un dato ovvio, che tutti gli addetti ai lavori conoscono. Secondo il rapporto del 2004 del John Jay College di New York, lo studio più autorevole che esista sul tema, negli Stati Uniti l'81% delle accuse di abusi su minori rivolte a sacerdoti riguardano i ragazzini e non le ragazzine. Parliamo di maschi che abusano di altri maschi. Anche in Irlanda gli abusi di sacerdoti su ragazzi sono circa il doppio di quelli su ragazze. Questi sono numeri, che come tali non dovrebbero offendere nessuno e a cui non va fatto dire più - ma neanche meno - di quanto dicono.
Ma non si può dire che gli omosessuali siano pedofili!
Massimo Introvigne: Certamente nessuno ha mai sostenuto che tutti i preti con tendenze omosessuali abusano di minori. Questa sarebbe un'accusa del tutto ingiusta. Che la maggior parte dei preti che abusano di minori, però, abusino di minori dello stesso sesso invece è un fatto.

Come sono state deformate le parole del Cardinal Bertone?
Massimo Introvigne: Certamente il Cardinal Bertone non voleva intervenire sulla qualificazione medica di questi comportamenti: efebofilia, omofilia, pedofilia... Coloro che lo criticano qualche volta però scambiano un'intervista per un trattato di medicina, e semplicemente vorrebbero vietare di citare dati statistici che considerano non politicamente corretti. E questa è una forma di censura inaccettabile, talora travestita da scienza.
Benedetto XVI ha stabilito invece un rapporto chiaro nella sua Lettera Pastorale ai Cattolici d'Irlanda, (19 marzo 2010) tra questi casi e la perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti che si è sviluppato all'interno della Chiesa stessa successivamente al Concilio Vaticano II. Vede qui un rapporto diretto?
Massimo Introvigne: Come opinione personale ritengo anche che una certa tolleranza in alcuni seminari cattolici - sia chiaro: non in tutti - di una subcultura omosessuale negli anni 1970 sia stata una parte non secondaria di quella confusione morale e contestazione teorica e pratica del magistero morale della Chiesa che il Papa denuncia nella lettera sull'Irlanda. Questa confusione dottrinale e pratica ha creato il terreno su cui talora è potuta crescere anche la mala pianta della tolleranza per gli abusi. Certo, questa non è stata l'unica causa della crisi ma è parte di un problema più generale. Giustamente quindi la Chiesa ha preso misure che affrontano questo problema. Non dovrebbe essere una novità per nessuno il fatto che la Chiesa - fermo il rispetto delle persone omosessuali in quanto persone - considera gli atti omosessuali come sempre oggettivamente disordinati. E se li considera tali nella società in genere, tanto più non li può tollerare nei noviziati e nei seminari.
Qual è la ragione di attacchi così duri ma anche ingiusti contro il Cardinale Bertone, il Papa e la Chiesa?
Massimo Introvigne: Ormai è sotto gli occhi di tutti l'azione di una lobby gay che vuole trarre pretesto dalla questione dei preti pedofili per imbavagliare la Chiesa, impedirle di riproporre la sua dottrina sul carattere oggettivamente disordinato dell'atto omosessuale e soprattutto ostacolare l'azione molto efficace che i cattolici hanno dispiegato, per esempio in Italia con il Family Day, per bloccare ogni ipotesi di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali da parte degli Stati. Il modo giusto di rispondere alla prepotenza delle lobby è non arretrare mai. Anzi, la dottrina della Chiesa sull'omosessualità va riproposta e spiegata con pacatezza in ogni sede, “opportune et importune”. Questa dottrina va pure mostrata nel suo fondamento di ragione e non solo di fede, così che s'impone nella sua ragionevolezza anche ai non credenti e chiedere agli Stati di tenerne conto non costituisce un'ingerenza della Chiesa ma un servizio al bene comune. E i laici cattolici, specie quelli impegnati in politica, devono alzare la voce contro ogni ipotesi di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali. E contro gesti provocatori come il matrimonio simbolico fra due lesbiche "celebrato" il mese scorso dal sindaco di Torino.


14/04/2010 - ASIA – VATICANO - Venti di guerra e crisi economica dietro gli attacchi al Papa - di Maurizio d'Orlando - La violenta campagna contro Benedetto XVI, guidata dal New York Times, mira a colpire la sua autorità morale e quella della Chiesa cattolica. In previsione di una possibile guerra contro l’Iran e del fallimento del Tesoro americano e del mercato dell'oro.
Milano (AsiaNews) - La pedofilia è un grave scandalo. Che riguardi poi dei sacerdoti cattolici è uno scandalo ancor maggiore. Soprattutto, per un cattolico devoto, è un dolore simile a pochi altri. È inoltre anche un bene che gli scandali vengano alla luce. È infatti ancora peggio un cancro che divori nel silenzio non solo le anime, ma che pian piano inquini e distrugga dall’interno tutta la struttura dei rapporti dentro la Chiesa. Chi volesse poi cercare un mezzo per attaccare la Chiesa Cattolica non potrebbe trovare pretesto migliore e s’è visto in questi giorni con gli attacchi davvero gratuiti al Papa, culminati il 25 marzo con le evidenti faziosità di un articolo a firma di Laurie Goodstein del New York Times[1].Così, con un chiaro paradosso, proprio il papa Benedetto XVI, che in tempi recenti ha ripetutamente chiesto di non applicare alcuna tolleranza in tali casi, è stato preso di mira più di altri mai prima.
Per precisare e definire gli esatti ruoli e confutare le accuse al Papa già ne hanno scritto in merito vari organi vaticani. Anche il Wall Street Journal ha pubblicato il 6 aprile scorso un editoriale che contestava punto per punto la diffamazione contro il Papa contenuta nell’articolo del New York Times.
Eppure, al di là delle calunnie, ci sono delle coincidenze che disturbano. Una prima coincidenza è che le numerose accuse (alcune risalenti anche a quarant’anni fa) sono spuntate tutte insieme, all’improvviso, come funghi, un po’ dappertutto in vari Paesi del mondo. È già una concomitanza singolare, ma altre, forse più complesse, formano un quadro un po’ inquietante.
L’anti-cattolicesimo del New York Times
A distinguersi negli attacchi al papa è proprio Laurie Goodstein, capo redattrice per le questioni religiose del NYT, nota per uno specifico e particolare livore anti-cattolico, come lo scorso anno aveva ben sintetizzato l’arcivescovo di New York, mons. Timothy M. Dolan in un articolo dal significativo titolo “Anti Cattolicesimo”[2] sul sito ufficiale della diocesi, che il NYT si è rifiutato di pubblicare.
Tale “preferenza” per gli scandali nel mondo cattolico è evidente anche da un altro lato: il NYT (al pari di altri quotidiani americani) si è rifiutato di riferire con la stessa ampiezza altri scandali di pedofilia, riguardanti ad esempio Yehuda Kolko, docente alla Yeshiva Torah Temimah di Brooklyn[3]. Allo stesso modo il NYT non ha sentito il bisogno di riferire che Dov Hikind, fanatico dell’ estrema destra sionista si è rifiutato di testimoniare in tribunale in merito alle migliaia di testimonianze raccolte in breve tempo dopo un programma alla radio su recentissimi scandali di pedofilia ed incesto interni alle comunità ebraiche di New York, (in particolare quelle degli haredim). Eppure la notizia c’era: a chiedergli di riportare la sua testimonianza era stato l’avvocato Dowd, noto in tutti gli USA per le sua celebri cause collettive che hanno portato sul lastrico non poche comunità religiose e diocesi cattoliche americane.
Un’altra coincidenza è che, mentre in mancanza di meglio vengono riesumate vicende di quaranta anni fa che riguardano sacerdoti cattolici, passano invece sotto silenzio altre ben più recenti e gravi vicende di pedofilia[4] (particolarmente significativa la vicenda – su cui Tony Blair ha imposto il segreto di Stato per i prossimi cento anni – riguardanti, una ragazza scozzese, Hollie Greig, e che nel 2003 vedeva coinvolti, tra gli altri il segretario generale della NATO, Lord Robertson e Gordon Brown, allora ministro del Tesoro ed oggi Primo Ministro).
Preparare un attacco all’Iran
Tuttavia, non è inquietante che il NYT applichi due pesi e due misure perché ormai sono rimasti in pochi a ritenerlo autorevole. Non è significativa nemmeno l’ipocrisia britannica sulle vicende sporche di casa propria: è la consuetudine. Molto più inquietante è invece un’altra coincidenza. Il giorno stesso dell’articolo della Goodstein, l’agenzia Reuters raccoglieva a Gerusalemme la notizia, pubblicata il giorno successivo, il 26/3/2010, e ripresa dal Washington Post[5], rapidamente scomparsa dalla stampa “indipendente” anglo-americana e di quasi tutto il resto del mondo: la possibilità che Israele impieghi bombe nucleari tattiche in un attacco preventivo contro l’Iran.
Questa notizia è strettamente collegata ad un’altra, brevemente apparsa un paio di settimane prima e anch’essa poi rapidamente scomparsa dalla stampa “indipendente”: per ordine di Barack Obama una spedizione di speciali bombe ad altissimo potenziale (da impiegare in un attacco all’Iran per far esplodere i rifugi sotterranei) è stata dirottata da Israele, dove era originariamente diretta, alla base militare USA di Diego Garcia nell’Oceano Indiano[6]. Situata 1000 miglia a sud dell’India, al largo tra le isole Mauritius ed il Golfo Persico, Diego Garcia è la base ideale per lanciare un attacco aereo all’Iran. Secondo un esperto, già ora i bombardieri americani sono pronti a colpire 10mila obbiettivi in Iran in poche ore, distruggendo totalmente il Paese[7]. Quando sarà completata la consegna (logisticamente è presumibile in circa uno, due mesi) il dispositivo d’attacco sarà completamente in opera ed il lancio di un’operazione militare potrebbe perciò essere ordinato in qualsiasi momento. In altri termini gli USA vogliono mantenere in proprio pugno tutte le opzioni, mentre Israele vuol premere l’acceleratore e minaccia di usare le proprie armi nucleari tattiche, se gli USA non si decidono a fare quanto Israele desidera.
Il 9 aprile la Russia e gli USA hanno firmato un accordo in un cui s’impegnano a non usare armi atomiche contro i Paesi che hanno firmato i trattati di non proliferazione nucleare (e questo lascia fuori l’Iran e la Corea del Nord, ma, di rigore, anche Israele, di cui però non si dice). Sempre di questi giorni è la notizia che Obama e Sarkozy si stanno adoperando per formare un consenso internazionale a nuove sanzioni contro l’Iran entro poche settimane, forse già nei prossimi giorni. È dunque chiaro che dalle sanzioni si potrebbe passare ben presto ad un attacco catastrofico contro l'Iran. Eppure l’Iran non è il solo Paese che potrebbe aver violato gli accordi di non proliferazione nucleare. Ad esempio Israele, in barba a tutti i trattati, dispone di ben 200 /400testate atomiche. Anzi ne minaccia l’impiego (sebbene facendo riferimento ad armi nucleari “tattiche”, come se ciò fosse meno inquietante). Il punto, come è noto, riguarda il fatto che l’Iran starebbe (forse) per dotarsi di alcuni, pochi, ordigni nucleari. Il forse, in questo caso è d’obbligo perché di prove certe non ne sono state fornite. Il condizionale è pure d’obbligo dopo che il mondo ha potuto constatare che valore possono avere le informative provenienti dai vari servizi segreti. Si disse che l’Iraq di Saddam Hussein disponeva di armi di distruzione di massa. L’Iraq è stato invaso, circa 1,3 milioni di iracheni sono morti, eppure le armi di distruzione di massa non sono state trovate. Di fronte a certe asserzioni, una qualche perplessità è comprensibile, senza per questo voler assolvere né Saddam Hussein, né il regime iraniano. Tale perplessità viene però spesso tacciata di fiancheggiamento del terrorismo islamista e magari di antisemitismo in senso lato (laddove ad esempio questo termine viene esteso a chiunque critichi la politica del governo d’Israele).
Il punto è che se le sanzioni sono il preludio ad un attacco contro l’Iran, forse non a tutti è chiaro che una distruzione dell’Iran, magari con l’uso di armi nucleari tattiche, potrebbe innescare la III Guerra mondiale. Circa 10 mila cittadini russi operano nelle vicinanze delle centrali nucleari iraniane per la produzione di energia elettrica ed è noto che la Cina ha stretto buoni rapporti con l’Iran. Certo il regime iraniano è inquietante, a dir poco, ma è davvero poco credibile che per bloccare il possibile approntamento di alcuni ordigni nucleari, che vanno ad aggiungersi ai tantissimi già stoccati negli arsenali di tutto il mondo, si rischi d’innescare un conflitto mondiale di proporzioni inimmaginabili.
Il grande fallimento economico
La questione forse è un’altra: la guerra dovrebbe servire a nascondere un grande fallimento economico. Ci attendono infatti nuove ondate di insolvenze nei mutui e nei titoli finanziari "tossici". Sta per venire alla luce l’insolvenza sui mercati “fisici” dell’oro e di altre materie prime, una frode gigantesca con al centro HSBC, Goldman Sachs e JPMorgan-Chase, al cui paragone quella di Madoff parrà il furtarello delle merendine tra alunni delle scuole elementari. Guarda caso proprio nello stesso periodo, in cui fu tacitato lo scandalo nelle alte sfere britanniche, sempre Gordon Brown vendette (o svendette ? ) le riserve auree britanniche[8]. Soprattutto, il debito pubblico in molti Paesi del mondo ha raggiunto proporzioni non solo non più gestibili, ma che nemmeno più si possono nascondere o procrastinare in un lontano futuro, perché il futuro è arrivato, è ora. Secondo la Banca dei regolamenti Internazionali (BRI) - non secondo AsiaNews o qualche blogger un po’ estremo o lunatico - il debito pubblico USA è destinato a toccare il 400 % del PIL. Diviene necessario mettere la sordina alle truffe gigantesche sulle vendite allo scoperto sui mercati fisici di Londra e New York di metalli preziosi, che ora ed altri non sono in grado di onorare. Soprattutto il sistema-potere che controlla il circuito dei grandi mezzi di comunicazione deve giustificare la prossima inevitabile ed ormai certa insolvenza della Federal Reserve e del Tesoro degli Stati Uniti.
Come insegna la storia, non da ultimo la guerra delle Falklands da parte della giunta argentina in piena bancarotta, una guerra (o in certi altri casi, vedi la Jugoslavia, una guerra civile) ha il “pregio” di coprire tutto con l’iperinflazione. È una soluzione semplice e geniale, ben collaudata da millenni.
In questo contesto, chi potrebbe avere qualcosa da ridire ? La Chiesa Cattolica ed il Papa. Per questo, occorreva ed occorre colpirne l'autorità morale ad ogni costo. Ma forse questa è solo una coincidenza.
[1] La campagna lanciata da stampa e televisione ha però lasciato dei segni. Sembra infatti quasi che la pedofilia sia un fenomeno che riguardi solo o principalmente i sacerdoti cattolici. Celibi per tradizione e legge della Chiesa, accusarli è facile. In USA, ad esempio, le accuse riguardano quasi il 4 % dei preti cattolici, ma di essi solo l’1% sono poi riconosciuti colpevoli. Sembra anche che, per definizione, l’unica preoccupazione dei vescovi sia di coprire i preti pedofili, come se non vi fossero non solo precetti di fede e regole canoniche ben precise, ma come se negli USA e nel resto del mondo manchino giudici e tribunali disposti a scontrarsi con le gerarchie cattoliche. Semmai è vero il contrario: molti mezzi di comunicazione e molti ambienti giuridici hanno dato prova di essere mossi da malevoli preconcetti nei confronti del cattolicesimo e delle gerarchie cattoliche.
[2] Vedi http://blog.archny.org/?p=42, 29 ott. 2009, Anti-Catholicism, di Timothy M. Dolan.
[3] Cfr.: http://failedmessiah.typepad.com/failed_messiahcom/2008/11/ny-times-sexual.html
[4] Si pensi anche alla vicenda degli omicidi compiuti in Belgio da Marc Dutroux in un ambito di gruppi pedofili cui era emerso un coinvolgimento non solo del capo della polizia ma anche di Jacques Delors presidente della Commissione Europea. Si pensi anche ai numerosi casi di pedofilia nell'organizzazione dei Boy Scout in Australia e negli stessi USA sono completamente ignorate da tutti i mezzi di comunicazione di massa.
[5] Israel could use tactical nukes on Iran, Dan Williams, Friday, March 26, 2010
http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/03/26/AR2010032601354.html
[6] http://www.heraldscotland.com/news/world-news/final-destination-iran-1.1013151
http://www.worldtribune.com/worldtribune/WTARC/2010/me_israel0217_03_18.asp
[7] L’ordine di Obama blocca anche la consegna ad Israele di alcuni strumenti d’attacco (elicotteri e aerei cisterna per il rifornimento in volo su lunghe distanze) necessari per un’offensiva contro l’Iran, già in precedenza negati da Bush. Il rifiuto di George Bush era stato espresso a fine agosto poche settimane prima del fallimento Lehman durante la campagna elettorale presidenziale americana ed aveva avuto l’effetto di spostare il favore ed i finanziamenti della lobby ebraica USA da McCain ad Obama..
[8]Vedi: Did Gordon Brown Sell UK's Gold To Keep AIG And Rothschild Solvent ? ; More Disclosures On How The NY Fed Manipulates Gold Prices http://www.zerohedge.com/article/did-gordon-brown-sell-uks-gold-keep-aig-and-rothschild-solvent-more-disclosures-how-ny-fed-m


Avvenire.it, 15 Aprile 2010 - La sentenza della Corte - Non ammette forzature il linguaggio del buon diritto - Francesco D'Agostino
Grazie alla Corte Costituzionale, il tentativo di introdurre nel nostro ordinamento il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, sfruttando in modo capzioso il dettato di alcuni articoli della Costituzione, è fallito. Non è vero che le coppie omosessuali vadano fatte rientrare nel novero delle formazioni sociali tutelate dall’art. 2; non è vero che si incrina il principio d’eguaglianza, proclamato nell’art.3, negando le nozze ai gay; non è vero che si possa leggere il testo dell’art. 29, come se il riferimento alla famiglia avesse una valenza plurale (cioè come se esistessero diversi modelli di famiglia, tutti parimenti meritevoli di attenzione da parte del legislatore).

Hanno assolutamente torto quindi, in buona sostanza, quegli omosessuali che affermano di essere discriminati perché la legge non concede loro di sposare il partner; la discriminazione non esiste, perché l’esperienza della coppia omosessuale può anche avere un forte rilievo psicologico, affettivo e sociale, ma non per questo possiede un rilievo giuridico, perché non crea famiglia, non attiva cioè quei vincoli interpersonali e intergenerazionali che giustificano quella regolamentazione giuridica del rapporto eterosessuale che chiamiamo "matrimonio".

Vengono così confutate le opinioni di coloro che percepiscono un conflitto tra la normativa italiana in tema di matrimonio e famiglia e le indicazioni normative europee, che siamo vincolati a rispettare; vengono così dichiarate inconsistenti le opinioni di tutti quei giuristi (né pochi né privi di prestigio) che da anni cercano di convincere l’opinione pubblica che bisogna dare una lettura "progressista" del testo costituzionale, identificando il progressismo col libertarismo; vengono respinti i tentativi di abusare del linguaggio e del lessico dei diritti, per far ottenere riconoscimento giuridico a ciò che non lo merita.
Sappiamo che la battaglia sul matrimonio tra gay continuerà; ma adesso, dopo la pronuncia della Corte, possiamo sperare che venga condotta con mezzi intellettualmente più onesti di quelli fino ad ora utilizzati.

Tutto bene, dunque? Forse sì, forse no: da alcune indicazioni ufficiose (dato che nel momento in cui scrivo non si ha ancora il testo del dispositivo della sentenza) sembra che i giudici della Consulta abbiano sostenuto che qualsiasi decisione in tema di matrimonio omosessuale spetti esclusivamente alla volontà esplicita e positiva del legislatore (e che quindi non possa essere ottenuta in via obliqua, come hanno cercato di fare i ricorrenti, peraltro sonoramente sconfitti).
Se fosse davvero così, se la Corte avesse riconosciuto che è nella discrezionalità del potere politico modellare il matrimonio non nelle sue configurazioni storicamente contingenti, ma nella sua struttura, avrebbe commesso un errore. Il matrimonio non è una invenzione dello Stato e va da questo rispettato nella sua identità di vincolo eterosessuale e generazionale. Guai se ci lasciamo indurre a pensare che il legislatore possa manipolare istituzioni antropologiche fondamentali, fino al punto da renderle irriconoscibili. Si dirà: ma non è proprio questo che è avvenuto nella Spagna di Zapatero, col riconoscimento del matrimonio gay? Sì, è avvenuto proprio questo; è avvenuto che la legge abbia umiliato il diritto e la giustizia ed abbia istituzionalizzato il torto. L’intervento della Consulta ha impedito che un analogo torto venisse istituzionalizzato anche in Italia.

Diciamole grazie. E mentre le diciamo grazie, ricordiamole che la sua altissima funzione consiste nell’essere non solo la custode della Costituzione, ma ancor più e ancor prima la custode del buon diritto.
Francesco D'Agostino


Avvenire.it, 15 Aprile 2010 - Il sacerdote nelle parole del Papa - Fino alla trasparenza per lasciar vedere Cristo
Non c’è posto per sostituti presuntuosi, né per asettici portavoce. Non siamo successori di Gesù Cristo, come se fossimo al posto di uno che non c’è più. Non c’è un vuoto di presenza che dobbiamo riempire: al contrario, c’è una pienezza di azione del Signore che dobbiamo scrupolosamente servire. Vale per il Papa come per i semplici sacerdoti, che consegnano lealmente e lietamente la propria vita, perché Egli se ne serva. È con questo che dobbiamo immedesimarci, ed è in nome di questo che abbiamo un sacrosanto titolo di rappresentanza del Signore. Non è un progetto di autorealizzazione, che si accredita mediante la religione. È un lavoro di molatura, che scava nell’anima e nella carne, fino a farci diventare "trasparenti". Niente più di questo, niente meno di questo.

Verità elementare del sacerdozio, che non è tuttavia inopportuno rimettere sul proprio asse. Benedetto XVI l’ha enunciata ieri nella sua nettezza, spiegandone il senso in modo molto diretto. La formula solenne della dogmatica cristiana e cattolica, secondo la quale il sacerdote agisce <+corsivo_bandiera>in persona Christi Capitis<+tondo_bandiera>, gli assegna la funzione di rappresentare il Signore, che insegna, santifica e governa la comunità dei credenti. Nell’uso più comune, esplicita il Papa, «rappresentare» indica il fatto di «ricevere una delega da una persona per essere presente al suo posto, parlare e agire al suo posto, perché colui che è rappresentato è assente dall’azione concreta». E prosegue: «Il sacerdote rappresenta il Signore allo stesso modo? La risposta è no, perché nella Chiesa Cristo non è mai assente, la Chiesa è il suo corpo vivo e il Capo della Chiesa è lui, presente e operante in essa». I Vangeli – non un trattato filosofico – ci istruiscono sul modo in cui Gesù lo fa, per filo e per segno. La rappresentanza di Uno "che c’è" significa mostrarlo e indicarlo. Il ministero ecclesiale può e deve dunque restituire ognuno dei suoi interlocutori alla parola e all’azione del Signore medesimo. Lo puoi fare solo se sei tu stesso un ascoltatore scrupoloso e profondo, se sei un servitore affidabile e appassionato. Il Papa cita Agostino: «Quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi».

Il sacerdote «non parla da sé» e «non parla per sé». Parla per conto della Chiesa. E quando parla per conto della Chiesa, lo si capisce dal fatto che ci restituisce alla parola e all’azione del Signore. Dobbiamo sottolineare l’urgenza cruciale di questa trasparenza – e del suo coraggioso azzardo? Sì. L’evidenza elementare di questo rigore della rappresentanza svuota il fraintendimento del ministero della Chiesa. Riporta in primo piano la sola cosa realmente necessaria: il servizio alla Verità di una promessa che è destinata per ogni creatura. «Viviamo in una grande confusione circa le scelte fondamentali della nostra vita e gli interrogativi su che cosa sia il mondo», dice il Papa. Una sfida forte, non una questione di aggiustamenti. Il sacerdote deve esporsi con fermezza e per primo, a favore dei terzi – di quelli che gli sono affidati e di tutti quelli che cercano affidamento – al crogiuolo di questo effetto di smarrimento, riconvertendosi fermamente, lui stesso, alla giustizia dell’essenziale. Per il presente di questo mondo occidentale, e per il futuro del cristianesimo che l’ha nutrito, la fermezza e la trasparenza del ministero ecclesiale sono una discriminante decisiva. In un mondo che affoga nel narcisismo, solo in virtù di uomini che non cercano la propria vita, molti potranno di nuovo sperare di ritrovarla.


Fecondazione eterologa, legge 40 «blindata» - di Assuntina Morresi – Avvenire, 15 aprile 2010
La legge 40, che regola in Italia la procreazione medicalmente assistita, non è nemmeno sfiorata dalla recente sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, quella che ha stabilito l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa (cioè con gameti esterni alla coppia) per due coppie austriache: il pronunciamento della Corte europea non ha niente a che fare con la normativa vigente in Italia perché si riferisce a una incoerenza – secondo la Corte – interna alla legge austriaca, che consente la fecondazione eterologa solo in alcuni casi, a differenza della legge italiana che, invece, la vieta sempre.
In altre parole: la sentenza della Corte di Strasburgo non ci riguarda, non solo perché i suoi pronunciamenti valgono unicamente per le persone che presentano i singoli ricorsi, ma anche perché si riferisce a un quadro normativo diverso dal nostro.
La fecondazione eterologa implica l’esistenza della 'donazione' di gameti da parte di una persona estranea alla coppia che cerca di avere figli. Mentre in Italia è sempre vietata, in Austria è consentita per donatori maschili nel caso dell’inseminazione semplice, quando cioè il liquido seminale è inserito nel corpo della donna. In altre parole, in Austria è consentita la fecondazione eterologa solo quando il concepimento avviene all’interno del corpo, mentre è vietata nella Fivet, quando cioè l’embrione è creato in laboratorio e trasferito successivamente in utero. Di conseguenza, in Austria è sempre vietata la 'donazione' dei gameti femminili – gli ovociti – mentre è consentita quella degli spermatozoi, ma solo quando la fecondazione avviene in vivo e non in vitro, cioè in laboratorio.
e in Italia valesse questa normativa, la fecondazione eterologa sarebbe consentita nei centri di procreazione assistita di primo livello e vietata negli altri. Il governo austriaco, chiamato in causa dalla Corte, giustifica la scelta della sua legge, l’equivalente della nostra 40/2004: nel testo della sentenza sono riportate le motivazioni del legislatore austriaco e anche di quello
Stedesco, che ha una regolamentazione identica sull’eterologa, e si è reso parte in causa nella disputa europea. Le argomentazioni dei due governi sono interessanti e fondate. Ma non c’è dubbio che, una volta ammessa un’eccezione, il divieto all’eterologa diventa parziale, e la Corte ha avuto buon gioco nel sostenere l’incoerenza interna alla normativa.
La sentenza del tribunale europeo si basa sul ricorso di due coppie affette da sterilità in modo differente, una delle quali richiedeva l’intervento di un donatore maschile, consentito nella procedura in vivo ma vietato nel caso in questione, che ne richiedeva una in vitro. La Corte si è pronunciata quindi sulla presunta discriminazione della legge austriaca tra donatori di gameti maschili (qualche volta consentiti) e femminili (sempre vietati), ha giudicato incoerente la differenza fra i percorsi ammessi, e ha concluso che esiste una discriminazione fra le coppie, che in Austria possono ricorrere all’eterologa o meno a seconda del tipo di infertilità, argomentando invece in favore della possibilità di ricorrere sempre alla donazione di gameti da parte di esterni alla coppia.
Parlare di una sentenza che dà «l’ennesimo colpo alla legge 40», come hanno titolato diversi giornali italiani, è quindi inesatto e fuorviante: la nostra legge è coerente al suo interno, perché l’eterologa è sempre vietata. L’ennesimo colpo dovrebbero piuttosto accusarlo gli avversari della 40, che hanno condotto in questi anni un poderoso e continuo attacco politico, giuridico e mediatico senza precedenti, che però non è riuscito a colpire la legge nella sua sostanza. È bene ricordare che nonostante le opportunità che ha avuto la Corte Costituzionale per modificarla anche in modo significativo, il suo unico intervento è stato quello di eliminare il limite massimo dei tre embrioni da formare e trasferire in un unico impianto, lasciando inalterato il divieto alla loro crioconservazione e distruzione, e ribadendo il principio della tutela della salute delle donne.
Le fantasiose sentenze di alcuni tribunali civili riguardano solamente singoli ricorsi, curati dai soliti avvocati – pochi e noti – specializzati oramai nel settore. La tecnica è sempre quella: presentare quante più possibili istanze ai tribunali civili, contando sul fatto che qualche giudice, prima o poi, nel corso del procedimento, trovi il modo di rivolgersi a sua volta alla Corte Costituzionale, l’unica legittimata a modificare la legge. È quanto hanno annunciato di voler fare alcune associazioni (come Hera, Cittadinanza Attiva, Amica Cicogna) già protagoniste di altre iniziative analoghe.
Una strategia che comprende anche quel vociante, ossessivo tam-tam mediatico (molto spesso mal argomentato), per far credere ai cittadini che una legge definita dagli oppositori ingiusta e antiscientifica viene smontata pezzo dopo pezzo dalla 'saggezza' dei tribunali. Ma è evidente, invece, che in Parlamento, cioè nella sede preposta a legiferare, non c’è nessuno veramente disposto a ingaggiare una battaglia per mettere mano alla legge 40. Ed i cittadini italiani, chiamati ad esprimersi in un referendum cinque anni fa, lo hanno fatto fallire. In democrazia, tutto questo significherà pur qualcosa...


Donne & sofferenza: basta con i luoghi comuni - di Paola Ricci Sindoni – Avvenire, 15 aprile 2010
Vè un aspetto più corrosivo di altri nella gestione del potere massmediatico, ed è quello le gato alla diffusione – con il suo effetto moltiplicatore – dei pre giudizi e degli stereotipi pilo tati con raffinata strategia persuasiva, che finisce per far apparire una verità che non c’è. È il caso dei continui attacchi alla Chie sa e alla sua costante attenzione critica nei confronti della pillola abortiva Ru486, che – così tuonano alcune firme di importanti testate nazionali – finirebbe per condan nare questa pratica indolore in nome della 'dottrina' (da qui lo stereotipo duro a mo rire) secondo cui sin da Genesi la donna, obbligata a partorire con dolore, dovrebbe pur continuare a soffrire se vuol abortire – una forma di 'pena' per il suo peccato – in vece che servirsi della modalità più sempli ce e indolore dell’uso di un farmaco.
Vale la pena smontare questi pregiudizi con almeno due differenti ordini di con siderazione. Il primo è quello connes so allo stereotipo sul presunto maschilismo della Chiesa cattolica, colpevole a causa del sacerdozio maschile di soffiare da secoli sul l’antifemminismo e dunque sempre pron ta a condannare quando vengono pretesi dei diritti delle donne, incluso quello di aborti re. Si dimentica così facilmente quanto si sia impegnata la Chiesa sul fronte di una corretta visione del mondo delle donne: basti pen sare al costante e innovativo magistero di Giovanni Paolo II sull’antropologia femmi nile e anche all’impegno di Benedetto XVI in merito alla considerazione della natura dua le dell’essere umano, entro cui maschile e femminile vengono disegnati da Dio con il sigillo creaturale della pari dignità e della sin golare uguaglianza. L’intento di queste af fermazioni, che hanno trovato riconosci menti nel dibattito del femminismo cristia no e non, oltre che nella prassi pastorale del le singole realtà locali, non si ferma tanto al la mera proclamazione dei diritti, quanto al la cultura della promozione delle donne, molto spesso lasciate sole nella doppia e dif ficile gestione della vita familiare e dell’im pegno lavorativo.
E’ in questo quadro di emergenza finan ziaria, oggi complicata dalle difficoltà economiche e dal mercato del lavoro, pronto a sacrificare gli anelli più deboli del la catena sociale, le donne appunto, che pren de corpo il fenomeno (certo più complesso) delle gravidanze indesiderate e della conse guente scelta dell’aborto, garantito nel no stro Paese dalla 194. Una legge – lo si dice da più parti – che se da un lato ha prodotto una certa diminuzione dell’aborto clande stino, dall’altro ha finito con l’abbassare il li vello della percezione morale di questo e vento drammatico che continua a pesare so prattutto sul corpo e sull’anima della donna, come sul diritto negato ad una vita di veni re all’esistenza.
L’ introduzione della Ru486, specie – co me sembra – se verrà deospedalizzata attraverso un uso privato del farmaco, non fa che esasperare questo dram ma, che ha anche contorni clinici da non sottovalutare, come alcuni e sponenti della Chiesa più volte ripe tono anche in questi giorni, e non certo a motivo di una obbligata sof ferenza, che costituirebbe il sigillo i nevitabile – una sorta di condanna – che segnerebbe la donna per sempre. È qui che si annida il secondo ste­reotipo, quello legato alla falsa con cezione della sofferenza di cui la Chie­sa cattolica sarebbe portatrice. Fede le al suo evento fondatore – Gesù Cri­sto morto e risorto – il cristiano sa bene che la Croce non è la celebra­zione doloristica della rassegnazio ne, ma è una tappa di condivisione della sofferenza del mondo da parte di Chi se ne è addossato tutta la col­pa.
Mai nessuno nella Chiesa osa affer mare che il dolore è un valore, una pratica da raccomandare, quanto u na evenienza che prima o poi attra­versa ogni esistenza finita e che, se ri letta dentro il mistero del Maestro, trova una via di liberazione, quella che conduce, nonostante tutto, a ve dere nell’oscurità del mondo una lu ce. Calcare l’assurdità di una vita immer sa nel dolore e tuttavia vedere un senso a questa stessa vita, è questa la risposta cri stiana alla sofferenza e ai drammi che ci colpiscono. Specie quando hanno a che fare con la paura e la solitudine, con il senso di impotenza e di colpa che affer rano le donne che si accingono ad abor tire: in quel momento è più facile, in no me dei diritti, consegnare loro due pillo­le e rimandarle a casa, piuttosto che so stenerle, illuminarle e confortarle indi cando loro le possibili vie alternative.
La Chiesa, sia nelle forme praticate dal Magistero che in quelle pastorali, vissute nelle centinaia di parrocchie disseminate sul territorio nazionale, fa proprio que sto: aiuta e non condanna, orienta e non giudica, lenisce il dolore con la vicinan za e con l’indicazione di prospettive più liberanti.


Avvenire.it., 14 Aprile 2010 – ANNIVERSARI - Twain, guerra alle false notizie - Massimiliano Castellani
«Tutta la letteratura moderna statunitense viene da un libro di Mark Twain, Huckleberry Finn. Tutti gli scritti americani derivano da quello. Non c’era niente prima. Non c’era stato niente di così buono in precedenza». Questo è stato Mark Twain per un altro gigante della letteratura americana come Ernest Hemingway.

E quale migliore presentazione per commemorare i cento anni dalla morte di Twain, avvenuta il 21 aprile 1910. Una, nessuna, centomila vite, quelle del narratore-reporter avventuriero, dallo sguardo rapace, sempre pronto a cogliere e a rimettere in pagina ogni dettaglio per un racconto, ogni volto per una biografia, ogni fatto degno di un articolo o una semplice breve, della società del suo tempo. Un continuo rimescolamento della personalità, complessa, votato a diventare il personaggio più famoso dell’America in cui visse e in cui fece sentire forte le sue idee che andavano in direzione ostinata e contraria.

Un abisso di interessi e conoscenze che si rintracciano già nel suo pseudonimo "mark twain" (il suo vero nome era Samuel Langhorne Clemens), unità di misura della profondità di sicurezza delle «due tese» (3,7 metri), ben nota ai navigatori dei battelli che solcano il fiume Mississippi. Una delle tante esperienze di gioventù riposte nella valigia dello scrittore e rintracciabile nello splendido racconto Vita sul Mississippi. Ma prima era stato cercatore d’oro e minatore. E poi ancora giornalista e padre putativo della nobile famiglia degli inviati di razza.

Un viaggiatore instancabile che passando dall’Africa alla Francia sbarcò anche in Italia, come narra nel suo libro Gli innocenti all’estero. All’apice del successo giornalistico e letterario – alcuni dei suoi libri sfiorarono anche il mezzo milione di copie vendute – , arrivarono anche i lauti guadagni. Poi il lento affondare nel dolore dei lutti famigliari (la morte della moglie Olivia e delle figlie Susan e Jane) fino alla dissipazione totale che gli fece rasentare la miseria, dalla quale si salvò con l’appoggio di alcuni amici filantropi e il mestierato dell’abile conferenziere. Colpa di imprese editoriali sbagliate, come la biografia invenduta su Leone XIII, ma anche, con l’andare del tempo, per la perdita della vena morbida della sua narrativa che si faceva ancora leggere e ammirare in Tom Sawyer, altro caposaldo dell’educazione letteraria dei giovani americani di fine ’800. Di fondo, c’è da fare i conti con la realtà dell’onesto intellettuale, quindi molto scomodo in quell’America rampante e dalle tante libertà e nessuna davvero coltivata, dell’inizio del secolo scorso. Una nazione già devota alla mistificazione della verità che invece è stato il simulacro al quale Twain ha sacrificato tutta la sua esistenza.

La testimonianza più forte si ritrova in quel piccolo scrigno saggistico che è Libertà di stampa, sottotitolo: «I giornalisti onesti ci sono. Soltanto costano di più» (Piano B Edizioni). Un pamphlet di un’attualità sconvolgente, come gran parte degli scritti di Twain. Affondi politici irriverenti, a cominciare dal capitolo The war prayer, «Pregare in tempi di guerra», in cui nel 1905 Twain fa il quadro crudo del conflitto filippino-americano. Un testo rimasto inedito fino al 1923 e scampato al rogo insieme ad altri testi di ordine politico e religioso, compiuto per mano dei familiari dello scrittore che li consideravano lesivi. La sua pietistica assoluzione al gesto del parentato del resto l’aveva già messa in calce: «Un uomo non è indipendente, e non può permettersi di avere delle idee che potrebbero compromettere il modo in cui si guadagna il pane. Se vuole prosperare deve seguire la maggioranza… Altrimenti subirà danni alla sua posizione sociale e ai guadagni negli affari».

Pur avendo avuto tutto, grazie al mestiere di scrivere, ha sempre messo in guardia il suo lettore dalla stampa: «È ormai diventato un proverbio sarcastico sostenere che una cosa deve essere vera se la si è letta sul giornale. Questa è la sintesi dell’opinione che hanno le persone intelligenti a proposito di questo mezzo bugiardo. Ma il guaio è che gli stupidi che costituiscono la stragrande maggioranza di questa e di tutte le altre nazioni, ci credono davvero e sono formati e convinti da ciò che leggono sul giornale, ed è li che sta il danno». L’eroe della carta stampata, ormai anziano e in preda agli stenti, si ritrovò incartato dal "mostro" che aveva sempre combattuto: la mediocrità che indottrinava il popolo con la falsa informazione. «Una bugia detta bene è immortale», ammoniva, ed è quella che spesso partorisce il conformismo. «Conformarci è nella nostra natura. È una forza alla quale pochi riescono a resistere», scrive Twain. La vera resistenza per lui era dunque sfuggire al conformismo, ma la maggior parte del popolo è da sempre vittima dell’opinione pubblica. «Non facciamo altro che sentire, e l’abbiamo confuso col pensare. E da tutto ciò non si ottiene che un aggregato che consideriamo una benedizione. Il suo nome è Opinione Pubblica. Risolve tutto. Alcuni credono che sia la voce di Dio».

E invece nell’America di Twain, non era alto che il prodotto degradato di «un’orda di sempliciotti ignoranti e compiaciuti che hanno fallito come sterratori e calzolai, e che hanno intrapreso il giornalismo lungo il loro cammino verso l’ospizio per poveri». Il potere dei governanti ammaestra dunque il giornalismo e a sua volta chi informa può facilmente ammaestrare il popolo con messaggi preselezionati e deprivati della verità: «L’ammaestramento fa cose meravigliose… Può trasformare i cattivi principi in buoni e i buoni in cattivi; può annientare ogni principio e ricrearlo». Da giornalista e direttore dei quotidiani più strampalati del suo tempo, Twain stilava la sua temeraria accusa alla "casta": «Esistono leggi per proteggere la libertà di stampa, ma nessuna che faccia qualcosa per proteggere le persone della stampa». Rileggendolo, viene da chiedersi con preoccupazione: quanto è cambiato lo scenario in questi cento anni prima del suo addio? «Sono arrivato con la cometa di Halley nel 1835. Torna l’anno prossimo e penso di andarmene con lei», fu la sua ultima profezia. E nella dimensione in cui si trova adesso, Twain non ci ha ancora inviato la smentita alla sua tesi finale sulla libertà di stampa: «Solo ai morti è permesso di dire la verità».
Massimiliano Castellani